Intelligence economica e Confindustria, di Marco Pugliese

Tratto da linkedin:

Un proposito più che meritorio. Mi preme sottolineare, però, alcuni aspetti fondamentali: 1- per la natura specifica della UE, l’attività lobbistica è fondamentale e deve essere gestita, per le caratteristiche della struttura industriale, da associazioni e, più realisticamente, da specifiche componenti di esse, visto il carattere eminentemente conservatore e ossequiente di Confindustria 2- per la natura specifica della struttura industriale, l’apporto del ceto politico-governativo è ancora più importante che per gli altri paesi europei, quanto lo è di fatti, purtroppo, più deficitario 3- diventa fondamentale, non solo salvaguardare, ma recuperare il controllo e la gestione paritetica delle compartecipazioni della grande industria di base in vista di possibili fusioni nel contesto europeo 4- occorre orientare sempre più verso il prodotto finito finale la produzione della piccola e media industria piuttosto che sulla componentistica o, quantomeno e in controtendenza, diversificare il portafoglio clienti sulla falsariga, ormai parziale anch’essa, di Brembo e poche altre 5- creare un sistema bancario-finanziario dedicato. Pensare ad un particolare connubio tra banche-poste-Cassa DDPP in controtendenza con la progressiva cessione di azioni di Poste Italiane a fondi internazionali. “Vaste programme”. Concordo che basilare è la consapevolezza dei termini della questione Giuseppe Germinario

Intelligence economica e Confindustria

Ho letto con grande attenzione il programma di Emanuele Orsini (ormai al vertice di Confindustria) e sottolineo che questo imprenditore (che conosce la costellazione delle PMI italiane) ha messo al centro un progetto fondamentale per le nostre aziende (di tutte le dimensioni): l’intelligence economica salva-aziende.

Prima dovrà serrare i ranghi e ridare serenità ad una Conf troppo importante e strategica per il nostro Paese. La dorsale dei piccoli e medi imprenditori sarà fondamentale nella nuova Confindustria che ha bisogno di far lavorare grandi e piccoli in parallelo. Orsini dovrà gestire la delicata nuova normativa europea inerente la manifattura (le nostre imprese piccole e medie non sono mai state al centro dei progetti europei…).

Oltre a questo va sottolineato come Francia, Germania, USA, Uk, Giappone e Cina avvantaggiano i propri settori industriali e di manifattura. Per gestire il peso italiano a Bruxelles serve una vera e propria intelligence economica che protegga le nostre aziende e gli asset economici.

Qualche esempio?

Siamo la seconda manifattura d’Europa: non possiamo farci fagocitare da regolamenti decisi altrove.
Abbiamo una dorsale strategica fatta di PMI, non possiamo avvallare proposte (soprattutto da Nord Ue) che avvantaggiano la grande industria.
Non possiamo accettare che stati come Germania o Francia aiutino le proprie imprese a debito (omettendolo, la Germania 1000 miliardi dal 2013).
Non possiamo farci sfilare in affari come il fu Fincantieri-Stx.
Non possiamo farci imporre carburanti sintetici tedeschi quando abbiamo Eni che lì produce da più d’un anno.
Non possiamo rimanere fuori dal comparto industriale dedicato allo spazio (annessa IA).
Non possiamo più permettere attacchi ai nostri asset come accadde con Saipem nel 2015.

Serve una svolta sistemica e bisogna iniziare anche a dire che l’obiettivo deve essere chiaro: riportare l’Italia ad occupare il quarto posto (come ad inizio anni ‘90) a livello industriale nel mondo, lasciando questo settimo posto ormai datato anni 2000. Basta galleggiare, bisogna spingere.

Ho creato https://openindustria.com per dare rete tra imprese, educazione, cultura e ricerca.

Al suo interno progetti innovativi come Deutelio o quello di Gianfranco Pizzuto, oltre a Roberto Santori con Made in Italy.
Aggiungi anche il lavoro del CISINT – Centro Italiano di Strategia e Intelligence nel settore geoecomomico e la mission di ItalyUntold.

Grazie alla professionalità di Roberto Macheda stiamo cercando di dare un respiro più profondo a chi vuol cambiare il Paese investendo.

A breve uno speciale inerente Confindustria su Bankimpresanews.com

Sono convinto che sia giunto il momento di concludere il tempo delle mezze misure.
Porto per questo motivo Olivetti e Mattei in aziende e scuole: dobbiamo tornare a crederci o avremo un futuro di serie B.

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La ‘NATO dormiente’ è la migliore scelta difficile, di Micah Meadowcroft

I termini, ancora parziali, dell’acceso dibattito in corso negli Stati Uniti. Giuseppe Germinario

La ‘NATO dormiente’ è la migliore scelta difficile

Questo non impedirà a coloro che credono nelle priorità di essere nuovamente soprannominati “conservatori non patriottici”.

lettori di lunga data di The American Conservative non sono nuovi a fare causa comune con persone di sinistra quando è necessario. Lo sforzo di evitare decenni di disastri in Iraq può essere fallito, ma TAC non è stato il solo a subire questa sconfitta; i redattori della rivista sono stati definiti “conservatori antipatriottici” non solo perché erano contrari alla guerra e David Frum amava la guerra, ma esplicitamente perché nel cercare di evitare una disfatta avevano fatto “causa comune con i movimenti… di sinistra”. In questo modo, si suggeriva, e si suggerisce tuttora, di violare una distinzione amico-nemico che li poneva al di fuori dei confini politici, se non del Paese, almeno del movimento conservatore. Il partito della guerra respingeva gli appelli alla prudenza e ai vincoli, confondendo la resistenza alla guerra con le simpatie terroristiche.

Oggi si può essere un conservatore patriottico e concordare con i democratici, a quanto pare, ma solo se si tratta di Trump e non di un eccesso liberale. Il partito della guerra resiste ancora al riconoscimento prudenziale delle risorse limitate, e la sua ala destra troverà tale riconoscimento ancora più difficile quando comporterà un accordo con i membri della sinistra tradizionale. Ma la distinzione politica nazionale che conta nel nostro momento è tra coloro che mettono al primo posto gli interessi dei cittadini americani e dei loro posteri e coloro che non lo fanno, spesso nascondendosi dietro gesti verso un’idea astratta di America. Si tratta di una distinzione che attraversa le affiliazioni convenzionali, lasciando entrambi i partiti in subbuglio, mentre i Democratici diventano il partito più a suo agio con l’internazionalismo liberale e l’élite finanziaria globale. Ognuno dovrebbe essere pronto, in futuro, a trovare forse temporanei alleati di comodo sia alla sua destra che alla sua sinistra.

Per coloro che cercano di mettere l’America al primo posto, la riforma della NATO presenta un nuovo rischio di essere associati a persone che i neoconservatori considereranno di sinistra. E così sia. Un recente saggio di Max Bergmann, attualmente del Center for Strategic and International Studies ma in passato del Center for American Progress, pubblicato su Foreign Affairs, sostiene la necessità di una “NATO più europea”. Il suo appello fa il paio con quello che Sumantra Maitra, mio collega sia qui al TAC che al Center for Renewing America, definisce una strategia “NATO dormiente” per gli Stati Uniti, cosa che Bergmann riconosce negativamente, inquadrando il suo caso come una questione di assicurazione contro tali politiche.

Tuttavia, le due prospettive sono armoniose. In un periodo di risorse limitate, e quindi di spietata definizione delle priorità, i politici americani devono concentrarsi sulla gestione delle nostre relazioni con la Cina e sulla risposta alle relazioni della Cina con il resto del mondo. Se, come suggeriscono Bergmann e Maitra, l’Europa è in grado di soddisfare gli scopi principali della NATO senza l’America come principale, allora abbracciare questa realtà dà ai politici statunitensi una distrazione in meno. I vantaggi non sono unilaterali nel lungo periodo. Bergmann scrive che il problema principale che l’Europa deve affrontare collettivamente “è l’eccessiva dipendenza della NATO dagli Stati Uniti”.

In un mondo in cui persino l’amministrazione democratica del presidente Biden è preoccupata per la situazione nel Pacifico occidentale, questa è un’ovvia vulnerabilità per gli Stati membri europei marzialmente atrofizzati. La principale minaccia tradizionale per la grande strategia statunitense è l’emergere di una potenza egemonica che domini la terraferma eurasiatica e che quindi, superando gli Stati Uniti in termini di risorse materiali e culturali, possa permettersi di colpire il Nord America attraverso gli oceani. La realtà attuale della situazione politica ed economica globale è tale che questa minaccia non si dirige verso l’Europa, come ha fatto nei conflitti del XX secolo con la Germania e la Russia, ma muove invece le sue lente cosce verso l’Asia. L’attenzione americana si sta rivolgendo, anche se ancora a fasi alterne.

Così la NATO dovrebbe essere, o sarà a causa degli eventi, declassata da istituzione globale critica a istituzione regionale vitale. Come scrive Bergmann, “dopo decenni di deriva, l’alleanza ha trovato un nuovo scopo nella dissuasione dall’aggressione russa, la sua ragione d’essere originaria”, e i membri europei dell’alleanza sono in grado di esercitare tale dissuasione in gran parte senza gli Stati Uniti. Bergmann riconosce che “quando gli americani si recano in Europa, vedono infrastrutture sofisticate e cittadini che godono di elevati standard di vita e di solide reti di sicurezza sociale”.

Essendo uno di quei rari liberali di professione con abbastanza immaginazione da modellare i pensieri di una persona normale, aggiunge: “Non riescono a capire perché i dollari delle loro tasse e i loro soldati siano necessari per difendere un continente benestante la cui popolazione totale supera di gran lunga quella degli Stati Uniti”.

Ciò evidenzia, tuttavia, una singolare finzione nelle discussioni sul futuro della NATO. Quelli che Bergmann definisce “decenni di deriva” sono stati anche decenni di entusiastica enumerazione di nuove responsabilità per l’Alleanza, che si è trasformata da un semplice accordo difensivo in un’organizzazione di sicurezza a tutto campo che esegue interventi militari ben al di fuori del teatro europeo, per non parlare del Nord Atlantico. Per decenni, la NATO ha cercato cose da fare e ne ha trovate. Quindi, quando i funzionari indignati per la proposta della NATO inattiva affermano che non c’è nulla da ridimensionare, nulla per cui l’America debba rifiutarsi di partecipare, che l’alleanza è proprio ciò che è sempre stata, ci dovrebbe essere un po’ di indignazione in cambio.

In realtà, l’alleanza si è evoluta e può evolversi ulteriormente. I difensori di un ruolo minore per gli Stati Uniti dovranno però essere pronti, proprio come i difensori dello status quo, a mettere da parte le remore ad accordarsi con i membri dell'”altra squadra”. Poiché la NATO è diventata molto più che per tenere fuori la Russia, non ha smesso di essere anche, nelle famose parole di Lord Ismay, per tenere “gli americani dentro e i tedeschi giù”. Gli interventisti conservatori si opporranno a una NATO a guida europea o inattiva invocando una futura guerra sul continente; la dipendenza dalla potenza di fuoco americana, dicono, è l’unica cosa che tiene gli Stati membri lontani l’uno dall’altro. Nel sostenere questa tesi, avranno probabilmente l’appoggio sia dei piccoli Stati preoccupati dalla prospettiva di un’ulteriore dipendenza da Francia e Germania, sia di una sinistra europea felice di mantenere il peso della difesa sulle spalle degli americani.

Nel frattempo, una coalizione per rendere le truppe americane l’ultima spiaggia, piuttosto che la spina dorsale della difesa avanzata, non sarà meno offensiva per i pregiudizi americani. La Francia sarà anche il nostro più antico alleato, ma dopo due guerre mondiali, i battibecchi con Charles De Gaulle e l’osservazione del programma di vacanze e sommosse creative del Paese, la sua reputazione presso i conservatori americani è materia di barzellette. Questo riflette la brevità della memoria degli Stati Uniti più che lo status di civiltà della Francia, e dovrà essere superato. La Francia ha sempre voluto giocare un ruolo più ampio nella NATO, ripetutamente snobbata dalla relazione speciale anglo-americana. Un triumvirato franco-tedesco-britannico che sostenga gli Stati confinanti con l’Est dell’Alleanza funzionerebbe altrettanto bene per preservare la pace nel prossimo futuro rispetto all’attuale sbilanciato consolato.

La politica estera non si inserisce ordinatamente all’interno delle divisioni partitiche interne, perché si tratta di delimitare tale area interna. È troppo vasta. Come la politica di immigrazione, condiziona questi altri dibattiti, creando quello che ho già descritto in precedenza come un ordine politico di operazioni. All’inizio di questa rubrica ho definito la nostra nuova dirompente distinzione politica nazionale in termini domestici, ma concludo ora con la distinzione che divide la politica estera, perché è quella che condiziona gli altri dibattiti. La divisione che oggi caratterizza la politica estera americana riguarda lo status dell’unipolarismo.

Nessuno nega che, dopo il 1989, gli Stati Uniti abbiano vissuto un periodo di iperpotenza; la questione è se tre decenni di arroganza liberale bipartisan alla fine della storia abbiano minato quell’egemonia in modo irreparabile. Gli internazionalisti liberali convinti credono che l’unipolarismo possa essere recuperato, che l’America debba solo affermarsi sul campo di battaglia e radicarsi ulteriormente nelle istituzioni multilaterali del secolo scorso. Pensano ancora nei termini della Guerra Fredda di “falchi” e “colombe” e accusano coloro che sono venuti a patti con la realtà – un ordine globale sempre più bipolare e un futuro multipolare – di aver invitato e persino favorito queste condizioni. (Non importa chi ha avuto il controllo negli ultimi 30 anni). I sostenitori delle migliori scelte difficili possono essere certi che saranno ancora chiamati “conservatori non patriottici”.

Il Piano Bezmenov: L’America si trova ora nell’ultima fase? _Di Scott S. Powell

Argomenti interessanti offuscati da ataviche ossessioni_Giuseppe Germinario

4 aprile 2024
Il Piano Bezmenov: L’America si trova ora nell’ultima fase?
Di Scott S. Powell

Il messaggio di benvenuto del presidente Joe Biden per la domenica di Pasqua, pubblicato su X, che recitava: “Oggi, nella Giornata della visibilità transgender, ho un semplice messaggio per tutti i trans americani: Vi vedo…” è stato scioccante. Molti non riuscivano a capire come il giudizio del Presidente potesse essere così distorto nel giorno più sacro per i cristiani.

Per quanto offensiva, questa frase fornisce una finestra attraverso la quale tutti possono vedere ciò che sta accadendo. Poiché il declino cognitivo di Biden è così evidente, ci sono pochi dubbi sul fatto che egli sia usato dai nemici interni ed esterni dell’America, intenzionati a far crollare la Repubblica costituzionale degli Stati Uniti senza sparare un colpo. E non è difficile riconoscere che il piano seguito è parallelo a quello rivelato quarant’anni fa dal disertore sovietico Yuri Bezmenov, che spiegava le quattro fasi della sovversione comunista: 1) demoralizzazione, 2) disorientamento, 3) crisi e 4) normalizzazione.

Gli Stati Uniti sono stati sottoposti a prolungati attacchi interni di demoralizzazione per diverse generazioni, attraverso il sistema educativo e la cultura che hanno trasmesso messaggi che denigrano gli Stati Uniti e deridono i valori tradizionali.

La seconda fase, nota come disorientamento, ha maggior successo dopo che un’ampia porzione della popolazione è stata demoralizzata. Covid-19 ha portato al disorientamento attraverso l’imposizione di maschere, l’allontanamento sociale, le quarantene, le chiusure e l’abbandono delle migliori pratiche mediche di trattamenti preventivi e terapeutici. Un’altra parte importante del disorientamento inflitto all’America in quel periodo è stato il razzismo generato dalla morte di George Floyd, che ha scatenato rivolte, saccheggi e distruzione di proprietà per diversi miliardi di dollari e l’abbattimento di statue e monumenti storici in molte città degli Stati Uniti.

Ad accrescere il disorientamento degli americani in quel periodo fu il fatto che per settimane nessuno sembrò in grado di fare qualcosa contro i disordini, l’illegalità e la distruzione in atto nelle grandi città americane. Ci furono pochi arresti, mentre circa 1.000 agenti di polizia furono feriti e 33 uccisi. Allo stesso tempo, le città con il maggior numero di illegalità, come Minneapolis, Seattle, New York, Los Angeles, Chicago, Philadelphia e Baltimora, hanno avviato iniziative per ridurre i fondi destinati alla polizia e alle forze dell’ordine.

Quando nulla ha senso, il messaggio subliminale è: “Questa non è l’America che conoscete, è un nuovo mondo in cui siete entrati”. Si tratta di uno stato di disorientamento di massa in un periodo di relativa pace che gli americani non hanno mai sperimentato.

La fase che segue il “disorientamento” è quella della “crisi”. La fase di crisi sarebbe arrivata nel novembre 2020 con i brogli elettorali. Il fattore paura del contagio di Covid è stato sfruttato dagli operatori democratici che hanno apportato modifiche alle regole elettorali degli swing state, ampliando notevolmente i voti per posta e le urne, che tutti sanno facilitare i brogli elettorali.

Contemporaneamente alle modifiche alle regole elettorali per facilitare il riempimento delle urne, è stata intrapresa una campagna di censura e cancellazione dei social media da parte dell’ONG Election Integrity Project (EIP), con sede all’Università di Stanford, in consultazione con la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA), un’unità del Dipartimento di Sicurezza Nazionale.

L’EIP ha esercitato un’influenza smodata sulle elezioni del 2020 convincendo le principali società di social media come Facebook, Instagram, Twitter, You Tube, Reddit e Pinterest a modificare i termini di servizio dei loro clienti per incorporare un linguaggio sulla “delegittimazione”. Una volta ottenuto questo risultato, secondo Mike Benz, ex responsabile delle politiche di comunicazione del Dipartimento di Stato americano ed esperto di propaganda, la porta sarebbe stata aperta alla censura di massa e alla cancellazione istantanea tramite algoritmi. L’EIP ha quindi esercitato pressioni su tutte le società di social media affinché aderissero alle loro politiche di assistenza clienti e censurassero, cancellassero o deplorassero qualsiasi contenuto che contenesse termini “delegittimati” come: “nuovi protocolli e processi elettorali”, “questioni ed esiti”, “voti per posta”, “voto anticipato”, “urne” e “Antifa”. E quando la storia del laptop di Hunter Biden è scoppiata a metà ottobre 2020, è stata immediatamente delegittimata e tolta da ogni sito di social media.

Alla fine, per ammissione dello stesso EIP, Twitter è stato costretto a cancellare 22 milioni di tweet che contenevano “disinformazione” associata a termini delegittimati che violavano i termini di servizio dell’azienda prima delle elezioni del novembre 2020. Dopo le elezioni, quando molti americani si sono sentiti privati del diritto di voto e hanno avuto molte domande sulle irregolarità percepite, hanno scoperto che i social media hanno efficacemente ostacolato la discussione sui brogli elettorali, ancora una volta facilitata dalla censura e dalla cancellazione di qualsiasi contenuto contenente nuovi termini delegittimati come “Stop the Steal”, “dead voter rolls”, “Sharpiegate”, “manufactured ballots”, “stolen election” e “Postal Service”, per citarne alcuni.

Mentre l’America è ancora nella fase di crisi, alcuni esperti di sovversione sostengono che il regime di censura e di cancellazione che esiste ora fa anche parte dell’ultima e definitiva fase della presa di potere comunista, nota come “normalizzazione”. Se agli americani viene negato l’accesso alle informazioni, si abituano a elezioni truccate, accettano limitazioni alla libertà di parola e acconsentono alla riscrittura della storia facilitata dalla cancellazione e dalla decostruzione del passato, la repubblica costituzionale che era l’America sarà scomparsa e il nuovo mondo del controllo delle élite governative sarà normalizzato. Come avvertì John Adams, il secondo presidente, “La libertà una volta persa è persa per sempre”.

Con le narrazioni informative provenienti da agenzie governative che hanno portali diretti sui social media, combinate con le informazioni e le voci che vengono bloccate, cancellate o deplorate sui social media da ONG come la Election Integrity Partnership, il risultato è un controllo del pensiero orwelliano.

La censura non è solo una violazione del Primo Emendamento e un attacco alla Costituzione. È un tradimento del governo del popolo, dal popolo e per il popolo. Il nostro intero stile di vita è protetto dal Primo Emendamento, che è il muro di protezione contro l’abuso di potere e la tirannia.

Scott Powell è membro del Committee on the Present Danger China e senior fellow del Discovery Institute. Il suo libro senza tempo, Rediscovering America, è stato al primo posto tra le novità di Amazon per otto settimane consecutive. Raggiungetelo all’indirizzo scottp@discovery.org

Immagine: Jakayla Toney

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L’araba fenice dello Stato_Con Piergiorgio Rosso e Gianfranco La Grassa

La questione della fine e del ruolo dello Stato ha assillato per decenni il movimento comunista preso come era nella stretta tra le aspettative utopiche di una società senza gerarchie di potere, di fatto senza la politica ed una visione deterministica della sua funzione come mero strumento della borghesia, del capitale e della sua accumulazione. Un approccio che ha impedito di individuare la funzione imprescindibile del politico nella costruzione delle formazioni sociali in tutti i loro ambiti di attività e di determinare le logiche proprie degli apparati e dei centri decisionali interni allo stato in grado di condizionare pesantemente gli stessi processi di accumulazione capitalistica e il conflitto e la competizione dei soggetti interni ad essa. Con una unica eccezione parziale della scuola althusseriana e la definitiva meritoria rottura operata in Italia negli anni ’90 da Gianfranco La Grassa. La conversazione ha tratto spunto da un interessante saggio di Pierluigi Fagan di seguito indicato: http://italiaeilmondo.com/2024/03/28/comunisti-e-stato-di-pierluigi-fagan/ Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Edward Luttwak: E’ tempo di inviare truppe NATO, di SIMPLICIUS THE THINKER

Edward Luttwak: E’ tempo di inviare truppe NATO

La notizia di spicco del fine settimana è quella di Edward Luttwak, uno dei cosiddetti “principali teorici militari” dell’Occidente, che chiede apertamente l’intervento della NATO in Ucraina, per evitare che l’Occidente subisca una “sconfitta catastrofica “:

Luttwak è stato consulente dei presidenti e delle forze armate degli Stati Uniti e di altri eserciti mondiali. Ha anche prestato servizio nell’IDF, il che potrebbe spiegare il suo sfacciato machismo e la mancanza di preoccupazione per la moralità o la sicurezza globale. Molti nell’ambiente lo considerano una sorta di moderno Clausewitz, anche se sembra più che altro la versione militare dell’Alan Dershowitz del diritto costituzionale, cioè una mediocrità elevata a divinità per motivi razziali a causa del suo valore per la supremazia sionista.

Ma a dispetto di ciò che posso pensare di lui, il suo apprezzabile appello per la presenza di truppe NATO in Ucraina deve essere sottoposto alla tribuna dell’analisi, se non altro per la sua influenza nei centri politici e nei meccanismi di controllo di Washington che potrebbero rendere possibile una tale mossa. In un precedente articolo dello Spectator si legge: “Quando Edward Luttwak parla, i leader mondiali lo ascoltano – e ora devono considerare di ascoltare i suoi consigli sull’Ucraina”. E quindi anche noi dobbiamo ascoltare.

Ma più importante della citazione che ha fatto parlare di sé è l’affermazione di Luttwak secondo cui i Paesi della NATO sono già nelle prime fasi di pianificazione di vari tipi di contingenti da inviare in Ucraina:

L’aritmetica di questa situazione è ineluttabile: I Paesi della Nato dovranno presto inviare soldati in Ucraina, altrimenti accetteranno una sconfitta catastrofica. Gran Bretagna e Francia, insieme ai Paesi nordici, si stanno già preparando in sordina a inviare truppe – sia piccole unità d’élite che personale logistico e di supporto – che possano rimanere lontano dal fronte. Questi ultimi potrebbero svolgere un ruolo essenziale liberando le loro controparti ucraine per riqualificarle in ruoli di combattimento. Le unità Nato potrebbero anche alleggerire gli ucraini attualmente impegnati nel recupero e nella riparazione di equipaggiamenti danneggiati e potrebbero assumere le parti tecniche dei programmi di addestramento esistenti per le nuove reclute. Questi soldati Nato potrebbero non vedere mai il combattimento – ma non devono farlo per aiutare l’Ucraina a sfruttare al meglio la sua scarsa forza lavoro.

È interessante notare che egli inquadra tutto intorno all’urgenza di un imminente attacco cinese a Taiwan, il che dimostra ulteriormente le sue scarse capacità analitiche. Questo frammento di un precedente articolo su Luttwak dice tutto quello che c’è da sapere su di lui:

In ogni caso, alla luce delle sue dichiarazioni sui membri della NATO che preparano contingenti per l’Ucraina, abbiamo quanto segue da Stephen Bryen:

Scrive che le truppe statunitensi e rumene si trovano attualmente in Moldavia per un addestramento congiunto di scambio di comandi ed estrapola la teoria secondo cui la Moldavia viene preparata come area di sosta per prendere potenzialmente Odessa in futuro. Questo avviene dopo che ieri un altro drone ha attaccato un’installazione radar in Pridnestrovie.

Per non parlare di questa voce:

L’altro giorno, nei commenti, avevo accennato alle voci secondo cui la Russia starebbe preparando una campagna per quest’estate, utilizzando per la prima volta i Su-34 per lanciare attacchi di massa con bombe alogene UMPK sulle regioni di Odessa e Ochakov dal Mar Nero. Si tratta di un’indiscrezione interessante alla luce di questi sviluppi, perché porta a chiedersi se sia la Russia ad alzare la posta in gioco dopo gli ultimi segnali di crescente insoddisfazione della NATO per Odessa o se, viceversa, la NATO si stia innervosendo proprio perché si rende conto che la Russia è pronta ad aumentare la pressione su Odessa.

Due giorni fa il ministro degli Esteri polacco Sikorski ha dichiarato che la NATO avrebbe istituito una “missione” ufficiale in Ucraina:

Il che, a suo dire, non significa necessariamente che intendano inviare truppe, ma piuttosto che possono iniziare a coordinarsi ufficialmente tra loro come alleanza per aiutare l’Ucraina – o almeno così dice.

Pochi giorni prima del pezzo di Luttwak, Unherd ha pubblicato quest’altra perla:

L’articolo nasconde subdolamente la richiesta che la NATO assuma il controllo di tutto ciò che si trova a ovest del fiume Dnieper, mascherandola con la semplice fornitura di copertura aerea. L’autore pensa che la NATO dovrebbe difendere tutte le città ucraine a ovest del Dnieper con vere e proprie truppe NATO e sistemi di difesa aerea. L’autore sostiene che questo non rappresenta una grande minaccia per la Russia, in quanto si limiterebbero ad abbattere i missili e i sistemi senza pilota russi, senza uccidere i piloti russi, che non si allontanano oltre il Dnieper.

Per molti versi, tutti questi recenti appelli sembrano essere tentativi mascherati – in una forma o nell’altra – di far galleggiare il pallone di prova della divisione dell’Ucraina. Perché lo fanno in questo modo? Perché apertamente pronunciare la parola “spartizione” sarebbe un colpo devastante e demoralizzante per l’Ucraina e verrebbe subito respinto da Zelensky e soci. Ma per far passare l’idea in modo sottile e diplomatico, l’hanno vestita come un atto eroico di lealtà e fedeltà, mentre in realtà si sentono i borbottii dei colloqui che stanno crescendo di recente sull’inevitabilità della divisione come unica soluzione realistica.

Ricordo che avevo già riferito che, ancora una volta, un nuovo vertice della NATO quest’estate mira a far penzolare l’adesione davanti a Zelensky – proprio come hanno fatto l’estate scorsa – e questa volta si vocifera che verranno fatti “accenni” sempre più pesanti alla separazione dell’Ucraina in cambio di tali promesse. Quando Macron ha ventilato per la prima volta l’ipotesi di un dispiegamento francese, abbiamo scritto che una parte del ragionamento potrebbe essere quella di mettere in sicurezza il Dnieper per imporre a un Putin recalcitrante una spartizione della DMZ in stile coreano. In un certo senso, sarebbe una perfetta “vittoria” per la NATO, che potrebbe vendere il fatto di aver fermato Putin sulle sue tracce senza sparare un colpo.

Questo filo conduttore si inserisce in ciò che ho scritto l’ultima volta a proposito della presunta “sorpresa di ottobre”, in cui l’Ucraina potrebbe dichiarare i suoi nuovi confini senza il Donbass. Sembra che molti movimenti si stiano dirigendo verso questo tentativo, sostenuto dalla NATO, di costringere la Russia a una DMZ. Quando accadrebbe? Precisamente quando le forze russe inizieranno a “sfondare” le linee ucraine in forze, presumibilmente se e quando la Russia lancerà le offensive molto più pesanti che tutti si aspettano tra qualche mese.

Ma ciò che è importante notare è che nessun Paese vuole essere lasciato solo a subire il peso della rappresaglia dell’Orso, e nemmeno due o tre insieme. Ciò significa che un’azione di questo tipo si verificherebbe probabilmente solo se si formasse una coalizione di fifoni, e le probabilità che ciò accada non sono molte.

A questo proposito, Luttwak conclude il suo stesso articolo precedente con la seguente ammissione acquosa:

Quindi, gli Stati Uniti potrebbero fornire un massimo di 40.000 truppe – ricordiamo che la maggior parte del 101° di stanza in Romania è già stata trasferita in Giordania l’anno scorso. Luttwak concorda sul fatto che per far funzionare questo piano occorrerebbe la maggior parte dei principali paesi della NATO, che hanno già segnalato il loro no. Tutti insieme, questi Paesi potrebbero fornire al massimo 150-250 mila truppe, e questo è un dato ottimistico. Nel frattempo, la Russia ha già un intero esercito fresco di 500.000 uomini, allevato da Shoigu, che è stato creato proprio per contrastare le nuove minacce della NATO, come ho riferito tempo fa. Per non parlare di altre centinaia di migliaia di truppe di riserva, comprese le forze di leva e la guardia nazionale, che la Russia potrebbe mettere in campo se la situazione dovesse peggiorare.

A questo proposito, c’è un breve argomento che volevo trattare e chiarire. Quando Macron ha dato il via alla sua performance indecorosa, il ragionamento che ha usato per giustificare la spavalderia dell’invio di truppe contro la Russia è stato che “la Francia è una potenza nucleare” e quindi non ha nulla di cui preoccuparsi da parte della Russia. A questo sono seguite molte risposte di incoraggiamento da parte dei francesi sui social media, che hanno sottolineato l’impressionante quarto posto della Francia tra le potenze nucleari mondiali, dopo Russia, Stati Uniti e Cina. La Francia ha circa 300 armi nucleari che, a loro dire, sono sufficienti a “distruggere la Russia”, ma non il mondo intero.

C’è un grande equivoco che i non addetti ai lavori hanno sulle armi nucleari. 300 missili sembrano tanti, perché la maggior parte delle persone pensa che si tratti di 300 missili singoli. In realtà, l’armamento nucleare della Francia non è così impressionante come sembra.

Negli anni ’70 e ’80, la Francia ha eliminato completamente la componente terrestre della sua triade nucleare, ossia i missili intercontinentali silo. Ora ha solo una componente balistica sottomarina e una limitata componente aerea, di cui non vale nemmeno la pena parlare, in quanto si tratta di una piccola quantità di missili da crociera nucleari ASMP-A, con gittata limitata (~300 km), lanciati da jet Dassault Rafale. È molto improbabile che un jet di questo tipo possa anche solo avvicinarsi alle difese aeree russe, e ancor meno che possa colpire città o siti importanti della Russia con un missile di così breve gittata, quindi questo rappresenta una minaccia molto limitata al di là del fronte tattico, e può essere scartato ai fini di questa discussione.

L’unica minaccia moderata della Francia è quindi rappresentata dai suoi sottomarini con missili balistici. Ne ha un totale di 4, e solo uno è solitamente attivo in qualsiasi momento. Questi sottomarini hanno ciascuno 16 missili nucleari M51, simili ai Trident statunitensi. Ognuno di questi missili può trasportare fino a 10 testate MIRV, anche se si dice che il carico normale sia di 6 testate. Questa è l’intera capacità nucleare francese: 4 sottomarini con 16 missili ciascuno = 64 missili totali. E ognuno di questi missili con circa 6 testate nucleari indipendenti, per un totale di 290 testate navali elencate (il che significa che alcune imbarcazioni hanno meno missili/testate).

Ergo: l’unica minaccia nucleare che la Francia può rappresentare per la Russia risiede interamente in 4 battelli missilistici di vecchia generazione, ognuno dei quali può lanciare 16 missili. In uno scenario di guerra nucleare, o in uno scenario in cui la Russia sospetti che la Francia stia per attaccare, dobbiamo tenere in considerazione la possibilità, non nulla, che la Russia segua i sottomarini francesi con i propri sottomarini d’attacco hunter-killer e possa eliminarli prima ancora che lancino i loro missili. Naturalmente, i sottomarini a missili balistici sono progettati secondo la filosofia della furtività e dell’elusione dei predatori, ma 1) le capacità sottomarine della Russia non possono essere sottovalutate e 2) la Russia ha circa 35 sottomarini d’attacco contro i 4 boomers della Francia: le probabilità sono fortemente a sfavore di questi 4 sottomarini.

Quello che voglio dire è che c’è la possibilità che in un simile scenario Macron non riesca a lanciare nemmeno un missile, o forse solo il 25-75% dei suoi missili, perché i suoi sottomarini verrebbero eliminati prima ancora di essere pronti a partire.

Ma supponiamo, per amor di discussione, che i sottomarini siano in grado di lanciare la maggior parte dei loro missili. Sia la Russia che gli Stati Uniti hanno i cosiddetti intercettori di media gittata. Si tratta di missili intercettori che hanno lo scopo di abbattere i missili balistici nella fase di spinta o a metà percorso, anche prima che possano scaricare le loro testate MIRV, cosa che di solito avviene nella fase finale a metà percorso o nella fase terminale.

Della famiglia Almaz Antey, la Russia ha un contingente del nuovo S-500 Prometheus, oltre alle famiglie S-300VM e -P e alle varianti dell’S-400 destinate ai missili balistici; la Russia sostiene che l’S-500, in particolare, è in grado di abbattere i missili balistici intercontinentali anche nella prima fase di spinta a metà percorso.

Ma la vera sorpresa finale è il vero sistema di difesa missilistica strategica della Russia: l’A-135 e l’A-235, chiamato anche NudolL’A-135 è stato specificamente progettato per abbattere i missili intercontinentali nucleari, piuttosto che essere un sistema di difesa universale come gli S-400/500. Ma è un sistema di ripiego finale, perché i missili A-135, che si chiamano 53T6, sono a loro volta nucleari. Ma sono bombe a neutroni invece che bombe atomiche a fissione. Si alzano con un’accelerazione impressionante da 0 a Mach ~10 (alcune fonti, come Wiki, parlano di Mach 17, ma credo che 10 sia più realistico, come da fonti interne russe) in soli 3-4 secondi, con un peso di 200 grammi. Una volta raggiunta l’altitudine di oltre 80 km in cui si stanno avvicinando i missili nucleari ICBM o le testate MIRV, la bomba al neutrone esplode, causando essenzialmente l’inertizzazione degli RV (veicoli di rientro) nucleari del nemico disinnescandoli chimicamente :

Chi fosse interessato a maggiori informazioni sul funzionamento della testata AA-84 “bomba al neutrone” può trovare maggiori informazioni qui.

Come funziona il sistema nel suo complesso? L’A-135 riceve informazioni di tracciamento dai più potenti e diffusi radar russi del sistema di allerta precoce dei missili, che sono posizionati in tutto il Paese – e nello spazio, sotto forma di satelliti – e sono collegati in rete con l’A-135, oltre che con gli intercettori S-500/400:

Tra questi, enormi schiere come queste, in grado di rilevare lanci di missili a migliaia di chilometri di distanza:

missiliA-135 hanno 5 siti di lancio principali, ciascuno con circa 12-16 silos di missili, per un totale di 68 missili:

Ci sono almeno 68 lanciatori attivi di missili intercettori nucleari a corto raggio 53T6 endoatmosferici, 12 o 16 missili ciascuno, dislocati in cinque siti di lancio. Questi vengono testati circa ogni anno presso il sito di prova di Sary Shagan. Inoltre, 16 lanciatori in pensione di missili intercettori nucleari a lungo raggio 51T6 esoatmosferici, 8 missili ciascuno, si trovano in due siti di lancio.

Tra l’altro, la Russia ne aveva molti di più, circa 21 siti totali invece di 5, ma la componente di missili a più lunga gittata 51T6 del sistema A-135 è stata smantellata negli anni 2000. In futuro, tuttavia, è probabile che la Russia torni a espandersi con i nuovi sistemi in cantiere, anche se la quantità attuale è comunque molto superiore a quella degli Stati Uniti, che hanno un totale di 44 intercettori.

Quindi, la Russia dispone di 68 intercettori strategici armati con armi nucleari (bombe al neutrone), ognuno dei quali può abbattere non solo un ICBM, ma anche decine di testate MIRV, se sono già state rilasciate. Senza entrare troppo nei dettagli, perché ci sono differenze tra MIRV (Multiple Independently Targetable Reentry Vehicles) e MRV (Multiple Reentry Vehicles), ma il succo è che i missili 53T6 del sistema A-135 hanno ovviamente un ampio raggio d’azione quando la loro testata nucleare esplode. A seconda che il missile nemico sia un MIRV o un MRV, e quando i MIRV sono stati rilasciati, è possibile che un singolo 53T6 possa colpire più veicoli di rientro indipendenti, se non tutti, dato che l’esplosione ad effetto neutronico del 53T6 “irradia” un’ampia area nella zona endoatmosferica. I MIRV non si separano così ampiamente come si pensa: ecco una foto in timelapse di un test MIRV Peacemaker degli Stati Uniti che ne illustra diversi che scendono a chilometri di distanza:

Ciò significa che un singolo 53T6 russo può potenzialmente eliminare tutti i 6-10 MIRV di un missile SLBM francese M51.

Se tutti e 4 i sottomarini balistici francesi lanciano i loro SLBM, avremo 4 x 16 = 64 missili totali. L’A-135 russo ha 68 intercettori, ognuno dei quali può potenzialmente abbattere più oggetti, se non sono lontani l’uno dall’altro. Questo è ovviamente supportato da molti altri sistemi russi, come l’S-500, che si occuperà delle questioni in sospeso. Se la Russia riesce a individuare per tempo i lanci, il sistema A-135 iper-accelerato può potenzialmente abbattere tutti gli SLBM francesi prima ancora che abbiano disperso i loro MIRV nella fase finale di discesa.

Se alcuni MIRV vengono rilasciati, è molto probabile che l’effetto neutronico li uccida se sono relativamente vicini, il che è molto probabile nella fase iniziale, prima che si disperdano verso obiettivi individuali più ampi. Alcuni potrebbero passare, ma solo se: 1) gli A-135 russi non avessero abbattuto i missili in fase intermedia prima ancora che aprissero i MIRV e 2) se i sottomarini d’attacco russi non avessero abbattuto almeno uno o due dei sottomarini francesi, limitando enormemente la saturazione dell’attacco.

In conclusione: dato che l’intero arsenale nucleare francese risiede in appena 4 miseri sottomarini balistici, e dato che questi sottomarini possono sparare 64 missili in totale, che contengono virtualmente l’intero arsenale nucleare francese utilizzabile; e considerando inoltre che il sistema russo A-135 ha da solo 68 missili, sostenuti da altre centinaia di ridondanze secondarie come l’S-500 e le varianti speciali ABM dell’S-300/400, nonché forse alcune versioni esistenti dell’A-235 Nudol, destinato a sostituire il sistema A-135; tutto questo dà in definitiva una probabilità abbastanza elevata che la Russia possa in gran parte fermare o smorzare un attacco nucleare francese di primo impatto.

Certamente, la Francia non sarebbe in grado di “distruggere tutta la Russia”, nemmeno lontanamente. Anche se gli A-135 neutralizzassero il 75% dei MIRV, con alcuni che riuscirebbero a passare – e gli S-500 a ripulire alcuni dei rimanenti – ma anche se alcuni MIRV francesi TN-75 riuscissero a passare, ognuno di essi ha una potenza di 100 kilotoni; e anche se ciò provocherebbe un discreto numero di danni, non è abbastanza per distruggere intere grandi città, per non parlare dell’intero paese. La Francia, ovviamente, cesserebbe di esistere, mentre la Russia subirebbe relativamente danni minori. Naturalmente, nessun danno nucleare è “minore” nel senso classico del termine, ma rispetto al fatto che l’avversario cessi letteralmente di esistere come civiltà, sarebbe relativamente insignificante.

Non dimentichiamo che alcuni test di missili SLBM M51 della Francia sono falliti in passato, e che la NATO in generale sta arretrando notevolmente in questo senso: ricordiamo il recente fallimento dei missili delle fregate tedesche del mese scorso. Quindi, anche se i sottomarini d’attacco russi non trovassero per primi i boomers francesi, non c’è alcuna garanzia che gli SLBM riescano a uscire dai loro tubi decrepiti.

Tutto questo per dire che le spacconate di Macron non sono supportate da molta sostanza. La Francia è esattamente la dimensione della potenza nucleare che la Russia potrebbe affrontare abbastanza tranquillamente in uno scenario di scambio nucleare. La capacità di saturazione di massa degli Stati Uniti sarebbe per lo più inarrestabile, ma i 4 miseri sottomarini della Francia, il cui tasso di prontezza è altamente discutibile, con uno solo di essi attivo in qualsiasi momento? Non è una minaccia sufficiente a giustificare la scommessa di Macron.

In ogni caso, ricordiamo che nessuno di questi Paesi ha la capacità di sostentamento degli armamenti per un conflitto ad alta intensità e di lunga durata:

Per andare avanti, pubblicherò un paio di nuovi articoli senza alcun commento, solo per coloro che sono interessati, dato che per lo più ripropongono le stesse preoccupazioni attuali, ma i titoli almeno daranno un’idea continua dell’umore attuale:

C’è un’osservazione interessante nel secondo articolo di cui sopra, da cui ho tratto il grafico dei proiettili d’artiglieria. L’articolo sottolinea come l’Occidente non sia in grado di accendere l’abilità manifatturiera necessaria per competere con la Russia.

Una cosa che mi ha fatto capire è che la maggior parte delle persone sembra considerare il sostentamento dell’Ucraina con i proiettili da 155 mm come una sorta di “dato di fatto”, anche se i tanto sbandierati finanziamenti statunitensi non si concretizzano. L’articolo cita come gli Stati Uniti producano attualmente 28.000 proiettili al mese anche a pieno regime, con un funzionamento 24 ore su 24 delle loro fabbriche. Tuttavia, ci sono piani per la presunta apertura di un’altra fabbrica – uno stabilimento della General Dynamics Ordnance a Garland, in Texas – che, a quanto mi risulta, è “bloccata” nello sviluppo con una “revisione ambientale” in sospeso, che probabilmente è un modo legale per qualcuno dell’amministrazione Biden di bloccarne l’apertura.

Ma anche se dovesse aprire e gli Stati Uniti ottenessero il previsto aumento a 80 o addirittura 100 mila gusci al mese nel corso del prossimo anno. Il prezzo attuale dei gusci sembra essere di circa 3000 dollari:

La cifra di 8489 dollari credo sia quanto Rheinmetall paga in Germania.

Quindi, anche l’attuale produzione di 28.000 proiettili al mese x 3000 dollari costa 84 milioni di dollari al mese, o 1 miliardo di dollari all’anno. 100.000 proiettili al mese a questo ritmo – e il prezzo potrebbe anche aumentare in futuro – costerebbero ben 300.000.000 di dollari al mese, e quasi 4 miliardi di dollari all’anno. Senza un consistente pacchetto di aiuti e continuativo, è semplicemente impossibile che gli Stati Uniti continuino a versare furtivamente 4 miliardi di dollari solo per i proiettili da 155 mm dell’Ucraina, senza contare gli innumerevoli altri armamenti di cui hanno bisogno quotidianamente. Questo è un aspetto che ho la sensazione che nessuno abbia preso in considerazione: semplicemente “si aspettano” che, qualunque cosa accada, l’Ucraina continuerà a ricevere i suoi proiettili di artiglieria di base, come minimo; ma chi ha detto che questo è scontato? Semplicemente, non esiste un meccanismo per cui 4 miliardi di dollari all’anno possano essere elargiti gratuitamente senza uno speciale accordo con il Congresso: dopotutto, l’autorità presidenziale di prelievo non esiste più.

Questo potrebbe spiegare alcune delle ragioni alla base del recente panico e dei discorsi sul dispiegamento della NATO.

La situazione dei finanziamenti continua comunque a sembrare disperata:

Come ultimo argomento:

Un altro punto di urgenza: ricordate tutti i discorsi sul riscaldamento di Kharkov. Ora anche l’eminenza grigia di Zelensky, Yermak, ammette la possibilità che le forze russe si muovano presto su Kharkov:

La cosa interessante è che hanno rapidamente ritirato la dichiarazione con una “correzione”, sostenendo che il portavoce di Yermak ha detto che le sue parole sono state male interpretate e che non intendeva dire che la Russia avrebbe lanciato un assalto di terra a Kharkov, ma piuttosto attacchi aerei. Tuttavia, sono scettico perché nelle dichiarazioni originali Yermak ha anche parlato di una nuova “mobilitazione” russa, che sarebbe in linea con l’ipotesi di un assalto di terra. Sospetto che si sia reso conto dopo il fatto che le sue parole avrebbero creato troppo “panico” e abbia deciso di ridimensionarle, anche se il ridimensionamento non ha senso se si considera che la Russia ha già scatenato attacchi di massa su Kharkov, compresi attacchi con missili da crociera sulle sue infrastrutture elettriche.

Ciò è rafforzato da un flusso continuo di video provenienti da Kharkov che mostrano i cittadini in fuga:

Ultimi oggetti vari:

Controllate le date di questo toccante prima e dopo:

Ecco il video del vicesegretario di Stato Kurt Campbell che rilascia la dichiarazione che ha dato origine al titolo qui sopra:

Nel corso degli ultimi due mesi abbiamo valutato che la Russia si è quasi completamente ricostituita militarmente”, ha dichiarato il vicesegretario di Stato Kurt Campbell durante un evento organizzato dal Center for a New American Security.

In realtà, si limitano a inventare qualsiasi valutazione che si adatti al modello di narrazione o all’agenda che è conveniente portare avanti. Quando l’agenda richiedeva la valorizzazione dell’Ucraina, hanno definito la Russia debole e “distrutta”. Ma ora che vedono che l’unico modo per fermare la Russia è quello di coinvolgere l’Europa unificata, caratterizzano la Russia non solo come totalmente “ricostruita”, ma addirittura – come si legge nella seconda parte della sua dichiarazione – come dotata di “capacità ritrovate ” che ora – sorpresa, sorpresa – sembrano rappresentare una minaccia per l’Europa anche!

Altri Bradley e altre attrezzature della NATO arrivano a Mosca: presto la Russia potrebbe avere più Bradley, Abrams e Leopard della stessa Ucraina:

Infine, in passato ho scritto molto per sfatare l’idea errata comunemente diffusa in Occidente che la Russia abbia un sistema di comando “centralizzato dall’alto verso il basso di tipo sovietico”, che viene caricaturizzato come un’ape operaia di soldati droni che si limitano a seguire senza pensieri gli ordini del quartier generale centrale. Ho ripetuto più volte che la Russia non solo ha un sistema di sottufficiali, ma che ai soldati stessi viene insegnata l’iniziativa e la capacità di leadership, proprio come l’Occidente sostiene di insegnare alle proprie truppe “superiori”.

Ecco un esempio recente: un soldato russo di nome Rodimir Maximov, presentato come “soldato semplice”, è stato appena insignito degli onori di Stato durante un assalto nella zona di Novomikhailovka. Il suo comandante è stato ferito proprio all’inizio dell’assalto e Maximov ha preso immediatamente il comando, impartendo ordini alla squadra in totale autonomia. Ancor più significativo è il fatto che, una volta contattato via radio il quartier generale, questi gli disse sostanzialmente di non mollare la presa e gli lasciò la libertà di agire come meglio credeva, anche quando il nemico lanciò diversi contrattacchi: non c’erano ordini di marcia unidirezionali “alla sovietica”, come vorrebbero far credere gli stupidi “esperti” militari occidentali. Il comando gli diede piena autonomia per due giorni interi, secondo la storia, mentre coordinavano i rinforzi per venire a dare il cambio al gruppo d’assalto che aveva preso il forte AFU.

Dopo l’intervista che segue, si può vedere il vice comandante del gruppo e poi il filmato dell’eroismo di Maximov durante l’inizio dell’assalto. Durante il filmato, si può chiaramente vedere il semplice “soldato semplice” che mostra chiari segni di capacità di comando ben studiate, senza alcun segno di comportamento “da drone”:

L’impresa del soldato Maximov:

Un soldato del corpo d’armata del gruppo di forze Vostok, il soldato Rodimir Maksimov, ha distrutto 27 militanti ucraini durante la cattura e il mantenimento di una roccaforte delle Forze armate ucraine nell’area di Novomikhailovka. Agire come parte di un’unità d’assalto durante la cattura di un caposaldo delle Forze Armate ucraine nell’area dell’insediamento. Novomikhailovka in direzione Maryinsky, il soldato Rodimir Maksimov è riuscito ad aggirare il nemico e a infliggergli danni da fuoco, uccidendo personalmente tre militari delle Forze Armate ucraine, il che ha permesso al gruppo d’assalto di entrare nelle posizioni nemiche.

Nonostante le ferite ricevute durante la battaglia, il militare ha continuato a svolgere la missione di combattimento. Quando il nemico, a bordo di un veicolo blindato con forze fino alla squadra, ha tentato un contrattacco sulla linea occupata dal nostro gruppo d’assalto, egli, permettendo al nemico di raggiungere la distanza di distruzione garantita dal fuoco, ha distrutto il gruppo d’attacco delle Forze Armate dell’Ucraina nella sua interezza con il fuoco di una mitragliatrice Kalashnikov.

Nel corso di due giorni, Rodimir Maksimov, distruggendo la fanteria idonea delle Forze Armate ucraine, con il fuoco pesante del PKM ha sventato altri tre tentativi del nemico con forze superiori che utilizzavano carri armati e veicoli corazzati da combattimento per riconquistare le posizioni tenute dal nostro gruppo d’assalto e ha impedito la perdita del punto di forza difeso.

In uno degli episodi della battaglia, Rodimir, superando il dolore per le ferite riportate, ha distrutto personalmente un gruppo di militari delle Forze armate ucraine smontati da un veicolo blindato MaxPro di fabbricazione americana con il fuoco delle mitragliatrici. L’equipaggio del MaxPro ha iniziato a manovrare per ritirarsi ed è caduto nella zona di uccisione del nostro equipaggio ATGM, a seguito del quale è stato distrutto.

Fino all’arrivo dei rinforzi e alla successiva evacuazione, il combattente ha continuato a difendere e tenere saldamente la roccaforte occupata, distruggendo personalmente fino a 27 truppe nemiche. Per l’eroismo e il coraggio dimostrati durante le missioni di combattimento, il soldato Rodimir Maksimov è stato insignito dal comando di un alto riconoscimento statale.

Confrontatela con quella qui sotto e decidete voi quale parte ha i soldati migliori:


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La rivolta del partito esterno, di AURELIEN

La rivolta del partito esterno.

Nel frattempo, Everyman può andare a farsi fottere.

Sono lieto di annunciare che sono stato contattato per la traduzione di questi saggi in portoghese e il primo è stato pubblicato .

Vi ricordo che questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro apprezzando e commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️

E grazie ancora a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e ha creato un sito web dedicato a queste traduzioni.

Bene, allora.

ho letto il nuovo libro di Emmanuel Todd La Défaite de l’occident Nelle ultime settimane(“Lasconfitta dell’Occidente “). Ci ho messo un po’ di tempo perché, pur non essendo un libro particolarmente lungo, è piuttosto denso e ricco di dati, grafici e tabelle.

Se leggete il francese e riuscite a procurarvene una copia, dovreste farlo: Todd è una di quelle figure polivalenti che la vita intellettuale francese offre di tanto in tanto (o lo faceva), e lavora all’intersezione tra antropologia, demografia, sociologia ed economia, con una buona dose di politica. È noto soprattutto per aver previsto la caduta dell’Unione Sovietica quindici anni prima che avvenisse, basandosi interamente sui dati demografici ufficiali. Ora, quasi cinquant’anni dopo, guarda all’Occidente, e in particolare agli Stati Uniti, e non gli piace quello che vede. Inutile dire che il libro è stato accolto con urla di rabbia in Francia, anche perché è scritto esplicitamente nel contesto della guerra d’Ucraina e fornisce spiegazioni basate sui dati per i fallimenti dell’Occidente, così come per la notevole forza di resistenza dei russi e per la disunione dell’Occidente stesso.

Gran parte del libro è occupato da indagini sociologiche e antropologiche sulle strutture familiari, sull’urbanizzazione e sui tipi di osservanza religiosa. (Todd vede l’inevitabile distruzione degli Stati Uniti derivante dal fatto che le ultime vestigia della serietà protestante in materia di lavoro e istruzione sono ormai scomparse, lasciando il Paese nelle mani di una ricca oligarchia nichilista priva di qualsiasi ideologia collettiva). Queste sono cose che esulano dal mio campo di competenza, ma voglio solo riprendere un paio di punti che egli solleva sull’istruzione, nel contesto di una discussione più ampia e generale. Sono convinto che gran parte dei problemi dell’Occidente al momento derivino dal fatto che abbiamo dimenticato il significato e lo scopo dell’istruzione, e che non la valutiamo più per se stessa, ma solo come qualcosa da acquistare per ottenere in seguito un flusso di reddito. Questo comporta una serie di gravi conseguenze sociali e politiche. Di tanto in tanto farò riferimento al libro di Todd e anche a uno o due altri autori, che mi sembrano tutti orientati in una direzione simile. Come persona che ha trascorso praticamente tutta la sua vita associata al sistema educativo, in un modo o nell’altro, in diversi Paesi, come studente, ricercatore, genitore, pensatore, conferenziere e insegnante di vari argomenti in diverse parti del mondo, e con contatti nei sistemi scolastici e universitari di diversi Paesi, mi si può forse scusare se offro alcune riflessioni.

Oggi non ci poniamo mai la domanda “perché educare le persone?”. La necessità è tacitamente data per scontata e, se mai fosse necessaria una giustificazione, sarebbe che una società complessa come la nostra crollerebbe se le persone non fossero istruite per aiutarla a funzionare. Questo è vero fino in fondo, ma non spiega perché l’istruzione fosse necessaria in primo luogo. Definirla un “diritto umano” non ha senso, poiché qualsiasi cosa può essere definita un diritto umano se un numero sufficiente di attori potenti è in grado di imporne l’accettazione come tale. Si può anche sostenere che l’istruzione sia necessaria per la crescita economica, ma, come sottolineaHa-Joon Chang , questa relazione non è semplice: più istruzione non significa necessariamente maggiore crescita economica.

In alcune situazioni, l’istruzione è in realtà un rischio. Nelle società statiche, in cui le cose sono viste come ordinate dagli dei o dalla natura e idealmente non soggette a cambiamenti, l’istruzione è nel migliore dei casi inutile al di fuori dell’area ristretta del funzionamento dello Stato nella sua forma attuale, e nel peggiore dei casi pericolosa, poiché potrebbe dare alla gente idee insicure e pericolose. Le società aristocratiche e teocratiche hanno spesso cercato di ostacolare o controllare l’istruzione, o anche la stampa e la distribuzione dei libri, e questo ha creato problemi quando le stesse società hanno voluto abbracciare la tecnologia e modernizzarsi (così alcuni dei problemi con i laureati in Iran oggi).

Ciò suggerisce che dovremmo cercare la spiegazione fondamentale del bisogno di istruzione nel desiderio di cambiamento politico, e forse la perdita di entusiasmo per l’istruzione tra le élite politiche più recenti come segno che il cambiamento politico e lo sviluppo non sono più importanti per loro. Più in generale, dovremmo anche aspettarci che il desiderio di controllo dell’istruzione rifletta il desiderio di controllare, accelerare o rallentare il ritmo del cambiamento politico: qualcosa che le élite di oggi hanno dimenticato.

Dipende da quanto indietro si vuole andare, credo, ma probabilmente dovremmo almeno riconoscere che nel mondo antico “educazione” significava essenzialmente insegnare ai giovani ciò che dovevano sapere per prendere il loro posto nella società. Nelle comunità agricole, c’era un enorme carico di conoscenze da trasmettere solo per quanto riguardava le colture e l’allevamento, per non parlare dell’assistenza sanitaria, della gravidanza, dell’educazione dei figli, della caccia, delle abilità militari e forse di molto altro. Come sottolinea Joseph Henrich , la pesca delle foche nell’Artico richiedeva un’intera serie di tecnologie che dovevano essere accuratamente elaborate e praticate, per poi essere insegnate alle generazioni successive se non si voleva che la tribù morisse di fame. In Grecia, l’educazione era originariamente in parte fisica e in parte musicale e poetica. In seguito, ad Atene, si estese allo studio della matematica, della retorica e di materie simili, che influenzarono i corsi universitari fino ai tempi di Shakespeare. Ma queste materie non erano scelte a caso, bensì per soddisfare un bisogno ben preciso: menti sane in corpi sani, appunto.

In Occidente, probabilmente il primo “bisogno” di istruzione dopo l’epoca classica fu nella Chiesa, dove i testi erano richiesti e dovevano essere copiati a mano, dove si dovevano tenere i conti e scrivere opere teologiche e documenti amministrativi. Tuttavia, la letteratura medievale (in gran parte scritta da laici) e i documenti storici dimostrano che l’alfabetizzazione era un’esigenza diffusa anche tra gli uomini e le donne delle classi medie e alte: forse il dieci per cento della società inglese era in grado di leggere entro il 1400, anche se questo non implicava necessariamente la conoscenza del latino, ad esempio. (In effetti, il controllo dell’insegnamento del latino, nella misura in cui la Chiesa poteva gestirlo, era anche controllo del potere politico). Ma naturalmente anche i membri più umili della società, soprattutto i mercanti, dovevano saper leggere e scrivere, per firmare contratti e tenere la contabilità. Nella maggior parte dei Paesi, sembra che ci fossero scuole laiche almeno nelle principali città, e naturalmente l’istruzione avveniva anche in famiglia.

Il legame tra l’ascesa del protestantesimo, la nascita della stampa e la diffusione dell’alfabetizzazione è un argomento troppo vasto per essere affrontato in questa sede. È sufficiente dire che la diffusione del protestantesimo attraverso la stampa di Bibbie in volgare, opuscoli religiosi e commenti e sermoni di teologi come Lutero, Zwingli e Calvino, creò le condizioni per un ampio cambiamento sociale e politico e fornì ai governi una potente arma per promuoverlo e perpetuarlo. Una popolazione istruita, o almeno alfabetizzata, era essenziale per il mantenimento al potere dei governanti protestanti e, a sua volta, la domanda di letteratura religiosa in lingua volgare nei Paesi protestanti era enorme. È passato un tempo spaventosamente lungo da quando ho dovuto leggere alcune controversie religiose del XVI secolo, ma ricordo di essere rimasto impressionato dall’enorme quantità di letteratura religiosa in volgare dell’epoca, da quanto fosse popolare e ampiamente diffusa e da quanto fosse frequentemente ristampata.

A sua volta, naturalmente, una classe media alfabetizzata acquisì potere politico, iniziò a cercare lavoro presso l’aristocrazia e la Corte e persino, in piccola parte, iniziò a costituire le proprie basi di potere. Todd suggerisce – e non è il primo – che il maggior grado di urbanizzazione e quindi di complessità nei Paesi protestanti, così come l’incoraggiamento dell’alfabetizzazione per consentire la lettura della Bibbia, ebbero un impatto misurabile sulla crescita economica e sui rapporti di potere interni. Certamente, l’aspirazione ad alfabetizzare la classe operaia per consentirle di leggere la Bibbia e condurre così una vita migliore è durata a lungo nei Paesi protestanti, lasciando ancora deboli tracce nelle scuole domenicali metodiste della mia prima giovinezza.

Naturalmente, non furono solo i Paesi protestanti a registrare una crescita della complessità delle loro società e delle loro economie, ma, senza essere troppo schematici, è giusto dire che nei Paesi cattolici la Chiesa mantenne a lungo un effettivo monopolio dell’istruzione e che, anche con l’affermarsi dell’istruzione di massa nel XIX secolo, continuò a cercare di esercitare quanto più potere possibile su ciò che era permesso insegnare. Avrò altro da dire a riguardo tra poco, ma per il momento limitiamoci a notare quanto sia irrimediabilmente ingenuo, in questo contesto, il concetto moderno di educazione che si trova nella Casta Professionale e Manageriale (PMC) e che ignora completamente le questioni del potere e dell’ideologia (se non come abili esercizi intellettuali) a favore di una concezione depoliticizzata dell’educazione che consiste nell’ottenere certificati come investimento per aumentare i guadagni.

La “necessità” dell’istruzione è stata dimostrata soprattutto con la Rivoluzione industriale e le sue esigenze di una forza lavoro qualificata, nonché con l’ulteriore complessità che lo sviluppo economico ha portato con sé. Tuttavia, la spiegazione puramente utilitaristica della crescita dell’istruzione è di per sé inadeguata: per molti Paesi, essa è stata uno strumento di politica statale, per creare una società coerente e una “scuola per la nazione”. L’istruzione primaria (cioè fino a 10/11 anni) divenne obbligatoria in Prussia all’inizio del XVIII secolo e, forse sorprendentemente, in Austria cinquant’anni dopo. un L‘idea si diffuse rapidamente in tutta Europa, anche se gli inglesi, forse senza sorpresa, furono tra gli ultimi ad adottarla, nel 1880. In quel caso, l’iniziativa era strettamente legata all’allargamento del diritto di voto: “Dobbiamo educare i nostri futuri padroni”, come disse il primo ministro britannico Disraeli.

Ciò che dovrebbe essere ormai evidente è la serietà fondamentale con cui l’istruzione veniva presa all’epoca e quanto fosse strettamente legata alle lotte politiche ed economiche del tempo. In nessun luogo questo è più vero che in Francia, che è importante non solo in sé, ma perché il suo esempio ha ispirato molti altri Paesi europei all’epoca della Rivoluzione e in seguito, e perché le aspre battaglie tra i tentativi laici e religiosi di controllare l’istruzione continuano ancora oggi, in una veste un po’ diversa.

Prima della Rivoluzione l’istruzione era interamente nelle mani della Chiesa ed era teoricamente obbligatoria fin dai tempi di Luigi XIV. I bambini comuni (prevalentemente maschi) venivano educati attraverso una rete di scuole gestite dai vescovi locali, ma poiché le famiglie dovevano pagare le tasse, la frequenza era nel migliore dei casi irregolare. Nelle grandi città, ordini religiosi come i gesuiti crearono collegi gratuiti, destinati prevalentemente alle classi medie. Alcuni di questi, come il Lycée Louis Le Grand di Parigi, esistono ancora oggi e attirano una clientela ricca e spesso conservatrice.

Fin dall’inizio, l’educazione popolare fu una delle priorità della Rivoluzione e della Repubblica. I cittadini, a differenza dei sudditi, avevano bisogno di essere istruiti per svolgere il loro ruolo. Diverse leggi sottrassero il controllo dell’istruzione alla Chiesa per darlo allo Stato, ma durante e dopo l’epoca di Napoleone la Chiesa riuscì a recuperare molto del suo potere. È importante notare che, già all’inizio della Rivoluzione, le università, con i loro programmi di studio ancora basati sulle idee classiche, furono spazzate via e sostituite da istituti di formazione professionale, per formare gli ingegneri, i medici, gli avvocati e altri soggetti di cui la nuova Repubblica avrebbe avuto bisogno: un’iniziativa ampiamente copiata in tutta Europa.

Nonostante il ritorno della monarchia, e successivamente dell’Impero di Luigi Napoleone, l’impegno per l’istruzione universale come priorità nazionale rimase, anche se il lavoro effettivo di educazione dei bambini era svolto dalla Chiesa. Al momento dell’insediamento della Terza Repubblica, nel 1871, esisteva già una forte corrente politica che voleva un’istruzione gratuita e obbligatoria, sotto il controllo dello Stato e non della Chiesa, e basata sui principi repubblicani. Va da sé che questo programma era profondamente politico: la Chiesa era un feroce oppositore di ogni aspetto della società moderna e della democrazia, e un sostenitore acritico della monarchia; più assoluta era, meglio era. Finché i bambini venivano educati secondo queste idee, costruire una Francia moderna e repubblicana era impossibile.

L’istruzione moderna e laica fu lentamente introdotta in Francia verso la fine del XIX secolo, gratuita fino all’età di tredici anni e contro la violenta opposizione della Chiesa e dei tradizionalisti in generale. Le sue truppe d’assalto (la “cavalleria della Repubblica”) erano una nuova generazione di insegnanti professionalmente preparati, spesso provenienti da ambienti della classe operaia, che cercavano di insegnare l’educazione civica e i principi della Repubblica piuttosto che i dogmi religiosi, trovandosi così in perenne conflitto con i sacerdoti locali che dicevano ai loro parrocchiani che l’educazione laica era un peccato contro Dio. Quando nel 1905 avvenne l’irrevocabile separazione tra Stato e Chiesa, Clemenceau, allora primo ministro, inviò la polizia e l’esercito nelle scuole per sfrattare i preti e le suore che si rifiutavano di andarsene. (Non sorprende che siano tornati sotto il regime di Vichy tra il 1940 e il 1944).

La battaglia per liberare finalmente l’istruzione dall’influenza religiosa si è protratta fino agli anni ’60, quando la Chiesa si opponeva ancora all’istruzione dei ragazzi e delle ragazze nelle stesse scuole (cosa che, ironia della sorte, viene ora messa in discussione da un’altra religione). E nelle campagne, l’influenza della Chiesa locale sull’istruzione si è protratta fino agli anni ’70, soprattutto a scapito delle ragazze, il che spiega perché la sinistra francese (e in particolare il partito ibrido islamico-kokista di M. Mélenchon) ha perso molto sostegno tra le donne che sono cresciute in quell’epoca e non desiderano che ritorni qualcosa di simile.

Spero che questo piccolo tour senza fiato illustri quanto l’educazione fosse un argomento serio, controverso e politicamente importante. Prima di passare al declassamento dell’importanza dell’istruzione negli ultimi decenni a favore di “istruzione!!!” o “non abbiamo bisogno di edukayshun”, riflettiamo per un istante su ciò che questi primi pionieri hanno effettivamente realizzato, con lavagna, gesso e qualche libro, perché, molto più delle Università, per certi versi, è un indice di ciò che si può fare e di ciò che è stato distrutto.

Il partecipante medio alla Prima guerra mondiale, un soldato al fronte o una donna in una fabbrica di munizioni, i cui nonni erano molto probabilmente analfabeti, lasciava la scuola a tredici anni. Tuttavia, gli studi condotti in vari Paesi mostrano un livello di alfabetizzazione molto elevato nelle lettere scambiate con le famiglie, oltre a indicare il tipo di libri che venivano letti all’epoca. (Il soldato medio al fronte del 1914 era stato educato a scrivere una prosa chiara, grammaticale e ben costruita in una mano leggibile, e l’operaio medio era abbastanza abile da fare calcoli aritmetici mentali e calibrare macchinari in tempi molto precedenti ai primi dispositivi di calcolo analogici. I commessi potevano e sapevano eseguire complessi calcoli aritmetici a mente.

In alcuni casi, questo può essere quantificato con precisione. In Francia, grazie al controllo nazionale dei programmi scolastici e dei materiali per i test, gli standard scolastici possono essere confrontati aritmeticamente tra le generazioni. In generale, i tredicenni del 1914, per non parlare del 1934, avevano un’età di lettura almeno pari, e probabilmente superiore, ai sedicenni di oggi. (Le ristampe dei libri di testo di matematica destinati ai ragazzi di 12-13 anni negli anni ’30 sono ampiamente disponibili e la maggior parte degli adulti ammetterà di avere difficoltà ad utilizzarli senza calcolatrice. Ma in molti casi, in realtà, l’Occidente ha avuto vita facile. Le lettere inviate a casa dai soldati giapponesi in Manciuria negli anni ’30 dimostrano che i bambini cresciuti in campagna avevano imparato e sapevano usare una lingua scritta in cui sono necessari circa 3.500 caratteri per leggere un giornale.

Il che ci porta alla cultura popolare. Una delle conclusioni di Paul Fussell nel suo capolavoro The Great War and Modern Memory è che abbiamo dimenticato quanto fossero alfabetizzate le classi lavoratrici che partirono per la guerra nel 1914. I libri di poesia erano ovunque, le lettere a casa contenevano citazioni bibliche e citazioni di grandi opere letterarie a memoria. L’istruzione era considerata non come una forma di prigionia o di repressione, ma proprio come un mezzo di miglioramento e di fuga. In Gran Bretagna, la Workers’ Educational Association era stata istituita nel 1903 per fornire istruzione gratuita alla gente comune, spesso sotto forma di conferenze tenute da esperti, ed era molto popolare. In Europa, i partiti di sinistra avevano le loro sezioni educative.

E la gente voleva essere istruita. In Gran Bretagna, la Everyman’s Library fu lanciata nel 1906 da JM Dent, per fornire anche ai più poveri l’accesso alla letteratura classica del mondo, in formato tascabile, al prezzo di uno scellino. I libri (tra cui un’enciclopedia in più volumi) ebbero un successo strepitoso e sono ancora in stampa. Il titolo della serie è tratto da un discorso di Conoscenza nell’omonima opera teatrale medievale, che dice:

Verrò con te,

e sia la tua guida,

Nel tuo bisogno

per andare al tuo fianco.

(Non riesco a pensare a una sintesi migliore di ciò che è l’educazione. Quanti di noi, cresciuti in un deserto culturale dopo la Seconda guerra mondiale, devono la propria sanità mentale e persino la propria sopravvivenza alla biblioteca pubblica locale e ai pochi libri che i nostri genitori potevano permettersi di comprare?) Le biblioteche pubbliche e private fiorirono e Allen Lane lanciò la Penguin Books nel 1935, tra lo scetticismo generale per il fatto che la gente comune avrebbe pagato 6d per letteratura e saggistica di qualità. Sappiamo cosa è successo dopo. Nel 1946 un insegnante di lettere classiche, EV Rieu, portò a Lane una traduzione inglese dell Odissea di Omero Dubitando che la gente comune volesse davvero leggere Omero, Lane la pubblicò comunque come primo Classico Penguin, vendendo tre milioni di copie in pochi anni. Ad esso seguirono centinaia di altre ristampe e traduzioni che in precedenza erano state pensate, e pagate, solo per le élite colte. Non diteciche non abbiamo bisogno di istruzione, fu il verdetto popolare.

Tutto questo, va ribadito, era fatto da e per la gente comune. La maggior parte dei lettori di Rieu aveva lasciato la scuola a quindici anni o prima. (Del resto, i classici in lingua inglese tra quelli che leggevano erano stati acquistati al loro primo apparire, da milioni di persone comuni come loro, spesso in forma di rate mensili). Ma, come i loro coetanei altrove, avevano assorbito un livello di istruzione e cultura generale superiore a quello odierno. Ma questo non perché fossero in qualche modo più bravi o più intelligenti di noi, sottoposti come erano alle pressioni della povertà e della guerra, ma perché i governi e la società si impegnavano con risorse per l’istruzione della gente comune, cosa che oggi non avviene più, e la gente comune aveva una sete di istruzione che da allora è stata estirpata. Ancora oggi, quando gli esperti si arrovellano sulle statistiche, cercando di capire quali differenze tecniche nei metodi educativi spieghino i diversi risultati nei vari Paesi, dimenticano che ciò che fa davvero la differenza non sono le tecniche intelligenti, o i computer, o ancora più denaro, ma l’impegno fondamentale. È davvero sconfortante osservare gli scolari africani che la mattina camminano per chilometri fino a scuola, spesso a piedi nudi, solo per imparare. Ed è difficile, o impossibile, tornare indietro nel tempo, quando si commettono errori. Uno degli argomenti di Todd è che l’élite WASP degli Stati Uniti, con il suo retaggio puritano, che premiava l’istruzione a tutti i livelli, è ormai scomparsa. L’élite non culturale guidata dal denaro e dal successo che l’ha sostituita è troppo eterogenea per costituire una classe dirigente in grado di fornire un esempio, e non sembra comunque interessata all’istruzione della gente comune. Gli “asiatici” in senso lato se la cavano molto bene negli Stati Uniti, secondo le statistiche, ma questo non sembra avere alcun impatto emulativo al di fuori della loro comunità. Nel frattempo, naturalmente, e a differenza degli Stati Uniti, culture come la Russia, la Cina e l’India mantengono un ampio sostegno all’istruzione a tutti i livelli.

Ora, notate che non ho quasi mai usato la parola “università”. Le strutture economiche e di governo moderne e i sistemi politici democratici di Paesi come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e persino il Giappone sono stati costruiti sull’istruzione di massa della gente comune. In effetti, la pressione per la democrazia e la sua realizzazione e sfruttamento attraverso i partiti politici di massa erano inseparabili da essa. L’istruzione oltre i sedici anni era per pochi, quella oltre i diciotto era per una minima parte, di solito i ricchi.

Questo non vuol dire, ovviamente, che le università non fossero necessarie. Ma prima ho accennato alla loro trasformazione, durante la Rivoluzione francese, in istituti di formazione d’élite a carattere prevalentemente tecnico, molti dei quali esistono ancora oggi. Le università in senso moderno sono nate essenzialmente come un movimento parallelo, come istituzioni in cui i giovani della classe media che intendevano intraprendere una carriera nella legge, nella Chiesa, nella medicina e nelle nuove ed entusiasmanti materie dell’ingegneria e della scienza venivano a studiare, accanto a materie tradizionali come i classici, la matematica e la filosofia. L’istruzione di massa produsse una domanda propria di insegnanti di materie come la storia, la geografia, la letteratura e le lingue, e naturalmente fu necessario creare un gruppo di esperti per formare gli educatori. Infine, la crescita delle dimensioni e dell’importanza del governo ha creato la necessità di un gruppo di giovani intellettualmente preparati e maturi per il suo personale, a volte con normali lauree, altre con una formazione specialistica di alto livello. Si noti che, ancora una volta, tutti questi sviluppi sono stati guidati dalla necessità e hanno comportato investimenti e incoraggiamenti significativi da parte del governo.

Una generazione dopo la Seconda Guerra Mondiale, nella maggior parte dei Paesi si era creata una società effettivamente tripartita. C’era una base operaia e industriale, con un livello di istruzione ragionevole, spesso tecnicamente preparata e che manteneva in gran parte le proprie tradizioni e la propria cultura. Di tanto in tanto, qualcuno scappava da questa base e “faceva bene” da solo. C’era uno strato intermedio di persone provenienti da ambienti modesti, la maggior parte delle quali lasciava la scuola a diciotto anni e si dedicava a lavori tecnici o amministrativi di medio livello: anche in questo caso, alcuni di loro si imbattevano nel livello successivo. Questo livello frequentava l’università e si avviava alle carriere professionali e alle posizioni amministrative più elevate. Si trattava, ovviamente, di una società gerarchica e di classe, ma nella maggior parte dei Paesi occidentali era sufficientemente aperta e flessibile da permettere a talenti di vario tipo di trovare la propria strada, e la tendenza generale degli anni Sessanta e Settanta ad ampliare i posti all’università, che rifletteva l’aumento della necessità di laureati, ha permesso a persone come me di avere un’istruzione universitaria. La Open University, fondata in Gran Bretagna nel 1969, ha stupito i suoi critici scoprendo che la gente comune era disposta ad alzarsi alle cinque del mattino per guardare le lezioni in TV prima di andare al lavoro. Con tutti i loro difetti e le loro ingiustizie, questi sistemi (in cui l’università era gratuita e molti Paesi ti pagavano per andarci) sembrano appartenere ormai a un passato mitico.

Diverse cose si sono combinate per distruggere questi sistemi relativamente aperti. La disoccupazione, una parola che i bambini nati dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno sentito per la prima volta nelle lezioni di storia, è tornata con prepotenza dopo gli effetti combinati dell’inflazione e della deflazione della crisi del prezzo del petrolio del 1973-4. Proprio mentre la crisi veniva affrontata, nei Paesi occidentali emersero alcuni governi malvagi, decisi a rovesciare il consenso del dopoguerra e a spezzare il potere dei sindacati. (La disoccupazione raddoppiò, ad esempio, nel primo anno del regime della Thatcher, nel 1979-80). Per la prima volta, la disoccupazione cominciò a colpire le persone ben qualificate, compresi i neolaureati. E per la prima volta i governi si resero conto che un modo per ridurre i dati sulla disoccupazione era quello di mantenere le persone nell’istruzione, indipendentemente da quanto inutili o banali fossero i loro studi. A partire dagli anni ’80, i governi hanno iniziato a stipare più studenti negli istituti esistenti e a ridurre i requisiti di ingresso. In alcuni Paesi è stato facile: in Francia, dove il diploma di maturità dà diritto a frequentare l’università, si trattava solo di rendere l’esame progressivamente più facile e di ampliare il numero di materie che si potevano studiare. Un baccellierato in edilizia permetteva di iscriversi a una laurea in filosofia.

Allo stesso tempo, l'”istruzione” è passata dall’essere qualcosa di cui il Paese e gli individui avevano bisogno, a una pallottola magica in grado di ridurre la disoccupazione e compensare i posti di lavoro e le competenze perse a causa della deindustrializzazione, della delocalizzazione dell’economia e della distruzione del settore pubblico, che aveva impiegato un gran numero di laureati. Non si trattava di una politica ma di uno slogan, come se l’offerta creasse la propria domanda. L’università è stata commercializzata come un investimento commerciale per i giovani e i loro genitori, con la minaccia implicita che se non si andava all’università si avevano poche possibilità di trovare un lavoro. I datori di lavoro si resero presto conto che richiedere lauree per lavori che non ne avevano bisogno era un buon modo per restringere la gamma dei potenziali candidati.

L’effetto fu quello di creare una nuova casta nella società: i Credentialed, che avevano titoli di studio (a volte diversi) ma standard molto variabili di istruzione effettiva. Tendevano a sposarsi, a socializzare e a lavorare insieme e costituivano la base di quella che divenne nota come Casta Professionale e Manageriale (PMC). Mentre cinquant’anni prima si sarebbero mescolati professionalmente e persino socialmente con altre classi, ora lo facevano raramente. La precarizzazione e l’esternalizzazione dei servizi umili ha fatto sì che i precedenti, seppur limitati, contatti tra le classi non esistessero più. Il macellaio e il panettiere locali hanno lasciato il posto al supermercato, il personale della banca alla linea telefonica del computer, le biglietterie alle macchine. Al contrario, i non-lavori della classe media sono esplosi di numero, poiché le persone laureate in nulla si sono spostate nel “management” e nelle “risorse umane”, dove potevano fare i danni maggiori.

E dopo un po’ di tempo, questa classe, la cui espressione politica ho chiamato Partito, cominciò a sviluppare una coscienza e alcune opinioni piuttosto dure. Dopo tutto, a cosa serviva l’educazione della gente comune? I lavori qualificati erano praticamente scomparsi; le segretarie, i giovani manager e gli amministratori erano stati sostituiti dai computer; gli specialisti in informatica, medicina o ingegneria potevano essere reperiti all’estero e, comunque, questa nuova cosa di Internet avrebbe reso superfluo gran parte dell’insegnamento, non è vero? Senza il consenso d’élite sull’istruzione che esisteva dal XIX secolo, essa non aveva più la stessa importanza, se non nella misura in cui riguardava la vita della PMC stessa. Quindi, più scuole private, tutori personali e una vita per i figli della PMC più esigente e rigorosa di quanto i gesuiti del XVIII secolo avrebbero ritenuto ragionevole. Per quanto riguarda il resto della popolazione, i due terzi o tre quarti al di fuori della PMC, i loro voti non erano più necessari e i partiti di massa del passato furono liquidati. Il Partito, nelle sue diverse manifestazioni, aveva capito che se solo la metà della popolazione votava, e se il PMC dominava completamente la politica, le ONG e i media, spesso muovendosi agevolmente tra di loro, non c’era bisogno di partiti di massa, né di rivolgersi a più del 20% circa della popolazione votante.

Di conseguenza, l’istruzione è diventata una sorta di campo di gioco e di battaglia per il PMC. A scuola, potevano sperimentare tutte queste ingegnose teorie educative che ricordavano dalla loro giovinezza, quando l’idea era che nessuno dovesse essere costretto a imparare o a fare qualcosa che non voleva. Se gli standard di lettura e scrittura si abbassavano catastroficamente, era un peccato: alla fine era la politica che contava, e i loro figli erano protetti. Naturalmente, una volta che i governi rinunciano a cercare di definire i programmi scolastici, altre forze cercheranno di prendere il sopravvento. In Francia e in molti altri Paesi europei, sono gli islamisti che cercano di fare sempre più breccia nel sistema educativo laico costruito con tanta determinazione e contro un’opposizione così violenta. Al giorno d’oggi, gli insegnanti ricevono regolarmente minacce di morte se insegnano qualcosa che i rigidi genitori musulmani disapprovano: nemmeno la Chiesa cattolica è arrivata a tanto. Ma non sono i nostri figli, i nostri figli sono protetti da tutto questo. E poi le università, i loro programmi, l’insegnamento e l’amministrazione sono diventati un campo di battaglia tra le diverse lobby sociali e politiche del PMC, che cercano di controllare ciò che possono e di distruggere ciò che non possono, come annoiati cortigiani in lotta alla corte di un monarca assolutista.

Perché in realtà non tutto andava bene con la PMC. Oggi non c’è il numero di posti di lavoro necessario per impiegare con successo tutti i laureati, e quelli che esistono sono spesso precari e temporanei. Quando andavo a scuola, una coppia di insegnanti (visto che spesso si sposavano tra loro) poteva avere una casa decente, una macchina e le vacanze, e un tenore di vita relativamente invidiabile. Oggi una coppia rappresentativa lavora fino all’osso, scompare sotto una montagna di scartoffie inutili, è costretta a ballare passi coreografati da pedagoghi che non sono mai entrati in un’aula, e aspetta stancamente la pensione in una casa che spera di poter comprare un giorno. (Una coppia di giovani avvocati o medici che vive in una grande città potrebbe trovarsi in una situazione simile). E la situazione non è molto migliore a livello universitario: in molti Paesi la maggior parte dell’espansione dei posti di insegnamento è avvenuta in posizioni temporanee, o in “Istituti” e “Centri” finanziati con denaro agevolato, spesso da donatori dilettanti che seguono i venti prevalenti della moda. Già trent’anni fa, durante una delle mie periodiche fughe dal governo al mondo accademico, ricordo che una collega mi disse che passava una buona metà del suo tempo non a fare ricerca e a scrivere, ma a trovare opportunità e a scrivere proposte per il successivo finanziamento agevolato triennale. Da allora la situazione è peggiorata.

Non sono sicuro che si possa andare avanti ancora a lungo. Qui, naturalmente, ci avviciniamo alla teoriadi Peter Turchin sulla sovrapproduzione delle élite. Credo che la teoria di Turchin sia sostanzialmente corretta, ma sospetto che il problema sia ancora più generale: a qualsiasi livello, in qualsiasi società, se le qualifiche educative e intellettuali dei suoi membri superano la capacità della società di assorbirle utilmente, ci saranno problemi. Ecco perché, ad esempio, le ribellioni coloniali erano quasi sempre guidate da élite con istruzione occidentale che erano frustrate da ciò che potevano ottenere sotto il colonialismo e volevano il potere per sé, e perché i gruppi di ribelli in Africa oggi sono spesso guidati da giovani studenti incapaci di trovare un impiego soddisfacente. Potrebbe accadere la stessa cosa in Occidente?

Non nello stesso modo, ovviamente. Ma ci sono segni di una spaccatura che sta emergendo tra il partito interno e quello esterno della PMC, e la situazione si sta aggravando. Per molti versi, l’attuale situazione equivale a un esplicito ripudio da parte del Partito Interno dell’accordo del dopoguerra, basato sull’istruzione universale e sul reclutamento di persone comuni nel Partito Esterno e persino in quello Interno, se dotate delle necessarie capacità. (Ma ora l’idea del Partito Interno è quella di monopolizzare il potere e la ricchezza per sé, riducendo progressivamente le possibilità dei membri del Partito Esterno di unirsi ad esso. L’IA sarà probabilmente solo l’ultima di una serie di iniziative volte a indebolire e impoverire il Partito Esterno, dato che molti posti di lavoro nel campo dell’istruzione, della legge e del management ne saranno vittime.

Il modello di una società in cui il Partito Interno possiede tutta la ricchezza e tutti gli altri, dal ciclista che consegna il cibo all’avvocato di medio livello, vivono in uno stato di insicurezza e servilismo permanente non è sostenibile, e non è certo che sarà mai raggiunto in questa forma. Ma l’iperconcentrazione di ricchezza e potere che si sta sviluppando farà capire al Partito Esterno che i suoi interessi non sono solo diversi da quelli del Partito Interno, ma addirittura opposti. È a quel punto che le rivoluzioni diventano classicamente possibili. Ma le rivoluzioni richiedono due cose: un’ideologia e forze politiche che portino al cambiamento. Il PMC nel suo complesso, come il Partito di Orwell, non ha un’ideologia in quanto tale. Allo stesso modo, è interessato solo al potere e il suo ultraliberismo rende impossibile qualsiasi tipo di alleanza efficace. Passa quindi gran parte del suo tempo in una feroce competizione per il potere nelle istituzioni che controlla, soprattutto quelle educative. Questo atteggiamento esclude necessariamente qualsiasi tipo di alleanza con la maggioranza della popolazione, che comunque disprezza e da cui cerca disperatamente di differenziarsi. E questa popolazione non produce più abitualmente il tipo di leader che in passato emergeva dalla classe operaia e dalla classe medio-bassa, grazie a una politica educativa illuminata.

Nelle ultime due generazioni si è assistito a una trasformazione fondamentale delle questioni relative all’istruzione: da: quali sono i bisogni del Paese e della società? a: come possiamo fare soldi educando i figli del giardiniere? Di tutte le miopi stupidaggini perpetrate dal Partito nelle ultime due generazioni, questa è forse la più stupida e, in definitiva, la più distruttiva dal punto di vista sociale. Forse hanno bisogno di un po’ di educazione.

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Zhou Bo: perché la Cina non è preoccupata di un’altra presidenza Trump negli Stati Uniti

Zhou Bo: perché la Cina non è preoccupata di un’altra presidenza Trump negli Stati Uniti

2024-03-31 09:04:20Dimensione dei caratteri: A- A A+Fonte: OsservatoreLeggi 153197
Ultimo aggiornamento: 2024-04-01 11:06:28

Nota dell’editore: Se Trump sarà rieletto, cosa succederà alla politica degli Stati Uniti nei confronti della Cina? Il 21 marzo Zhou Bo, ricercatore presso il Centro per la strategia e la sicurezza dell’Università Tsinghua, ha pubblicato sul South China Morning Post un commento in lingua inglese intitolato “Perché la Cina può stare tranquilla se Trump viene rieletto presidente degli Stati Uniti”.

Zhou Bo ritiene che anche se Trump dovesse vincere nuovamente le elezioni, la sua politica nei confronti della Cina sarà probabilmente molto simile a quella del governo Biden, rendendo difficile avere un impatto sostanziale sulla Cina, ma piuttosto esacerbando la sua frattura interna e gli alleati centrifughi, rendendo più difficile per gli Stati Uniti recuperare la credibilità e l’autorità morale perse a causa dell’adozione di due pesi e due misure.

[Articolo dell’editorialista di Observer.com Zhou Bo, traduzione di Xinyu Yang

Mentre gli Stati Uniti si preparano a votare per il loro prossimo presidente, Trump è in leggero vantaggio su Biden in alcuni sondaggi nazionali. Se Trump sarà rieletto, quale sarà la politica degli Stati Uniti nei confronti della Cina? La mia risposta: una versione 2.0 dell’amministrazione Trump sarebbe molto simile all’attuale amministrazione Biden.

Dopo l’insediamento di Trump nel 2017, la politica degli Stati Uniti nei confronti della Cina ha subito un cambiamento di 180 gradi, ma la sua principale eredità non è la politica di “disaccoppiamento” proposta da Trump, che è stata continuata da Biden dopo l’arrivo al potere in nome del “de-risking”, ma piuttosto il consenso bipartisan anti-Cina che si è formato nell’ambito ideologico dei due partiti. Il principale lascito di questo cambiamento non è la politica di “disaccoppiamento” di Trump, proseguita dopo l’arrivo al potere di Biden in nome del “de-risking”, ma il consenso ideologico bipartisan contro la Cina.

A dire il vero, Trump non è un fan dell’ideologia. Tuttavia, una volta che le relazioni bilaterali vengono rapite dall’ideologia, il margine di flessibilità si riduce drasticamente. Trump cambierà la sua posizione? L’ex presidente degli Stati Uniti Richard Nixon è un caso perfetto. Nixon era una volta un irriducibile anticomunista di destra, ma è noto soprattutto per il suo viaggio in Cina che ha rotto il ghiaccio.

Tuttavia, mentre Nixon era riconosciuto come stratega, Trump si autoproclama “commerciante”. Nella sua prima autobiografia, The Art of Doing Business, Trump ha scritto: “Faccio affari in modo semplice e diretto. Mi pongo obiettivi elevati e poi alzo un po’ l’asticella finché non ho successo”.

Ironia della sorte, questa strategia sembra funzionare ancora meglio per gli alleati statunitensi. Trump ha dichiarato di incoraggiare la Russia a “fare quello che vuole” a qualsiasi Paese della NATO che non rispetti gli obblighi di spesa militare, un commento che ha lasciato di stucco gli alleati statunitensi.

Se Trump vincerà un secondo mandato, è quasi certo che altri membri della NATO accelereranno la spesa per la difesa fino al 2% del PIL per evitare lo scenario peggiore: l’uscita degli Stati Uniti dalla NATO. Se la politica di Trump è un “bastone”, sarà molto più efficace della “carota” di Biden.

Tuttavia, questo “bastone” non ha alcun effetto sulla Cina. Trump ha promesso di imporre tariffe del 60% o più sulle merci cinesi. Ma questa misura farà sì che la quota di importazioni statunitensi in Cina si riduca quasi a zero, l’industria manifatturiera americana in Cina sarà colpita duramente, i mercati finanziari statunitensi saranno turbolenti e gli americani dovranno pagare prezzi più alti per i beni importati.

È prevedibile che la politica di Trump di limitare il flusso di alta tecnologia verso la Cina non sarà molto diversa dalla politica dell’amministrazione Biden di “piccoli cantieri e alte mura”. Ma nessuna delle due sarà in grado di fermare il flusso di talenti high-tech da tutto il mondo, compresi quelli formati negli Stati Uniti, verso la Cina. Il governo cinese sta investendo massicciamente nell’innovazione ed entro il 2022 la Cina avrà presentato più domande di brevetto di tutto il resto del mondo.

La principale preoccupazione del governo cinese è se l’approccio di Trump a Taiwan sarà diverso. A differenza di Biden, Trump non ha mai dichiarato pubblicamente di voler “difendere Taiwan”, ma il governo cinese non lo prenderà alla leggera.2022 Dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) ha condotto esercitazioni a fuoco vivo nelle acque intorno all’isola. La risposta del governo cinese si intensificherà sicuramente con l’intensificarsi delle provocazioni e con ogni risposta si crea un nuovo status quo. Oggi gli aerei militari cinesi attraversano regolarmente la linea centrale dello Stretto di Taiwan, nonostante le proteste delle autorità taiwanesi.

La politica cinese di Trump dipende anche dal modo in cui otterrà il sostegno interno e internazionale. L’anno scorso, un sondaggio ABC News/Ipsos ha mostrato che tre quarti degli americani ritengono che gli Stati Uniti si stiano muovendo nella direzione sbagliata. Un’America divisa non potrà mai avere una diplomazia forte.

Il conflitto in Ucraina e le guerre in Medio Oriente distrarranno certamente il prossimo presidente degli Stati Uniti da Pechino. Trump ha affermato che se sarà rieletto presidente, potrà risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina in un giorno. Questo è un vanto trumpiano, ma dimostra anche che il sostegno di Washington a Kiev è la chiave per risolvere il conflitto.

Nonostante il pieno sostegno della NATO, la controffensiva ucraina si è conclusa con un fallimento, perdendo ogni speranza di riguadagnare il terreno perduto, mentre la Russia ha dovuto sopportare una NATO allargata. L’esito più probabile del conflitto russo-ucraino è un accordo di cessate il fuoco nel cuore dell’Europa che non soddisfa nessuno.

In Medio Oriente, il più importante risultato diplomatico di Trump – gli Accordi di Abramo, progettati per migliorare le relazioni di Israele con diversi Stati arabi – è stato messo in secondo piano. A differenza di Biden, che ha un rapporto freddo con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Trump e i due sono stati i più stretti alleati politici durante i quattro anni di sovrapposizione dei mandati con Netanyahu. Trump avrebbe un approccio più morbido nei confronti di Israele rispetto a Biden, anche se ciò potrebbe esacerbare il conflitto regionale.

Se Trump verrà rieletto, la questione del nucleare iraniano non potrà che peggiorare. Al momento, Teheran non ha preso la decisione politica di produrre una bomba nucleare, ma più la situazione in Medio Oriente diventa instabile, maggiore è la tentazione per l’Iran di svilupparne una. L’Iran ha accelerato la produzione di uranio arricchito al 60% e presto sarà in grado di aumentare l’arricchimento del 60% al 90% necessario per produrre una bomba nucleare. L’Arabia Saudita ha minacciato che se l’Iran svilupperà una bomba nucleare, anche l’Arabia Saudita ne costruirà una.

(I perdenti in queste due guerre (in Ucraina e in Medio Oriente) non sono solo le parti in conflitto, ma anche gli Stati Uniti. I doppi standard diametralmente opposti adottati dagli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina e di Gaza li hanno lasciati con poca credibilità e autorità morale. L’estrema ipocrisia degli Stati Uniti è stata ampiamente criticata anche nel Sud globale. Un danno del genere è difficile da riparare, soprattutto quando il leader del Paese è un “commerciante” che non si preoccupa di ciò che accade ai cuori e alle menti delle persone.

Se Donald Trump sarà rieletto presidente, quello che la deputata Marjorie Taylor Greene ha definito “il grande divorzio delle nazioni” si aggraverà ulteriormente. Chiunque diventi il prossimo presidente degli Stati Uniti troverà sempre più difficile promuovere il cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole”; pochi Paesi del Sud globale si identificheranno con il cosiddetto “duello tra democrazia e autoritarismo”; persino gli alleati degli Stati Uniti saranno riluttanti a scegliere da che parte stare. Ci saranno più cose da discutere e da cooperare con la Cina.

Quindi di cosa deve preoccuparsi la Cina?

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L’essenza del flop della VR di Apple, di SIMPLICIUS THE THINKER

L’essenza del flop della VR di Apple

Alcuni hanno fatto notare che il tanto decantato Apple Vision Pro, che doveva essere il salvatore dell’AR/VR e inaugurare l’era cyberpunk che cambia i paradigmi, in realtà ha fatto inaspettatamente, più o meno, più o meno, purtroppo...flop.

Ok, in realtà c’è un dibattito su questo punto. Secondo alcune indiscrezioni, il dispositivo ha venduto 200.000 unità, un numero presumibilmente impressionante. Tuttavia, altri sostengono che la maggior parte di queste erano prevendite e che dopo il rilascio le cose si sono arenate. Infatti, quasi la metà dei primi acquirenti ha intenzione di restituire le cuffie, adducendo vari problemi:

Non preoccupatevi: questa non vuole essere una recensione tecnica pedante. Ma per evitare le premesse, riconosciamo che l’Apple Vision Pro costa ben 3.500 dollari per il suo prezzo base più basso. Per i modelli di fascia più alta con 1 tb di memoria, al netto delle tasse e di altri accessori consigliati o di qualità, il prezzo massimo è di poco inferiore ai 5.000 dollari. Questo fatto da solo impedisce alla stragrande maggioranza delle persone di prendere in considerazione l’acquisto. Tim Cook si è preoccupato di dare un’occhiata alla società di recente? So che i signori della tecnologia di Cupertino si rinchiudono nelle loro paludate enclavi, ma di sicuro hanno qualche consulente per valutare almeno occasionalmente la temperatura degli operai che lavorano sotto le nuvole. Non sono passati molti decenni da quando si poteva comprare un’auto nuova al prezzo di questi orrendi occhiali da sci, e sembra che Apple creda davvero ai dati della Fed sul reddito pro capite.

Il divario tra l’élite tecnologica e la plebaglia comune si sta allargando a tal punto? Chi, sano di mente, pensava che questo sarebbe diventato un accessorio di moda?

Questo è il nocciolo della questione. Il potenziale fallimento del Vision Pro, come i Segway e i Google Glass prima di lui, è indice di una frattura metafisica tra i comuni mortali e la classe dirigente tecno-transumanista.

La strada che si biforca

Qualcuno potrebbe storcere il naso: ecco che ricomincia con quei filosofismi fantasiosi. Ma in questo caso uso il termine metafisica molto deliberatamente, per indicare che l’élite sta iniziando a divergere dal resto dell’umanità nel senso più fondamentale: a livello di realtà-concetto.

Nel mondo delle élite, il dogma del giorno è la crescita assente e il progresso perpetuo, di cui ho parlato qui:

DISPACCI DALLA CENTRALE DI BEDLAM

Iperstizioni e culto del progresso pilotato

24 MARZO 2023
Hyperstitions and the Cult of Steered Progress

Iperstizioni: la capacità degli esseri umani di creare il proprio futuro. Ma è questo un genio che non vogliamo far uscire dalla bottiglia?

È seguita dall’alta società dei tecnoburocrati come una fede cieca. Il motivo è semplice: dà loro una rubrica di base per il successo e la realizzazione, in assenza di un vero significato o di una profondità spirituale, di cui sono tutti innegabilmente privi. Dà alla vita una freccia fittizia da seguire, adatta alle valutazioni del mondo da parte del cervello sinistro. Per intenderci: se si riesce a disegnarla elegantemente su un grafico, con la linea inclinata che mostra una crescita verso l’alto, allora è Buona e tutto va bene per il mondo; un senso di appagamento, di conferma e di convalida tutto in uno.

In parole povere, fa credere ai tecnici di fare la cosa giusta: migliorare il mondo. Li fa sentire importanti e necessari. Li fa sentire bene con se stessi in quella grandiosa lacuna post-cristiana di stampo nietzschiano che abitiamo. Non pensano alle reali implicazioni più profonde, di secondo ordine, dei loro costrutti tecnologici: finché possono tracciare un movimento verso l’alto e cifre crescenti, la ricompensa dell’autocompiacimento segue. È la fede immortale del culto del progresso.

Questo progresso ha un’inerzia intrinseca che riempie la tecno-élite a bassa intelligenza con una nuova vertigine ogni volta che viene superato un punto di accelerazione. L’applauso quasi infantile al “progresso” superficiale si traduce in una crescente ignoranza della vera metafisica della natura umana. Con ogni nuova “eccitante” scoperta, diventano sempre più orgogliosi, la loro auto-validazione vibra come le viti di una macchina incomprensibile. Diventa una dipendenza: sempredi più, sempre di più esempre più velocemente. Non c’è una teleologia intrinseca al di là dell’astrazione vagamente narcisistica dell’utopia dell’abbondanza infinita. Basta ammassare un numero sufficiente di questi aggeggi e di queste diavolerie tecnologiche e saremo tutti santi immortali che si crogiolano nel godimento.

Di solito scrivo degli sviluppi tecnologici futuri con una sfumatura di cauto ottimismo, almeno per quanto riguarda l’adozione o la maturazione delle tecnologie attualmente in voga, siano esse VR/AR, AI, ecc. Ma in uno spirito contrarianista, ecco un breve manifesto sul perché ci sono buone probabilità che questa tecnologia venga rifiutata dalla società, generando alla fine non il nirvana della civiltà, ma l’indifferenza.

L’enigma del pendolo di Krugman

Nel 1998, l’economista Paul Krugman ha formulato la sua tanto declamata previsione, che io definisco il Pendolo di Krugman:

“La crescita di Internet subirà un drastico rallentamento, poiché diventa evidente la falla nella ‘legge di Metcalfe’: la maggior parte delle persone non ha nulla da dirsi! Entro il 2005 sarà chiaro che l’impatto di Internet sull’economia non è stato superiore a quello del fax”.

Come sempre accade nei discorsi su Internet – cosa che per certi versi riscatta quanto detto sopra – le cose vengono diluite, generalizzate o deliberatamente travisate per spingere qualsiasi agenda di conferma si desideri. In questo caso, la reazione è stata riduttivamente legata alla parte della dichiarazione che dice, in sostanza, che Internet non avrà un grande impatto [sull’economia].

Se nei primi estatici anni della bolla internet questa previsione sembrava sempre più ridicola, più ci avviciniamo a oggi, più le persone hanno cominciato a ripensarci. In primo luogo, oggi possiamo affermare con certezza che Internet ha avuto un effetto deleterio sradicando le economie locali, svendendole agli affamati avvoltoi aziendali del globalismo. Questo ha scatenato un effetto boomerang che alla fine ha permesso di acquistare qualche anno di merci a basso costo, sventrando le nostre fondamenta e riducendo la qualità della nostra vita.

Si può sostenere che, al di là dell’arricchimento delle aziende, la previsione di Krugman era accurata nel prevedere che Internet non avrebbe avuto alcun reale beneficio economico per l’uomo comune. Non è interessante che i critici della previsione scelgano di valutarla utilizzando il denominatore di Wall Street e delle grandi imprese? In base alle misure delle medie del Dow Jones e del Nasdaq, si potrebbe pensare che l’economia non abbia fatto altro che crescere grazie a Internet. Ma il cittadino medio è poco legato al mercato azionario e ne ha ricevuto pochi benefici reali.

Per esempio, il seguente articolo di Snopes usa assurdamente il totale del mercato di Apple, Google e altri, come indicazione dell’errore di Krugman:

L’implicazione è che le smisurate ricchezze accumulate da queste aziende, facilitate dal boom di Internet, abbiano in qualche modo migliorato la società, l’umanità o l’economia in generale. In realtà, gli standard di vita dell’uomo comune sono totalmente scollegati dalla valutazione di Apple, e si potrebbe addirittura dire che sonoinversamente proporzionali: mentre le grandi aziende si sono arricchite, noi tutti siamo diventati più poveri per questo; l’era del consolidamento aziendale non ha fatto altro che aumentare la cartellizzazione, danneggiando la concorrenza e distruggendo le economie locali.

Internet ha davvero cambiato il modo di vivere degli esseri umani? Al di là delle movenze superficiali dell’oziare davanti agli schermi degli smartphone, scorrendo cascate di contenuti scialbi, si può sostenere che Internet abbia avuto un effetto reale marginale sulla vita quotidiana. È servito semplicemente come una sorta di surrogato più debole e annacquato di altre cose; siti web pieni di imprecisioni e poco impegnativi come sostituti di contenuti ben realizzati e pubblicati fisicamente, e così via. Ha fornito la comodità di fare certe cose più velocemente: comprare i biglietti del cinema online invece che al cinema. Ma questo cambia davvero qualcosa a livello fondamentale nell’attività umana?

Per molti versi la vita è quasi indistinguibile da quella di trent’anni fa: le persone continuano a svolgere gli stessi compiti, vanno al lavoro, tornano a casa e magari, invece di guardare la TV, scorrono il telefono o guardano Netflix. Invece di fare la spesa nei grandi magazzini, può scegliere di ordinare su Amazon. Si può affermare senza ironia che Internet non ha cambiato quasi nulla e, in effetti, anche i pochi cambiamenti superficiali che ha stimolato stanno probabilmente regredendo, soprattutto perché le persone abbandonano i social network e cercano sempre più una via d’uscita dal panopticon digitale.

Questo è il punto successivo: nella loro gioia di calpestare la predizione, gli apostoli senza fede hanno completamente ignorato la parte più notevole di essa:

“La crescita di internet rallenterà drasticamentela maggior parte delle persone non ha nulla da dirsi!.

E qui sta il problema, che riguarda la nostra discussione sulla metafisica.

I techguru ignorano l’impulso evolutivo umano-biologico di base: assumono un proprio telos distorto della condizione umana, che soddisfa i loro criteri di bias di conferma. È una forma di wishful thinking: vogliono che gli esseri umani siano in un “certo modo” perché quel “modo” coincide con un mondo – o una realtà – chesi adatta all’ideale utopico dei techguru, soprattutto quello in cui sono lodati e riccamente ricompensati per i loro “contributi” all’umanità.

Gran parte degli sviluppi tecnologici della modernità non soddisfano in alcun modo i bisogni umani più elementari, essenziali o fondamentali: l’impulso di cui ho parlato. Le idee sbagliate derivano dagli stessi discepoli del Culto del Progresso che usano la foto ingannevole della disparità di elettricità tra la Corea del Nord e la Corea del Sud dallo spazio come una rubrica definitiva del “Progresso”; è un progresso vuoto e senza significato.

Allo stesso modo, i guru della tecnologia partonosemplicemente dal presupposto che, poiché i dispositivi VR come l’Apple Vision Pro sono una meraviglia tecnologica o un balzo in avanti, questi gadget possiedono innatamente una qualche forma di convalida evolutiva umana; il prodotto è buono perché è innovativo. Ergo, deve essere oggettivamente un’evoluzione naturalmente ordinata del nostro tessuto sociale, senza fare domande.

Ma queste persone sopravvalutano l’essenzialità dei loro aggeggi. Ogni volta che questi gadget hanno fallito, una scusa incorporata li ha sempre attribuiti a qualche problema imprevisto, “senza dubbio” da correggere nelle iterazioni future. Il fallimento non viene mai attribuito alla totale incomprensione dei bisogni e dei valori umani da parte dei techguru. Per esempio, ora si dice che il VR Pro è stato “eccessivamente ingegnerizzato” perché era la prima volta che Apple si cimentava in questa tecnologia e aveva bisogno di attirare le persone con un lancio impressionante. Le future iterazioni probabilmente ridurranno alcune delle cose superflue, rendendo l’unità non solo meno costosa ma anche più attraente in generale. Questa è la quintessenza della mancanza di autoconsapevolezza.

E se vi dicessi che nessuna modifica di questo tipo può salvare questi prodotti? E se, a sua insaputa, la predizione di Krugman avesse rivelato il seme di qualche verità nascosta della vita?

“Le persone non hanno nulla da dirsi!”.

Lasciate che queste parole riecheggino in voi come un fantasma uditivo mentre riflettete sulle loro implicazioni. Nessuna quantità di ornamenti tecnologici può annullare le dinamiche umane fondamentali. Queste spinte del “progresso” cercano di trascinarci in un futuro per il quale gli esseri umani non sono stati progettati e per il quale non hanno alcun interesse innato, al di là della novità superficiale e di breve durata di “stare al passo con i Jones” e del fattore FOMO che ci induce a fare acquisti assenti di robaccia venduta in modo coercitivo e che offre poco significato o miglioramento alle nostre vite.

Parlo per esperienza: sedotto dal primo fattore “wow” dei giocattoli VR, sono diventato l’orgoglioso proprietario di uno dei set più costosi, per poi annoiarmi nel giro di poche settimane e non toccarlo più. Mi ha insegnato qualcosa sull’esperienza umana: per quanto le nostre moderne vite da tabula rasa possano sembrare banali e poco eccitanti, il vaporoso intruglio di questi mondi virtuali sintetici è un pessimo sostituto. Viene da chiedersiache cosa servono esattamentequesti espedienti moderni ?

È proprio quello che si è chiesto Max Read in una recente rubrica:

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Google ha creato un’intelligenza artificiale così sveglia da far impazzire gli uomini
Saluti dal quartier generale di Read Max! Nel tentativo di giocare con il formato e di evitare l’incombente burnout, la newsletter di questa settimana presenta tre brevi articoli su articoli recenti o eventi di cronaca. Di seguito troverete alcune riflessioni su: Come pensare e comprendere la divertentissima polemica sul papa nero di Google Gemini…
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A cosa servono i chatbot A.I.?

Devo fare una confessione: Non so davvero a cosa servano i chatbot dell’intelligenza artificiale. Cioè, so che ChatGPT e MidJourney e qualsiasi altra chatbot generativa basata su LLM sono bravi in certe cose – riassumere e organizzare pezzi di testo, per esempio, o generare immagini passabilmente dettagliate di certi tipi – e un po’ meno bravi in altre cose – giocare partite di scacchi complete e coerenti, per esempio – e direttamente pessimi in alcune cose, come citare precedenti legali. Ma in senso più ampio, non ho idea a cosa servano: Quale sia il loro uso ideale, o addirittura cosa la gente voglia da loro. Va bene, perché sono un idiota che non capisce la maggior parte delle cose. Ma ho sempre più il sospetto che anche nessuno dei responsabili di questi chatbot capisca a cosa servono o cosa dovremmo fare con loro.

In sostanza, l’autore si serve della recente debacle di Google Gemini per chiedersi quale dovrebbe essere esattamente lo scopo dell’IA generativa. Nelle fasi iniziali della mania per l’IA, la maggior parte delle persone era troppo accecata dall’eccitazione per la novità superficiale per potersi chiedere. I chatbot erano “divertenti” e creavano “immagini fantastiche”.

Ma ora che abbiamo lentamente iniziato a vedere il lato oscuro di questa tecnologia – la sovversione ideologica, appunto – più persone stanno iniziando a sollevare la questione. È chiaro che le IA non sono concepite come un compendio infallibile di conoscenza enciclopedica, poiché introducono troppi pregiudizi non ammessi, diventando schive o manipolatrici quando le si chiama in causa. Né serviranno mai come motori di bias di conferma totalmente soddisfacenti per i misantropi sempre più squilibrati della sinistra. Per questo motivo occupano l’armadietto delle novità mediocri, non del tutto adatte allo scopo di un compito particolare, che altri strumenti specializzati svolgono meglio.

Accontentando tutti, non accontentano nessuno.

Ma questo porta alla questione più ampia e generale che lega il tutto. Chiedetevi: perché, esattamente, queste IA sono così poco adatte al nostro mondo? Io sostengo: perché la metafisica del mondo è molto diversa dalle bugie che ci sono state insegnate.

I gruppi cosmopoliti e leali delle bigtech cercano di globalizzare l’umanità, cioè di “connetterci tutti”, come predicato all’infinito nelle pubblicità che ritraggono il mondo come una scintillante ostrica comune in cui tenersi per mano e cantare allegramente, mentre “condividiamo” le nostre “storie” e “culture” in un purè di streghe omogeneizzato: l’estasiante visione kalergiana del mondo come un busteefelicemente fiorente .

Dato il fine dichiarato dell’élite tecnocratica, i loro aggeggi nanici, fabbricati nei bui laboratori sotterranei di Palo Alto e di Mountain View, saranno necessariamente progettati per massimizzare l’accelerazione verso questo fine. Ciò significa che i nuovi gadget come il VR Pro dovranno necessariamente rispettare le regole della globalizzazione dei vostri pensieri, delle vostre esperienze, del vostro mondo interno, delle vostre concezioni e, in ultima analisi, della vostra metafisica, per allinearsi a quella della casta dei tecnovampiri submontani, di quegli ingegneri sociali e biotecnologi che si agitano nelle loro tane senza Dio affamate di luce.

Lo scopo di queste cuffie è quello di martellare e plasmare le vostre bio-risposte esperienziali, per rivestirle e pressarle a freddo nella struttura pressofusa adatta a servire la visione predesignata della nuova élite transnazionalista del mondo. In termini pratici, questo significa usare le simulazioni tattili e cinestesiche iper-reali per trapiantarci dalla terra radicata dei nostri antenati e delle nostre memorie biologiche ad altri nomoilontani e alieni , dove possiamo incarnare il perfettamente docile cittadino globale.

Collegare, immedesimarsi, assimilare.

Questa digi-derattizzazione è lo strumento postmoderno perfetto per riscrivere il sacro codice biologico che è stato l’enigma ne plus ultra dell’ultima spiaggia per la classe dirigente.

Ma proprio come il pendolo di Krugman ha oscillato contro logica verso la linea di partenza, così ci sono buone ragioni per credere che le voci di imminenti rivoluzioni della singolarità dell’IA possano essere premature. Così come l’umanità ha in gran parte respinto i tentativi di sprofondare nell’inferno della derattizzazione digitale attraverso una perpetua immersione nel freddo cibernetico, anche la nuova era dei chatbot e degli assistenti personali AGI/ASI “senzienti” potrebbe rivelarsi una novità passeggera.

Non fraintendetemi, è chiaro che le prossime trasformazioni dell’IA lasceranno la loro impronta, influenzando una serie di settori lavorativi e aumentando l’intrusione nelle nostre vite:

Hai chiesto l’AI con lo spazzolino da denti?

Ma ciò che è meno chiaro è quanto effettivamente in modo sostanziale cambierà nel mondo. Molte delle “innovazioni” dell’intelligenza artificiale potrebbero fungere da rumore di fondo e da vetrina, proprio come fa oggi Internet. Come in passato, Internet sembra onnipresente e onnicomprensivo, eppure cosa c’è di veramente diverso oggi, a parte la possibilità di cuocere senza pensieri davanti a un telefono a piacimento?

Potremmo svegliarci nell’anno 2075 e le cose potrebbero sembrare “trasformate” in superficie. I robo-taxi ci pedineranno, i robo-concierge ci segnaleranno per le strade con battute spiritose, i robo-maggiordomi ci delizieranno con storie generative per rasserenare il nostro spirito, le pubblicità saranno interattive e “senzienti” – e sempre più rumorosamente invadenti e fastidiose. Ma cosa sarà effettivamente diverso? Forse non molto.

Per quanto riguarda le cuffie e i mondi virtuali, è molto probabile che l’umanità respinga i pesanti tentativi di cablatura. I nostri valoriinnati, guidati dall’istinto, continueranno a scontrarsi con le trasmutazioni metafisiche imposte dalla “realtà potenziata” dei tecnocrati e dai sogni di connettività globale. Per questi tecnovampiri è fatale il fatto che gli esseri umani, in ultima analisi, hanno esigenze molto più semplici di quelle che si addicono ai loro progetti impetuosi. Le basi del comfort e del sostentamento, la famiglia, la casa e la sicurezza; la cultura generazionale radicata. L’unico modo per deprogrammare questo codice sorgente biologico è quello di sottoporre il sistema a shock massicci e a richiami esogeni di dopamina, per ricablarci dall’esterno. Ma tali stratagemmi probabilmente falliranno, poiché la natura artificiale delle digi-Utopie progettate dai tecnovampiri non sarà mai conforme alle ancore ipostatiche del nostro essere, le cui scaglie generazionali sono saldamente scavate nella nostra carne collettiva.

Senza dubbio, stiamo entrando nella prossima fase del progresso umano. Il tema del prossimo secolo sarà: L’essenza, definendo che cos’è e perché è importante, e poi – per loro – tentandodi decodificarla.

L’essenza è il paradosso finale per i tecnovampiri, l’ultima stringa del codice enigmatico umano, che ha messo in crisi le loro macchine di analisi e i loro congegni cibernetici. L’essenza è eterna e al di là della loro comprensione. È la perla scintillante all’interno dell’ostrica dell’umanità che non sono in grado di sottrarci. Ma nel prossimo secolo, con l’aiuto delle loro superintelligenze artificiali di nuova concezione, la metteranno nel mirino e ci proveranno.

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LE CONSEGUENZE PROBABILI DI UN INTERVENTO NATO IN UCRAINA, di Michael Vlahos

 

LE CONSEGUENZE PROBABILI DI UN INTERVENTO NATO IN UCRAINA

di Michael Vlahos

 

Ciò che rende interessante la filippica[1] di Luttwak non è ciò che Luttwak dice – ma piuttosto la straordinaria distanza dalla realtà effettiva che lui e la classe dei cortigiani occidentali ora abitano. [Ed è stato un amico e un collega: Cioè, lo conosco da 40 anni, quasi sempre in un’accesa polemica accademica, e le nostre conversazioni esuberanti sono sempre state amichevoli – ma in quasi tutti i casi sono stato in disaccordo. Come adesso]. Il punto chiave della sua argomentazione, che nessuno dovrebbe ignorare o sottovalutare, è questo: Luttwak ci dice esplicitamente che ora crede – improvvisamente, come molti altri privilegiati della Corte Imperiale – che una guerra tra NATO/Ucraina e Russia/Bielorussia non potrebbe mai degenerare in un conflitto nucleare.

La pecca nell’argomento è questa: Una guerra di questo tipo si intensificherebbe rapidamente, e inevitabilmente, all’interno del quadro convenzionale in espansione del conflitto.

Le conseguenze sarebbero le seguenti:

PRIMO: non si tratterebbe più di una guerra in Ucraina, ma piuttosto di una guerra che verrebbe combattuta in tutta Europa. La rete di basi NATO verrebbe colpita dagli ipersonici (e da altri efficaci penetratori). Anche le concentrazioni di truppe della NATO – dentro e fuori l’Ucraina – verrebbero colpite. Migliaia di soldati NATO morirebbero. Inoltre, la guerra si espanderebbe rapidamente ai mari costieri, e poi agli oceani. Gli accessi ai porti dell’UE sarebbero minati e molte navi occidentali sarebbero affondate. Le installazioni militari nelle città europee verrebbero colpite (come nel Regno Unito), scatenando un’incontenibile “follia di folla”.

SECONDO: le forze della NATO si troverebbero ad affrontare non solo una sconfitta sul campo in Ucraina, ma anche una disfatta a più livelli. L’escalation in questo caso porta inevitabilmente a una sconfitta più grande e storicamente più umiliante che lasciare che l’Ucraina faccia la pace alle condizioni della Russia.

TERZO: la coscrizione NATO porterebbe a rivoluzioni che rovescerebbero i governi di tutta l’Europa, seguite dalla caduta della NATO e dell’UE. Si veda quanto accadde nel tardo autunno del 1918, in tutta Europa.

Nel panico e nell’isteria assoluta che ne deriverebbero, i “leader” statunitensi potrebbero benissimo arrivare all’impiego del nucleare.

In altre parole: oggi,  la minaccia di un passaggio al nucleare, molto probabilmente, si trova in Occidente (proprio come in un’altra “regione” in difficoltà di cui alimentiamo il grido di guerra – e in questo caso non si trova in Iran, ma in Israele).

Luttwak è solo uno dei componenti la nostra classe elitaria di “sonnambuli” che, come nel 1914, sta portando la civiltà sull’orlo del baratro: E oltre!

 

[1] https://unherd.com/2024/04/its-time-to-send-nato-troops-to-ukraine/...

4 aprile 2024 6 min

Nel 1944, Leslie Groves, il generale dell’esercito americano che gestì il Progetto Manhattan, chiese al suo capo scienziato, J. Robert Oppenheimer, quanto potente potesse essere la loro nuova bomba. Sarebbe 10 volte più potente della più grande bomba dell’epoca, la “bomba antisismica” Tallboy della RAF? O 50 volte, o anche 100 volte? Oppenheimer rispose che non poteva esserne sicuro – all’epoca si temeva addirittura che la reazione a catena esplosiva non potesse mai fermarsi – ma si aspettava una bomba molto più potente di 100 Tallboys. Groves rispose immediatamente che un’arma così potente non sarebbe stata di grande utilità per nessuno, perché i “politici” non avrebbero mai osato usarla.

Nel breve periodo, Groves aveva torto, mentre l’ipotesi di Oppenheimer era corretta. La bomba all’uranio di Hiroshima era infatti più potente di 1.000 Tallboys, con la bomba al plutonio di Nagasaki che superava anche quella. Ma solo cinque anni dopo, la previsione di Groves si avverò. Prima gli Stati Uniti, poi l’Unione Sovietica, e poi tutte le potenze nucleari successive si resero conto che le loro armi nucleari erano troppo potenti per essere usate in combattimento. Ciò è rimasto vero nei decenni successivi, fino all’invasione dell’Ucraina. Perché, nonostante le minacce atomiche di Putin, anche lui è soggetto alla logica della previsione di Groves. Decenni dopo la sua conversazione con Oppenheimer, un breve riassunto storico della guerra nucleare ha molto da insegnarci sulla situazione in Ucraina – e su come la vittoria potrebbe essere ottenibile lì solo con mezzi molto più convenzionali.

La prima prova dell’era nucleare arrivò con la guerra di Corea. Nel dicembre del 1950, centinaia di migliaia di soldati cinesi attraversarono il fiume Yalu per sostenere i loro alleati nordcoreani contro gli Stati Uniti. Con l’America in immediato pericolo di perdere decine di migliaia di uomini, il generale Douglas MacArthur decise che avrebbe dovuto usare le armi nucleari per fermare i cinesi. Di gran lunga il leader militare statunitense più rispettato dell’epoca – aveva guidato le forze americane nel Pacifico dall’umiliante sconfitta alla vittoria totale, e poi aveva agito come imperatore de facto del Giappone riformando il paese – MacArthur si aspettava che Truman acconsentisse al suo giudizio militare superiore. . Invece la risposta è stata un netto no. MacArthur ha insistito ed è stato licenziato.

Truman riconobbe che la natura della guerra era radicalmente cambiata dopo Hiroshima e Nagasaki. Quando autorizzò quegli attacchi, né lui né nessun altro sapeva che le esplosioni avrebbero causato anche una ricaduta di radiazioni, che avrebbe fatto ammalare e persino uccidere migliaia di persone a miglia di distanza dal luogo della detonazione. Inoltre, nel 1945, Truman si trovò di fronte alla prospettiva di perdere molte più truppe americane nella conquista del Giappone che nell’intera Seconda Guerra Mondiale fino a quel momento. I giapponesi combatterono davvero fino all’ultimo uomo e avevano ancora 2 milioni di soldati da spendere. Truman sarebbe stato cacciato dalla Casa Bianca se avesse permesso la morte di centinaia di migliaia di americani rifiutandosi di usare la bomba.

Ma cinque anni dopo, la situazione era molto diversa. Di fronte alla catastrofe in Corea, Truman aveva l’alternativa di evacuare le truppe americane in Giappone se tutto il resto avesse fallito – e quindi non prese nemmeno in considerazione l’uso di armi atomiche. Sotto il successivo presidente, le sue bombe a fissione si sono evolute in bombe a fusione termonucleare almeno 100.000 volte più potenti di Tallboy. Ma ciò non fece altro che rendere il “No” di Truman del 1950 ancora più definitivo. L’astinenza dal nucleare è diventata l’unica scelta possibile sia per gli americani che per i russi, come ha dimostrato in modo precario ma definitivo la crisi missilistica cubana.

Tuttavia, occorrerebbe molto più tempo perché questa logica si trasformi in una dottrina definitiva. Dopo la creazione della Nato, 75 anni fa, e soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, furono compiuti sforzi esaustivi per trarre qualche ulteriore vantaggio dalle armi nucleari e in qualche modo ottenere il sopravvento sulla nuova alleanza occidentale. Le cosiddette armi nucleari “tattiche” non furono realizzate più, ma molto meno potenti, presumibilmente per consentirne l’uso sul campo di battaglia. I loro sostenitori sostenevano che avrebbero potuto fornire potenza di fuoco a un prezzo molto basso, con piccole testate nucleari che replicavano l’effetto di centinaia di obici. Sia le forze armate statunitensi che quelle sovietiche acquisirono debitamente migliaia di armi nucleari: non solo “piccole” bombe per cacciabombardieri, ma anche razzi da bombardamento (alcuni abbastanza piccoli da poter essere trasportati in una jeep), missili antiaerei, siluri e persino cariche di demolizione mobili.

Ma questa illusione non poteva essere sostenuta. I pianificatori militari arrivarono a capire che se i comandanti statunitensi avessero tentato di difendere il territorio della NATO attaccando le forze d’invasione sovietiche con piccole armi nucleari “tattiche”, i russi avrebbero usato il proprio arsenale per distruggere le forze occidentali in difesa. Lo stesso varrebbe per qualsiasi tentativo di sostituire la forza militare convenzionale con armi nucleari. E così si è capito che, sebbene le armi nucleari siano un utile deterrente, possono essere utilizzate solo per contrattaccare un precedente attacco nucleare – e mai per ottenere alcun tipo di vittoria. Così negli anni Settanta, quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica erano impegnati negli elaborati e molto pubblicizzati negoziati sulla “Limitazione delle Armi Strategiche”, i funzionari di entrambe le parti concordarono rapidamente di interrompere silenziosamente lo sviluppo, la produzione e la messa in campo di nuove armi nucleari “tattiche”, prima che smontando altrettanto silenziosamente decine di migliaia di queste armi.

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Di Rajan Menon

Ma alla fine, sono state le più recenti potenze nucleari, India e Pakistan, a dimostrare in modo definitivo la ridondanza delle proprie armi nucleari per qualsiasi cosa oltre la deterrenza reciproca. Nella guerra di Kargil del 1999, che comportò numerose battaglie su vasta scala e migliaia di vittime, nessuna delle due parti tentò nemmeno di minacciare sottovoce un attacco nucleare. E questo è vero ancora oggi. Quando il cane da attacco più forte di Putin, Dmitry Medvedev, ha iniziato ad abbaiare sull’uso di armi nucleari “tattiche” dopo il fallimento dell’invasione russa iniziale nel 2022, sono stati solo i giornalisti meno competenti e quelli obbedienti a Mosca a fare eco ai suoi avvertimenti. Alla fine, dopo diversi mesi di questa follia, Putin è uscito allo scoperto e lo ha detto : la Russia utilizzerà le armi nucleari solo “quando l’esistenza stessa dello Stato sarà messa in pericolo” – intendendo con una corrispondente minaccia nucleare.

La situazione in Ucraina è cambiata di nuovo, ma vale la stessa logica. Invece di frustrati russi impantanati nelle loro trincee, ora è la posizione ucraina a sembrare precaria. Kiev presenta tutto ciò come una questione di materiale e chiede continuamente all’Occidente armi sempre migliori. Tuttavia, anche se potrebbero essere inviati più cannoni e missili, è chiaro che ciò che sta costringendo Kiev a ritirarsi passo dopo passo non è la mancanza di potenza di fuoco, ma la mancanza di soldati.

Fino a questa settimana, la coscrizione obbligatoria in Ucraina iniziava solo all’età di 27 anni, a differenza della norma globale di 18 anni. Zelenskyj ora l’ha ridotta a 25 ; ma con molti ucraini esentati dal servizio, le sue forze armate totali ammontano a meno di 800.000 effettivi attivi. L’Ucraina è ostacolata dalla distribuzione per età della sua popolazione, con bambini e anziani sovrarappresentati rispetto ai giovani nella fascia di età 19-35 anni. Ma il totale delle sue truppe è ancora troppo basso per una popolazione che, secondo la maggior parte delle stime, supera i 30 milioni, considerando che Israele può rapidamente schierare un esercito di circa 600.000 uomini su una popolazione di circa 8 milioni. Ciò significa che, a meno che Putin non decida di porre fine alla guerra, le truppe ucraine verranno respinte ancora e ancora, perdendo soldati che non potranno essere sostituiti. La Russia non ha nemmeno bisogno di inviare le sue migliori truppe per raggiungere questo obiettivo: semplicemente soldati volontari a contratto attratti da una buona paga, o prigionieri russi che scontano condanne penali ordinarie, reclutati direttamente dalle loro celle di prigione. Indipendentemente dalla qualità, però, l’esercito russo supera già quello ucraino e il divario diventa ogni giorno più ampio.

“I paesi della NATO dovranno presto inviare soldati in Ucraina, altrimenti accetteranno una sconfitta catastrofica”.

Questa aritmetica è inevitabile: i paesi della NATO dovranno presto inviare soldati in Ucraina, altrimenti accetteranno una sconfitta catastrofica. Gli inglesi e i francesi, insieme ai paesi nordici, si stanno già preparando silenziosamente a inviare truppe – sia piccole unità d’élite che personale logistico e di supporto – che possano rimanere lontane dal fronte. Questi ultimi potrebbero svolgere un ruolo essenziale rilasciando i loro omologhi ucraini per la riqualificazione in ruoli di combattimento. Le unità della NATO potrebbero anche dare il cambio agli ucraini attualmente impegnati nel recupero e nella riparazione delle attrezzature danneggiate, e potrebbero farsi carico delle parti tecniche dei programmi di formazione esistenti per le nuove reclute. Questi soldati della NATO potrebbero non assistere mai al combattimento, ma non sono obbligati a farlo per aiutare l’Ucraina a sfruttare al meglio la sua scarsa manodopera.

Fondamentalmente, con la Cina sempre più vicina ad un attacco a Taiwan, gli Stati Uniti non possono fornire più truppe delle circa 40.000 già presenti in Europa. Per gli altri membri della Nato, soprattutto per i più popolosi: Germania, Francia, Italia e Spagna, si prospetta quindi una decisione importante. Se l’Europa non sarà in grado di fornire truppe sufficienti, la Russia prevarrà sul campo di battaglia, e anche se la diplomazia dovesse intervenire con successo per evitare una debacle completa, la potenza militare russa sarebbe tornata vittoriosamente nell’Europa centrale. A quel punto, le potenze dell’Europa occidentale dovranno ricostruire le proprie forze armate, che lo vogliano o no, a cominciare dal ritorno del servizio militare obbligatorio. Forse in quelle circostanze potremmo addirittura assistere a un’esplosione di nostalgia nucleare, rifacendoci scioccamente all’illusione che le armi apocalittiche potrebbero essere sufficienti a mantenere la pace.


Il professor Edward Luttwak è uno stratega e storico noto per i suoi lavori su grande strategia, geoeconomia, storia militare e relazioni internazionali.

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