Qui sotto alcune sensate considerazioni, scovate da Antonio de Martini, riguardanti la vicenda a lieto fine del bimbo ritrovato fortunosamente in una scarpata e qualche aneddoto personale.
Ho passato la mia infanzia in Puglia, in caselli ferroviari lontani chilometri da paesi, centri urbani o un pur qualche assembramento di abitazioni. Ricordo benissimo la mia prima fuga da casa, a nemmeno tre anni, mentre mia madre strigliava i panni all’aperto su un lavatoio in pietra (laturu in dialetto). Si accorse della fuga quando ero ad oltre un chilometro, lungolinea, accanto ad una locomotiva in sosta a fare il pieno di acqua. Ricordo ancora l’imponenza del mostro meccanico che sbuffava con la mia testa che non arrivava nemmeno al mozzo della ruota motrice. Mi richiamò gesticolando e prese a correre per raggiungermi. Io reagii scarpinando sino a raggiungere il casello vicino. L’avventura si concluse con mia madre che profittò dell’occasione per fare due chiacchiere con i “vicini di casa” raggiunti poco dopo mentre questi, compresa la situazione, mi intrattenevano. Da allora ho continuato a girare e cambiare dimora per una vita. Mia sorella invece, terzogenita, era invece specializzata sino ai quattro anni a giocare in mezzo ai binari o alla strada prospiciente. In assenza dei genitori, impegnati a lavoro o per incombenze nel paese più vicino a sei chilometri, avevo l’incarico di vigilare, ma senza particolare diligenza. Mi ricordo di una littorina ferma in un paio di occasioni a una decina di metri, con il conduttore che scendeva per spostare la bimba dalle rotaie; in un’altra occasione di una colonna di quattro/cinque automobili bloccate dalla spensieratezza dell’infanta. Cose che capitavano, ma che oggi paiono assurde in un mondo congestionato e ossessionato, dove i bimbi il più delle volte non conoscono la libertà e l’autonomia, ma l’abbandono e il controllo ossessivo. Altri pericoli, altra vita.
PS 1_ I mezzi a noi disponibili all’epoca per cinque persone (non eravamo benestanti, ma nemmeno poveri), erano una Vespa 125, un quadriciclo su rotaia e i treni che rallentavano a passo d’uomo al cenno di mio padre per farci salire in corsa, visto che era proibito fermarsi fuori dalle stazioni ferroviarie._Buona lettura_Giuseppe Germinario
PS 2_A scanso di equivoci e di interventi improvvidi di qualche solerte funzionario dal protagonismo patologico, i responsabili sono purtroppo deceduti da tempo
La posizione più intelligente che io abbia letto fino ad ora sulla vicenda del piccolo Nicola, l’unica lucidità che a parer mio dovremmo mantenere al momento, è quella della giornalista
Deborah Dirani.
Ve la incollo qui:
“Nicola è tornato a casa, evviva!
Non è finito in un pozzo come Alfredino 40 anni fa, non è sparito nel nulla come Denise nel 2004. Nessuno lo ha rapito e non lo hanno sbranato i cinghiali.
Ha le ginocchia sbucciate e vuole solo le coccole della sua mamma.
Quando sarà più grande, magari, racconterà alla ragazza su cui vuole fare colpo, portandola a scarpinare tra gli alberi, di quella volta che era uscito di casa e si era perso ma non si era spaventato e poi lo aveva trovato un giornalista della Rai che passava di lì.
Possiamo applaudire tutti, ma tutti, per una volta? Possiamo evitare di insinuare dubbi su tre gocce di sangue e un paio di sandalini che “quando mai un bambino di 21 mesi si mette i sandali da solo? E quando mai la mamma lo mette a letto coi sandali? E quando mai un bambino di manco 2 anni si fa tre chilometri a piedi da solo?”
E quanto si può essere cattivi a sbattere sotto il naso del padre di questo bambino un microfono e chiedergli, col sussiego di una signorina Rottenmeier, “come si spiega che un bambino di 2 anni si sia allontanato da solo? Voi dove eravate?”. Che è una domanda così tanto giudicante e inquisitoria da parte di un cronista (visto che si sapeva già dove erano i genitori: a 10 metri da casa a lavorare, non al Billionaire a ballare sui tavoli sciabolando champagne) che viene pagato per raccontare, non per insinuare, che verrebbe davvero da rispondergli (al cronista) “ero a tromba’ la maiala della tu sorella”.
Perché il punto è che, ancora una volta, i protagonisti (loro malgrado) sono due ragazzi non conformi all’immagine che la società ha stabilito come conveniente per due genitori che possano definirsi “buoni genitori”. Pina e Leonardo hanno scelto di vivere in un modo, in realtà, molto più conforme alla natura dell’essere umano di quanto facciamo noi (me per prima) che ci schiantiamo gli occhi e la schiena per possedere cose di cui non abbiamo bisogno ma alle quali non sappiamo più rinunciare (pena il giudizio sociale che ci fa sentire sfigati), paghiamo rate di macchine sempre più grosse e più inquinanti, più adatte a guadare un fiume che a fare la fila in tangenziale, cacciamo centinaia di euro di mutui trentennali per case in cui ci rinchiudiamo come sardine inscatolate.
Se ci danno un tronco di legno, al massimo, lo buttiamo nel camino: Pina e Leonardo ci costruiscono qualcosa. Se vediamo un’ape fuggiamo terrorizzati: Pina e Leonardo ci fanno il miele.
Un’indagine recente ha dimostrato come molti bambini pensino che l’insalata esista solo in busta e se vedono caspo di lattuga non hanno idea di cosa si trovino davanti al naso.
Pina e Leonardo non hanno fatto male a nessuno, hanno scelto di vivere la loro vita in modo decisamente più etico e sostenibile di tre quarti dell’umanità, me compresa che ho più scarpe di quante ragionevolmente possa indossarne in una vita intera (e, nonostante ne sia più che consapevole ne ho appena puntato un paio nuovo che ha un prezzo che è uno schiaffo alla miseria e che, comunque, mi comprerò).
Pina e Leonardo non sono due genitori incoscienti perché mettono a letto un bambino coi sandalini ai piedi ed escono a lavorare, mangiano e poi si accorgono che quel bambino non è più dove lo avevano lasciato. Non sono due sconsiderati hippye (ammesso che gli hippyes lo fossero) che chissà come crescono i loro “poveri bambini e poi vedi cosa succede”.
Perché non esistono genitori infallibili, a prescindere da quanto siano patinati e consumisti. E quello che è successo a questi due ragazzi che hanno la fortuna di vivere in un posto dove non serve avere paura dell’uomo nero e i bambini, anche per questo, sono più autonomi e indipendenti, poteva capitare a chiunque. Perché basta un attimo perché succeda una tragedia.
Ma questa volta non è successa e, dunque, proviamo solo a essere felici per Pina, Leonardo e Nicola che da grande racconterà ai suoi amici di quella notte nel bosco quando lo hanno cercato anche coi droni e a trovarlo è stato uno che aveva un attacco di panico.”
// La pagina di Deborah Dirani: