Italia e il mondo

QUANDO SI DEPOSITA LA POLVERE, di Pierluigi Fagan

Pierluigi Fagan è titolare di una pagina facebook e di un proprio sito
QUANDO SI DEPOSITA LA POLVERE. MEE ovvero il principale think tank qatariota di politica regionale (in primo commento il link), finalmente inquadra cosa è successo e sta succedendo a Gaza.
Come riportato in sintesi ad inizio del redazionale: “Gli obiettivi non dichiarati della guerra : uccidere quante più persone possibile, distruggere quante più case ed edifici possibile, restringere la superficie della Striscia e dividerla. Controllare le risorse di gas. Impedire la creazione di uno Stato palestinese; Hamas, gli ostaggi sono questioni marginali.”. Ma come? Hamas, i poveri ostaggi, come “marginali”?
Il sottostante l’immane tragedia che prende i numeri dei morti, feriti, degli ostaggi, dei penosi casi umani, dell’ingiustizia senza giudice, dell’orrore e dell’ignominia, del più o meno genocidio, del silenzio di un mondo e la rabbia dell’altro, era ed è un semplice obiettivo di cancellazione della presenza palestinese a Gaza.
Cancellazione fisica, umana e materiale. Dimezzarne ed oltre la popolazione, relegarla a sud, fargli deserto attorno, renderla una enclave di nessun conto da dare all’Autorità, gli arabi e l’ONU per decenni di caritatevole assistenza, con più o meno Hamas dentro poco importa. Una San Marino palestinese senza statuto giuridico, 500-700 mila anime.
Oggi rimangono ancora forse 1,3 milioni di palestinesi schiacciati a Rafah. Se nei prossimi giorni, alle trattative dietro le quinte, i compiacenti e silenziosi “partner in crime” arabi prometteranno a Tel Aviv di prenderne un’altra metà, si potrà chiudere la prima fase della partita. Come promesso da Bibi due giorni dopo l’attacco di Hamas ad un incontro con sindaci di paesi circostanti Gaza: “La risposta di Israele all’attacco di Hamas da Gaza -cambierà il Medio Oriente-“.
Il bello o l’ennesimo brutto di tutta questa storia è che lo si sapeva. Io lo scrissi il 21 ottobre, cinque mesi fa. Netanyahu col suo faccione da mago birichino, era andato all’ONU con tanto di cartina e pennarello a mostrare fiero la novità di una nuova natività ed esplicite cartine truccate (link nel secondo commento). Il Nuovo Medio Oriente, senza più alcuna ambigua traccia di territorio potenzialmente base per l’ennesima, inutile discussione su i “due Stati”, un unico spazio di possesso della terra promessa, da offrire al nuovo piano illustrato nel post di ieri. Ma erano due settimane -prima- l’attacco di Hamas.
E’ da tempo che Israele ha riallacciato legami diplomatici con Emirati, Bahrein, Kuwait, Oman, i junior partner dell’Arabia Saudita che però stava per firmare anche lei il nuovo patto, già due settimane prima l’attentato di Hamas. Questo sviluppo proviene dagli Accordi di Abramo prima che dalle promesse della Nuova Via del Cotone. Le strategie hanno lungo corso, qui non s’improvvisa niente.
L’unica cosa che s’improvvisa è la nostra attenzione. Come in un gioco di prestigio, mentre il Mago ci faceva inorridire davanti la strage umanitaria, sotto sotto desertificava lo spazio umano di Gaza, faceva scappare già un milione di persone, riduceva, tagliava, rendeva irreversibile lo svuotamento.
E la regia dell’informazione subito pronta ad intrattenerci con il Teatro dei Pupi, Hamas col randello (disumano), il diritto di Vendetta (umano, troppo umano), citazioni della Torah, tutti i giorni un “sì stanno trattando gli ostaggi”, “ci sono colloqui speranzosi” anzi no. Antisemita! Nazista! Teatro. Noi non c’eravamo prima, avevamo l’Ucraina, la Cina, le bollette, l’ASL, nonno che sta male e non ci saremo dopo perché quando cade la polvere ed inizierà la politica, avremo altro a cui pensare.
Così va il mondo. Assistiamo come spettatori alla Grande Transizione della nuova era complessa, ma solo quando ci scappa il morto, scoppia la bomba, sta per partire la bomba atomica, anzi no. però quasi. E vai a improvvisati lettori del mondo riciclati dall’economia, dalla pandemia, dalla critica alla nuova paranoia verde, ora esperti di Terza Guerra Mondiale a pezzi. Quelli a paga della Narrazione Ufficiale e quelli critico-critici che gli vanno pure appresso ma si si sentono più svegli. Timore e tremore, brivido di stare nella storia osservandola dalla finestra elettronica per giudicarla, esecrarla, commuoversi, baruffare a favore dei diritti dell’uno o dell’altro dei contendenti. Il mio gallo messicano contro il tuo ed i più sensibili a piangere le povere bestie nel tripudio di strepiti e penne che svolazzano.
Che ci faceva Jihad islamica con Hamas nell’azione del 7 ottobre? Come ci si è infilata? Chi l’ha infilata? Chi di Hamas se l’è fatta infilare trasformando l’operazione “prendi ostaggi da dare in cambio prigionieri” nella macelleria messicana en plain air a cui non si poteva che dare “vendetta tremenda vendetta”? Come mai Iran ed Hezbollah hanno mostrato di non saperne niente sin dai primi momenti dopo l’attentato, perché in effetti non ne sapevano niente? Non erano gli sponsor?
Perché nessuno è rimasto di sasso o s’è rotolato dalle risate quando Bibi ha ammesso che loro proprie niente ne sapevano della preparazione degli attentati in uno spazio grande come la provincia di Spoleto con dentro 2,3 milioni di anime ed i servizi segreti del Paese tra i più potenti al mondo che andavano a fare interviste su i media di mezzo mondo ad ammettere il loro poco credibile “epic fail”? Dopo decenni di costruzione del loro mito pubblico di efficienza. E meno male che sono servizi “segreti”. Giravano 2000 Qassam lunghi due metri ma nessuno ne sapeva niente, deltaplani, almeno 2000 uomini coinvolti, sì ma “in gran segreto”. Avranno fatto le esercitazioni in cameretta, in calzini e trattenendo il fiato. Ma ci prendono proprio per scemi … sì perché in buona parte lo siamo.
Poi cosa sapessero, chi, facendo finta di non capire o avendo info tagliate, non sta a me dirlo, non faccio l’investigatore di complotti.
Il nostro non è un regime democratico, fateci pace. Non c’è demos che gestisce o controlla la polis, quella di casa e quella mondo. Avete tutti troppo da fare, non avete tempo, c’è da passare giorni e giorni, anni, per dragare l’immane flusso di problemi, conoscenze, storie, fatti, segreti che ti fanno leggere la vera scrittura del romanzo del mondo in svolgimento. Leggere ed interpretare che non è proprio facile. Sempre che nervi ed intestini vi reggano. Vi invitano solo al quarto d’ora più Netflix, il resto rimane in ombra. Non dovete sapere, non dovete pensare, non dovete giudicare se non quello che decidono di darvi in pasto all’ora di cena. Il momento delle Grandi Emozioni, il più brividoso.
O cominciano a rivendicare meno ore di lavoro e più tempo umano per partecipare al cambiamento necessario del mondo, studiando, conoscendo, dibattendo, approfondendo, agendo politicamente, rivendicando il nostro diritto e dovere di decisione della società di cui siamo soci naturali per diritti biologici di nascita (toh, la biopolitica nel suo senso proprio!) o il mondo cambierà senza di noi e com’è facile predire, contro di noi.
Lo capiremo solo dopo, a cose fatte, quando la povere si poserà, quando è troppo tardi. O ci mettiamo a ripristinare livelli minimi di democrazia (non certo quella tele-parlamentare a quattro anni tra un voto di delega assoluta e l’altro) o andrà come è sempre andata, ovunque, negli ultimi cinquemila anni: Pochi governeranno le vite dei Molti. Sempre che non le sacrifichino incontrando i tanti “there is no alternative” che aspettano il percorso da paura dei prossimi trenta anni. Ma con un sorriso ed un marker pen in mano.

epa10280645 Former Israeli prime minister and leader of the Likud party Benjamin Netanyahu speaks as he react to TV election results models at the Likud party final election event in Jerusalem, Israel, 01 November 2022. EPA/ABIR SULTAN

PROSPETTIVA AT LARGE. Aggiungo una lettura di medio corso sulla questione della “tregua del Ramadan” in Palestina, forse ce n’è bisogno, rispetto a; e ora?
La severa degradazione dello spazio palestinese di Gaza a seguire i fatti di ottobre, è stata ovviamente operata dal governo di destra di N, da N stesso con più intenzione ed interesse di ogni altro, ma col beneplacito degli alleati occidentali, degli USA, dei Paesi arabi del Golfo, dell’Egitto. Ora, pare, si sia posto il limite del dove potrà arrivare l’operazione militare. Qual è questo limite?
Per “degradazione” si intendono due cose: sia la distruzione materiale e logistica dello spazio Gaza, sia la distruzione socio-politica di Hamas che quello spazio deteneva e di cui viveva.
Il primo obiettivo, risponde la desiderio israeliano di risolvere il problema di convivenza problematica con i non meno problematici palestinesi di Gaza. Il modo è rendergli la vita impossibile e spingerli a migrare altrove (Egitto, Giordania, Libano etc.). In effetti si può discutere la nozione di “genocidio”, qui si tratta piuttosto di una “espulsione territoriale coatta”. Poco noto forse ai più ma dal processo Eichmann si apprese che il progetto originario nazista era proprio l’espulsione coatta, il genocidio intervenne dopo perché meno problematico sul piano politico-logistico o forse solo “più ariano”. Eichmann mostrò come furono proprio i lunghi ed amichevoli contatti con la comunità ebraica sull’idea del grande trasferimento a creargli la conoscenza utile poi alla gestione ben meno amichevole della logistica da internamento. Se ne dolse, ma era un funzionario della “banalità del male” come argutamente notò Hanna Arendt, mente fina ed intellettualmente onesta.
Erano 2,5 milioni i locali, gli israeliani sperano di convincerne la gran parte ad andarsene (sempre che qualcuno se li prenda, ma ad occhio mi sa che almeno una milionata o poco più se ne è già andata) di modo da ritrovarsi con una enclave più piccola, gestibile ed innocua.
In aggiunta, la distruzione sociale e politica di Hamas che infrastrutturava quella comunità. Sia colpendo militarmente direttamente, sia soffocando Hamas che a quel punto non avrà più il suo “popolo” e spazio territoriale. Il soffocamento dello spazio protettivo dei “terroristi” è il primo paragrafo dei manuali militari di ogni dove, non c’è altro modo di aver risultato con questi ostinati irregolari asimmetrici.
A questo punto, la risoluzione di ieri, dice a N che ha raggiunto il limite concesso per entrambi gli obiettivi. La risoluzione sappiamo che è stata promossa dai paesi arabi. Ed ora?
Ora potrebbe aprirsi la già prevista seconda fase, il gioco del dopo, la gestione post bellica ed il riassetto della situazione per un nuovo equilibrio.
Arrivati qui, permettetemi una divagazione di metodo, riprendo subito dopo, se non interessati saltate questo ed i due paragrafi successivi. Qui molti forse avranno notato che io non scrivo tutte le settimane su Ucraina o Palestina o qualsivoglia altro fenomeno critico, dalla c.d Terza guerra mondiale in giù (a pezzi o ad Armageddon), pur occupandomi anche di questo come studioso, perché molte mie analisi valgono fino a prova contraria, se una analisi vale, non sto certo lì a riscriverla tutte le settimane. Non sono un giornalista, né un propagandista, né ho sindromi Orsini, né ho travasi emotivi da sfogare in deliri social da onde di sdegno collettivo. Ognuno lo sdegno se lo coltiva come vuole, pubblicamente sarebbe meglio capire prima per cosa. Questo social è fatto apposta per condividere onde emotive per altro spesso manovrate, usarlo per razionalizzare è farne contro-uso in forma di guerriglia marketing, una vecchia tecnica di resistenza per chi ha poco e lotta con chi ha molto più “volume di voce”. Si usano i loro mezzi per altri fini.
Una settimana dopo l’inizio della guerra in Ucraina, quindi più di due anni fa, scrissi che uno degli obiettivi prioritari della trappola americana in Ucraina era la piena cattura egemonica dell’Europa. Ma tutti erano presi dai Donbass, Pietro il Grande 2.0, nazisti kantiani, armata rossa a Berlino, guerre mondiali e atomiche che potevano fischiare da un momento all’altro e di più si divertivano con questo genere meno realista e più Netflix pur facendo finta di occuparsi di “geopolitica”. Sottogenere, quelli che hanno il momento Sherlock Holmes e ti spiegano cosa è avvenuto, dove e come basandosi su materiali emessi dai servizi di intelligence di mezzo mondo che però siccome hanno preso sul media birichino sono più veri del mainstream. Scusate la divagazione di metodo, ma come parliamo in pubblico sta diventando una emergenza. Il mondo non sarebbe così pieno di delinquenti informativi se non fosse così pieno di polli.
Sebbene ora colpita da un eccesso di attenzione, geopolitica è una disciplina come un’altra, con le sue competenze, metodi e conoscenze, sebbene ancora molto indietro sul piano epistemologico e meta-teorico, non s’improvvisa nulla o almeno non si dovrebbe. In breve, si salva solo Caracciolo. A meno di non divertirsi a giocare a Risiko da adulti cantando “I’m von Clausewitz, just for one day”. Magari scambiando la fuffa del commento pubblico di pretesi esperti (o meglio reali esperti ma in propaganda) per farci su polemiche social.
Già a ridosso degli avvenimenti di ottobre, ricordavo lo scenario macro, il fatidico “contesto” mediorientale senza il quale non si capisce molti cosa pretendono di capire di questo tipo di fenomeni, che vedeva gli americani intenzionati a creare un accordo strategico tra Israele, Paesi del Golfo per dare un corridoio commerciale-energetico dall’India all’Europa in contrasto alle reti cinesi del BRI, nonché disturbare i nuovi assetti BRICS sfruttando le ambiguità indiane. Idealmente, un accordo del genere, Biden & Co, sognavano di poterselo portare alle elezioni di novembre, Blinken l’aveva dichiarato ai quattro venti già da fine settembre.
Quell’accordo, relativo piano operativo, mossa dei capitali a sostegno dei progetti, non si poteva certo fare con Gaza ed Hamas tali quali prima di ottobre. Per questo, sono stati tutti silenti nei fatti rispetto a quello che ha fatto N. La zona doveva esser ripulita, era la fase a “distruzione creatrice”, schumpeterismo applicato alla strategia. Ora, arrivati a restringere Gaza a Rafah, si pone un bivio.
N e gli israeliani avrebbero voluto pulire tutta la situazione, eliminare ogni residua vestigia di palestinesità organizzata per il dopo Gaza. I Paesi arabi hanno fatti sapere a gli USA che ciò non è consentito, deve rimanere una pur simbolica presenza territoriale di palestinesità, sebbene de-hamasizzata il più possibile ed anche ridotta demograficamente. Pare che questa posizione -per altro più realistica ed anche N lo sa, magari i cialtroni del suo governo meno- abbia infine determinato lo stop. Da qui in poi, quindi, si aprirà la seconda fase ovvero trattare. Cosa?
Quanti soldi ed a quali fini e progetti metteranno gli arabi (europei, IMF-WB, charity varie, con ONG festanti, quasi tutte anglosassoni) per la ricostruzione della zona, in favore di quale forma debole di istituzione palestinese locale, come dividersi lo spazio ex-Gaza che gli israeliani vogliono comunque ridotto in loro favore (nuovi coloni, speculazione edilizia ed infrastrutturale), che tipo di riconoscimenti formale avrà il nuovo piccolo nucleo palestinese base Rafah.
Una dimensione certo improponibile per le idee di “due stati” che è un refrain della pubblicità diplomatica degli ultimi anni senza alcuna consistenza reale. Roba da buonismo giornalistico per le opinioni pubbliche occidentali che hanno difficoltà con i rimasugli di coscienza quando si volgono turbati alle brutture della politica internazionale di cui capiscono meno che di meccanica quantistica. La nuova Rafah, sarà un protettorato dalla dubbia forma giuridica provvisoria, con un po’ di ONU, arabi, forse un po’ di Autorità palestinese (ma qui si aprono altri scenari), innocuo eppure simbolicamente importante per il il mondo arabo.
Chi dovesse temere l’utilizzo di questa nuova enclave come base per future vendette ed intifada di ciò che rimane di Hamas, dovrà fare i conti con numeri e dimensioni, territoriali e demografiche, della nuova realtà. che non lo consentiranno
Queste trattative avranno tre motori.
Il motore americano che spingerà, speranzoso, per portare un pacchetto “abbiamo una nuova idea di Palestina” alle elezioni di novembre.
Il motore israeliano e l’interesse personale di N a non portare alcuna soluzione prima delle elezioni americane poiché dipende molto che partita si potrà giocare con altri quattro anni di Biden o di Trump. La versione Trump è senz’altro più appetitosa sia per l’attuale governo di Israele, sia per N. Trump ha già mandato Jared Kushner -marito di Ivanka e di origine ebraica- in zona a tessere tele nelle scorse settimane. Sfruttando anche il fatto che Biden ha nei sondaggi problemi crescenti con i propri elettori musulmani e di varia altra specie non ebraica. Chissà che anche la nuova paranoia europea da ISIS-K (chi inventa queste sigle è un genio, dai ISIS-K fa paura, no?) non rientri nello scenario largo.
Questo dà altri mesi di sopravvivenza politica e giuridica a N e ne proroga il prestigio interno, non hanno altri per gestire questa fase diplomaticamente assai complessa che non il “vecchio volpone”, un signore che per quanto stia in uggia a molti, per non dire di peggio, è indubbiamente un politico mille e più carati. Quando arriverà per lui il “giorno del giudizio” se si presenterà a Tel Aviv con il pacchetto coi fiocchi giusti da mettere sul tavolo, chissà quanti si ricorderanno di cosa, come e perché ha fatto quello che ha fatto. Nel campo, vale il brutale “il fine giustifica i mezzi”, è teleologico (ma non kantiano), il dopo cancella le tracce del prima.
Il terzo motore, arabo ed europeo, starà a guardare, in fondo anche loro consapevoli che prima o dopo novembre prossimo, cambia molto. Adesso varrà la pena anche volgere lo sguardo a cosa succederà nei Territori dell’Autorità o meglio a gli assetti politici interni a lungo bloccati da paralisi politica e rissosità interna a Fatah.
Incognita, lo spazio politico, operativo e militare concesso dagli arabi alla fazione FM-Hamas per quel che ne resta-Qatar-Iran/Libano/Hezbollah. Quanto faranno in qualche modo parte del gioco o meno e soprattutto in che modo. Versione Biden più soft, versione Trump più Hellzapoppin’. M quella Biden più soft solo fino a novembre, dovesse vincere si torna all’hard, non meno che in Ucraina.
Quindi, mettetevi comodi, perché per otto mesi ci sarà politica, diplomazia, scaramucce, ricatti, sgambetti, alzate di voce e baci e riabbracci, qualche ripresa dei bombardamenti, atti umanitari ed altro intrattenimento e poco o nulla ciccia. Biden tratterà con N e N con Biden, scommetto sul vecchio volpone, ha la carta del tempo che in questi casi vale come la matta. Ma attenzione, ad ottobre o poco prima, Biden calerà anche le sue di carte.
Per chi segue lo sviluppo strategico delle aree critiche del mondo, sarà molto interessante. Bel partitone.
 
LA TERRA PROMESSA. Perché si chiama “geopolitica”? Be’ perché come insegnano le cartine di Luisa Canali su Limes, tutti i discorsi che fai a parole sulla politica, li devi mettere su una cartina geografica, no? Avete presente? Il territorio, le coste, i fiumi, i monti, i laghi… L’ora di geografia era in genere un relax, ma forse vi siete rilassati troppo visto la vasta ignoranza che circola in materia. In più, visto che siete tendenzialmente idealisti, ‘ste brutte robe concrete della realtà, vi impicciano il libero svolazzo e non le amate troppo. Ravvedetevi se volete capire qualcosa del mondo intorno a voi, il mondo si sta muovendo parecchio di recente.
Allora, dovete sapere che sono anni che si coltiva l’idea di creare un Grande Medio Oriente con Israele pacificato con una parte del mondo arabo di area Golfo alle spalle.
Per l’area Golfo, l’opportunità di sfociare direttamente sul Mediterraneo evitando i giri del Persico-Mar Rosso-Suez (Iran, pirati somali, Houti, Gibuti, Egitto-Suez), un allaccio strategico all’Europa.
Per Israele, il ruolo di Hot Spot, il centro delle nuove reti di collegamento, un bene comune di area da proteggere nell’interesse di tutti. Avete risolto parecchi problemi di stabilità dell’area, per sempre o quasi. In più, immaginate la pioggia di dollari che cadrebbe per anni ed anni su quelle terre avare, manna. Una manna cui resti potrebbero andare anche alla popolazione palestinese, essenziale mano d’opera di costruzione che di mantenimento delle infrastrutture.
Tutto ciò prescinde l’idea della Via del Cotone di cui parlavamo ieri, è una idea precedente, è nella logica geostrategica della zona, è implicita, va solo estratta e portata a compimento. Da tempo un alacre lavoro diplomatico ti ha fatto allacciare relazioni ufficiali con gli Emirati (Bahrein, Kuwait e non ufficialmente ma in pratica Arabia Saudita), ma volendo sei di casa anche a Doha, non “quasi amici” ma conoscenti sì.
Dove farete passare le nuove ferrovie? E le stazioni di scambio? E gli impianti di trasformazione? E gli elettrodotti? I gas ed oil dotti? I porti? Le aree logistiche? Gli hotel? Le reti TLC? Che arma avresti per gestire la convivenza con il popolo palestinese dell’area dell’Autorità e Territori? Che cointeressenze avrebbero? Quanto queste cointeressenze ti permetterebbero di manovrarli politicamente con l’impetuoso fiume di dollari cui parte proviene proprio dal mondo arabo alle vostre e loro spalle? Più WB-IMF, finanza anglo-ebraica, ma non solo.
E cosa dire dell’immensa area di gas prospicente la costa, area che arriva in Libano, Cipro, Egeo greco meridionale? Non del tutto una alternativa completa ai flussi russi, ma tutto fa. Sarebbe di nuovo una zona di bene comune occidentale a cui gli europei sarebbero chiamati a protezione (e condivisione) attiva. Una garanzia in più ed un problema (e costi) in meno per gli americani nella nuova divisione del lavoro geostrategico “occidentali vs cinesi-russi”.
Be’ dai, roba da trenta e passa anni di sviluppo, piatto ricco mi ci ficco e mi ci ficco da tutto il mondo direi.
Benissimo. Ora però hai una serie di problemini, da risolvere prima:
1) Il rapporto col Libano, stante che in Libano c’è marasma da sempre, siriani e soprattutto Hezbollah. Hezbollah ti sta proprio sulle alture nord sopra il vostro nord, un problema;
2) il problema palestinese che è quantomeno quadruplice ovvero a) palestinesi della diaspora larga (soprattutto Giordania); b) i palestinesi arabo israeliani (1,5 mio); c) i palestinesi dei Territori; d) i palestinesi di Gaza. Questi ultimi, i più “rognosi” poiché egemonizzati da Hamas. Un Hamas da ultimo bizzarro visto che ai primi di ottobre ha operato in Israele con accanto pezzi di jihad islamica. Magari tu di salafiti non capisci nulla, ma sappi che è molto strano che Fratelli musulmani se la facciano con jihadisti, molto. Tu , invero, avevi da ultimo provato a dargli chance di lavoro con permesso di uscita-rientrata nel lager di Gaza, sembrava filare tutto liscio, poi però quelli hanno fatto il pezzo da matto;
3) gli equilibri arabi tra Paesi del Golfo, Siria, Egitto e soprattutto asse Qatar-Iran. Ma questi se li smazzerebbero gli arabi stessi, sono cose loro, questioni di soldi, flussi, chi sta dentro e quanto, etc. roba da litigare per decenni, ovvio, ma con tanti dollari davanti si litiga meglio;
4) la geopolitica at large ovvero che rapporti con la presenza russa nel Mediterraneo orientale? Con la Turchia (Fratelli musulmani quando gli fa comodo) che invidia le prospettive del grande bacino gasifero del Levante? Con la presenza militare NATO in area marittima? Con un Egitto nervosino che si vede relativizzata Suez? Con i cinesi a cui pur offrire i punti scambio tra gli arrivi ferroviari da sud e gli attracchi alle nuove navi super container a profondo pescaggio che hanno porto di riferimento al Pireo greco?
Insomma, hai una bella serie di cose da mettere a posto, ma anche un giochino economico-finanziario-geopolitico-militare da leccarsi i baffi per decenni e decenni, tutto nelle tue mani, tutto sulla “tua” terra.
Già, la “terra”! Quanto è totalmente “tua” e sotto il tuo pieno controllo? Ne disponi davvero a piacimento? Ti senti sicuro e garantito, puoi offrirti come partner credibile? Perché se non è tutto, almeno un minimo a posto, il giochino neanche inizia, nessuno metterebbe un dollaro dentro un marasma qual è da sempre la tua area. Immagina che stai lì con ruspe, gru e scavatrici a t’arrivano Qassam a pioggia un giorno sì e l’altro pure, non va bene, no. Più qualche pazzo jihadista impaccato di TNT caricato a molla chissà da chi e da dove.
Tocca quindi cominciare a mettere a posto, nell’interesse tuo e di tutti i potenziali partner degli sviluppi futuri. La terra è promessa, da sempre, ma ti devi dare da fare per realizzare la promessa in atto e la parola non basta, ci devi andare di azione militare e geopolitica.
Altrimenti? Che prospettive hai? Russi, turchi, egiziani sono nervosetti con te per varie ragioni.
Quei maledetti di sciiti a nord sono fastidiosi. Gli iraniani alle loro spalle non ne parliamo proprio, in più quelli sono Persiani mica arabi. Sì, vennero convertiti, ma sempre Persiani son rimasti, facevano “civiltà” quando tu ancora vagheggiavi con le pecore sulle sabbie dei tuoi deserti. Poi hanno dietro anche un po’ i cinesi, a volte i russi, quelli ambiguissimi del Qatar ma straimpaccati di soldi ed ormai cuciti a doppio filo via investimenti con l’Occidente, cartacce.
Gli europei chiacchierano ma sai che sono inaffidabili sul piano pratico, militare (che è quello che più ti serve visto che sei un paesucolo di 9 milioni di anime, neanche tutte ebree).
Hai un Paese con complesse dinamiche demografiche e composizione etnica, in crescita pompata in modi spicci da trenta anni di importazione coloni neanche tutti ebrei (ucraini, russi, bulgari), ultraortodossi ostinati, fighetti sex-metropolitani da spritz and coca, anche qualche nero africano di cui poi ti sei pentito, ex socialisti critico-pensosi, sionisti e sempre, quella masnada di palestinesi neanche del tutto “arabi” che gli arabi sentono fratelli a livello di popolo, ma non a livello di élite. Oltretutto che si riproducono come conigli. Storicamente laici, qualche volta pure atei o agnostici, levantini, divisi in più bande e tribù in odio reciproco di quanto non fossero ai tempi di Muhammad.
E gli americani? Pensi che gli USA potranno proteggerti per altri decenni ora che hanno a che fare coi cinesi e gli asiatici at large, con russi annessi, in tempi di rendimenti di potenza decrescenti e contrattivi per ovvie e non invertibili ragioni?
Dai Davide, aiutati che Dio ti aiuta! Sono tutti (o quasi) con te. Comincia a mettere a posto la tua terra e la promessa diventerà realtà.
[La cartina è da me elaborata, contiene dati di fatto ed ipotesi, serve solo a dare l’idea geo-realistica dello scenario. Vi piaccia o meno questa è realtà, i sentimenti ed i giudizi metteteceli voi, io non officio messe e non presiedo tribunali, faccio solo analisi, cerco informazioni, ci faccio i nodini tra loro e ve le do gratuitamente a vostro libero uso e consumo. Servo un mio ideale strettamente POLITICO di democrazia della conoscenza, ognuno ha i suoi trip]
 
IL PROBLEMA DEI TRE CORPI. L’area di lettura critica del mondo che vedo esprimersi di recente sui fatti di Gaza e Palestina, ha una scotomizzazione, un punto cieco, considera raramente il terzo attore della situazione: il mondo delle monarchie del Golfo.
Lo fa perché a livello categoriale, sa inquadrare Israele ed ancor meglio gli Stati Uniti d’Ameria, ne ha anzi forti sentimenti contrari, ma non sa come inquadrare questo terzo soggetto e non lo conosce, non ne conosce potenza ed intenzioni.
Apparentemente, un esercito di giovani uomini plurilingue, sofisticati nello stile di vita, tutti intonacati, con o senza barba, che sprigionano dollari dalle maniche, allevati nei college ed università americane ed inglesi, ma da esse autonomi. Gli agenti di un piano delle nuove generazioni che si sono rese improvvisamente conto che le riserve cadono, il clima verso le fossili rimane ben intonato a business ma sempre peggio in considerazione e prospezione futura, mentre vivono in una scatola di sabbia. A parte chi ha il più grande giacimento di gas naturale al mondo che è il Qatar, i petroliferi hanno -in molti casi- margini sempre più stretti.
La reazione a questa presa di coscienza che inverte il flusso storico della zona, da sempre ascensionale, è stata un preciso piano condiviso di posizionamento geostrategico mondiale: un hub.
Hub sono ad esempio l’aeroporto di Francoforte, lì dove in una rete c’è un punto più denso degli altri in termini di scambi e passaggi. L’hub arabo golfista è al centro delle relazioni tra Asia, Africa ed Europa. Emirati e Arabia Saudita sono entrambe entrate nei NewBRICS (con l’Egitto), portati dentro a forza dall’India ma certo con beneplacito ed altrettanta simpatia ed interesse dalla Cina (e Russia) e si tenga conto che la monarchia emiratina e quella saudita sono parenti e vanno considerate strategicamente un attore coordinato unico. Aggregando il Pil delle monarchie del Golfo, si ha il Pil della Russia.
Sono molto liquidi in termini di potenzialità di investimento e vogliono comprare cose che li facciano crescere per darsi un futuro. Abbiamo visto i mondiali in Qatar, li vorrebbero rifare i sauditi. L’Arabia Saudita è in uno sforzo auto-poietico di auto-modernizzazione ed internazionalizzazione che a livello di turismo, business, cultura, fa paura. Per non parlare dello sviluppo high tech, digitale, farmaceutico, elettronico, solare, biomasse, eolico, culture idroponiche, agricoltura dalla sabbia. Gli emiratini hanno sonde nell’atmosfera di Marte. Hanno il quinto aeroporto più trafficato al mondo, Emirates è quarta per tratte internazionali, tolta Singapore Airlines, hanno il monopolio della business/Prima del traffico aereo mondiale, se non in quantità, in qualità. Roba da 15.000 US$ a poltrona.
Geostrategicamente, l’area si offre all’interconnessione tra Asia, Africa ed Europa, sta in mezzo come una piazza naturale. I giovani rampanti del Golfo non hanno alternative, o rilanciano alla grande o periscono scomparendo nella sabbia e dalla storia.
Emirati con sauditi sono in Yemen da anni ed i primi con più ferocia dei secondi che militarmente sono un po’ tonti, del resto sono tutti straricchi, non ne trovi tanti che si divertono a volare con sotto il culo missili houti che fischiano. Il loro coinvolgimento nel terrorismo salafita e wahhabita, di lungo corso, è decisamente sofisticato strategicamente e spazia dall’islam asiatico a quello africano, anche del Sahel. Poco noto forse qui da noi ma il 90% dei morti ed attentati jihadisti è musulmano, non occidentale. Lo jihadismo è uno strumento di egemonia del Grande Islam di cui gli arabi sono solo una stretta minoranza. Hanno egemonia in certe zone dell’Africa tramite religione, madrase, investimenti, armi. Fanno grande business con asiatici in e di tutte le forme. Qatar, Emirati ed AS hanno per grande parte popolazione asiatica, loro sono meno del 10% del loro stesso Paese (Qatar, Emirati). Investono in Europa e ci comprano a pezzi nei loro shopping favolosi.
Le monarchie del Golfo odiano Hamas. Hamas è Fratellanza musulmana, organizzazione laico-religiosa sunnita di intento salafita, antimonarchica per definizione, tipo BR vs DC. Come puri arabi, non amano neanche i palestinesi in generale. Le loro opinioni pubbliche invece, le loro ma anche quelle “arabe” più a cerchio largo verso le quali hanno egemonia informativa (al Jazeera, al Arabya), palpitano per i destini dei fratelli palestinesi, martiri per una tradizione che ha forte la figura simbolica del martirio. Se davvero hanno intenzione di incastonarsi Israele per fare il piano di sbarco sulle coste mediterranee come pare, il loro desiderio di cacciare i gazesi ed Hamas è almeno pari a quello israeliano. Se scendente ai dettagli, non si prepara una alleanza ebraico-araba, si programma un sistema con interdipendenze e cointeressenze strutturali, quelle che legano per interesse duro, da cui non è facile sciogliersi.
I miei sospettosi riferimenti alla strana presenza jihadista nell’azione Hamas del 7 ottobre, guarda a loro non certo ad Israele.
Arabia Saudita è secondo acquirente d’armi al mondo e Qatar terzo, Israele è decimo produttore-esportatore, a livelli molto high tech che ai ragazzoni arabi piace molto. Del resto, tutti quei jihadisti che sciamano su nuovi pick up Toyota in giro per il mondo, costano in armi parecchio.
Abbiamo detto che l’area va considerata un unico sistema con l’AS guardiana di Mecca e Medina come Sole centrale, Kuwait, Bahrein (monarchia parente di quella al Saud), sette Emirati come lune, Qatar pianeta staccato ed Oman ancora più eccentrico. Ma il sistema è binario perché si porta appresso l’Egitto. Certo, strano che l’irrilevante peso demografico arabo golfista riesca ad esercitare tale gravità sulla massa egiziana, eppure per varie ragioni è così. Tale aggregato ormai da tempo in via di fusione interna, punta a relazioni equilibrate e pacifiche con la Turchia, sebbene lì intervengano altre complesse ruggini storiche (che inquietano più Erdogan che gli arabi).
Soprattutto, tale costellazione, è per certi versi obbligata a trovare un equilibrio con l’Iran. Da parecchio tempo, AS ed Iran hanno ripreso a parlarsi, ma forse non solo a parlarsi. Impossibile portare avanti il progetto neo-ultramoderno golfista con attrito intorno. Per questo nelle ultime riunioni BRICS, se l’India li ha spinti dentro, la Cina ha imposto l’Iran. Così, forse più AS che Emirati, hanno fatto anche scendere la tensione in Yemen con gli Houti. Per altro, Russia, India, Cina, hanno tutte interesse positivo a questa pacificazione per quanto sarà a lungo sospettosa, arabi e persiani è una storia ben più complicata che arabi ed ebrei.
Segnalo che Qatar, ultrasunnita e sponsor primo di Hamas e della causa palestinese, è amico di fatto dell’Iran sciita, ad esso legato oltreché dalla geografia persica, dal condominio di possesso e sfruttamento dell’enorme giacimento gasifero del Persico, il più grande del mondo.
Di fatto, eccovi un POLO nella famosa nuova logica del mondo multipolare. Mi occupai di mondo multipolare editando un libro ormai sette anni fa, forse ne dovrei scrivere un altro visto che molti sembrano non capire questa nuova logica. Mi andasse… Comunque, più di ogni altro, questo nuovo polo punta all’indipendenza strategica anche tramite “bilanciamento”, poggiarsi un po’ qui (BRICS) ed un po’ là (USA-EU ma non NATO), amici di tutti, affari con tutti.
Saudi Vision 2030 è la bibbia strategica del progetto, conversione dal fossile ai servizi, conoscenza, turismo e soprattutto hi-hi-tech. Parchi tematici, ricca neo-archeologia, smart city, solare. Siamo i loro secondi fornitori europei ci amano. La nostra moda impera e spopola. A Doha siamo di casa, ma non meno ad Abu Dhabi e Dubai, milanesi a pacchi, ristoranti, speculazione immobiliare. Di fatto, gli Emirati sono un paradiso fiscale ufficialmente in black list, ma basta non guardarla ed i soldi viaggiano lo stesso. I soldi da lì ad Israele, andata e ritorno, viaggiano spediti da almeno tre anni.
Lo so, avete una vocina dentro che vi dice: “si vabbe’ ma popolo-élite”? “dov’è la lotta di classe”? socialismo? Democrazia liberale? Diritti civili? Dollaro? Ancora con la “religione”? E le donne? Ma son tutti ultracapitalisti patriarcali? (mah, pare che alcuni siano anche cripto-gay, coraggio). Sbagliate a sovraimporre categorie del nostro mondo e concezione del mondo ad altro mondo di sua propria concezione e per altro lunghissima e gloriosa storia: l’islam arabo inventato da Muhammad nel VII secolo d.C..
Muhammad fece di tribù mercantili periferiche un popolo con la parola di Dio, l’ultima da esso pronunciata dettando mentalmente al Profeta quello che poi diventerà il Corano. Gli ebrei sembravano non aver capito bene, i cristiani peggio mi sento con quel pasticcio del Cristo mezzo profeta (si) e mezzo divino (no), doveva dire le cose ultime una volta per tutte a scanso di interpretazioni, dal 1100 è vietato interpretare i Corano. Non un profeta che dice di aver parlato con Dio, il suo diretto megafono. Per questo il Corano non va tradotto ed è un libro divino, non sacro, è la parola di Dio espressa in arabo e non va tradotta, che traduci Dio? Da cui la nota suscettibilità quando glielo tocchi, non è come la Torah o la Bibbia. Gente che in pochi anni tracima dal deserto e costruisce un impero che va dal Marocco (Spagna, Balcani) all’Indonesia. A volte con la spada, a volte solo con la parola dei mercanti e come mercanti non sono affatto secondi agli ebrei con cui hanno addirittura in comune una genetica religiosa molto forte, nonché secoli di convivenza senza problemi. Se abbiamo ricevuto in eredità Aristotele ed anche buona parte di Platone è merito loro, non memo per neoplatonismo e tradizione ermetica-caldea. Così per l’algebra, i numeri, la cosmologia, molta medicina e molto altro, tra cui gli scambi di civiltà con l’Asia e la Cina antica (seta, carta polvere da sparo etc).
Quanto al successo della loro sola “parola” per le conversioni, tenete conto che dentro, il Corano ha due parti. Quella c.d. meccana è puro monoteismo teologico, ecumenico, salvifico, terapeutico. Sharia e guerre sante stanno nella parte medinese. La parola convertente è quella della prima parte, poi però una volta che ci sei cascato dentro, arriva il regolamento del club dei sottomessi a Dio.
Ora, quanto detto sul Patto di Abramo (Trump) e Via del Cotone (Biden), che a molti è suonato un po’ troppo ambizioso e poco credibile, va riletto alla luce di questi fatti. Quella strategia non è né americana, né cinese, né ebraica, è araba. Gli americani la sfruttano per dire ai cinesi “… e poi quando arrivate lì con la vostra Via della Seta, sappiate che la stazione terminale è anche amica nostra” e ce la danno a noi europei come partner commerciale, industriale, energetico per compensarci dei divieti coi russi e poi quelli intermittenti coi cinesi. Cinesi che potrebbero anche pragmaticamente prender atto che per arrivare all’Europa meridionale, dovranno passare la loro intermediazione (com’è sempre storicamente dato) e che più si allontanano dall’Asia, più debbono fare compromessi di convivenza.
Si diceva del concetto di strategia nell’intervista col Gabellini. Capisco che apprendere che c’è gente che fa quei piani suoni strano a molti di noi che non programmano neanche il week end. Viene da augurargli di andarsene in malora con tutta la loro presunzione prometeica. Tuttavia, sarà antipatico farlo notare, se il mondo è fatto da élite compatte ed organizzate che soverchiano singoli comuni mortali, è perché i primi conoscono e fanno piani sul mondo per cercare di manipolarlo a loro favore e noi no, noi siamo il mondo che manipolano.
Eccoci chiarito perché i gazesi debbono andarsene dalla Palestina e con loro Hamas. Perché non puoi fare cantieri e lavori con il disturbo di Hamas. Crollerebbero le azioni delle imprese coinvolte, i progetti non sarebbero co-finanziati da WB-IMF, tutto finirebbe come al solito da quelle parti nel solito bordello tribale di tutti contro tutti. Per questo Israele impedisce che UNRWA porti aiuti a gruppi di disgraziati che si sono rifugiati tra le macerie del nord di Gaza e sono innocui. Perché se ne debbono andare via, andare da alta parte, disperdersi.
Lo so è un mondo nuovo che spesso fatichiamo a conoscere, comprendere ed ancorpiù a giudicare. Ma è il mondo, quello reale e concreto, non quello che avete in testa. Urge che sostituiate quello che avete in testa con quello reale e ci facciate i conti perché una cosa quella gente sa fare bene: contare. Fino ad oggi i soldi, da oggi in poi come peso geopolitico e geostrategico del nostro nuovo Grande Mondo Complesso.
Perdonatemi la solita punta polemica. Potrebbe qualcuno evitare di venire a spiegarmi che le mie analisi sono da ultimo poco complesse? Non sono il guru della complessità, non esiste né può esistere un personaggio del genere, è contro la natura del concetto stesso. In più, tra me ed un guru passa la simpatia che c’è tra un interista ed uno juventino. Tuttavia, la studio a vari livelli da venti anni. Sempre pronto ad imparare, ma assicurateci di aver qualcosa da insegnare prima di imbracciare la matitina rossa e blu.
Con ciò, spero di aver finito il trittico descrittivo ed analitico sulla questione Israele-Palestina. Grazie per la vostra attenzione e anche per le interazioni avute in questi giorni. State dimostrando che i cervelli non sono tutti morti, c’è vita nella mente social e finché c’è vita, c’è speranza ed Ernst Bloch sorride dai cieli benevolo verso la nostra umanità ostinata.
Continuiamo a sperare in un mondo migliore ma, come dire, damose anche un po’ da fa’, la manna non cade dal Cielo, manco lì.

epa11235240 US President Joe Biden gestures to the media after stepping off Marine One on the South Lawn of the White House in Washington, DC, USA, 21 March 2024. US President Biden returns to the White House after participating in a campaign event in Texas. EPA/SHAWN THEW

INCASTRI. Perché Biden se ne è uscito con questa notizia? Egitto, Giordania ed addirittura Qatar pronti a “riconoscere” ufficialmente Israele ed i suoi diritti di esistenza? A pacchetto e proprio ora dopo il perdurante massacro?
Ricordo che la Giordania ha con Israele solo un Trattato di pace che vige dal 1994. La monarchia giordana, pur non essendo l’istituto monarchico conforme i dettami (per altro un po’ vaghi) del Corano sulla forma giuridica dello spazio islamico, è in realtà la più relativamente legittima. Essa infatti è detta Hascemita, discende dal nonno di Muhammad, il lignaggio è quello dei Banu Hascim, tribù dei Quraysh, la stessa di Muhammad.
Per quanto contestato storicamente il diritto parentale di successione per cariche di rappresentanza dell’islam giuridico-politico (per provare -invano- ad affermarlo ne nacque la diaspora di Ali, fine 600 d.C., da cui il braccio iracheno-iraniano sciita e pari fondazione del blocco sunnita -che seguono la Sunna, la seconda fonte della Legge islamica che determina la Shari’a-, la faccenda avrebbe un suo peso. Un riconoscimento giordano sarebbe altamente simbolico per tutto l’islam, non solo arabo. Il Qatar poi sarebbe definitivo e clamoroso.
Dubito fortemente ciò avverrà con la soluzione due stati, ma da questo punto in avanti toccherebbe seguire le contorsioni diplomatiche d’accompagno lo sviluppo, imprevedibili poiché soggette a mille soluzioni se dal sostanziale si passa al formale e quando poi dalle chiacchiere si passerà ai fatti duri.
Cosa stanno promettendo a Tel Aviv? Come ne escono dal problema di Rafah? Cosa sono disposti a fare gli arabi? Cosa mette Washington sul piatto? Stay tuned, la storia si potrebbe fare Storia sotto i nostri occhi. Un fallimento da qui a prossimo novembre potrebbe determinare le elezioni americane con effetti a cascata molto importanti. Un “successo” anche.
E’ per trattare da sempre maggiori posizioni di forza, è per forzare gli arabi ad includere lo spazio grande (Libano, Siria, Hezbollah) nel riassetto strategico, che -nel frattempo-Israele attacca Aleppo? Nel mentre si dice che Tel Aviv stia “riprogrammando” il sospeso viaggio della delegazione a Washington, sospesa dopo il voto ONU?
ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

La Francia salva l’Europa, di AURELIEN

La Francia salva l’Europa.

Ancora. In un certo senso.

27 MARZO

Mi fa piacere dire che, secondo Substack, siamo vicini ai 6000 “follower”, ovvero sia quelli che sono formalmente iscritti sia quelli che mi seguono tramite l’app Substack. Ho ricevuto email anche da persone che leggono regolarmente ma non si iscrivono, e ci sono anche abbonati alle versioni tradotte. È tutto molto incoraggiante e ringrazio moltissimo chi di voi mi consiglia: gran parte dei miei nuovi abbonati arriva così. E anche il numero dei lettori mostra un buon aumento: circa 10.000 per saggio, e un paio di settimane fa abbiamo raggiunto quasi 15.000 solo in inglese. Rimango estremamente grato e un po’ incredulo che così tante persone siano disposte a investire tempo in saggi lunghi e complessi su argomenti difficili, per poi produrre commenti lunghi e ponderati. Ma grazie comunque a tutti.

Ti ricordiamo che questi saggi saranno sempre gratuiti, ma puoi sostenere il mio lavoro mettendo mi piace e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequenti. Ho anche creato una pagina Comprami un caffè, che puoi trovare qui .☕️

E grazie ancora a chi continua a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui , e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni in italiano e ha creato un sito web dedicato qui.

Bene allora.

Ci troviamo ora nella fase degenerata della crisi ucraina, e soprattutto nella triste e patetica storia dei tentativi collettivi dell’Occidente di gestirla. I leader politici occidentali sono in modalità zombie, barcollando in vari stati di rovina, andando avanti goffamente perché non hanno la minima idea di cosa fare, completamente sopraffatti da eventi che non avevano previsto e che ora non riescono a comprendere. Le dichiarazioni dei leader nazionali e dei politici diventano sempre più bizzarre e surreali, e la maggior parte di esse non vale la pena analizzarle, perché sono quasi prive di contenuto reale. Sono davvero grida di rabbia e disperazione dal profondo della miseria. Solo il presidente Macron e alcune altre figure del governo francese hanno detto qualcosa di lontanamente coerente, anche se quasi nessuno nei media sembra avere la padronanza del background e del linguaggio per comprendere correttamente ciò che hanno detto.

L’argomento di questo saggio è uno con cui ho convissuto, e su cui in alcuni casi ho lavorato, dalla fine della Guerra Fredda. Quindi ho pensato che potesse essere utile offrire un punto di vista (si spera) ragionevolmente informato su tre punti. Spiegherò a che punto siamo politicamente e militarmente, e come i leader occidentali stiano effettivamente cercando una strategia di uscita. Inoltre, con un breve accenno alla storia, spiegherò da dove penso che provengano i francesi, e poi esporrò molto brevemente alcune riflessioni su dove tutto ciò potrebbe portare.

L’idea che questa crisi abbia le sue origini nell’ignoranza colpevole e nella stupidità delle leadership occidentali è ormai ampiamente accettata. Ma ciò che non ha avuto abbastanza pubblicità, credo, è che questa ignoranza era in realtà voluta e deliberata. Vale a dire, si presumeva semplicemente che alcune cose fossero vere, e in realtà non veniva fatto alcun tentativo per verificarne l’accuratezza, perché non si riteneva necessario. La convinzione di una Russia debole che poteva essere maltrattata, l’idea che anche se ai russi non piaceva ciò che stava accadendo in Ucraina non c’era molto che potessero fare al riguardo, e la convinzione che qualsiasi tentativo di intervento russo sarebbe crollato nel nulla. Il caos che dopo pochi giorni portò al cambio di governo a Mosca, non erano giudizi arrivati ​​dopo un’analisi adeguata, erano articoli di fede ideologica, per i quali non era necessario né cercato alcun supporto probatorio.

E nemmeno questa è la prima volta. L’orribile elenco dei disastri politici occidentali degli ultimi vent’anni, dall’Iraq alla crisi finanziaria del 2008 alla Libia, alla Siria, alla Brexit, al Covid, all’ascesa del cosiddetto “populismo”, si distingue meno che per malevolenza o stupidità (sebbene entrambi fossero presenti) che da un’arrogante convinzione nella giustezza delle opinioni della Casta Professionale e Manageriale (PMC) e dalle loro visioni ignoranti ma fortemente sostenute sul mondo, alle quali il mondo stesso aveva la responsabilità di aderire. Perché preoccuparsi di scoprire i fatti quando sei sicuro di conoscerli già?

Una cosa è che i governi accettino di essersi sbagliati su qualche questione di fatto, anche se non è facile: un’altra è accettare di essere stati illusi e che i loro cervelli fossero fuori a mangiare. Quando la vostra stima pubblica della Russia e i vostri commenti all’inizio della guerra non si basano su alcuna conoscenza effettiva o su stime professionali, ma solo su presupposti ideologici, allora perdete la capacità di rispondere e adattarvi quando le circostanze dimostrano la falsità delle idee. le tue supposizioni. È questa incapacità che sta causando un incipiente esaurimento nervoso tra i leader occidentali, che assomigliano sempre più ai pazienti di una casa di cura per malati di mente, con il loro comportamento antisociale e sociopatico. Ecco allora Gabriel Attal, il giovane primo ministro francese, che coglie l’occasione di un pranzo per la comunità armena a Parigi alla presenza di vari ambasciatori per lanciare un attacco verbale ingiustificato contro uno dei suoi ospiti: l’ambasciatore russo se n’è andato, ed io Sono solo sorpreso che non abbia schiaffeggiato Attal dicendogli di crescere. Questo è il tipo di comportamento che si associa ai bambini disturbati o agli adulti senili, non ai presunti leader nazionali.

È anche un comportamento che associ a persone che sono così legate a certe visioni del mondo, che non possono cambiare quelle opinioni senza sentirsi minacciate psichicamente. Suppongo che potrei essere accusato di parzialità, ma ho trascorso la mia esistenza professionale in due ambiti – governo e mondo accademico – dove in linea di principio, se non sapevi di cosa stai parlando, la gente non ti ascoltava. Ma ovviamente la capacità di affrontare i problemi è necessariamente sempre limitata, e la qualità sia del governo che del mondo accademico è diminuita drasticamente negli ultimi anni, quindi forse non sorprende che i governi occidentali si siano ritrovati completamente all’oscuro di ciò che stava accadendo all’inizio della crisi. , perché semplicemente non pensavano che valesse la pena dedicare risorse all’informazione. Bastava “sapere” che la Russia era una nazione debole e in declino, che Putin era un dittatore spietato, che l’esercito russo era incompetente, e così via. (Difficilmente si potrebbe chiedere un esempio migliore, tra l’altro, di come la “conoscenza” viene costruita dal potere: Foucault deve stare ridendo da qualche parte.)

In effetti non è stato molto difficile. Potresti leggere un libro, ok, un articolo, sulla strategia militare russa. Potresti leggere un articolo, anche un breve articolo, sulla politica russa dal 1990. Potresti leggere Clausewitz, ok, un articolo su Clausewitz, o per l’amor di Dio anche Wikipedia, e dopo questo saresti meglio informato della stragrande maggioranza dei politici ed esperti sul perché e sul come di ciò che sta accadendo. L’assoluta riluttanza di coloro che sono coinvolti in questa controversia – da tutte le parti – a informarsi semplicemente sui fondamenti della strategia, dell’organizzazione e degli schieramenti militari, su come funzionano realmente la NATO e le organizzazioni internazionali e su come vengono combattute le guerre, continua a stupirmi. Non è che sia difficile apprendere alcune nozioni di base, ma le persone sembrano preferire rimanere coccolate nei loro bozzoli ideologici, piuttosto che imparare qualcosa.

Quindi possiamo dare per scontato che la classe politica occidentale e i suoi esperti parassiti non ammetteranno mai di aver fondamentalmente frainteso quello che stava succedendo perché non potevano prendersi la briga di scoprirlo. È come se qualcosa di così basilare e umile come scoprire cosa sta succedendo fosse troppo difficile, e comunque al di sotto di loro. C’è tutta una controversia feroce e inutile che viene combattuta in uno spazio virtuale da persone completamente separate dalla realtà. In passato, questo non aveva molta importanza perché le conseguenze della nostra ignoranza non sono mai tornate a perseguitarci. Questa volta lo faranno.

Non sorprende, quindi, che gli esperti, e per quanto si può raccogliere anche molti politici, siano incapaci di vedere la fine della crisi se non in uno dei due modi improbabili. Il primo è effettivamente Business as Usual, vale a dire che l’Occidente “fa pressione” su Zelenskyj affinché “negozi” e “accetta” di “parlare” con i russi, presentando richieste occidentali che equivalgono a qualcosa di simile a una versione più piccola dell’Ucraina del 2022. Dopo tutto, “non dobbiamo lasciare che la Russia tragga profitto dall’aggressione” o “determiniamo il futuro dell’Ucraina”, non è vero? È difficile vedere quanto si possa diventare più distaccati dalla realtà, ma questa è la fantasia collettiva in cui vivono le persone, a causa dell’ignoranza volontaria di cui ho parlato. Dopotutto siamo “più forti” no? Presto l’Ucraina avrà un nuovo esercito, forte di mezzo milione di persone, e un Occidente che ha un PIL e una popolazione molto più grandi della Russia, sarà in grado di armarlo ed equipaggiarlo, quindi i negoziati si svolgeranno da una posizione di forza. Non è vero? Non credo che sia possibile discutere con persone che pensano queste cose, perché cambiare idea richiede l’acquisizione di una conoscenza, che è intrinsecamente esclusa. Così com’è, ora c’è una confusione totale tra ciò che vogliamo che sia vero e ciò che è effettivamente vero, nella mente delle élite occidentali. L’idea che la Russia possa effettivamente dettare l’esito di eventuali “negoziati” sull’Ucraina è così lontana dal loro quadro di riferimento che deve essere sbagliata, e scoprire i fatti basilari che spiegano perché ciò accade è troppo difficile, e comunque sotto di loro. Le società liberali, dopo tutto, funzionano secondo un ragionamento induttivo basato su postulati arbitrari.

La visione alternativa è che ora stiamo andando impotenti verso la Terza Guerra Mondiale, che inizierà con “l’escalation della NATO”, e passerà attraverso una guerra convenzionale a tutto campo, generalmente nella direzione di un olocausto nucleare. Al momento i paragoni con il 1914 sembrano essere ovunque.

Ciò trascura le realtà sottostanti. Per poter intensificare l’escalation, è necessario avere qualcosa con cui intensificare l’escalation e un posto dove farlo: la NATO non ha né l’uno né l’altro. L’idea che la NATO abbia enormi forze disponibili in attesa di essere impegnate è una fantasia, basata su vaghi ricordi della Guerra Fredda e sul fatto indubbio, ma irrilevante, che la popolazione della sola Europa occidentale è il doppio di quella della Russia. È come dire che domani la Cina batterà inevitabilmente l’Olanda nel calcio, perché la sua popolazione è molto più numerosa. Il fatto è che gli enormi eserciti di leva che sarebbero stati mobilitati durante la Guerra Fredda semplicemente non esistono più. Gli eserciti europei sono pallide ombre di ciò che erano in passato: con personale insufficiente, attrezzature insufficienti, fondi insufficienti e strutturati per il tipo di guerra di spedizione che è stata persa in Afghanistan, ma che si presumeva fosse la norma per il futuro. E non sono solo io a sottolineare quest’ultimo punto, è il generale Schill, il capo dell’esercito francese, e torneremo su di lui tra un minuto.

Le unità operative delle forze armate occidentali, deboli e indebolite come sono, non sono progettate per il tipo di guerra che si sta combattendo in Ucraina, e verrebbero rapidamente annientate, anche se per qualche miracolo logistico potessero essere organizzate e trasportate in Ucraina. il fronte di battaglia. Ma che dire degli Stati Uniti, chiedi? Non hanno ancora centomila soldati in Europa? Ebbene sì, ma la stragrande maggioranza di essi opera nelle unità aeree (che non svolgeranno un ruolo importante), nell’addestramento, nella logistica, nelle bande militari e in altre attività nelle retrovie. Ci sono “piani” per inviare unità dagli Stati Uniti in Polonia ad un certo punto, ma per il momento, tutto ciò che gli Stati Uniti potrebbero davvero contribuire sarebbero forze meccanizzate leggere, truppe aeromobili ed elicotteri: non così utile quando il tuo avversario ha divisioni corazzate. (La situazione è complicata da schieramenti temporanei, esercitazioni, rotazione di unità e “piani” annunciati, ma anche in circostanze ideali le forze che gli Stati Uniti potrebbero portare in battaglia non sono molto più che un fastidio per quanto riguarda i russi.)

Quindi l’“escalation” da parte dell’Occidente in questo senso non ha senso. Esiste un fenomeno chiamato “dominanza dell’escalation”, che è abbastanza semplice da spiegare, e funziona così. Tu hai un coltello, io ho un coltello più grande. Tu hai un grosso coltello, io ho una pistola. Tu hai una pistola, io ho un’arma automatica. Tu hai un’arma automatica, io ho un carro armato. In altre parole, una volta che un nemico riesce a eguagliare qualsiasi mossa che fai e ne fa una più forte, potresti anche arrenderti. I russi hanno un crescente dominio sull’Occidente, e chiunque si prenda la briga di ricercare il relativo potenziale militare delle due parti lo capirà immediatamente. Inoltre, l’Occidente non può nemmeno inviare unità in contatto con i russi senza enormi difficoltà e pesanti perdite, mentre i russi possono colpire la NATO più o meno come vogliono.

È per questo motivo, forse, che solo poche teste calde hanno seriamente immaginato un combattimento tra le forze NATO e la Russia. Le fantasie ora sembrano concentrarsi sul posizionamento di alcune forze NATO in alcune parti dell’Ucraina per fermare l’avanzata russa. Ma siamo di nuovo al dominio dell’escalation. L’idea sembra essere che se un plotone di soldati della NATO bloccasse la strada per Odessa, i russi si fermerebbero in quel punto perché avrebbero paura delle reazioni della NATO se li passassero sopra. E queste reazioni sarebbero… quali, esattamente? È abbastanza chiaro che i russi stanno cercando di evitare uno stato di guerra formale con l’Occidente, perché complicherebbe molto le cose. Ma è anche molto chiaro che prenderebbero di mira direttamente le truppe della NATO se lo sentissero necessario, e che non ci sarebbe molto che la NATO potrebbe fare al riguardo, se lo facessero. Sembra esserci la convinzione pericolosa – ancora una volta ignoranza volontaria – che i russi siano in linea di principio spaventati da una “escalation” della NATO, e questo potrebbe influenzare il loro comportamento. Ma non c’è motivo di pensare che sia effettivamente vero.

Quindi non ci sarà la Terza Guerra Mondiale, perché una parte ha poco o nulla con cui combattere. Né qui ci troviamo in una sorta di situazione del 1914 bis . L’immagine popolare della Prima Guerra Mondiale iniziata per caso dopo un oscuro assassinio in realtà non sopravvive alla lettura di un breve libro sull’argomento: ancora una volta ignoranza volontaria. Nel 1914 l’Europa era un enorme campo armato in cui tutte le maggiori potenze avevano ragioni per anticipare la guerra, obiettivi già formulati e piani già fatti. La Germania stava contemplando un attacco preventivo per paura di una rapida crescita della potenza militare francese e russa. La Francia era pronta ad entrare in guerra per recuperare i territori dell’Alsazia e della Lorena. L’Austria-Ungheria era determinata a dare alla Serbia una lezione militare. La Russia non era disposta a permettere che ciò accadesse. Le tendenze centrifughe minacciavano di fare a pezzi l’impero asburgico. Gli stati balcanici che avevano ottenuto l’indipendenza dagli ottomani ora si combattevano tra loro. Perfino la Gran Bretagna, pur sperando di restarne fuori, era pronta a farsi coinvolgere per impedire ai tedeschi di prendere il controllo dei porti sulla Manica. Inutile dire che oggi la situazione è completamente diversa: non c’è nulla di serio per cui l’Occidente e la Russia possano combattere adesso , e non c’è molto con cui combattere l’Occidente , in ogni caso.

In alcuni ambienti c’è una convinzione persistente che le guerre “accadono” o “scoppiano” indipendentemente dalla volontà umana. Questo non è vero. Sì, la Prima Guerra Mondiale “scoppiò” in un sonnolento agosto, quando i leader nazionali erano in vacanza, e in una certa misura, una volta avviati i massicci programmi di mobilitazione che coinvolgevano milioni di uomini, era difficile fermarli. Ma anche se si fosse potuto fermare la corsa alla guerra, i problemi di fondo non sarebbero scomparsi. La Germania si sentiva circondata da Francia e Russia. La prima stava aumentando le dimensioni del suo esercito, la seconda si stava rapidamente industrializzando. Ogni anno la situazione strategica tedesca peggiorava e i tedeschi non potevano combattere guerre totali contro entrambi gli avversari contemporaneamente. La Francia si sarebbe mobilitata più rapidamente e avrebbe dovuto essere affrontata per prima. Se si fosse potuta risolvere la crisi politica dell’estate 1914, questi problemi sarebbero rimasti gli stessi e, dal punto di vista tedesco, sarebbero peggiorati. Se non ora quando?

Chiaramente la situazione attuale è totalmente diversa. E non penso che stiamo per scivolare giù per un pendio verso la Terza Guerra Mondiale. Non posso provarlo, ovviamente, più di quanto non posso provarlo se esco dalla porta di casa nei prossimi minuti. Non mi farò investire da un idiota ubriaco su uno scooter elettrico che scandisce slogan calcistici. Ma alcune cose sono talmente improbabili da poter essere ignorate ai fini pratici, e questa è una di queste. E no, le armi nucleari tattiche non sono rilevanti qui. Ce ne sono solo una manciata in Europa, tutte bombe a gravità che richiedono che un aereo voli fisicamente sopra o molto vicino al bersaglio. I preparativi dell’Ucraina o della NATO per spostare e caricare armi nucleari sarebbero evidenti dalle immagini satellitari ed è dubbio che i russi aspetterebbero più del necessario. Gli aerei dovrebbero essere basati vicino alla linea del fronte e qualsiasi aereo sopravvissuto al decollo verrebbe rapidamente distrutto. Generali pazzi, forze nucleari in allerta immediata ed esplosioni nucleari accidentali sono tutti un bel divertimento hollywoodiano, ma in pratica i governi esercitano un controllo politico fanatico su tutto ciò che ha a che fare con le armi nucleari.

Quindi, se né il Business as Usual né la Terza Guerra Mondiale sono probabili esiti, quale sarà la fine di questa crisi? Ebbene, qui è istruttivo osservare una debacle simile del secolo scorso: i tedeschi riuscirono a invadere efficacemente tutta l’Europa occidentale in pochi mesi. Ciò fu avvertito in modo particolarmente crudele in Francia, e il sangue sui morti non si era ancora asciugato prima che iniziasse la guerra delle memorie. Uno dei principali partecipanti fu Paul Reynaud, una figura conosciuta oggi solo dagli specialisti, e forse intravista vagamente nelle biografie di De Gaulle, di cui era mecenate e sostenitore. Reynaud, in realtà un individuo piuttosto comprensivo e patriottico, fu Primo Ministro durante il periodo catastrofico in cui l’esercito francese sembrava pronto a cadere a pezzi e i suoi generali chiesero un armistizio per paura di una rivolta comunista. Reynaud (che dovette anche fare i conti con la sua amante Hélène de Portes, una fanatica germanofila che si autoinvitava alle riunioni del gabinetto e che si presume avesse più potere di lui sulle decisioni del governo) si dimise piuttosto che chiedere un armistizio, e fu in parte incarcerato della Guerra. Ma dopo la Liberazione, e come ogni buon politico, ottenne per primo la sua ritorsione sotto forma di memorie, con il titolo, beh, provocatorio, La Francia ha salvato l’Europa . Non vi disturberò con l’argomento, che è complicato e altamente sospetto, ma il libro è un eccellente esempio di un modo di affrontare una catastrofica sconfitta politica: non è stata colpa mia. Infatti, nelle prime pagine del libro, dopo aver stilato un elenco degli errori e degli errori che hanno portato alla sconfitta, Reynaud pone la domanda preferita del politico: chi è il responsabile?

Ora, anche se è giusto dire che Reynaud ha meno responsabilità di molti altri per la sconfitta (anche se il suo sostegno alle proposte di De Gaulle per un esercito molto più piccolo e professionale in un momento in cui erano necessari eserciti di coscritti di massa è almeno curioso). i “colpevoli” da lui identificati (era fedele a Mme de Portes fino alla fine), facevano tutti parte del gioco competitivo di gettare fango che caratterizza le conseguenze di ogni sconfitta. Altri hanno prodotto a loro volta le proprie memorie di auto-discussione, dopo le quali gli storici si sono uniti con entusiasmo alla gettata di fango, e lo fanno ancora. Quindi la prima fase del post-Ucraina sarà così: non è stata colpa mia. Avevo le risposte giuste. Se solo mi avessero ascoltato.

La differenza, però, è che il 1939-40 fu una serie di disastri che non potevano essere nascosti. I tedeschi avevano invaso l’Europa ed era impossibile far finta che non fosse così, o che il risultato fosse qualcosa di meno di un disastro. Ma esiste un altro tipo di crisi e di disastro, più equivoco, in cui è possibile sostenere, con faccia seria, che avrebbe potuto andare peggio. Questo è, ovviamente, un riflesso professionale di tutti i politici, spesso combinato con la denigrazione degli altri (“OK, ci sono stati problemi, ma altri governi hanno fatto molto peggio con l’inflazione/Covid/criminalità o altro.”). Un buon esempio è la crisi di Suez del 1956. Anthony Eden, l’allora Primo Ministro, sostenne fino alla fine della sua vita che l’operazione era stata un successo parziale: aveva impedito a Nasser, e all’Unione Sovietica alle sue spalle, di invadere l’intero Nord Africa in nome del suo potere. ideologia rivoluzionaria. Molti colleghi e contemporanei di Eden erano d’accordo con lui.

Naturalmente l’operazione di Suez non è stata lanciata solo con questo scopo in mente, ma è stata lanciata principalmente per riprendere possesso del Canale di Suez e, nel caso francese, per fermare il sostegno dato dal governo egiziano al FLN in Algeria. Ciononostante, l’argomento è un buon esempio di come salvare qualcosa dalle macerie, e penso che sarà ciò che vedremo anche per l’Ucraina.

Il successo e il fallimento, in guerra così come in politica, vanno principalmente a coloro che controllano la comprensione di cosa siano il successo e il fallimento. Fin dall’inizio della crisi ucraina, era chiaro che l’unico risultato accettabile per l’Occidente era la vittoria, il che significava che la vittoria doveva essere definita e ridefinita man mano che le circostanze cambiavano. Per la maggior parte, l’enfasi è stata posta meno sulla vittoria occidentale, che sulla sconfitta russa, quindi se si guarda indietro ai media, si vede una serie infinita di sconfitte russe, che portano alla situazione attuale in cui i russi sono sull’orlo della sconfitta. distruggendo completamente l’esercito ucraino. Il punto, ovviamente, è che, proprio come poteva andare peggio è una vittoria per noi, così poteva andare meglio è una sconfitta per loro. Quindi ci è stato detto che i russi volevano catturare Kiev – un’idea comunque ridicola – e non l’hanno fatto, quindi è stata una sconfitta. Poi ci è stato detto che si aspettavano di invadere l’Ucraina nel giro di poche settimane – cosa che evidentemente non avevano mai avuto intenzione – e il loro fallimento è stata una sconfitta. Poi ci è stato detto che il loro fallimento nel conquistare gran parte dell’Ucraina – ancora una volta, non avevano mai avuto intenzione di farlo – è stata un’altra sconfitta. E così via. E in ogni caso, la “sconfitta” russa è stata anche la “vittoria” occidentale, perché stavamo fornendo ai coraggiosi ucraini gli strumenti di cui avevano bisogno.

Il risultato è che possiamo, credo, ora vedere il profilo della difesa da parte della classe politica occidentale del suo comportamento e della sua cattiva gestione della guerra. Se dovessi scrivere un discorso per un leader occidentale da tenere nel 2025, probabilmente consisterebbe in quanto segue.

  • Dopo la fine della Guerra Fredda l’Occidente auspicava rapporti pacifici e costruttivi con la nuova Russia, e per qualche tempo ciò sembrava possibile.
  • Tuttavia, con l’arrivo di Putin al potere è diventato chiaro che il recupero dei vecchi territori sovietici e un’ulteriore espansione erano di nuovo all’ordine del giorno.
  • Ciononostante, l’Occidente ha continuato a cercare di mantenere una coesistenza pacifica, nonostante le dichiarazioni aggressive e minacciose di Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007, e il suo tentativo di minare la convenzione tradizionale secondo cui gli stati possono aderire e abbandonare le organizzazioni internazionali come desiderano.
  • Nel 2014 era diventato chiaro che la nostra fiducia e il nostro ottimismo erano stati malriposti. La presa della Crimea, seguita dal tentativo di conquistare parti del Donbass, ha cambiato completamente la situazione. Era ormai evidente che il piano per dominare e prendere il controllo di gran parte dell’Europa occidentale era in corso.
  • I leader di Francia e Germania riuscirono a stabilizzare brevemente la situazione attraverso gli accordi di Minsk che costrinsero temporaneamente l’espansione russa. Ma era evidente che si trattava solo di una tregua temporanea e che gli ucraini non avrebbero potuto resistere ad un’altra seria offensiva russa.
  • La NATO ha quindi avviato un programma accelerato per rafforzare le forze ucraine per scoraggiare o, se necessario, sconfiggere un’ulteriore aggressione russa.
  • Gli ultimata presentati ai governi occidentali alla fine del 2021 hanno chiarito che Mosca aveva deciso per una guerra totale. Nessun governo democratico avrebbe potuto accettare tali termini e nessun parlamento li avrebbe ratificati.
  • La guerra che l’Occidente ha cercato così duramente di evitare è iniziata nel febbraio 2022 e si è trasformata in un disastro militare per i russi, a causa dell’eroica resistenza delle forze ucraine e del sostegno generoso e instancabile fornito dalle democrazie di tutto il mondo. La Russia è riuscita a conquistare solo un quarto del paese a un prezzo terribile.
  • Tuttavia la Russia rimane un avversario pericoloso e imprevedibile e l’Occidente deve ora adottare misure per rafforzare le proprie difese per scoraggiare o proteggere da ulteriori aggressioni russe.

Ora, qualunque cosa tu o io possiamo pensare, stimerei che tra la metà e i due terzi dei decisori occidentali accetterebbero una simile interpretazione senza fare domande. Quasi tutti gli altri ne accetterebbero la maggioranza senza serie riserve. Ma il vero divertimento inizierà dopo la fine della crisi, con lo slogan If Only. Se solo avessimo fatto questo, o non avessimo fatto quello. Se solo avessimo fornito all’UA armi e addestramento migliori. Se solo avessimo dispiegato tempestivamente truppe della NATO in piccole quantità, se solo avessimo fornito questa o quell’arma, o dispiegato questi o quei sensori. Potrebbero anche esserci alcune anime coraggiose che sottolineano che se avessimo agito diversamente la crisi avrebbe potuto essere evitata, anche se senza dubbio verranno attaccate per la “pacificazione”. E i singoli leader politici e i paesi che rappresentano competeranno per aver avuto le migliori idee trascurate, per aver sostenuto con più forza le soluzioni che erano “efficaci” e per prendere le distanze il più possibile dal fallimento.

Questo è il contesto in cui comprendere le recenti osservazioni del presidente Macron. Ora Macron è in gran parte disinteressato, e di conseguenza largamente ignorante, negli affari militari. È il primo presidente francese della generazione che non ha prestato servizio militare. Ma ha alcuni consigli militari realistici, e se si legge tra le righe delle sue dichiarazioni, spesso confuse, è abbastanza chiaro che non sta sostenendo l’invio di truppe francesi in Ucraina in un ruolo di combattimento, e certamente non senza il sostegno di molti altri paesi. . Allo stesso modo il riferimento alla possibilità di riunire 20.000 uomini in una forza internazionale nell’articolo firmato dal generale Schill la settimana scorsa si collocava in un contesto in cui non venivano menzionate le parole “Ucraina” e “Russia”, e non si trattava certo di un supervisione. (Per quello che vale, la cifra di 20.000 ha fatto alzare le sopracciglia, e in ogni caso una forza del genere poteva essere mantenuta sul campo solo per pochi mesi.)

Ciò a cui stiamo assistendo sono i primi colpi sparati nella battaglia per prendere il controllo delle questioni di difesa e sicurezza europee dopo la fine dell’attuale crisi. Da un lato i francesi vogliono uscirne come difensori dell’Europa, con le idee giuste al momento giusto, esortando sempre le nazioni a fare la cosa giusta, facendo sacrifici ecc. ecc. Che si tratti di un plotone o di una compagnia di truppe sia schierato o meno a Odessa, in pratica ha poca importanza. Se lo saranno, allora avranno fermato l’avanzata russa grazie alla leadership francese. Se non stanno bene, questa è stata una buona idea della Francia che nessun altro paese ha avuto il coraggio di seguire. In entrambi i casi vincono. Poiché non vi è alcuna possibilità di schieramenti di combattimento, tutto ciò può essere fatto con un rischio politico minimo.

Ma perché i francesi fanno questo, e perché guida un presidente notoriamente ignorante in materia di affari militari? Ebbene, innanzitutto dobbiamo disimparare un po’ di voluta ignoranza. L’atteggiamento anglosassone nei confronti della Francia è sempre stato un miscuglio inquietante di invidia disperata e disprezzo arrogante, e poche persone possono effettivamente prendersi la briga di prendersi la briga di guardare il contesto storico e culturale. Quindi facciamo un salto veloce.

La Francia entrò nel dopoguerra con un solido consenso politico sulla necessità di ristabilire la “gloria” e il “rango” della Francia nel mondo. La guerra fu uno sfortunato incidente, che doveva essere risolto. Ciò doveva essere ottenuto in due modi: il primo mantenendo l’Impero, sostenuto da tutti i principali partiti politici, compresi i comunisti. L’altro era ricostruire militarmente la Francia, cosa che presto arrivò a includere lo sviluppo di armi nucleari, iniziato in segreto all’inizio degli anni ’50 e dato con maggiore urgenza da Suez. I francesi, spinti come sempre da freddi calcoli di interesse nazionale, hanno accolto con favore lo spiegamento di truppe americane in Europa, sia come barriera eliminabile (“perché far uccidere ragazzi francesi quando puoi far morire degli americani per te”, come hanno affermato più di un francese mi ha detto un ufficiale) e come garanzia che questa volta gli Stati Uniti sarebbero effettivamente venuti immediatamente in aiuto dell’Europa in caso di guerra, e anche per non provocare alla leggera una crisi con l’Unione Sovietica. Questo concetto della presenza statunitense – metà agnelli sacrificali e metà ostaggi – era particolarmente potente in Francia, ma in realtà la maggior parte dei paesi europei la pensava allo stesso modo. Tuttavia, per ragioni di “rango”, anche i francesi perseguirono per oltre un decennio l’idea di un “triumvirato” interno alla NATO, composto da loro stessi, dai britannici e dagli Stati Uniti, ma senza successo. La progressiva disillusione di De Gaulle nei confronti della struttura militare integrata della NATO fu in gran parte una continuazione dell’atteggiamento dei suoi predecessori, ma, libero dalla guerra d’Algeria e ora dotato di armi nucleari, fu in grado di ritagliarsi un ruolo nazionale molto più indipendente. Ma l’interesse nazionale ha dettato anche la cooperazione con gli Stati Uniti, che è sempre stata stretta anche se poco pubblicizzata, spesso burrascosa e astiosa, ma alla fine utile per entrambe le parti.

Ci sono decenni di cose interessanti da saltare, ma menzioniamo solo tre cose. Dal Ruanda nel 1995, e in particolare dopo il caos della Costa d’Avorio, i successivi governi francesi cercarono una via d’uscita onorevole dagli impegni militari unilaterali in Africa, per concentrarsi nuovamente sull’Europa e sulle operazioni della NATO. (Chiunque pensi che le crisi politico-militari tra la Francia e gli Stati dell’Africa occidentale siano in qualche modo nuove o diverse ha vissuto sotto una roccia negli ultimi trent’anni.) C’è stato un serio tentativo in tal senso sotto il presidente Sarkozy (2007-2012), ma è caduto vittima di ogni sorta di lobby, non ultimi gli stessi leader africani. Alla fine, alcune forze furono ritirate, ma non tutte. Il secondo era la progressiva crescita al potere della cosiddetta tendenza “neoconservatrice” nella politica e nel governo francese, che vedeva gli Stati Uniti come l’unica “iperpotenza” e non solo condivideva le opinioni dei neoconservatori di Washington, ma credeva anche La Francia dovrebbe essere un subordinato leale. Il terzo è stata la crescita parallela della lobby “europea” (leggi “UE”) nella politica e nel governo francese, e persino la ridenominazione del nuovo Ministero degli Affari Europei ed Esteri. I francesi avevano sempre favorito le politiche intergovernative (uno dei pochi ambiti in cui erano d’accordo con gli inglesi), ma si trovarono sempre più dominati dalla Commissione e da organi sovranazionali come la CEDU.

I francesi erano sempre stati favorevoli alla costruzione di una capacità di azione militare indipendente da parte dell’Europa, nella quale avrebbero svolto un ruolo importante. Questo era un argomento politico più che altro: un continente con un’Unione politica che non poteva controllare e schierare le proprie forze non era veramente sovrano. Ma i tentativi francesi di costruire tali forze – “separabili ma non separate”, come diceva la frase – furono effettivamente sabotati dagli inglesi per diversi decenni.

La mia impressione è che le cose potrebbero cambiare ancora una volta. Più della maggior parte delle nazioni europee, i francesi sembrano rinunciare agli Stati Uniti come partner. La capacità militare degli Stati Uniti si è rivelata debole laddove conta, ma al contrario il sistema politico di Washington – qualora sopravvivesse fino al 2025 – sembra pericolosamente instabile e capace di provocare crisi ingestibili. È chiaro che gli Stati Uniti non saranno mai più un attore importante nelle questioni militari europee. Con grandi spese e difficoltà, potrebbe essere possibile riesumare e riparare carri armati e veicoli blindati immagazzinati, trovare comandanti e sottufficiali e lentamente costruire e schierare forse un’unica divisione corazzata in Europa, nel corso dei prossimi cinque anni circa, se c’erano la volontà politica e il denaro e se i problemi pratici potevano essere risolti. Ma ciò non influirà molto sugli equilibri di potere. E può darsi che l’industria della difesa statunitense sia andata in declino al punto che non sarà mai più in grado di produrre armi efficaci. In tal caso, il ruolo della Francia come leader de facto nelle questioni di difesa e sicurezza europee sarà assicurato, anche come unica potenza nucleare nell’UE. L’esercito tedesco è uno scherzo e gli inglesi si stanno dirigendo da quella parte. I polacchi hanno ambizioni ma non sarebbero accettabili in un ruolo di leadership. E l’UE sta rapidamente diventando tossica come attore nel settore della sicurezza, dove comunque non ha alcun diritto di presenza.

Ciò, lo ripeto, ha poco a che fare con la guerra in Ucraina, ma molto di più con la forma dell’Europa successiva. Potrebbe darsi che, in un modo che nessuno avrebbe potuto immaginare trentacinque anni fa, ci stiamo finalmente muovendo nella direzione per cui i francesi hanno spinto per tutto quel tempo. E dobbiamo ringraziare i russi per questo. Quanto è divertente?

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure PayPal.Me/italiaeilmondo  Su PayPal, ma anche con il bonifico su PostePay, è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

1 5 6 7