LA CONOSCENZA MIT-DISCIPLINARE, il SOTTOSTANTE ed altro _ di Pierluigi Fagan

LA CONOSCENZA MIT-DISCIPLINARE. MIT qui sta non per il noto istituto tecno-scientifico americano, ma per Multidisciplinare-Interdisciplinare-Transdisciplinare. La forma della conoscenza MIT-disciplinare è una necessaria evoluzione della forma della nostra conoscenza.
Da quando abbiamo fonti scritte sufficienti, quindi più o meno da soli duemilatrecento anni e solo per alcune selezionate aree del mondo (Occidente, India, Cina), rileviamo gli sforzi conoscitivi umani in senso allargato e precisato. Al tempo dei Greci, la prima rivoluzione fu quella del logos, l’approccio logico-razionale che sfidava il precedente dominio dello spirito mitico-religioso-superstizioso. La conoscenza è ancora un tutto, diviso al suo interno ma indiviso nel suo intero. Lo testimoniano l’Accademia platonica e il Liceo aristotelico in cui c’erano studiosi che pur condividendo una filosofia comune, seguivano poi linee di ricerca specifiche, dalla aritmo-geometria alla fisica, dalla politica alla grammatica/retorica. La forma “scuola” risaliva a Pitagora e Parmenide ed era condivisa dagli atomisti, poi dagli stoici e dagli epicurei a modo loro anche dai cinici e megarici, infine pure dagli scettici e zetetici. Il tutto culmina in ambiente alessandrino.
Coi Romani, si eclissa il ruolo collante dell’impostazione filosofica comune e si sviluppano saperi pratici, giuridici, ingegneristici, storici. Dopodiché c’è una presa di potere epistemico della religione cristiana che sormonta l’ordinatore filosofico e lo sottomette nel cortile logico mentre a valle si aprono le scuole del trivio (grammatica, dialettica, retorica) e del quadrivio (aritmetica, musica, geometria, astronomia) ma anche i saperi artigiani e le prime università.
Nel Rinascimento c’è un ritorno della filosofia (e della forma “scuola”) anche in seguito ad alcuni fallimenti concreti della conoscenza religiosa nel secolo che seguì la Peste Nera. Qui si manifesta uno spirito diverso, “olistico”, da “hòlos” ovvero “totale-globale” che ha in Pico della Mirandola il suo profeta.
Ma essendo epoca di transizioni, accanto a questo movimento, si sviluppano i saperi pratici del mondo. Dall’artigianato esplorativo olandese viene fuori il cannocchiale, Galileo incuriosito se ne fabbrica uno suo (con prime nozioni di ottica) e lo puntò su Giove. Copernico aveva già proposto una rivoluzione del punto di vista ponendo il Sole al centro con tutto il resto attorno, cosa per altro proposta già da alcuni Greci, ma a volte le idee non sono importanti solo in sé ma per la posizione che occupano nel contesto.
Da qui inizia un doppio corso della conoscenza. Una linea sviluppa di nuovo la filosofia generale e sempre più diramata nel particolare, che dialoga con la religione con sorti alterne. Dall’altra inizia il percorso delle scienze moderne. Nel XIX secolo accade un terremoto, alcuni sguardi che erano ancora pensati in filosofia (antropologia, cosmologia, psicologia razionali) si emancipano e si fondano come “scienze” propriamente dette. Compare la geologia e la moderna geografia, l’economia si emancipa dalla filosofia morale e si mette in proprio, la grande espansione coloniale porta l’antropologia a contatto con nuovi modi e nuovi mondi concreti. La “società” diventa un ente che merita un suo studio e così la sociologia. La chimica si emancipa dall’alchimia e la biologia prende ramificazioni sempre più complesse. Lingua e linguaggio abbandonano la culla della logica e si mettono in proprio anch’esse. Il movimento all’arborizzazione dei saperi continua lungo tutto il XX secolo, mentre nascono ulteriori sguardi, tra cui l’ecologia e le scienze cognitive mentre lo sviluppo tecnico, dopo il big bang del secolo precedente, arriva a livelli di inimmaginabile potenza e precisione accompagnato da linguaggi e logiche geometrico-matematiche sempre più sofisticate.
Qui, va segnalato lo sconcerto filosofico. Aggrediti da una forma filosofica detta “positivismo” che poi arriva ad occuparsi anche di conoscenza con il “positivismo logico” da cui promanano i presupposti della successiva “svolta linguistica” e l’intero approccio della filosofia anglosassone analitica, i filosofi sembrano perdere ogni oggetto. Ogni oggetto, ogni fenomeno sembra correre verso un suo proprio pensiero.
Ne rimangono smarriti e risentiti. Si creerà una frattura che crescerà sempre più tra gli umanisti che disdegnano il potere epistemico scientifico e quest’ultimo che si autonomina paradigma primo retrocedendo la filosofia e musica per musicisti senza armonia. E dire che sul frontone dell’Accademia platonica, leggenda vuole ci fosse scritto “Non entri chi non è geometra” e del resto l’aritmosofia pitagorica era la base delle famose “dottrine segrete” di Platone, eredità ben conosciuta dall’ultimo “mago”: Newton.
Arriviamo così all’oggi. Oggi i saperi sono esplosi in un albero ormai ampio almeno quanto le sue radici, con saperi, saperi di saperi, specializzazioni che tendono a sapere tutto di niente mentre, sempre più, si sa niente del tutto. Ognuno ha la sua lingua, le sue pratiche, i suoi metodi, la sua gelosa specificità e la presunzione -come le monadi leibniziane- di poter osservare l’universo dalla propria regionalizzata e temporizzata specificità. In effetti, questo corso è parallelo a quello sociale-produttivo della fabbrica, ne riflette la forma.
Due enti, nel frattempo, hanno avuto il loro pari sviluppo di complessità. L’uomo che dal “bipede implume” dei platonici sfottuti dai filosofi delle altre scuole che andavano e gettare polli spennati al di là del muro di cinta della loro comunità di studio e pensiero, ha oggi descrizioni in: fisica, chimica, biologia, scienze cognitive, psicologia, antropologia, sociologia, linguistica, scienze politiche e giuridiche, economia, storia ed ovviamente filosofia, più qualche disciplina intermedia. Ogni studioso di campo, che è finito in una facoltà a volte per puro caso, si è formato a lungo, è diventato un esperto e coltiva il suo sguardo pensando che questo spieghi tutto ed il suo contrario. Oggi poi ogni sguardo disciplinare ha al suo interno svariate teorie per cui lo studioso non pensa solo che con quello sguardo può spiegare tutto ma in particolare con la sua versione teorica. L’altro ente esploso è il mondo la cui complessità è diventata ingovernabile per il pensiero aggiungendovi le forme di conoscenza e pensiero aliene, quelle asiatiche per esempio.
Eccoci qui allora a segnalare il bisogno di una nuova evoluzione della forma della conoscenza umana. Non si tratta, per una volta, di dire questo è meglio di quello, ma di cucire tutti i questi e tutti i quelli, o almeno tendere a…, per affiancare a questo albero sempre più ramificato di particolari, nuove visioni generali composte dal portato delle particolari più la riflessione generale su tutto questo nuovo intero. Una sorta di dialettico ritorno all’olismo, ovvero ritornare all’aspirazione naturale ed umana al sapere qualcosa del tutto o di enti molto complessi, ma con il portato dello sviluppo di tutti i saperi più specifici che nacquero in risposta alle vaghezze quasi sempre a destinazione mistica dell’olismo rinascimentale.
Questo è il sapere complesso, formato dai tanti sguardi specialistici, interrelazioni concettuali tra questi, osservazione dei punti ciechi e parziali che la divisione disciplinare ha creato, messa a dinamica nel contesto storico-sociale, pensando il tutto con le facoltà logico-razionali riflessive e parimenti pensando a come lo pensiamo.
Ne vengono così gli approcci transdisciplinari che cioè attraversano più discipline. Ad esempio, la nozione di “sistema” lavora in fisica, chimica, biologia, scienze cognitive, psicologia, antropologia (in cui per complesse vicende epistemiche lo rinominano “struttura”), linguistica, sociologia, economia, giurisprudenza, scienze politiche, storie e naturalmente filosofia. Cosa ci dice questa applicazione di una forma a priori dello sguardo in così tanti campi, che utilità mostra, che ricchezza esplicativa ha portato, come si fa a mettere assieme tutta questa varietà in una sintesi utile poi per ogni studioso specifico di campo che usa il concetto?
Gli approcci interdisciplinari convergono due o tre discipline sullo stesso oggetto a fenomeno. In biologia è la norma, ma ne nasce anche la geopolitica (geoeconomia), la sociobiologia, l’antropologia economica e molto altro. Si tratta poi di stabilire il metodo, i linguaggi e le logiche comuni di questi approcci che mutuano forme contigue ma diverse.
Infine, il modo multidisciplinare vale soprattutto per gli enti generali e più complessi, l’uomo ed il mondo più di ogni altro. Si tratta “semplicemente” di metterli in osservazione da tutti i punti di vista che pensano di aver qualcosa di utile da dire su quegli oggetti o fenomeni. Questa è, in grande e grossolana sintesi, l’evoluzione MIT-disciplinare, affiancare agli studiosi specifici, studiosi generalisti e farli dialogare per rimettere assieme lo specchio infranto delle nostre immagini di mondo.
Naturalmente questo è solo un post, non mi sfugge il riflesso socio-politico che oppone attrito a tutto questo “facile a dirsi”, solo che lo spazio è già da me abusato. Se ne riparlerà.
Da questo punto di vista si osserva il vociare scomposto degli scientifici contro gli umanistici e viceversa, con scoramento. Si osserva l’ignoranza spesso assai presuntuosa di ogni specializzato o seguace di teorie regionali che ambisce a dire cose significative ed ultime sui campi più vasti, con triste perplessità. Si osserva la patologica proliferazione dicotomica, ad esempio, tra fare e pensare, tra particolare e generale, tra contemporaneo e storico, tra razionale ed emotivo e così via, scuotendo il capo sempre più affranti. Si vede l’eterno ritorno del dogmatismo che è sintomo della fase troppo disordinata del pensiero e la sua pronta antitesi ovvero l’impeto scettico e zetetico, cose viste e riviste nella storia del pensiero ma che ogni volta accadono senza che noi se ne abbia memoria e se ne colga la sintomatologia, il problema sottostante. Tuttavia, proprio dalla conoscenza della storia del pensiero, si sa che è proprio da queste fasi di crisi profonda e necessaria che nasce la fase rifondativa successiva.
Al culmine della modernità abbiamo cambiato radicalmente il mondo, ora si tratta di capire come adattarci a questo nuovo contesto. Impossibile farlo senza considerare le società sistemi complessi, che hanno interrelazioni vitali con altri sistemi complessi, tutti immersi in un contesto o ambiente che perturbiamo, avendo a che fare con qualcosa di radicalmente nuovo sorto in brevissimo tempo e che ci dà pochissimo tempo per trovare la soluzione adattativa.
Occorre rivedere le basi logiche ed aggiornare l’antica dicotomia tra intero e parti, facendo pace col fatto che ogni intero è fatto di parti ed ogni parte dipende da un intero fatti di parti che a sua volta è parte di altri interi nel tutto diveniente. Questo è l’oggetto “mondo”, la sua immagine dovrebbe rifletterne la complessità, altrimenti l’adattamento sarà fallito e le conseguenze saranno assai problematiche, come da più parti e per più motivi stiamo vedendo.
IL SOTTOSTANTE (post di eco-geo-teologia). L’immagine di mondo è il complesso sia del come funziona una mente, sia di ciò che produce, sia di ciò che crede vero o utile. Dell’idm esistono versioni individuali (ognuno ne ha una), di un certo periodo storico, di una certa classe sociale (anche se il concetto di “classe” si è assai complicato da quando veniva usato da Marx), di un certo sesso o genere, di una certa età, di una certa etnia-nazione-civiltà, di vari orientamenti ideologici. Oggetto massimamente complesso, poco indagato, ai più sconosciuto.
Il fatto sia sconosciuto porta spesso a molto tempo buttato nel dibattito pubblico. È praticamente inutile discutere con qualcuno che ha una idm molto diversa dalla nostra, bisognerebbe discutere l’idm non i suoi portati. Discutere i portati è come litigare parlando due lingue diverse e reciprocamente incomprensibili, si capisce che stiamo litigando ma non si capisce su cosa.
Vorrei indicare un sottostante che presto diventerà protagonista delle tempeste polemiche su questo ed altri social.
Il 4 ottobre, papa Francesco (per correttezza voglio specificare che chi scrive non ha credenze religiose) rilascerà la seconda puntata della sua enciclica Laudato sì (2015), nelle intenzioni non una enciclica ma una esortazione. A sue parole: “E’ necessario schierarsi al fianco delle vittime delle ingiustizie ambientali e climatiche sforzandosi di porre fine alla insensata guerra alla nostra casa comune, che è una guerra mondiale terribile” pronunciate nel viaggio di ritorno di quello che pare esser il suo ultimo viaggio apostolico, in Mongolia. Sebbene si chiami Francesco ed il 4 ottobre sia la festa di San Francesco, Bergoglio è gesuita.
Nel XVII secolo, i Gesuiti fecero enormi sforzi coordinati per portare il cristianesimo in Cina. Esemplificativo del movimento, fu Matteo Ricci. I gesuiti prima vissero in Cina per un po’ per capire meglio come funzionava da quelle parti. Conosciuto l’ambiente, cominciarono a tessere le loro reti per cercar di arrivare alla corte imperiale. Capivano che lì bisognava andare alla testa per produrre qualche effetto, ma capivano anche che quella testa era molto complessa ed ereditava credenze secolari difficili da cambiare oltretutto in un auspicato movimento di auto-riforma. Contavano su un set di conoscenze tecno-scientifiche che promettevano di condividere in modo da invogliare ad accettarli a corte, in pratica cercavano di sedurre la casta dei funzionari confuciani stante che il sapere e la conoscenza era centrale nell’idm confuciana.
Nel far ciò si trovarono nel difficile problema della traduzione concettuale e rituale ovvero come rendere compatibili i sistemi di immagine di mondo e rito di celebrazione della sua condivisione, tra confucianesimo e cristianesimo. L’idm confuciana ha al vertice il Cielo che è un concetto di ordine-armonia naturale. L’imperatore -ad esempio- ha o non ha il “mandato celeste” ovvero agisce in armonia all’ordine naturale o meno. Dire che l’imperatore ha perso il “mandato celeste” è metafora del fatto che non va bene, sta deragliando, è fuori il novero dell’armonia naturale. Delle nostre élite contemporanee, potremmo ben dire che hanno perso il mandato celeste anche se per ora vediamo solo la triste collezione degli effetti e non ancora una auspicata loro sostituzione.
I gesuiti pensarono (la faccio facile quindi riduco parecchio la storia) che questo era un buon punto di partenza, il cielo era la casa di Dio, certo tra cielo e Cielo cambia non solo la maiuscola ma il concetto, tuttavia ci si poteva lavorare. Forse però sottovalutarono il problema dei Riti, centrale nella tradizione confuciana. Per mantenere l’obiettivo grosso (la Cina già ai tempi era demograficamente ben più popolosa dell’intera Europa e centrale nell’Asia), si mostrarono molto accomodanti con il problema dei riti che erano immodificabili per i confuciani.
Nella Chiesa, l’ordine gesuita ha un suo concorrente totale, totale significa irriducibile, cani e gatti, juventini ed interisti, progressisti e conservatori, i simmetrici contrari. Questo altro specchiato sono i domenicani. Impegnati in Asia, i gesuiti trascurarono le faide vaticane a cui invece si dedicarono attivamente i domenicani. Così, dal 1704, iniziò la resa dei conti che vide domenicani e francescani prevalere sull’elasticità gesuita, fino a che nel 1742, Benedetto XIV mise la parola fine condannando ogni sincretismo. Qualcuno forse si ricorderà l’omelia di Benedetto XVI la notte in cui stava morendo Giovanni Paolo II in cui chiarì il programma teologico del suo futuro papato puntato prioritariamente contro il “relativismo ed il sincretismo”. “Sincretismo” è quando tenti di mischiare ed amalgamare due cose che c’azzeccano poco una con l’altra. Come si noterà nomi papali e temi ideologici sono collegati ed hanno longeve tradizioni ideologiche. Diventati per ordine papale rigidi sulla faccenda dei nomi e dei Riti, i sacerdoti cristiani vennero espulsi dalla Cina, il progetto gesuita era fallito.
Non è quindi un caso che non potendo andare in Cina, Francesco sia andato almeno in Mongolia lanciando messaggi di pace ed amore verso i cinesi (sono anni ed anni che si lavora per un viaggio del papa in Cina, invano), l’ultimo viaggio, l’ultima missione, l’ultimo onore a Matteo Ricci ed al sogno di portare Cristo e Pechino.
Questa è metà della storia, l’altra metà è l’impegno del papa per la giustizia sociale ed ambientale, da cui sorgerà l’esortazione a sua volta fondata sull’enciclica. Penso sarà il suo ultimo atto significativo per cui prepariamoci per le complesse procedure per avere un nuovo papa, Francesco ha più volte fatto capire che non gliela fa più e da quando Benedetto ha sdoganato le dimissioni papali (atto invero rivoluzionario per un papa ritenuto ultraconservatore, ma Benedetto è anche filosofo e coi filosofi le cose non sono mai semplici), il papa può rimettere il suo mandato celeste. Ratzinger ci ha lasciati l’anno scorso e quindi il ruolo di ex-papa è libero, non si potevano avere due ex-papi quindi Bergoglio ha resistito, ma a fatica.
Visto che andremo prima o poi a nuovo papa, aspettiamoci la guerra dei mondi vaticana ovvero le grandi manovre per spingere un po’ di qui ed un po’ di là, il Conclave. Conclave che Francesco ha riempito di suoi eletti, per pilotare la successione, un po’ come fanno i presidenti americani con le nomine dei giudici della Corte Suprema (analogia stiracchiata ma di qualche utilità per capire le dinamiche dei poteri nelle loro istituzioni).
Grande battaglia sarà svolta con i commenti all’esortazione, soprattutto per quanto riguarda la sensibilità eco-ambientale mostrata in Laudato sì. Tanto per render chiaro il sottostante, il prode Franco Prodi che molti ammirano per le sue sfuriate contro l’ingiustificato allarmismo climatico, è tendente domenicano. Il più anziano dei Prodi, Giovanni, fondò il gruppo Scienza, Fede e Società oggi condotto da padre Sergio Parenti, domenicano, come si evince dal filmato che allego nel primo commento. Secondo questo punto di vista, è impossibile e forse anche un po’ blasfemo pensare che l’uomo possa davvero alterare il clima e l’atmosfera, un ardire prometeico ed al contempo un’ombra su Dio stesso che avrebbe creato una creatura in grado di rovinare la Sua creazione. Un Dio che fa tali errori è un po’ un orrore secondo questa linea deduttiva. Come per altro il simpatico e folkloristico Zichichi, la sciiiiensa, deve dimostrare l’infondatezza di questa assunzione checché ne dicano quelli dell’IPCC ed altri creatori ingiustificati di panico a fini di profitto. Altresì, i gesuiti pensano all’opposto che proprio perché la creazione è di Dio e quindi sacra oltreché vitale, l’uomo deve darsi una regolata se non vuol bruciare prima che nelle fiamme dell’Inferno, in quelle dell’effetto serra e visto che ci siamo, della guerra mondiale a pezzi.
Da dopo il 4.10, quindi, preparatevi alla pioggia di post che ignari del tutto del sottostante confronto tra immagini di mondo tra due longevi ed influenti ordini religiosi cristiani in lotta per l’egemonia della dottrina, inonderanno il social allietandoci per una settimana e passa quando poi verrà fuori un altro Vannacci, Giambruno o un colpo di stato ad Andorra che non è Africa ma come coi virus, quando iniziano i contagi si sa come si va a finire.
Fra un mese potrete sfoggiare le vostre conoscenze sul sottostante teologico tra ordini cattolici facendo un figurone che vi eleverà dalla suburra delle opinioni combattenti.
INIZIARE LE PRATICHE DI DIVORZIO OCCIDENTALE. Abbiamo da una parte società complesse e dall’altra un mondo sempre più complesso a cui queste debbono adattarsi.
Il mondo non è in uno stato omogeneo quindi non possiamo usare il concetto di società complesse come un universale, dobbiamo socio-storicamente determinarle. Altresì, la complessità del mondo è invece un universale, vale per tutti anche se con aspetti e declinazioni diverse.
La determinazione socio-storica che qui ci è propria è inquadrare le società complesse della sfera occidentale. Ma, a sua volta, la sfera occidentale non è un omogeno. Gli interi Stati Uniti hanno pari popolazione ai 20 Paesi dell’euro e per Pil assoluto, UE (27 Paesi) è solo l’80% del Pil americano, UEM (20 Paesi) è solo il 70% del Pil americano.
UE ed Unione europea monetaria sono aggregazioni non sovrane quindi sono imparametrabili, al di là della dimensione (imparametriabile), con una entità sovrana come gli US. Non sono sovrane nel senso che non hanno unità giuridica e politica oltreché fiscale ed economica interna ad una unica sovranità.
Sono profondamente differenti in storia e geografia, gli US, addirittura, sono su un altro continente e la loro superficie totale, quindi l’insieme delle proprie risorse naturali, è il doppio di quello dell’Unione che è comunque una collezione di 27 diversi soggetti.
Sistematicamente, le aziende, il complesso di ricerca, il sistema militare, quello commerciale oltreché industriale, ancora di più quello banco-finanziario americani, hanno molta più massa di ogni pari comparabile europeo vista la diversa demografia. Gli statunitensi sono tra l’altro autonomi energeticamente, gli europei no.
Con il 4,2% della popolazione mondiale, gli americani fanno il 25% del Pil globale mentre con il 5,6% della popolazione mondiale, l’Unione (che è un aggregato statistico) fa solo il 20%, sono quindi e di nuovo condizioni imaparametrabili.
Ne consegue che il problema adattativo per gli americani, per quanto siano “occidentali”, è ben diverso da quello europeo, ammesso esista un soggetto definibile Europa cosa che non è in tutta evidenza.
Onto-politicamente (quindi giuridicamente e militarmente i due fondamentali della sovranità), gli Stati Uniti sono un soggetto, l’Europa è tra una collezione statistica ed una debole e parziale confederazione di soggetti autonomi ed i due comparati, come detto, sono ampiamente difformi e reciprocamente disomogenei, oltre a trovarsi in condizioni di contesto del tutto differenti. Se su taluni aspetti parziali del problema adattativo, questi due diversi mondi possono trovare comune intesa e finalità particolari, sul problema adattativo nel suo complesso non può usarsi la categoria “occidentali” poiché contiene oggetti troppo eterogenei sotto più punti di vista fondamentali.
Non abbiamo ancora invocato altre variabili quali la religione, il pluripartitismo e spesso meccaniche elettive proporzionali, il welfare state, la geografia che vede l’Europa essere una propaggine del continente euroasiatico dirimpetta il continente africano ed il non avere due immensi oceani che la isolano e la difendono dal resto del mondo, la pluralità etno-linguistica, la demografia anagrafica e l’indice di riproduzione, la metafisica. Alcuni, per altro, potrebbero ritenere questo parziale ultimo elenco di tratti soft, anche più decisivi in descrizione di quelli hard prima esposti, tuttavia rimaniamo nelle scansioni logiche quantitative dominanti.
“Occidente” è una categoria parziale e vaga che rischia di dare un senso di unità a qualcosa che non ce l’ha e non può avercela nel profondo. Non ce l’ha a livello descrittivo e non può avercela a livello prescrittivo. Europa è in tutt’altro contesto, ha tutt’altri problemi, ha tutt’altra potenza per poterli affrontare, ha tutt’altra mentalità. Oltre a non essere a sua volta un soggetto ma una categoria in cui infiliamo a forza poco meno di trenta soggetti altamente disomogenei tra loro.
Poiché ogni problema adattativo presuppone un soggetto con una per quanto complessa identità, facoltà e potenza relativa che è colui che deve adattarsi, ne consegue che il principale problema della nostra fase storica ovvero l’adattamento ad un mondo di 8 miliardi di persone che usano i metodi dell’economia moderna per cercare di vivere il più a lungo ed al meglio possibile nel contenitore planetario finito, va affrontato ognun per le proprie condizioni. Ne consegue, in via prioritaria poiché ontologica, che riguarda le fondazioni di ciò che si è, la necessità di prevedere una separazione degli occidenti. Separarsi non è esser contro, è passare da una inesistente comunione ad una possibile e variabile cooperazione o meno.
Chi non segue questo imperativo, presceglie una posizione subordinata del minore (collezione europea) al maggiore e quindi si troverà in condizioni adattative ancora peggiori che non quelle in cui si troverebbe data la sua per altro assai problematica composizione, si troverà cioè strutturalmente in condizione di dipendenza.
La sfida adattiva ha contorni terribili per quantità e qualità delle problematiche, dei cambiamenti, della gestione e dei tempi coinvolti e presupposti, giocarla senza aver capito che l’Occidente è una costruzione fallace e disfunzionale, è condannarsi a fallirla prima ancora di giocarla.
COMPLESSISSIMI NODI. Simpatica intervista a Cacciari che ci illustra temi di dibattito intellettuale italico in quel di Mestre, su cosa ne sarà della globalizzazione in un mondo globalizzato. A me Cacciari sta pure simpatico, quindi nulla di personale, dimentichiamoci il riferimento, seguiamo gli argomenti o meglio le opinioni sugli argomenti. Gli argomenti trattati esistono a prescindere il come e da chi verranno discussi in quel convivio.
C. ha gioco facile a segnalare che il sogno americano del mondo piatto con loro al centro non teneva conto dell’eterogeneità del mondo stesso e della multidimensionalità politico-culturale, ma se è per questo anche economica e finanziaria. Ma fu questo a muovere la prima globalizzazione, quella iniziata col WTO-1994? Questo è quello che hanno raccontato, ma questo “racconto” veniva prima o dopo i fatti? Nel senso, era una strategia pensata o una narrazione posta a dar veste razionale a spinte incoerenti e di breve respiro? Credo che il vero problema di questa storia non stia nel fatto che il racconto s’è rivelato basato su un calcolo sbagliato, ma che è stato steso sopra i fatti “dopo” o “durante” non prima. Non era una vera strategia, in Occidente non si fanno strategie serie da decenni e per l’ottimo motivo che si incontrano difficoltà letteralmente “insormontabili”, si “compra tempo” come ebbe felicemente a notare W. Streeck.
Forse non è ai più chiaro che siamo davvero in un mare di guai sotto diversi aspetti che riguardano potenti e complesse dinamiche storiche, epocali, inedite in senso assoluto. La critica è facile, a seconda di quanto siamo colti sarà più o meno ficcante e precisa, ma il problema sono le soluzioni, non ci sono soluzioni che non implichino fatti che fanno tremare le vene dei polsi, comunque la si pensi in ideologia.
Il personaggio che qui più che filosofo fa il critico letterario cioè tratta narrazioni, passa poi all’UE che -mannaggia- non ha saputo saltare al gradino superiore di unione politica rimanendo in un limbo di vaga struttura economico-monetaria-normativa. Io non so se davvero chi fa questi discorsi crede a quello che dice, sarebbe allarmante. Sono letteralmente anni, più di un decennio che quando sento questi discorsi trasecolo “ma ci fanno o ci sono?”. Non sto dicendo che sono contro o a favore di Europa A o B o C, sto dicendo che sono anni o un decennio che quando sento questa storia dell’unificazione politica dell’Europa rimango allibito come se qualcuno si lamentasse seriamente del fatto che gli asini non volano. Ma c’è qualcuno che davvero dopo l’enunciazione del titolo “Uniamo l’Europa!” ha mai fatto non dico un chilometro, ma almeno qualche metro avanti nella proiezione dell’enunciato? Come? Perché? Con chi? Quando?
Immaginate un parlamento della zona euro, la Germania avrebbe in proporzionale il 25% del parlamento, anche si portasse appresso i voti di Austria, Finlandia, Paesi Bassi ed i tre baltici, arriverebbero scarsi al 35%. Secondo quale razionale questi popoli con loro tradizioni e cultura dovrebbero esser felici di unificarsi col restante 65% che ha tutt’altre tradizioni, culture, modi di intendere l’economia, i valori immateriali e quelli materiali?
Alla prima seduta del parlamento democratico (si spera che questi sognatori dell’Europa Unita vogliano immaginarsela se non davvero democratica quantomeno demo-rappresentativa), il primo ordine del giorno sarebbe la riforma della moneta e l’emissione di debito comune ed i nordici stabilirebbero il primato continentale dei cento metri scappando inorriditi. Da qui, una sfilza interminabile di questioni divisive assolutamente non componibili, sotto nessun aspetto o invocazione di buona volontà. Neanche l’idealista più sfrenato potrebbe davvero prender sul serio una cosa del genere, a meno non sia psicotico. Qui si tratta di avere o non avere in testa minime nozioni di: storia, geografia, demografia, sociologia, economia, finanza, analisi approfondita delle strutture, delle istituzioni e delle culture di tre decine di paesi che vanno dai 400.000 maltesi (fieri di esserlo) agli 80 milioni di tedeschi, cattolici, protestanti, atei, con trenta e più lingue e tradizioni millenarie o secolari divergenti tra cui sistemi giuridici, di educazione, militari, sanitari etc.. Ma di cosa stiamo parlando? Di letteratura e di critica letteraria, appunto.
E di contro, pensate andrebbe meglio riconquistando la piena sovranità (“piena”, si fa per dire, provate gentilmente ad andare a dire a gli americani che dopo la Via della Seta, volete uscire anche dalla NATO) di un paese che perderà altri 5 milioni di abitanti nei prossimi trenta anni? Un paese dipendente strutturalmente ed inevitabilmente su molti aspetti, di 55 milioni di persone con un terzo di anziani, in un mare agitato con americani (330 mio), russi (150 mio ma con 5000 testate nucleari), cinesi, indiani (1,4 mld cad.), arabi e nel 2050, 2,5 miliardi di giovani africani davanti casa?
E la guerra in Ucraina? Come se ne esce? Non come se ne esce, come ci siamo entrati!? È mai possibile che nessuno si domandi come diavolo è possibile che trenta e passa paesi con centri strategici, servizi, think tank, ministeri degli esteri, dell’economia e del commercio, non abbiamo minimamente osservato quale immane casino si stava creando al bordo ucro-russo da almeno sette anni prima che la guerra scoppiasse? È mai possibile che nessuno abbia chiesto il perché di questo immane fallimento predittivo ai propri governi? Ma qualcuno pensa davvero che USA, Russia, Cina, India ma anche molti altri come i sauditi che fanno piani strategici a trenta anni, campino così? Ah oggi, guarda un po’, è scoppiato un conflitto al confine ucro-russo, strano, sarà quel pazzo di Putin che s’è svegliato male, che dici mandiamo un cannone, ma no io sono pacifista. Ma davvero c’è qualcuno che pensa normale pensare che il mondo funzioni così?
E la Cina? Be’ lì c’è il “pazzesco casus belli di Taiwan” dice il nostro. Ma quale diavolo “casus belli”? I cinesi, parecchio tempo fa, avevano annunciato che Taiwan sarebbe tornata in amministrazione cinese entro il 2049. Dopo che l’anno detto nulla è successo, chi mai si occupa di cose così vaghe e lontane nel tempo? Non gliene è fregato niente a nessuno. Ma dopo un bel po’, un secondo dopo l’inizio del conflitto ucro-russo, gli americani hanno cominciato a starnazzare isterici che i cinesi stavano pensando di invadere Taiwan. Prove? Nessuna, non potevano esserci perché era tutto palesemente inventato. Lo stanno creando loro il casus belli, con due anni di continue provocazioni. Queste non sono opinioni, sono fatti, non c’è alcun fatto alternativo che dimostri che i cinesi avrebbero voluto e potuto invadere Taiwan anche perché non sono così dissennati da pensar di fare una cosa del genere, né oggi, né domani. Taiwan al massimo si manipola per qualche decennio fin quando risulterà “naturale” il suo ritorno al limite con vari caveat di statuto più o meno speciale come Hong Kong o Macao. Per i cinesi, ne va della loro reputazione in Asia e nel mondo, prima che preoccuparsi delle nostre paturnie.
Qui il punto è sempre lo stesso, di cosa stiamo parlando di letteratura o realtà? Perché passi l’amore per il genere fantapolitica o fantageopolitica, ma qui il punto, l’urgenza, è che ci stiamo perdendo il mondo, siamo su un binario morto, andiamo a schiantarci e se non parliamo di realtà, finiremo spiaccicati tutti contro spessi muri di fatti duri.
E così arriviamo all’ultima domanda che cita i “complessissimi nodi” di cui il forum discuterà. Ma da questi presupposti i fatti sono esclusi, sono tutti e solo raccontini, desideri, immaginazioni, sarebbe bello che, oh ma guarda come il mondo si sta incasinando eh? Ma a me piacerebbe così e tu? Ah, a me invece anche un po’ così! Eh sì magari hai ragione, dove andiamo a cenare dopo?
Più che discutere il disordine globale, urge discutere il nostro disordine mentale.
Ripeto, non si tratta di un problema Cacciari a cui anzi va riconosciuta almeno una sensibilità politica non banale (almeno in politica interna) e senz’altro un pensiero altrimenti corposo e ben formato (avercene!), è che questo è lo standard intellettuale contemporaneo, a livello europeo direi, non solo italiano. Questo è il modo ed il livello in cui discutiamo di noi, del mondo e della terribile fase storica. L’Europa tutta rifugge la realtà perché troppo complesse le questioni da leggere ed ancor più stretti e radicali i nodi se non da sciogliere almeno da ridurre. E tutti con popolazioni sideralmente lontane dalla corretta percezione dei pericoli che sempre più corriamo e correremo. Vale per il mainstream ma ahinoi anche per molto pensiero critico, vale per gli intellettuali come per la gente comune, passando per politici e giornalisti. Tutti questi strati sono strati di una stessa cosa, non s’è mai visto che al declino di una civiltà ci fosse uno strato (esclusi i visionari individuali che comunque, da soli, possono sì e no andare verso qualche intuizione grezza) che sa quello che gli altri non sanno, vede quello che gli altri non vedono, siamo tutti embedded gli uni con gli altri, siamo tutti nello stesso sistema.
La realtà ci è aliena, siamo tutti seguaci di Calderon de la Barca (La vida es sueño 1635) e siamo in una barca che è “come nave in tempesta” in cui si sogna altri mari, altri tempi, altri futuri o più spesso, passati.
Segue dibattito… (su dove andiamo a cena, s’intende)
[Grazie a G. Passalacqua per lo screenshot, lo posto solo per corredo non è poi così interessante leggerlo davvero]

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