I discorsi del presidente Mattarella in occasione del 4 Novembre e non pochi altri interventi di esponenti della casta politico-culturale che ancora grava su questo sfortunato Paese hanno avuto la splendida peculiarità di illustrare con estremo vigore quanto grande si sia fatto il distacco tra “Paese legale” e “Paese reale”.
Da una parte, il “Paese legale”, con i suoi stanchi e sempre più vuoti riti, il suo cattocomunismo d’accatto, le sue cerimonie da sacrestia, i suoi sepolcri imbiancati, le sue mummie, le vittime delle guerre e le vittime di certe contiguità (à la Emanuela Orlandi…), il suo universo di (dis)valori in cui ormai si riconoscono in sempre meno, anche se quei sempre meno hanno occupato militarmente la società civile, mentre quelli che in teoria avrebbero dovuto loro opporsi gli facevano semplicemente il verso, presi in questioni di veline e olgettine, e di affari più o meno leciti.
Dall’altra, il “Paese reale”, quello delle nostre famiglie, dei vostri nonni e di mio nonno, preso prigioniero durante la Strafexpedition del 1916 ma sufficientemente onesto, dopo due anni di prigionia in un Paese nemico come l’Ungheria, da riconoscere che la popolazione ungherese, pur ridotta alla fame dal blocco navale praticato dagli Stati dell’Intesa contro gli Imperi Centrali, era umana al punto da risultare capace di dividere il pochissimo che aveva con i prigionieri italiani.
Quel “Paese legale” ormai esiste SOLO per coloro che ne fanno parte e le sue stracche giaculatorie sembrano figlie di un’altra epoca a molti di coloro che sono costretti ad ascoltarle, con crescente, insostenibile disgusto. Ai più acculturati sotto il profilo filmico, sembra di stare dentro “La notte dei morti viventi”. Ai più acculturati sotto il profilo politico-culturale, non posso dire che cosa sembra, perché non intendo beccarmi una querela.
E i milioni di cittadini del “Paese reale”, quando sentono le note de “La canzone del Piave“, si emozionano, si commuovono, gioiscono, perché sanno che quella guerra terribile fu il completamento della nostra unificazione nazionale. I “sepolcri imbiancati”, per contro, non riescono ad emozionarsi di niente e per niente, ma non è che di morti, guerre e uccisioni non se ne intendano, come cercano di farci credere.
La cappa metapolitica che grava sull’Italia, tuttavia, è ai suoi colpi di coda, anche se molti devono ancora comprendere che, se non si crea una narrazione alternativa a quella dominante, i progressi verso questo inevitabile cambiamento saranno più lenti di quanto si possa auspicare. Ma i tempi stanno cambiando, e i NEMICI DELLA VITA non riusciranno a fermare questo processo, anche se faranno ogni sforzo per ritardarlo.
Piero Visani