Sudest asiatico e Sud globale: retorica e realtà, di Hoang Thi HaeCha Hae Won

Un articolo da leggere con attenzione, sotto diversi aspetti. Offre una lettura interessante, ma parziale, delle direttrici che informano le politiche e le dinamiche geopolitiche tracciate dal mondo occidentale a trazione statunitense da una parte e dalle potenze alternative, in primis Cina, India e Russia, ormai progressivamente affermatesi sullo scacchiere. La politica dei “valori” è certamente un veicolo e un biglietto da visita del mondo occidentale tanto più arrogante, quanto sempre meno gradito dalla quasi totalità del resto del mondo. Se da una parte rivela, appunto, l’arroganza e la pretesa di superiorità morale di una parte, dall’altra è una maschera tanto più angusta e tanto più strumentale all’alimentazione dei conflitti di natura tribale e politico-sociali di particolari paesi, quanto più la prosaicità delle dinamiche geopolitiche spinge ad adattare la retorica e l’imposizione e la rimestazione di questi “valori” a fini particolari. Basterebbe evidenziare, a titolo di esempio, il rapporto ambiguo ed ipocrita adottato dai paesi occidentali nei confronti del radicalismo islamico quando si tratta di destabilizzare i regimi in Africa e in Asia o di segmentare le realtà sociali delle proprie formazioni sociali in nome della difesa delle minoranze. L’articolo sfiora solamente un altro aspetto fondamentale destinato a segnare l’esito del confronto geopolitico e geoeconomico: il mondo occidentale ha ormai ben poco da offrire in termini di attività produttive e di partecipazione alle filiere economico-finanziarie, semplicemente perché ne è sempre meno in possesso. Tant’è che la potenza egemone occidentale, gli USA, è sempre più cosciente della necessità di recupero di queste capacità tutt’altro che semplice da realizzare; non lo è altrettanto della necessità di garantire una redistribuzione delle filiere all’interno del proprio “giardino di casa” tale da garantire solidità e sufficiente coesione ad una propria sfera di influenza concorrente con altre in formazione. Un dilemma, quindi, quello del mantenimento della “globalizzazione” che attraversa con modalità ed obbiettivi diversi e contrapposti non solo gli Stati Uniti, ma anche la Cina ed altri paesi, un po’ meno la Russia. Vi è, comunque, un anelito di emancipazione, giustamente sottolineato nell’articolo, che riguarda un numero sempre più ampio di paesi che al momento trovano un comune denominatore nell’individuazione di una propria strada autonoma e nella distinzione più o meno marcata dal mondo occidentale. Da qui alla fondatezza di una retorica di stabile e duratura contrapposizione del “sud globale” al mondo occidentale ce ne corre a dispetto dei partigiani a prescindere degli schieramenti che si stanno profilando. Più probabile che, man mano che il mondo occidentale arriverà a ridimensionarsi, probabilmente e sperabilmente a frammentarsi, ad equipararsi, a meno di tracolli, alla forza delle potenze emergenti, si arrivi ad una forma di multipolarismo che offra a tanti, maggiori opportunità, ma anche maggiori occasioni di conflitto diffuso. Più che di un dilemma tra pace e confronto catastrofico, una alternativa tra confronto catastrofico finale o di nuove forme possibili di bipolarismo opprimente da una parte ed uno stillicidio di focolai con protagonisti diversi ed alternativi in rapporto di cooperazione e/o conflitto connaturati ad una fase di multipolarismo sempre più accentuata dall’altra. Su questa eventualità si dovrà ragionare a dispetto delle stesse intenzioni ripetutamente espresse dal Sud-Globale di diniego di una fase multipolare, in realtà probabilmente ritenuta prematura dai centri decisori più decisivi, per circoscrivere le possibilità e le opportunità dei paesi europei e dell’Italia in particolare, classi dirigenti permettendo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Sudest asiatico e Sud globale: retorica e realtà

  • Mentre Cina, India e altri si contendono il ruolo di campione del Sud globale, le complessità del Sud-est asiatico sfidano la narrazione univoca

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Hoang Thi Ha
Cha Hae Won

Il “Sud globale” è diventato una parola d’ordine negli affari internazionali, in quanto le nazioni in via di sviluppo chiedono un ordine globale più equo. Ma quanto questa definizione è in grado di cogliere le complesse realtà di regioni come il Sud-Est asiatico?

La rinascita del discorso sul Sud globale è stata alimentata dall’intensificarsi della competizione tra grandi potenze, in quanto CinaIndia e altri si contendono l’influenza posizionandosi come suoi campioni.
La Cina è diventata abile nel cooptare il linguaggio del “Sud globale” per criticare l’Occidente e promuovere i propri interessi, propagandando la necessità di un “vero multilateralismo” e di una globalizzazione “universalmente vantaggiosa”. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha esortato i leader dell’Asean a “elevare il Sud globale nell’interesse comune di tutti”. E il Giappone ha cercato di essere un ponte tra il Sud globale e il Nord.

Tuttavia, la diversità all’interno del Sud globale stesso sfida le narrazioni semplicistiche. Le nazioni del Sud-Est asiatico, ad esempio, presentano una serie di livelli di sviluppo, preoccupazioni per la sicurezza e legami economici che le distinguono da una visione monolitica del “mondo in via di sviluppo”. Pur condividendo alcune sfide comuni, questi Paesi fanno scelte di politica estera basate principalmente sui loro interessi nazionali, piuttosto che allinearsi completamente alla retorica del Sud globale.

Questa sfumatura si perde spesso tra i grandi pronunciamenti delle grandi potenze. Mentre competono per guidare e rappresentare il Sud globale, rischiano di nascondere l’eterogeneità stessa che lo definisce. La vera solidarietà richiede la comprensione della complessità del Sud globale, non la sua sussunzione in comode categorie geopolitiche.

Il primo ministro indiano Narendra Modi ha già detto che il suo Paese sta “diventando la voce del Sud globale”. Foto: EPA-EFE

Sud globale: cosa c’è in un nome?

Il significato del termine “Sud globale” e la sua rilevanza analitica o politica rimangono controversi, data la varietà di Paesi in via di sviluppo che comprende. Il suo significato è spesso assunto e piegato da diversi Paesi per promuovere le proprie agende, ma in generale indica il divario socio-economico tra il “Nord” industrializzato e il “Sud” in via di sviluppo postcoloniale.

Il termine si è imposto negli anni ’70 e ’80 come alternativa meno dispregiativa al “Terzo Mondo”, usato per distinguere le nazioni in via di sviluppo non allineate dalle democrazie del “Primo Mondo” e dall’ormai defunto blocco comunista del “Secondo Mondo”. Per i suoi sostenitori, il Sud globale significa il desiderio di un ordine mondiale multipolare che sfidi i valori e i privilegi liberali occidentali.

Queste differenze di opinione si sono accentuate negli ultimi anni, a causa dello spostamento del potere globale dall’area transatlantica a quella indo-pacifica, dell’ascesa di potenze non occidentali come la Cina e l’India e del relativo declino dell’Occidente. Tuttavia, il fatto che Cina e India, i due leader autoproclamati del Sud globale, non siano in grado di forgiare una solidarietà asiatica a causa delle loro dispute territoriali e dei loro interessi nazionalistici, sottolinea l’eterogeneità intrinseca del concetto.

Nonostante queste contraddizioni, alcune caratteristiche sono generalmente associate al Sud globale. In primo luogo, rappresenta lo stato di sottosviluppo e il divario economico tra i Paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati, come si evince dall’appartenenza al Gruppo dei 77 contro l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico o G7. Questa frattura è percepita dal Sud globale come radicata nell’era coloniale e sostenuta dal capitalismo globale, perpetuato dagli squilibri del sistema internazionale del secondo dopoguerra che favoriscono i Paesi occidentali.

Il termine Sud Globale … fa riferimento a un’intera storia di colonialismo, neo-imperialismo e cambiamenti economici e sociali differenziati.

Storicamente, i Paesi del Sud globale hanno anche condiviso la solidarietà normativa nell’anticolonialismo, nell’anti-neocolonialismo, nell’anti-egemonismo e nella difesa del multipolarismo. Hanno sempre chiesto riforme della governance globale, sottolineando l’importanza della sovranità nazionale, resistendo alle agende occidentali centrate sui diritti umani e sulla democrazia e chiedendo un accesso più equo ai mercati, alle tecnologie e ai finanziamenti. Come giustamente affermato da Nour Dados e Raewyn Connel, “il termine Sud globale funziona più come una metafora per il sottosviluppo. Fa riferimento a un’intera storia di colonialismo, neo-imperialismo e cambiamenti economici e sociali differenziali attraverso i quali sono state mantenute grandi disuguaglianze negli standard di vita, nell’aspettativa di vita e nell’accesso alle risorse”.

Il concetto di Sud globale piace anche alle potenze non occidentali in cerca di maggiore influenza. Fa pressione sull’Occidente affinché si concentri maggiormente sulle esigenze economiche dei Paesi in via di sviluppo, anziché limitarsi a promuovere un’agenda basata sui valori. Sebbene il Sud globale sia un gruppo eterogeneo, l’uso sempre più frequente del termine dimostra che la realtà della sua esistenza conta meno del modo in cui le nazioni lo sfruttano per promuovere i propri interessi.

La Cina, in particolare, è stata attiva nel sostenere il Sud globale. Presentandosi come il più grande Paese in via di sviluppo del mondo, la Cina ha coltivato profondi legami istituzionali con questo gruppo di Paesi attraverso strutture come il “G-77 e la Cina“. Pechino ha anche ampliato strategicamente Brics per includere più Paesi in via di sviluppo. Ciò è in linea con gli sforzi della Cina di riposizionare il Sud globale come centrale nella sua politica estera, come si vede in iniziative come l’Iniziativa per lo sviluppo globale e l’Agenzia cinese per la cooperazione allo sviluppo internazionale.
Gli investimenti della Cina nel Sud globale servono ai suoi obiettivi strategici in un contesto di intensificazione della competizione con gli Stati Uniti e di allontanamento dall’Occidente. L’allineamento con il Sud globale consente alla Cina di sfidare il dominio occidentale e di acquisire maggiore influenza nella formazione dell’ordine globale. Ciò ha anche una forte logica economica, poiché i Paesi in via di sviluppo sono emersi come importanti mercati per i beni, gli investimenti e i finanziamenti cinesi. Di fronte al crescente protezionismo degli Stati Uniti e dei loro alleati, la Cina sta raddoppiando il suo orientamento economico verso il mondo in via di sviluppo.
Il presidente cinese Xi Jinping stringe la mano al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa a Pretoria lo scorso anno. Foto: Bloomberg
Sebbene gli Stati Uniti non abbraccino esplicitamente il concetto di “Sud globale”, riconoscono l’imperativo strategico di competere con la crescente influenza della Cina nel mondo in via di sviluppo. Ciò si riflette nei recenti cambiamenti politici, come la nuova strategia nei confronti dell’Africa subsahariana, l’inaugurazione del Partenariato per le Americhe per la prosperità economica e le sostanziali donazioni di vaccini Covid-19 a 116 Paesi in via di sviluppo. La proposta di un bilancio di 63 miliardi di dollari per il Dipartimento di Stato e l’USAID nel 2024 sottolinea questa priorità strategica di “sfidare la Cina” e affrontare le sfide dello sviluppo globale.

Tuttavia, l’approccio statunitense differisce da quello cinese. Mentre la Cina si concentra sulla costruzione di infrastrutture e sull’integrazione economica, l’agenda di sviluppo degli Stati Uniti è più orientata ai valori e pone l’accento su democrazia, parità di genere, lotta alla corruzione e azione per il clima.

Gli Stati Uniti hanno anche cercato di mettere in comune le risorse con i loro partner dell’Indo-Pacifico per offrire una “migliore proposta di valore” ai Paesi in via di sviluppo. Iniziative come il Quad Vaccine Partnership e il Build Back Better World del G7 mirano a soddisfare le esigenze infrastrutturali e ad affrontare le sfide globali. Tuttavia, questi sforzi hanno incontrato dei limiti in termini di risultati tangibili, spesso dovuti alla discrepanza tra piani ambiziosi e finanziamenti insufficienti.

Inoltre, lo spostamento dell’amministrazione Biden verso la sicurezza economica e la rivitalizzazione industriale in patria ha implicazioni per i Paesi in via di sviluppo. Una maggiore enfasi sul reshoring e sul friendshoring comporta maggiori restrizioni all’accesso al mercato, alle tecnologie e agli investimenti statunitensi. Inoltre, la dipendenza degli Stati Uniti dal settore privato per gli investimenti esteri in uscita pone dei limiti strutturali all’adeguamento rispetto agli investimenti statali della Cina nei Paesi in via di sviluppo.

Fuochi d’artificio illuminano il cielo notturno di Singapore. Sebbene il Sud-Est asiatico sia spesso raggruppato con il Sud globale, la regione presenta un’ampia diversità in termini di sviluppo economico. Foto: Xinhua

Punti di convergenza

Sebbene il Sud-Est asiatico sia generalmente classificato come parte del Sud globale, la regione presenta una notevole diversità in termini di livelli di sviluppo. Singapore e il Brunei si distinguono per i livelli di prodotto interno lordo pro capite superiori alla media OCSE e per gli indici di sviluppo umano paragonabili o addirittura superiori ai Paesi OCSE. I restanti Paesi del Sud-Est asiatico, invece, si collocano ben al di sotto della media OCSE, con un PIL pro capite compreso tra 1.000 e 12.000 dollari.
Per quanto riguarda l’appartenenza a istituzioni multilaterali associate al Sud globale, tutti i Paesi del Sud-Est asiatico fanno parte del Movimento dei non allineati (NAM) e del G-77, che difendono gli interessi collettivi delle nazioni in via di sviluppo. In questi forum, i leader del Sud-Est asiatico sottolineano l’importanza della sovranità, della riforma delle istituzioni multilaterali per una maggiore equità, dell’eliminazione delle discriminazioni commerciali e della garanzia di assistenza finanziaria per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda il cambiamento climatico, essi sostengono il principio delle “Responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità”, evidenziando il contributo storico dei Paesi sviluppati alle emissioni di gas serra e chiedendo un sostegno climatico per i Paesi in via di sviluppo.
Dal punto di vista politico, i Paesi del Sud-Est asiatico hanno dimostrato un allineamento normativo con il Sud globale – inclusa la Cina – attraverso le loro modalità di voto all’ONU. Hanno sostenuto i “valori asiatici” come alternativa all'”egemonia della democrazia liberale” e appoggiano costantemente risoluzioni allineate con le prospettive del Sud globale in materia di diritti umani e democrazia. Ciò include l’opposizione a misure coercitive unilaterali, la difesa di “approcci alternativi” ai diritti umani e l’affermazione del diritto allo sviluppo. Anche il loro comportamento di voto su questioni come la decolonizzazione, come la condanna degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, si allinea al Sud globale, in netto contrasto con la posizione degli Stati Uniti.

Tuttavia, è importante notare che le decisioni di politica estera del Sud-Est asiatico sono guidate principalmente dai rispettivi interessi e priorità nazionali, piuttosto che dalla solidarietà ideologica con il Sud globale. La diversità e l’approccio pragmatico della regione fanno sì che le politiche estere non sempre corrispondano alle aspettative normative associate al Sud globale.

Soldati russi sparano con un cannone semovente da una posizione non rivelata in questo fotogramma di un video pubblicato questo mese durante la guerra in Ucraina. Foto: Servizio stampa del Ministero della Difesa russo via AP
Le risposte del Sud-Est asiatico alle principali questioni globali sono state diverse, sfidando le ipotesi di allineamento uniforme all’interno della regione o con il Sud globale. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, i Paesi coprono un ampio spettro: Singapore ha imposto sanzioni e sostenuto le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che condannano la Russiale Filippine sono passate dall’astensione al sostegno, mentre l’IndonesiaMalesiaCambogia e Tailandia mantengono la neutralità, e Vietnam e Laos si sono prevalentemente astenuti.
Allo stesso modo, nonostante la diffusa simpatia per il popolo palestinese e il sostegno alla creazione di uno Stato palestinese indipendente, le risposte del Sud-Est asiatico al conflitto Israele-Gaza sono state diverse tra le nazioni a maggioranza musulmana e quelle non musulmane. Indonesia, Malesia e Brunei hanno condannato l’occupazione e le azioni di Israele, mentre Singapore e le Filippine hanno condannato gli attacchi di Hamas. Tailandia e Vietnam hanno espresso preoccupazione ma sono rimasti più neutrali.
Più vicino a noi, la questione del Mar Cinese Meridionale rivela come le nazioni del Sud-Est asiatico, e più in generale del Sud Globale, abbiano dato priorità ai propri interessi rispetto alla difesa del diritto internazionale contro grandi potenze come la Cina. Nelle recenti riunioni del NAM, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico ha faticato a raggiungere un consenso sul linguaggio di condanna delle azioni della Cina nel Mar Cinese Meridionale.

I successi economici del Sud-Est asiatico negli ultimi decenni sono stati più legati alle interconnessioni Nord-Sud che alla cooperazione Sud-Sud. La regione si distingue come una storia di successo della globalizzazione economica. Ad eccezione delle Filippine, tutti i Paesi del Sud-Est asiatico hanno aumentato i livelli di reddito dopo la Guerra Fredda. Il loro sviluppo è profondamente legato ad ampi flussi commerciali, di investimenti e di tecnologia sia con i Paesi sviluppati che con quelli in via di sviluppo. L’Asean è sempre stato uno dei principali destinatari di investimenti diretti dall’estero, raggiungendo 224 miliardi di dollari nel 2022, pari al 17% degli IDE globali, nonostante rappresenti solo l’8% della popolazione mondiale.

Una nave portacontainer attracca al porto di Tianjin, nel nord della Cina. Collettivamente, l’Asean è il principale partner commerciale della Cina. Foto: Xinhua
Collettivamente, l’Asean è il primo partner commerciale della Cina, il secondo del Giappone e della Corea del Sud, il terzo dell’UE e il quarto dell’India e degli Stati Uniti. Come ha osservato lo studioso Ian Chong, gran parte di questa prosperità è stata raggiunta grazie all’accesso al capitale e alla tecnologia del Nord globale, che ha permesso al Sud-Est asiatico di integrarsi nelle catene di approvvigionamento globali e di produrre beni destinati principalmente al mercato del Nord globale.

In particolare, l’Asean ha mantenuto un robusto surplus commerciale con i Paesi del Nord globale, con una media di 82,4 miliardi di dollari nel periodo 2013-2022, mentre ha sostenuto un deficit commerciale equivalente di 84 miliardi di dollari con la Cina nello stesso periodo. Questa dinamica commerciale assomiglia sempre di più a un modello Nord-Sud, con la Cina che esporta beni manifatturieri di alto valore e ad alta tecnologia, mentre alcuni Paesi del Sud-Est asiatico esportano principalmente prodotti di base o fungono da luoghi di assemblaggio e confezionamento. In queste relazioni economiche, il perseguimento del potere economico nazionale e la logica del capitalismo hanno la precedenza su qualsiasi nozione astratta di solidarietà Sud-Sud.

Le realtà economiche dei Paesi del Sud-Est asiatico dimostrano che essi sono stati partecipanti attivi e beneficiari dell’attuale sistema economico, e non vittime o passivi sostenitori dei prezzi. Infatti, attraverso l’Asean e altri approcci minilaterali, hanno creato una rete di accordi regionali di libero scambio con i principali partner commerciali, plasmando attivamente regole in linea con i loro interessi. Sebbene esistano delle rimostranze, in particolare per quanto riguarda le condizionalità commerciali imposte dai Paesi sviluppati per motivi ambientali o politici, esse non rappresentano un malcontento generalizzato nei confronti del sistema, come invece sottintende la retorica del Sud globale.

Il Giappone si pone ai Paesi del Sud globale come contrappeso della Cina in Africa e Asia meridionale

La rinascita del discorso sul Sud globale ha amplificato le voci dei Paesi in via di sviluppo, compresi quelli del Sud-Est asiatico, consentendo loro di esprimere le proprie rimostranze e di difendere i propri interessi in modo più assertivo.

Tuttavia, le realtà della politica e dell’economia globale sono molto più complesse, diversificate e ricche di sfumature di quanto suggerisca il semplicistico binomio Nord-Sud. Questa complessità è particolarmente pronunciata nel Sud-Est asiatico, come esemplificato dalla copertura delle scommesse dell’Indonesia tra il Sud e il Nord del mondo.

Da un lato, l’Indonesia ha sostenuto a gran voce il discorso del Sud globale, sostenendo lo sviluppo di industrie a valle nella catena di approvvigionamento EV e criticando le normative dell’UE sulla deforestazione. Dall’altro, ha presentato domanda di adesione all’OCSE, cercando di sfruttare gli standard OCSE e il sostegno dei pari per il suo sviluppo.

Questo approccio pragmatico e inclusivo è emblematico della formula storica del successo del Sud-Est asiatico: la capacità di integrarsi e di creare un ponte tra diversi sistemi di valori, piuttosto che allinearsi rigidamente a un particolare blocco ideologico.

Hoang Thi Ha è Senior Fellow e Coordinatore del Programma di studi strategici e politici regionali, ISEAS – Yusof Ishak Institute. Cha Hae Won è Research Officer presso il Regional Strategic and Political Studies Programme, ISEAS – Yusof Ishak Institute. Questo articolo è stato adattato da ISEAS Perspective 2024/45 “Southeast Asia and the Global South: Rhetoric and Reality” pubblicato dall’ISEAS – Istituto Yusof Ishak.

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Agricoltori contro il libero scambio, di Thomas Fazi

Un articolo importante, che coglie alcuni aspetti delle dinamiche, ma che meriterebbe ulteriori approfondimenti e precisazioni. Per tutta una prima fase delle politiche economiche europee, che per altro ha riguardato tutti i decenni passati sino a pochi anni fa, il settore agricolo è stato sacrificato ed offerto come merce di scambio delle esportazioni del settore industriale e del controllo finanziario nelle aree periferiche ed ex-coloniali, nonché delle logiche geopolitiche che hanno guidato surrettiziamente l’Unione Europea. Le principali vittime sono state le economie agricole dei paesi europei mediterranei, sino a sacrificare interi territori montani e collinari, in una sorta di scambio teso a valorizzare e polarizzare le economie dell’Europa Centrale e Settentrionale ai danni di quella meridionale e di una loro industrializzazione complementare. Adesso è arrivato il turno delle economie agricole una volta privilegiate, in parte per le fisime dogmatiche dell’ambientalismo, in parte per l’assenza del criterio di garanzia di sovranità, compresa quella alimentare, nelle politiche comunitarie e, soprattutto, per garantire l’invasività delle grandi produzioni agricole di base statunitensi ed una compensazione dei costi delle politiche egemoniche statunitensi nel mondo sulle spalle degli europei. Politiche che stanno innescando una concentrazione ulteriore delle proprietà terriere nella quale, ancora una volta, è ben presente lo zampino statunitense. Un discorso a parte meriterebbe la dipendenza tecnologica ed esistenziale, sino al rischio di una vera e propria spoliazione, dalla chimica e dalle tecnologie genetiche delle quali le multinazionali statunitensi detengono il predominio sino alla pretesa di determinare la regolazione giuridica e normativa delle forniture. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Agricoltori contro il libero scambio
Di Thomas Fazi • 13 giugno 2024
Billy Wilson / CC BY-NC 2.0
Billy Wilson / CC BY-NC 2.0
Negli ultimi mesi, massicce proteste degli agricoltori hanno investito i paesi europei. Sebbene queste manifestazioni siano spesso una reazione alle politiche specifiche del paese, riflettono una più ampia resistenza contro l’agenda climatica e ambientale dell’Unione europea, in particolare il Green Deal europeo. Gli agricoltori sostengono che queste politiche minacciano la sostenibilità delle aziende agricole di piccole e medie dimensioni, offrendo allo stesso tempo benefici ambientali minimi, e hanno ragione . Tuttavia, le pressioni cui devono far fronte gli agricoltori europei si estendono ben oltre la relativamente recente svolta “verde” dell’Unione Europea. La realtà è che gli agricoltori in Europa lottano da anni con problemi sistemici, come l’aumento dei costi, l’eccessiva regolamentazione e, soprattutto, la concorrenza sleale guidata dal regime di libero scambio dell’UE.

L’Unione Europea è una potenza agricola globale, con un valore della produzione superiore a 500 miliardi di dollari, ed è anche uno dei maggiori esportatori mondiali di prodotti agroalimentari. Il blocco è ampiamente autosufficiente nella maggior parte dei prodotti primari agricoli, producendo abbastanza per soddisfare le esigenze di consumo interno e spesso generando surplus per l’esportazione. In effetti, quando si tratta di agricoltura, l’Unione Europea esporta molto più di quanto importa e lo fa da più di un decennio, determinando un surplus commerciale considerevole.

Si può quindi concludere che il settore agricolo dell’UE è in ottima forma – e, in effetti, in termini economici aggregati lo è. La produzione agricola nel blocco è in costante crescita da anni, e ciò si riflette nella costante crescita dei redditi agricoli.

Allora di cosa si lamentano gli agricoltori? La risposta sta nel fatto che, anche se il settore nel suo insieme sta andando bene, la maggior parte degli agricoltori non va bene. Nell’Unione Europea ci sono circa 9 milioni di aziende agricole. La maggior parte di queste sono piccole: quasi due terzi delle aziende agricole del blocco hanno una superficie inferiore a 12 acri, ma rappresentano solo il 5% circa di tutti i terreni agricoli utilizzati. All’altra estremità della scala di produzione, solo il 7,5% delle aziende agricole dell’UE sono grandi o molto grandi (120 acri o più), ma costituiscono quasi il 70% di tutta la terra.

“I terreni agricoli sono concentrati nelle mani di un numero relativamente piccolo di aziende molto grandi”.

In altre parole, la maggior parte dei terreni agricoli dell’UE è concentrata nelle mani di un numero relativamente piccolo di aziende molto grandi, molte delle quali sono grandi imprese. Solo queste aziende agricole hanno livelli di produzione sufficientemente grandi da generare redditi significativi. Ciò spiega perché le piccole aziende agricole in tutta Europa stanno scomparendo . Negli ultimi 20 anni, il numero di aziende agricole nell’Unione europea è sceso oggi a circa 9 milioni, rispetto ai 14,5 milioni del 2005. Allo stesso tempo, è cresciuto il numero delle aziende agricole di grandissime dimensioni (con una superficie superiore a 200 acri). in modo significativo, di oltre il 20%.

In termini strettamente economici, questo processo di consolidamento ha reso il settore agricolo dell’UE più produttivo ed efficiente, poiché le aziende agricole più grandi sono più industrializzate e ad alta intensità di capitale e possono fare affidamento su economie di scala per raggiungere livelli di produzione più elevati. Ma le piccole aziende agricole forniscono un’ampia gamma di vantaggi economici e sociali che parametri come la produzione non riescono a cogliere: svolgono un ruolo chiave nel mantenere in vita le aree rurali remote mantenendo i servizi e le infrastrutture sociali; sostengono l’occupazione rurale; aiutano a preservare l’identità dei prodotti regionali; proteggono le caratteristiche del paesaggio.

Più fondamentalmente, non è affatto chiaro che gli incrementi di produttività offerti da un maggiore consolidamento stiano rendendo il settore agricolo dell’UE più resiliente nel lungo periodo, soprattutto in termini di sicurezza alimentare. Come notato, l’Unione Europea è ampiamente autosufficiente nella maggior parte dei prodotti agricoli primari – la maggior parte dei tipi di carne, latticini, frutta e verdura e la maggior parte dei cereali – e non è eccessivamente dipendente dalle importazioni, la cui interruzione potrebbe mettere a repentaglio l’approvvigionamento alimentare. In altre parole, il blocco gode di un elevato grado di sovranità alimentare, che riflette l’ attenzione originaria della Politica Agricola Comune dell’UE sull’autosufficienza.

Esistono però importanti eccezioni: in particolare, l’Unione Europea è fortemente dipendente dai semi oleosi (soprattutto soia) e dalle farine per l’alimentazione animale. Altri prodotti per i quali l’Unione Europea non è autosufficiente includono colture proteiche, mais, oli vegetali, zucchero e alcuni tipi di frutta e verdura. Per molti prodotti primari, l’autosufficienza è andata diminuendo negli ultimi due decenni, poiché il blocco si è lentamente spostato dalla produzione di beni agricoli primari di basso valore, ma essenziali, verso la produzione di beni di alto valore, ma non essenziali. , prodotti agroalimentari trasformati.

Ciò è principalmente il risultato di due fattori: la crescente influenza dell’ideologia del climatismo, a seguito della quale la produzione agricola (il secondo maggior contributore alle emissioni di gas serra) è gradualmente diventata un tabù in Europa; e un approccio dogmatico e obsoleto al commercio.


Il libero scambio è uno dei principi fondanti dell’Unione Europea. Oggi, il blocco vanta il più grande regime di libero scambio al mondo, con 42 accordi di libero scambio che coprono 74 paesi partner sparsi nei cinque continenti. Questa rete si è espansa in modo significativo negli ultimi dieci anni e sono in corso trattative con altri partner commerciali, tra cui India, Australia e il blocco Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay). In linea con l’obiettivo originario della Politica Agricola Comune sull’autosufficienza, l’Unione Europea ha inizialmente adottato un approccio relativamente protezionistico al commercio agricolo; tuttavia, negli ultimi 20 anni, l’inclusione dell’agricoltura nella rete sempre crescente di accordi di libero scambio del blocco ha gradualmente esposto il mercato agricolo dell’UE alla crescente concorrenza internazionale.

Secondo i mandarini di Bruxelles, l’impatto del libero scambio è quasi inequivocabilmente positivo, anche per l’agricoltura. Ma questa affermazione regge ad un esame accurato? Negli ultimi due decenni, la bilancia commerciale agricola dell’Unione Europea è migliorata. Tuttavia, non è chiaro in che misura gli accordi di libero scambio del blocco abbiano contribuito a ciò. Se esaminiamo l’evoluzione della bilancia commerciale complessiva del blocco in beni e servizi con i paesi partner dopo l’entrata in vigore (o l’applicazione provvisoria) di questi accordi di libero scambio, non emerge alcun modello chiaro. In alcuni casi, la bilancia commerciale è migliorata; in altri è peggiorato; e in altri ancora è rimasto sostanzialmente invariato.

“Gli agricoltori stranieri possono utilizzare pesticidi tossici”.

In ogni caso, gli agricoltori europei hanno ragioni per opporsi a questi accordi, dato che i paesi partner tendono ad avere standard ambientali, sanitari e sociali inferiori, nonché un costo del lavoro inferiore, rispetto all’Unione Europea. In effetti, gli accordi di libero scambio dell’UE generalmente non contengono “clausole speculari” che impongano agli esportatori agricoli stranieri di conformarsi agli standard europei su questioni quali l’uso di pesticidi, l’alimentazione animale, le misure sanitarie e fitosanitarie e il benessere degli animali. Questa mancanza di reciprocità – o disallineamento normativo – significa che agli agricoltori stranieri è consentito utilizzare pesticidi tossici nella loro produzione agricola, aggiungere farine animali ai mangimi e somministrare antibiotici che stimolano la crescita al loro bestiame, tutte cose che sono vietate o vietate. limitato nell’Unione Europea. Requisiti normativi meno rigorosi offrono agli agricoltori stranieri un grande vantaggio in termini di costi, soprattutto se abbinati a costi di manodopera più bassi – o a condizioni di lavoro di vero e proprio sfruttamento – spesso riscontrati nelle nazioni meno sviluppate.

Ciò è discutibile dal punto di vista etico e della protezione dei consumatori. Ma c’è un motivo economico per farlo? L’argomentazione solitamente avanzata dai sostenitori della liberalizzazione del commercio è che essa aumenta la sicurezza alimentare dell’Europa garantendo nuove catene di approvvigionamento. Nel breve termine questo è certamente vero. Ma hanno ragione gli agricoltori ad affermare che ciò sta danneggiando i produttori europei? E, se sì, cosa significa questo per la sicurezza alimentare dell’Europa nel lungo termine?

L’Unione Europea ha adottato un modello commerciale che privilegia l’importazione di prodotti agricoli primari e l’esportazione di prodotti alimentari trasformati. Gran parte di ciò che importa l’UE è costituito da prodotti agricoli che non possono essere coltivati ​​nelle zone climatiche europee, come i prodotti tropicali. Tuttavia, la maggior parte dei prodotti importati competono direttamente o indirettamente con prodotti che vengono coltivati ​​estensivamente in Europa – spesso in quantità sufficienti a soddisfare il consumo interno – o che potrebbero potenzialmente essere coltivati ​​in quantità molto maggiori.

In che misura l’espansione del regime di libero scambio dell’UE ha contribuito alla scomparsa delle piccole aziende agricole in tutto il blocco negli ultimi due decenni? Le valutazioni d’impatto ufficiali sono poche e rare, e tutti i dati che contraddicono la narrativa ufficiale tendono ad essere pesantemente ignorati. Tuttavia, uno dei pochi studi incentrato specificamente sull’impatto delle importazioni agroalimentari sulla produzione agricola dell’UE (nel periodo 2005-2018), pubblicato dalla Commissione europea due anni fa, ha rilevato che “l’impatto delle importazioni agroalimentari era principalmente complementare ma anche competitivo, sostituendo la produzione dell’UE per un numero limitato di prodotti”.

Il rapporto concludeva che, nella misura in cui “le importazioni hanno avuto un impatto limitato, anche se non trascurabile, sulla produzione agricola dell’UE”, la liberalizzazione del commercio e le crescenti importazioni agroalimentari erano “fattori che hanno contribuito” ai cambiamenti strutturali osservati nel settore agricolo del blocco. compresa la diminuzione del numero complessivo di aziende agricole e la crescente concentrazione. Tuttavia, l’impatto degli accordi di libero scambio conclusi finora sul settore agricolo dell’UE probabilmente impallidirà in confronto a quello dei numerosi accordi in fase di negoziazione o in attesa di piena attuazione, in particolare gli accordi UE-Mercosur e UE-Canada, entrambi che coinvolgono le maggiori potenze agricole.

Un recente rapporto della Commissione europea ha valutato il potenziale impatto di 10 accordi di libero scambio recentemente conclusi o in fase di negoziazione ed è giunto ad alcune conclusioni preoccupanti. Si prevede che le importazioni agricole da paesi con standard normativi e di benessere animale significativamente più bassi aumenteranno in modo significativo, in particolare quando si tratta di carne bovina e pollame. Si prevede che la produzione nazionale diminuirà di conseguenza, a causa della crescente concorrenza, con conseguente crescente dipendenza dalle importazioni.

Non sorprende quindi che gli agricoltori europei abbiano posto l’opposizione agli accordi di libero scambio dell’UE in prima linea nelle loro lotte, e che i governi stiano seguendo l’esempio. A marzo la grande maggioranza dei senatori francesi ha votato contro la ratifica dell’accordo tra l’UE e il Canada, uno dei più controversi fino ad oggi. Nel frattempo, il governo francese continua a opporsi all’accordo UE-Mercosur. È prevedibile che iniziative come questa si moltiplichino man mano che il movimento degli agricoltori europei continua a espandersi in tutto il continente.

La situazione si sta rivoltando contro il libero scambio, ed è giusto che sia così. L’attuale approccio dell’Europa al commercio e all’agricoltura è profondamente imperfetto. Esclude dal mercato i produttori agricoli nazionali (soprattutto di materie prime primarie) e amplifica la dipendenza dalle importazioni per i prodotti che non soddisfano gli stessi standard di quelli originari dell’Europa, tutto in nome dei profitti a breve termine e degli ideali “verdi” che fallire anche alle loro dubbie condizioni. Questo modello non è dannoso solo per gli agricoltori e i consumatori, ma anche per la sicurezza alimentare a lungo termine del continente.

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Stati Uniti! La coperta troppo corta di un impero Con Gianfranco Campa

La leadership statunitense dominante inizia a presagire che la coperta di cui dispone non è sufficiente a coprire l’attuale impero. Una crisi, quindi, da sovraestensione cui porre in qualche maniera rimedio. I dilemmi da risolvere sono drammatici. Si tratta di consolidare con polso ferreo il controllo sull’area accessibile del proprio impero sul quale esercitare egemonia diretta ed estrazione spietata di risorse; il capro espiatorio designato è, a questo punto, l’Europa con la piena accondiscendenza delle sue élites. Si tratta di ridurre e concordare con i nuovi contendenti nell’agone internazionale, in primo luogo la Cina, le dinamiche di una globalizzazione dalla quale la formazione sociale degli Stati Uniti non può prescindere in tempi storicamente ragionevoli, pena il collasso interno, ma dalla quale anche la Cina potrebbe subire sconquassi traumatici in caso di collasso della intera rete costruita in questi ultimi decenni. La recente intervista alla Segretaria all’economia Raimondo, recentemente pubblicata, dietro la maschera dell’oltranzismo parossistico, cerca di delimitare, appunto, i confini di questo scontro http://italiaeilmondo.com/2024/04/23/cina-stati-uniti-capire-la-dottrina-raimondo-di-alessandro-aresu/ , in verità troppo ristretti per l’attuale leadership cinese. Un nodo gordiano quasi impossibile da sciogliere e del quale sembra approfittare sul piano dei consensi popolari Donald Trump parallelamente però al crescere della stretta soffocante della piovra tentacolare dei centri di potere che cercherà di soffocarlo presto o tardi. Nel frattempo sia in Europa, il polacco Duda oltre allo scontato Orban, che il leader liberale in Giappone, figure politiche inaspettate sembrano cogliere il vento che spira oltreatlantico. Opportunismo e trasformismo di chi? Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Importanza geopolitica del GNL statunitense

AUDIO BRIEF

A short, spoken-word summary from CSIS’s Kunro Irié on his commentary with Ben Cahill and Joseph Majkut, “Geopolitical Significance of U.S. LNG.”
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L’amministrazione Biden ha annunciato una pausa temporanea sulle nuove autorizzazioni all’esportazione di gas naturale liquefatto (GNL) per i progetti proposti. Questa decisione non influirà sulle esportazioni in corso o sui progetti in costruzione, ma un cambiamento di politica a più lungo termine avrebbe implicazioni sia per i mercati che per la geopolitica. Questo commento affronta alcune preoccupazioni geopolitiche associate alla pausa nelle autorizzazioni all’esportazione di GNL.

Cambiamento del ruolo geopolitico del GNL statunitense
Quando la guerra della Russia contro l’Ucraina nel 2022 ha creato una corsa alle forniture di gas alternative, il GNL statunitense ha avuto un ruolo importante nella risposta transatlantica. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno costituito la Task Force U.S.A. – U.E. sulla sicurezza energetica per contribuire a ridurre la dipendenza dell’UE dall’energia russa, diversificare le forniture di gas dell’UE e accelerare la transizione dall’importazione di combustibili fossili in Europa. Nel marzo 2022, l’amministrazione Biden si è impegnata a garantire almeno 15 miliardi di metri cubi (bcm) di fornitura di GNL statunitense all’Europa in quell’anno, e la Commissione europea ha accettato di lavorare con gli Stati membri per assicurare “una domanda stabile di GNL statunitense aggiuntivo almeno fino al 2030 di circa 50 bcm/anno”. Il mercato ha risposto. Le esportazioni di GNL in Europa hanno superato di gran lunga gli obiettivi per il 2022 e il 2023, raggiungendo rispettivamente 56 e 63 miliardi di metri cubi. Oggi, circa il 50% delle importazioni di GNL in Europa proviene dagli Stati Uniti.

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Kunro Irié
Visiting Fellow, Energy Security and Climate Change Program
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Ben Cahill
Senior Fellow, Energy Security and Climate Change Program
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Joseph Majkut
Director, Energy Security and Climate Change Program
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Il GNL statunitense e il gas dei gasdotti norvegesi hanno aiutato l’Europa a resistere allo shock economico della Russia che ha armato le forniture di gas e a mantenere la solidarietà con l’Ucraina. Il clima mite e la prudente costituzione di scorte hanno calmato le preoccupazioni immediate in Europa per la perdita delle forniture. Le importazioni russe costituiscono ancora il 20% delle forniture di gas dell’Europa, ma l’ultimo contratto rimasto all’Ucraina per i volumi di transito dalla Russia scadrà nel 2024 e i governi europei non hanno intenzione di riprendere le importazioni di gas dalla Russia. Tuttavia, mentre gli acquirenti europei cercano di separarsi completamente dal gas russo, la pausa nell’approvazione di nuovi progetti di GNL solleverà alcune preoccupazioni a lungo termine. La scarsità delle forniture dagli Stati Uniti dopo il 2030 potrebbe rendere la situazione più difficile.

L’amministrazione Biden ha sostenuto che l’Europa, che sta cercando di ridurre le importazioni di gas investendo pesantemente nelle energie rinnovabili e nell’elettrificazione, è stata in grado di assicurarsi forniture sufficienti attraverso acquisti a breve termine e che ulteriori capacità di esportazione di GNL dopo il 2030 avrebbero un valore geopolitico limitato. Ma altre regioni sono più importanti per le prospettive a lungo termine. L’Asia, piuttosto che l’Europa, rappresenterà la maggior parte della crescita della domanda di GNL dopo il 2030 e gli alleati e i partner commerciali degli Stati Uniti in Asia sono preoccupati per i segnali di limitazione delle forniture a lungo termine da parte degli Stati Uniti. I progetti di GNL in corso e in fase di costruzione dovrebbero soddisfare la maggior parte della domanda in questo decennio, ma con l’aumento della domanda asiatica potrebbero essere necessari altri progetti per compensare i cali dei fornitori esistenti.

Remote Visualization

La sicurezza dell’approvvigionamento è una preoccupazione per gli acquirenti asiatici di GNL. L’Australia è un fornitore dominante della regione, ma potrebbe istituire dei controlli sulle esportazioni a causa dei vincoli di approvvigionamento interni. Gli acquirenti dell’Asia nord-orientale sono da tempo acquirenti di gas dall’Indonesia, dalla Malesia e dal Brunei, ma le loro forniture si stanno esaurendo rapidamente. In precedenza, gli acquirenti asiatici consideravano il GNL russo una potenziale fonte di approvvigionamento, grazie alla sua vicinanza e alla mancanza di punti di strozzatura delle vie marittime, ma la crisi ucraina e le successive sanzioni hanno offuscato questa prospettiva. Restano gli Stati Uniti e il Medio Oriente. Il Qatar e altri Paesi mediorientali rappresentano già il 15% delle importazioni in Giappone e oltre il 21% delle forniture alla Corea del Sud, e il Medio Oriente fornisce oltre il 90% delle importazioni di greggio del Giappone e il 60% di quelle della Corea del Sud. Un’ulteriore dipendenza dal Medio Oriente è fonte di preoccupazione per i politici. Senza ulteriori volumi statunitensi, gli acquirenti di GNL in Asia si trovano di fronte a opzioni limitate e gli Stati Uniti potrebbero lasciare sul tavolo sia il valore delle esportazioni che i legami politici.

Prospettive degli acquirenti sul valore del GNL statunitense
L’industria statunitense del GNL presenta diversi fattori distintivi che ne elevano l’importanza geopolitica e di mercato. Il GNL statunitense aggiunge volumi significativi al mercato globale, contribuisce a mitigare i rischi di approvvigionamento da altre fonti in tutto il mondo e offre flessibilità e meccanismi di prezzo unici, importanti per gli acquirenti. Il GNL statunitense aiuta inoltre gli alleati a far fronte alle sanzioni energetiche imposte ad altri esportatori di idrocarburi.

I volumi di GNL statunitense sono cresciuti rapidamente in un momento in cui il mercato aveva bisogno di nuove forniture. L’anno scorso, gli Stati Uniti sono diventati il più grande esportatore di GNL al mondo dopo il ritorno alle normali operazioni di Freeport LNG e l’avvio di Calcasieu Pass. La crescita delle esportazioni statunitensi ha aiutato gli acquirenti europei a evitare uno scenario molto peggiore quando la Russia ha ridotto le sue forniture di gas. Dopo gli aumenti estremi dei prezzi e la volatilità del 2021 e 2022, il mercato globale del GNL si è raffreddato negli ultimi mesi. Tuttavia, il mercato è ancora finemente equilibrato. Con i tassi di utilizzo degli impianti di liquefazione che rimangono piuttosto elevati, interruzioni impreviste o aumenti improvvisi della domanda potrebbero cambiare rapidamente le cose.
I volumi statunitensi contribuiscono ad alleviare i rischi di approvvigionamento. Per l’Europa, i carichi provenienti dal Medio Oriente e dall’Australia transitano solitamente attraverso il Golfo Persico e il Canale di Suez. Questi punti critici sono vulnerabili alle minacce alla sicurezza, come si è visto con gli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso. Nel Pacifico, la maggior parte delle spedizioni di GNL verso l’Asia deve passare attraverso lo Stretto di Taiwan e i mari della Cina meridionale e orientale. Il Giappone è molto preoccupato per il rischio di transito marittimo, soprattutto se le tensioni geopolitiche nel Mar Cinese Meridionale dovessero aumentare. Il trasporto di GNL statunitense evita alcuni di questi rischi in quanto può attraversare l’Atlantico per raggiungere l’Europa e il Pacifico per l’Asia orientale (anche il GNL russo evita di attraversare il Mar Cinese Meridionale per raggiungere il Giappone o la Corea). Le forniture nordamericane non sono immuni da rischi ed eventi imprevisti, come si è visto nei recenti problemi di transito del Canale di Panama, ma è importante per gli acquirenti evitare una sovraesposizione a regioni volatili.
Il GNL statunitense offre vantaggi commerciali unici per le società e i Paesi importatori. Tradizionalmente, gli accordi di vendita di GNL prevedevano periodi contrattuali estesi e termini di consegna rigorosi che vietavano la vendita ad altri terminali. I volumi venivano generalmente consegnati ex-nave, ovvero il venditore consegnava il GNL al terminale dell’acquirente. Sebbene gli acquirenti godessero della sicurezza delle forniture, questi accordi contrattuali presentavano alcuni inconvenienti. Gli acquirenti di GNL hanno avuto difficoltà a passare da un fornitore all’altro e il mercato a breve termine è rimasto relativamente piccolo, poiché la liquidità era limitata. A questo proposito, il GNL statunitense ha cambiato le carte in tavola. L’ampia disponibilità di gas nazionale, l’estesa infrastruttura del gas e i costi di approvvigionamento relativamente bassi hanno contribuito a facilitare i progetti di esportazione guidati da nuovi venditori. I potenziali venditori di GNL potevano accedere ai volumi della rete, a condizione di trovare un porto adatto per un impianto di liquefazione. I costi iniziali più bassi e le condizioni contrattuali meno rigide hanno permesso agli acquirenti di organizzare il proprio trasporto e di sfruttare le condizioni di free on board (FOB), consentendo una maggiore flessibilità sulla destinazione finale dei carichi. Inoltre, poiché i carichi possono essere spediti sia nell’Atlantico che nel Pacifico, i volumi di GNL statunitensi fungono da forza di equilibrio tra i mercati. Il risultato è stato una maggiore convergenza tra i prezzi del GNL in Europa e in Asia. Il GNL statunitense ha anche creato un nuovo meccanismo di determinazione dei prezzi, poiché i volumi sono generalmente venduti a prezzi legati all’Henry Hub, consentendo una maggiore stabilità per i venditori che evitano il rischio di mercato tra il prezzo di acquisto del gas di alimentazione e il prezzo FOB. Il GNL statunitense aiuta gli acquirenti a diversificare il loro portafoglio prezzi, il che a sua volta consente una maggiore ottimizzazione della loro flotta di carichi.
Le esportazioni statunitensi aumentano la sicurezza in un mondo soggetto a sanzioni, creando più opzioni per gli alleati e i partner commerciali. Le sanzioni ai Paesi esportatori di energia creano naturalmente alcune sfide per gli importatori di petrolio e gas, e la restrizione delle esportazioni energetiche statunitensi rende più difficile l’adattamento degli importatori. Gli Stati Uniti hanno recentemente annunciato ulteriori sanzioni su nuovi progetti russi di GNL che hanno contratti con società occidentali e giapponesi. Queste azioni fanno seguito a precedenti sanzioni ed embarghi sul greggio e sui prodotti petroliferi russi da parte di vari Paesi, nonché a massimali di prezzo attentamente studiati per evitare gravi interruzioni delle forniture. Molti Paesi importatori di energia sono ancora molto preoccupati per la sicurezza degli approvvigionamenti. L’ipotesi che gli Stati Uniti vogliano limitare la futura capacità di esportazione di GNL potrebbe non piacere a questi Paesi. Gli acquirenti in Giappone e Cina potrebbero ora guardare a progetti statunitensi pienamente autorizzati o ad altri fornitori per trovare alternative.

Il GNL come combustibile di transizione
Alla 28a Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite (COP28), i Paesi hanno concordato di lavorare per “abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici … in modo giusto, ordinato ed equo”. Il testo finale ha anche osservato che “i combustibili di transizione possono svolgere un ruolo nel facilitare la transizione energetica, garantendo al contempo la sicurezza energetica”, il che sembra riconoscere il gas naturale come combustibile ponte. La pausa dell’amministrazione Biden sull’approvazione di nuovi progetti GNL dimostra la difficoltà di determinare quale ruolo debbano avere le esportazioni di combustibili fossili statunitensi in questo futuro a lungo termine, soprattutto data l’incertezza sui percorsi di decarbonizzazione in varie regioni.

L’affermazione degli ambientalisti secondo cui le future esportazioni di gas naturale saranno in concorrenza solo con le energie rinnovabili e non con il carbone in Asia è infondata. L’aumento del prezzo del gas subito dopo la guerra della Russia contro l’Ucraina ha creato alcuni risultati non ottimali in termini di emissioni, tra cui il fatto che Paesi come il Pakistan sono stati esclusi dal mercato e si sono rivolti al consumo di carbone per la produzione di energia. Naturalmente, il ruolo a lungo termine del gas in ogni mercato varierà. A parità di condizioni, però, una limitazione dell’offerta di gas naturale nel lungo periodo potrebbe rendere più difficile per il gas sostituire molte applicazioni del carbone termico. L’impatto sulle emissioni nette dell’espansione o della riduzione delle esportazioni statunitensi di GNL dipende da molti fattori, tra cui i tassi di crescita economica, i prezzi e la disponibilità di diversi combustibili, le emissioni della catena del valore di tali combustibili alternativi, l’esistenza di infrastrutture per accogliere il gas e così via. La questione non permette di trarre conclusioni semplici.

Il GNL statunitense e le transizioni energetiche
Al di sotto dei dibattiti analitici sull’ulteriore espansione della capacità di esportazione di GNL degli Stati Uniti c’è una questione più profonda che riguarda il modo in cui gli Stati Uniti vogliono impegnarsi con il mondo durante la transizione energetica. Come ogni altro Paese, gli Stati Uniti perseguono obiettivi ampi e talvolta contrastanti, tra cui la decarbonizzazione globale e l’influenza geopolitica. Quali strumenti gli Stati Uniti metteranno in campo e come potranno utilizzarli per massimizzare i loro obiettivi?

La crisi energetica europea del 2021-2022 ha dimostrato l’importanza dell’industria statunitense del GNL per il mantenimento della sicurezza energetica globale, ma questo potrebbe essere un capitolo di breve durata della transizione energetica. Poiché la domanda di gas in Europa è destinata a diminuire nel 2030, la prevista espansione della capacità di esportazione di GNL a livello mondiale mirerà principalmente a soddisfare il previsto aumento della domanda nell’Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Le decisioni di politica energetica in questi Paesi, molti dei quali dipendono dal carbone, non possono essere prese negli Stati Uniti. Cina, Vietnam, Filippine e India sono consumatori disposti ad acquistare GNL, sia dagli Stati Uniti che da altri fornitori. Con una forte spinta politica per ridurre le emissioni della produzione nazionale di gas, del trasporto, della liquefazione e della spedizione, il GNL statunitense sarà ben posizionato per rifornire questi mercati.

Grazie all’Inflation Reduction Act e ad altre politiche federali e statali sul clima, gli Stati Uniti sono sulla buona strada per diventare un leader mondiale nell’innovazione dell’energia pulita. Ma altri Paesi che non hanno le risorse economiche degli Stati Uniti avranno presumibilmente bisogno di petrolio e gas per un periodo più lungo. Una questione politica importante è se gli Stati Uniti possano combinare esportazioni di gas naturale abbondanti e a bassa intensità di emissioni con un sostegno finanziario, tecnico e politico per l’energia a zero emissioni di carbonio all’estero. Ciò consentirà di progredire nei percorsi di decarbonizzazione in tutto il mondo.

Kunro Irie is a visiting fellow with the Energy Security and Climate Change Programat the Center for Strategic and International Studies (CSIS) in Washington, D.C. Ben Cahill is a senior fellow with the Energy Security and Climate Change Program at CSIS. Joseph Majkut is director of the Energy Security and Climate Change Program at CSIS.

SITREP 1/28/24: Le truppe statunitensi subiscono vittime negli attacchi mentre l’escalation cresce, di SIMPLICIUS THE THINKER

Sono stanco di dire “le cose si stanno scaldando” ma… le cose continuano a scaldarsi davvero.

Le prime morti dirette delle truppe hanno finalmente iniziato ad arrivare, mentre le voci di guerra negli Stati Uniti gridano alla guerra totale:

Ecco la dichiarazione ufficiale del CENTCOM:

Ecco la dichiarazione della Resistenza islamica che ha rivendicato la responsabilità degli attacchi:

Sembra che ci sia un grande disaccordo o un deliberato offuscamento da parte degli Stati Uniti su dove sono state colpite esattamente le truppe. La dichiarazione della resistenza di cui sopra dice che sono state colpite diverse basi. La maggior parte presume che le vittime si trovino nella base di al-Tanf, in Siria, la base illegale che gli Stati Uniti usano per facilitare l’ISIS e addestrare i terroristi da agitare contro Assad, oltre che per bloccare l’importantissima rotta di confine tra Siria e Giordania, per mantenere la Siria isolata e soffocata economicamente.

Ma in realtà gli Stati Uniti sostengono che l’attacco non è stato effettuato ad al-Tanf, ma appena oltre il confine, in una base chiamata “Torre 22” sul lato giordano:

È comprensibile che le cose possano diventare così confuse, con tante basi americane illegali sparse in giro come carte di caramelle, e tutto il resto. Ma in realtà, è probabile che si tratti di un tentativo di minimizzare e nascondere l’attività statunitense ad al-Tanf e di dare un’apparenza di legalità, indirizzando erroneamente tutti verso la base giordana, nella quale gli Stati Uniti hanno effettivamente il permesso legale di stare, a differenza di al-Tanf.

Ma prima di continuare, vorrei ricordare a tutti questo rapporto. Forse l’ho postato molto tempo fa: si tratta di un attacco iraniano del 2021. Ma è assolutamente da vedere. Invito caldamente tutti a guardarlo e a vedere se non ne uscite con un’opinione diversa dell'”invincibile” esercito statunitense così come viene rappresentato da Hollywood:

Non solo non ci sono difese aeree funzionanti, ma le truppe e i generali lasciano molto a desiderare. Riuscite a immaginare queste persone in prima linea contro la Russia in Ucraina? I maggiori e i generali nel video sono portati quasi alle lacrime da alcuni razzi iraniani, con il comandante della base che esorta disperatamente le sue truppe ad abbandonare la base e a disperdersi nel deserto.

Molte persone che si aggrappano alle vecchie immagini hollywoodiane della supremazia americana sono davvero obsolete e non hanno idea di come siano attualmente le forze armate americane, né hanno mai avuto idea di quali siano le reali prestazioni di alcune delle armi più vantate dagli americani in contesti di combattimento reali:

E per coloro che pensano “Com’è possibile? Gli Stati Uniti erano invincibili durante la guerra in Iraq nel 2003” – ebbene, ho una notizia per voi. Non c’è stata nessuna guerra, si è trattato di un’operazione psicopatica completamente fittizia, che ho trattato in modo approfondito qui:

The Iraq War Was A Sham

·
MARCH 14, 2023
The Iraq War Was A Sham
Dall’inizio della SMO russa, molti hanno continuato a paragonare in modo pretestuoso l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, chiamata Operazione Iraqi Freedom, con gli sforzi della Russia in Ucraina. In genere si tratta di dimostrare quanto le forze americane siano state “dimostrabilmente migliori” e “superiori” nello sconfiggere prontamente ed efficacemente una grande forza, come…
Leggi la storia

Come se non bastasse, le truppe statunitensi stanno subendo perdite anche sul fronte del Texas:

Ora “si dice” che Israele si stia radunando al confine libanese e si stia preparando a lanciare una grande invasione fino al fiume Litani, di cui abbiamo scritto qui tempo fa. Se c’è del vero in questo, allora possiamo supporre che qualsiasi escalation con l’Iran, come questo nuovo attacco, potrebbe anche essere una falsa bandiera, sia del tipo USS Liberty, sia del tipo Pearl Harbor, dove qualcosa viene “lasciato passare” di proposito. Oppure potrebbe semplicemente essere l’Iran ad attirare Israele e gli Stati Uniti in una guerra che vuole perché sa di poterla vincere attraverso i suoi vasti procuratori. Le possibilità sono ancora molte.

L’unica cosa certa è che l’anno elettorale è appena iniziato e le cose si stanno già sciogliendo più velocemente di quanto si possa immaginare.

E mentre la pentola ribolle, i factotum statunitensi non fanno alcun passo avanti per raffreddare i disastri che si stanno preparando:

Ad essere onesti, è difficile immaginare come questa situazione possa risolversi senza un ritiro totale degli Stati Uniti dal Medio Oriente o una nuova grande guerra. Il problema in entrambi gli scenari è che

1. Se gli Stati Uniti si ritirano, saranno visti come la madre di tutti i fallimenti e le debolezze dell’amministrazione Biden, come il ritiro dall’Afghanistan x 100. Non ho idea del perché dovrebbe essere visto come la madre di tutti i fallimenti e le debolezze dell’amministrazione Biden. Non ho idea del motivo per cui dovrebbe essere visto in questo modo, mentre in realtà è una grande vittoria per gli americani, che possono così svincolare il loro Paese dalle mire globaliste e del MIC, ma è così che sarà raccontato dai media totalmente compromessi, che sono nemici dell’umanità. La maggior parte dei guerrieri repubblicani sarà ovviamente d’accordo e alimenterà questa interpretazione, dato che sono sul libro paga del MIC.

2. Se Biden si inasprisce e ordina attacchi massicci contro l’Iran stesso, come ora acclamano Lindsey Graham e altri, ciò potrebbe portare a un’escalation a cascata che spegnerebbe l’intera regione inghiottendola nelle fiamme, facendo crollare l’economia mondiale a nuovi livelli, il che sarebbe uno shock enorme per qualsiasi possibilità di rielezione dell’establishment quest’anno.

Non preoccupatevi nemmeno di pensare a un intervento sul terreno, se una cosa del genere fosse possibile richiederebbe un anno o più di preparazione. Ricordate che l’invasione dell’Iraq ha richiesto 6 mesi solo per il trasporto di materiali e mezzi nella regione, per la loro messa in scena, ecc. Ma l’Iran non ve lo lascerebbe fare perché ha sistemi balistici moderni molto più sofisticati di quelli dell’Iraq, il che significa che grandi concentrazioni di truppe e aree di sosta di mezzi corazzati/materiali potrebbero essere colpite e spazzate via molto prima dell’ora zero. Non mi credete? Guardate il video all’inizio, il generale dell’esercito americano lo dice lui stesso verso la fine: afferma che la precisione dei missili balistici iraniani è stata scioccante e che hanno colpito “praticamente tutto ciò che volevano colpire”.

Quindi l’invasione di terra è da escludere: non si farà. L’unica cosa che potrebbero tentare è una campagna aerea a lungo raggio. Ma per scalfire anche solo lontanamente le capacità dell’Iran sarebbe necessaria una vasta campagna della durata minima di 6-12 mesi e probabilmente molto più lunga. Ricordate che tutta la NATO si è radunata per 3 mesi contro la piccola Serbia con 6 milioni di abitanti ed è riuscita a malapena a distruggere qualcosa di valido. L’Iran ha 90 milioni di abitanti e un Paese probabilmente cento volte più grande della Serbia, per non parlare di un esercito molto più grande. Quanto tempo pensate che la NATO impiegherebbe per mettere a segno un colpo solo con una campagna aerea?

In breve: ci vorrebbero anni, e durante questi anni l’Iran bloccherebbe tutti i principali punti di strozzatura marittima ed economica della regione, facendo crollare l’economia globale. Se pensavate che qualche nave colpita ora fosse un male, aspettate di vedere le forze iraniane nominali piuttosto che gli Houthi colpire tutto ciò che è in vista: non sarà bello. E ho già detto in precedenza quanto sarebbe difficile trovare gli obiettivi nella vastità decentralizzata dell’Iran, proprio come nello Yemen. Ecco una foto di un sito di lancio segreto yemenita come esempio:

Questi possono essere sparsi a centinaia o migliaia nei deserti, e nessuna quantità di “ISTAR” avanzato li localizzerà.

Ma naturalmente questo non ferma i guerrafondai della stampa aziendale:

E al momento in cui scriviamo, si dice che siano in arrivo alcune risorse:

Almeno 6 aerocisterne KC-135 dell’aeronautica statunitense, la maggior parte delle quali provenienti dalla March Air Reserve Base nella California meridionale, si stanno dirigendo verso nord-est attraverso gli Stati Uniti e si preparano a transitare nell’Atlantico verso il Regno Unito e l’Europa. Mi chiedo che tipo di velivoli stiano rifornendo?

C’è quindi un potenziale di escalation, anche se potrebbe essere solo una precauzione, come sempre.

Penso che gli Stati Uniti continueranno a cercare una soluzione diplomatica, perché sanno quanto siano indigeste entrambe le opzioni di cui sopra. Continueranno a cercare modi per smorzare la tensione, forse anche avanzando le trattative per il ritiro dalla regione in modo da segnalare all’Iran che si sta tirando indietro, anche se forse trascinando i piedi nel processo per rendere il “ritiro” il più lungo possibile e di natura più simbolica.

Gli Stati Uniti sembrano più deboli che mai, quindi è possibile un attacco simbolico di qualche tipo per segnalare una sorta di impotenza ai loro partner ormai demoralizzati. Ma questo non porterà a nulla e non farà altro che mettere sempre più in pericolo le truppe statunitensi nella regione.

La verità è che l’intero quadro attuale sembra altamente orchestrato dall’asse della resistenza, in particolare da Russia, Iran e forse Cina. Il motivo è che proprio quando la Russia ha legato l’Impero in Ucraina, l’Iran ha iniziato la sua manovra di strangolamento nel Medio Oriente, e guardate come si sta risolvendo “elegantemente” il tutto: L’Europa viene completamente tagliata fuori dall’energia a basso costo, mentre la Russia e i BRICS ottengono non solo alcuni dei più potenti produttori di energia, ma anche i Paesi responsabili dei più importanti punti di strozzatura marittima: l’Egitto e il Mar di Suez/Rosso, l’Etiopia e il Mar Rosso, l’Iran e l’Arabia Saudita per il Mar Rosso e il Golfo Persico, ecc.

Ora, improvvisamente, cosa sentiamo? La Russia si sta muovendo con decisione per bloccare l’Artico, assicurandosi un altro punto chiave.

Dal prossimo periodo di navigazione, la Northern Sea Route sarà aperta tutto l’anno “La navigazione cargo lungo l’intera lunghezza della Northern Sea Route (NSR) diventerà tutto l’anno a partire dal 2024“.

Da Slavyangrad:

Nota: oggi sono in funzione SETTE rompighiaccio a propulsione nucleare di tre tipi:1. “Yamal” e “50 Let Pobedy”, progetto 10520.2. “Taimyr” e “Vaigach”, progetto 10580, la cui vita utile è stata prolungata fino ad almeno il 2027.3. “Taimyr” e “Vaigach”, progetto 10580, la cui vita utile è stata prolungata almeno fino al 2027.3. “Arktika”, “Sibir” e “Vaigach”, progetto 10580. “Il quarto rompighiaccio del progetto 22220, “Yakutia”, dovrebbe entrare in servizio entro la fine di quest’anno e quindi avremo OTTO rompighiaccio nucleari; il quinto, “Chukotka”, nel 2026. Nemmeno l’URSS aveva un gruppo del genere. Tra l’altro, oggi il Presidente Vladimir Putin ha partecipato alla posa del prossimo rompighiaccio di questo progetto, il “Leningrad”, che entrerà in servizio nel 2028 (e un altro “Stalingrad” sarà posato l’anno prossimo). Entro la fine del 2027 dovrebbe entrare in servizio il gigantesco rompighiaccio Russia, le cui caratteristiche gli consentono di navigare nell’Oceano Artico ovunque e in qualsiasi momento dell’anno.

E quanto sopra è vero: Putin ha appena partecipato alla cerimonia di posa di un altro rompighiaccio nucleare nuovo di zecca:

La Cina ha anche accesso alla Northern Sea Route nell’Oceano Artico. L’Occidente non ha accesso a questa rotta perché si tratta di acque territoriali russe.

In sintesi: l’asse della resistenza sta intorbidando le acque del trasporto economico per il blocco economico occidentale, aprendo al contempo i propri nuovi e vasti corridoi di trasporto.

Il pericolo, naturalmente, è che una volta che le cose si fanno troppo disperate, l’unico ricorso possibile per l’Occidente per salvarsi sarebbe quello di lanciare una guerra globale totale nella speranza di “resettare” la situazione. Ecco perché ora continuiamo a vedere i tamburi di guerra battere più forte che mai:

Altre cattive notizie geopolitiche per l’Impero:

Mali, Niger e Burkina Faso hanno annunciato l’uscita dall’ECOWAS. Il crollo dell’impero neocoloniale francese continua. I tentativi della Francia di rovinare la Russia in Armenia e Ucraina non possono più fermare questi processi.

Così come:

E:

Anche il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian è appena arrivato in Pakistan con un’accoglienza calorosa, dando credito alle teorie secondo cui i recenti attacchi transfrontalieri che ciascun Paese ha inflitto all’altro erano in realtà un’operazione congiunta segretamente concordata per eliminare i gruppi terroristici americani di tipo GLADIO.

Passiamo per un attimo all’Ucraina. Ci sono alcuni aggiornamenti interessanti. È emersa una storia affascinante su come le forze russe siano riuscite a farsi strada nell’area della Caccia dello Zar, nel sud di Avdeevka. È emerso che sono state in grado di farsi strada attraverso un tubo di drenaggio a centinaia di metri dietro le linee nemiche, aspettando fino a una giornata molto nebbiosa per sbucare nelle retrovie e liquidare e catturare un intero distaccamento:

L’operazione è descritta qui:

Altre informazioni:

Il tubo sotterraneo sotto la Tsarskaya Okhota, che riuscì a sfondare il fronte all’altezza di Chemist (settore Khimik), era destinato alla DFS e, secondo altre fonti, all’approvvigionamento idrico della fabbrica di coke. L’ingresso del collettore è stato trovato dalla nostra parte nella zona del serbatoio, sono stati fatti dei ritagli nel tubo stesso per uscire dietro le linee nemiche. Quando c’era nebbia, i gruppi d’assalto della nostra intelligence sono usciti dal tubo e hanno rapidamente circondato e distrutto le forze AFU con un colpo improvviso. Alcuni dei nostri dipendenti hanno immediatamente preso il controllo del settore privato e vi hanno preso piede. In un solo giorno, la 110ª brigata delle Forze Armate dell’Ucraina, che era di stanza lì, ha affrontato 80 attacchi dell’AFU.
Fonti dell’AFU sono state furiose nello scoprire uno dei metodi che le forze russe avrebbero utilizzato per sorvegliare le unità ucraine nella regione, in particolare notando le loro principali vie di approvvigionamento. È emerso che le forze russe sono state in grado di utilizzare gli hotspot del segnale GPS dei telefoni ucraini, che hanno mostrato le rotte più comuni di entrata e uscita da Avdeevka, come mostrato qui:

Le rotte di rifornimento delle APU sono state determinate dall’attività dei sensori GPS nell’area di Avdeevka utilizzando i servizi di Yandex. Sulla base di questi dati, le Forze armate ucraine hanno due percorsi di rifornimento per il loro gruppo in città: uno settentrionale e uno meridionale. La rotta settentrionale inizia a Ocheretino e passa per Novobakhmutovka, Berdychi e Semyonovka. Il percorso meridionale va da Netaylovo attraverso Umanskoye. Nella zona di Orlovka, entrambi i percorsi si uniscono in uno solo e, passando a nord di Lastochkino, raggiungono Avdeevka.

Ecco le rotte di rifornimento che le forze russe sono state in grado di tracciare sulla base delle informazioni di cui sopra:

Le posizioni più vicine delle Forze Armate della RF alle vie di rifornimento delle Forze Armate dell’Ucraina si trovano nell’area della confluenza dei binari ferroviari vicino a Novobakhmutovka, a nord – più di 2 km. La logistica dei rifornimenti per Avdeevka proviene in gran parte da Krasnoarmeysk attraverso Grodovka, Novogrodovka, Zhelannye, Novoselovka-1 più che attraverso Ocheretino.
Le unità ucraine se ne sono accorte e hanno lanciato un avvertimento:

 

La Rusnia traccia i percorsi di viaggio utilizzando le mappe di Yandex e altre applicazioni! La regola militare d’oro: quando si svolgono missioni di combattimento, disattivare sempre la geolocalizzazione e mettere il telefono in modalità “volo”. Ma per qualche motivo, un piccolo numero di soldati si attiene a questa regola, mettendo così a rischio se stessi e i propri compagni!
Detto questo, un altro video dell’MSR verso Avdeevka:

Taken apparently around here:

Also, here’s a video from the “Khimik” section, which is the dense highrise area just northwest of Tsar’s Hunt, where I said Russian forces could soon end up and gain full fire-control over the MSR. Most notable was the report, which this video affirms, that the ‘sound of gunfire and shelling’ is getting closer and closer to this Khimik sector:

Avdiivka. I rumori degli spari si stanno avvicinando all’area di Khimik, un punto chiave nella parte occidentale di Avdiivka, la cui cattura rende inutile il controllo della città da parte delle Forze armate ucraine.

Sarebbe da qualche parte qui:

L’Ucraina ha cercato disperatamente di contrattaccare l’area della Caccia allo Zar persa nei giorni scorsi, ma è stata respinta:

Avdiivka. I nostri combattenti respingono gli attacchi delle Forze Armate ucraine in un edificio privato subito dopo la Caccia Reale
In realtà, è stato registrato che hanno inviato alcune delle loro unità speciali più d’élite per cercare di allontanare le forze russe dall’area, ma hanno fallito con la cattura di molte delle “élite”. Qui, in un celebre episodio di ieri, un soldato russo solitario ne ha catturati diversi:

⚡️Video⚡️Come gli ufficiali dell’intelligence d’élite delle Forze armate ucraine si sono arresi a un soldato della 9ª brigata ad Avdeevka Continua la storia di come gli ufficiali dell’intelligence ucraina sono andati a riconquistare l’opornik, ma sono stati fermati da uno dei soldati della 9ª brigata, che ha lanciato loro delle granate. Rendendosi conto che non potevano riconquistare l’opornik e che nessuno li avrebbe lasciati tornare indietro, i combattenti d’élite delle Forze armate ucraine hanno preso l’unica decisione giusta: arrendersi. È così che un combattente della “nove”, che ora combatte sotto la guida del leggendario comandante ed Eroe della Russia – “Baycott”, ha catturato i quattro combattenti nemici superstiti. E queste storie accadono ogni giorno nel 1° Corpo d’Armata, quindi molto presto guardate sul nostro canale un nuovo reportage sugli eroici difensori del Donbass.Combattente della 9ª brigata russa cattura da solo la squadra “d’élite” dell’AFU ad Avdeevka: nella direzione di Avdeevsky, i combattenti della 9ª brigata dovevano prendere la posizione di supporto del nemico. E il nemico non ha gradito, tanto che la mattina dopo ha inviato a riconquistare la posizione non dei normali uomini mobilitati, ma cinque, e come si è scoperto in seguito, ufficiali dell’intelligence ucraina d’élite. Ma l’élite delle Forze Armate ucraine non sapeva che un combattente della “9a brigata” era già trincerato nella posizione difensiva e non aveva intenzione di lasciarla.

Nel frattempo, la Russia continua a infliggere pesanti perdite attraverso attacchi a lungo raggio alle retrovie operative. Un’altra notizia proveniente da Sergey Lebedev racconta nei dettagli come pochi giorni dopo il famigerato attacco a Kharkov contro i mercenari francesi, i missili balistici russi si siano abbattuti su un quartier generale dei Kraken, sempre a Kharkov. Secondo quanto riferito, il missile ha ucciso decine di Kraken e un altro attacco a Balakleya avrebbe ucciso oltre 100 militanti ucraini:

Più di 130 combattenti dell’unità neonazista Kraken e del Corpo dei volontari russi* sono stati eliminati a Kharkov dalle forze russe nella notte di mercoledì, ha dichiarato a Sputnik Sergey Lebedev, coordinatore del movimento di resistenza di Nikolaev, citando le sue fonti di Kharkov. Il cosiddetto Corpo dei volontari russi fa parte dell’unità neonazista Kraken, formata dai leader del Reggimento Azov** e della Direzione principale dell’intelligence del Ministero della Difesa ucraino.

L’attività in questa regione settentrionale continua ad essere molto intensa. Non solo gli attacchi a Kharkov, ma anche l’area di Kupyansk-Sinkovka si è riscaldata fino a diventare di gran lunga la seconda più attiva dopo Avdeevka, e forse addirittura la prima. I rapporti indicano infatti che l’Ucraina ha spostato la maggior parte dei suoi Leopard e altri mezzi corazzati avanzati nell’area di Kupyansk.

Oggi sono stati fatti importanti passi avanti quando le forze russe hanno catturato una quantità considerevole di nuovi territori intorno a Tabaevka. Ecco un’analisi dettagliata di tutti i progressi.

Continuano a circolare voci secondo le quali la Russia starebbe aumentando le truppe anche nelle zone di confine, soprattutto alla luce delle varie escalation dell’Ucraina nel bombardare Belgorod, nell’abbattere gli Il-76, ecc. Questo ha portato a speculare sul fatto che la Russia si stia avvicinando sempre di più al lancio di un secondo grande fronte dal nord.

Ora il “capo di stato maggiore” di Azov, Bogdan Krotevich, ha dichiarato sul canale di Dmitry Gordon di ritenere che nel 2024 la Russia condurrà un’invasione di massa dal nord, nelle regioni di Sumy e Chernigov, nonché dalla Bielorussia verso Kiev:

È chiaro che la Russia sta aspettando che il “boa constrictor” dei danni economici e della mancanza di aiuti occidentali paralizzi le forze armate ucraine, e a quel punto un nuovo fronte potrebbe spezzare completamente la schiena dell’AFU. In questo momento, in tutto il fronte ucraino si segnalano enormi problemi di munizioni, ma finora si sta cercando di compensare con la guerra con i droni, che non manca.

In effetti, l’uso dei droni continua a diventare sempre più sofisticato, con le truppe russe che ora riferiscono di “navi madri” ucraine che non solo agiscono come ripetitori di segnale, ma possono anche trasportare FPV in profondità nelle retrovie, per dare loro una maggiore resistenza di volo:

Mentre la Russia detiene il vantaggio quantitativo, non c’è dubbio che l’Ucraina continui a primeggiare nel settore qualitativo e dell’innovazione quando si tratta di guerra con i droni. Tuttavia, per ora questi passi innovativi non producono ancora effetti sproporzionati di alcun tipo, ma si limitano a mantenere l’Ucraina “in lotta” per un pelo.

L’Ucraina continua a innovare anche con gli UGV (Unmanned Ground Vehicles), come questo esempio che si vede qui sotto, utilizzato nel tentativo di distruggere un ponte logistico russo:

Una delle ragioni di questi progressi è che la necessità genera l’invenzione, come tutti sanno. E poiché la Russia dispone di numerosi altri tipi di armi e di vantaggi in ogni altra categoria, non è sottoposta a una pressione così disperata per spremere acqua dalla pietra di ogni possibile capacità dei droni. L’Ucraina, d’altra parte, non ha una vera scelta, perché è costretta ad accontentarsi di ciò che ha e a ricavarne il più possibile.

Detto questo, anche i russi stanno sperimentando un sacco di cose nuove, come questo drone anti-drone con rete di distribuzione:

Così come questo drone per il trasporto a terra “Brother”, che è già stato sottoposto a test approfonditi e sembra essere vicino all’effettivo lancio in serie:

Mentre gli Stati Uniti agitano l’Europa in un assetto di guerra contro la Russia, uno dei fondatori della Brigata Azov, Sergei Korotikh, afferma che non c’è modo che la NATO possa vincere perché “non hanno persone in grado di combattere” a causa di anni di evirazione della loro classe di guerrieri.

Nel frattempo, la classe guerriera ucraina, in calo, è in mostra, mentre le donne continuano a ricoprire un numero sempre maggiore di ruoli, che ora includono anche le navi cisterna:

E le mestruazioni in prima linea durante gli assalti sono ora un argomento serio nell’AFU:

Le cose si stanno lentamente disfacendo per l’Ucraina e gli avvoltoi stanno iniziando a girare intorno, per raccogliere i pezzi. L’edizione rumena di Newsweek ha riportato che il leader di estrema destra Claudiu Tarziu del partito Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR) afferma che la Romania deve riprendersi le sue regioni dall’Ucraina occidentale:

Siamo a un bivio… Non saremo veramente sovrani fino a quando non reintegreremo lo Stato rumeno all’interno dei suoi confini naturali”, ha riferito. “La Bucovina settentrionale non può essere dimenticata! La Bessarabia meridionale non può essere dimenticata… La terra di Hertsa, la Transilvania, tutto ciò che era ed è la nazione rumena deve tornare nei confini di un unico Stato!”, ha dichiarato il leader dell’AUR.
È stato immediatamente appoggiato dal leader del partito di destra ungherese (Partito della Nostra Patria) Laszlo Toroczkai, che ha dichiarato:

 

Parlando sabato, Toroczkai ha detto: “Se questa guerra finirà con la perdita dello Stato da parte dell’Ucraina, perché anche questo è previsto, allora come unico partito ungherese che prende questa posizione, permettetemi di segnalare che rivendichiamo la Transcarpazia”, secondo la Reuters.

Se ricordate, il mese scorso Putin ha dichiarato in un discorso che non avrebbe interferito con gli altri pretendenti che si prendono i loro legittimi appezzamenti di terra ucraina a ovest. Questa è una chiara indicazione del fatto che l’Ucraina si sta pesantemente dirigendo proprio verso ciò che la maggior parte di noi si aspettava, ovvero che venisse smembrata.

Ora, uno dei principali siloviki di Putin, Naryshkin, ha confermato che la Russia non si fermerà davanti a nessuna mezza misura e andrà fino in fondo:

La traduzione automatica è un po’ confusa, ma in pratica sta dicendo che la Russia non si fermerà. L’Ucraina è praticamente finita.

A questo proposito, è stato ripescato un video del 2007 che mostra un guaritore mistico ucraino di nome Mihailo Nechay che sembrava aver predetto proprio questi eventi quasi 20 anni fa:

Il nostro patrimonio genetico si estinguerà e l’Ucraina non esisterà… l’Ucraina occidentale andrà all’Ungheria e alla Repubblica Ceca, la Galizia alla Polonia, l’Ucraina meridionale e centrale alla Russia…”.

Per i religiosi che vogliono vedere altre predizioni profetiche sulla Santa Rus’ da parte di personaggi del passato, ecco anche un interessante video.

Un’ultima notizia:

Gli ingegneri russi hanno catturato e riparato l’M113 americano appartenente al 110° che combatte ad Avdeevka:

L’industria russa continua a martellare a pieno ritmo. Qui stanno sfornando la variante aggiornata 2S19M2 degli obici semoventi Msta-S:

Vi lascio con una nota cupa, visto che è passato l’81° anniversario della rottura dell’assedio di Leningrado. Un Putin commosso ha deposto una corona di fiori davanti alla fossa comune dove è stato sepolto suo fratello Viktor, morto da bambino durante il blocco nazista. Ho incluso le scene di Lukashenko con lui, il Centro Lakhta di San Pietroburgo illuminato per l’occasione e un’interessante citazione dalla conferenza stampa congiunta, in cui Lukashenko ha lamentato l’assenza dell’Ucraina alla cerimonia di deposizione della corona:


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Stati Uniti, San Francisco! Dietro le quinte dell’APEC Con Gianfranco Campa

Se un presidente deve rappresentare il volto della propria nazione, l’immagine offerta da Biden trasmette inquietudine e smarrimento, una grande perplessità sull’adeguatezza del leader e sul senso di responsabilità di una leadership. Di fatto, in casa statunitense, il vertice ha segnato probabilmente l’eclissi definitiva di Biden e l’investitura a leader di Newson. Eppure il summit di San Francisco ha rivelato soprattutto la dimensione delle incognite e la gravità dei problemi legati alla transizione verso un mondo multipolare. Da qui la spinta a riconsiderare la dimensione e le modalità di separazione di mondi fortemente intrecciati. Tra le velleità di ripristino dei fasti della globalizzazione e il tentativo sornione di instaurare una gestione bipolare che semplifichi la conduzione delle dinamiche geopolitiche e la coltivazione di ambizioni egemoniche, si frappongono le spinte di nuovi attori tutt’altro che disposti a ripiegare nel ruolo di comparse. Apparentemente i due principali attori sembrano vivere lo stesso dilemma e gli stessi problemi, le stesse inquietudini; non è così. L’instabilità e la volubilità daranno l’impronta ai prossimi decenni durante i quali nessuno potrà sentirsi al sicuro. Gianfranco Campa, presente nei corridoi di quel consesso, ci offre per il momento le sue sensazioni in attesa di poter approfondire meglio quello che ha osservato. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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l’Occidentalismo a Gaza, di Dominique de Villepin

Traduciamo in italiano questa magistrale intervista[1] sulla situazione a Gaza di Dominique de Villepin[2], ex diplomatico, ex primo ministro francese. Nel 2002-2003, da ministro degli esteri del governo francese, presidenza Chirac, fu il capofila dell’opposizione alla guerra statunitense contro l’Irak.

La “vecchia Europa” (così i neoconservatori americani chiamarono, sprezzantemente, gli oppositori del loro progetto di ridisegno del Medio Oriente) ha ancora qualcosa da dire.

Buona lettura.

 

Hamas ci ha teso una trappola, la trappola del massimo orrore, della massima crudeltà. E quindi rischia di esserci un’escalation di militarismo, di ulteriori interventi militari, come se potessimo risolvere con gli eserciti un problema così grave come la questione palestinese.

C’è anche una seconda grande trappola, che è quella dell’Occidentalismo. Ci troviamo intrappolati, con Israele, in questo blocco occidentale che oggi è messo in discussione dalla maggior parte della comunità internazionale.

[Presentatrice: Cos’è l’Occidentalismo?]

L’occidentalismo è l’idea che l’Occidente, che per 5 secoli ha gestito gli affari del mondo, potrà continuare tranquillamente a farlo. E possiamo vedere chiaramente, anche nei dibattiti della classe politica francese, che c’è l’idea che, di fronte a ciò che sta accadendo attualmente in Medio Oriente, dobbiamo continuare a lottare ancora di più, in direzione di quella che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà. Vale a dire, isolarsi ancora di più sulla scena internazionale.

 

Non è questa la strada, soprattutto perché c’è una terza trappola, quella del moralismo. E qui abbiamo in un certo senso la prova, attraverso quanto sta accadendo in Ucraina e in Medio Oriente, di questo doppio standard che viene denunciato ovunque nel mondo, anche nelle ultime settimane quando mi reco in Africa, in Medio Oriente o in America Latina. La critica è sempre la stessa: guardate come vengono trattate le popolazioni civili a Gaza, denunciate quello che è successo in Ucraina e siete molto timidi di fronte alla tragedia che si sta consumando a Gaza.

 

Consideriamo il diritto internazionale, la seconda critica che viene mossa dal Sud globale. Sanzioniamo la Russia quando aggredisce l’Ucraina, la sanzioniamo quando non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite, e sono 70 anni che le risoluzioni delle Nazioni Unite vengono votate invano e che Israele non le rispetta.

 

[Presentatrice: Crede che attualmente, gli occidentali siano colpevoli di hybris?]

 

Gli occidentali devono aprire gli occhi sulla portata del dramma storico che si sta svolgendo davanti a noi per trovare le risposte giuste.

 

[Presentatrice: Qual è il dramma storico? Voglio dire, stiamo parlando innanzitutto della tragedia del 7 ottobre, giusto?]

 

Certo, ci sono questi orrori che stanno accadendo, ma il modo di rispondere ad essi è cruciale. Uccideremo il futuro trovando le risposte sbagliate…

 

[Presentatrice: Uccidere il futuro?]

 

Uccidere il futuro, sì! Perché?

 

[Presentatrice: Ma chi sta uccidendo chi?]

 

Vi trovate in un gioco di cause ed effetti. Di fronte alla tragedia della storia, non si può prendere questa griglia analitica della “catena di causalità”, semplicemente perché se lo si fa non se ne può uscire. Una volta capito che c’è una trappola, una volta capito che dietro questa trappola c’è stato anche un cambiamento in Medio Oriente per quanto riguarda la questione palestinese… La situazione oggi è profondamente diversa [da quella del passato]. La causa palestinese era una causa politica e laica. Oggi ci troviamo di fronte a una causa islamista, guidata da Hamas. Ovviamente, questo tipo di causa è assoluta e non ammette alcuna forma di negoziazione. Anche da parte israeliana c’è stata un’evoluzione. Il sionismo era laico e politico, sostenuto da Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Oggi è diventato in gran parte messianico, biblico. Ciò significa che anche loro non vogliono scendere a compromessi, e tutto ciò che fa il governo israeliano di estrema destra, continuando a incoraggiare la colonizzazione, ovviamente peggiora le cose, anche dopo il 7 ottobre. In questo contesto, quindi, bisogna capire che in questa regione siamo già di fronte a un problema che sembra profondamente insolubile.

 

A questo si aggiunge l’indurimento degli Stati. Dal punto di vista diplomatico, guardate le dichiarazioni del re di Giordania, non sono le stesse di sei mesi fa. Guardate le dichiarazioni di Erdogan in Turchia.

 

[Presentatrice: Precisamente, sono dichiarazioni estremamente dure…]

 

Estremamente preoccupanti. Perché? Perché anche se la causa palestinese, la questione palestinese, non è stata portata in primo piano, non è stata messa in scena [per un po’ di tempo], e se la maggior parte dei giovani di oggi in Europa spesso non ne ha mai sentito parlare, per i popoli arabi rimane la madre di tutte le battaglie. Tutti i progressi fatti per tentare di stabilizzare il Medio Oriente, dove si potrebbe credere…

 

[Presentatrice: Sì, ma di chi è la colpa? Faccio fatica a seguirla, è colpa di Hamas?]

 

Ma signora Malherbe, io ho una formazione da diplomatico. La questione della colpa sarà affrontata da storici e filosofi.

 

[Presentatrice: Ma lei non può rimanere neutrale, è difficile, è complicato, non è vero?]

 

Non sono neutrale, sono in azione. Vi dico semplicemente che ogni giorno che passa possiamo fare in modo che questo ciclo orribile si fermi… Ecco perché parlo di trappola ed ecco perché è così importante sapere che risposta daremo. Oggi siamo soli davanti alla storia. E non trattiamo questo nuovo mondo come facciamo attualmente, sapendo che oggi non siamo più in una posizione di forza, non siamo in grado di cavarcela da soli, come poliziotti del mondo.

 

[Presentatrice: Allora cosa facciamo?]

 

Esattamente, cosa dobbiamo fare? A questo punto è fondamentale non tagliare fuori nessuno sulla scena internazionale.

 

[Presentatrice: Compresi i russi?]

 

Tutti.

 

[Presentatrice: Tutti? Dovremmo chiedere aiuto ai russi?]

 

Non sto dicendo che dovremmo chiedere aiuto ai russi. Dico che se i russi possono contribuire a calmare alcune fazioni in questa regione, allora sarà un passo nella giusta direzione.

 

[Presentatrice: Come possiamo rispondere in modo proporzionale alla barbarie? Non è più esercito contro esercito].

 

Ma ascolti, Apolline de Malherbe, le popolazioni civili che stanno morendo a Gaza, non esistono? Quindi, poiché l’orrore è stato commesso da una parte, l’orrore deve essere commesso dall’altra?

 

[Presentatrice: Dobbiamo davvero equiparare le due cose?]

 

No, è lei che lo sta facendo. Non sto dicendo che equiparo le colpe. Cerco di tenere conto di ciò che pensa gran parte dell’umanità. C’è sicuramente un obiettivo realistico da perseguire, che è quello di sradicare i leader di Hamas che hanno commesso questo orrore. E non confondere i palestinesi con Hamas, questo è un obiettivo realistico.

 

La seconda cosa è una risposta mirata. Definiamo obiettivi politici realistici. La terza cosa è una risposta combinata. Perché non esiste un uso efficace della forza senza una strategia politica. Non siamo nel 1973 o nel 1967. Ci sono cose che nessun esercito al mondo sa fare, ovvero vincere in una battaglia asimmetrica contro i terroristi. La guerra al terrorismo non è mai stata vinta da nessuna parte. E invece scatena misfatti, cicli ed escalation estremamente drammatici. Se l’America ha perso in Afghanistan, se ha perso in Iraq, se noi [francesi] abbiamo perso nel Sahel, è perché si tratta di una battaglia che non può essere vinta semplicemente, non è che basta un martello che batte un chiodo e il problema è risolto. Dobbiamo quindi mobilitare la comunità internazionale, uscire da questa trappola occidentale in cui ci troviamo.

 

[Presentatrice: Ma quando Emmanuel Macron parla di una coalizione internazionale…]

Sì, e qual è stata la risposta?

 

[Presentatrice: Nessuna.]

 

Esattamente. Abbiamo bisogno di una prospettiva politica, e questa è una sfida perché la soluzione dei due Stati è stata rimossa dal programma politico e diplomatico israeliano. Israele deve capire che per un Paese con un territorio di 20.000 chilometri quadrati, una popolazione di 9 milioni di abitanti, di fronte a 1,5 miliardi di persone… I popoli non hanno mai dimenticato che la causa palestinese e l’ingiustizia commessa nei confronti dei palestinesi è stata una fonte significativa di mobilitazione. Dobbiamo considerare questa situazione, e credo che sia essenziale aiutare Israele, guidare… alcuni dicono imporre, ma io penso che sia meglio convincere, muoversi in questa direzione. La sfida è che oggi non c’è un interlocutore, né da parte israeliana né da parte palestinese. Dobbiamo far emergere degli interlocutori.

 

[Presentatrice: Non sta a noi scegliere chi sarà il leader della Palestina].

 

La politica israeliana degli ultimi anni non ha voluto necessariamente coltivare una leadership palestinese… Molti sono in prigione, e l’interesse di Israele – perché ripeto: non era nel loro programma o nell’interesse di Israele in quel momento, o almeno così pensavano – era invece quello di dividere i palestinesi e fare in modo che la questione palestinese svanisse. La questione palestinese non svanirà. Dobbiamo quindi affrontarla e trovare una risposta. È qui che abbiamo bisogno di coraggio. L’uso della forza è un vicolo cieco. La condanna morale di ciò che ha fatto Hamas – e non c’è un “ma” nelle mie parole riguardo alla condanna morale di questo orrore – non deve impedirci di andare avanti politicamente e diplomaticamente in modo illuminato. La legge della ritorsione è un ciclo senza fine.

 

[Presentatrice: “Occhio per occhio, dente per dente”].

 

Sì. Ecco perché la risposta politica deve essere difesa da noi. Israele ha il diritto all’autodifesa, ma questo diritto non può essere la vendetta indiscriminata. E non può esserci una responsabilità collettiva del popolo palestinese per le azioni di una minoranza terroristica, di Hamas.

 

Quando si entra in questo ciclo di ricerca delle colpe, i ricordi di una parte si scontrano con quelli dell’altra. Alcuni contrappongono i ricordi di Israele a quelli della Nakba, la catastrofe del 1948, che è una catastrofe che i palestinesi vivono ancora ogni giorno. Quindi non si possono spezzare questi cicli. Dobbiamo avere la forza, ovviamente, di capire e denunciare ciò che è successo, e da questo punto di vista non ci sono dubbi sulla nostra posizione. Ma dobbiamo anche avere il coraggio, e la diplomazia è questo… la diplomazia è la capacità di credere che ci sia una luce alla fine del tunnel. E questa è l’astuzia della storia: quando si è toccato il fondo, può accadere qualcosa che dà speranza. Dopo la guerra del 1973, chi avrebbe pensato che prima della fine del decennio l’Egitto avrebbe firmato un trattato di pace con Israele?

 

Il dibattito non dovrebbe riguardare la retorica o la scelta delle parole. Il dibattito oggi riguarda l’azione; dobbiamo agire. E quando si pensa all’azione, ci sono due opzioni. O si tratta di guerra, guerra, guerra. Oppure si cerca di andare verso la pace, e lo ripeto, è nell’interesse di Israele. È nell’interesse di Israele!”.

 

 

[1] https://youtu.be/Mpq5IxdDeqA

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Dominique_de_Villepin

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Modelli di formazione e scomparsa dei poli economici globali – di Sergey Glazyev

Modelli di formazione e scomparsa dei poli economici globali – Sergey Glazyev
Postato il : 17/05/2023 Da Kolozeg
Modelli di formazione e scomparsa dei poli economici globali – Sergey Glazyev
Economia globale Geopolitica Rete informativa sovrana
Sergey Glazyev

Secondo il Dizionario russo delle parole straniere, “polo – è la punta dell’asse terrestre immaginario: il polo sud e il polo nord” [1]. Geometricamente ci possono essere solo due poli; la geografia si basa su questo. Ma non la geopolitica moderna, dove sta emergendo il concetto di mondo multipolare (multipolar). Fatta questa precisazione terminologica, in futuro useremo il concetto di mondo multipolare con cautela, in base alle sue diverse interpretazioni da parte di diversi pensatori.

I poli dell’economia mondiale che cambiano al mutare dell’ordine economico mondiale

Nel contesto della teoria del ciclo lungo dello sviluppo socio-economico globale [2] sviluppata dall’autore, intendiamo il polo come un Paese la cui élite al potere esercita un’influenza decisiva sullo sviluppo dell’economia mondiale. Presentando questo processo come un cambiamento delle modalità economiche mondiali (WEM), possiamo dedurre una regolarità di cambiamento periodico dei poli economici mondiali. Allo stesso tempo, non possono esserci meno di due poli (la vecchia e la nuova UI) durante il periodo di cambiamento della UI. Alla fine di questo periodo di transizione, il dominio globale passa al Paese che costituisce il nucleo della nuova UI.

Così Arrighi ha immaginato lo sviluppo dell’economia capitalistica mondiale [3], che ha suddiviso in cinque cicli sistemici secolari di accumulazione del capitale: Spagnolo-Genovese, Olandese, Inglese e Americano, oggi soppiantato dal ciclo asiatico. Nel corso dei cinque secoli di capitalismo, le élite dominanti spagnole-genovesi, olandesi, inglesi e americane, ora soppiantate dai comunisti cinesi, si sono succedute come forza motrice decisiva nello sviluppo dell’economia mondiale. Con l’eccezione del primo ciclo, in cui il capitale genovese costituì la base finanziaria per la rapida espansione dell’Impero spagnolo, tutti gli altri furono caratterizzati dal dominio di un singolo Paese, i cui rapporti di produzione e le cui istituzioni servirono da esempio per gli altri. Nel corso del tempo, la loro efficienza diminuì ed emerse un nuovo leader nella periferia con relazioni di produzione e istituzioni qualitativamente più efficienti. Il dominio globale gli è stato trasferito a seguito di una guerra mondiale, che il leader uscente ha impiegato contro i suoi principali concorrenti per mantenere l’egemonia mondiale, senza accorgersi dell’emergere di una nuova UI con un proprio polo geoeconomico.

I cicli sistemici secolari di accumulazione del capitale scoperti da Arrighi rappresentano le rispettive epoche di sviluppo del sistema capitalistico mondiale. Essi differiscono significativamente non solo nei Paesi leader, ma anche nei sistemi di gestione della riproduzione e dello sviluppo economico. Per studiarli, l’autore ha introdotto il concetto di ordine economico mondiale (WEO), definito come un sistema di istituzioni internazionali e nazionali interrelate che provvedono alla riproduzione allargata dell’economia e determinano il meccanismo delle relazioni economiche globali [4]. Le istituzioni del Paese leader, che hanno un’influenza dominante sulle istituzioni internazionali che regolano il mercato mondiale e le relazioni commerciali, economiche e finanziarie internazionali, sono di primaria importanza. Esse fungono anche da modello per i Paesi periferici, che cercano di raggiungere il leader importando le istituzioni da esso imposte. Pertanto, il sistema istituzionale dell’economia mondiale permea la riproduzione dell’intera economia mondiale nell’unità delle sue componenti nazionali, regionali e internazionali.

Il ciclo sistemico di accumulazione del capitale è una forma del ciclo di vita dell’ordine economico mondiale. I cicli di accumulazione del capitale dei secoli spagnolo-genovese, olandese, inglese, americano e poi asiatico descritti da Arrighi sono manifestazioni dei cicli di vita rispettivamente del commercio, del commercio-produzione, del WEM coloniale, imperiale e integrale. Essi differiscono talmente tanto nei loro sistemi di gestione della riproduzione e dello sviluppo economico che il passaggio dall’uno all’altro è avvenuto finora per mezzo di guerre mondiali e rivoluzioni sociali, durante le quali il sistema di gestione obsoleto è stato schiacciato e il Paese vincitore ne ha formato uno nuovo.

Le modalità economiche mondiali si differenziano non solo per il tipo di organizzazione del commercio internazionale, ma anche per il sistema di relazioni produttive e di istituzioni, che consentono ai Paesi leader di raggiungere la superiorità globale e di plasmare il regime del commercio e delle relazioni economiche internazionali. La classificazione dei modelli economici mondiali è determinata dai sistemi istituzionali dei Paesi leader che dominano le relazioni economiche internazionali e costituiscono il nucleo del sistema economico mondiale. Allo stesso tempo, alla sua periferia si possono riprodurre altri sistemi istituzionali meno efficienti e persino arcaici di organizzazione delle economie nazionali e regionali. Le relazioni tra il nucleo e la periferia del sistema economico mondiale sono caratterizzate da scambi economici con l’estero non equivalenti a favore del nucleo, i cui Paesi ricevono superprofitti a scapito della superiorità tecnologica, economica e organizzativa, rispettivamente sotto forma di rendite intellettuali e di monopolio, di reddito d’impresa e di emissioni. Pertanto, i Paesi del nucleo costituiscono il centro dell’economia mondiale che domina le relazioni economiche internazionali e determina lo sviluppo socio-economico globale.

La logica della competizione geopolitica nel sistema mondiale capitalista condiziona il dominio di un Paese all’interno del ciclo di vita di una o dell’altra UI. Ciò è legato al ruolo della legislazione e della sovranità nazionale nel garantire la riproduzione allargata del capitale. La sovranità nazionale fornisce all’élite al potere un’accumulazione illimitata di capitale attraverso la fiducia nel sistema creditizio e bancario nazionale e l’emissione di moneta nazionale, vari strumenti di protezione del mercato nazionale e la protezione giudiziaria dei diritti di proprietà. Sebbene i trattati internazionali possano fornire regole per la protezione dei diritti di proprietà e degli investitori stranieri, in pratica la garanzia di conformità dipende fortemente dall’equilibrio dell’influenza geopolitica dei Paesi. Le forze armate nazionali sono state spesso l’argomento decisivo per risolvere le controversie geopolitiche.

Dal sistema di Westfalia, che ha aperto la strada all’acquisizione della sovranità nazionale da parte degli Stati, fino ad oggi non sono state create a livello internazionale strutture sovranazionali o interstatali, vicine per efficienza ai sistemi nazionali di riproduzione economica e di accumulazione del capitale dei Paesi più potenti. Anche se i Paesi sono civilmente vicini, le varie coalizioni e alleanze tra loro sono incomparabilmente meno forti delle istituzioni che legano le relazioni economiche degli agenti economici all’interno degli Stati sovrani. Più sono potenti, più opportunità hanno le corrispondenti élite nazionali di realizzare i propri interessi nelle relazioni internazionali, tra cui l’arricchimento su scambi economici esteri non equivalenti, lo sfruttamento delle ricchezze naturali e del capitale umano di Stati relativamente deboli le cui élite non sono in grado di garantire la sovranità nazionale.

La correlazione diretta tra il potere degli Stati nazionali e le possibilità di accumulo di capitale a spese di scambi economici esteri non equivalenti genera un’ondata crescente di rafforzamento del potere nazionale che porta alla formazione di nuovi WEM. L’élite al potere del Paese costruisce costantemente il proprio potere utilizzando la superiorità del proprio Stato per massimizzare i profitti nelle relazioni economiche internazionali. Questo è il modo in cui il sistema mondiale capitalista si sta evolvendo, con il centro che si sposta successivamente dal Nord Italia alla Spagna, ai Paesi Bassi, alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. Allo stesso tempo, gli Stati che hanno perso la loro leadership sono stati relegati alla periferia e, viceversa, nuovi leader sono sorti dalla periferia.

Il ciclo di vita dell’IU è costituito da fasi di espansione materiale e finanziaria. Nella prima fase, grazie al sistema di gestione super-efficiente, il Paese che costituisce il nucleo della nuova IU si lancia in un’onda lunga di crescita della nuova modalità tecnologica, modernizzando l’economia sulla sua base. In quel momento, i Paesi centrali del vecchio WEM stanno sprofondando in una crisi strutturale e in una depressione causata dall’eccessiva concentrazione di capitale nelle produzioni obsolete della precedente modalità tecnologica. Cercano di mantenere l’egemonia con ogni mezzo, anche fomentando una guerra mondiale tra concorrenti. Il loro indebolimento reciproco crea ulteriori opportunità per la svolta economica del Paese che costituisce il nucleo della nuova UI. Di conseguenza, si impadronisce della leadership globale, che costruisce costantemente fino a raggiungere una posizione dominante. Così, i Paesi Bassi hanno raggiunto il dominio globale dopo la guerra ispano-britannica, la Gran Bretagna dopo le guerre napoleoniche e gli Stati Uniti dopo la prima e la seconda guerra mondiale. Attualmente, la guerra ibrida globale scatenata dagli Stati Uniti sta oggettivamente facilitando l’affermazione economica della Cina, che costituisce il nucleo della nuova UI.

Conquistando il dominio globale, nella seconda fase del ciclo di vita del WEM, il Paese centrale ottiene l’opportunità di imporre agli altri i propri termini di scambio economico-finanziario internazionale, fino all’utilizzo della propria valuta, delle istituzioni finanziarie, del commercio estero e delle infrastrutture di trasporto. In questa fase di espansione finanziaria, il dominio del Paese centrale di una UI già matura si trasforma in un’egemonia globale, sostenuta dai superprofitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse periferiche attraverso il commercio non equivalente, la manipolazione dei prezzi mondiali, la compressione dei capitali e la fuga dei cervelli. Il rovescio della medaglia di questa egemonia è un debito pubblico crescente e un declino della produttività dell’economia, in cui la speculazione finanziaria diventa preferibile agli investimenti produttivi. L’UI sta entrando nella fase finale del suo ciclo di vita, che coincide con l’emergere di una nuova UI alla periferia del sistema mondiale con un sistema di riproduzione e di gestione dello sviluppo economico di un ordine di grandezza più efficiente.

Questa analisi mostra che il sistema mondiale capitalista è unipolare durante il periodo di maturità dell’UI e multipolare durante il periodo di cambiamento dell’UI. Durante il periodo di formazione della nuova UI, emergono uno o più dei suoi Paesi centrali, in competizione sia con il Paese egemone uscente sia tra loro. Come risultato di questa competizione, emerge un leader globale che aumenta costantemente il proprio dominio. Oltre a loro, c’è anche la Russia, che mantiene la sua influenza globale in varie forme politiche per tutto il periodo considerato, il cui ruolo storico Arrighi ha completamente ignorato.

La Russia come polo indipendente di influenza globale

Per tutta l’epoca del capitalismo, a partire, secondo Arrighi, dal ciclo sistemico genovese-spagnolo del secolo dell’accumulazione del capitale, la Russia ha agito come polo indipendente di influenza globale. L’UI imperiale uscente era bipolare, con gli Stati Uniti e l’URSS che controllavano ciascuno un terzo dell’economia mondiale e il restante terzo era terreno di rivalità. Nell’IMU coloniale che l’ha preceduta, l’Impero russo ha affrontato con successo l’Impero britannico, controllando la maggior parte dell’Eurasia, l’Alaska e il Pacifico settentrionale. Nell’UI commerciale-manifatturiera, la Russia ha subito la modernizzazione di Pietro il Grande, raggiungendo di fatto l’Olanda, allora leader mondiale, in termini di sviluppo tecnologico e superando la scala di produzione. L’Impero moscovita di Ivan il Terribile, che aveva ereditato le tradizioni dell’Impero bizantino e parte del territorio dell’Impero dell’Orda, non era certo inferiore in potenza all’Impero spagnolo, con il quale non aveva contraddizioni.

Così, almeno a partire dal XVII secolo, la Russia costituì un polo d’influenza globale indipendente che esisteva parallelamente ai Paesi centrali dell’Occidente, concorrenti e poi del WEM. In questa sede non esaminiamo il periodo precedente, che è coperto dalle tenebre delle falsificazioni storiche che oscurano l’influenza globale della Russia (Rus’) durante i periodi dell’Orda e dei Bizantini. La nostra analisi copre solo il periodo ben documentato dal XVII secolo a oggi, che segue il ritmo del cambiamento dei modelli economici e tecnologici globali. I modelli identificati sulla base di questa analisi ci permettono di fare una previsione affidabile dei poli mutevoli dello sviluppo economico mondiale fino alla fine di questo secolo. Ciò che rimane poco chiaro è la previsione del ruolo della Russia, che è rimasta un polo indipendente dello sviluppo globale, spostandosi parallelamente al cambiamento dei poli WEM del sistema mondiale occidentale.

Fin dai Grandi Problemi e dall’ascesa dei Romanov, la Russia è stata coinvolta in un rapporto complesso e contraddittorio con gli Stati europei, che in tempi diversi sono stati talvolta alleati e talvolta avversari. La Russia è vista da questi ultimi come una forza reazionaria che impedisce i processi di liberalizzazione delle relazioni socio-produttive e di democratizzazione dei sistemi statali e politici. Le élite al potere degli Stati europei temono la Russia e si uniscono periodicamente contro di essa, cercando di schiacciarla e smembrarla. Dall’emergere del WEM coloniale e dell’egemonia mondiale britannica, la Russia è sempre stata vista come un polo di influenza mondiale in opposizione all’Occidente.

Da parte loro, i leader di Stato russi hanno considerato i poli mutevoli del sistema mondiale occidentale come un alleato e un partner, poi come un avversario e un nemico, poi come un maestro e poi come un discente. Secoli di cicli sistemici di accumulazione del capitale hanno interessato la Russia come periferia piuttosto che come centro, finché l’URSS non ha smesso di partecipare a questo processo. E ora l’Occidente sta cercando di sottrarre alla Russia tutto ciò che ha accumulato. Va detto che l’élite dirigente russa non ha sviluppato un atteggiamento preciso nei confronti dell’Occidente. Il dibattito tra occidentali e slavofili continua ancora oggi. Mentre i primi attribuiscono la posizione speciale della Russia alla sua arretratezza e sostengono il suo superamento attraverso l’integrazione con l’Occidente, i secondi vedono la missione speciale della Russia nel salvare l’umanità dalle minacce poste dal liberalismo, dal capitalismo e dal post-umanesimo radicati in Occidente. Questo argomento è ora irrilevante a causa dell’aggressione antirussa dell’Occidente collettivo, che sostanzialmente pone fine al mezzo secolo di dominio globale e con esso all’era capitalista. Il centro dell’economia mondiale si sta spostando nel Sud-est asiatico, dove stanno emergendo i suoi poli di influenza globale.

I poli del nuovo ordine economico

Il cambiamento in corso nel WEM sta avvenendo in piena sintonia con gli schemi del processo individuato in precedenza [5]. È iniziato con il crollo dell’URSS e si conclude ora con la disintegrazione della Pax Americana. In pieno accordo con la teoria del mantenimento dell’egemonia globale, l’élite dominante statunitense ha scatenato una guerra mondiale nel tentativo di schiacciare o rendere caotici i Paesi che non può controllare: Cina, Russia, Iran. Non può vincerla, però, a causa dell’efficienza qualitativamente superiore del sistema di governo cinese. Gli Stati Uniti hanno già perso una guerra commerciale ed economica contro la Cina, che raggiungerà la sovranità tecnologica e il primo posto al mondo in termini di capacità scientifica e tecnologica entro la fine dell’attuale piano quinquennale. Con il sequestro delle riserve valutarie russe, Washington ha minato la fiducia nel dollaro e sta rapidamente perdendo la sua egemonia nella sfera monetaria. Allo stesso tempo, la Cina sta diventando il più grande investitore del mondo. Gli investimenti cinesi nei Paesi della One Belt, One Road (OBOR) superano di un ordine di grandezza i finanziamenti per la tanto pubblicizzata iniziativa americana Indo-Pacific Future Image. La portata di questo progetto impallidisce rispetto al JCPOA, che secondo varie stime dovrebbe erogare tra i 4.000 e gli 8.000 miliardi di dollari. Il portafoglio di investimenti dell’OPOP eclissa anche il Piano Marshall per finanziare la ricostruzione postbellica dell’Europa occidentale, che al valore in dollari di oggi può essere stimato in 180 miliardi di dollari (12 miliardi di dollari 70 anni fa) [6].

Dopo il crollo dell’URSS, l’élite dirigente americana si affrettò a dichiarare la vittoria finale e “la fine della storia” [7]. Tuttavia, questa euforia è terminata con la crisi finanziaria globale del 2008, che ha segnato il limite del ciclo secolare americano di accumulazione del capitale. L’era del dominio globale degli Stati Uniti è durata un po’ più a lungo di quella della Gran Bretagna dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, conclusasi con la crisi finanziaria del 1929. La Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale che seguirono seppellirono l’Impero Britannico, incapace di competere con i sistemi di governance di ordine superiore dell’URSS e degli Stati Uniti, formando i due poli dell’UI imperiale, che sostituirono quello coloniale.

In tutti gli indicatori macroeconomici, la RPC ha già superato gli Stati Uniti. Quasi indenne dalla recessione globale dell’ultimo decennio, nell’agosto 2010 la Cina ha soppiantato il Giappone come seconda economia mondiale. Nel 2012, con 3,87 trilioni di dollari di importazioni ed esportazioni, la Cina ha superato gli Stati Uniti come seconda economia mondiale. La RPC ha superato gli Stati Uniti con un fatturato totale del commercio estero di 3,82 trilioni di dollari, spodestandoli dalla posizione che avevano occupato per 60 anni come leader mondiale del commercio transfrontaliero. Alla fine del 2014, il prodotto interno lordo della Cina, misurato in parità di potere d’acquisto, era di 17,6 trilioni di dollari, superando quello degli Stati Uniti (17,4 trilioni di dollari), la più grande economia del mondo dal 1872 [8].

La Cina sta diventando un polo ingegneristico e tecnologico globale. La quota della Cina nella forza lavoro ingegneristica e scientifica mondiale ha raggiunto il 20% nel 2007. La percentuale di ingegneri e scienziati cinesi nel mondo ha raggiunto il 20% nel 2007, raddoppiando dal 2000 (rispettivamente 1.420.000 e 690.000). È interessante notare che molti di loro sono tornati nella RPC dalla Silicon Valley negli Stati Uniti, svolgendo un ruolo importante nell’ascesa dell’imprenditoria innovativa in Cina. Entro il 2030, si prevede che la forza lavoro ingegneristica e scientifica mondiale sarà di 15 milioni di persone, di cui 4,5 milioni (30%) saranno scienziati, ingegneri e tecnici provenienti dalla RPC [9]. Entro il 2030. 9] Entro il 2030, la Cina sarà in testa al mondo in termini di spesa S&T e rappresenterà il 25% della sua quota di spesa globale [10].

Tra il 2000 e il 2016, la quota cinese delle pubblicazioni globali in scienze fisiche, ingegneria e matematica è quadruplicata, superando quella degli Stati Uniti. Nel 2019, la RPC ha superato gli Stati Uniti nell’attività brevettuale (58.990 contro 57.840). Non solo a livello macro, ma anche a livello micro, le aziende cinesi stanno superando i leader dell’innovazione statunitense. Ad esempio, per il terzo anno consecutivo, la società cinese Huawei Technologies Company, con 4.144 brevetti, ha superato di gran lunga la statunitense Qualcomm (2.127 brevetti).

La Cina è in testa alla classifica mondiale dei pagamenti mobili, mentre gli Stati Uniti sono al sesto posto. Nel 2019, il volume di tali transazioni in Cina è stato di 80,5 trilioni di dollari. Il volume totale previsto dei pagamenti mobili nella RPC è di 111 trilioni di dollari e negli Stati Uniti di 130 miliardi di dollari. Ciò sembrerebbe indicare che la maggior parte dell’emissione di denaro statunitense è legata ai circuiti speculativi del mercato finanziario senza raggiungere i consumatori finali.

La quota del dollaro nei pagamenti internazionali sta rapidamente diminuendo, mentre quella del renminbi è in costante aumento. Allo stesso tempo, la continua crescita della piramide del debito pubblico statunitense e le bolle dei derivati finanziari da mille miliardi di dollari (che sono raddoppiate dalla crisi finanziaria del 2008 e non lasciano dubbi sull’imminente collasso del sistema finanziario statunitense) su una base di reddito in contrazione.

La crescita di oltre quattro volte della base monetaria dopo il 2008 non si è tradotta in una ripresa dell’economia statunitense, poiché la maggior parte della massa monetaria è stata destinata a gonfiare le bolle finanziarie. La Cina, invece, ha realizzato una monetizzazione molto più ampia dell’economia, aumentando al contempo gli investimenti nello sviluppo del settore reale e creando circuiti riproduttivi di accumulazione del capitale molto più efficienti.

Le ragioni della performance superiore della RPC risiedono nella struttura istituzionale del nuovo WEM, che garantisce una gestione qualitativamente più efficiente dello sviluppo economico. Combinando le istituzioni della pianificazione centrale e della concorrenza di mercato, il nuovo ordine economico mondiale dimostra un salto di qualità nell’efficienza della gestione dello sviluppo socio-economico rispetto ai sistemi di ordine mondiale che lo hanno preceduto: quello sovietico, con la pianificazione direttiva e lo statalismo totale, e quello americano, dominato dall’oligarchia finanziaria e dalle corporazioni transnazionali. Ciò è dimostrato non solo dal tasso di crescita economica record della Cina negli ultimi tre decenni, ma anche dalla sua ascesa all’avanguardia del progresso scientifico e tecnologico. Lo dimostrano anche i progressi nello sviluppo di altri Paesi che utilizzano le istituzioni di un ordine mondiale integrato: Il Giappone prima della sospensione artificiale della sua ascesa da parte degli americani con una forte rivalutazione dello yen; la Corea del Sud prima della crisi economica asiatica causata dall’oligarchia finanziaria statunitense nel 1998; il moderno Vietnam, che per molti versi sta copiando l’esperienza cinese; l’India, che sta implementando il modello democratico del nuovo ordine mondiale; l’Etiopia, che sta sperimentando tassi di crescita record con la partecipazione attiva degli investitori cinesi.

Indipendentemente dalla forma di proprietà dominante – statale, come in Cina o in Vietnam, o privata, come in Giappone o in Corea – l’ordine economico mondiale integrato è caratterizzato da una combinazione di istituzioni di pianificazione statale e di auto-organizzazione del mercato, di controllo statale sui principali parametri della riproduzione economica e di libera impresa, di ideologia del bene comune e di iniziativa privata. Allo stesso tempo, le forme della struttura politica possono differire in modo sostanziale, dalla più grande democrazia indiana al più grande partito comunista cinese. Ciò che rimane invariato è la priorità degli interessi pubblici rispetto a quelli privati, espressa in meccanismi rigorosi di responsabilità personale dei cittadini per il comportamento coscienzioso, il chiaro adempimento dei propri doveri, il rispetto della legge e il servizio agli obiettivi nazionali. Il sistema di gestione dello sviluppo socio-economico è costruito sui meccanismi di responsabilità personale per migliorare il benessere della società.

Quindi, in base all’esito più probabile della guerra ibrida globale scatenata dall’élite dominante statunitense non a suo favore, il nuovo ordine economico mondiale si formerà nella competizione tra varietà comuniste e democratiche, i cui esiti saranno determinati dalla loro efficacia relativa nello sviluppare le opportunità e neutralizzare le minacce del nuovo ordine tecnologico. La principale competizione tra le varianti comuniste e democratiche del nuovo ordine economico mondiale si svilupperà probabilmente tra Cina e India, leader dell’attuale ritmo di sviluppo economico, che insieme ai loro satelliti rivendicano una buona metà dell’economia globale. Questa competizione sarà pacifica e regolata dal diritto internazionale. Tutti gli aspetti di questa regolamentazione, dal controllo della sicurezza globale all’emissione di valute mondiali, si baseranno su trattati internazionali. I Paesi che rifiutano gli impegni e il monitoraggio internazionale saranno emarginati nei rispettivi campi di cooperazione internazionale. Man mano che l’economia mondiale diventa più complessa, il ripristino dell’importanza della sovranità nazionale e della diversità dei sistemi nazionali di regolamentazione economica si combinerà con l’importanza fondamentale delle organizzazioni internazionali con poteri sovranazionali.

La competizione tra le varianti comuniste e democratiche di un’economia mondiale integrata non sarà antagonista. Ad esempio, l’iniziativa cinese “One Belt, One Road”, con la sua ideologia di un “destino comune per l’umanità”, coinvolge molti Paesi con diversi assetti politici. I Paesi democratici dell’UE stanno creando zone di libero scambio con il Vietnam comunista. Il panorama competitivo sarà determinato dall’efficienza comparativa dei sistemi di governance nazionali.

L’ulteriore sviluppo della crisi finanziaria globale sarà oggettivamente accompagnato da un rafforzamento della RPC e da un indebolimento degli Stati Uniti. Come sottolinea giustamente il dottor Wang Wen, “la comunità globale vede la Cina crescere e gli Stati Uniti ridursi sui parametri degli investimenti internazionali, delle fusioni e acquisizioni, della logistica e della valuta. La globalizzazione sta diventando meno americanizzata e più sinosizzata” [11].

Nel corso di questa trasformazione, i Paesi alla periferia del sistema finanziario incentrato sugli Stati Uniti, tra cui l’UE e la Russia, saranno significativamente colpiti. L’unica questione è la portata di questi cambiamenti. In circostanze favorevoli, la Grande Stagnazione delle economie occidentali, in corso da oltre un decennio, durerà ancora per qualche anno, fino a quando il capitale rimanente, dopo lo scoppio delle bolle finanziarie, sarà investito in nuove industrie tecnologiche e potrà “cavalcare” la nuova onda lunga di Kondratieff. In caso di eventi sfavorevoli, il pompaggio monetario del sistema finanziario causerà un’inflazione galoppante, che porterà a un’interruzione della riproduzione economica, a un calo del tenore di vita e a una crisi politica. L’élite al potere negli Stati Uniti si troverà di fronte a due opzioni. La prima sarebbe accettare la perdita del dominio globale e, invece di formare un governo mondiale, negoziare i termini di investimento con gli Stati nazionali, come nel secolo scorso. Questo le permetterebbe di partecipare come attore principale alla formazione di un nuovo ordine economico mondiale. Il secondo è quello di intensificare la guerra ibrida globale che stanno già conducendo. E anche se oggettivamente non dovessero vincere questa guerra, i danni per l’umanità potrebbero essere catastrofici, fino ad essere letali.

La distruzione del sistema riproduttivo del ciclo di accumulazione del capitale statunitense si accelererà man mano che i Paesi sfruttati dall’élite dominante degli Stati Uniti usciranno dal loro controllo.

Se ricorriamo nuovamente alle analogie storiche del precedente periodo di cambiamento dei modelli economici mondiali, la sua fase finale (analogamente alla Seconda Guerra Mondiale) può durare fino a sette anni. Finora queste analogie sono state sorprendentemente confermate. La prima fase di transizione, che coincide con l’ultima fase del ciclo di vita dell’attuale ordine mondiale, è iniziata con la perestrojka in URSS nel 1985 ed è terminata con il suo crollo nel 1991. Nel ciclo precedente era iniziata con la Prima Guerra Mondiale nel 1914 e si era conclusa nel 1918 con il crollo di quattro monarchie europee, impedendo l’espansione globale del capitale britannico.

Seguì una seconda fase di transizione, durante la quale il Paese dominante a livello mondiale raggiunse l’apice della sua potenza. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, l’egemonia britannica si afferma per due decenni, fino al Trattato di Monaco, che segna l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. In questa fase di transizione l’economia mondiale uscente raggiunge i limiti della sua evoluzione, mentre alla sua periferia emerge il nucleo di una nuova economia mondiale. Nel ciclo precedente è emersa in tre forme politiche: socialista in URSS, capitalista negli Stati Uniti e nazional-corporativa in Giappone, Italia e Germania. Ora sta emergendo anche in tre forme politiche: il socialismo con specificità cinese, il nazionalismo democratico indiano e la dittatura globale dei globalisti, che hanno premuto il grilletto per intensificare la guerra ibrida mondiale lanciando un coronavirus. Come l’ultima volta, questa fase ha richiesto due decenni, a partire dal crollo dell’URSS e dall’instaurazione temporanea della Pax Americana nel 1991.

Infine, la terza e ultima fase di transizione è associata alla distruzione del nucleo dell’UI dominante e alla formazione di uno nuovo, il cui nucleo costituisce il nuovo centro dello sviluppo economico mondiale. In questa fase, il Paese leader dell’UI uscente scatena una guerra mondiale per mantenere la propria egemonia, in seguito alla quale i Paesi della nuova UI vincono e la leadership mondiale passa a loro. Nell’ultimo ciclo, questa fase inizia con il Trattato di Monaco del 1938 e termina con il crollo dell’Impero britannico nel 1948. Se il colpo di Stato nazista a Kiev, l’occupazione de facto dell’Ucraina e l’imposizione di sanzioni finanziarie contro la Russia sono considerati l’inizio della guerra ibrida globale degli Stati Uniti, allora la fase finale dell’attuale periodo di transizione inizia nel 2014 e dovrebbe concludersi nel 2024. Come previsto da Pantin, che ha anticipato la crisi finanziaria globale del 2008, è nel 2024 che ci si deve aspettare il picco dell’aggressione statunitense contro la Russia. Va notato che quest’anno è anche l’anno del cambiamento del ciclo politico russo in relazione alle elezioni presidenziali.

Consideriamo più in dettaglio un’analogia storica del precedente cambiamento dell’economia mondiale, iniziato con il trascinamento dei Paesi leader nella Prima Guerra Mondiale. Dopo la rivoluzione socialista in Russia, è emerso il prototipo di una nuova economia mondiale con ideologia comunista e pianificazione statale totale. Un decennio e mezzo dopo, per superare la Grande Depressione, gli Stati Uniti attuano il New Deal, formando un altro tipo di nuovo ordine economico mondiale con l’ideologia del welfare state e la regolamentazione statale-monopolistica dell’economia. Parallelamente, il Giappone, l’Italia e poi la Germania formano un terzo tipo, con l’ideologia nazista e un’economia aziendale statale-privata.

Tutti questi cambiamenti si verificano durante il periodo finale del ciclo britannico di accumulazione del capitale e della sottostante economia mondiale coloniale. L’élite dominante britannica, che occupa una posizione centrale nel sistema economico mondiale, cerca di resistere ai cambiamenti che stanno minando il suo dominio globale. Viene imposto un blocco economico contro l’URSS, da cui si può importare solo grano per causare una fame di massa. Viene imposto un embargo commerciale contro gli Stati Uniti. In Germania viene favorito un colpo di Stato nazista anticomunista e, per contrastare l’influenza dell’URSS, l’intelligence britannica protegge e promuove Hitler al potere. Con le stesse intenzioni e in previsione di grandi dividendi, le aziende americane investono pesantemente nella modernizzazione dell’industria tedesca [12].

Gli inglesi sono impegnati nella tradizionale geopolitica del divide et impera, provocando una guerra tra Germania e URSS. Sperano di ripetere il successo ottenuto con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, preceduto dalla provocazione di Londra di un attacco alla Russia da parte del Giappone. La Prima Guerra Mondiale portò all’autodistruzione di tutti i principali rivali della Gran Bretagna in Eurasia: gli imperi russo, tedesco, austro-ungarico, ottomano e, infine, cinese. Ma subito dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, divenne evidente la superiorità qualitativa del Terzo Reich rispetto a tutti i Paesi europei, Gran Bretagna compresa, nella gestione efficiente dell’economia e nella mobilitazione di tutte le risorse disponibili a fini militari. Le forze britanniche subirono umilianti sconfitte non solo dalla Germania, ma anche, insieme agli americani, dal Giappone, che era nettamente superiore all’alleanza anglo-americana nelle capacità organizzative e tecnologiche per condurre una guerra su larga scala nel vasto territorio del Sud-Est asiatico. E sebbene la Gran Bretagna, grazie all’alleanza con gli Stati Uniti e l’URSS, sia stata tra i vincitori, dopo la Seconda Guerra Mondiale ha perso l’intero impero coloniale, oltre il 90% del suo territorio e della sua popolazione.

All’epoca, il sistema sovietico di gestione dell’economia nazionale si rivelò il più efficiente: compì tre miracoli economici in una volta sola: l’evacuazione delle imprese industriali dalla parte europea verso gli Urali e la Siberia, costruendo nuove regioni industriali nel giro di mezzo anno; il raggiungimento di parametri di produttività del lavoro e di produttività bellica di gran lunga superiori a quelli dell’Europa unita dai nazisti; la rapida ricostruzione delle città e degli impianti produttivi completamente distrutti dagli invasori.

Il nuovo corso di Roosevelt aumentò significativamente la capacità di mobilitazione dell’economia statunitense, che permise agli Stati Uniti di sconfiggere il Giappone nel Pacifico. Nell’Europa occidentale del dopoguerra, gli Stati Uniti non ebbero rivali: dopo aver recintato l’URSS con il blocco della NATO, l’élite al potere statunitense privatizzò virtualmente i Paesi dell’Europa occidentale, compresi i resti delle loro riserve auree. Nel Terzo Mondo, le ex colonie degli Stati europei divennero un’area di rivalità tra le imprese statunitensi e i ministeri sovietici. L’ulteriore sviluppo mondiale avvenne nel formato della Guerra Fredda di due imperi mondiali – sovietico e americano – con modelli tecnocratici simili e modelli politici diametralmente opposti per la gestione dello sviluppo socio-economico. Ognuno di essi aveva i suoi vantaggi e svantaggi, ma era radicalmente superiore al sistema coloniale del capitalismo familiare, con il suo spietato sfruttamento di lavoratori assunti e schiavi, in termini di efficienza nell’organizzazione della produzione di massa e nella mobilitazione delle risorse.

Un quadro simile sta emergendo nel presente. Esistono anche tre possibili varietà del nuovo ordine mondiale emergente. La prima di queste ha già preso forma in Cina sotto la guida del Partito Comunista Cinese. È caratterizzato da una combinazione di pianificazione statale e istituzioni di mercato auto-organizzate, dal controllo statale sui principali parametri della riproduzione economica e della libera impresa, dall’ideologia del bene comune e dell’iniziativa privata, e dimostra una straordinaria efficienza nella gestione dello sviluppo economico, superando di un ordine di grandezza il sistema americano. Ciò è evidente nel tasso di sviluppo dei settori industriali avanzati, che è stato molto più elevato negli ultimi tre decenni ed è stato nuovamente confermato dagli indicatori di performance epidemici.

Il secondo tipo di economia mondiale integrata sta prendendo forma in India, che è la più grande democrazia realmente funzionante del mondo. Le fondamenta del sistema integrale indiano sono state gettate dal Mahatma Gandhi e da Jawaharlal Nehru sulla base della cultura indiana. La Costituzione indiana post-indipendenza definisce l’economia indiana come socialista. Questa norma è praticamente implementata nel sistema di pianificazione strategica, nelle regole di politica sociale e nella regolamentazione finanziaria. Le linee guida per l’emissione monetaria sono stabilite da una commissione speciale che, sulla base delle priorità di politica sociale ed economica pianificate, definisce i parametri per il rifinanziamento delle istituzioni di sviluppo e delle banche nei settori dei prestiti alle piccole imprese, all’agricoltura, all’industria, ecc.

La nazionalizzazione del sistema bancario da parte del governo di Indira Gandhi ha contribuito ad allineare la gestione dei flussi finanziari ai piani di sviluppo indicativi dell’economia. Le giuste priorità hanno favorito lo sviluppo dei settori chiave del nuovo paradigma tecnologico e, poco prima della pandemia di coronavirus, l’India è emersa come l’economia a più rapida crescita del mondo. Come in Cina, anche in India lo Stato regola i processi di mercato per migliorare il benessere pubblico, incoraggiando gli investimenti nella produzione e nelle nuove tecnologie. In questo modo, le restrizioni finanziarie e monetarie mantengono i capitali all’interno del Paese, mentre la pianificazione governativa indirizza l’attività imprenditoriale verso la produzione di beni tangibili.

La terza variante del nuovo ordine economico mondiale esiste finora come immagine del futuro agli occhi di un’oligarchia finanziaria centrata sull’America che aspira al dominio mondiale. Le offerte per la formazione di un nuovo ordine mondiale vengono lanciate dalle profondità dello Stato profondo americano. Sulla scia della pandemia organizzata artificialmente, sono stati compiuti sforzi per creare istituzioni che pretendono di governare l’umanità. B. La Fondazione Gates stabilisce il controllo sulle attività di vaccinazione della popolazione dell’OMS. La vaccinazione viene utilizzata per promuovere la tecnologia, da tempo sviluppata, della programmazione biologica per ridurre la fertilità e il controllo totale sul comportamento dei vaccinati. Questa tecnologia combina i progressi della bioingegneria e dell’informatica: la vaccinazione è accompagnata dal chipping, che permette di creare qualsiasi restrizione alle prestazioni umane [13].

In altre parole, la terza variante della nuova economia mondiale prevede effettivamente la formazione di un governo mondiale guidato dall’élite dominante americana nell’interesse dell’oligarchia finanziaria, che controlla l’emissione della moneta mondiale, le banche e le società transnazionali e il mercato finanziario globale. Si tratta di una continuazione della tendenza alla globalizzazione liberale, aumentata da tecnologie autoritarie per controllare le popolazioni dei Paesi privati della sovranità nazionale. È stato descritto in molte anti-utopie, dal famoso “1984” di Orwell alle immagini religiose contemporanee della venuta dell’Anticristo – il “campo di concentramento elettronico” che precede la fine del mondo. Questo scenario di dominio del capitale mondiale è stato presentato nel primo capitolo di questa monografia.

Ciascuna delle suddette varietà del nuovo ordine mondiale presuppone l’uso di tecnologie informatiche avanzate, che sono un fattore chiave del nuovo ordine tecnologico. Sono tutte basate su metodi di elaborazione dei big data e su sistemi di intelligenza artificiale necessari per controllare non solo i processi di produzione non presidiati, ma anche le persone nei sistemi di regolazione dell’economia e del comportamento sociale. Gli obiettivi di questa regolamentazione sono stabiliti dall’élite al potere, il cui modo di formazione predetermina le caratteristiche essenziali di ciascuna delle varietà del nuovo ordine economico mondiale sopra menzionate.

In Cina, il potere appartiene alla leadership del Partito Comunista, che organizza la regolamentazione economica per migliorare il benessere delle persone e indirizza il comportamento sociale verso gli obiettivi politici della costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi. I meccanismi di mercato sono regolati in modo che le strutture produttive e tecnologiche più efficienti vincano la competizione e il profitto sia proporzionale al loro contributo al benessere pubblico. Nel frattempo, le aziende di medie e grandi dimensioni, comprese quelle non governative, hanno organizzazioni di partito che controllano la conformità del comportamento dei loro dirigenti ai valori morali dell’ideologia comunista. Vengono incoraggiati l’aumento della produttività del lavoro e dell’efficienza produttiva, la modestia e la produttività dei dirigenti e dei proprietari, mentre vengono puniti l’abuso del dominio del mercato e la sua manipolazione speculativa, gli sprechi e i consumi parassitari. Viene sviluppato un sistema di credito sociale per regolare il comportamento sociale dell’individuo. Secondo le intenzioni, le opportunità sociali di ogni cittadino dipendono dal suo rating, che viene costantemente regolato in base al bilancio delle azioni buone e cattive. Più alto è il rating, maggiore è la credibilità dell’individuo nell’ottenere un lavoro, una promozione, un credito o una delega di autorità. Questa particolare modernizzazione del noto sistema sovietico di registrazione personale, che accompagnava una persona per tutta la sua vita lavorativa, ha i suoi lati positivi e negativi, la cui valutazione esula dallo scopo di questo articolo. La sua principale area problematica è la dipendenza del meccanismo di formazione di un’élite produttiva della società dall’intelligenza artificiale che controlla il sistema di credito sociale.

La seconda varietà del nuovo ordine economico mondiale è determinata da un sistema politico democratico, che può variare notevolmente da Paese a Paese. È più sviluppato in Svizzera, dove le principali decisioni politiche sono prese tramite referendum popolare. La sua incarnazione più importante per l’economia mondiale è l’India e, tradizionalmente, le socialdemocrazie europee. Nella maggior parte dei Paesi è gravemente afflitto dalla corruzione e soggetto a manipolazioni da parte delle grandi imprese, che possono essere patriottiche o comprador. L’introduzione della tecnologia informatica a libro mastro distribuito (blockchain), oggi ampiamente conosciuta, nel sistema delle elezioni popolari rappresentative potrebbe migliorare significativamente l’efficienza di questo sistema politico, eliminando i brogli elettorali e fornendo ai candidati un accesso paritario ai media. La crescente popolarità dei media autoriali nella blogosfera crea una concorrenza tra le fonti di informazione, facilitando l’accesso dei candidati agli elettori. Con un’adeguata disposizione legale per l’uso delle moderne tecnologie dell’informazione nel processo elettorale, si forma un meccanismo automatico di responsabilità delle autorità pubbliche per i risultati delle loro attività nell’interesse pubblico. Quanto più i cittadini sono istruiti e attivi, tanto più efficacemente funziona un sistema politico democratico. Il suo problema principale è la dipendenza della formazione dell’élite al potere da strutture clanico-corporative che non sono interessate alla trasparenza e alla correttezza delle elezioni.

Infine, la terza varietà del nuovo ordine economico mondiale è determinata dagli interessi di un’oligarchia finanziaria che aspira al dominio mondiale. Si realizza attraverso la globalizzazione liberale, che consiste nell’offuscamento delle istituzioni nazionali di regolamentazione economica e nella subordinazione della loro riproduzione agli interessi del capitale internazionale. La posizione dominante nella struttura di quest’ultimo è occupata da poche decine di clan familiari americano-europei intrecciati tra loro che controllano le principali partecipazioni finanziarie, le strutture di potere, i servizi di intelligence, i media, i partiti politici e l’apparato del potere esecutivo [14]. Questo nucleo di élite dominante statunitense sta conducendo una guerra ibrida con tutti i Paesi che non controlla, utilizzando un vasto arsenale di tecnologie finanziarie, informatiche, cognitive e persino biologiche per destabilizzarli e caoticizzarli. Lo scopo di questa guerra è la formazione di un sistema globale di istituzioni sotto il suo controllo, che regoli la riproduzione non solo dell’economia globale, ma anche dell’intera umanità attraverso le moderne tecnologie informatiche, finanziarie e bioingegneristiche. Il problema principale di un tale sistema politico è la sua totale irresponsabilità e amoralità, l’impegno della sua élite ereditaria al potere nei confronti di visioni malthusiane, razziste e, in parte, misantropiche.

La formazione di un nuovo ordine mondiale avverrà in competizione tra queste tre varietà. Nel farlo, quest’ultima esclude le prime due, che possono coesistere pacificamente. Così come la vittoria della Germania nazista e del Giappone nella guerra contro l’URSS e gli Stati Uniti avrebbe escluso sia il modello sovietico che quello americano del nuovo ordine economico mondiale per quel periodo. Dopo la vittoria generale, l’URSS e gli USA hanno creato sistemi politici concorrenti, dividendo il mondo in zone di influenza ed evitando il confronto diretto.

Esistono quindi tre scenari predittivi per la formazione di un nuovo ordine economico mondiale. La loro base materiale comune è una nuova modalità tecnologica, il cui nucleo consiste in una combinazione di tecnologie digitali, informatiche, bioingegneristiche, cognitive, additive e nanotecnologiche. Oggi vengono utilizzate per creare: impianti di produzione senza personale e completamente automatizzati; sistemi di intelligenza artificiale che gestiscono banche dati illimitate; microrganismi, piante e animali transgenici; clonazione di esseri viventi e rigenerazione di tessuti umani. Su questa base tecnologica si stanno formando le istituzioni di un ordine economico mondiale integrato, che assicura la gestione consapevole dello sviluppo socio-economico degli Stati sovrani e, potenzialmente, dell’intera umanità. Ciò avviene attraverso una combinazione di pianificazione strategica statale e competizione di mercato basata su partenariati pubblico-privati. A seconda degli interessi di coloro che regolano le entità economiche autonome, si forma una delle varietà sopra descritte del nuovo ordine economico mondiale. Le prime due – comunista e democratica – possono coesistere pacificamente, competendo e cooperando sulla base del diritto internazionale. Il terzo – oligarchico – è antagonista ai primi due, in quanto prevede l’instaurazione di un dominio mondiale ereditario da parte di poche decine di clan familiari americano-europei, incompatibile con i valori democratici o comunisti.

Quale dei tre scenari previsti guiderà l’evoluzione dell’umanità dipende dall’esito della guerra ibrida messa in atto dall’élite dominante americana contro gli Stati sovrani.

Dei tre scenari sopra descritti, la variante del dominio dell’oligarchia capitalista globale sembra la meno probabile. Sebbene la guerra ibrida globale si stia svolgendo proprio in questo scenario, l’élite dominante americana è destinata a essere sconfitta a causa dell’efficienza qualitativamente superiore delle capacità di mobilitazione della Cina e della mancanza di interesse di tutti i Paesi del mondo in questa guerra.

In qualsiasi scenario di ulteriore sviluppo della crisi dell’economia mondiale, i meccanismi di riproduzione del ciclo di accumulazione del capitale statunitense saranno erosi e, di conseguenza, il potere economico degli Stati Uniti si indebolirà. Non c’è dubbio che l’élite dominante americana userà qualsiasi mezzo per mantenere il suo dominio globale. Cercherà di dirigere il corso degli eventi verso la formazione del governo mondiale a cui ha recentemente fatto riferimento l’ex primo ministro britannico G. Brown [15]. La paura della pandemia di coronavirus, del riscaldamento globale e della catastrofe ecologica, alimentata dai media che controllano e preparano l’opinione pubblica a questo scenario. Tuttavia, alla base di tutto ciò c’è l’interesse dell’oligarchia finanziaria statunitense a consolidare la propria egemonia nel sistema finanziario globale e a preservare quest’ultimo, che non lascia alcuna possibilità di sviluppo indipendente al resto dei Paesi. Per mantenerli dipendenti, la tradizione geopolitica anglosassone dispone di strumenti come mettere i Paesi rivali l’uno contro l’altro, provocare conflitti sociali e politici, organizzare colpi di Stato e incoraggiare i separatisti a mettere in caos Paesi e regioni che non controllano. Per ridurre al minimo i rischi che ne derivano per la Russia, l’UEEA, l’Eurasia e l’umanità nel suo complesso, è necessario formare immediatamente una coalizione anti-guerra in grado di infliggere danni inaccettabili all’aggressore. I potenziali partecipanti alla coalizione anti-guerra includono tutti i Paesi che non sono interessati a una nuova guerra mondiale e la grande maggioranza dell’umanità che vive in essi. In primo luogo, si tratta dei Paesi contro cui è diretto il colpo principale dell’aggressione americana: Russia e Cina. Sono i Paesi del nuovo ordine economico mondiale che stanno crescendo con successo sull’onda della crescita del nuovo modo tecnologico: Cina, India, Indocina, che formano un nuovo centro di sviluppo dell’economia mondiale. Tra questi ci sono il Giappone, la Corea e tutti gli Stati post-sovietici che hanno mantenuto la loro sovranità e sono stati precursori nel dare forma alle istituzioni che la compongono. E, naturalmente, i Paesi che beneficiano della cooperazione con il Centro asiatico di sviluppo, che traggono vantaggio dalla sua crescita attraverso la partecipazione alla Belt and Road Initiative e ad altri processi di integrazione eurasiatica.

A differenza dei Paesi del “nucleo” dell’ordine economico mondiale esistente, che hanno imposto al mondo un sistema universale di relazioni finanziarie ed economiche come base della globalizzazione liberale, il “nucleo” emergente del nuovo ordine economico mondiale è caratterizzato da una grande diversità. Questa diversità si manifesta anche nei principi delle relazioni internazionali condivisi dai Paesi che lo compongono: libertà di scegliere i percorsi di sviluppo, rifiuto dell’egemonismo e sovranità delle tradizioni storiche e culturali. Il nuovo ordine economico mondiale si sta formando su una base paritaria, reciprocamente vantaggiosa e consensuale. Su questi principi si stanno creando nuovi raggruppamenti economici regionali – SCO, UEE, Mercosur, ASEAN-Cina – e istituzioni finanziarie internazionali (la Banca di sviluppo dei BRICS e il pool di riserve valutarie, la Banca asiatica di investimento per le infrastrutture, la Banca eurasiatica di sviluppo).

L’associazione di Paesi in grandi organizzazioni internazionali come la SCO e i BRICS rappresenta un modello di cooperazione qualitativamente nuovo che onora la diversità in contrasto con le forme universali della globalizzazione liberale. Il suo principio fondamentale è il fermo sostegno ai principi e alle norme di diritto internazionale universalmente riconosciuti e il rifiuto di politiche di pressione coercitiva e di violazione della sovranità di altri Stati. I principi dell’ordine internazionale, condivisi dai Paesi del “nucleo” emergente del nuovo ordine mondiale, sono fondamentalmente diversi da quelli caratteristici dei precedenti ordini mondiali modellati dalla civiltà europea occidentale, come ha ammesso S. Huntington, “non per la superiorità delle loro idee, dei valori morali o della religione (a cui poche altre civiltà si sono convertite), ma piuttosto per la superiorità nell’uso della violenza organizzata” [16].

La chiave della transizione verso un nuovo ordine economico mondiale è la ristrutturazione del sistema monetario e finanziario globale. La nuova architettura delle relazioni monetarie e finanziarie internazionali dovrebbe essere formata su base giuridico-contrattuale. I Paesi che emettono valute di riserva globali dovranno garantirne la sostenibilità mantenendo determinati limiti al debito pubblico e ai deficit della bilancia dei pagamenti e del commercio. Dovranno inoltre rispettare i requisiti legali internazionali per la trasparenza delle loro valute e la loro capacità di scambiarle liberamente con tutti i beni scambiati nei loro territori.

Configurazione del nuovo ordine economico

Sulla base di quanto detto, la configurazione dell’economia mondiale multipolare prima della fine di questo secolo sarà probabilmente la seguente.

Il nucleo bipolare della nuova UIE (integrale), con i poli comunista (Cina) e democratico (India), la cui competizione produrrà la metà della crescita del PIL.

La sua periferia vicina (ASEAN, Pakistan, Iran).

Il mantenimento dell’influenza significativa del nucleo capitalista della vecchia UI (imperiale) in disfacimento (Stati Uniti e Gran Bretagna) con i loro satelliti.

L’erranza tra i nuclei della vecchia e della nuova UI, l’Unione Europea, la Turchia e il mondo arabo, le cui possibilità di influenza mondiale dipenderanno dalla loro capacità di liberarsi dai dettami statunitensi.

Schegge della vecchia UI adiacenti al nucleo della UI integrale, che probabilmente si integreranno in essa, essendosi liberate dalla dipendenza da Washington (Giappone, Corea del Sud, Taiwan).

Periferia merceologica dell’UMI integrale (Africa, Asia centrale, America Latina).

Russia e UEEA, che, a seconda dell’attuale politica economica, possono entrare a far parte del nucleo della nuova UMI (integrale) o rimanere nella sua periferia merceologica, dove si trovano attualmente.

Organizzazioni internazionali che garantiscono il consolidamento della nuova UC (integrale) (BRICS, SCO, EAEC, ASEAN), la cui influenza è destinata a crescere.

Organizzazioni internazionali utilizzate dagli Stati Uniti per mantenere la loro egemonia (NATO, ecc.), la cui influenza svanirà rapidamente con la fine della guerra ibrida globale.

L’UI integrale si differenzia dall’UI imperiale per il ripristino dell’importanza della sovranità nazionale e del diritto internazionale basato su di essa. Ciò predetermina una maggiore diversità del panorama geopolitico in cui gli Stati nazionali e le loro associazioni di integrazione possono creare varie configurazioni di relazioni internazionali, cercando di occupare le nicchie più convenienti nelle relazioni economiche globali. Allo stesso tempo, aumenta in modo significativo l’importanza dei fattori di integrazione non economici, come la cultura spirituale, la vicinanza di civiltà, i valori spirituali e il destino storico comune. Di conseguenza, aumenterà l’influenza dei poli di influenza storico-spirituale, che saranno integrati nella configurazione dell’UI integrale. La sua multipolarità avrà una connotazione civilizzatrice, confermando il concetto di mondo multipolare di civiltà [17].

La posizione della Russia nel mondo multipolare che si formerà in seguito al cambiamento dell’UI rimane incerta. Per uscire dall’attuale posizione periferica tra i nuclei della vecchia e della nuova UI, è necessario un cambiamento radicale della politica economica, l’attuazione di una strategia di sviluppo avanzata sulla base della nuova modalità tecnologica, basata sulle istituzioni e sui metodi di gestione della UI integrale [18].

Note

[1] Krysin L.P., “Dizionario moderno di parole straniere”, L.P. Krysin ; Inst. В. Vinogradov. – Mosca : AST-PRESS, 2014. – 410.

[2] Glazyev S., “Gestire lo sviluppo economico: un corso di lezioni”, Mosca : Moscow University Press, 2019. 759 с.

[3] Arrighi G., “Il lungo ventesimo secolo: denaro, potere e le origini del nostro tempo”, Londra: Verso, 1994.

[4] Glazyev S., “Modelli economici mondiali nello sviluppo economico globale”, Economia e metodi matematici. 2016. Т. 52. No. 2; Glazyev S., “Risultati applicati della teoria dei modelli economici mondiali”, Economia e metodi matematici. 2016. Т. 52. N. 3; l’autore di questo materiale ha registrato l’ipotesi scientifica “Ipotesi di cambiamento periodico dei modelli economici mondiali” (nel 2016 è stato rilasciato il certificato n. 41-N per la registrazione da parte dell’Accademia internazionale degli autori di scoperte e invenzioni scientifiche sotto la guida scientifica e metodologica dell’Accademia russa delle scienze naturali).

[5] Glazyev S., “L’ultima guerra mondiale. Gli Stati Uniti iniziano e perdono”, Mosca: Book World, 2016.

[6] Steinbock D., “The U.S.-China trade war and its global impacts”, World Century Publishing Corporation e Shanghai Institutes for International Studies China Quarterly of International Strategic Studies. 2018. Vol. 4. No. 4. P. 515-542.

[7] Fukuyama F., “La fine della storia e l’ultimo uomo”, MOSCA: AST, 2010.

[8] Dilip Hiro, “Perché la Cina sta conquistando il ‘secolo americano'”, The Asia Times. https://asiatimes.com/2020/08/why-china-is-taking-over-the-american-cent…

19 agosto 2020.

[9] “2030 Zhongguo: mangxiang gongtun fuyu” (Cina – 2030: verso la prosperità universale) / Centro di studi nazionali dell’Università Tsinghua, a cura di Hu Angan, Yan Yilong, Wei Xing. Pechino: People’s University of China Press, 2011. С. 30.

[10] “Prospettive e priorità strategiche dell’ascesa dei BRICS”, a cura di V. Sadovnichy, Y. Yakovets, A. Akayev. Mosca: Università statale di Mosca – Istituto internazionale Pitirim Sorokin-Nikolai Kondratiev – INES – Comitato nazionale per gli studi sui BRICS – Istituto dell’America Latina della RAS, 2014.

[11] Wang Wen, “La Cina non guarderà morire la globalizzazione”, The Belt and Road News. 16 giugno. 2020.

[12] Charles Higham, “Trading With The Enemy: An Expose of The Nazi-American Money Plot 1933-1949”, New York, 1983.

[13] Bill Gates parla di “vaccini per ridurre la popolazione”.

https://www.warandpeace.ru/en/exclusive/view/44942/

4 marzo 2010.

[14] Coleman, D., “Il Comitato dei 300. I segreti del governo mondiale”, Mosca: Vityaz, 2005.

[15] “Il salvatore del Regno Unito propone un governo mondiale provvisorio”, RIA Novosti.

https://ria.ru/20200328/1569257083.html

28 marzo 2020.

[16] Huntington S., “The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order” (1996) è una delle opere geopolitiche più popolari degli anni Novanta. Derivata da un articolo della rivista Foreign Affairs, delinea in modo nuovo la realtà politica e la prognosi della civiltà globale. Contiene il famoso articolo di Fukuyama intitolato “La fine della storia””.

[17] A.Dugin, “Teoria di un mondo multipolare”, Mosca: Movimento Eurasiatico, 2013. – 532 с.

[18] S. Glazyev, “La svolta verso il futuro. La Russia nei nuovi modelli tecnologici ed economici mondiali”, Mosca: Book World, 2018. – 768 Le leggi di formazione e scomparsa dei poli dell’economia mondiale.

Traduzione di Costantino Ceoldo

https://kolozeg.org/patterns-of-formation-and-disappearance-of-global-economic-poles-sergey-glazyev/?fbclid=IwAR2w0MnBt0WyxScJBVxyhFjbbCwB2d3EU3IP9dy17b6Ian93y4hBfB-AfEM

Michael Hudson: Perché l’economia statunitense non può reindustrializzarsi

Michael Hudson: Perché l’economia statunitense non può reindustrializzarsi
10 luglio 2023 Byamarynth InMichael Hudson
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Questo è un podcast di Michael Hudson con Macro N Cheese e i link al podcast sono nel testo della trascrizione.

Trascrizione Ep 232 Macro N Cheese – Hudson

https://realprogressives.org/podcast_episode/episode-232-is-the-us-a-failed-state-with-michael-hudson/

Michael Hudson [Intro/Musica]: L’America non può reindustrializzarsi senza invertire l’intera filosofia della società post-industriale come guerra di classe contro il lavoro. Non si possono avere entrambe le cose. Non si può avere una guerra di classe contro il lavoro e la reindustrializzazione con la sindacalizzazione del lavoro che ne consegue.

I Paesi che lasciano sviluppare un’oligarchia finiscono per spingere le proprie economie verso l’obsolescenza e una sorta di età oscura. È una politica, e soprattutto è la politica dell’amministrazione del Partito Democratico.

[Geoff Ginter [Intro/Musica]: Ora vediamo se riusciamo a evitare del tutto l’apocalisse. Ecco un altro episodio di Macro N Cheese con il vostro ospite, Steve Grumbine.

[00:01:43] Steven Grumbine: Steven Grumbine: Va bene. Qui è Steve con Macro N Cheese. L’ospite di oggi è niente meno che Michael Hudson. Michael Hudson è il presidente dell’Institute for Study of Long-Term Economic Trends (ISLET), analista finanziario di Wall Street, Distinguished Research Professor di Economia presso l’Università del Missouri, a Kansas City, ed è autore di moltissimi libri che probabilmente avrete letto, tra cui Superimperialism: The Economic Strategy of American Empire, Forgive Them Their Debts, J is for Junk Economics, Killing The Host, The Bubble And Beyond: Trade, Development and Foreign Debt, tra gli altri. Senza ulteriori indugi, desidero presentare il mio ospite, Michael Hudson. Michael, grazie mille per essersi unito a me oggi, signore.

[00:02:26] Michael Hudson: È bello essere di nuovo qui.

[00:02:27] Grumbine: Assolutamente. Una delle cose che mi stressano, per quanto riguarda il podcast economico e la revisione del dialogo in corso nell’ecosfera e le sinistre che cercano di capire il mondo che le circonda, è osservare le conseguenze delle decisioni prese dagli Stati Uniti riguardo all’Ucraina, alla Cina, alla Russia e a questa divergenza verso un mondo multipolare. I passi compiuti dagli Stati Uniti sembrano darsi la zappa sui piedi.

Un impero che ha perso la presa su gran parte di ciò che aveva un tempo e che sta facendo cose che credo la maggior parte delle persone direbbe essere davvero orribili, dalla guerra, all’austerità, all’uso del FMI e della NATO come strumenti di aggressione. Ci sono così tanti aspetti dell’approccio degli Stati Uniti alle relazioni geopolitiche che credo la maggior parte delle persone stia cercando di capire.

Che cosa significa per loro? Prima di iniziare il podcast, lei ci ha dato alcuni appunti, ed era abbastanza chiaro che gli Stati Uniti sono uno Stato fallito. Non capisco bene cosa significhi, ma spero che lei possa aiutarci a capire perché gli Stati Uniti sono uno Stato fallito e cosa c’è nel loro recente comportamento?

Cosa ci indica la direzione che stanno prendendo e cosa possiamo aspettarci per il futuro?

[00:03:58] Hudson: Penso che sia uno Stato fallito perché la sua economia è paralizzata e siamo in una deflazione del debito, una polarizzazione economica che sta trasferendo tutta la ricchezza e il reddito dal lavoro, dall’industria, al settore finanziario e a quello che io chiamo il settore finanziario, assicurativo e immobiliare.

E ciò che è fallito è che, proprio ora, il Presidente Biden dice di volere un futuro di reindustrializzazione. Si rende conto che fin dall’amministrazione Clinton, il Partito Democratico ha sostenuto con forza la deindustrializzazione degli Stati Uniti, e questo risale agli anni ’60 e ai primi anni ’70, quando gli economisti celebravano quella che chiamavano una società post-industriale.

Cosa significa società post-industriale? Significava una società senza lavoro operaio, in realtà, lavoro di servizio, che era anche una società senza sindacati. La promessa era che una società post-industriale avrebbe reso tutti più ricchi, che le condizioni di lavoro sarebbero state più facili, che le giornate lavorative sarebbero state più brevi, che la produttività sarebbe aumentata e che tutti avrebbero avuto una vita più facile e più prospera.

Ebbene, questo non è accaduto, quindi la domanda è: perché gli Stati Uniti hanno deciso di deindustrializzarsi? E credo che sia stata una combinazione tra due partiti. C’erano i Democratici con una politica pro-finanziaria anti-lavoro, e i Repubblicani con una politica pro-finanziaria, pro-proprietari, pro-1%, che volevano tagli alle tasse; e il vero obiettivo della de-industrializzazione, da Clinton in poi, era una politica anti-lavoro, perché la de-industrializzazione significava essenzialmente abbassare l’occupazione, e quindi abbassare la domanda di lavoro, e abbassare i salari. E la domanda che tutti si ponevano dal 1980 in poi era: perché i salari dovevano essere ridotti, e perché sono più bassi in questo momento? Ebbene, per anni il dominio americano, come potenza industriale alla fine del XIX secolo, è stato il risultato di salari bassi, di bassi costi degli alloggi, di un basso indebitamento, di un’istruzione gratuita, di servizi pubblici, e questo ha creato un’economia statunitense molto prospera, da subito dopo la Guerra Civile fino al New Deal di Roosevelt.

Ma tutto questo ha cominciato a essere attaccato. A partire dall’amministrazione Carter, che promuoveva l’immigrazione come mezzo per ridurre i salari nel sud-ovest. È stato Carter che ha iniziato a capire che, se c’è un sacco di manodopera che guadagna troppo nel sud-ovest, dobbiamo incoraggiare l’immigrazione.

Quando poi arrivò Clinton, volle deregolamentare l’economia e volle il libero scambio, in modo che le imprese potessero disinvestire negli Stati Uniti e investire all’estero, assumendo manodopera a basso salario. Ha fatto pressioni per accettare la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, e questo è fondamentalmente il programma del Partito Democratico oggi, per combattere il lavoro, ridurre i salari e favorire Wall Street. Obama ne è l’esempio. Ha promesso un controllo delle tessere per sostenere la sindacalizzazione e poi si è rifiutato di farlo. E invece di introdurre il controllo delle tessere, ha dedicato il suo tempo a sperare di lavorare con i repubblicani per tagliare la Sicurezza Sociale, adducendo come motivazione la necessità di bilanciare il bilancio. E il pareggio di bilancio costringerebbe l’economia a fare affidamento sulle banche private che prestano denaro a interesse, invece che sul governo che crea denaro da spendere nell’economia attraverso i deficit di bilancio. Ebbene, Biden ha completato il tutto non sostenendo i sindacati, come si è visto durante lo sciopero dei ferrovieri, e i Democratici hanno un trucco che utilizzano. Hanno una donna laureata – forse ha una laurea – come parlamentare che, nel caso in cui i Democratici e il Congresso approvassero una legge voluta dai cittadini, dice: “Non potete approvarla perché è a favore dei lavoratori”. Ed essere a favore dei lavoratori è contro la Costituzione. Perché è contro le intenzioni dei leader originali della Costituzione. E non si può approvare una legge che favorisca i neri o gli ispanici, come si è visto con il caso di Harvard, perché dopo tutto gli autori originali della Costituzione erano per lo più proprietari di schiavi, e non avrebbero voluto alcun favoritismo nei confronti dei neri.

Quindi, se sei un originalista, è ovvio che la parlamentare dirà: “Beh, non è proprio quello che la Corte Suprema approverà”. E naturalmente, quando alla fine si arrivò alla Corte Suprema, si disse: non potete fare questo, non è ciò che i fondatori originali della Costituzione volevano e credevano.

Volevano ridurre in schiavitù i neri, non farli entrare ad Harvard, per l’amor del cielo. Non voglio escludere i repubblicani, che hanno adottato una politica complementare a favore dei proprietari, favorendo il settore immobiliare sotto Reagan, con la sua svalutazione accelerata. In pratica ha reso esenti da tasse le proprietà assenteiste e gli immobili commerciali, ha ridotto le tasse sulla ricchezza ed è passato da una tassazione progressiva a una tassazione regressiva.

Così come Donald Trump, e naturalmente i Democratici hanno accettato tutto questo. Non c’è stato alcun tentativo da parte dei Democratici di opporsi alla tassazione regressiva dei Repubblicani, e la differenza è che i Repubblicani hanno una politica libertaria e antigovernativa, che è il loro eufemismo per un governo abbastanza forte da controllare l’economia e gli interessi dell’1%, che sono i loro donatori per la campagna elettorale.

I Democratici sono invece a favore del governo. Ovvero, vogliono un governo abbastanza forte da difendere l’1% dal resto dell’economia, ma usano una retorica diversa per tutto questo. Il problema è che entrambi i partiti politici statunitensi sono impegnati nella deindustrializzazione per le ragioni che il capo della Federal Reserve ha spiegato negli ultimi mesi: se c’è più industrializzazione, ci sarà più occupazione, e se c’è più occupazione, aumenteranno i salari. E la nostra filosofia, sia per i democratici che per i repubblicani, è quella di tenere bassi i salari in modo che i profitti delle imprese possano essere più alti. Per la classe operaia e per i monopoli aziendali vale la pena di imporre una depressione agli Stati Uniti, purché ciò riduca i salari e rafforzi il potere dell’1% sul 99%. Quindi l’1% è disposto a perdere vendite, a perdere profitti, quando l’economia cade in quella che chiamano recessione, purché il suo potere sul 99% aumenti.

Questa è la chiave fondamentale per capire dove sta andando la politica americana. Ed è per questo che la banda di Davos dice che il mondo è sovrappopolato. Chi ha bisogno di manodopera, quando non può permettersi di pagare gli interessi. Per il settore finanziario e il settore FIRE, l’1% o il 10%, il ruolo della manodopera è quello di guadagnare abbastanza da poter pagare gli interessi alle banche, pagare gli affitti o gli interessi agli istituti di credito ipotecario e, in sostanza, poter pagare i soldi al settore FIRE. E se i salari del lavoro sono davvero costretti a scendere a livelli di sussistenza in pareggio, allora chi ha bisogno del lavoro? È ora di controllare la popolazione. In sostanza, il problema degli Stati Uniti non sono solo i bassi salari, ma anche il favoritismo fiscale per il settore FIRE. E questo non può essere invertito senza causare una crisi bancaria. Perché se si tassassero gli immobili e le case di proprietà, per esempio, e gli immobili commerciali con un’imposta fondiaria, che è ciò su cui si basa l’economia classica del XIX secolo, le banche non potrebbero essere pagate. Quindi siamo bloccati. L’America non può reindustrializzarsi senza invertire l’intera filosofia della società post-industriale come guerra di classe contro il lavoro.

Non si possono avere entrambe le cose. Non si può avere una guerra di classe contro il lavoro e la reindustrializzazione, con la sindacalizzazione del lavoro che ne consegue. Questo è l’enigma. Quindi, quando Biden dice che noi del Partito Democratico vogliamo reindustrializzare, non c’è modo che le sue politiche possano permettere una vera reindustrializzazione.

Ed è per questo che l’America è bloccata. È per questo che è diventata uno Stato fallito, perché non può competere con gli altri Paesi nel mondo di oggi con questa filosofia libertaria, antioperaia e neoliberista di destra.

[00:13:29] Grumbine: Ogni volta che penso a questo, mi infurio. Abbiamo parlato con alcuni abolizionisti della polizia. Quando parliamo con loro, ci spiegano che avete capito tutto al contrario. La polizia non è lì dopo il fatto. Non è lì in seguito a un crimine. È lì per mantenere l’ordine nel capitale, per assicurarsi che il capitale funzioni senza problemi.

E per estendere questo discorso alla NATO, che fa la stessa cosa in tutto il mondo, è lì per creare il caos, ed è lì per stabilire l’ordine per facilitare queste cose. Gli Stati Uniti stanno perdendo la presa sul loro impero, eppure hanno il più grande esercito mai accumulato nella storia del mondo. Che cosa di quell’esercito mantiene l’egemonia?

E cosa di quell’esercito gli sta costando l’egemonia? Perché in questo momento c’è qualcosa che non va. Sono favorevole a distruggere l’impero, ma questo comporta tutta una serie di conseguenze a valle. Mi interessa il suo pensiero sul ruolo del complesso militare industriale in questo stato fallito.

[00:14:32] Hudson: Beh, sta usando una parola trabocchetto: “militare”. Militare, per gli Stati Uniti, è diverso da ciò che la parola “militare” ha significato in ogni altra società dall’inizio dei tempi. Quando si dice militare, si pensa a un esercito che combatte. Non si può conquistare un Paese senza invaderlo e per invaderlo, ovviamente, serve un esercito, servono truppe. Ma gli americani non sono in grado di mettere in piedi un esercito di dimensioni sufficienti per occupare nessuno, tranne Grenada o Panama, perché la guerra del Vietnam ha bloccato la leva militare. Ciò che l’America ha, ciò che chiama esercito, è ciò che lei ha giustamente collegato: il complesso militare industriale. Produce armi. E armi.

Ma anche in questo caso si tratta di armi strane. Supponiamo di avere un’azienda vinicola che produce un vino così buono che in realtà non è da bere. Era per le persone ricche che lo compravano e lo commerciavano. Con il passare degli anni, il vino si trasforma in aceto. Non è un vino da bere. È un vino per fare profitto, una plusvalenza.

Ebbene, si può dire la stessa cosa delle armi militari americane, come stiamo vedendo in Ucraina in questo momento – o come le chiama il Presidente Biden, in Iraq. Le armi, fondamentalmente, sono lì per creare un enorme profitto per Raytheon e le altre aziende del complesso militare industriale. Vanno comprate e date agli ucraini per farle saltare in aria dalla Russia.

Ma non sono per combattere. Non servono per vincere una guerra. Servono per essere esauriti, quindi bisogna sostituirli ora, con un nuovo acquisto. Così il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha chiesto alla Germania e ad altri Paesi europei: “Avete promesso di pagare il 2% del vostro PIL in armi militari per arricchire il nostro complesso militare industriale.

Ma ora che abbiamo regalato tutti questi carri armati e missili – la Russia ha appena fatto esplodere il 12% di tutti i carri armati in una sola settimana – ci restano solo poche settimane prima che vengano tutti spazzati via. Perché non funzionano sul campo di battaglia. Non sono fatti per combattere, ma per essere fatti saltare in aria. Ora vogliamo che aumentiate la vostra spesa al 4%, per ricostituire tutte le scorte che avete appena esaurito in 10 anni, forse 20, di armi. E ora dovete ricostituirle molto rapidamente, per raggiungere gli obiettivi della NATO che noi e il Dipartimento di Stato abbiamo fissato. Oggi, quindi, il controllo militare non è più un modo per controllare gli altri Paesi. Per l’America è molto più facile farlo con meccanismi finanziari.

Si conquista un Paese finanziariamente, si conquista un Paese facendolo sottostare ai programmi di austerità del Fondo Monetario Internazionale, sempre per imporre l’austerità, per tenere bassi i salari locali. Quindi si usa la finanza come mezzo per imporre la post-industrializzazione e la depressione, al fine di impedire lo sviluppo della democrazia.

Quindi ogni Paese che cerca di promuovere la democrazia attraverso la spesa pubblica per le infrastrutture di base o per le banche, come sta facendo la Cina, viene definito un’autocrazia. E ogni autocrazia che ha imposto un’oligarchia clientelare, per combattere il lavoro e impedire queste politiche che aiuterebbero ad arricchire e industrializzare l’economia, è chiamata democrazia, non autocrazia.

Siamo quindi tornati alla logica orwelliana per descrivere una situazione che probabilmente nemmeno il cinico George Orwell avrebbe pensato potesse arrivare a tanto.

[00:18:29] Grumbine: Penso sempre all’austerità. Ho letto il libro di Clara Mattei L’ordine del capitale: How Economists Invented Austerity and Paved the Way to Fascism [Clara Mattei]. E credo che la mia domanda sia questa: visto tutto il lavoro che ha fatto sulla natura storica del debito, dei giubilei del debito e dell’austerità, come mai quando guardiamo alla politica interna degli Stati Uniti, non abbiamo soldi per la sanità, per eliminare il debito degli studenti?

Non abbiamo soldi per investire nei servizi universali di base, per fornire qualsiasi tipo di aiuto. La casa come diritto, qualsiasi necessità di base, non abbiamo soldi per questo, ma sappiamo come MMT, o persone economicamente alfabetizzate, dalla comprensione della teoria statale della moneta, che lo Stato stesso crea la sua moneta.

Come fanno gli Stati Uniti a convincere la gente che non hanno denaro? E non possono fare nessuna di queste cose, mentre usano ogni briciola del loro potere fiscale, che sono disposti ad ammettere di avere, per sconfiggere il resto del mondo, ma per colpire i loro stessi cittadini? Mi sembra che, Michael, questo sia forse l’ingranaggio più importante tra, non solo il mondo geopolitico, il quadro più ampio, ma anche il quadro interno, fino al senzatetto locale che vive sotto un ponte.

Le cose di cui ci occupiamo qui sono la stessa cosa, forse solo in scala diversa. Può spiegarmelo?

[00:20:04] Hudson: Beh, questo riflette il potere dell’economia spazzatura e dell’ideologia. Gli economisti di destra sostengono che se il governo fornisse più assistenza sanitaria pubblica e più servizi pubblici, le tasse aumenterebbero. E poiché sia i repubblicani che i democratici hanno spostato le tasse dagli immobili, dalla finanza, dall’1% al 99%, ciò significa che le tasse dei salariati aumenterebbero.

Ma naturalmente non è affatto detto che sia così, perché, come lei sottolinea, la teoria statale del denaro dice che i governi possono creare il proprio denaro. È stato così negli ultimi cento anni. E la Cina ha dimostrato che i governi non devono prendere in prestito denaro dai ricchi per pagare gli interessi.

Possono semplicemente stampare il denaro, e gli esperti di economia spazzatura dicono: “Se stampate il vostro denaro, questo è inflazionistico”. Ma non è più inflazionistico del credito bancario. Supponiamo che un governo prenda in prestito un miliardo di dollari da ricchi detentori di obbligazioni, e che questi ultimi prendano i soldi dalla banca e li consegnino al governo per spenderli.

Perché il governo ha bisogno degli obbligazionisti per creare questo denaro? O perché ha bisogno che le banche vadano improvvisamente al computer e creino un miliardo di dollari da prestare al governo, che poi il governo ridepositerà in queste stesse banche? Il governo creerà il denaro in ogni caso, che sia prestato dagli obbligazionisti, dalle banche o semplicemente stampato.

Quindi la finzione è che il governo deve prendere in prestito dagli obbligazionisti. Perché sono i detentori di obbligazioni a decidere cosa conviene economicamente. Ebbene, cosa si ignora? Che gli obbligazionisti sono l’1%, e che ciò che ritengono economicamente conveniente non è usare il governo per migliorare il tenore di vita, il lavoro e i servizi sociali.

Il ruolo del governo è quello di fornire più denaro all’1%, attraverso il complesso militare industriale e gli altri progetti governativi.

[Intervallo: State ascoltando Macro N Cheese, un podcast realizzato da Real Progressives, un’organizzazione no-profit dedicata all’insegnamento alle masse della MMT o Teoria Monetaria Moderna. Per favore, aiutate i nostri sforzi e diventate donatori mensili su PayPal o Patreon, mettete il vostro like e seguite le nostre pagine su Facebook e YouTube, e seguiteci su TikTok, Twitter, Twitch, Rokfin e Instagram.

[00:23:13] Grumbine: Per quanto riguarda l’austerità in questo Paese e il far sentire alla gente che non c’è alternativa, lei ha parlato della vendita di obbligazioni e del mito che i ricchi finanziano tutte le nostre vite. Ho ascoltato la sua amica Stephanie Kelton, che parla del mito del deficit e di come le obbligazioni siano un’operazione a posteriori, non un vero e proprio finanziamento.

Il suo articolo, scritto nel 1998, dimostra che le tasse e le obbligazioni non possono finanziare il governo. Eppure la gente continua a comportarsi come se fossimo in debito con i ricchi, che abbiamo bisogno dei ricchi per sopravvivere. Come fa a reggere questo mito? Perché esiste ancora? Perché non siamo nelle strade, a stringere le armi, a combattere, a distruggere questo leviatano?

Vorrei aggiungere una cosa. Ho avuto la strana opportunità di passare una notte con Jerome Powell, anche se non lo sapevo, allo spettacolo dei Dead and Company in Virginia. Prima di arrivare lì, stavo attraversando la contea di Loudoun, in Virginia, il corridoio tecnologico dove si trovano Raytheon, Boeing e Halliburton. Tutti i grandi appaltatori della difesa, e mi sembravano enormi trofei per gli dei.

Era ridicolo. Era così esagerato. Questo è ciò che stiamo affrontando. Siamo di fronte a qualcosa di così massiccio, così incredibilmente potente. Come fa una persona che ha una prospettiva di sinistra, non solo del lavoro e del capitale, ma anche del tentativo di rendere migliore la vita delle persone, a fare a meno dell’impero, quando si trovano davanti questi enormi monumenti agli dei dell’industria, del complesso militare industriale?

Come possiamo affrontare questo leviatano? Sembra troppo grande.

[Hudson: Beh, a differenza del suo viaggio in Virginia, qui a New York, a Chicago, a Toronto e in quasi tutte le grandi città del mondo, gli edifici più grandi sono le banche. Non sono Raytheon, non sono il complesso militare industriale, sono sempre le banche. Un tempo avevano la forma di antichi templi greci e romani, non di piramidi, come prima, ma di templi, come spesso venivano chiamati i templi della finanza. E sono gli edifici più grandi perché il settore più ricco della società è il settore bancario, il settore finanziario, non il settore industriale, non il settore militare e nemmeno il settore immobiliare. Perché la maggior parte degli affitti immobiliari sono pagati come interessi alle banche. Ora, le banche non aiutano davvero a industrializzare l’economia.

In realtà contribuiscono a deindustrializzare l’economia, perché la loro filosofia è anti-lavorativa e post-industriale. Quindi, come si fa a spiegare alla gente che non è necessario, per esempio, che i governi abbandonino la pianificazione pubblica e lascino la pianificazione ai settori finanziari? Se i governi non fanno la pianificazione economica, la faranno Wall Street e i settori finanziari, perché è lì che si crea il credito.

Lei ha citato Stephanie Kelton, che è stata la mia direttrice di dipartimento all’Università del Missouri a Kansas City, che è stata messa insieme con una borsa di studio più di 20 anni fa, da Warren Mosler, e che ha riunito tutti i teorici monetari moderni. Randy Wray, io, Bill Black, che spiegava la corruzione bancaria nel suo libro The Best Way To Rob A Bank Is To Own One. Avevamo quindi sviluppato un intero programma di studi per spiegare quella che chiamavamo economia della realtà, ovvero come funzionano davvero l’economia e il mondo. Inutile dire che molti studenti volevano venire a imparare questo. Erano molto comprensivi. Intuitivamente, sentivano che sì, l’economia funziona così.

Ma c’è un problema: quando si sono laureati con il dottorato, ci sono solo due lavori per gli economisti in economia: uno è guidare un taxi e l’altro è insegnare. Ma per insegnare bisogna essere assunti in base al numero di articoli scritti per le riviste più prestigiose. E quasi tutti gli articoli delle riviste sono controllati dai dipartimenti di economia di università come l’Università di Chicago o Berkeley, che sono finanziate dalle banche e dalle grandi fondazioni. Quindi, se non si pubblica su queste riviste, dicendo quello che dicono i neoliberisti, i monetaristi, gli economisti spazzatura, non si viene assunti. Così i nostri studenti sono stati assunti, ma non da Harvard, né dall’Università di Chicago, né da Princeton, né dalla Columbia. Sono stati assunti dalla New School di New York e da altre, ma la censura è quasi totale. Alcuni studenti venivano dall’Asia e sono tornati in Asia. Alcuni erano miei colleghi in Cina e a Hong Kong, altri hanno studiato alla UMKC. Ma il controllo che i media, come il New York Times, impongono sull’economia spazzatura negli Stati Uniti è quasi altrettanto forte quanto il loro controllo sulla cronaca della guerra in Ucraina, come se l’Ucraina stesse vincendo e non perdendo.

Dicono che la deindustrializzazione ci sta aiutando ad entrare nella società post-industriale con disoccupazione di massa e senzatetto, come se fosse una cosa positiva. Beh, è una buona cosa per l’1%, perché si sentono come se fossimo davvero noi. Siamo davvero i nuovi signori, i signori della finanza, non i padroni di casa, che sono anche in debito con noi, per prendere in prestito. Questa è la situazione. In definitiva, se le persone non hanno un modello mentale di come funziona il mondo e di come dovrebbe funzionare per promuovere la prosperità, credono, come ha detto Margaret Thatcher, che “non c’è alternativa”. E la funzione dell’educazione economica è quella di cercare di fare il lavaggio del cervello agli studenti per fargli credere che non c’è alternativa.

Le cose devono essere così come sono. È l’evoluzione darwiniana. È la sopravvivenza del più adatto, la sopravvivenza dei banchieri. Per battere la società. I banchieri hanno vinto, il lavoro ha perso. E se si guarda ai sondaggi americani, gli americani non vogliono la guerra in Ucraina.

Vogliono che i soldi vengano spesi all’interno – non li riceviamo. Vogliono l’assistenza sanitaria pubblica – non la riceviamo. Vogliono che i prestiti agli studenti vengano condonati, invece di impedire ai laureati, debitori, di avere abbastanza soldi per comprare una casa propria e mettere su famiglia – non capiamo. E non lo capiamo perché né i repubblicani né i democratici lo sostengono.

Ma se fingono di sostenerlo, approvando una legge, la Corte Suprema è lì per assicurarsi che non sia ciò che il popolo costituzionale originale voleva. Perché la Costituzione è stata redatta da autori che temevano la democrazia. Che hanno detto che dobbiamo assicurarci di avere abbastanza controlli e blocchi, in modo che la folla non possa governare e togliere il potere a noi, detentori di obbligazioni, proprietari terrieri e schiavisti.

[00:30:45] Grumbine: Ben detto. Sono cose davvero importanti quelle che stai sollevando, Michael, lo apprezzo molto. Passiamo alla fase successiva. Torneremo indietro, perché abbiamo parlato dei BRICS all’inizio. Abbiamo parlato della Cina che investe nel proprio settore finanziario. Una delle preoccupazioni di molti è la perdita della moneta di riserva mondiale.

Ho parlato con diversi economisti che hanno affermato, senza mezzi termini, che uno dei motivi per cui gli Stati Uniti sono ancora in grado di mantenere questo livello di egemonia e di conservare lo status di riserva è la quantità di spesa in deficit che gli è stata concessa in precedenza e che ha permesso al denaro di circolare in tutto il mondo.

Ha un hub centrale a Wall Street, dove la gente può investire, e quindi questa è una delle ragioni principali che dicono, che, insieme, naturalmente, all’esercito, ci permette di mantenere quel livello. Che cosa, se c’è qualcosa, secondo lei è cambiato in modo tale da rendere questa situazione minacciata dai BRICS, e immagino che, come rimedio, cosa sono esattamente i BRICS, e che cosa rappresentano che stanno cercando di fare?

[00:31:57] Hudson: Beh, i BRICS sono un acronimo nato più di dieci anni fa, per indicare Brasile, Russia, India e Cina. Ma ora gli Stati Uniti, nel febbraio dello scorso anno, 2022, hanno confiscato le riserve di dollari della Russia in Occidente e hanno detto alla Banca d’Inghilterra di confiscare le riserve d’oro del Venezuela. Gli Stati Uniti dicono che qualsiasi Paese che noi dichiariamo nemico, qualsiasi Paese che noi chiamiamo autocrazia, cioè democrazie, è nostro nemico, e noi possiamo semplicemente prendere tutte le vostre riserve.

Inutile dire che questo fa sì che gli altri Paesi abbiano paura di usarle e che si rendano conto che il deficit degli Stati Uniti, che ha pompato tutti questi dollari nelle economie straniere e nelle loro banche centrali, finisce per essere ri-prestato al governo degli Stati Uniti in buoni del tesoro, e questi buoni del tesoro vengono usati per finanziare il deficit, che è in gran parte di natura militare. Il deficit di bilancio è principalmente di natura militare, e l’intero deficit della bilancia dei pagamenti, dopo la guerra di Corea, era interamente costituito da spese militari all’estero. È questo che ha costretto gli Stati Uniti ad abbandonare la convertibilità del dollaro in oro nel 1971. Non solo il generale DeGaulle, ma anche la Germania incassava ogni mese i dollari in più che finivano nelle loro banche centrali.

Gli Stati Uniti stavano combattendo in Vietnam e nel Sud-Est asiatico, che erano colonie francesi, e le uniche banche presenti all’epoca erano banche francesi. Ricevevano la spesa locale in dollari, la inviavano in Francia e DeGaulle la incassava in cambio di oro. Fu quindi la spesa militare americana a costringere gli Stati Uniti ad abbandonare l’oro.

Ebbene, una volta usciti dall’oro, in cosa avrebbero speso i paesi stranieri i loro afflussi di dollari? In quel momento non comprano immobili, né azioni e obbligazioni. Comprano titoli di Stato, e così sono state le spese militari per il deficit della bilancia dei pagamenti a finanziare il deficit interno del governo.

Il governo non ha dovuto chiedere prestiti all’estero. Certo, avrebbe potuto creare la propria moneta, ma doveva fornire un qualche veicolo per assorbire tutti questi dollari che venivano gettati verso altri Paesi. Quindi la creazione di titoli di Stato, attraverso un deficit, è stato il mezzo per dare alle banche centrali straniere l’opportunità di scaricare, riciclare e risparmiare tutti i dollari che l’America ha speso per 800 basi militari, per accerchiarli e per organizzare rivoluzioni colorate per tutti i Paesi che non seguivano i desideri americani, ma rispondevano ai loro desideri democratici. Quindi i BRICS hanno finalmente capito questo. Sono stati allargati a molti altri Paesi che vogliono unirsi a loro, tra cui l’Arabia Saudita e l’Iran. In sostanza, i BRICS stanno diventando un’organizzazione di cooperazione di Shanghai allargata.

Sono l’alternativa dei BRICS alla NATO, e stiamo assistendo a una serie di istituzioni internazionali ombra, per contrastare quelle degli Stati Uniti. Un’alternativa al FMI con una Banca dei BRICS, un’alternativa alla Banca Mondiale. Non per concedere prestiti solo per la dipendenza dalle esportazioni statunitensi, ma per aiutare realmente gli altri Paesi a crescere, invece di diventare dipendenti.

Quindi si rendono conto che la filosofia economica americana è un’economia spazzatura e che l’obiettivo della politica economica americana è quello di rendere gli altri Paesi dipendenti e di assicurarsi di poter installare oligarchie clientelari per impedire la democrazia, giusto? Così, se il Cile eleggesse un presidente socialista come Allende, l’America promuoverebbe Pinochet per rovesciare l’intero gruppo.

Gli altri Paesi hanno protestato fin dalla Conferenza di Bandon, a metà degli anni Cinquanta. Ma non c’era una massa critica e, per la prima volta, il successo della Cina e di altri Paesi asiatici, con un’economia mista, ha fatto esattamente ciò che il capitalismo industriale avrebbe dovuto fare, ovvero evolversi in socialismo.

Creando un’economia mista con un’infrastruttura governativa, abbassando il costo della vita e il costo degli affari, stanno finalmente avendo successo, lasciando l’America molto indietro, in una forma paralizzata. Quindi è come se l’America volesse crescere rapidamente come la Cina, ma non può crescere altrettanto rapidamente come l’Asia e continuare ad avere una guerra di classe contro l’industrializzazione.

Come si fa a mantenere la prosperità americana senza l’industria? Come si può governare il mondo senza avere qualcosa da esportare, come beni industriali, o agricoltura, o materie prime, o qualcosa di cui gli altri hanno bisogno? Gli americani hanno solo una cosa da offrire. Ed è un’offerta che Cina e Russia non possono eguagliare.

Gli americani possono offrire di non bombardare altri Paesi, di non rovesciare i loro governi, di non fare la rivoluzione dei colori. Loro diranno cosa possiamo offrire noi: la vostra vita. Accetteremo di non uccidervi, di non rovesciarvi, di non bombardarvi, di non farvi quello che abbiamo fatto alla Libia, all’Iraq, alla Siria. Se non volete questo, allora perché non siete “nostri amici” e non vi unite al mondo libero?

Questo è ciò che l’America ha da offrire, e gli altri Paesi, credo che ora che avete visto la guerra di un anno e mezzo in Ucraina, vedete che l’armamento americano, come abbiamo detto, è quello che Mao chiamava “tigre di carta”. Non sono armi per combattere. L’America ha solo un’arma, la bomba all’idrogeno. Non c’è nessun’altra arma che funzioni.

Non c’è niente di intermedio tra lanciare i Marines a terra e sganciare una bomba atomica. Non c’è niente in mezzo che funzioni, come stiamo vedendo. Questo è il problema. E la questione è che ora ci sono molti funzionari americani che dicono: “Beh, sai, non è necessariamente una cosa così negativa se usiamo le bombe atomiche e il mondo finisce, perché come ha detto il Segretario di Stato e capo della CIA, Pompeo, se il mondo esplode, Gesù verrà e manderà tutta la mia gente in paradiso e tutti gli altri all’inferno”. E c’è questa mentalità da fine del tempo, con Blinken, Biden, il Dipartimento di Stato, dopo di noi il diluvio. Tanto vale che arrivi adesso, e avremo fatto una cosa davvero grande che ha cambiato la storia. Kaboom.

[00:38:44] Grumbine: Wow. Nel primo discorso di Biden sullo Stato dell’Unione, sono rimasto sconcertato nel sentirlo già chiamare in causa la Cina. Il suo primo intento è stato quello di demonizzare la Cina, e lei si è concentrato sul perché? Tutto ciò che ho potuto vedere è che il governo degli Stati Uniti si è lasciato svuotare, ha permesso che tutte le sue infrastrutture cadessero a pezzi, ha permesso che la sua intera base industriale collassasse, e la pandemia ha mostrato la fragilità delle catene di approvvigionamento.

Si accaniscono contro la Russia, contro la Cina e creano nemici per guadagnare tempo, per cercare di reinventare ciò che gli Stati Uniti sono, per permettergli di sopravvivere senza la loro egemonia. Cosa pensa del motivo per cui Cina e Russia sono diventate i bersagli?

[Hudson: Non è come dice lei, non è che l’America abbia “permesso” agli altri Paesi di andare avanti, questa era la politica deliberata, da Clinton in poi. Volevano sbarazzarsi del lavoro manifatturiero qui, per creare quello che Marx chiamava un esercito di riserva di disoccupati. Volevano creare disoccupazione qui, assumendo manodopera straniera al posto di quella americana, e nel frattempo realizzare enormi profitti per le aziende, le multinazionali, che producevano all’estero, con manodopera a basso prezzo, proveniente dagli Stati Uniti.

Quindi, non è che hanno permesso alla Cina di fare qualcosa per andare avanti, l’America ha spinto questi altri Paesi a svilupparsi. Questo faceva parte della politica antioperaia americana. E se non ci si rende conto che l’obiettivo è quello di ridurre gli standard di vita e i salari, tranne che nella misura in cui i salari possono essere spesi per gli interessi, per il settore finanziario, per le assicurazioni, per il settore sanitario, per il settore abitativo e per gli affitti del settore immobiliare.

Se non possono fornire questo, la funzione del lavoro non è quella di produrre merci, come avviene nel capitalismo industriale. Non è per essere impiegato dai produttori, per usare le attrezzature, per produrre beni o servizi, ma per servire come mercato per il settore degli incendi. Questa è davvero la linea guida, ed era la linea guida a Roma, che è il motivo per cui Roma è crollata.

È la ragione per cui i Paesi che lasciano sviluppare un’oligarchia finiscono per spingere le proprie economie verso l’obsolescenza e una sorta di età oscura. È una politica, e soprattutto è la politica dell’amministrazione del Partito Democratico. Già. Quindi guardate cosa fanno le leggi e come la Corte Suprema è lì per impedire qualsiasi tipo di reindustrializzazione negli Stati Uniti.

Non si può reindustrializzare in un modo che gli autori originari della Costituzione che detenevano gli schiavi avrebbero approvato, se fossero stati presenti oggi. Sarebbero come i miliardari di Microsoft, Facebook e altri. Questa sarebbe la loro filosofia.

[00:41:49] Grumbine: Con gli Stati Uniti, questo è stato progettato. E continuiamo a fare questa danza, e se siete mai stati in un consultorio matrimoniale o qualcosa di simile, vi dicono sempre che per ottenere risultati diversi, dovete cambiare la danza. Noi continuiamo a fare la stessa danza e il popolo americano non ne ha la minima idea, Michael.

Come facciamo a diffondere la notizia? Sembra che non si riesca a fare abbastanza strada. Come si fa a diffondere la notizia tra la gente, visto che lo Stato stesso controlla i media. Come facciamo a uscire da questo inferno, o è già tutto fatto, e dobbiamo solo fissare lo tsunami negli occhi e lasciare che ci porti al largo.

[00:42:33] Hudson: Non è affatto come la consulenza matrimoniale. Mia moglie è una psicoterapeuta e ha fatto da consulente alle coppie, e mi ha detto che c’è una regola fondamentale nella consulenza alle coppie. Se c’è il rischio di violenza, non si può fare terapia di coppia, perché non si può parlare liberamente. Bisogna fare in modo che ogni membro della coppia vada da un terapeuta separato e che si risolva il problema individualmente.

Non funziona se sono insieme. Negli Stati Uniti non c’è un’armonia di interessi tale da poter mettere insieme lavoro e capitale e trovare una via di mezzo. Non c’è una via di mezzo. L’economia è polarizzata. Gli interessi della finanza e del settore FIRE sono così antitetici agli interessi del lavoro e dell’industria che non c’è modo di incontrarsi nel mezzo, perché la dinamica è polarizzante, non convergente.

Il sogno della maggior parte degli americani è che si possa in qualche modo trovare una via di mezzo e un bipartitismo. Il bipartitismo è: quale parte del settore FIRE volete governare: i Repubblicani che tagliano le tasse per i ricchi o i Democratici che tagliano l’occupazione per i lavoratori? Beh, sono due piselli nello stesso baccello, come si suol dire. Quindi bisogna rendersi conto che gli interessi del lavoro non sono quelli del capitale. Eppure, a partire, credo, dalle rivoluzioni del 1840 in Europa, c’è stato questo ideale secondo cui in qualche modo la classe dei salariati può evolversi in classe media, innanzitutto possedendo una casa di proprietà.

Anche se oggi, se si possiede una casa propria, ci si deve indebitare per tutta la vita, oppure si può comprare un appartamento da qualche parte e affittarlo. Oppure si può usare il proprio conto pensionistico per cercare di guadagnare sul mercato azionario. Buona fortuna a scommettere contro i grandi. E c’è il mito che in qualche modo i salariati possano diventare capitalisti in miniatura, come se stessero vincendo una lotteria.

E finché non si renderanno conto che gli interessi del lavoro e del capitale, e che il lavoro e il capitale sono contro la finanza, sono antitetici, non saranno la motivazione per sviluppare un’ideologia economica che sostituisca l’ideologia a favore dell’1% che abbiamo oggi. Si potrebbe dire che lo stesso problema si sta verificando nei Paesi BRICS.

L’altro giorno mi è stato chiesto: come farete a far lavorare insieme la Cina, l’Arabia Saudita, i Paesi africani e quelli sudamericani? Hanno religioni, etnie e status sociali così diversi. Beh, il denominatore comune è che sono tutti salariati. E tutti hanno l’obiettivo comune di guadagnare abbastanza denaro, lavorando per vivere, in modo da poter aumentare il proprio tenore di vita, avere una casa propria, avere una giornata lavorativa più breve e condizioni di lavoro meno intensive e meno sfruttanti.

Questo è il denominatore comune di cui hanno bisogno questi Paesi per lavorare insieme, e dovrebbe essere il denominatore comune di cui hanno bisogno gli Stati Uniti, ma finché la gente pensa che ci siano solo due alternative, i repubblicani o i democratici, beh, è la stessa cosa che dire che non c’è alternativa all’1%, il settore FIRE, che governa la società.

[00:45:57] Grumbine: Michael, se dovessi dire una parola di commiato, per far capire ai nostri ascoltatori a che punto siamo, come descriveresti il mondo di oggi? Come descriveresti l’esistenza degli Stati Uniti, in questo stato di fallimento in cui si trovano?

[Hudson: L’America si trova nella stessa posizione della Repubblica Romana, quando alla fine si trasformò nell’Impero Romano. La polarizzazione è arrivata a tal punto che non ci può essere alcun recupero del tenore di vita, alcun aumento dei salari, alcun miglioramento delle condizioni di vita, senza cambiare radicalmente la politica fiscale, la politica economica, senza avere una politica che avvantaggi il lavoro e l’industria produttiva, non il settore finanziario e quello immobiliare. Il settore finanziario e quello immobiliare sono al di fuori dell’economia. È esterno, è imposto all’economia. Il nucleo dell’economia è costituito dai lavoratori per i salari, che producono beni e servizi. Questo nucleo non ha bisogno di un involucro finanziario.

Non c’è bisogno di un 1% di ricchi per finanziare il deficit di bilancio del governo. I governi possono farlo da soli. I governi dovrebbero avere il ruolo che oggi hanno le banche. Ciò significa che non ci saranno più grandi edifici bancari a oscurare gli skyline urbani. Significa che ci sarà, fondamentalmente, un ritorno a quello che tutto il mondo pensava fosse l’ideale del capitalismo industriale, prima della Prima Guerra Mondiale. E cioè che il capitalismo si sarebbe evoluto costantemente verso il socialismo, per essere un’economia più produttiva, per liberarsi dalla classe finanziaria, dalla classe dei proprietari e dai monopolisti, e che un mercato libero è un mercato libero dalla rendita fondiaria, dalla rendita bancaria, e libero dal reddito non guadagnato, e dalla ricchezza, che non svolge alcun ruolo produttivo.

[00:48:01] Grumbine: Ben detto, signore, ben detto. Michael, hai altri progetti in cantiere? A cosa stai lavorando? Sei sempre impegnato in qualcosa, cosa sta succedendo laggiù?

[00:48:10] Hudson: Beh, ho appena pubblicato il secondo volume della mia storia del debito, Il crollo dell’antichità, e ora sto lavorando al terzo e ultimo volume, che riprende la storia del debito nelle Crociate, dall’XI secolo al XIII secolo. Ho scoperto che l’intero sistema finanziario è stato trasformato dalle crociate.

Il cristianesimo aveva denunciato il pagamento degli interessi e l’usura, fin da quando era diventato la religione di Stato romana. Ma Roma voleva finanziare le crociate, che erano principalmente contro altri Paesi cristiani, soprattutto contro la Francia, la Germania, l’Italia meridionale, la Sicilia e Costantinopoli, una sorta di presa di potere.

E queste guerre richiedevano finanziamenti. Fu quindi il papato a introdurre nella civiltà cristiana il debito a interesse e i banchieri. Il sistema finanziario moderno è stato introdotto proprio dal papato, ribaltando tutte le denunce dei primi cristiani sull’usura. L’Islam l’aveva denunciata e aveva liberato la sua società dall’usura. Tutto questo è stato il risultato delle Crociate e della relativa Inquisizione, che è stata utilizzata per eliminare essenzialmente tutta l’opposizione dei veri cristiani, nel sud della Francia, i Catari, e la cristianità degli Stati tedeschi, il Sacro Romano Impero.

E la più forte sopravvivenza del cristianesimo a Costantinopoli e alle chiese alleate.

[00:49:56] Grumbine: Non vedo l’ora di leggerlo, ne sono entusiasta. Abbiamo una libreria su Real Progressives, sul nostro sito web, e la riempiremo sicuramente con tutti i libri. Ne abbiamo già alcuni, ma continueremo ad aggiungerne altri. Michael, grazie mille per esserti unito a me oggi. È stato un vero piacere.

Spero di poterti avere di nuovo con noi. La tua amica e mia amica, Virginia Cotts, vorrebbe che anche tu ti unissi a noi per quello che chiamiamo un RP Live. È un’opportunità molto divertente per dare e ricevere informazioni dai nostri volontari, dai nostri donatori e da altre persone che vengono a Real Progressives per questo tipo di informazioni, e lei, signore, è una rockstar.

Apprezzo molto il tempo che ci ha dedicato e mi auguro di averla presto di nuovo qui.

[00:50:39] Hudson: Beh, grazie per avermi invitato. Mi piacciono sempre le nostre discussioni, perché mi vengono in mente cose nuove mentre parliamo.

[00:50:44] Grumbine: Fantastico. Mi chiamo Steve Grumbine e ho come ospite Michael Hudson. Questo è il podcast, Macro N Cheese, e siamo fuori di qui.

https://globalsouth.co/2023/07/10/michael-hudson-why-the-u-s-economy-cannot-re-industrialize/?fbclid=IwAR12mWcPqWXMgpGgyP8jw0HxBBhdZUUS-efD7N-kk5C1YFJ_hEkSOSzMQeI

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LE ARMI IDEOLOGICHE DI LI QIANG CONTRO L’UNIONE, di Li Qiang

LE ARMI IDEOLOGICHE DI LI QIANG CONTRO L’UNIONE
Le dottrine cinesi di Xi | Episodio 41

“I governi e le organizzazioni non dovrebbero oltrepassare i limiti e trasformare il concetto di rischio in uno strumento ideologico”. In un passaggio della traduzione ufficiale del suo discorso al vertice estivo di Davos, martedì 27 giugno, il primo ministro cinese ha attaccato direttamente la nuova strategia di sicurezza economica dell’UE. Traduciamo e commentiamo riga per riga il discorso nella sua interezza per capire come Pechino stia adattando la sua strategia.
AUTORE ALEXANDRE ANTONIO – IMMAGINE © AP PHOTO/ANDY WONG

Dal 2007 il World Economic Forum organizza in Cina il “Meeting annuale dei nuovi campioni”, noto anche come “Davos Summer Forum”, che riunisce per diversi giorni i “campioni economici” della maggior parte dei Paesi emergenti. Martedì 27 giugno, a Tianjin, nel nord della Cina, il nuovo numero 2 del Partito Comunista Cinese, Li Qiang, ha tenuto il discorso di apertura di questa 14a edizione davanti a un pubblico di circa 1.500 leader del settore pubblico e privato provenienti da oltre 90 Paesi1.

Rivolgendosi in primo luogo alla prossima generazione di leader mondiali, il nuovo premier cinese Li Qiang ha seguito la tabella di marcia tracciata da Liu He a Davos all’inizio dell’anno, rendendo il suo discorso una vetrina del potenziale economico della Cina come motore della crescita globale e della ripresa post-Covida, annunciando che Pechino è “ancora sulla buona strada per raggiungere il suo obiettivo di crescita annuale di circa il 5%” – nonostante i segnali economici siano inferiori alle previsioni degli osservatori, segnati dalla stagnazione dei consumi e dalla disoccupazione giovanile ormai a livelli record.

In un paragrafo molto commentato in Occidente e tagliato dalla traduzione in mandarino di Xinhua, il Primo Ministro cinese mette in guardia – senza nominare direttamente alcun Paese ma puntando un dito molto più sfuggente contro “l’Occidente” – contro i tentativi di “autonomia strategica” recentemente incarnati nella nuova strategia di sicurezza economica dell’UE. Qui Li Qiang attacca i “tentativi di disaccoppiare” e “armare le interdipendenze” per ridurre la dipendenza strategica e la vulnerabilità dell’Occidente nei confronti di alcuni prodotti stranieri – come le terre rare, importate in Europa per il 98% dalla Cina. Per Li, ufficialmente, queste “armi ideologiche” sono “vicoli ciechi che contribuiscono alla frammentazione del mondo”.

Il messaggio di fondo è che la realizzazione di un orizzonte di sicurezza strategica comune che si estenda all’Europa, auspicata da autorevoli osservatori, andrebbe contro gli interessi di Pechino. Oltre a rafforzare l'”autonomia strategica” dell’UE, il disaccoppiamento dalla Cina significherebbe anche intensificare la cooperazione in materia di sicurezza economica con i Paesi desiderosi di ridurre i rischi, attraverso l’iniziativa Global Gateway, che potrebbe fornire una risposta europea alla strategia cinese delle Nuove vie della seta.

In risposta, lo stesso Li utilizza tutte le “armi ideologiche” che compongono la tavolozza diplomatica di Pechino – dalla “comunità del destino dell’umanità” introdotta nel 2012 alle più recenti Iniziative per la sicurezza globale e la civiltà introdotte da Xi quest’anno – e che il numero due del Partito vuole presentare come “unificanti e universali” per evitare un disaccoppiamento che sarebbe dannoso per il modello cinese.

Professor Klaus Schwab, presidente esecutivo del Forum economico mondiale,

Illustri capi di governo,

Eccellenze, capi di organizzazioni internazionali,

Illustri ospiti,

Signore e Signori

Cari amici,

è con grande piacere che mi unisco ai miei amici, vecchi e nuovi, qui a Tianjin per l’incontro annuale dei Nuovi Campioni 2023, o Summer Davos Forum. Permettetemi innanzitutto, a nome del governo cinese, di congratularmi vivamente per l’apertura di questo evento e di dare il benvenuto a tutti i partecipanti e ai giornalisti.

Sin dal suo lancio nel 2007, il World Economic Forum organizza l'”Incontro annuale dei nuovi campioni”, noto anche come “Forum estivo di Davos”, che ogni anno riunisce i “campioni economici” dei Paesi emergenti e alcuni “motori della crescita globale” dei Paesi sviluppati. Pechino coglie l’occasione per illustrare il proprio potenziale economico. Si tratta del primo faccia a faccia dall’inizio della pandemia.

↓FERMER
Questo è il primo incontro annuale faccia a faccia dopo il COVID-19, che si è svolto più di tre anni fa. Negli ultimi anni, questa pandemia unica, unita a trasformazioni senza precedenti in un secolo, ha portato a notevoli cambiamenti nel nostro mondo. Da un lato, l’impatto della COVID-19 persiste. Unilateralismo, protezionismo e deglobalizzazione sono in aumento. Le sfide globali si intensificano e i conflitti regionali continuano a divampare. L’instabilità, l’incertezza e l’imprevedibilità sono diventate comuni. Allo stesso tempo, il nuovo ciclo di rivoluzione tecnologica e trasformazione industriale sta prendendo slancio. L’umanità è più che mai determinata a perseguire la pace e lo sviluppo. Per la maggior parte dei Paesi, il desiderio di una cooperazione vantaggiosa per tutti è diventato ancora più forte. Il mondo si trova a un bivio storico. Come l’umanità possa superare questo periodo di turbolenza è una questione cruciale che riguarda tutti noi. Credo che possiamo trarre alcune importanti lezioni dalle trasformazioni avvenute nel mondo negli ultimi anni.

In primo luogo, dopo aver sperimentato le barriere, sia visibili che invisibili, dovremmo avere ancora più a cuore la comunicazione e lo scambio. Per un certo periodo, l’interazione faccia a faccia, che davamo per scontata, è stata resa molto difficile dalla pandemia. Con l’attenuarsi della pandemia, le barriere visibili che ha creato finiranno per scomparire. Tuttavia, le barriere invisibili erette da alcune persone negli ultimi anni si stanno diffondendo e spingono il mondo verso la divisione e persino lo scontro. Questo è un motivo di maggiore preoccupazione. Le differenze di percezione umana e la diversità delle civiltà esistono fin dall’antichità. Queste differenze non dovrebbero essere una causa di allontanamento, ma una forza trainante per una maggiore comunicazione e scambio. L’assenza di una comunicazione efficace e di una percezione globale, olistica e obiettiva può facilmente portare a pregiudizi e stereotipi. Vivendo nello stesso villaggio globale, noi, umanità, dobbiamo eliminare le barriere visibili e, soprattutto, quelle invisibili. Paesi, gruppi etnici e civiltà diverse devono approfondire la comprensione reciproca e rafforzare il dialogo per colmare le differenze e ampliare il terreno comune.

Il concetto di “villaggio globale” o “villaggio planetario” è al centro della “comunità di destino per l’umanità” (人类命运共同体). È un elemento della diplomazia cinese che emerge nel 2012 nel discorso ufficiale del Partito, prima di essere sancito nel 2018 nella prefazione alla Costituzione della RPC. Il PCC lo presenta come una governance globale alternativa che trae ispirazione dalla cultura cinese e dalla nozione di sviluppo e incarna la visione del Partito di una “tendenza all’interdipendenza nel mondo”.

↓FERMER
In secondo luogo, dopo aver subito gli shock delle crisi globali, dovremmo avere ancora più a cuore la solidarietà e la cooperazione. La storia della società umana è fatta di battaglie e vittorie contro sfide e difficoltà. Di fronte a una grave crisi, nessun Paese può rimanere indenne o risolvere i propri problemi da solo. La solidarietà e la cooperazione sono la strada da seguire. Negli ultimi tre anni, tutti noi abbiamo combattuto duramente contro la pandemia, dimostrando la potente forza dell’umanità che si unisce e si protegge a vicenda nei momenti difficili. La COVID-19 non sarà l’ultima crisi di salute pubblica che l’umanità dovrà affrontare. La governance globale della salute pubblica deve essere rafforzata. Allo stesso tempo, dobbiamo anche affrontare le sfide globali del rallentamento della crescita, dei rischi del debito, del cambiamento climatico e del divario di ricchezza. In qualità di comunità con un futuro comune, dobbiamo fare tesoro dei risultati della nostra cooperazione, abbracciare il concetto di cooperazione win-win e lavorare insieme per affrontare queste sfide globali e promuovere il progresso umano.

In terzo luogo, dopo aver vissuto gli alti e bassi della globalizzazione economica, dobbiamo avere ancora più a cuore l’apertura e la condivisione. La globalizzazione economica è una tendenza storica. Nonostante i venti contrari e le battute d’arresto, la tendenza generale della globalizzazione economica ha continuato a progredire. In particolare, i rapidi progressi delle nuove tecnologie, come la tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale, stanno creando condizioni più favorevoli alla globalizzazione economica. Il mondo non deve e non può tornare a uno stato di reclusione o di isolamento. Pochi giorni fa mi sono recato in Germania e in Francia, dove ho avuto colloqui approfonditi con i leader di entrambi i Paesi e con esponenti del mondo politico e imprenditoriale. L’opinione prevalente è quella di rifiutare la mentalità del gioco a somma zero e di rimanere sulla strada giusta della cooperazione win-win.

La scorsa settimana, Li Qiang si è recato in Germania e in Francia per incontrare importanti aziende di entrambi i Paesi e si è espresso contro la strategia di autonomia strategica dell’Europa. In Germania, il numero 2 del Partito ha respinto l’idea di “de-risking” e “riduzione del grado di dipendenza”. In Francia, a margine del vertice di Parigi, Li ha ribadito la stessa posizione, affermando di volere “un ambiente commerciale equo, trasparente e non discriminatorio per le aziende cinesi” e auspicando di poter “lavorare insieme per mantenere la stabilità e la resilienza della catena di approvvigionamento tra Cina, Francia ed Europa”.

↓FERMER
Come sapete, alcuni in Occidente propongono il concetto di armamento delle interdipendenze e di “de-risking”. Questi due concetti sono proposte forzate. La globalizzazione economica ha già trasformato il mondo in un insieme in cui gli interessi di tutti sono intimamente legati. I Paesi sono interdipendenti, interconnessi in termini economici per consentire il successo reciproco. Questo è un bene, non un male. Se c’è un rischio in un settore emergente, non è a causa di un’organizzazione o di un governo. Sono le aziende ad essere più sensibili e a poter valutare questi rischi per giungere alle proprie conclusioni e prendere le proprie decisioni. I governi e le organizzazioni non dovrebbero oltrepassare i limiti e trasformare il concetto di “rischio” in uno strumento ideologico.

Questo passaggio è stato rimosso dalla traduzione ufficiale cinese di Xinhua. In esso, il Primo Ministro cinese contesta – senza nominare direttamente l’UE o alcun Paese – la nuova strategia di sicurezza economica dell’UE e le sue implicazioni. Li Quang attacca i “tentativi di disaccoppiare” e “armare le interdipendenze” che gli osservatori chiedono per ridurre la dipendenza strategica e la vulnerabilità dell’UE da alcuni prodotti stranieri – come le terre rare, importate in Europa per il 98% dalla Cina. Per Li, ufficialmente, queste “armi ideologiche” sono “vicoli ciechi che contribuiscono alla frammentazione del mondo”.

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Dobbiamo seguire la tendenza della storia, consolidare il consenso sullo sviluppo e continuare a impegnarci per costruire un’economia globale aperta. Dobbiamo opporci alla politicizzazione delle questioni economiche e lavorare insieme per mantenere stabili e fluide le catene industriali e di approvvigionamento globali e per garantire che i frutti della globalizzazione vadano a beneficio di diversi Paesi e gruppi di popolazione in modo più equo.

In quarto luogo, dopo aver sperimentato l’ansia causata da conflitti e disordini, dovremmo avere ancora più a cuore la pace e la stabilità. Senza la pace non si può ottenere nulla. Questa è una dura lezione che l’umanità ha imparato dalla storia. Negli ultimi cento anni, il mondo ha vissuto due guerre mondiali e più di 40 anni di guerra fredda, prima di sperimentare finalmente un periodo di stabilità e sviluppo. Tuttavia, gli ultimi anni sono stati segnati da ripetute retoriche che hanno alimentato il confronto ideologico, l’odio e il pregiudizio, e dai conseguenti atti di accerchiamento e repressione, fino a guerre e conflitti regionali. Le popolazioni delle regioni interessate hanno sofferto profondamente e lo sviluppo globale ha subito notevoli danni. La pace è preziosa e lo sviluppo non è mai facile. È necessario un impegno costante per raggiungere questi due nobili obiettivi. Dobbiamo agire nell’interesse comune dell’umanità e assumerci la nostra responsabilità per la pace e lo sviluppo. Dobbiamo difendere l’equità e la giustizia, superare il dilemma della sicurezza e lavorare collettivamente per salvaguardare un ambiente pacifico e stabile per lo sviluppo.

Un mondo che cambia può essere rivelatore in molti modi. In breve, ciò che manca nel mondo di oggi è la comunicazione, non l’allontanamento; la cooperazione, non il confronto; l’apertura, non l’isolamento; la pace, non il conflitto. Dobbiamo dare seguito alla visione del Presidente Xi Jinping di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità e attuare congiuntamente l’Iniziativa per lo sviluppo globale, l’Iniziativa per la sicurezza globale e l’Iniziativa per la civiltà globale. Dobbiamo andare avanti seguendo la logica del progresso storico, svilupparci con la corrente dei nostri tempi e lavorare sodo per costruire un mondo ancora migliore.

Per evitare un de-rischio che sarebbe dannoso per il modello economico cinese, lo stesso Li riprende qui tutte le “armi ideologiche” che compongono la tavolozza della diplomazia cinese, rivolgendosi soprattutto ai Paesi del Sud del mondo – dalla “comunità del destino dell’umanità” introdotta nel 2012 alle più recenti Iniziative di sicurezza globale e di civilizzazione introdotte da Xi quest’anno.

↓FERMER
Signore e signori,

cari amici,

Come Paese grande e responsabile, la Cina è sempre stata saldamente dalla parte giusta della storia e del progresso umano. Tenendo alta la bandiera della pace, dello sviluppo e della cooperazione win-win, la Cina è impegnata a costruire la pace nel mondo, a promuovere lo sviluppo globale e a sostenere l’ordine internazionale. Dal 18° Congresso nazionale del Partito comunista cinese, ci siamo concentrati sulla promozione di uno sviluppo di alta qualità, abbiamo raggiunto l’obiettivo di costruire una società moderatamente prospera sotto tutti i punti di vista, come previsto, abbiamo posto fine alla povertà assoluta in Cina una volta per tutte e abbiamo intrapreso un nuovo viaggio verso la costruzione di un moderno Paese socialista sotto tutti i punti di vista. Oggi l’economia cinese è profondamente integrata nell’economia globale. La Cina si è sviluppata abbracciando la globalizzazione ed è diventata una forza molto attiva a favore della globalizzazione.

Nell’ultimo decennio, la Cina è stata una delle principali fonti di impulso per la crescita costante dell’economia mondiale. Negli ultimi dieci anni, l’economia cinese è cresciuta a un tasso medio annuo del 6,2%. La sua quota di produzione economica globale è passata dall’11,3% del 2012 a circa il 18%. Il commercio di merci della Cina è stato il primo al mondo per sei anni consecutivi. In media, il contributo della Cina alla crescita globale è stato superiore al 30%, rendendola il principale motore di tale crescita. Nel primo anno della pandemia COVID-19, la Cina è stata l’unica grande economia a registrare una crescita positiva. Negli ultimi tre anni, la Cina ha registrato una crescita media annua del 4,5%, circa 2,5 punti percentuali in più rispetto alla media mondiale, ed è stata una delle maggiori economie mondiali. Nel perseguire il suo sviluppo interconnesso con gli altri Paesi, la Cina ha rispettato gli impegni assunti con l’adesione all’OMC, aprendo il suo mercato al resto del mondo e condividendo le opportunità di sviluppo con tutti, diventando così uno dei principali partner commerciali di oltre 140 Paesi e regioni. Lo sviluppo della Cina ha migliorato la vita del popolo cinese e ha fornito ai cittadini di altri Paesi una grande quantità di prodotti di alta qualità ma poco costosi. La Cina è stata un’ancora e una fonte di impulso per il libero commercio e la crescita stabile nel mondo.

Nonostante i dati positivi delineati da Li Qiang, negli ultimi mesi i segnali economici sono stati inferiori alle aspettative degli osservatori. Due settimane fa, i nuovi dati diffusi dall’Ufficio di statistica hanno mostrato che le vendite al dettaglio su base annua sono cresciute a un ritmo più lento del previsto – del 12,7% a maggio, al di sotto dell’aumento previsto del 13,6% e del 18,4% di aprile. Inoltre, i dati sulla disoccupazione giovanile hanno attestato un nuovo record: il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 16 e i 24 anni ha raggiunto il 20,8% a maggio, con un aumento di 0,4 punti rispetto ad aprile.

↓FERMER
A lungo termine, la Cina continuerà a dare un forte impulso alla ripresa economica e alla crescita globale. Oggi la Cina rimane il più grande Paese in via di sviluppo del mondo. Vi abitano più di 1,4 miliardi di persone. I suoi indicatori economici pro capite e il suo tenore di vita sono modesti e il suo sviluppo rimane squilibrato e inadeguato. Tuttavia, è anche qui che si trovano il potenziale e lo spazio di sviluppo della Cina. Stiamo applicando la nuova filosofia di sviluppo, promuovendo un nuovo paradigma di sviluppo a un ritmo più veloce e lavorando duramente per raggiungere uno sviluppo di alta qualità. Stiamo introducendo misure più pratiche ed efficaci per sfruttare ulteriormente il potenziale della domanda interna, dare impulso al mercato, coordinare meglio lo sviluppo urbano, rurale e regionale, accelerare la transizione ecologica e promuovere l’apertura verso standard elevati. Queste misure stanno facendo la differenza. Da quello che vediamo quest’anno, l’economia cinese sta mostrando un chiaro slancio di ripresa e miglioramento: il PIL è cresciuto del 4,5% su base annua nel primo trimestre e si prevede che nel secondo trimestre la crescita sarà più rapida rispetto al primo. Siamo sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di crescita di circa il 5% fissato per l’intero anno. Diverse organizzazioni e istituzioni internazionali hanno alzato le loro previsioni di crescita per la Cina quest’anno, dimostrando la loro fiducia nelle prospettive di sviluppo del Paese. Abbiamo piena fiducia e capacità di ottenere una crescita costante dell’economia cinese su un percorso di sviluppo di alta qualità per un lungo periodo. Ciò aumenterà le dimensioni del mercato, creerà opportunità di cooperazione e fornirà una fonte costante di dinamismo per la ripresa e la crescita economica globale, nonché opportunità di cooperazione win-win per gli investitori di tutti i Paesi.

Signore e signori,

cari amici,

I cinesi dicono spesso che è nella prova del tempo che gli eroi mostrano la loro forza. In questi tempi di grande incertezza, gli imprenditori, grazie alla loro profonda conoscenza del mercato, al loro spirito di iniziativa e alle loro azioni, possono portare maggiore certezza al mondo. Il tema dell’incontro annuale di quest’anno è “Imprenditorialità: la forza trainante dell’economia globale”, e non potrebbe essere più appropriato. Gli imprenditori di diversi Paesi possono differire in molti modi, ma credo che gli attributi fondamentali dell’imprenditorialità siano gli stessi: uno spiccato senso dello scopo, una volontà incrollabile e una straordinaria capacità di agire per avviare, innovare e creare imprese. La Cina vuole collaborare con tutti voi per sostenere con forza la globalizzazione economica, difendere con forza l’economia di mercato, sostenere con forza il libero scambio e indirizzare l’economia globale verso un futuro più inclusivo, resiliente e sostenibile.

La scorsa settimana, il popolo cinese ha celebrato il tradizionale Dragon Boat Festival, un’occasione per gareggiare con le barche drago. Questo sport illustra il desiderio del popolo cinese di un tempo migliore e di raccolti più prosperi, ma incarna anche una semplice verità: quando tutti remano insieme, è possibile far avanzare una grande barca. Siamo uniti nel desiderio di una cooperazione vantaggiosa per tutti, remiamo insieme con un solo cuore e una sola mente e guidiamo la gigantesca nave dell’economia mondiale verso un futuro più luminoso!

Auguro all’incontro di quest’anno un grande successo.

Grazie.

FONTI
Versione del discorso di Li Qiang in cinese

http://www.forestry.gov.cn/lyj/1/szxx/20230628/508786.html

https://legrandcontinent.eu/fr/2023/07/01/les-armes-ideologiques-de-li-qiang-contre-lunion/

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