Italia e il mondo

MACBETH D’ARABIA, di Antonio de Martini (con aggiornamento)

L’arguzia di Antonio de Martini, di chiaro stampo partenopeo, è pari alla sua competenza. Non occorrono commenti_Giuseppe Germinario

MACBETH D’ARABIA (tratto da https://www.facebook.com/antonio.demartini.589/posts/1277556099056845 )

È successo l’impensabile.
L’Arabia saudita , da sempre teocrazia autocratica, vede realizzarsi un giro di vite nel senso del rafforzamento del potere personale del principe ereditario Mohammed Ben Salman.

Quattro ministri in carica, dieci ex ministri e, sembra, anche il miliardario principe Waleed ben Talal, ( oltre a 11 principi minori) sono stati arrestati ” per corruzione” e per aver ” approfittato dl loro incarico per lucrare”.

In più, il comandante della guardia nazionale ” è stato avvicendato”.

Lettura: il trentaduenne principe ereditario ( Mohammed ben Salman) aveva già dato segni di smodata ambizione e scarso discernimento politico.

Nominato dal re suo padre, ministro della Difesa, aveva d’iniziativa mosso guerra allo Yemen rimanendoci malamente impelagato.

Aveva ottenuto la nomina “a principe ereditario del principe ereditario” in carica ( il cugino Mohammed ben Nayaf) con scelta inedita.

Approfittando dell’Alzheimer del padre – re Salman- si è accaparrato maggiori attribuzioni fino a che ha ottenuto dall’affetto e dalla malattia paterna, di sostituire il cugino nel ruolo di principe ereditario ( che in Arabia Saudita svolge il ruolo di Primo ministro, dato che il re viene eletto dal consiglio di famiglia).

Affetto dal complesso di Macbeth, ha messo il cugino – da due generazioni ministro dell’interno- agli arresti domiciliari e adesso ha arrestato i suoi amici principali.
Il” comandante della guardia nazionale” avvicendato è, guarda caso, il fratello dell’ex ministro dell’interno e concorrente-cugino.

Credo che il padre – ultra ottuagenario, plurioperato e affetto da anni di demenza senile- ormai stia morendo e poiché il crownprince NON diventa automaticamente re, il giovanotto – forte dell’approvazione dell’americano di turno che ha incassato cospicui ordini di materiale bellico grazie allo Yemen – stia apprestandosi a fare campagna elettorale in famiglia a modo suo.

Ha tagliato i rifornimenti a amici e parenti stretti del candidato-cugino e spera di intimidire gli altri parenti con la sua recente autonomina ( fatta da papà ) a presidente di un fantomatico “comitato anticorruzione” , quando la corruzione è la principale se non unica attività del paese.

Il Giovin signore ritiene di avere le carte democratiche in regola con l’Occidente per aver dato la patente alle donne e concesso una intervista a un supplemento femminile di un noto quotidiano.

Questa spaccatura in seno alla famiglia regnante saudita forte di 5.000 membri di casa reale e 11.000 principi, fragilizza ulteriormente l’Arabia Saudita in un momento drammatico.

L’Arabia Saudita si trova – col prezzo del petrolio dimezzato- con una guerra persa con la Siria, e una in via di sconfitta in Yemen, una alleanza antiterrorismo da operetta fatta con gli emirati e una serie di paesetti africani tra cui spicca per dimensioni il Burundi.

Il “blocco antiterrorismo” , che ha spaccato il Consiglio del Golfo ( equivalente emirati della UE) contro il Katar dal quale è stata sputtanata malamente in TV negli USA in una intervista in cui ha confessato la concertata cospirazione contro la Siria e il congiunto finanziamento al Daesch.
Con la spaccatura del Consiglio del Golfo, il giovanotto ha anche perso il ruolo egemone nella Lega Araba.

Per soprammercato, si trova con la crescente penetrazione iraniana in Irak e le dimissioni del primo ministro sunnita il Libano che ha confessato di temere per la sua vita.

Mohammed ben Salman minaccia la sopravvivenza della dinastia e questi sono fatti suoi, ma diventano fatti di tutti se si mette in pericolo l’approvvigionamento di petrolio al l’occidente e adesso si capisce meglio a che servivano le tonnellate di “droga del combattente” destinate alla Libia.

Con una guerra che incrudelisce in Libia, il principino sarebbe certo di non essere abbandonato al suo destino.

Ma gli USA, questa volta, hanno preferito soffiare la notizia alle autorità italiane e bloccare la merce perché forse cominciano a capire che i matti in famiglia sono due.

NOTA AGGIUNTIVA

ECCO LA LISTA DEGLI ARRESTATI IN ARABIA SAUDITA SECONDO L’AGENZIA REUTER. LA RIVOLUZIONE CALA DALL’ALTO.

A riprova che gli americani sapevano del repulisti, la REUTER ha pubblicato la lista degli arrestati.

Da questa lista si evince che il capo della guardia nazionale ( mi correggo, non è il fratello Ben Nayaf, ma cugino.) non è stato solo defenestrato, ma arrestato, assieme al fratello, entrambi figli dell’ex re Abdallah.(!) tra gli arrestati, anche il governatore della Capitale Riad e il finanziere Mohammed Al Amoudi che ha il monopolio di tutti gli uffici cambio del regno e una trentina di grandi società in Etiopia ( oltre ad interessi in Marocco ed Egitto) che spaziano dalle costruzioni al Turismo, alle miniere e alla finanza.

Ecco la lista:

Principe Al-Walid ben Talal, PDG di Kingdom Holding
– Principe Miteb bin Abdullah, ministro della guardia nazionale
– Principe Turki ben Abdullah, governatore della provincia di Riyad
– Khalid al-Tuwaijri, ex capo del cerimoniale di corte
– Adel Fakeih, ministro dell’economia.
– Ibrahim al-Assaf, ex ministro delle Finanze
– Abdullah al-Sultan, Comandante della Marina del regno.
– Bakr bin Laden, capo della Holding Ben Laden
– Mohammed al-Tobaishi, ex capo del protocollo.
– Amr al-Dabbagh, ex governatore della Saudi Arabian General Investment Authority
– Alwaleed al-Ibrahim, proprietario della catena Tv MBC
– Khalid al-Mulheim, ex direttore generale della Saudi Arabian Airways
– Saoud al-Daweesh, ex capo di Saudi Telecom
– Prince Turki ben Nasser ex capo della meteo e ambiente
– Prince Fahad ben Abdullah ex deputato ( fratello capo guardia nazionale)
– Saleh Kamel, businessman
– Mohammed al Amoudi, businessman

A giudicare dai nomi , anche fin troppo altisonanti, dell’elenco questi arresti avranno ripercussioni all’estero – ad esempio in Etiopia, in Tunisia e in Francia – e all’interno.

Mohammed ben Salman mira infatti anche a rendere la sua leadership credibile agli occhi del popolino che ormai non crede più alle parole e vuole i fatti concreti finora mai concessi. Non ha messo la polvere sotto il tappeto, ha fatto le pulizie pasquali e si è impadronito del potere politico e contemporaneamente di quello del business.

Dopo la ” DAVOS DEL DESERTO” dei giorni scorsi in cui MOHAMMED BEN SALMAN aveva presentato la sua “Vision 2030” a 2000 possibili investitori accorsi da ogni parte del mondo, il giovane, audace quasi monarca, ha capito che doveva presentare veri fatti concreti a pena di vedersi rinfacciare il libro dei sogni.

Ha colpito duro e tagliato le gambe ai figli del re predecessore oltre che al cugino-concorrente attuale e con l’occasione inferto un colpo ai Ben Laden sempre in odore di vendetta del sangue e a Al Waleed e Al Amoudi che rappresentano una enorme fortuna economica.

Adesso manca solo che perfezioni il colpo destituendo, forse con le buone, il padre.

L’ostacolo residuo è costituito dalla componente religiosa wahabita che fino a ieri era il suo bastione principale. Evidentemente pensa di convincerli a autoriformarsi o convincere gli americano che si sono autoriformati…da soli.

Finora MBS ( d’ora in poi lo chiameremo così) si è contraddistinto per l’audacia con cui ha fatto le pentole e per la sistematica mancanza dei coperchi, specie in politica estera. Ora vedremo se ha imparato a fare il lattoniere a regola d’arte.

Mueller: Il Cacciatore Fasullo, 16° podcast di Gianfranco Campa

La battaglia politica negli Stati Uniti sta assumendo sempre più l’aspetto di una faida grazie alla quale la criminalizzazione dell’avversario prende il sopravvento sul confronto tra le diverse opzioni politiche che in realtà continuano a sussistere; un confronto, quindi, che rischierebbe di affossare il sodalizio dell’attuale establishment neocon-democratico se condotto secondo i canoni classici della competizione politica. Da qui l’uso apertamente strumentale delle istituzioni più delicate, quali la magistratura. Una situazione ben conosciuta nel nostro paese ormai dagli anni ’90. Una conduzione dello scontro che spinge sempre più alla eliminazione dell’avversario, piuttosto che alla sua subordinazione in un crescendo che ci riserverà parecchie sorprese. Il rischio è quello di trascinare nel discredito le istituzioni chiave del paese minando ulteriormente la coesione e la capacità di controllo di quella formazione sociale. Se la guerra civile a metà ‘800 vedeva due fronti nettamente contrapposti in un quadro di acquisizione di potenza e di capacità di predominio, il conflitto attuale sta degenerando in forme frammentarie e polverizzate sempre più difficili da ricondurre ad una logica unitaria_ Giuseppe Germinario

 

 

Steve Bannon in Italia

Steve Bannon, assieme a Roger Stone, è il principale protagonista del ristretto manipolo di persone che, negli ultimi cinque anni, ha fiutato la crescente fragilità dell’imponente establishment americano dominante e portato alla vittoria presidenziale Donald Trump. Il secondo è la figura pragmatica e disincantata, apparentemente leggera, in grado di muoversi nei meandri e di cogliere a tempo le dinamiche dei centri di potere. Ha iniziato la carriera giovanissimo come assistente di Richard Nixon, guarda caso in una fase analoga di scontro acuto, anche se meno cruento, tra strategie e centri di potere ferocemente contrapposti. Bannon è invece lo stratega, capace di intercettare e orientare i movimenti di opinione e di dare respiro alle tattiche e alla contingenza politica; per questo inafferrabile, almeno sino ad ora e in grado di trasformare la propria condizione di preda in quella di predatore. Il momentaneo sospiro di sollievo dei restauratori, determinato dalla sua uscita dallo staff presidenziale, si è trasformato in inquietudine angosciosa allorquando ha ricominciato a minare, con i suoi successi alle primarie delle prossime elezioni di medio termine, le basi politiche dei neoconservatori e di quei trasformisti che non tarderanno a riaffiorare sotto nuove spoglie. La stampa e il giornalismo nazionali, con alcune rare eccezioni, si sono accontentati pigramente e beatamente di ciò che passava il convento d’oltreatlantico; ce lo hanno presentato come rozzo, razzista, approssimativo, isolazionista, retrogrado. La breve intervista, tenuta in Italia ai primi di ottobre e tradotta in italiano, farà crollare parecchi di questi stereotipi e con esso assesterà un altro colpo alla credibilità del sistema di informazione. Per approfondire sarà sufficiente rovistare nella sua testata, Breibart. Dal canto suo, Bannon appare, assieme a Stone, uno dei pochi politici americani consapevoli delle implicazioni dell’affermazione di un mondo multipolare, se non multicentrico. Uno dei pochi che vorrebbe tentare una impresa ardua, improbabile: un arretramento “ordinato” del proprio paese, in grado di preservarlo da quelle catastrofi che in altre epoche storiche più o meno recenti hanno travolto gli imperi in crisi. Non a caso la caduta dell’Impero Romano è sempre stato oggetto di attento studio negli Stati Uniti. Non è importante, al momento, comprendere se si tratta di una posizione tattica, in attesa che eventuali situazioni di conflitto aperto sempre latenti tra i paesi emergenti, ricollochi gli Stati Uniti in una condizione simile a quella della seconda guerra mondiale; oppure di una visione strategica, sino ad ora minoritaria ma storicamente pur sempre presente nel dibattito politico statunitense anche se in forme diverse, in particolare nei movimenti civici locali. Le intenzioni dei soggetti politici spesso e volentieri sono travolte e stravolte dalle dinamiche conflittuali. L’aspetto rilevante è che il prevalere o il consolidarsi di tali posizioni, non fosse che temporaneo, offre nuovi spazi ed opportunità a quelle élites nazionali che avessero intenzione di riprendere in mano il destino del proprio paese. Un proposito lungi dall’essere coltivato dalle nostre classi dirigenti, beatamente assopite. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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