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L’aborto negli Usa: una caso che riflette la frammentazione politica e istituzionale_di Alberto Cossu

L’aborto negli Usa: una caso che riflette la frammentazione politica e istituzionale

Autore: Alberto Cossu 18/05/2025

L’aborto negli Stati Uniti rappresenta uno dei temi più controversi e divisivi della storia politica e sociale del Paese, con una lunga evoluzione normativa che ha riflesso e alimentato profonde tensioni culturali e ideologiche. La sua storia moderna inizia con la sentenza storica della Corte Suprema del 1973, Roe v. Wade, che ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale, ma che è stata poi ribaltata nel 2022 durante la Presidenza Biden, lasciando gli Stati liberi di regolamentare autonomamente la materia.

Prima di Roe v. Wade, la disciplina sull’aborto era affidata ai singoli Stati, con una situazione molto frammentata: in 30 Stati l’aborto era considerato un reato, mentre in altri era consentito solo in casi molto limitati, come pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali. Nel 1970, le Hawaii furono il primo Stato a legalizzare l’aborto su richiesta della donna, anticipando la svolta federale. La causa Roe v. Wade nacque dal caso di Norma McCorvey, alias Jane Roe, una donna del Texas che contestava le restrizioni statali sul diritto di interrompere la gravidanza. La Corte Suprema, con una maggioranza di 7 a 2, riconobbe che il diritto all’aborto rientrava nella sfera della privacy tutelata dal 14° emendamento della Costituzione, sancendo così un diritto costituzionale che limitava l’ingerenza statale fino al momento in cui il feto non fosse in grado di sopravvivere fuori dall’utero, generalmente intorno alla 24ª settimana di gravidanza. Questa sentenza rappresentò una svolta epocale, stabilendo un equilibrio tra il diritto della donna e l’interesse dello Stato a proteggere la vita prenatale.

Negli anni successivi, però, la questione è rimasta fortemente politicizzata e oggetto di scontro tra gruppi pro-choice, favorevoli al diritto all’aborto, e gruppi pro-life, contrari all’interruzione di gravidanza. Negli anni ’80 e ’90, l’opposizione all’aborto si è organizzata in lobby potenti e  iniziative legislative volte a limitare l’accesso all’aborto. A livello federale, sono stati approvati emendamenti che limitano i finanziamenti pubblici all’aborto, come l’emendamento Hyde, che vieta l’uso di fondi federali per finanziare aborti tranne che in casi di stupro, incesto o pericolo per la vita della donna.

La situazione è radicalmente cambiata nel 2022, quando la Corte Suprema ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade con la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, eliminando la protezione federale del diritto all’aborto e restituendo ai singoli Stati la facoltà di legiferare liberamente in materia. Questo ha portato a una frammentazione normativa senza precedenti: alcuni Stati hanno vietato l’aborto quasi completamente, mentre altri hanno rafforzato le garanzie di accesso.

Attualmente, circa 19 Stati vietano l’aborto con divieti totali o quasi totali, spesso a partire da 6 settimane di gravidanza, un termine molto precoce che rende di fatto impossibile l’accesso all’interruzione di gravidanza. Tra questi Stati vi sono Texas, Alabama, Arkansas, Mississippi, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, e altri. Alcuni Stati come Florida, Georgia, Iowa e South Carolina hanno introdotto divieti molto restrittivi con limiti a 6 settimane. Altri Stati impongono restrizioni intermedie, con divieti dopo 12 o 18 settimane, come Nebraska, North Carolina e Utah.

Dall’altra parte, ci sono Stati che tutelano e garantiscono il diritto all’aborto, spesso inserendolo nella propria Costituzione o con leggi che ne assicurano l’accesso fino alla 24ª settimana o oltre. Tra questi Stati “abortisti” figurano California, New York, Colorado, Maryland, Massachusetts, Oregon, Washington, e altri. Alcuni Stati hanno recentemente approvato referendum per rafforzare la protezione costituzionale del diritto all’aborto, come Arizona, Colorado, Maryland, Nevada, New York, Montana, Florida, Nebraska, South Dakota e Missouri.

Due esempi emblematici che mostrano il divario tra Stati sono il Texas e New York. Il Texas rappresenta il modello più restrittivo: dal settembre 2021 è in vigore la legge SB 8, che vieta l’aborto già a partire da circa 6 settimane di gravidanza, senza eccezioni per stupro o incesto. La legge permette a privati cittadini di fare causa a chiunque aiuti o esegua aborti dopo questo limite, con ricompense pecuniarie, creando un meccanismo di controllo diffuso e difficile da contrastare legalmente. Questo ha portato alla chiusura di molte cliniche e ha costretto molte donne a cercare assistenza in altri Stati. Anche in casi di grave rischio per la salute della donna, l’accesso all’aborto è fortemente limitato e soggetto a battaglie legali.

Al contrario, New York ha una legislazione molto più permissiva e protettiva. L’aborto è legale fino a 24 settimane e può essere consentito anche oltre in caso di pericolo per la salute della donna o anomalie fetali incompatibili con la vita. Nel novembre 2024, un referendum ha rafforzato la protezione costituzionale del diritto all’aborto nello Stato, inserendo esplicitamente il diritto all’autonomia riproduttiva nella Costituzione di New York. Questo garantisce un accesso più sicuro e tutelato all’interruzione di gravidanza, in netto contrasto con le restrizioni texane.

Queste differenze riflettono anche le profonde divisioni politiche che attraversano il Paese e i partiti stessi. L’aborto è diventato uno dei temi più divisivi all’interno del Partito Repubblicano, che vede una forte componente conservatrice e religiosa contraria all’aborto, ma anche alcune posizioni più moderate o libertarie. Nel Partito Democratico, invece, il diritto all’aborto è generalmente considerato un principio fondamentale, con un forte sostegno alle politiche di accesso e tutela della salute riproduttiva. Questa polarizzazione ha reso l’aborto un tema centrale nelle campagne elettorali, nelle elezioni di midterm e presidenziali, e nei referendum statali, influenzando l’orientamento politico degli elettori e la composizione dei tribunali.

A livello federale, nonostante l’assenza di un divieto nazionale, sono in corso iniziative politiche per limitare ulteriormente l’aborto, come la proposta di legge H.R. 722, che mira a vietare l’aborto basandosi su un’interpretazione estensiva del 14° emendamento, riconoscendo diritti legali al concepito sin dal concepimento.

In conclusione, l’aborto negli Stati Uniti è un tema che ha attraversato una lunga evoluzione storica, da un regime di divieti diffusi a una tutela federale sancita da Roe v. Wade, fino al ritorno a una legislazione frammentata e polarizzata dopo il 2022. Le differenze tra Stati come Texas e New York illustrano chiaramente come il diritto all’aborto sia oggi profondamente legato alle dinamiche politiche e culturali locali, riflettendo e alimentando le divisioni di un Paese che continua a confrontarsi con uno dei temi più sensibili e decisivi della sua storia contemporanea.