Italia e il mondo

Torna al Non-Tavolo, di Aurelien

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Per altri non-negoziati.

Aurelien21 maggio
 
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Come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo sta pubblicando le traduzioni in spagnolo sul suo sito qui,. Anche Marco Zeloni sta pubblicando traduzioni in italiano su un sito qui. Yannick ha completato un’altra traduzione in francese, che spero di pubblicare tra una settimana o giù di lì, quando sarò tornato dai miei attuali viaggi. Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a condizione che si dia credito all’originale e che me lo si faccia sapere. Allora:

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Questa settimana si parla di negoziati per “porre fine” alla guerra in Ucraina. Tutti sembrano dare per scontato che siano in arrivo “negoziati” non meglio specificati e che entrambe le parti stiano facendo tutto il possibile per “migliorare la propria posizione” prima dell’inizio dei negoziati. Questo approccio dà implicitamente ai “negoziati” un’agenzia propria, come se potessero decidere quando inizieranno e di cosa si occuperanno. Uno dei canali Youtube che seguo parla da tempo, senza fiatare, della necessità che i russi “prendano il territorio” prima che “inizino i negoziati”, ma nonostante i numerosi falsi allarmi e i discorsi eccitati, nessun negoziato effettivo sulla fine della guerra ha effettivamente avuto luogo, né sembra imminente. Il recente circo di Istanbul non è altro che l’ultimo budino troppo abbondante presentato a un mondo che è poi rimasto deluso dai magri risultati ottenuti, anche se il motivo per cui qualcuno si aspettava di più è un enigma che questo saggio cerca di chiarire.

Ho già dedicato due saggi sostanziosi alla questione dei negoziati, includendo cosa sono e quali sono i loro scopi, nonché i loro limiti, e più recentemente un saggio che cerca di spiegare come l’Occidente sia completamente confuso sull’idea stessa di “colloqui”. Ho anche scritto su alcuni precedenti storici di come potrebbe finire la guerra in Ucraina in termini di documenti scritti. I nuovi lettori potrebbero dare un’occhiata a questi saggi, perché c’è molto da dire questa settimana, e per ragioni di spazio posso solo riassumere brevemente ciò che era contenuto in quei saggi qui.

In breve, comunque, i negoziati avvengono tra Stati (o Stati e altri attori) per risolvere qualcosa che deve essere risolto, e in modo organizzato. Alcuni sono del tutto non conflittuali, persino di routine, altri servono a risolvere le differenze, più o meno amichevolmente, altri ancora sono difficili e conflittuali. I negoziati possono svolgersi a molti livelli e praticamente su qualsiasi argomento che interessi più di un governo. Ad un estremo, possono produrre elaborati trattati formali, formulati in un tipo di linguaggio speciale e che impongono obblighi legali, richiedendo agli Stati di approvare nuove leggi per attuarli. Possono anche essere accordi politicamente vincolanti tra dipartimenti di governi diversi. All’estremo opposto, possono essere solo dichiarazioni concordate. E tutto ciò che sta in mezzo. L’errore commesso dagli opinionisti occidentali è quello di ritenere che tutti i negoziati siano uguali e che tutti i documenti prodotti abbiano lo stesso status, mentre in pratica il numero di possibili variazioni è estremamente elevato.

Il Presidente Trump sembra aver deciso che la politica di confronto con la Russia è un gioco da ragazzi e che è giunto il momento di riportare le relazioni su basi più normali. Quando si parla di Ucraina, non si tratta di “negoziati”. Al massimo produrranno una dichiarazione congiunta di qualche tipo, ma il loro vero valore sta nell’avvicinare le opinioni dei due Paesi sull’Ucraina, come su altre questioni, e nel decidere insieme come gestire la situazione. Durante i “colloqui” si potrebbe quindi concordare che i russi faranno questo o quello, e gli Stati Uniti ricambieranno. Ma nulla di tutto ciò sarà legalmente vincolante e potrebbe non esserci nemmeno un documento scritto dei “colloqui”. Questo è del tutto normale e accade di continuo. In qualche modo, gli opinionisti occidentali si sono entusiasmati e hanno ipotizzato (e sembrano ancora farlo) che russi e americani stessero lavorando alacremente a un qualche tipo di trattato che sarebbe stato poi consegnato all’Ucraina per la firma.

La storia stessa della crisi ucraina offre numerosi esempi di diversi tipi di accordo tra le parti. I cosiddetti “Accordi di Minsk”, che avevano lo scopo di porre fine agli scontri post-Maidan e di cui ho discusso ampiamente in uno dei miei precedenti saggi linkati sopra, sono un esempio di una registrazione essenzialmente informale di decisioni. Non sono scritti nel linguaggio dei trattati, e quindi non sono giuridicamente vincolanti, e contengono vari impegni (come l’approvazione di determinate leggi da parte del Parlamento ucraino) che comunque non vengono mai inseriti nei trattati. Sono stati firmati dagli ucraini e dalle due regioni secessioniste e controfirmati dai russi, che ne attestano essenzialmente l’accuratezza. In pratica, si trattava solo di un verbale di una riunione, ma era sufficiente per ottenere la sospensione dei combattimenti e il ritiro di alcuni tipi di attrezzature. All’estremo opposto, ci sono le due bozze di trattato presentate dai russi nel dicembre 2021, prima dell’inizio della guerra. Questi sono nel linguaggio dei trattati, sarebbero giuridicamente vincolanti e dovrebbero essere ratificati dai parlamenti interessati.

Sarà quindi chiaro che parlare di “negoziati” in astratto è sostanzialmente privo di significato. In particolare, l’idea che i “negoziati” inizino all’improvviso, come se fossero spontanei, senza discussioni preliminari e senza alcuna idea di ciò che produrranno, è ridicola. Gran parte del resto del saggio sarà dedicato a cercare di spiegare perché sembrano pensarla così. È interessante notare che il comportamento di Trump, in Ucraina come altrove, potrebbe in realtà essere foriero di un ritorno a un approccio più tradizionale e più utile.

Per cominciare, la natura normale delle guerre tra Stati è stata la contesa per la conquista o il mantenimento del territorio, e i frammenti di storia che i leader europei possono ricordare riguardano per lo più conflitti di questo tipo. Naturalmente le guerre hanno riguardato anche altre cose – la guerra civile spagnola ne è un esempio – ma possono essere quasi tutte solipsisticamente rappresentate da frecce su una mappa, e il controllo di diverse parti di un Paese rappresentato da colori diversi. Almeno questo è facile da capire. Quindi, l’Occidente parte dal presupposto che l’invasione dell’Ucraina sia stata lanciata da “Putin” per ristabilire l’Unione Sovietica o la Grande Russia, che questa invasione non abbia avuto il successo sperato grazie all’eroismo ucraino e al sostegno occidentale, e che di conseguenza “Putin” sarà presto costretto a sedersi e a negoziare quali parti dell’Ucraina saranno cedute a “lui” su base temporanea, mentre l’Ucraina viene riarmata.

Sebbene questa interpretazione degli eventi sia estremamente imprecisa e non tenga conto delle reali dichiarazioni della Russia, né del suo comportamento, essa presenta una serie di vantaggi pragmatici. Il primo è che semplifica il conflitto in qualcosa che può essere rappresentato sulle mappe, che può essere compreso dalla leadership politica e dalla punditocrazia occidentale e che, in effetti, sembra comprensibile in termini di ciò che i leader militari hanno imparato allo Staff College. Quindi, conquistare, mantenere e riconquistare il territorio e i centri abitati è un modo per comprendere e rappresentare il corso della guerra, e il fatto che i russi non siano principalmente interessati a conquistare il territorio permette di bollare i loro sforzi come fallimentari. Inevitabilmente, si sostiene, ci saranno “negoziati” tra non molto. Naturalmente i russi hanno obiettivi territoriali, ma sono essenzialmente secondari rispetto alla distruzione della capacità di resistenza del nemico e alla costrizione di Kiev a fare ciò che Mosca vuole.

Dato che questo è esattamente il modo in cui Clausewitz ha descritto lo scopo e la condotta della guerra, sembra strano che sia così difficile per i leader militari capire cosa sta succedendo. Dopo tutto, una delle guerre più famose della storia europea, la Guerra di Successione Spagnola (1701-14), non riguardava affatto il controllo del territorio, ma la possibilità che un candidato francese si sedesse sul trono spagnolo. Ma naturalmente se la misura del successo in Ucraina è la distruzione del potenziale di combattimento del nemico e quindi la capacità di resistere alle richieste russe, questo diventa molto più complesso da capire, per non parlare di spiegare. È meglio attenersi a mappe e frecce grezze e presumere che i “negoziati”, che sicuramente non possono essere rimandati a lungo, riguarderanno chi controlla quale territorio.

Il secondo vantaggio è che una guerra basata sul territorio è semplicemente più facile da vendere politicamente. L’idea di spendere miliardi incalcolabili e di inviare gran parte degli arsenali e delle scorte europee in Ucraina per difendere l’idea che un giorno l’Ucraina potrà entrare a far parte della NATO, per non parlare del fatto che alcuni partiti estremisti dovrebbero far parte del governo ucraino anche se i russi non lo approvano, è impossibile da vendere politicamente, anche se fosse possibile comprendere e trovare una posizione comune su tali questioni. (Riuscite a immaginare 30 membri della NATO intorno a un tavolo che cercano di accordarsi su una lista di partiti politici e individui la cui presenza nel governo deve essere mantenuta a tutti i costi, pena il proseguimento della guerra)?

Questo è il primo motivo per cui si presume che “negoziati” di qualche tipo specifico siano imminenti. E in effetti, una pressione molto forte da parte degli Stati Uniti, o un crollo catastrofico finale dell’esercito ucraino, potrebbero effettivamente produrre “negoziati”, anche se non nella forma che molti opinionisti occidentali stanno anticipando. A questo proposito, mi limiterò a ricordare che, mentre le guerre in genere si concludono con un qualche tipo di accordo, in alcuni casi questi accordi possono riguardare solo le modalità di resa, o i dettagli del fare ciò che la parte vincitrice ha imposto. È dubbio che l’Occidente stia pensando a “negoziati” di questo tipo.

Il secondo comporta una modesta escursione nella storia. Oggi l’Occidente generalmente parte dal presupposto che tutti i conflitti possano essere risolti da persone ragionevoli che si mettono attorno a un tavolo e raggiungono un compromesso: è la base, infatti, dell’ideologia della pace liberale. Non è sempre stato così, e non è sempre così oggi, ma in teoria è così che l’Occidente vede le cose, e questa teoria è ciò che influenza gli opinionisti, le ONG, i media e in larga misura il sistema politico. Storicamente, però, le guerre sono state spesso combattute per obiettivi piuttosto radicali e se, ad esempio, i britannici si fossero proposti come mediatori nel 1870 durante la guerra franco-prussiana, sarebbero stati ignorati. Quella guerra riguardava la sfida della Prussia al dominio storico della Francia come principale potenza militare in Europa e doveva essere vinta in modo decisivo da una parte o dall’altra. Non c’era possibilità di una pace di compromesso. Il trattato di Francoforte che ne risultò non era come oggi ci immagineremmo un trattato di pace: era completamente unilaterale. I prussiani ottennero il controllo di gran parte dell’Alsazia e della Lorena, i francesi dovettero pagare un’indennità di cinque miliardi di franchi, alcune parti della Francia furono occupate militarmente fino a quando non fosse stato fatto, e i cittadini francesi dovettero scegliere se lasciare le due regioni o diventare cittadini tedeschi. (Quindi il Trattato di Versailles, per quanto orribilmente unilaterale, rientrava pienamente nello schema tradizionale dei trattati alla fine delle guerre, e in effetti una pace negoziata, se fosse stata possibile, avrebbe risolto ancora meno di quanto fece il Trattato.

Ora la guerra, la pace e i trattati erano tradizionalmente affari dei re: la parola francese régalien, che si riferisce alla responsabilità di questi poteri, così come alla giustizia e al mantenimento dell’ordine, deriva dalla parola latina per “re”. Alla crescente borghesia commerciale e professionale europea, che cercava di allontanare monarchi e aristocratici dal potere, i cui figli non diventavano ufficiali o diplomatici e che traevano la loro fortuna dal commercio e non dalla proprietà terriera, tutto questo cominciò a sembrare un po’ anacronistico. Le buone relazioni con i vicini erano importanti per il commercio e le dispute sui confini e sulla proprietà delle città sembravano uno spreco di risorse .

Questo modo di pensare era particolarmente forte in Gran Bretagna, senza frontiere terrestri dal 1603 e con il mare e una potente marina come protezione. Il liberalismo divenne presto una forza politica importante e, una volta sconfitta la minaccia di Napoleone, la politica britannica fu quella di evitare le guerre quando possibile. Dal punto di vista dei liberali, le guerre erano uno spreco di denaro e una minaccia per il commercio. L’opposizione dei liberali alla guerra di Crimea, che agli occhi di molti fu vendicata quando l’inettitudine e la sofferenza durante la guerra ricevettero una pubblicità sempre maggiore, definì il tono degli atteggiamenti britannici nei confronti della guerra e della pace per un certo periodo successivo, oltre a confermare l’opinione che gli eserciti fossero necessariamente gestiti da aristocratici idioti.

La visione liberale del mondo era transazionale, basata sul vantaggio pragmatico. Acquirenti e venditori si sedevano insieme e concordavano prezzi e condizioni di consegna. In linea di principio, per ogni merce c’era un acquirente e per ogni domanda c’era un fornitore. (Il vocabolario delle relazioni internazionali deriva in gran parte dal francese, dove négociant significava, e significa tuttora, uomo d’affari o banchiere, che negoziava accordi commerciali). Guerre, crisi, embarghi, semplicemente intralciavano il “commercio pacifico” di Montesquieu, che secondo molti pensatori liberali era una garanzia di pace molto migliore di qualsiasi politica di equilibrio tra grandi potenze. La tendenza alla democratizzazione in gran parte dell’Europa nel XIX secolo rafforzò notevolmente i sostenitori di questo modo di pensare da parte della classe media: infatti, prima del 1914 era comune affermare che l’Europa era ormai così connessa attraverso il commercio e le banche che una guerra non avrebbe avuto senso.

I liberali si opponevano ai coinvolgimenti all’estero in generale e alle colonie in particolare. Queste ultime erano costose da acquisire e gestire, richiedevano forze di presidio che dovevano essere pagate con le tasse e correvano sempre il rischio di coinvolgere il Paese in guerre inutili. Non c’era alcun beneficio economico dalle colonie che non potesse essere ottenuto con i normali accordi commerciali e di scambio, e i tentativi di Rhodes e di altri di vendere l’imperialismo come redditizio si risolvevano in umilianti fallimenti e in costose nazionalizzazioni da parte del governo. In Gran Bretagna, ad esempio, esisteva una distinzione di classe abbastanza netta nell’atteggiamento verso l’Impero: Lo status di Grande Potenza e il prestigio nazionale erano importanti per la Corona e l’aristocrazia ancora al potere, molto meno per coloro che si consideravano uomini d’affari pratici e i cui apologeti guardavano alla Germania, un Paese senza colonie, come il principale rivale commerciale della Gran Bretagna.

Naturalmente anche i Paesi guidati da monarchi assoluti non ricorrevano alla guerra a cuor leggero. Le guerre erano costose, dovevano essere finanziate in qualche modo e potevano comportare umiliazioni e rovina economica per i perdenti. Così, mentre i costi della Guerra di Successione Spagnola andavano fuori controllo e minacciavano la stessa solvibilità dei belligeranti, e senza che se ne intravedesse la fine, vennero fatti molteplici tentativi di porre fine ai combattimenti tramite negoziati, anche se alla fine tutti fallirono. Questo approccio pragmatico per evitare la guerra, o per negoziarne la fine laddove possibile, ha ricevuto un ulteriore impulso dall’esperienza delle due guerre mondiali del XX secolo. La Prima guerra mondiale in particolare, dove un gran numero di giovani borghesi istruiti ha combattuto in prima linea, è stata decisiva per spostare il discorso dominante verso la ricerca della pace a quasi tutti i costi. Chamberlain e Daladier sono stati molto derisi per aver tentato un accordo con Hitler che avrebbe evitato una guerra con decine di milioni di morti, ma in realtà i negoziati sulla cessione di territori erano un metodo standard per riconciliare le differenze e prevenire le guerre.

Dopo la sconvolgente esperienza della Seconda guerra mondiale, il discorso dominante si orientò ancora di più verso la “soluzione pacifica delle controversie”. Le maggiori potenze mondiali si sono preoccupate di limitare il loro coinvolgimento militare a guerre per procura e non si sono combattute direttamente. Dopo la fine della guerra del Vietnam, l’Occidente non ha più combattuto contro un nemico pari o quasi pari. E dopo la fine della Guerra Fredda, come ho descritto più volte, il pensiero occidentale sulla natura del conflitto contemporaneo è sostanzialmente cambiato. Il tradizionale assunto liberale che la guerra fosse un’anomalia, il risultato di una rottura dei sistemi politici ed economici, della coltivazione sistematica dell’odio o della malvagità degli individui, divenne dominante. In tutto il mondo si riteneva che i Paesi fossero “caduti” nel conflitto, a causa delle “diffuse violazioni dei diritti umani”, della “strumentalizzazione delle rimostranze” da parte di “imprenditori della violenza”, della “lotta per il controllo delle risorse” e perfino, alla maniera dei liberali, delle analisi costi-benefici della violenza rispetto alla pace. Diversi teorici hanno prodotto modelli che sostenevano di essere in grado di prevedere i conflitti, anche se, come molte iniziative di questo tipo, erano molto più bravi a prevedere il passato che il futuro.

Sebbene tutti questi fattori fossero certamente presenti di tanto in tanto, tali teorizzazioni, santificate dall’ONU, dall’UE e da varie altre agenzie internazionali, ignoravano in larga misura le ragioni per cui i conflitti reali venivano combattuti. Ciò premesso, sembrava ovvio che la soluzione a tali conflitti risiedesse nell’identificazione paziente e liberale di un terreno comune e di un margine di contrattazione tra le parti in guerra, proprio come i mercanti potrebbero contrattare il prezzo del grano. Poiché la popolazione locale era chiaramente incapace di farlo da sola, le organizzazioni internazionali, le ONG e i donatori sarebbero stati purtroppo costretti a farlo per loro. (Ironia della sorte, a chi aveva orecchie per intendere è apparso chiaro che molte parti del mondo, in particolare l’Africa, avevano meccanismi tradizionali di risoluzione dei conflitti che funzionavano molto meglio di qualsiasi cosa importata dall’Occidente).

Quindi il modello degli esperti occidentali che arrivano con accordi di pace già pronti che devono solo essere firmati si è affermato presto e in modo disastroso, in Ruanda (1993), in Bosnia dal 1992 al 1995 e in Sudan nel 2005, per citare solo tre esempi eclatanti di processi occidentali imposti in situazioni che non erano neanche lontanamente appropriate. Va anche aggiunto che le iniziative influenzate dall’Occidente, come i colloqui di Sun City sulla RDC nel 2002 sotto il patrocinio del Sudafrica, sono state altrettanto fallimentari. Tuttavia, poiché la teoria è giusta, deve essere applicata a prescindere dalle circostanze. Imperterrita dalla tendenza dei negoziati e degli accordi di pace imperfetti a portare disastri (come in Ruanda e in Sudan) o semplicemente a seppellire i problemi invece di risolverli, come in Bosnia, l’idea di riunire precipitosamente le parti per i negoziati è diventata un riflesso condizionato all’interno della grande industria dedicata alle questioni di gestione delle crisi. Con il passare del tempo, gli accordi di pace sono diventati sempre più elaborati, in quanto ogni gruppo di interesse ha cercato di inserire nel testo i propri progetti (elezioni, diritti umani, idee economiche liberali, parità di genere, ecc. ecc.)

Ora è molto ragionevole preferire la pace alla guerra, e sarebbe davvero strano chi volesse che la sofferenza continuasse quando sono disponibili soluzioni pacifiche. (Ma naturalmente è necessario, in primo luogo, che esista l’opportunità di un accordo sostanziale, in secondo luogo che le varie parti condividano obiettivi minimamente compatibili e, infine, che quanto concordato sia effettivamente attuabile ed efficace per portare la pace. Pochi negoziati portano effettivamente a questi risultati, ed è più comune che alcuni (non necessariamente tutti) gli attori vengano trascinati ai negoziati e convinti a firmare un accordo che sembra buono, anche se non potrà mai essere attuato. Ma poiché l’ideologia liberale è ossessionata dalla convinzione che tutti vogliano la pace in ogni circostanza e che le soluzioni di compromesso siano sempre possibili, continuano a proliferare negoziati inutili e trattati inefficaci. Come ho detto centinaia di volte, se c’è la volontà di accordo, le parole sono secondarie: se la volontà di accordo non c’è, le parole sono irrilevanti. Ma molti in Occidente si illudono che le parole e le firme siano totem magici che da soli risolvono i problemi.

Più ci si pensa, più ci si rende conto che la maggior parte dei conflitti nel mondo non nasce come immaginano i pensatori liberali, e quindi non è suscettibile di negoziati di tipo commerciale. Molti conflitti sono infatti inconciliabili. Questo non significa che non si possa fare nulla, ma che tali crisi possono essere solo gestite e le loro conseguenze limitate il più possibile. Così, in aree come il Caucaso o il Levante, non esiste una vera e propria “risposta” alla realtà delle crisi multiformi, se non l’abolizione degli Stati nazionali e la ricostituzione degli Imperi, che ha attrattive teoriche, ma è difficilmente realizzabile. In Palestina, ad esempio, o io posso vivere a casa tua o tu puoi vivere a casa mia, ma non possiamo vivere entrambi a casa mia, e uno di noi dovrà essere deluso.

Le soluzioni che durano, almeno per un po’, tendono a basarsi su una certa correlazione di forze e sul riconoscimento da parte di ciascuno dei limiti di ciò che si può ottenere. Così, dopo aver inizialmente agito come difensore della comunità cattolica in Irlanda del Nord all’inizio dei “Troubles”, per esempio, l’Esercito Repubblicano Irlandese è tornato rapidamente al suo obiettivo storico di cacciare i britannici dall’Irlanda del Nord e creare una Repubblica Socialista di 32 contee. All’inizio degli anni ’70 pensava di poterlo fare. A metà degli anni Settanta si rese conto che non poteva farlo e adottò la politica della “guerra lunga” del terrorismo urbano. Quando questa non ha funzionato, ha iniziato a muoversi con esitazione verso una soluzione politica, che alla fine ha prodotto l’Accordo del Venerdì Santo del 1998. Alla fine si è scontrato con il muro di mattoni di ciò che era possibile: i britannici (per quanto fossero stanchi del conflitto e in generale non amassero i protestanti dell’Ulster) non potevano cedere perché il risultato sarebbe stato una guerra civile molto più sanguinosa di quella degli anni Settanta e Ottanta. I negoziati erano quindi inevitabili. Sembra che la stessa situazione si stia sviluppando tra il PKK e la Turchia: scoraggiato, in perdita di membri e di impegno e pesantemente attaccato dai droni turchi, il PKK sembra aver deciso di cercare una soluzione politica.

Ora potrebbe essere più chiaro perché opinionisti e politici sono stati così confusi sui recenti “negoziati”. Tanto per cominciare, gli obiettivi della Russia e dell’Occidente non sono semplicemente compatibili e, nella misura in cui si può parlare di obiettivi “ucraini” nell’attuale situazione di confusione, probabilmente sono ancora diversi. In parole povere, il desiderio russo di sicurezza al confine occidentale, di tenere lontane le potenziali minacce e di mantenere la neutralità degli Stati vicini non può essere reso compatibile con la situazione attuale, né con le politiche attuali e potenzialmente future dei governi di quegli Stati. Uno status di neutralità, anche per l’Ucraina, sarebbe uno shock per la NATO a cui difficilmente potrebbe sopravvivere. Il ritiro delle forze occidentali di stanza nella situazione del 1997 sarebbe una sconfitta politica definitiva.

Con il massimo rispetto per i diplomatici, una casta che stimo molto, ci sono situazioni da cui non si può negoziare per uscire. L’Ucraina non può essere semi-neutrale. La neutralità va ben oltre l’adesione formale o meno alla NATO, poiché qualsiasi Paese può consentire lo stazionamento di truppe straniere sul proprio territorio, se lo desidera. Anche il tipo di neutralità formale praticata dalla Svezia durante la Guerra Fredda (alleata di fatto della NATO, ma in modo del tutto segreto) difficilmente soddisferebbe i russi. Essi vorrebbero qualcosa di più vicino al vecchio modello finlandese, o addirittura l’Ucraina come alleato informale. E, ripeto, su queste cose non si può scendere a compromessi: o l’uno o l’altro, e l’uno o l’altro sarà deciso dalla correlazione delle forze politiche e soprattutto militari. E quando i russi parlano di “cause profonde” della guerra, che sono determinati ad affrontare, questo è ciò che intendono.

Ci sono alcuni elementi del problema che forse possono essere negoziati, come le dimensioni e la composizione delle forze ucraine e le aree in cui possono essere stanziate: in effetti ci sono precedenti storici per questo, e per le ispezioni per verificare la conformità. Sembra che nei colloqui di Istanbul del 2022 siano stati fatti dei progressi in questo campo, anche se le parti erano ancora molto distanti, e non è escluso che queste idee possano essere riprese. Ma nel complesso non credo che quei negoziati avrebbero mai funzionato, perché mischiavano cose oggettive come i livelli di truppe con cose soggettive come la neutralità. In pratica, le truppe russe sarebbero dovute rimanere in Ucraina, probabilmente per anni, mentre il sistema politico ucraino veniva cambiato, le leggi venivano approvate, la Costituzione modificata e venivano apportate varie modifiche militari. Uno dei problemi del ritiro delle truppe dopo un accordo di pace è che è molto più difficile inviarle una seconda volta, quindi la tentazione dei russi sarebbe stata quella di trovare scuse per rimanere, con risultati imprevedibili e probabilmente pericolosi dal punto di vista politico.

Quindi si capisce perché l’Occidente è così confuso. Il suo modello di negoziazione liberista parte dal presupposto che tutto sia negoziabile, che si possano sempre trovare formule verbali per appianare le divergenze e che in qualche modo il buon senso e la ragione prevarranno, poiché alla fine i conflitti non sono su nulla di importante. Così l’ossessione occidentale per il controllo del territorio, perché è qualcosa di comprensibile e qualcosa di tangibile su cui si può negoziare con l’aiuto delle mappe. L’idea che ci siano richieste non negoziabili, sia nel senso che una parte non può scendere a compromessi, sia nel senso che uno Stato non può essere semi-neutrale, per esempio, è più di quanto il sistema occidentale possa ingoiare. In effetti, è dubbio che l’Occidente, e probabilmente anche l’Ucraina, possa essere politicamente in grado di negoziare sulle “cause di fondo” che i russi vogliono discutere.

Da qui, in parte, la confusione su ciò che i recenti colloqui erano e sono stati. Si è trattato al massimo di uno scambio di posizioni preparate senza impegno, e di un esercizio di pubbliche relazioni. Dovrebbe essere ovvio che le condizioni per qualsiasi negoziato sostanziale non esistono ancora, e potrebbero non esistere per un po’, semplicemente a causa della natura degli obiettivi russi. Ma l’Occidente e forse anche gli ucraini, ossessionati da decenni di “pacificazione”, di accordi rapidi che sembrano buoni anche se vanno male, di proclami di “pace” anche se prematuri e di dichiarazioni di buone intenzioni anche se non hanno seguito, non sono intellettualmente in grado di capire ciò che stanno vedendo. Semplicemente non riesce a comprendere la mentalità di uno Stato che cerca di risolvere definitivamente i suoi problemi di sicurezza per i prossimi 25-50 anni ed è pronto a dedicare il tempo, le risorse e le vite necessarie per farlo.

Ho già menzionato i vari sforzi formulari e superficiali compiuti dall’Occidente per risolvere i conflitti in tutto il mondo a partire dalla Guerra Fredda, che spesso hanno cercato di risolvere problemi intrattabili aggiungendo strati successivi di complessità a documenti di cui sono gli autori, e che in genere vanno male, e cercando di cambiare in modo radicale e spesso brusco il modo in cui vengono gestite le economie e le società. In alcuni casi (in particolare in Iraq) l’Occidente è stato così sicuro di sé da essere pronto a usare la forza per cercare di creare le condizioni per quello che immagina fiduciosamente sarà il fiorire di una democrazia liberale. In altri (in particolare in Afghanistan) ha inondato il Paese di iniziative liberali benpensanti, anche mentre si combatteva. E in altri ancora, come in Libia e in Siria, è entrata nelle guerre di altri popoli, sperando di dettare l’esito e di rimodellare in seguito le società e le economie che ne sono derivate. Si può notare una certa mancanza di successo in questo caso.

Nulla di tutto ciò si applicherà all’Ucraina. I russi non intendono ciò che l’Occidente intende per “negoziato” ed è improbabile che cambino. Il problema è che l’Occidente stesso difficilmente imparerà, per cui perderà molto tempo a sedersi attorno a un tavolo mezzo vuoto in attesa che i russi si presentino per discutere di argomenti di cui non hanno intenzione di parlare. Ironia della sorte, l’elezione di Trump, un vero uomo d’affari con esperienza di negoziati reali, disinteressato alla teoria e all’imposizione forzata di norme politiche liberali, potrebbe essere d’aiuto in questo senso, e l’era dell’avventurismo liberale sfrenato, pistola in una mano e copia di John Rawls nell’altra, potrebbe finalmente volgere al termine.

Serve meno Europa? Cosa è la Unione Europea 2a parte Con Stefano D’Andrea

Stefano D’Andrea ospite in questa conversazione che diseziona tutte le criticità dell’Unione vittima dei suoi stessi trattati sbilanciati . La storia di come nasce l’Unione Europea , le basi legali degli accordi e le clausole. Cos’è l’Unione Europea? Un organismo internazionale, uno Stato, un similstato? Un soggetto attivo al suo interno o nell’agone internazionale o una espressione di stati nazionali e di voleri esterni? Quale funzione svolge? Tutti quesiti ai quali, in Italia, ancor più che in Europa, si evita o si fatica a dare risposta. Il più delle volte gli attori politici rifuggono dal porsi addirittura domande appropriate. Ci ha provato, fatto abbastanza inedito in Italia, Stefano D’Andrea con il suo acume e la sua puntigliosità. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Tempismo o pura Casualità ?_di Cesare Semovigo

Tempismo o pura Casualità ?

Le Dichiarazioni di Pavel Durov a urne chiuse

Cesare Semovigo

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Le elezioni presidenziali in Romania del 2024, già segnate dall’annullamento del primo turno da parte della Corte Suprema, si sono concluse con una nuova ondata di polemiche che mettono in discussione la trasparenza del processo democratico. Dopo la chiusura delle urne il 18 maggio 2025, Pavel Durov, CEO di Telegram, ha rilasciato una dichiarazione esplosiva che sembra confermare i sospetti di ingerenze e manipolazioni.

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Durov ha rivelato che, in primavera, durante un incontro all’Hôtel de Crillon, il capo dell’intelligence francese, Nicolas Lerner, gli aveva chiesto di censurare le voci conservatrici rumene su Telegram prima delle elezioni. “Ho rifiutato categoricamente”, ha dichiarato Durov, aggiungendo: “Non puoi difendere la democrazia distruggendo la democrazia. Non puoi combattere l’interferenza elettorale interferendo nelle elezioni.” La tempistica di questa dichiarazione, arrivata subito dopo la chiusura dei seggi, ha alimentato speculazioni su un possibile accordo con le autorità francesi per la sua liberazione dai procedimenti legali in Francia, un segnale inquietante di come i giochi di potere internazionali possano influenzare anche le rivelazioni pubbliche.

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Elezioni Romene ultimo atto

Snoop scoop la società Kensington Communication Un’indagine del sito investigativo rumeno Snoop ha rivelato che la campagna “Equilibrio e Verticalità” a favore di Georgescu sarebbe stata finanziata dal partito liberale pro-UE PNL tramite la società Kensington Communication già coinvolta in altre campagne liberali. Tuttavia, Kensington ha negato qualsiasi legame diretto con Georgescu, sostenendo che i loro valori non fossero allineati con il candidato. Questa rivelazione non smentisce le accuse di interferenze russe, ma aggiunge complessità al caso, suggerendo che parte Le indagini sui finanziamenti esteri hanno ulteriormente complicato il quadro, rivelando un flusso di fondi milionari verso i partiti pro-UE e le agenzie mediatiche rumene. Secondo documenti emersi, il Partito Nazionale Liberale (PNL) e altri gruppi filo-europei avrebbero ricevuto oltre 15 milioni di euro da fondazioni e ONG con sede in Germania e Francia, ufficialmente per “promuovere i valori democratici”. Questi fondi sono stati utilizzati per saturare i media tradizionali e digitali con campagne pro-UE, spesso accompagnate da un’intensa attività di bot sui social media. Piattaforme come TikTok e X sono state inondate da contenuti che dipingevano i candidati conservatori, come Calin Georgescu, come “estremisti di destra” e “filo-russi”, un ritornello ripetuto senza sosta per delegittimare l’opposizione. Tuttavia, analisi indipendenti hanno mostrato che meno dell’1% dei contenuti filo-conservatori su queste piattaforme proveniva da fonti russe, smentendo la narrazione ufficiale e indicando che la vera propaganda proveniva dall’interno del blocco pro-Europa.

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Durov ,sotto la lente dei servizi europei e francesi , è stato liberato su cauzione da Parigi

La macchina mediatica pro-UE non si è limitata ai finanziamenti: agenzie di comunicazione con sede a Bruxelles hanno coordinato una campagna di saturazione che ha monopolizzato il dibattito pubblico. Report di monitoraggio digitale hanno evidenziato come oltre il 70% dei post elettorali su X e Facebook in Romania fossero generati o amplificati da account automatizzati, la maggior parte dei quali promuoveva candidati filo-europei o attaccava l’opposizione con accuse di estremismo e collusione con Mosca. Questo schema di propaganda ha creato un clima di polarizzazione, in cui il dissenso è stato sistematicamente soffocato sotto il peso di una narrazione orchestrata. La ripetizione ossessiva dello spettro “estrema destra filo-russa” è servita a giustificare interventi giudiziari e politici, come l’annullamento del primo turno, ma ha anche alimentato un crescente scetticismo tra i cittadini rumeni verso le istituzioni democratiche, percepite sempre più come strumenti di un’élite filo-occidentale.

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La galassia delle Media-Agency dove spesso è impossibile risalire alla fonte dei finanziamenti e della proprietà aziendale .

A caldo lanciati nella nuova ”Guerra Fredda” ?

I segnali emersi alla fine di questa tornata elettorale non sono affatto incoraggianti per la democrazia rumena. La rivelazione di Durov, unita ai dati sui finanziamenti esteri e alla propaganda coordinata, dipinge un quadro in cui le ingerenze non provengono dalla Russia, come l’establishment ha voluto far credere, ma da potenze occidentali e dai loro alleati interni. La Romania, un paese chiave per la NATO e l’UE al confine con l’Ucraina, rischia di diventare un simbolo delle contraddizioni dell’Occidente: mentre si proclama paladino della democrazia, si ricorre a tattiche autoritarie per controllare i risultati elettorali. La fiducia dei cittadini nelle istituzioni è ai minimi storici, e il crescente sostegno a figure anti-establishment come Georgescu potrebbe essere solo l’inizio di una reazione più ampia contro un sistema che sembra sempre più lontano dalla volontà popolare.

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La strana discrepanza delle percentuali del voto per posta rispetto al turno precedente .

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La telefonata Putin-Trump finisce male, aumentano gli ammutinamenti delle brigate AFU e altri aggiornamenti, di Simplicius

La telefonata Putin-Trump finisce male, aumentano gli ammutinamenti delle brigate AFU e altri aggiornamenti

Simplicius 20 maggio
 
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Oggi Putin e Trump hanno tenuto un’attesa telefonata che, a detta di tutti, è durata più di due ore. Nonostante entrambe le parti abbiano sottolineato l’importanza della telefonata come un buon passo avanti verso la normalizzazione delle relazioni, non si è ottenuto nulla. Il motivo: Putin ha ripetuto ancora una volta a Trump che le “cause profonde” del conflitto devono essere affrontate e, poco dopo, Zelensky ha dichiarato in una conferenza stampa che l’Ucraina non si smilitarizzerà mai e non rinuncerà mai ai suoi territori; l’impasse rimane come prima.

Trump ha rifiutato di ordinare una nuova serie di sanzioni alla Russia, ma Rubio giorni fa ha minacciato la Russia di una sorta di sanzioni “involontarie”, come se volesse assolvere se stesso:

La dichiarazione di Putin:

È interessante notare che il nuovo articolo del NYT è riuscito a intervistare quasi una dozzina di veri soldati russi sulle loro opinioni in merito ai negoziati e a un potenziale cessate il fuoco.

https://www.nytimes.com/2025/05/17/world/europe/russian-troops-peace-putin.html

Tutti i soldati, secondo il NYT, hanno espresso il loro disaccordo con qualsiasi cessate il fuoco e vogliono che la Russia catturi altre regioni dell’Ucraina in modo che la futura generazione di truppe “non debba combattere di nuovo questa guerra”.

Sette soldati russi che combattono o hanno combattuto in Ucraina hanno espresso un profondo scetticismo nelle interviste sugli sforzi diplomatici che venerdì hanno prodotto i primi colloqui di pace diretti in tre anni, ma che sono stati brevi e hanno dato scarsi risultati. Parlando per telefono, i soldati hanno detto di rifiutare un cessate il fuoco incondizionato proposto dall’Ucraina, aggiungendo che le forze russe dovrebbero continuare a combattere almeno fino a quando non avranno conquistato tutte le quattro regioni meridionali e orientali ucraine rivendicate, ma controllate solo in parte, dal Cremlino.

“Siamo tutti stanchi, vogliamo tornare a casa. Ma vogliamo conquistare tutte le regioni, in modo da non dover lottare per esse in futuro”, ha detto Sergei, un soldato russo arruolato che combatte nella regione orientale di Donetsk, riferendosi al territorio annesso. “Altrimenti, tutti i ragazzi sono morti invano?”.

Ecco, questo è quanto.

Naturalmente, il NYT non pubblicherebbe mai una simile prospettiva senza avere un’agenda. È chiaro che stanno facendo luce su questa vicenda per riproporre la solita vecchia narrazione globalista secondo cui la Russia non vuole la pace, quindi l’Europa dovrebbe armarsi e aumentare le sanzioni e le pressioni sulla Russia.

Stranamente, l’articolo racconta di come la Russia abbia “esteso involontariamente” i contratti di tutti i soldati, rendendoli di fatto permanenti, ma nello stesso tempo elenca due dei militari intervistati come se avessero “combattuto in guerra solo fino” al dicembre 2023 in un caso, e all’ottobre dello scorso anno in un altro. Questo dimostra che le truppe intervistate hanno terminato il loro contratto e sono state smobilitate, contraddicendo la menzogna del NYT.

In questo momento la modalità prevalente di negoziazione può essere paragonata a un gioco di sedie musicali, in cui ogni parte sta al gioco per non rimanere alla fine senza sedia. In questo caso, tutti giocano a fare la pace per scoraggiare le accuse di guerrafondai, ma in realtà ogni parte ha le proprie motivazioni segrete per continuare il conflitto. Nel caso della Russia, ha bisogno di una vittoria decisiva per evitare che il conflitto riprenda in futuro. Nel caso dell’Europa, ha bisogno di una Russia indebolita e perennemente tenuta sotto controllo attraverso il giogo delle sanzioni e delle tensioni. Agli Stati Uniti non dispiacerebbe vedere tutte le parti indebolite a vantaggio degli stessi Stati Uniti.

Dopo tutto, come si spiegherebbe altrimenti l’affermazione di Trump che il coinvolgimento degli Stati Uniti è stato un “errore”, mentre fornisce ancora armi all’Ucraina 24 ore su 24?

Se è stato un errore, perché li riempite ancora di munizioni? Chiaramente, gli Stati Uniti vorrebbero avere la botte piena e la moglie ubriaca: pur fingendo la pace, hanno ancora bisogno di tenere il coltello alla gola di ogni parte per mantenere il dominio.

Parliamo di una questione in via di sviluppo all’interno dell’AFU: la crescente ribellione tra i suoi ranghi contro gli ordini ingiustificati e gli assalti alla carne. Solo nell’ultima settimana sono stati documentati diversi casi importanti.

Il più noto è stato quello del comandante della famosa ed elitaria 47a Brigata che si è dimesso dopo aver accusato i superiori di aver ordinato “stupidi” assalti alla carne che hanno causato la morte ripetuta dei suoi uomini, in particolare per quanto riguarda la dispendiosa operazione Kursk:

https://www.kyivpost.com/post/52952

“Non ho mai ricevuto missioni più stupide che nell’attuale settore (la regione russa di Kursk)”, ha dichiarato il Maggiore Oleksandr Shirshyn in una rara critica pubblica ai vertici delle Forze Armate ucraine (AFU) da parte di un ufficiale combattente.

“La perdita di persone è stata stupida, che sono terrorizzate da una condotta generale senza idee che non porta ad altro che a fallimenti. Tutto ciò di cui sono capaci (i vertici dell’esercito) sono rimproveri, indagini, imposizioni di sanzioni. Tutto sta andando all’inferno” ha scritto Shirhsyn nei commenti pubblicati sulla sua pagina personale di Facebook.

Si tenga presente che tutto ciò proviene da fonti ucraine, quindi non si tratta di “propaganda russa”.

L’articolo del Kyiv Post riporta anche altre note:

Il giornalista militare Yury Butusov, uno dei corrispondenti di guerra più letti in Ucraina, ha detto che la descrizione di Shirshyn dei recenti combattimenti nella regione di Kursk era accurata, e che le colonne d’attacco della 47a Brigata hanno subito pesanti perdite perché è stato loro ordinato di guidare i loro veicoli blindati tra i denti delle pronte difese russe coperte da densi sciami di droni.

Beh, è quello che succede quando si lanciano operazioni per motivi politici e di pubbliche relazioni, non strategici.

Ma questa non era nemmeno la metà. Quasi contemporaneamente, Syrsky è stato costretto a licenziare bruscamente il comandante della 59ª Brigata per insubordinazione, ovvero per essersi rifiutato di sacrificare inutilmente le sue truppe:

 Comandante ucraino licenziato dopo essersi rifiutato di sacrificare le truppe.

I media ucraini riferiscono che il generale Syrsky ha bruscamente licenziato il comandante della 59ª Brigata di sistemi senza pilota, che attualmente opera in uno dei settori più critici e al collasso vicino a Pokrovsk.

Il colonnello Oleksandr Sak, già a capo della 53ª Brigata, ha sostituito il tenente colonnello Bohdan Shevchuk. In particolare, la decisione ha scavalcato il diretto superiore della brigata, il comandante delle forze drone ucraine Vadym Sukharevskyi, ed è stata presa personalmente da Syrsky.

Shevchuk sarebbe stato rimosso dopo aver ordinato una ritirata per evitare l’accerchiamento – una mossa che, a suo dire, ha salvato i suoi uomini ma che ha scontentato Syrsky e Zelensky.

“C’era il rischio concreto che i miei uomini fossero circondati. Ho preso l’iniziativa di ritirarli dalle posizioni per salvare vite umane”, ha dichiarato Shevchuk alla stampa.

“A quanto pare, questo non è piaciuto al comandante in capo o al presidente. Così sono stato licenziato”.

Mentre la leadership di Kiev continua a spingere per vittorie simboliche a costo di vite umane, i comandanti sul campo sono sempre più in bilico tra l’ottica politica e la realtà del campo di battaglia.

Da Ukrainska Pravda:

https://www.pravda.com.ua/news/2025/05/18/7512842/

Se questo non fosse abbastanza grave, Ukrainska Pravda riporta anche che la 155esima Brigata Meccanizzata dell’AFU – da non confondere con gli indomiti 155esimi Marines russi – ha avuto problemi così gravi negli ultimi tempi che ha registrato più di 1.200 casi di assenteismo solo dall’inizio del 2025:

Ukrainska Pravda riporta che, tra i continui problemi di comando e le accuse di corruzione, la 155ª Brigata meccanizzata ha registrato più di 1.200 casi di assenteismo/diserzione dall’inizio del 2025. Le cause principali sono il trasferimento di soldati da diversi MOS alla fanteria e la mancanza di supporto, compresa la fornitura di UAV. Le loro fonti sostengono inoltre che altre tangenti si sarebbero verificate in altri battaglioni della brigata. Dopo la pubblicazione dell’articolo, il Maggiore Generale Mykhailo Drapatyi ha ordinato un’ulteriore indagine sulle accuse.

https://www.pravda.com.ua/rus/articoli/2025/05/19/7512834/

Lo “SZCh-niki” in questione si riferisce a Самовільне Залишення Частини, che si traduce in “abbandono non autorizzato di un’unità”.

Peggio ancora, l’articolo osserva che le diserzioni sono state stimolate dalla corruzione di massa nella brigata, come dimostra l’arresto del comandante del battaglione droni della brigata appena una settimana fa, l’11 maggio, per aver rubato la paga dei suoi subordinati:

L’SBU e lo State Bureau of Investigation ucraini hanno arrestato la scorsa settimana il comandante del battaglione di droni d’assalto della 155ª Brigata meccanizzata per aver chiesto tangenti ai suoi subordinati. Questi ricevevano una paga extra per essere in prima linea per tutto il mese, ma erano presenti solo per una parte del tempo.

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Tra l’altro, una brigata dovrebbe avere 2.500 – 5.000 persone, con le brigate ucraine che tendono verso la parte più bassa di questo valore. Quindi 1.200 diserzioni in una singola brigata solo dall’inizio di quest’anno è quasi incomprensibile in termini di scala; quasi l’intera brigata viene sfornata solo per le assenze, senza contare le perdite in combattimento.

Il morale è un bene prezioso in Ucraina – basta dare un’occhiata alle ultime mobilitazioni di Zelensky solo negli ultimi due giorni:

Il canale di voci Rezident_UA ritiene che la situazione sia ancora peggiore:

#Inside
La nostra fonte in OP ha detto che alla Bankova [temono] una ribellione degli ufficiali, [per questo] stanno già cercando un sostituto di Syrsky, contro il quale tutti i comandanti di campo si oppongono. Andrey Ermak si rende conto della tossicità di [Syrsky], ma vuole scegliere una figura tecnica senza ambizioni politiche, per non ripetere il percorso con Zaluzhny.

Ancora problemi per l’Ucraina: il deputato del popolo Egor Firsov riferisce che l’uso degli UAV russi sta iniziando a raggiungere nuove vette, al di là di quanto si potesse immaginare. Egli afferma chiaramente che l’Ucraina era un tempo all’avanguardia nella tecnologia dei droni, ma il “pendolo è passato” alla Russia:

Allo stesso tempo, il massimo esperto ucraino di radioelettronica è rimasto stupito nel vedere finalmente uno dei nuovi droni russi Geran con ricetrasmettitori satellitari Comet 16x:

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Grazie ad Alessandro per le foto. Lo vedo nella sua interezza per la prima volta. E in linea di principio non pensavo che avrei mai visto una cosa del genere. Antenna CRPA a 16 elementi di Shahed. 16 elementi… è una follia, ovviamente.

Tutto è iniziato con 4, poi 6, poi 8, poi 12, aumentando di volta in volta man mano che l’ambiente di disturbo elettronico diventava più sofisticato; ora la Russia è arrivata a 16 moduli per rendere i droni Geran praticamente a prova di disturbo.

Un nuovo intercettore russo anti-drone chiamato Elka fa sempre più spesso la sua comparsa sul fronte:

Il drone da difesa aerea Yolka (Elka) effettua un’intercettazione cinetica di un UAV da ricognizione dell’aeronautica ucraina nella zona SVO.

Nonostante le manovre attive, il drone nemico è stato superato dal nostro intercettore e privato della coda.

Gli algoritmi di intelligenza artificiale incorporati nel sistema di guida del drone di difesa aerea Yolka consentono di colpire gli elementi strutturali più vulnerabili degli UAV nemici, aumentando la probabilità di distruzione del bersaglio a seguito di un’intercettazione cinetica.

Come si può vedere, si tratta di un drone quadcopter economico che si aggancia automaticamente ad altri droni come un missile manpad, per poi inseguirli.

Ecco un filmato del 155° Marines russo che lo utilizza in un combattimento reale:

L’aspetto più interessante è che le autorità russe sembrano già fidarsi di questo sistema, tanto che è stato persino avvistato dall’UST (Servizi Federali di Sicurezza) russo durante la parata del 9 maggio, per proteggere Putin e co. da potenziali minacce UAV ucraine:

Questo è probabilmente il futuro della tecnologia anti-drone: UAV intelligenti e a basso costo che possono trovare ed eliminare altri UAV.

Se vi state chiedendo come sia possibile che l’Ucraina abbia potenzialmente fatto entrare degli UAV nella Piazza Rossa, o anche a Mosca in generale, beh, recentemente c’è stata una nuova conferma di qualcosa che ho spiegato da oltre due anni. La scorsa settimana è stato sequestrato nella regione di Mosca un centro di comando mobile per droni, che è essenzialmente un furgone che lancia e controlla i droni dall’interno del territorio russo:

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I droni ucraini che attaccano all’interno della Russia sono avviati all’interno della Russia, attraverso un punto di comando mobile. Probabilmente sono anche prodotti in Russia. Un centro di controllo mobile per droni è stato fermato dalla polizia russa a Mosca.

Alcune delle fantasie sui droni ucraini che “aggirano le difese aeree russe per migliaia di chilometri” sono proprio queste; in realtà, fin dall’inizio hanno operato dall’interno della Russia attraverso gruppi di sabotaggio. Dal momento che i droni sono facili da assemblare con componenti civili, non è difficile farlo senza essere scoperti.

A proposito di droni e guerra elettronica, un servizio su un nuovo sistema che la Russia ha messo in funzione sul fronte di Kherson:

I canali nemici scrivono una recensione del nuovo sistema di guerra elettronica russo catturato “CRAB”. Recentemente, ha iniziato ad essere utilizzato dalla 49esima armata nella direzione di Kherson. Non si tratta solo di un jammer, ma di un intero complesso che fornisce rilevamento, intercettazione, ricognizione e coordinamento della lotta contro gli UAV. Ogni battaglione russo ha ricevuto un sistema di questo tipo, insieme ad antenne, termocamere e radio digitali HackRF per l’ascolto delle frequenze radio e l’intercettazione di video analogici dalle telecamere dei droni FPV a una distanza massima di 25 km. Sistemi simili, ma in versione più amatoriale, sono stati dispiegati dalle Forze armate ucraine un anno fa sulla riva destra del Dnieper.
In combinazione con il CRAB, può funzionare il sistema di guerra elettronica Silok-02, in grado di disturbare tutte le frequenze video e di controllo note dei droni FPV. Inoltre, il “CRAB” può essere integrato nel lavoro con gli UAV Orlan-10, Orlan-30, Supercam. Oltre alla funzione di jamming, il sistema deve tracciare i droni amici in modo che non vengano disturbati.

Sempre più fonti ucraine riportano sviluppi preoccupanti nel campo dei droni russi. Ad esempio, ieri hanno iniziato a lamentare il fatto che i droni russi stanno controllando con il fuoco l’importante strada di rifornimento Dobropillya-Kramatorsk, circa 30 km dietro la LoC:

Per chi fosse interessato, ecco una nuova intervista video di uno sviluppatore russo di droni e le sue critiche ai sistemi di droni americani:

Raccomando anche il canale di cui sopra per gli altri video non di parte sulla Russia, che ho già postato in precedenza.

A proposito di Kherson, ecco un video che mostra un soldato russo di nome Maloy della 61a brigata dei Marines che ha preso d’assalto con un piccolo gruppo una delle isole sul Dnieper vicino a Kherson. A quanto pare i suoi compagni di squadra sono stati uccisi dai droni ucraini, ma lui è sopravvissuto, ha eliminato diversi AFU e ne ha catturato uno da solo dopo averlo sconfitto in un combattimento corpo a corpo:

Un mitragliere ventenne con il nome di battaglia Maloy ha liberato da solo un’isola sul Dnieper. Ha anche eliminato un soldato della VSU in un combattimento corpo a corpo e ne ha catturato un altro.

Caricamento di Kherson…

Ecco l’ucraino catturato che ammette: “Il ragazzo ha avuto la meglio su di me” nel loro scontro:

Combattimento corpo a corpo sul Dnieper: “Il ragazzo ha avuto la meglio su di me”.

Un altro episodio dello scontro sulle isole. Un marine ferito della 61ª brigata ha avuto la meglio in uno scontro con il nemico e ha catturato un ucraino. È riuscito a tagliare le mani del nostro uomo e a pugnalarlo alla coscia. Ma ha colpito un telefono in una custodia resistente. Se vedeste “Maly” sareste ancora più sorpresi. È all’altezza del suo nome di battaglia. Ma ha molto spirito combattivo! Il combattimento corpo a corpo descritto da un nemico sconfitto.

La storia è interessante perché ci mostra la prima conferma video di tutte le azioni “vociferate” che la Russia ha intrapreso sulle isole contese del Dnieper. Purtroppo, si vede che queste azioni non sono prive di costi.

Questo va di pari passo con un nuovo rapporto:

Diverse notizie riferiscono che le forze russe hanno attraversato il Dnieper a Kherson in diversi punti, non in numero enorme, ma con piccole unità specializzate, e questo va di pari passo con l’aumento generale della distruzione delle posizioni ucraine a Kherson.

Alcuni ultimi articoli:

Madcap Kellogg chiede che le forze della NATO controllino la parte occidentale del fiume Dnieper:

La scorsa settimana Putin ha rilasciato un’intervista a Zarubin in cui ha fatto alcune ammissioni molto interessanti. La più importante è stata quella di rispondere alla domanda sul perché la Russia non abbia mai risolto prima la crisi del Donbass. Putin ha confermato le nozioni di vecchia data secondo cui la Russia non era abbastanza forte per affrontare l’intero Occidente unificato, e si doveva prima lavorare per portare le industrie russe al passo con i tempi:

E alla naturale domanda che segue: Putin è stato “preso per il naso” negli accordi di Minsk?

Infine, Putin afferma che la Russia ha forza e risorse sufficienti per portare l’OMU alla sua “logica conclusione”, se necessario:

Putin, da sempre equivocatore, lascia che le interpretazioni più “dirette” siano espresse dai suoi surrogati, come nel caso del team negoziale di Istanbul che ha comunicato che la Russia è pronta “a combattere per sempre”.

Infine, un nuovo spot russo che preannuncia la “stagione finale” della farsa del “Servo del Popolo” di Zelensky, che contrappone le promesse elettorali del clown-pupazzo in capo alla dura realtà attuale:


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Le provocazioni baltiche si intensificano: l’Estonia gioca di nuovo col fuoco, questa volta si brucia, di Simplicius

Le provocazioni baltiche si intensificano: l’Estonia gioca di nuovo col fuoco, questa volta si brucia

19 maggio
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Martedì si è verificata un’altra provocazione nella zona strategica del Mar Baltico-Golfo di Finlandia, quando l’Estonia ha tentato di sequestrare una petroliera russa della “flotta ombra”.

Il comandante della marina estone Ivo Vark ha dichiarato alla Reuters che la Jaguar si trovava nei pressi dell’isola di Naissaar, al largo della capitale estone Tallinn, quando è stata contattata via radio martedì pomeriggio per verificarne lo stato, poiché stava navigando “senza nazionalità”.

Ricordiamo che il termine “flotta ombra”, inventato dall’Occidente, indica semplicemente una petroliera non registrata in conformità alle “sanzioni” dell’UE/G7 occidentali, che di per sé non si applicano minimamente alla Russia, poiché la Russia non aderisce a tali organizzazioni. Un rappresentante militare estone riconosce qui che cercano di verificare la conformità di tutte le navi russe, il che significa principalmente assicurarsi che le navi siano adeguatamente “assicurate”:

Tranne un piccolo problema: le sanzioni dell’UE impedivano espressamente alla Russia di ottenere la normale assicurazione occidentale per le sue navi. Ecco cosa ammette Bloomberg:

https://archive.ph/bjXB0

Un’altra fonte:

Il Financial Times, citando fonti proprie, ha scritto della decisione delle autorità britanniche e dell’UE di vietare l’assicurazione per le navi mercantili che trasportano petrolio dalla Russia. Questa decisione di fatto chiude il più grande mercato assicurativo del Regno Unito, il Lloyd’s di Londra, alle petroliere russe e limita la possibilità di esportare petrolio greggio dalla Federazione Russa.

I metodi del criminale terrorismo economico occidentale sono chiari: escludono la Russia dal più grande mercato assicurativo, per poi tentare di “far rispettare” la mancanza “illegale” di assicurazione per le sue navi da parte della Russia. L’unica definizione di “flotta ombra” è quella di una petroliera non registrata nel mercato assicurativo di Londra, perché è stata declassata dal criminale “Rules Based Order”.

Fantastico come funziona, eh?

Tornando al video: l’equipaggio della nave ha girato questo video in cui degli elicotteri militari estoni cercano di intimorirli e di convincerli ad attraccare in un porto estone:

Non ho trovato il video

Da uno screenshot del loro cruscotto possiamo vedere le coordinate esatte della nave a 59°43’25.2″N, 24°27’50.5″E :

Come si può vedere, la nave sta tecnicamente attraversando quelle che normalmente sarebbero acque internazionali, ma a causa della ristrettezza del Golfo di Finlandia, sia l’Estonia che la Finlandia hanno la ZEE (Zona Economica Esclusiva) che si estendono verso l’esterno, coprendo praticamente l’intero canale. Ho già scritto molte volte di come Estonia e Finlandia stessero pianificando di giocare con la ZEE per limitare il diritto di passaggio della Russia, riconosciuto a livello internazionale, in questo canale.

Ma la Russia non tollera più questo comportamento. Ha inviato un Su-35S a sorvolare le risorse estoni, che si sono immediatamente allontanate, permettendo alla nave russa di proseguire senza problemi la navigazione verso San Pietroburgo. L’Estonia sostiene che il Su-35S abbia violato il suo spazio aereo accelerando verso la scena del crimine – beh, si suppone che si tratti di un giusto ritorsione, dato che l’Estonia ha violato il diritto internazionale sulla sicurezza marittima ostacolando illegalmente la nave.

Riepilogo più dettagliato:

 Aerei della NATO e la marina estone hanno tentato di sequestrare una petroliera della “flotta ombra russa”

La nave, battente bandiera gabonese, era diretta al porto russo di Primorsk attraverso il Golfo di Finlandia.

L’Estonia ha attivato l’intera flotta estone: la motovedetta “Raiu”, la nave pattuglia “Kurvits”, gli elicotteri e i droni.

All’operazione ha preso parte anche un MiG-29 dell’Aeronautica Militare polacca.

Inizialmente hanno cercato di costringere l’equipaggio della petroliera a fare rotta verso le acque territoriali estoni; dopo aver fallito, hanno provato ad atterrare con elicotteri e imbarcazioni.

L’equipaggio della petroliera aumentò la velocità, sventando entrambi i tentativi di atterraggio.

Secondo le norme del diritto marittimo internazionale, un attacco a una nave in acque neutrali è considerato un atto di pirateria.

RVvoenkor

Ma la cosa interessante è che il Portogallo, membro della NATO, ha inviato un F-16 per intercettare il Su-35S

Secondo lo Stato maggiore del Ministero della Difesa estone, martedì sera il caccia russo si è trovato nella zona della penisola di Juminda per meno di un minuto, mentre il Su-35S aveva il transponder spento e non comunicava con il servizio di controllo del traffico aereo estone.

Gli aerei da combattimento F-16 dell’aeronautica militare portoghese, schierati ad Ämari nell’ambito della missione NATO di polizia aerea del Baltico, sono intervenuti sull’incidente ed hanno effettuato un volo di ricognizione.

È circolato un video che sembra mostrare un F-16 che insegue un Su-35, ma la sua provenienza non è certa, poiché non sono stato in grado di verificarne in modo indipendente l’autenticità:

Potrebbe trattarsi di un video datato, dato che le condizioni atmosferiche sembrano diverse da quelle del video della nave, anche se questo potrebbe dipendere dalle impostazioni della telecamera o dall’intercettazione avvenuta un po’ più tardi. In ogni caso, consideratelo un riferimento “drammatizzato”.

Un commentatore russo conclude:

Chiesero al capitano della nave di cambiare rotta e… di entrare nelle acque territoriali estoni per catturarla fisicamente. Ma il capitano della nave non si dimostrò un codardo e mandò i pirati in un viaggio a piedi “verso sud”. Letteralmente immediatamente, un caccia russo Su-35S apparve in cielo, dimostrando con le sue azioni la sua disponibilità a proteggere la nave pacifica dalla cattura da parte di un velivolo NATO battente bandiera estone. Questo costrinse gli sfortunati pirati alla ritirata. E la petroliera arrivò a Primorsk e iniziò a caricare.

Tutto ciò fa parte di un piano a lungo termine dell’Occidente per provocare la Russia a compiere ulteriori azioni definibili come “aggressioni”, allo scopo di mantenere la narrativa della Russia come il cattivo, in modo che lo Stato profondo europeo possa continuare a mobilitare i suoi cittadini per la guerra contro la Russia.

Ma la maggior parte delle persone dimentica il fulcro di tutto questo scenario:

L’articolo 5 della famigerata Carta della NATO riconosce solo gli attacchi contro il territorio dei suoi membri . Di fatto, l’articolo 5 è disciplinato dall’articolo 6 proprio a questo scopo:

Articolo 6

Ai fini dell’articolo 5, un attacco armato contro una o più Parti è considerato includere un attacco armato:

  • sul territorio di una qualsiasi delle Parti in Europa o nel Nord America , sui dipartimenti algerini della Francia, sul territorio della Turchia o sulle isole sotto la giurisdizione di una qualsiasi delle Parti nella zona del Nord Atlantico a nord del Tropico del Cancro;
  • sulle forze, sulle navi o sugli aeromobili di una qualsiasi delle Parti, quando si trovano in o sopra questi territori o in qualsiasi altra area in Europa in cui le forze di occupazione di una qualsiasi delle Parti erano di stanza alla data di entrata in vigore del Trattato o nel Mar Mediterraneo o nell’area del Nord Atlantico a nord del Tropico del Cancro.

Pertanto, se la prossima volta la Russia deciderà di aprire il fuoco sulle navi estoni, vietando la libertà di navigazione, il misero Stato chihuahua non avrà alcuna garanzia NATO a sostegno della sua ingiustificata aggressione; la Russia è libera di annientare la Marina estone, composta in totale da sei navi in ​​servizio.

Patrushev, uno dei principali collaboratori di Putin, ha recentemente affermato:

Patrushev: Mosca non permetterà alcuna invasione dei suoi interessi nazionali nei Paesi Baltici

Nell’attuale difficile situazione politico-militare, la Flotta del Baltico sta rafforzando le proprie posizioni, garantendo in modo affidabile la sicurezza della navigazione e prevenendo le provocazioni delle forze navali degli stati nemici, ha affermato Nikolai Patrushev, assistente del Presidente russo e presidente del Comitato marittimo russo.

Ora la Russia ha dato una risposta equa, come ci ha portato oggi. la notizia dell’ultima ora secondo cui la Russia ha sequestrato una nave cargo che trasportava petrolio di scisto dal porto estone di Sillamäe:

Queste enormi petroliere in partenza dal porto sono state costrette ad attraversare in parte le acque territoriali russe, in base a regole concordate, a causa dei bassi fondali che costeggiano la costa estone; ma ora i funzionari estoni hanno dichiarato che dirotteranno le loro petroliere attraverso acque più pericolose per evitare il territorio russo.

Gli estoni, incomprensibilmente servili, stringevano le perle e facevano finta che fosse la Russia a comportarsi in modo “imprevedibile”:

“L’incidente di oggi dimostra che il comportamento della Russia continua a essere imprevedibile, quindi rivolgetevi alle navi indicate lungo la seconda traiettoria”, ha affermato Tsahkna.

Forse la Russia voleva semplicemente assicurarsi che l’assicurazione della petroliera fosse a norma?

Ma naturalmente, la Reichsführer von der Leyen, non eletta, ha già avviato la fase successiva di escalation che praticamente costringerà i parrocchetti baltici a continuare a protestare contro la Russia:

Il piano concordato segretamente, proprio come il fondamentale documento della RAND volto a “sbilanciare e sovraccaricare” la Russia armando l’Ucraina, ruota attorno all’aumento della tensione proprio sui punti di pressione chiave della Russia, uno dei quali è la zona baltica, Kaliningrad, ecc. Ciò significa che possiamo aspettarci più tattiche aggressive contro le navi russe illegalmente escluse dall’ottenimento dell’assicurazione, ma ora la Russia rafforzerà più che mai la sua flotta baltica in risposta.

I propagandisti finlandesi sostengono che la Russia stia già adottando alcune misure nei confronti di Gogland:

Nel frattempo, questo divertente estratto dagli ultimi esercizi di difesa estoni ci offre uno sguardo su come i potenti combattenti baltici si stanno allenando per sconfiggere il pazzo Ivan:

Non ho trovato il video

L’eliminazione del ferito “Ivan” nell’ambito delle esercitazioni “Hedgehog-2025” delle Forze di difesa estoni: i media locali si vantano del fatto che ranger, riservisti e membri del Kaitseliit vi abbiano preso parte vicino al confine russo.

Ma la cosa più importante è che alle esercitazioni hanno partecipato soldati provenienti da oltre 10 paesi NATO: Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Canada, Lettonia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania, Polonia e Portogallo. Osservatori provenienti da Giappone, Israele e… Ucraina.

Davvero terrificanti: quanto pensi che resisterebbero al fronte? Tutte quelle urla copriranno sicuramente almeno i bombardamenti dei droni in lontananza:

Ecco una risposta perfetta a quanto sopra, che sottolinea ciò che ho detto: leggete con molta attenzione:

La cosiddetta “flotta ombra” a) non è nemmeno russa e b) non è illegale. Si riferisce alle petroliere che operano senza assicurazione occidentale – spesso navi vecchie, battenti bandiera di paesi terzi, che eludono le sanzioni. Sono semplicemente al di fuori del quadro normativo e assicurativo occidentale, il che non è intrinsecamente illegale.

In terzo luogo, queste navi navigano in acque internazionali, tra cui lo Stretto di Danimarca e altre rotte chiave nel Baltico. In base all’UNCLOS, hanno pieno diritto di passare. Non viene violata alcuna legge.

Questo è tutto ciò che l’Europa ha lasciato nel suo piano di gioco: non è riuscita a superare la Russia in guerra, non è riuscita a convincerla con l’inganno a un cessate il fuoco anticipato, ora progetta di orchestrare una spirale di escalation senza fine in modo che – con l’aiuto dei suoi organi di informazione statali, totalmente sotto controllo e non indipendenti – possa propagandare i propri cittadini con la minaccia dello “spettro” russo, al fine di cercare di costruire un consenso sull’utilizzo di tutti i fondi pubblici rimanenti per mobilitare una vasta macchina da guerra e fermare la Russia. È esistenziale per loro: se la Russia vince questa guerra, la cabala europea crollerà per sempre – il sole tramonterà per sempre sull'”Ordine Liberale Occidentale”.


Il vostro supporto è inestimabile. Se avete apprezzato la lettura, vi sarei molto grato se vi impegnaste a sottoscrivere un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, così da poter continuare a fornirvi report dettagliati e incisivi come questo.

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Il matrimonio non s’ha da fare, di Cesare Semovigo e @Luckyluke311

Il matrimonio non s’ha da fare

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Con oggi avviamo la collaborazione con Luckyluke311, autore dell’omonimo canale su X.com_Buona lettura, Giuseppe Germinario

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Un articolo di

@Luckyluke311

& Cesare Semovigo

italiaeilmondo.com

Presupposti non entusiasmanti

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Italiaeilmondo.com

I colloqui del 15 maggio 2025 a Istanbul, proposti da Putin il 10 maggio senza precondizioni, rappresentavano il primo dialogo diretto tra Russia e Ucraina dopo anni. Tuttavia, sono stati segnati da confusione, ritardi e dolo, tantissimo dolo.

Zelensky ha insistito per un cessate il fuoco preliminare, criticando la delegazione russa come “decorativa” e indicando una mancanza di serietà, come se non avesse mai ballato in una discutibile danza con pianoforte in compagnia della sua coda.

La Turchia ha mediato, ma le delegazioni si trovavano in città diverse, evidenziando profonde divisioni. Zelensky ha sfidato Putin a incontrarlo di persona, ma il leader russo ha inviato una delegazione di medio livello, frustrando le aspettative ucraine e dimostrando di padroneggiare la tattica diplomatica, prevedendo le mosse della controparte con disinvoltura. Gli accordi di Minsk, violati in passato, alimentano la sfiducia, con Mosca che considera Kiev poco affidabile, in assenza di elementi che ne dimostrino i limiti e l’autonomia.

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La delegazione Ucraina

La presenza di funzionari americani, come Marco Rubio, suggerisce un interesse di circostanza, senza convinzione. Come pronosticato, non si sono registrati progressi significativi, peggiorando le prospettive future.

Diplomazia Vs Sbu . Un fallimento in streaming.

La delegazione di Kiev era composta per l’80% da membri degli apparati di intelligence militare, e solo per il 20% da politici e diplomatici .

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Poklad ”direttore risorse umane “ SBU

I negoziati del 2025 rappresentano il primo tentativo serio di dialogo diretto tra Mosca e Kiev da anni, ma sono stati influenzati da fattori esterni. L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2024 ha introdotto un riorientamento della politica estera americana, con un approccio più pragmatico al conflitto ucraino. Trump ha incoraggiato entrambi i leader a sedersi al tavolo, ma la sua influenza ha anche generato incertezze, spingendo Zelensky a colloqui diretti, pur senza un cessate il fuoco preliminare. La Turchia, guidata dal presidente Recep Tayyip Erdogan, ha colto l’opportunità – non per merito, ma per mancanza di alternative – per rafforzare il proprio ruolo di mediatore regionale, ospitando i colloqui a Istanbul e costruendo l’autorevolezza diplomatica del paese. Tuttavia, la scelta di Istanbul non è priva di ironia: la città, crocevia tra Europa e Asia, simboleggia la complessità del conflitto, che coinvolge non solo Russia e Ucraina, ma anche potenze globali come Stati Uniti, Unione Europea e la via prediletta del dialogo Est-Ovest.

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Aleksander Poklad, vice capo SBU, con sguardo fisso alla destra del Ministro della Difesa Umerov . Tavolo delle trattative Ucraina-Fed Russa Turchia

I negoziati del 15 maggio 2025

Il 10 maggio 2025, Vladimir Putin ha proposto colloqui diretti senza precondizioni a Istanbul, fissando la data per il 15 maggio, con l’obiettivo dichiarato di “eliminare le cause profonde del conflitto” e raggiungere una pace duratura. Zelensky ha risposto che un cessate il fuoco preliminare era necessario, proponendo una tregua di 30 giorni a partire dal 12 maggio, richiesta ignorata da Mosca.

Nonostante ciò, i colloqui sono andati avanti, ma con delegazioni di livello intermedio. Curiosamente, Zelensky, che ha definito la delegazione russa “decorativa” e “teatrale”, ha schierato diplomatici ucraini di prestigio, tra cui una figura che, secondo fonti, avrebbe “licenziato” al ritorno a Kiev, nonostante il suo ruolo nei negoziati turchi del 2022 per evitare la cancellazione di un’intera generazione ucraina.

Secondo fonti, il 15 maggio le delegazioni si trovavano in città diverse: Zelensky ad Ankara, i russi a Istanbul, evidenziando una mancanza di coordinamento. I colloqui, posticipati al 16 maggio, non hanno prodotto risultati significativi. Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato di non aspettarsi “nessun breakthrough”, data la supposta assenza di figure di spicco nella diplomazia russa.

Zelensky ha insistito per un cessate il fuoco preliminare, posizione supportata da alleati europei come Francia, Regno Unito, Germania e Polonia, che avevano dato a Putin un ultimatum fino al 12 maggio per accettare o affrontare nuove sanzioni, dimostrando opportunismo e scarsa volontà di giungere a un accordo. Putin, invece, ha proposto colloqui senza precondizioni, suggerendo che Mosca mirasse a un dialogo aperto, ma con condizioni implicite, come la neutralità ucraina, considerata inaccettabile da Kiev e dagli europei, eredi proxy del contesto Dem-neocon, soprattutto a ridosso di trattative. Sorprendentemente, sembrano dimenticare chi abbia vinto sul campo e le basi strategiche di chi, in una guerra, possa dettare condizioni.

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Starmer e Zelensky

Questa divergenza riflette profonde divisioni. La leadership russa, composta da diplomatici e avvocati formatisi nell’era sovietica, si scontra con una controparte ucraina che sempre più analisti definiscono un “tendone da circo”, con figure provenienti dallo show business che seguono script prestampati da sceneggiatori occulti. Le differenze non sono solo culturali, ma esistenziali: Mosca ragiona in termini di diritto e strategia, con signorilità nonostante le provocazioni; Kiev vive di emotività, riflettori mediatici e decisioni per interposta persona.

Questa frattura è emersa nei colloqui, con Zelensky che ha criticato la delegazione russa come non seria, mentre Putin, assente, ha lasciato che i suoi rappresentanti gestissero un processo che sembrava più un esercizio di immagine che un tentativo genuino di pace.

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Tirana terra di “Volenterosi” .

Perché Putin ha proposto i negoziati?

Se i negoziati erano una partita persa in partenza, perché proporli? La risposta risiede nella natura del conflitto ucraino, che trascende l’Europa orientale per assumere una dimensione globale. Il Cremlino sa che l’Ucraina è un pezzo raro di un puzzle più ampio, nello spazio e nel tempo, in cui si gioca la ridefinizione degli equilibri mondiali e i conti lasciati aperti dal passato.

Proponendo colloqui, Mosca non mira tanto a un accordo con Kiev, quanto a rafforzare la sua immagine e le sue ragioni, mostrando al mondo – in particolare ai Paesi non allineati con l’Occidente – con chi ha dovuto confrontarsi. L’atteggiamento di Zelensky, che si proclama al di sopra delle leggi da lui stesso firmate, è un assist per questa narrazione. Ogni passo falso ucraino, ogni dichiarazione sopra le righe, erode l’immagine di Kiev come “vittima innocente” e rafforza la tesi russa di un’Operazione Militare Speciale resa inevitabile dall’instabilità del regime ucraino, strumento delle ambizioni transatlantiche.

Questo gioco di specchi è calcolato, ma non privo di rischi. I colloqui, pur fallimentari, offrono a Mosca una piattaforma per evidenziare le contraddizioni di Kiev, mentre la comunità internazionale, da Ankara a Pechino, osserva con crescente scetticismo le promesse occidentali di sostegno incondizionato all’Ucraina. Nel frattempo, l’Europa, ostaggio di una crisi energetica autoimposta e di leadership screditate, si trova a un bivio: continuare a finanziare una guerra senza fine, fuggendo dalla realtà, o accettare un trattato omnicomprensivo che presuppone assunzioni di responsabilità che, a quanto pare, nessuno ha il coraggio di affrontare.

Questi concetti meritano una riflessione, un rimprovero, un monito a chi sosteneva che Mosca avesse perso la battaglia mediatica. Sottovalutare chi ha dimestichezza con cicli e spazi quasi infiniti conduce spesso in errore anche le menti più brillanti.

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La Turchia e la sua esclusiva diplomatica

L’Impero tergiversa ancora

Il fallimento dei negoziati del 15 maggio 2025 riflette profonde divisioni. Il tono istrionico, quasi schizofrenico, di Zelensky si infrange contro la serietà russa, decisa a non arretrare di un metro. Un trattato di pace completo è essenziale, ma le divisioni rendono il processo complesso, richiedendo un impegno serio e libero da condizionamenti irresponsabili.

La storia degli accordi di Minsk, violati ripetutamente, suggerisce che la fiducia è scarsa, e il tempo si sta esaurendo. Se si esaurisse, non sarebbe positivo per nessuno.

Mentre Zelensky si esibisce in un monologo da eroe tragico, Putin, dietro le quinte, raccoglie un’altra vittoria sul campo, rafforzando vantaggi strategici. La pace, se mai arriverà, non sarà il frutto di un’improvvisazione, ma di un calcolo geopolitico freddo e razionale. Più la diplomazia perde efficacia, più la soluzione prende piede: un successo senza se e senza ma, sul campo.

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I segnali dalla Nuova Germania del riarmo . Ambizioni di storica memoria .

Sintesi & Cronologia / Fonti

  • Sembra probabile che i negoziati tra Russia e Ucraina in Turchia il 15 maggio 2025 fossero destinati a fallire, a causa di posizioni divergenti e mancanza di fiducia.
  • Le differenze tra le leadership russa e ucraina, con delegazioni di diverso livello, hanno reso difficile un accordo.
  • Putin potrebbe aver proposto i colloqui per scopi strategici, come mostrare le difficoltà con Kiev,già conscio della natura temporeggiatrice e teatrale del meeting .
  • Un trattato di pace completo sembra necessario, ma è complesso da raggiungere, data la storia di violazioni come gli accordi di Minsk e la prima trattiva ad Ankara sempre bloccata da interessi alieni e ben identificabili .

Fonti

  • Officials From Russia and Ukraine Are in Turkey, But Will Peace Talks Take Place?The New York Times
  • Zelenskiy says he will meet Putin after Trump tells him not to await truceReuters
  • Peace negotiations in the Russian invasion of UkraineWikipedia
  • Peace breakthrough unlikely as Putin declines to meet Zelenskiy in TurkeyReuters
  • Zelenskyy challenges Putin to meet him in Turkey ‘personally’ for ceasefire talksNPR
  • ‘Significant step’: Russia-Ukraine talks in Turkiye – what to expectAl Jazeera
  • Zelenskyy hopes for truce, says he’ll meet Putin ‘personally’ in TurkiyeAl Jazeera
  • Putin proposes direct peace talks with Ukraine after three years of warCNBC
  • Ukraine-Russia talks back on track but Rubio expects no breakthroughThe Washington Post
  • Russia and Ukraine to hold first direct talks in years in IstanbulThe Washington Post
  • UKRAINE AND RUSSIA LAUNCH PEACE TALKS IN TURKEY – X post by WorldXReport
  • Russia’s delegation approved by Vladimir Putin – X post by DJFunkyGrrL
  • Ukraine ready to meet Russia but only if ceasefire agreed – X post by venik44
  • Turkey mediated peace talks with American and Ukrainian officials – X post by Josef_Alexandr

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Merz e Starmer

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Il futuro appartiene ai patrioti: Conversazione con George Simion

Il futuro appartiene ai patrioti: Conversazione con George Simion

George Simion, il candidato alle presidenziali rumene, parla con The American Conservative.

Bucharest,,Romania.,13th,Jan,,2025:,George,Simion,,Leader,Of,The

Credito: LCV/Shutterstock

Jovan Tripkovic

14 maggio 202512:03

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Mentre la Romania si avvia al secondo turno delle elezioni presidenziali del 18 maggio, un candidato ha attirato l’attenzione dei media di tutto il mondo. George Simion, leader dell’Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR), sta conducendo una campagna nazionalista, populista e decisamente anti-establishment, che trae chiara ispirazione dal libro di Donald Trump.

Nel corso della campagna, Simion si è posizionato come un convinto difensore della sovranità della Romania, un campione dei valori della famiglia e un sostenitore di elezioni libere ed eque. La sua piattaforma fonde nazionalismo economico e conservatorismo sociale con una politica estera che enfatizza legami più stretti con gli Stati Uniti e un allontanamento dall’Unione Europea.

In un’intervista rilasciata a The American Conservative, Simion parla del futuro della Romania, delle potenziali alleanze con i leader populisti dell’Unione europea e della sua convinzione che un’ondata patriottica stia investendo il continente.

Perché così tanti rumeni sono profondamente disillusi dall’élite politica di Bucarest?

Finora la Romania è stata governata da leader-fantoccio che prendevano ordini dai globalisti in Europa e negli Stati Uniti. Ma le cose stanno finalmente iniziando a cambiare. I romeni stanno abbracciando i valori del buon senso e stanno sostenendo un outsider, un candidato anti-establishment pronto a opporsi alla classe politica radicata che ha fallito nel Paese negli ultimi 35 anni.

Siamo un partito politico giovane, strettamente allineato al Partito Repubblicano degli Stati Uniti e al movimento MAGA. È quindi naturale che, dopo la storica vittoria schiacciante di Donald Trump, stiamo assistendo a un risultato simile in Romania.

Il governo rumeno ha annullato le elezioni dello scorso anno semplicemente perché non gli piaceva il risultato. Non sono riusciti a garantire un trasferimento democratico e pacifico del potere. Sono qui per ripristinare la Costituzione, sostenere la democrazia e riportare lo Stato di diritto.

Se domenica prossima diventasse presidente della Romania, che ruolo avrebbe Călin Georgescu nella sua amministrazione?

Lasceremo che sia il popolo a decidere. È prassi comune che il Presidente rumeno convochi un referendum sulle principali questioni nazionali. Si tratta di una forma di democrazia diretta e di un forte esempio di buon governo.

È stato il rumeno più votato, quindi ha il diritto di assumere qualsiasi ruolo scelga. Ma prima dobbiamo ripristinare la democrazia, l’ordine costituzionale e lo Stato di diritto. Solo allora chiederemo al popolo rumeno di esprimersi su questa importante questione.

Quali saranno le sue principali priorità nei primi 100 giorni di presidenza?

In una campagna normale, mi concentrerei su temi come la tassazione, la riduzione della burocrazia e la riduzione delle procedure burocratiche, proprio come ha fatto il nostro amico Javier Milei in Argentina.

Ma questi sono tempi straordinari. In questo momento, le nostre priorità principali devono essere quelle di garantire elezioni libere ed eque, ripristinare l’ordine costituzionale e rilanciare il partenariato strategico della Romania con gli Stati Uniti.

Siamo in grave pericolo dopo l’esclusione dal programma Visa Waiver degli Stati Uniti. C’è anche la possibilità incombente di chiudere le basi militari americane, fondamentali per mantenere la pace, la stabilità e la sicurezza.

Senza sicurezza, non ci può essere prosperità o forti relazioni economiche con altri Paesi. Ecco perché questi temi saranno tra le mie principali priorità nei primi 100 giorni di presidenza.

GliStati Uniti hanno recentemente revocatoLa Romania ha revocato lo status di paese esente da visti e alcuni analisti avvertono che le potenziali tariffe americane potrebbero spingere il Paese verso la recessione. Pensate di avviare negoziati con il presidente Trump su questioni come il commercio, le tariffe e i visti?

Abbiamo già discusso con funzionari del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Sicurezza Nazionale. Abbiamo una tabella di marcia. Una volta che la Romania sarà tornata a una governance democratica e che il golpe di stato in corso sarà terminato, sposteremo la nostra attenzione sui negoziati bilaterali con l’amministrazione Trump.

Come presidente, come immagina il futuro delle relazioni tra la Romania e gli Stati Uniti?

Il 18 maggio, sia in Romania che in Polonia si terranno le elezioni presidenziali. Sono orgoglioso di chiamare amico Karol Nawrocki, uno stretto alleato e il probabile successore del Presidente Andrzej Duda. Insieme, potremmo diventare due presidenti pro-MAGA impegnati a rilanciare la nostra partnership con gli Stati Uniti e a rafforzare la stabilità lungo il fianco orientale della NATO.

La Romania è un importante acquirente di armi statunitensi e ospita il sistema di difesa antimissile della NATO. Come presidente, sosterrebbe l’aumento del bilancio della difesa e incoraggerebbe gli altri membri della NATO a rispettare i loro impegni?

È un’ottima domanda. La Romania è un partner serio della NATO: abbiamo rispettato i nostri obblighi di difesa. In effetti, la Romania, la Polonia e gli Stati baltici sono tra i pochi Paesi che hanno rispettato gli impegni richiesti dall’appartenenza alla NATO.

Non è qualcosa su cui Donald Trump deve insistere, è buon senso. Se volete protezione e sicurezza sotto l’ombrello della più potente alleanza militare della storia, dovete pagare la vostra parte.

Sono disposto a pagare un prezzo equo per le nuove attrezzature militari e a investire ancora di più nel nostro bilancio della difesa. Voglio anche sostenere e rafforzare la nostra industria nazionale della difesa. Mi candido come candidato “Romania First” e, in quest’ottica, sono particolarmente interessato ad aumentare la spesa militare in modo da creare posti di lavoro ben retribuiti qui in patria.

La Romania ha una lunga storia di produzione di petrolio e un’infrastruttura ben sviluppata per il gas. La sua amministrazione prenderebbe in considerazione la costruzione di un grande terminale per il GNL americano, una questione importante per l’attuale amministrazione statunitense?

Di recente abbiamo scoperto 20 milioni di barili di petrolio e abbiamo gas naturale in abbondanza, sia onshore che offshore nel Mar Nero. Il nostro obiettivo è raggiungere l’indipendenza energetica e salvaguardare le nostre risorse alimentari, idriche e minerarie. La Romania è ricca di rame, sale, oro, praticamente tutti gli elementi della tavola periodica.

La mia piattaforma è a favore del business e della crescita. Mi è piaciuta molto una frase che il Presidente Trump ha usato durante il suo discorso di insediamento: “Drill, baby, drill”. Questo è esattamente l’approccio che vogliamo adottare. Dobbiamo creare le condizioni giuste per creare forti opportunità commerciali bilaterali, come quella che ha citato nella sua domanda.

Sia lei che Călin Georgescu siete stati dipinti come outsider politici a Bruxelles e in altre capitali europee. Chi vedete come potenziali alleati all’interno dell’Unione europea?

Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen hanno paura di noi – e dovrebbero averne. Perderanno il potere, e lo perderanno attraverso il processo democratico e la volontà del popolo.

Abbiamo lanciato il movimento MEGA – Make Europe Great Again – dopo che Elon Musk ha postato su X: “Da MAGA a MEGA”. Per onorare quel momento, gli abbiamo consegnato la prima tessera ufficiale.

È importante tornare dai cittadini e chiedere il loro voto. Nel Parlamento europeo abbiamo tre gruppi politici chiave: i Conservatori e Riformisti Europei (ECR), i Patrioti per l’Europa e l’Europa delle Nazioni Sovrane. Tutti e tre stanno ottenendo il sostegno dell’opinione pubblica nei 27 Stati membri dell’UE.

Il nostro partito politico fa parte dell’European Conservatives and Reformists (ECR). Il gruppo è attualmente guidato da Mateusz Morawiecki, che è stato primo ministro della Polonia per sei anni, mentre io sono il suo vicepresidente. Anche il partito di Giorgia Meloni fa parte dell’ECR. Credo che questi gruppi e partiti siano i nostri alleati naturali in Europa.

Il secondo turno delle elezioni presidenziali è previsto per il 18 maggio. Sulla base dei risultati passati e delle tendenze attuali, la sua vittoria appare probabile. È preoccupato che Bruxelles o le élite liberali europee possano tentare di interferire?

Hanno già interferito negli ultimi cinque mesi. L’ambasciatore francese in Romania ha essenzialmente condotto una costante campagna politica per il mio avversario, Nicusor Dan, il sindaco di Bucarest. Tutto ciò che voglio è che queste elezioni siano libere ed eque.

Sono certo che cercheranno di manipolare il voto. Il giorno delle elezioni, ci aspettiamo anche una significativa interferenza da parte di agenzie di intelligence legate a vari Paesi dell’Unione Europea.

Siamo una nazione orgogliosa con persone capaci che lavorano nelle nostre istituzioni. Sono certo che tutti comprendono i rischi. Non permetteremo che si ripeta l’elezione dell’anno scorso.

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Se si verificano tali interferenze, quali azioni siete pronti a intraprendere? Vede il Presidente Trump e il Vicepresidente Vance come partner chiave nell’aiutarvi a navigare e risolvere una potenziale crisi politica?

Il discorso del vicepresidente Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco è stato un unguento per la nostra anima: ha detto la verità. Vogliamo giustizia. Vogliamo costruire un futuro per la nostra nazione, proprio come ha chiesto il Presidente Trump nel suo discorso alle Nazioni Unite.

Il futuro appartiene ai patrioti. Combatterò per la libertà, proprio come hanno fatto i miei antenati. Mi batterò per garantire che la Romania e le altre nazioni europee rimangano parte del mondo libero e forti alleati degli Stati Uniti, la più grande nazione del mondo.

L’autore

Jovan Tripkovic

Jovan Tripkovic è un giornalista specializzato nell’intersezione tra religione, politica e relazioni internazionali. Seguilo su X @jovan_tripkovic.

Serve meno Europa? Cosa è la Unione Europea 1a parte Con Stefano D’Andrea

Cos’è l’Unione Europea? Un organismo internazionale, uno Stato, un similstato? Un soggetto attivo al suo interno o nell’agone internazionale o una espressione di stati nazionali e di voleri esterni? Quale funzione svolge? Tutti quesiti ai quali, in Italia, ancor più che in Europa, si evita o si fatica a dare risposta. Il più delle volte gli attori politici rifuggono dal porsi addirittura domande appropriate. Ci ha provato, fatto abbastanza inedito in Italia, Stefano D’Andrea con il suo acume e la sua puntigliosità. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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La Russia resta ferma a Istanbul mentre la Cabala UE esaurisce le opzioni, di Simplicius

La Russia resta ferma a Istanbul mentre la Cabala UE esaurisce le opzioni

Simplicius17 maggio
 LEGGI NELL’APP 

Si sono svolti i tanto attesi negoziati di Istanbul tra Russia e Ucraina e, benché io abbia lamentato la natura “secondaria” di queste distrazioni, vale la pena menzionare la sessione odierna per ciò che ha rivelato sulla posizione della Russia.

In primo luogo, va detto senza mezzi termini che tutti i pessimisti che sostenevano che la Russia stesse capitolando e che Putin fosse di nuovo “ingannato” verso un disastro in stile Minsk-3 si sono rivelati in errore. A quanto pare, la squadra russa si è dimostrata persino più decisa del previsto sulle richieste principali.

Ricordiamo anche che l’Ucraina aveva già ammesso che il suo unico obiettivo nei negoziati era quello di spingere per una tregua o un cessate il fuoco con la Russia, dato che ora l’agenda comune tra Zelensky e l’Europa è quella di costringere la Russia a un cessate il fuoco di 30 giorni. Questo verrebbe esteso a tempo indeterminato, in modo che le truppe europee possano essere inviate sul teatro di guerra e il conflitto congelato definitivamente, mentre l’Ucraina viene rifornita fino al collo di aiuti più letali.

Inizialmente, la parte ucraina sembrava aver cercato di “intimidire” la parte russa indossando uniformi militari, mentre la parte russa indossava abiti formali:

I primi resoconti sostenevano che fosse presente un interprete per la lingua ucraina, ma il deputato ucraino Goncharenko ha confermato che in realtà è stato utilizzato il russo:

Come osserva sopra, la parte russa apparentemente ha rifiutato qualsiasi offerta di cessate il fuoco e ha chiesto il ritiro dell’Ucraina dalle quattro regioni di Cherson, Zaporozhye, LPR e DPR. Tuttavia, la situazione si fa più spinosa quando si afferma che i russi hanno dato all’Ucraina un ultimatum: accetta questo accordo o la prossima volta chiederemo una quinta regione.

Se solo l’Ucraina fosse così fortunata!

In effetti, fonti russe hanno corretto questa versione in 8 regioni :

“Non abbiamo detto cinque. Abbiamo detto otto.”

Dove sono ora i pessimisti che sostenevano che Putin avrebbe capitolato?

Presumibilmente queste otto regioni sarebbero le quattro precedenti: LPR, DPR, Kherson e Zaporozhye, più le già citate Sumy, Kharkov, Odessa e Nikolayev. Questo coprirebbe ampiamente il “probabile” scenario arancione di seguito:

Goncharenko ha confermato ancora una volta:

Altre citazioni includono la Russia che sostanzialmente minaccia di essere disposta a combattere per sempre per raggiungere i suoi obiettivi:

Un’altra citazione interessante:

Durante i negoziati, uno dei membri della delegazione ucraina ha dichiarato che la Russia prevede di attaccare la Polonia nel 2030.

La delegazione russa rise e Medinsky chiese di “non spostare i negoziati nel genere fantasy”.

Il fatto è che l’Occidente sta solo ora lentamente accettando la realtà: la Russia sta vincendo e ha tutta la forza per dettare le condizioni. Tuttavia, la stampa scandalistica occidentale si sforza ancora di attenuare la realtà, come nell’ultimo articolo del NYT che cerca di affermare che la Russia sta chiedendo sproporzionatamente più di quanto dovrebbe, in base ai risultati ottenuti:

https://archive.ph/PXqQt

Cercare di spacciare gli attuali progressi della Russia per “pollici” quando le difese dell’Ucraina stanno crollando su ogni fronte è oltre ogni ridicolo sofismo. L’articolo riporta la citazione di Putin di marzo, in cui esprimeva la sua opinione secondo cui la Russia è vicina a distruggere l’Ucraina:

“Abbiamo motivo di credere che siamo pronti a finirli”, ha detto Putin, aggiungendo: “La gente in Ucraina deve rendersi conto di cosa sta succedendo”.

Ma ovviamente, come al solito, l’articolo tira fuori la bufala secondo cui la Russia sta subendo un “costo elevato” per i suoi “magri” guadagni. Un costo così elevato che persino MediaZona è stata costretta a smettere di aggiornare le perdite russe dopo che erano scese a un livello così “scomodamente” basso.

Elaborare i numeri

Torniamo ora al tema delle perdite russe e della rigenerazione della forza lavoro, ora che abbiamo nuovi dati a disposizione.

Ieri Syrsky ha annunciato che il contingente russo in Ucraina ha raggiunto la cifra sbalorditiva di 640.000 unità. Da notare anche la sua affermazione secondo cui la Russia ha trasformato il conflitto in una “guerra di logoramento”, il che è un riconoscimento importante:

Ho riesumato gli aggiornamenti degli ultimi tre anni sul totale delle truppe russe: ecco cosa confermano i dati:

Nel 2023 , Bloomberg ha annunciato che il numero delle truppe russe era di 420.000:

https://archive.ph/SRBYB

Nel 2024 , il capo dell’intelligence militare ucraina Vadim Skibitzky rivelò all’Economist che il numero aveva raggiunto quota 514.000:

https://archive.ph/wxEDp

all’inizio del 2025 ? Erano saliti a 600.000:

https://kyivindependent.com/ukraines-military-now-totals-880-000-soldiers-facing-600-000-russian-troops-zelensky-says/

Abbiamo scoperto che il numero delle truppe russe nel teatro ucraino aumenta ogni anno di circa 100.000 unità .

La domanda più ovvia è: che tipo di “perdite ingenti” può subire la Russia se riesce ad aumentare il suo numero di soldati di 100.000 unità ogni anno?

Solo due giorni fa Putin ha dichiarato che l’Ucraina arruola 30.000 uomini al mese, mentre la Russia ne recluta ogni mese 50.000-60.000:

Ma proviamo a fare qualche nuovo calcolo per dare concretezza a questi numeri.

Vedete, l’ unico aspetto della rigenerazione della forza lavoro russa che tutti gli altri analisti trascurano è il reclutamento russo basato su contratti. Tutti calcolano le perdite nette rispetto ai volontari senza capire che la stragrande maggioranza dell’esercito russo in Ucraina è ora composta da truppe a contratto, costantemente sotto pressione a causa di contratti scaduti.

Con l’aiuto di un bot di intelligenza artificiale, sono riuscito a elaborare alcuni di questi numeri:

Innanzitutto, partiamo dal presupposto che la Russia avesse circa 450.000 soldati prima di stipulare il contratto a tempo pieno. Vale a dire, dopo la fine del 2022, quando la Russia ha lanciato la mobilitazione per 300.000 uomini, aggiungendoli ai circa 150.000 che già possedeva.

Quindi, la sfida diventa capire come la Russia sia passata da circa 450.000 agli attuali 640.000, accumulando perdite e contratti di non rearruolamento. A titolo di breve accenno, ecco una recente pubblicità dell’esercito russo. Prestate particolare attenzione al termine “1 anno di servizio” pubblicizzato:

Innanzitutto, come facciamo a sapere quali sono le durate dei servizi più gettonate: 6 mesi, 1 anno o 2 anni?

L’IA effettua le seguenti stime approssimative:

Questo è abbastanza ragionevole.

Considerando la “media” di 6, 12 e 24 mesi (42/3), si ottengono circa 14 mesi. Ciò significa che, se la Russia recluta 350.000 soldati a contratto all’anno (circa 30.000 al mese x 12, utilizzando una stima di base inferiore), la maggior parte di quella riserva viene eliminata ogni 14 mesi a causa della scadenza del contratto. Tuttavia, una certa quantità si arruolerà nuovamente . Come si può calcolare una percentuale di rearruolamento? AI condivide le sue riflessioni:

  • In tempo di pace, gli eserciti moderni registrano spesso tassi di rearruolamento compresi tra il 40% e il 60% per i contratti del primo mandato, con tassi più elevati tra i sottufficiali di carriera e gli specialisti.
  • Nelle guerre con un alto tasso di vittime e un elevato livello di stress, i tassi di rearruolamento in genere diminuiscono. Ad esempio, durante le guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan, i tassi di rearruolamento al primo mandato per le truppe da combattimento a volte scendevano al di sotto del 40%, soprattutto nelle unità con un elevato numero di perdite.

Prosegue dicendo:

Considerato quanto sopra, una stima ragionevole per le truppe russe a contratto in Ucraina è di un tasso di reinserimento del 30-40% .

Osserva che il re-arruolamento sarebbe probabilmente inferiore per coloro che scelgono un mandato di 6 mesi e superiore per coloro che scelgono un mandato di 2 anni, perché rappresentano personale più orientato alla carriera e più incentivato.

Ma supponiamo che la media sia pari al 30-40% dichiarato, e otteniamo qualcosa del genere:

Di questi circa 30.000, circa 11.000 si arruoleranno nuovamente, anche se la cifra potrebbe essere più alta.

Ma per amore di discussione, otteniamo qualcosa del tipo:

In altre parole, la Russia potrebbe perdere fino a 18-20.000 soldati al mese solo per la scadenza dei contratti. A questo si aggiungono almeno altri 10.000 soldati al mese persi irreparabilmente, tra morti e feriti irreparabili. Questo equivale a circa 5.000 morti al mese, ovvero 160 al giorno.

Gli ultimi dati provenienti da MediaZona e le stesse insinuazioni di Trump sono in linea con questo. Ad esempio, è stato riportato che la Russia ha raggiunto il traguardo di 100.000 “morti confermati” il 29 marzo, e poi quello di 108.000 circa 45 giorni dopo, il 15 maggio. Dividendo l’aumento di 8.000 unità in 45 giorni, otteniamo esattamente 177 morti al giorno. I feriti irrecuperabili sarebbero probabilmente lo stesso numero al giorno, quindi possiamo stimare 300-350 perdite totali al giorno (circa 10.000 al mese), che dovrebbero essere coperte da nuove reclute.

Per coprire 10.000 perdite nette, più circa 20.000 scadenze contrattuali, più un’ulteriore crescita mensile di 8.000 unità per sostenere la comprovata espansione delle forze armate di 100.000 unità all’anno, la Russia dovrebbe reclutare quasi 40.000 unità al mese. Putin, nel video qui sopra, afferma che la Russia ne recluta 50.000-60.000 al mese. Si possono alterare leggermente i numeri, ad esempio se si ritiene che la Russia subisca perdite superiori a 10.000 unità al mese – diciamo 15.000 – allora si possono aggiungere altri 5.000 unità al reclutamento mensile necessario, oppure si possono ridurre leggermente le scadenze contrattuali.

Inoltre, ricordiamo che la Russia starebbe formando altri eserciti di riserva che non rientrano nemmeno nel contingente di 640.000 uomini in Ucraina, come abbiamo riportato di recente. A seconda della crescita di queste forze di riserva, possiamo supporre che le perdite mensili della Russia o le scadenze dei contratti siano inferiori alle aspettative; oppure che il nuovo numero di reclutamento di Putin di 50-60.000 unità sia effettivamente corretto, il che coprirebbe tutto, inclusa la nuova crescita delle riserve.

C’è una piccola precisazione a quanto detto sopra: si tratta di una semplificazione eccessiva basata su numeri statici, quando in realtà la forza russa sta crescendo e richiederebbe un moltiplicatore che complicherebbe eccessivamente il mio punto. Ma i numeri generali dovrebbero dare un’idea approssimativa di cosa stiamo affrontando in termini di rapporti tra abbandono dei contratti, perdite, crescita della generazione netta di forze, ecc.

Per ribadire il punto più importante: quando l’intera generazione di forze si basa su contratti limitati, diventa assolutamente necessario ipotizzare un’equazione che tenga conto di un enorme ricambio mensile di contratti, ovvero di persone che scelgono di non arruolarsi nuovamente. L’unica domanda è quanto dovrebbe essere grande questa percentuale; AI ipotizza una media del 37% – forse si può sostenere che i russi siano “più patriottici” e che una percentuale molto più alta di loro si arruola nuovamente. È difficile esserne certi, ma di certo non può essere il 100%. Un 30-65% al massimo sembra realistico. Gli ufficiali sarebbero molto più numerosi, i soldati semplici meno. 6 mesi, 1 anno e 2 anni danno una media di 14 mesi, il che significa che ogni 14 mesi viene consumato l’intero periodo di reclutamento, meno i rearruolamenti.

Una breve nota sulla situazione dell’Ucraina, che ho già menzionato in precedenza, ma che vorrei ripetere per i nuovi abbonati. Come riesce l’Ucraina a mantenere la sua composizione delle forze armate nonostante perdite presumibilmente molto più elevate?

Ecco un esempio di quanto sia relativamente facile reclutare abbastanza persone per sostenere le perdite:

Supponiamo che l’Ucraina subisca 500-600 perdite gravi al giorno, che potrebbero tradursi in 250-300 morti e 250-300 feriti. Questo equivarrebbe a 15-18mila al mese. Se pensate che la cifra sia il doppio, allora immaginate che il totale sia di 30mila al mese.

Il punto è questo: l’Ucraina ha 24 oblast, ognuno dei quali comprende decine di città, villaggi, paesi, insediamenti, ecc. Ipotizziamo che l’Ucraina abbia bisogno di un rifornimento mensile di 15-30.000 persone, come indicato sopra. Per chiarire il concetto, usiamo anche la cifra più alta. Ciò significa che l’Ucraina deve reclutare 30.000 persone al mese, il che equivale a 1.000 al giorno, da tutto il Paese. Dividendo questo numero per 24 oblast, otteniamo 41 persone al giorno da ogni oblast .

Una rapida ricerca mi dice che ogni oblast ucraino ha in media 1.500 insediamenti totali di ogni tipo, sebbene la maggior parte siano minuscoli. Immaginate quanto sia facile eliminare 41 persone al giorno da un bacino di 1.500 insediamenti. Praticamente basta catturare una sola persona al giorno da una città di medie dimensioni, e la quota è raggiunta. È un’impresa piuttosto facile. Ciò significa che l’Ucraina non ha davvero bisogno di sudare per rimpiazzare le oltre 30.000 perdite al mese, ancora meno se le perdite ammontano a 15.000. E non credo che l’Ucraina abbia subito perdite particolarmente pesanti negli ultimi mesi, in cui il conflitto si è attenuato.

Pertanto, non dovremmo aspettarci necessariamente un crollo improvviso e catastrofico, ma il continuo e lento logoramento del personale ucraino fino a raggiungere un punto critico molto più tardi. Ma ricordiamoci che l’Ucraina non ha un “rimescolamento contrattuale” come la Russia: non c’è alcuna smobilitazione in Ucraina. Ogni singolo soldato “reclutato” è lì fino alla morte, con un avvertimento: l’Ucraina ha un enorme problema di diserzione , paragonabile alle smobilitazioni contrattuali della Russia.

Ma soprattutto significa che l’intera cifra di “mobilitazione” mensile dell’Ucraina (che sia di 20.000 o 30.000 unità al mese) rappresenta la sostituzione delle perdite, a differenza del caso della Russia, dove la maggior parte probabilmente rappresenta il turnover contrattuale, con le perdite che ne costituiscono la componente minore. Pertanto, possiamo supporre che le perdite dell’Ucraina siano di almeno 20.000-30.000 unità al mese, e forse di più, nel qual caso l’Ucraina non raggiungerà il “pareggio di bilancio”, ma perderà lentamente personale complessivo. Questo potrebbe essere corretto, dato che Zelensky sembra aver precedentemente affermato che l’AFU aveva più di 1 milione di persone, ora ridotte a un numero dichiarato di 880.000.

A questo proposito, oggi è avvenuto un altro scambio di cadaveri: si parla di 909 cadaveri ucraini scambiati con 34 cadaveri russi:

Oggi ha avuto luogo uno “scambio di cadaveri” (militari morti da entrambe le parti)

L’Ucraina ha ricevuto le salme di 909 militari caduti, la Russia di 34.

Grafico dello scambio di salme per gli anni 23-25. In totale, la Russia ha trasferito 7.790 salme, l’Ucraina 1.408.

Sembra che la Russia abbia “limitato” gli scambi esattamente a 909 per ragioni sconosciute, ma come al solito è uno spaccato delle disparità nelle perdite, anche se ovviamente non racconta la storia completa.

Allo stesso modo, un altro resoconto sullo scambio di prigionieri concordato mette in luce un altro argomento su cui ho a lungo evangelizzato:

Lo scambio di 1.000 per 1.000 prigionieri, annunciato da Umerov, è senza dubbio una buona notizia.

Secondo alcuni dati, si tratta di circa la metà di tutti i prigionieri di guerra russi detenuti in Ucraina e solo del 15-20% circa dei prigionieri ucraini detenuti in Russia.

Pertanto, la maggior parte delle truppe russe tornerà finalmente a casa, mentre la maggior parte dei prigionieri ucraini rimarrà ancora in custodia. Si tratterebbe potenzialmente del più grande scambio di prigionieri dall’inizio del conflitto.

Informatore militare

Ma non preoccupatevi, l’Ucraina resta fiduciosa nelle sue risorse umane:

Ora, i vertici militari ucraini ritengono che la Russia abbia già iniziato la stagione offensiva:

 La Russia ha già iniziato la sua offensiva estiva – ha affermato il portavoce del gruppo delle Forze armate ucraine “Kharkov”

“Non bisogna aspettarsi un cessate il fuoco nel prossimo futuro”, ha aggiunto Shamshin.

Anche alcune fonti dell’intelligence ucraina hanno dichiarato la stessa cosa al FT:

https://archive.ph/4MxmJ

Funzionari dell’intelligence ucraina hanno dichiarato al Financial Times che la Russia sembra prepararsi per un’offensiva su vasta scala, spostando le sue forze nei punti caldi del campo di battaglia, anziché segnalare la propria disponibilità per i colloqui di pace.

Gli ultimi giorni hanno visto enormi progressi per la Russia su tutto il cruciale fronte Pokrovsk-Toretsk, così come su altri fronti. I progressi sono così numerosi che è quasi impossibile elencarli tutti.

Iniziamo dal settore settentrionale, vicino a Kupyansk, fino a Lyman. Le forze russe hanno espanso il territorio su più assi; i cerchi rossi rappresentano nuove conquiste territoriali:

La cosa più importante è notare quanto RF si stia avvicinando a Lyman, che a sua volta è l’ultimo varco principale prima di Slavyansk.

Il principale canale televisivo militare russo RVvoenkor sostiene che Torskoye sia stata completamente liberata, basandosi sulla dichiarazione diretta del Ministero della Difesa russo:

Ma altri mappatori non hanno ancora dimostrato che sia così. L’analista russo Starshe Edda ha scritto questo su Torskoye:

Il villaggio di Torskoye è stato liberato, le nostre truppe si stanno muovendo verso Krasnyj Liman. Ricordo come quasi due anni fa, durante la ritirata e i combattimenti più duri, la 144ª Divisione delle Guardie, guidata dal suo allora comandante di divisione, si aggrappò ai reggimenti forestali a est di Torskoye e, sanguinante, non cedette. Si formò il saliente di Torskoye, dove un tratto di terra, bombardato da tre lati, era difeso dalla Fanteria d’Acciaio e non permetteva al nemico di tagliare fuori questa testa di ponte. Poi, dopo aver resistito a tutti gli attacchi nemici, passammo all’offensiva e ora Torskoye è nostra. Gloria ai nostri Guerrieri, vivi e morti!

La geolocalizzazione mostrata mostrava che le truppe russe della 144ª Divisione Motorizzata dei Fucilieri della Guardia erano solo entrate nel villaggio, senza liberarlo completamente:

E Suriyak contraddice allo stesso modo quanto sopra:

Nonostante l’annuncio del Ministero della Difesa russo sulla cattura completa, gli scontri con l’esercito ucraino continuano lungo la strada che conduce al centro di Tors’ke.

Bisognerà aspettare e vedere.

Si sono registrati dei progressi più a nord, nei pressi di Stepy, ma per ora ci concentreremo sulle direzioni più importanti.

Più a sud, le truppe russe si avvicinarono alla conclusione di Chasov Yar, conquistando nuovi blocchi:

:

A ovest, vicino a Velyka Novosilka, le forze russe hanno esteso il controllo anche a est di Komar

E appena a ovest, come si vede nella parte inferiore della mappa sopra, le forze russe hanno catturato Volnoye Pole a 47.87481178077348, geolocalizzazione 36.6859345132803 :

Unità della 5ª Armata Interforze della Guardia del Gruppo di Forze “Est” hanno conquistato il villaggio di Volnoye Pole in direzione di Donetsk Sud. Il confine amministrativo della regione di Dnipropetrovsk in quest’area dista circa 7 km.

Ma veniamo al nocciolo delle nuove conquiste: la linea Pokrovsk-Toretsk. La Russia ha migliorato le sue posizioni su tutta la linea, praticamente ovunque.

Nella periferia occidentale di Pokrovsk, le forze russe iniziarono ad avanzare attraverso Zvirove e Leontovychi, raggiungendo quasi i limiti fisici della città di Pokrovsk:

Ora spostate leggermente l’attenzione a est di Pokrovsk, dove si svolsero anche le attività più importanti. Cerchiate in rosso sono Malynovka, Myrolyubovka e Mykolaivka, tutte e tre interamente o quasi interamente conquistate:

Assalto riuscito a Myrolyubovka:

Lo stesso vale per Mykolaivka:

Ciò sta ovviamente creando un grande calderone avvolgente attorno all’agglomerato di Myrnograd-Pokrovsk:

Più a est, verso Toretsk, la situazione per l’AFU è ancora peggiore, di gran lunga la più critica sul fronte attuale. Poco a sud di Konstantinovka, questa vasta regione di 50-60 km² tra Stara Mykolaivka e Zorya è quasi precipitata in un calderone:

Tutto ciò fu precipitato dall’audace avanzata russa lungo la strada principale verso Zorya:

Ma se pensavate che fosse tutto, vi sbagliavate. Sul fianco occidentale di questo fronte, dirigendosi verso Konstantinovka, le forze russe avanzarono ulteriormente nella zona di Novoolenovka:

Le fortificazioni ucraine lì sono serie, poiché gli accessi a Konstantinovka sono stati fortificati da tempo:

Ci furono altri progressi, in particolare nella regione settentrionale di Sumy, dove le forze russe conquistarono un’altra piccola porzione di territorio “cuscinetto” ucraino oltre confine.

Il comandante del “Gruppo Centrale”, responsabile della direzione Pokrovsk-Toretsk e della cattura di Avdeevka, era il Colonnello Generale Andrej Mordvičev. Putin lo ha ora nominato comandante di tutte le Forze di Terra russe, in sostituzione dell’anziano Oleg Saljukov:

No, non si è trattato di un “licenziamento” dovuto a incompetenza, ma semplicemente del fatto che la legge russa proibisce ai generali di superare i 70 anni. Salyukov compirà 70 anni la prossima settimana, quindi verrà trasferito al Consiglio di sicurezza nazionale russo, il che è un segno del rispetto di Putin nei suoi confronti.

Mordvichev è notoriamente odiato dagli ucraini, essendo l’uomo che si dice abbia guidato anche le operazioni di Mariupol e Azovstal:

Putin gli aveva precedentemente conferito la più alta onorificenza russa:

Il ruolo di Mordvichev come comandante del Gruppo Centrale sarà assunto da Valery Solodchuk, che a quanto pare è stato responsabile del successo della controoperazione Kursk che ha cacciato l’AFU dal territorio russo. Solodchuk era stato precedentemente designato come “ucciso” in un attacco ucraino:

Ironicamente, anche Mordvichev è stato dato per morto dagli organi di propaganda statale ucraini nel 2022:

Ciò dimostra quanto ridicola, a posteriori, sia stata la propaganda a buon mercato dell’Ucraina.

Mordvichev sembra essere una stella nascente e presumibilmente il candidato ideale per sostituire Gerasimov, a seconda di come continuerà a comportarsi. Ma non è perfetto: nel 2023 avevo pubblicato un suo video in cui sembrava prevedere che la guerra sarebbe finita entro la “primavera del 2024”, eppure eccoci qui.

Ora che le tanto attese trattative dirette sono terminate, si torna al tavolo da disegno per la convention dei clown:

La stampa occidentale sta già riportando che i negoziati sono stati una grande “vittoria per il Cremlino”, con l’Ucraina che ancora una volta se ne va a mani vuote. I piani dell’Euro-cabala sono per ora falliti, con persino Merz che si è tirato indietro annunciando che i missili Taurus non saranno forniti a breve. L’Europa è di nuovo al punto di partenza, con l’Ucraina sull’orlo del collasso nel mezzo di un’imminente offensiva russa su larga scala; i “fatidici alleati” hanno poche alternative.

Concludiamo con questa stimolante riflessione sui negoziati, da un canale russo:

La pace è peggio della morte. Capitolare significa trasformarsi in una massa.

Il 15.05.25 inizieranno i negoziati a Istanbul. L’argomento esatto non è stato ancora annunciato, né il formato. Ma è necessario stabilire cosa la nostra delegazione non dovrà permettere.

Il 12 maggio 1820 morì il filosofo e teorico del nazionalismo russo Konstantin Krylov e il 29 maggio 1874 nacque lo scrittore cristiano britannico G.K. Chesterton, eminente pensatore e “re del paradosso”.

Krylov, osservando l’Ucraina dopo il 2014, ha affermato: “Se la gente capitola all’Ucraina, si può fare assolutamente qualsiasi cosa con loro”. Questo è stato detto prima dell’inizio dell’SMO.

Da “La taverna del viaggiatore” (1914) di Chesterton: “Oggi ho visto qualcosa di peggio della morte. Si chiama pace.”

Krylov e Chesterton erano separati dal tempo, dallo spazio e dalla nazionalità, ma scrivevano della stessa cosa: la tutela della dignità umana, la preservazione dell’uomo stesso.

Un esperimento mostruoso è stato condotto sulla Malorossiya: è stata trasformata in un’Ucraina ibrida, un paese con una storia virtuale, un’etnia fittizia. La gente è stata strappata via dalle tradizioni, dalle radici nazionali. La Rus’ è stata trasformata in Vyrus. Gli ex russi sono stati costretti a vivere esclusivamente nel mondo materiale, trasformati in un asino che rincorre una carota appesa a una corda davanti al loro naso. Per il bene della “carota” europea tutto è stato gettato nella spazzatura: fede, nazionalità, lingua madre, statualità. E gli ucraini sono stati offesi, ma non da loro stessi, bensì dalla Russia. Questo risentimento bruciante è al centro del conflitto nel Donbass, nella rabbia verso chi voleva rimanere un popolo, e non una plebe.

Non c’è cattiveria che gli ucraini non commetterebbero contro i propri cari per il bene della guerra con la Russia. Il risentimento si mescolava alla paura, nello stile del pensiero cannibale: se non mangio, allora sarò mangiato (se non mando qualcuno al fronte, allora rischio di marcire vicino a Toretsk).

Capitolare all’Ucraina significa trasformarsi in una massa. Qualsiasi giustificazione economica e politica è irrilevante. La capitolazione equivale alla morte spirituale.

Gli inglesi sostengono Zelensky e soci dalla parte ucraina. E quindi, a Istanbul, si verificherà una distorsione dei significati e la capitolazione a Ragulyatnik avanzerà.

La Russia non può arretrare nemmeno di poco, altrimenti otterremo un mondo che sarà peggiore della morte, anche se questo non ce ne rendiamo conto immediatamente.

La penisola di Kinburn non può essere ceduta all’Ucraina, e non solo perché impedisce ai banderiti di passare liberamente dal Dnepr al Mar Nero. Suvorov difese la penisola di Kinburn dallo sbarco turco nel 1787. Questo è il luogo della gloria delle armi russe.

La centrale nucleare di Zaporižžja non può essere consegnata. Molto sangue russo è stato versato per difenderla, e l'”atomo pacifico” è il vessillo del prestigio di uno stato normale.

Ed è così importante affrontare ogni punto della trattativa con l’Ucraina. Trump non è un decreto. Per lui, la pace in Ucraina è un accordo, per la Russia è una garanzia di sopravvivenza. Ci sono momenti in cui è più utile ascoltare gli scrittori che i politici. Sono arrivati.


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Mario Draghi: l’appello di Coimbra. Testo integrale

Mario Draghi: l’appello di Coimbra. Testo integrale

Mario Draghi ormai ci sta abituando ai continui aggiustamenti delle sue profetiche sentenze. Scusate l’ossimoro, ma ormai queste giungono sempre troppo tardi e non colgono l’aspetto centrale delle questioni. Sino a pochi giorni fa parlava di divario incolmabile del differenziale europeo sulla intelligenza artificiale (IA) con gli Stati Uniti; oggi diventa strenuo sostenitore della necessità di colmarlo. Si arrabatta a sollecitare un coordinamento centralizzato delle politiche europee, specie di difesa, ma elude sui presupposti, politici e culturali, che dovrebbero sottendere a questo proposito. Rappresenta la massima espressione del metodo funzionalista di costruzione della Unione Europea (UE) apparentemente privo di strategie politiche. In apparenza, per l’appunto. Il sotteso rimane sempre quello: la ragione d’essere della UE rimane l’ostilità alla Russia, secondo la visione e gli interessi di una sola parte dei paesi e leadership europei e soprattutto statunitensi. Gli sfugge un piccolo particolare: questa opzione sta perdendo rovinosamente terreno proprio negli Stati Uniti. Il nodo gordiano irrisolvibile rimane la discrasia, fonte primaria di polarizzazione e divisione interna, tra i criteri stabiliti dalla Commissione Europea e l’adozione di questi da parte di stati e governi in condizioni strutturali diverse e con diverse capacità di influenza nella determinazione delle regole europee. Un genio ormai talmente incompreso da far dubitare delle sue facoltà. Giuseppe Germinario

«Torneremo a investire in Europa, in modo massiccio e responsabile.

Affronteremo gli interessi consolidati che oggi ostacolano il nostro cammino verso un futuro basato sull’innovazione piuttosto che sul privilegio.

E proteggeremo e preserveremo la nostra libertà.»

In Portogallo, davanti a capi di Stato europei, Mario Draghi ha stabilito una nuova diagnosi e fissato una rotta.

Pubblichiamo il suo appello di Coimbra.

Autore Il Grand Continent • Cover © SIPA

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A Coimbra, una delle più antiche città universitarie del continente, nel Convento di San Francesco dove si è tenuta oggi l’edizione 2025 del Vertice COTEC, davanti al re di Spagna e al presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa, l’ex presidente del Consiglio e della Banca centrale europea ha pronunciato un discorso chiave.

Andando oltre il suo rapporto e quello di Enrico Letta — che cita più volte nel suo intervento — Draghi ha lanciato un nuovo appello all’azione dopo il suo discorso al Parlamento europeo a Bruxelles.

Questo aggiornamento — iniziato a Roma davanti al Senato in un precedente intervento a febbraio — assume qui una svolta ancora più radicale.

Oltre agli appelli a investimenti massicci e a un debito comune, l’ex banchiere centrale chiede un’accelerazione della deregolamentazione, uno shock che dovrebbe portare all’abolizione dei privilegi e delle rendite di posizione per sbloccare finalmente la crescita europea di fronte alla minaccia russa e alla rottura trumpista.

Questo appello inizia con un monito: sebbene forte e fondata su un potente mercato unico, l’Unione è anche uno degli attori più esposti alla guerra commerciale, data la sua apertura al mondo. Anche se riuscisse a trovare un accordo con Trump, gli shock indiretti dei dazi doganali a livello mondiale la colpirebbero duramente.

Come nel suo rapporto, Mario Draghi passa anche in rassegna i settori che ritiene fondamentali per i quali occorre trovare soluzioni a brevissimo termine per ritrovare l’autonomia: l’energia, le nuove tecnologie e la difesa.

Non è un caso che Draghi si sia recato a Coimbra sullo stesso aereo ufficiale del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, che poche settimane fa ha delineato il programma di resistenza contro la «vassallaggio felice».

Secondo lui, al termine di una «crisi ventennale», oggi ci sono le condizioni per un cambiamento radicale.

La storia dell’Europa può tornare a scriversi al futuro?

Con il suo Appello di Coimbra, Mario Draghi sembra esserne convinto.

Signore e signori,

sono particolarmente onorato da questo invito a riflettere insieme sulle sfide per l’Europa derivanti da questo periodo di profondi cambiamenti nel commercio e nelle relazioni internazionali.

Questi cambiamenti sono in atto da diversi anni e la situazione aveva iniziato a deteriorarsi già prima dei recenti sconvolgimenti tariffari. Finora, la frammentazione politica interna e la crescita lenta hanno ostacolato una risposta europea efficace.

Ma gli eventi recenti rappresentano un punto di rottura. Il vasto ricorso ad azioni unilaterali per risolvere controversie commerciali, insieme alla definitiva delegittimazione del WTO, hanno minato l’ordine multilaterale in un modo difficilmente reversibile.

Per essere una grande economia, l’UE è altamente aperta al commercio.

Quasi un quinto del nostro valore aggiunto totale proviene dalle esportazioni, il doppio rispetto agli Stati Uniti. Più di 30 milioni di posti di lavoro sono sostenuti dalle esportazioni, circa il 15% dell’occupazione. E registriamo anche un ampio surplus delle partite correnti di circa il 3% ogni anno, il che implica che – in termini netti – assorbiamo domanda dal resto del mondo.

Questa apertura aumenta notevolmente l’esposizione della nostra crescita e occupazione alle azioni di policy dei nostri partner commerciali e a cicli politici che hanno origine al di fuori dell’Europa. E la nostra principale esposizione è verso gli Stati Uniti.

Siamo esposti direttamente, poiché gli Stati Uniti sono il nostro maggiore mercato di esportazione, con oltre il 20% delle nostre esportazioni di beni che attraversano l’Atlantico.

E siamo esposti indirettamente, poiché gli Stati Uniti sono la principale fonte di domanda per i nostri partner commerciali. Ciò significa che se la domanda statunitense vacilla, anche le importazioni dei nostri partner dall’Europa vacilleranno. Le analisi della BCE mostrano che, in caso di shock al PIL degli Stati Uniti, questi effetti indiretti sull’area dell’euro superano in realtà gli effetti diretti.

Le recenti azioni dell’amministrazione statunitense avranno certamente un impatto sull’economia europea. E anche se le tensioni commerciali dovessero diminuire, è probabile che l’incertezza persista e agisca come un vento contrario per gli investimenti in tutto il settore manifatturiero dell’UE.

Ora, dovremmo chiederci come mai siamo finiti nelle mani dei consumatori statunitensi per guidare la nostra crescita. E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli.

Realisticamente, non possiamo diversificarci dagli Stati Uniti nel breve periodo. Possiamo e dovremmo cercare di sbloccare nuove rotte commerciali e far crescere nuovi mercati. Ma qualsiasi speranza che un’apertura al mondo possa sostituire gli Stati Uniti è destinata a essere delusa.

Gli Stati Uniti rappresentano quasi due terzi del deficit commerciale globale di beni. Le altre due maggiori economie – Cina e Giappone – registrano anch’esse persistenti surplus delle partite correnti. Dovremo quindi raggiungere con gli Stati Uniti un accordo che ci lasci aperto un accesso.

Nel lungo periodo, tuttavia, è un azzardo credere che torneremo alla normalità nel nostro commercio con gli Stati Uniti, dopo una rottura unilaterale così importante in questa relazione – o che nuovi mercati cresceranno abbastanza velocemente da colmare il divario lasciato dagli USA.

Se l’Europa vuole davvero essere meno dipendente dalla crescita degli Stati Uniti, dovrà produrla da sé.

La prima azione che dobbiamo intraprendere è cambiare il quadro di politiche macroeconomiche che abbiamo progettato dopo la grande crisi finanziaria e la crisi del debito sovrano.

Fino ad allora, l’UE aveva avuto una posizione delle partite correnti sostanzialmente equilibrata e una domanda interna adeguata. Ma di fronte alle conseguenze di queste crisi – una ripresa lenta e un alto debito pubblico – i governi hanno cercato di riorientare l’economia verso i mercati mondiali e importare domanda dall’estero.

Il quadro aveva tre elementi principali.

Il primo era una politica fiscale restrittiva. Dal 2009 al 2019, la posizione fiscale complessiva nell’area dell’euro, corretta per il ciclo, è stata in media dello 0,3%, rispetto al -3,9% negli Stati Uniti. La principale vittima di questo consolidamento sono stati gli investimenti pubblici, che sono scesi di quasi un punto percentuale come quota del PIL e non hanno recuperato i livelli pre-crisi fino alla pandemia.

Il secondo elemento era rappresentato da un’attenzione alla competitività esterna più che alla produttività interna.

Dal 2000, la crescita annuale della produttività del lavoro nell’UE è stata solo la metà di quella degli Stati Uniti, causando un divario di produttività cumulativo di 27 punti percentuali nell’intero periodo. Ma invece di cercare di invertire la tendenza della produttività, abbiamo costruito le nostre politiche del lavoro in modo da adattarle ad essa.

Soprattutto dopo le crisi, abbiamo fatto uno sforzo deliberato per reprimere la crescita dei salari in modo da aumentare la competitività esterna. I nostri salari reali non sono riusciti a tenere il passo nemmeno con la nostra lenta produttività, mentre i salari reali negli Stati Uniti sono aumentati di 9 punti percentuali in più rispetto ai salari nell’area dell’euro nello stesso periodo.

Questa repressione salariale ha frenato i consumi e ha rafforzato il colpo alla domanda interna causato dalla politica fiscale restrittiva. Prima del 2008, la domanda interna nell’area dell’euro cresceva circa allo stesso ritmo degli Stati Uniti. Da allora, la domanda interna negli Stati Uniti è cresciuta a un ritmo più che doppio.

Il terzo elemento è consistito essenzialmente nel rinunciare allo sviluppo del mercato interno come fonte di crescita.

Le regole non sono state applicate, i procedimenti d’infrazione sono diminuiti del 75% dopo il 2011. E si sono fatti pochi progressi nell’abbassare le barriere interne nei servizi. Sorprendentemente, le barriere esterne nei servizi sono diminuite più velocemente di quelle interne, reindirizzando la domanda al di fuori dell’UE.

Questo contesto ha portato a una depressione dei tassi di rendimento per gli investitori, e il capitale è stato spinto fuori dall’UE alla ricerca di opportunità. Dal 2015 al 2022, le grandi società quotate europee hanno avuto un tasso di rendimento sul capitale investito di circa 4 punti percentuali inferiore rispetto ai loro omologhi statunitensi.

Recenti rapporti commissionati dalla Presidente della Commissione Europea e dal Consiglio Europeo forniscono una tabella di marcia per un nuovo quadro di policy. Tra le varie indicazioni, propongono investimenti più elevati e lo smantellamento delle barriere che ostacolano il funzionamento del mercato interno.

Queste misure sono auto-rafforzanti.

Investimenti più elevati possono generare un forte impulso alla domanda interna, compensando qualsiasi vento contrario proveniente da una domanda statunitense più debole. Barriere interne più basse aumenteranno l’elasticità dell’offerta, contribuendo a mitigare le pressioni inflazionistiche che derivano da maggiori investimenti – soprattutto se il commercio mondiale diventa più frammentato.

Parallelamente, un mercato unico ben funzionante aumenterà la crescita della produttività, innalzando i tassi di rendimento e attirando più investimenti privati. E ciò porterà a sua volta a salari e consumi più elevati, sia per compensare la maggiore produttività, sia perché un mercato interno forte significa un minor focus sulla competitività esterna.

Per finanziare l’aumento degli investimenti, tuttavia, l’Europa si affida principalmente ai bilanci nazionali.

L’UE ha recentemente riformato le sue regole fiscali per consentire maggiori investimenti, oltre ad attivare la clausola di salvaguardia per facilitare maggiori spese per la difesa. Ma finora solo 5 dei 17 paesi dell’area dell’euro – che rappresentano circa il 50% del PIL – hanno optato per un periodo di adeguamento esteso secondo le nuove regole. E diversi paesi hanno indicato che non utilizzeranno la clausola di salvaguardia a causa della mancanza di spazio fiscale.

Il che sottolinea che, quando il debito è già elevato, esentare dalle regole fiscali determinate categorie di spesa pubblica può sì dare risultati, ma solo fino a un certo punto.

In questo contesto, l’emissione di debito comune dell’UE per finanziare spese comuni è una componente chiave della tabella di marcia politica. Può garantire che la spesa aggregata non risulti insufficiente. E può garantire – soprattutto per la difesa – che maggiori spese avranno luogo in Europa e che contribuiranno all’efficacia operativa e a una crescita economica più elevata di quanto avverrebbe altrimenti.

Inoltre, l’emissione di debito comune fornirebbe l’”anello mancante” nei frammentati mercati dei capitali europei, ovvero l’assenza di un asset sicuro comune. Ciò contribuirebbe a rendere i mercati dei capitali più profondi e liquidi, creando un circolo virtuoso tra tassi di rendimento più elevati e maggiori opportunità di finanziamento.

Nel complesso, questa tabella di marcia aumenterebbe la nostra crescita e, al contempo, dimostrerebbe che siamo in grado di produrre ricchezza per i nostri cittadini al nostro interno.

La nostra storia recente ci rende credibili nell’attuare un simile programma?

Si dice spesso che “l’Europa avanza solo in caso di crisi”. Ma a dire la verità la nostra crisi è iniziata quasi vent’anni fa.

È in quel periodo che la costruzione geopolitica creata dopo la Seconda Guerra Mondiale, e che aveva raggiunto il culmine con la caduta dell’Unione Sovietica, ha iniziato a sgretolarsi. Ed è in quel periodo che abbiamo iniziato a restare indietro sul fronte dell’innovazione globale e della tecnologia. Da allora in poi, però, per la maggior parte del tempo abbiamo ignorato tutti i segnali.

Consideriamo l’energia. Le nostre importazioni di gas dalla Russia hanno continuato a crescere anche dopo la sua invasione della Crimea, e ben oltre la fase in cui l’ostilità di Putin verso l’Occidente e l’UE era ormai stata ampiamente dichiarata.

Abbiamo pagato un prezzo elevato quando il gas è stato tagliato, perdendo più di un anno di crescita economica, e ora stiamo cercando di accelerare la transizione verso le energie rinnovabili per rafforzare la nostra indipendenza energetica. Ma questo richiede una trasformazione fondamentale del nostro sistema energetico che non siamo stati in grado di realizzare.

Siamo ostacolati dall’intermittenza intrinseca delle rinnovabili, dalle nostre reti inadeguate e dai lunghi ritardi burocratici per le nuove installazioni. Vediamo frequenti impennate dei prezzi dell’energia quando le rinnovabili non generano e devono essere utilizzate costose fonti di riserva. I prezzi elevati dell’energia e le carenze della rete sono, in primo luogo, una minaccia alla sopravvivenza della nostra industria, un grande ostacolo alla nostra competitività e un peso insostenibile per le nostre famiglie, nonché, se non affrontati, la principale minaccia alla nostra strategia di decarbonizzazione.

Sono necessarie tre linee d’azione. In primo luogo, dobbiamo mettere in campo un vasto piano di investimenti a livello europeo per costruire le reti e gli interconnettori necessari per far sì che una rete basata sulle rinnovabili risulti adeguata alla trasformazione energetica cui aspiriamo. In secondo luogo, dobbiamo riformare il funzionamento del nostro mercato dell’energia, lavorando per allentare il legame tra i prezzi del gas e quelli delle rinnovabili. È sconfortante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi particolari ormai consolidati. La Commissione Europea, che ha già creato una task force sulla trasparenza, potrebbe anche avviare un’indagine indipendente sul funzionamento complessivo dei mercati energetici dell’UE. E poiché in Europa il sole e il vento non possono garantire la sicurezza dell’approvvigionamento in nessuno scenario, dobbiamo essere pronti a utilizzare tutte le possibili fonti di energia pulita e ad essere neutrali verso nuove soluzioni energetiche.

Consideriamo poi la tecnologia. Con l’avanzare delle rivoluzioni del cloud computing e dell’IA, l’Europa si è ritrovata tagliata fuori. Eppure abbiamo continuato a creare un ambiente che ostacola l’innovazione radicale.

La frammentazione del nostro mercato unico ha ostacolato le startup tecnologiche nel tentativo di raggiungere la scala necessaria per avere successo in questo settore. Le nostre politiche di concorrenza non sono state in grado di adattarsi alla natura della trasformazione tecnologica che stava avvenendo davanti ai nostri occhi. Tra gli altri cambiamenti, l’innovazione avrebbe dovuto giocare un ruolo maggiore nelle decisioni sulla concorrenza.

E abbiamo permesso alla regolamentazione di crescere mentre i servizi digitali si espandevano. Alla base di ciò vi era una preoccupazione per la protezione dei consumatori certamente fondata, ma non si è preso in considerazione l’effetto sulle piccole imprese tecnologiche europee che – a differenza dei loro grandi concorrenti statunitensi – non avevano la capacità di adeguarsi. Ora, ci troviamo di fronte a un quadro normativo che risulta eccessivo in alcune delle aree chiave e, peggio ancora, frammentato. Ci sono oltre 270 regolatori attivi nelle reti digitali in tutti gli Stati membri.

Si dice che l’IA sia una tecnologia “trasformativa”, come lo è stata l’elettricità 140 anni fa. Ma l’IA è in realtà basata su un’orchestrazione di almeno altre quattro tecnologie: il cloud, con la sua capacità di memorizzare grandi quantità di dati; il _supercomputing_, con la sua capacità di eseguire rapidamente un enorme numero di operazioni per unità di tempo; la sicurezza cyber, che protegge i dati in settori altamente sensibili come la scienza, la difesa, la salute e la finanza; e infine le reti e la trasmissione dei dati, come il 5G e il 6G, la fibra ottica e e satelliti.

L’Europa ha perso terreno nell’IA e in tutte e quattro le altre tecnologie – e dobbiamo lavorare in tutte queste aree se vogliamo recuperare. Non sarebbe realistico pensare che si possa colmare questo divario nel breve termine, ma quel che potremmo e dovremmo fare è concentrarci su settori specifici che sono fondamentali per la crescita, il benessere e la sicurezza dei nostri cittadini.

Ad esempio, dovremmo creare un cloud strategico europeo che ci dia sovranità sui dati in domini critici, come la difesa e la sicurezza. Dobbiamo investire di più per costruire la nostra infrastruttura comune di supercalcolo, la rete Euro-HPC. E dobbiamo sviluppare una capacità europea di sicurezza cyber, poiché stiamo perdendo competitività nel 5G e siamo deboli nelle comunicazioni satellitari. Oggi, c’è un rischio concreto che l’Europa finisca per dover dipendere dalla tecnologia statunitense e cinese proprio nella componente più sensibile, che è la trasmissione sicura dei dati.

Tutto ciò richiederà una grande strategia industriale in Europa. Ed solo attraverso la messa in comune delle nostre risorse e capacità potremo raggiungere la scala che queste tecnologie richiedono.

Consideriamo ancora la difesa. Le crescenti minacce sul nostro confine orientale sono evidenti da almeno un decennio. La Russia non fa mistero di considerarci un nemico da indebolire tramite la guerra ibrida. Dieci anni fa ha invaso la Crimea, e tre anni fa ha proceduto a invadere l’Ucraina.

Ma mentre questa minaccia è aumentata, noi abbiamo fatto ben poco per rafforzare la nostra difesa comune. Oggi, l’Europa può contare su un organico militare di 1,4 milioni di unità, il che la rende una delle forze più grandi al mondo. Ma è divisa in 27 eserciti, senza una catena di comando comune, tecnologicamente frammentata e priva di strategie comuni – e tutto ciò ci rende irrilevanti dal punto di vista militare.

Con il ritrarsi dell’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti, stiamo cominciando a renderci conto della nostra debolezza. Ma l’unica cosa di cui dovremmo sorprenderci è la velocità di questo cambiamento. La strategia della Russia era stata annunciata già anni fa.

Potrebbe essere ormai troppo tardi per influenzare gli eventi a breve termine. Anche se abbiamo fornito circa la metà degli aiuti militari all’Ucraina, probabilmente saremo spettatori in una negoziato di pace che riguarda il nostro futuro e i nostri valori.

Ma non è troppo tardi per cambiare le prospettive tra 5-10 anni, se oggi prendiamo le misure giuste per sviluppare la nostra capacità industriale di difesa e le capacità strategiche.

Dobbiamo ridurre la frammentazione della nostra industria della difesa e incoraggiare il consolidamento in pochi grandi attori. Dobbiamo creare un piano di difesa europeo basato sull’interoperabilità tra tutti gli asset militari che produciamo – terra, mare, aria e spazio. Dobbiamo creare un cyberspazio europeo sicuro attraverso un maggiore coordinamento e investimento in tecnologie digitali comuni. E dire che tutto questo è un’utopia, impossibile da realizzare, equivale ad accettare la nostra irrilevanza militare.

E per quanto riguarda il settore spaziale, dobbiamo riformare drasticamente l’interazione tra le agenzie dell’UE e quelle nazionali, e abbiamo bisogno di un maggiore coinvolgimento del settore privato. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 50% degli investimenti spaziali è finanziato privatamente, mentre in Europa il settore pubblico finanzia l’80%. Il che a sua volta comporta gravi inefficienze, come il principio del ritorno geografico che frammenta il settore spaziale europeo e che dovrebbe essere abbandonato, poiché da decenni ostacola il progresso.

Tuttavia, non dovremmo dimenticare che i nostri padri fondatori ci hanno lasciato in eredità un’Europa di cui dovremmo essere orgogliosi. E mentre valutiamo le debolezze del presente dell’Europa, dovremmo cercare incessantemente speranza nel suo futuro.

Nelle occasioni in cui l’UE ha fatto salti significativi verso una maggiore integrazione, tre fattori sono stati tipicamente presenti.

Primo, una crisi che dimostra oltre ogni dubbio che il sistema precedente è diventato insostenibile. Secondo, un grande shock politico che sconvolge l’ordine istituzionale. E terzo, un piano d’azione già esistente cui tutte le parti possono aderire.

Prendiamo l’esempio della creazione dell’euro. L’idea era sul tavolo dagli anni ’60 ma era sempre stata vista come ben al di là delle possibilità attuali. Poi, in un breve lasso di tempo, i tre fattori si sono uniti.

Negli anni ’80 una serie di crisi dei tassi di cambio ha iniettato nell’economia una volatilità inaccettabile e ha reso le persone disposte a prendere in considerazione come alternativa possibile la moneta unica. Poi è avvenuta la riunificazione tedesca, che richiedeva un nuovo assetto per legare più strettamente la Germania all’Europa. E il Rapporto Delors, che era stato pubblicato nel 1989, ha fornito il piano d’azione per capitalizzare questo momento politico.

Oggi, per la prima volta in forse 30 anni, tutti e tre i fattori sono presenti di nuovo.

Dal 2020 abbiamo perso il nostro modello di crescita, il nostro modello energetico e il nostro modello di difesa. Gli europei avvertono in modo acuto il senso di crisi. Crescita, energia e difesa sono le aree fondamentali in cui i governi devono provvedere ai loro cittadini, eppure in ciascuna di esse ci siamo trovati ostaggio della sorte ed esposti alle decisioni imprevedibili degli altri.

Di conseguenza, lo stato d’animo diffuso tra industriali, lavoratori, politici e mercati è passato dalla noncuranza all’allarme. I rischi materiali cui andiamo incontro per la nostra crescita, i nostri valori sociali e la nostra identità, incombono su tutte le nostre decisioni.

Stiamo assistendo a grandi fratture istituzionali. Lo shock politico dagli Stati Uniti è massiccio. E ad esso si accompagnano un completo cambio di rotta in paesi come la Germania, e una nuova determinazione nella Commissione ad affrontare barriere e burocrazia.

E abbiamo l’inizio di un piano d’azione, che è quello offerto dai recenti Rapporti. Le raccomandazioni di policy in esse contenute sono oggi, se possibile, ancora più urgenti.

Torneremo a investire in Europa, in modo massiccio e responsabile. Affronteremo gli interessi consolidati che oggi ostacolano il nostro cammino verso un futuro basato sull’innovazione piuttosto che sul privilegio. E proteggeremo e preserveremo la nostra libertà.

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