Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (2), di Fabrizio Mottironi
Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (2)
Abbiamo dimostrato che il moderno concetto di “nazione” nasce in un contesto filosofico massone, in opposizione all’idea imperiale e religiosa “sovranazionale”.
Ma torniamo ai Romani, quindi a Roma che la tradizione vuole fondata da vari esuli di altre città italiche, ma non è questo il tema fondante. Il tema fondante di Roma sono le nozioni di “imperator” (che non è l’imperatore, sorta di supremo re per come è indottamente e comunemente conosciuto) e di “augus”. Nozioni molto importanti per capire cosa “muove” l’antica Roma.
Imperator: è così indicato colui che dopo l’”inauguratio” è ricolmo di “augus” (per intenderci l’”ojas” indoiranico) ossia è in grado di raccogliere, determinare e confermare la “maiestas” che il dio Iupiter ha consegnato a Romulus, fondatore della città, per uno scopo: la conquista delle altre città (e del mondo intero) affinché entrino nello spazio “sacro” del re degli dèi.
Il compito di Roma non può che essere ‘imperiale’, come quello dell’impero cinese o persiano o kuṣāṇa o mongolo.
Si parte da un uomo o da una comunità investita da un compito sacro: quello di conquistare il mondo perché tutti gli uomini si sottomettano ai dettami e dell’imperatore investito dal re degli dèi o dal principio del Dharma, ricevendo in cambio la protezione affinché ognuno possa realizzare compiutamente il suo destino e comprenderne i significati ultimi.
La cittadinanza romana viene quindi via via elargita a tutti coloro, anche appartenenti a ‘nazioni’ diverse, che mostrano di essere in grado di condividere, difendere e diffondere il “mōs maiōrum” che poi è il riverbero del principio sacro della stessa “maiestas”. I cristiani con il loro Sacro Romano Impero si muoveranno nella stessa identica logica in qualità di “populus dei” guidati dal loro pastore e pontefice e con un nuovo “imperator”, a volte sì a volte no a lui sottomesso.
Vero che i Romani, come i Greci prima di loro, dividono il mondo tra loro e i “barbari”. Ma questa divisione non inerisce al “sangue”, all’eredità, ma alla capacità di dominare la “cultura” e la “lingua” (ossia il “mōs maiōrum” di riferimento). D’altronde anche i cristiani additeranno i non-cristiani come “nationes”.
Per quanto riguardai miei studi, le uniche tradizioni che fanno riferimento in qualche modo alla stretta eredità famigliare, o di casta, o di sangue, sono quella vedica (con particolare riguardo a quella ancora odierna dei Nambūṭiri del Kerala), quella giudaica (ma solo dopo la riforma esdrina), quella zoroastriana (ma solo quella dei Parsi del Gujarat). Sui Germani è più impegnativo collocarli correttamente, a parte le prime tradizioni longobarde attestate che risultano invece ben evidenti.
Tornando alla Grecia, ad Atene, Zenone di Cizio, di origini fenicie, fondava nel IV secolo a.C. la Stoa dove predicava il primo cosmopolitismo: il cosmo è l’unica patria di tutti gli uomini resi comuni nella loro capacità di pensare, trovando secoli dopo in un imperatore romano, Marco Aurelio, un fervente seguace.
Ma questo solo a veloce titolo esemplificativo. E sempre solo a veloce titolo esemplificativo, ancora secoli dopo un altro fenicio di cultura greca, Porfirio, si scaglierà contro il cristianesimo considerato una “superstitio”, o meglio, un concorrente nell’ideologia imperiale romana.
Quindi i moderni filosofi, massoni, propugnatori della nozione moderna di “nazione” si scontreranno, e non solo culturalmente, con gli eredi della idea imperiale e delle aristocrazie sovranazionali, variamente declinate nei secoli…
Ancora nella modernità, interessante, come al solito, il contributo di Giuseppe Mazzini che indirizza il concetto di “nazione” non sugli abitanti di un territorio preciso ma lo lega a un nuovo termine, quello di “patria”, a sua volta non dipendente dal territorio ma dal sentimento di condivisione tra le genti. Mazzini non era un massone, quanto piuttosto e probabilmente un “carbonaro”, quindi appartenente a un’organizzazione clandestina abbastanza simile alla prima ma di origini diverse, o se si preferisce “eretiche”.
Ecco in arrivo il “nazionalismo”, che però è cosa diversa dai moti nazionali dei nostri intellettuali, più o meno rivoluzionari, sopracitati. È la sua radicalizzazione.
Dapprima il “nazionalismo” si fonda su un diffuso vissuto di “Realpolitik”, poi declina in una vera e propria ideologia. Detto con l’accetta esso parte da intellettuali tardoromantici tedeschi con una imprecisa nozione di “Volkgeist” (nozione già utilizzata dallo Hegel!) per individuare una sorta di spirito “nazionale” che rende la nazione come un ricettacolo che sovrasta i suoi componenti indicandone il destino spesso individuato come “eletto” o “suprematista”.
Gli intellettuali che in qualche modo predicano questo indirizzo sono diversi, tra tutti spicca, quantomeno per spessore culturale e per ruolo politico, il tedesco Heinrich von Treitschke.
Nel mentre sul finire del XIX secolo il tedesco von Treitschke diffonde le sue dottrine, il francese Arthur de Gobineau diffonde le sue, raccolte nel “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”.
De Gobineau predica la razza come il vero fondamento di una nazione. La razza ne decide anche il destino, se la razza si mischia con altre razze, quella nazione sarà destinata al declino. Va da sé che la “razza” più importante e ‘forte’ è quella “bianca”. Ma De Gobineau non inventa nulla, prima di lui altri autori si erano dilettati a descrivere le razze umane, tra tutti il tedesco Johann Friedrich Blumenbach.
Ma il periodo di De Gobineau e di von Treitschke è anche il periodo delle ricerche degli inglesi Herbert Spencer, propugnatore del darwinismo sociale, e di Houston Stewart Chamberlain devoto allievo di De Gobineau (grazie a Cosima Wagner).
La zuppa positivista e ancora liberale incontra il nazionalismo e il piatto è ora pronto per le varie dottrine naziste e fasciste (non sempre omogenee).
Ma la correlazione tra personalità, intelligenza e segno somatico non è proprio solo dei positivisti (eredi dell’Illuminismo) e dei successivi nazisti. Cesare Lombroso ed Enrico Ferri erano infatti convintamente socialisti…
Riassumendo nei primi dell’800 va in voga tra gli intellettuali massoni e romantici la critica all’idea sovranazionale delle aristocrazie europee e all’universalismo cattolico, che fonda l’idea di “nazione”.
Verso la fine dell’800 tale idea si nutre delle nozioni positiviste della “razza” e romantiche della “Volkgeist” fondando dapprima le diverse forma di “nazionalismo”, infine dei movimenti fascisti europei. I quali, sul finire della guerra, individueranno nell’Europa unita l’unica vera nazione. Così l’intellettuale fascista francese Pierre Drieu La Rochelle: «La race des Aryens retrouve son union/Et reconnait son dieu à l’encolure forte./Trois cents millions d’Humains chantent dans un seul camp./Un seul drapeau rouge à la cime des Alpes./Voici les temps sacrés remontant des enfers»…
Oggi gli eredi del nazionalismo radicale sono al contempo anche eredi dell’idea imperiale di Roma o del cosmopolita Federico II di Svevia, sono nazionalisti italiani antieuropei ma predicano il verbo europeista di intellettuali quali Drieu La Rochelle. Poche idee mal studiate e molto confuse… un po’ come la storia della vaccinazione obbligatoria criticata con motivazioni neoliberali… ma sempre tanto entusiasmo….
2 –segue, senz’altro-
NB_tratto da facebook