il razzismo degli antirazzisti, di Giuseppe Germinario
Qui sotto la traduzione di un articolo della rivista statunitense di categoria delle forze di polizia particolarmente espressivo della situazione e dello stato d’animo delle forze dell’ordine. Una condizione non nuova, ma che sta trovando un momento di precipitazione nell’attuale situazione di conflitto politico e disordine sociale di quel paese. Questa volta anticipiamo la traduzione cui seguirà un lungo commento proprio per non scoraggiarne la lettura.
America, ce ne stiamo andando
Sembra ormai chiaro che il cambiamento degli equilibri geopolitici, gli squilibri della formazione socio-economica, l’insolita asprezza del conflitto politico stiano intaccando pesantemente l’assetto istituzionale ed inizino ad intaccare la fluidità di funzionamento degli apparati statali e pubblici sino a raggiungere le stesse forze dell’ordine statunitensi. L’ondata di proteste scatenata dall’uccisione di Floyd a Minneapolis rientra tra le spallate ormai sempre più frequenti in grado di accentuare l’instabilità di quell’edificio politico. Gli atti peggiori hanno però spesso bisogno di ammantarsi della più nobile delle motivazioni. https://twitter.com/RPD_PSI/status/1267202275895803904La denuncia di razzismo rientra a pieno titolo in questa casistica. Per cogliere al meglio il peso di tali valutazioni occorre porsi delle domande e fornire qualche dato.
Il comportamento delle polizie e delle forze dell’ordine possono essere tacciate oggi di discriminazione razziale? I dati diffusi confermano questa tesi e questa convinzione così diffusa in determinati ambienti sociali e politici?
Le forze dell’ordine americane hanno compiuto nel 2019 370 milioni di interventi con circa mille uccisioni di cittadini e la morte di diverse decine di poliziotti in un contesto di libera circolazione delle armi.
La percentuale di morti neri rispetto a quelli di origine europea è 2 volte e mezza maggiore. La percentuale di neri che hanno minacciato e aggredito con armi e automezzi le forze dell’ordine è di gran lunga maggiore rispetto a quella dei bianchi. I neri sono i maggiori responsabili della morte violenta di neri; uccidono molto più spesso i bianchi che viceversa. ( I dati sono tratti da https://www.washingtonpost.com/graphics/2019/national/police-shootings-2019/?fbclid=IwAR10teMtLb9P9kpFgMeDivzonaf6DBEXBvO3heztwArU43JqgD0TkdZd9JM e dalle statistiche della FBI).
I neri di recente immigrazione sono molto più integrati e riescono a migliorare la loro posizione sociale molto più dei neri delle comunità originarie americane. Si potrebbe continuare su questa falsariga. Questi, come altri dati, non ci dicono che il razzismo è scomparso da quella società. Ci dicono che non investe le istituzioni in quanto tali. Gli Stati Uniti attuali sono molto diversi da quelli di cinquanta anni fa. Ai propositi di “melting pot” si è sostituita la chiusura e la giustapposizione di comunità. Il degrado sociale e delle aspettative le attraversano sempre più trasversalmente. Il mercato elettorale, perché sempre più di mercato ormai si tratta, si è prontamente adeguato alla situazione. Più che preoccuparsi di creare un linguaggio comune fatto di significati condivisi e doveri e diritti comuni, le famiglie politiche conseguono il successo elettorale assecondando le rivendicazioni più disparate e i diritti e processi identitari più particolaristici. L’assetto democratico di quel paese sta rivelando limiti analoghi all’applicazione dei sistemi democratici nelle società di tipo tribale. I paradossi in effetti non mancano. Dal razzismo si sta passando ai razzismi. Una sorta di nemesi delle intenzioni dei progressisti. I disordini e le contestazioni hanno mostrato la loro maggiore virulenza proprio in quelle città, per lo più democratiche, dove più il ceto politico prevalente ha assecondato queste tendenze. Ha compreso e appoggiato i manifestanti e contemporaneamente è finito sotto accusa perché responsabile da decenni della organizzazione delle polizie locali così duramente contestate. Alla fine piuttosto che dimettere i responsabili, tra le forze dell’ordine, degli atti di arbitrio specifici e reprimere i pesanti atti di vandalismo e linciaggio, piuttosto che compromettere assetti di potere ultradecennali ha preferito assecondare gli istinti e sottomettersi al pubblico ludibrio https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/07/george-floyd-il-sindaco-di-minneapolis-si-unisce-ai-manifestanti-ma-viene-contestato-vergogna-torna-a-casa-ed-e-costretto-ad-andarsene/5827143/ e delegittimare le istituzioni in quanto tali con pubblici atti di prostrazione e contrizione.
Atti che hanno trovato emuli patetici ed interessati anche qui a casa nostra
E’ la goccia che sta facendo traboccare il vaso. Lo scoramento e la disaffezione tra le forze dell’ordine sono al livello di guardia; l’abbandono delle fila assume dimensioni preoccupanti; corrispondentemente le forze anarcoidi e le bande si stanno ringalluzzendo.
La conseguenza sarà che per rimpolpare le fila dovranno abbassare gli standard qualitativi per le assunzioni di poliziotti avvicinandoli pericolosamente ai livelli sudamericani per non parlare delle tentazioni di autogoverno e di iniziative autonome. Se queste sono le tendenze di medio periodo, un discorso a parte merita una contingenza politica perfettamente inserita in queste dinamiche. Trump è sempre più il nemico delegittimato da abbattere. Alle soglie di una inchiesta che rischia di ribaltare le accuse del Russiagate e dell’Ucrainagate, di compromettere ex capi della FBI, di Stato ed aspiranti candidati alle presidenziali, di smascherare alla luce del sole le connivenze vergognose di uomini politici e funzionari degli apparati di sicurezza europei, le manifestazioni ed i disordini si stanno rivelando un provvidenziale diversivo teso a prendere tempo e distogliere l’attenzione. I sempre più frequenti appostamenti, aggressioni, agguati e uccisioni ai danni di singoli poliziotti, bianchi e neri e delle loro famiglie creano un clima di ingovernabilità che potrebbe legittimare la richiesta di decadenza prematura dell’attuale Presidente, ormai sempre più accerchiato da avversari e finti amici, da apparenti difensori che non fanno altro che perdere tempo prezioso nel concludere le indagini sulle manipolazioni delle inchieste. Una situazione che potrà portare alla vittoria non risolutiva di una fazione, non di una classe dirigente legittimata da tutto il paese. Una eventuale vittoria su Trump, per altro per nulla scontata, si rivelerebbe allora ancora più amara, più disastrosa e distruttiva di una sua riconferma sia per il paese che per lo stesso ceto politico a lui ostile; proprio per l’ostilità organizzata e al momento silenziosa che cinque anni di delegittimazione pretestuosa hanno fatto crescere nello zoccolo duro del suo elettorato ormai in possesso di qualche aggancio negli apparati. George Soros tre anni fa era stato profetico. Ma era solo preveggenza?