Storielle che fanno la Storia, di Pierluigi Fagan

Un po’ troppo semplice, ma efficace_Giuseppe Germinario
RACCONTANDO STORIE … duemilacinquecento anni fa, un manipolo di sacerdoti in esilio, butta giù un testo scritto che raccoglie una serie di leggende a cui altre vengono aggiunte pescando nel milieu narrativo babilonese. Raccontano che esiste un popolo, un popolo di pastori seminomadi che finalmente avevano fatto un piccolo regno stanziale, poi fallito, e che quel popolo è il prescelto da un tizio che in una settimana ha creato il mondo, anzi sei giorni più uno di riposo. Questi pastori mediamente ignoranti ci credono e nella misura in cui tutti loro credono alla stessa storia, ecco che davvero si forma un popolo. Un popolo che, unico caso nella storia umana, non ha una terra e pure persiste nella sua auto-convinzione di identità, forse superiorità, razziale, per duemilacinquecento anni. Solo perché tutti credono alla stessa, per quanto incredibile, storia.
Raccontando storie, altri sacerdoti che pescano in un canone dall’incerta formazione, convincono i poveri di mezzo Mediterraneo, che “popolo” va inteso in senso largo, non razziale o etnico. Basta credere tutti di essere popolo di Dio e siamo tutti popolo di Dio! La cosa frutta una certa mal precisata forma di vita eterna, promessona, voliamo alto, altro che. La cosa funziona, ci credono in molti, tanto che ad un certo punto le élite romane del tempo, debbono a loro volta far finta di credere alla storia perché avranno anche armi e soldi quindi potere, ma se ciò che è nella testa del popolo è diverso da quello che dicono loro, non potranno a lungo rimanere la loro élite, armi e soldi poco fanno col potere della credenza condivisa.
Più tardi, un mercante forse affetto da crisi epilettiche, nota di appartenere ad un gruppo etnico che non si pensa come popolo, proprio com’erano gli ebrei dell’origine. Va spesso a Damasco, nota che ci sono i cristiani su fino all’Anatolia, ci sono i Persiani ai tempi sasanidi. Gli uni e gli altri spadroneggiano su quelli del suo gruppo che però non si pensa ancora come gruppo, e non si pensa come gruppo perché non ha una storia condivisa nelle molte menti. Così gliela dà ed inventa gli arabi e poi i sottomessi a Dio (muslim). Oggi sono 1.600.000.000 quelli che credono a quella storia e crescono incessantemente. Funziona alla grande.
A parte i primi, gli altri due passeranno molto tempo a litigare al loro interno su chi è più conforme alle definizioni fondative e chi meno, ma passeranno anche più tempo a convincere altri che è bello appartenere al loro stesso modo di pensare, più siamo meglio è per tutti! Sebbene predichino la fratellanza universale, uccidono, massacrano, violentano, muovono possenti eserciti, incoronano re e califfi, supportano vari tipi di poteri gerarchici locali, mille ed un modo per sottomettere i Molti ai Pochi di cui loro curano la narrazione. Nella misura in cui molti credono a quelle storie, nella misura in cui condividono quello che hanno in testa, agiscono come un sol uomo, ordinati, corali, coordinati, asserviti anzi auto-asserviti.
I primi, invece, se la passarono così, così. Non tanto con gli islamici la cui storia è molto copia-incolla con quella vetero-testamentaria e con cui il mercante ha convissuto molti anni a Medina prima di fargli guerra rompendo la fratellanza (cuginanza, forse) originaria, quanto con i cristiani che pensano di seguire una versione di Dio detta Cristo mentre gli altri due inorridiscono a questo cripto-politeismo fatto di ipostasi, santi, trinità e pasticci narrativi figli di commistioni neo-platonizzanti di ambienta caucasico-siriano-caldeo forse pure con spruzzi di ermetismo egizio. Da quella parti la storia è un racconto incredibilmente complicato e pure bellissimo. Ostracizzati in mezza Europa si rifugiano dagli arabi, alcuni però resistono fino a quando tornano in auge perché gli inglesi del Seicento vengono colti dall’illuminazione e cominciano a raccontarsi tra loro la storia che sono proprio loro, gli inglesi, il nuovo popolo eletto. Poiché gli altri erano anche banchieri e la cosa interessa molto il popolo dei mercanti inglesi, li invitano a migrare da loro. Successivamente, anche gli inglesi oltreoceano, cominciano ad un certo punto a sentirsi “popolo eletto” e ricevano con piacere questo antico popolo che nel frattempo, oltre che nella gestione dei denari, s’è sempre più specializzato nel raccontare storie. Un popolo figlio di un racconto che dice del tizio che in pieno delirio creativo creava tutto ed il suo contrario solo nominandolo per cui “In principio era il Verbo”, va da sé che si convince dell’importanza della parola, della frase, del racconto, della storia narrata più che di quella vissuta davvero. Diventano allora professori, giornalisti, scrittori, molti sceneggiatori, psicoanalisti, prendono una specie di monopolio del narrativo.
Raccontando storie una intera civiltà s’è convinta di esser il vertice del progresso umano, anche se ancora settanta anni fa s’è ammazzata in mille ed un modo al suo interno facendo un centinaio di milioni di morti ammazzati. Gente che, come per altro è successo per secoli e secoli, s’è convinta del principio anti-biologista per cui è bene morire per qualcosa, esser un eroe, salvare la Patria, difendere la credenza condivisa, uccidere chiunque sia Altro solo perché Altro. Con i sacerdoti che benedivano le armi, i morti, giustificavano i massacri anche solo col silenzio poiché in contesti in cui vigono le storie, anche i silenzi raccontano e dicono.
Dentro questa “civiltà”, alcuni si sono innamorati della storia che la società tutta funziona meglio perché il lattaio ed il macellaio sono egoisti e perseguendo il loro avido egoismo ci portano carne e latte tutte le mattine sotto casa evitandoci la mucca in cucina che a parte casa Bersani, è un po’ un ingombro.
Altri si son dati un gran da fare a convincere tutti gli altri che vivono in società dalla convenzione politica di tipo “democratico” e via Pericle, Partenone, Platone (pensa te che confusione, uno dei massimi e più sofisticati teorici antidemocratici), non ci possiamo certo lamentare perché è auto-evidente che viviamo nel migliore dei mondi possibili ed anzi, dovremo darci da fare a liberare il mondo intero, uccidendo, torturando e violentando per portare a tutti la democrazia. Mica siamo egoisti no? Noi siamo “universali”. Chiamano democrazia una evidente oligarchia ma chi se ne frega, mica è venuto fuori un manipolo di filosofi politici a dirgli “oh ragazzi, ferma un attimo, qui parola va da una parte e cosa dall’altra, fate casino così”. No, i filosofi politici erano appresso ad altre storie, come tutte le élite si interessano poco di come evitare che nelle società si formino élite. A parte uno svizzero, ma si sa gli svizzeri sono una cosa a parte. C’è conflitto di interessi anche nei filosofi, peccato dovevano esser i guardiani della riflessione ma si vede che non hanno ben chiaro il concetto. Capita.
Uno di loro ha l’intuizione di dire che tutte queste storie sono storie, sono false, riflettono solo interessi di potere, il che è per lo più vero anche se la faccenda non è del tutto così semplice. A sua volta racconta una storia, ma il pregiudizio verso le storie in generale (il tizio era di origine ebraica tra l’altro e non c’è nulla di peggio di ebrei che odiamo l’ebreitudine) gli fa azzeccare alcune cose ed altre molto meno. I suoi seguaci continueranno a svalutare ogni tipo di storia perché il mondo non va avanti per ciò che la gente ha in testa, no. Infatti tutti i potenti del mondo e della storia stessa sono un branco di imbecilli poiché per secoli e secoli, la loro prima preoccupazione è stata controllare le storie. Dalla biblioteca di Alessandria, allo sterminio dei dotti confuciani con rogo di ogni copia dei Lun Yu, le storie che non si potevano controllare andavano fisicamente distrutte. I linguaggi esoterici, il possesso esclusivo della scrittura, il possesso degli archivi, il diritto a pensare, a narrare, a salire sul pulpito o alla radio o alla televisione, oggi Internet, forgiare interpretazioni, far scomparire fatti solo perché non li si nominano e quindi non esistono, dare i nomi, stabilire i concetti, dettare le agende, forgiare i modi pensare, le logiche, le conoscenze. Chissà perché?
Non importa se dal Chiapas o dalle comunità andine, alle donne del Kerala che con un indice di istruzione del 99% sono l’unico posto in cui gli indiani hanno messo sotto controllo l’eccessiva esuberanza riproduttiva, dalle teorizzazioni sull’istruzione popolare di base di Condorcet all’”Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza” di Gramsci, ogni volta emancipazione fa rima con istruzione. No, non importa, le storie non sono cose serie, la pressa con l’olio che gronda e l’altoforno sono cose serie.
Le società sono fatte di individui, gli individui agiscono mediando intenzioni e reazioni con ciò che hanno in testa. Lì c’è il giusto e lo sbagliato, il vero ed il falso, il ciò che si può pensare e dire e ciò che non va pensato e detto. Ed è in base al funzionamento di questo labirinto di sensi unici e vietati che si giunge all’azione. Controlli il labirinto, ci metti dentro il Minotauro, è fatta, controlli il mondo.
Abbiamo bisogno di nuove storie. Segnalo questo libricino solo per chiudere il post di oggi, ha le sue ingenuità e superficialità, non lo segnalo perché folgorante. Però ha il merito di porsi questo problema, il problema delle storie che ci raccontano ed a cui crediamo anche quando sono pazzescamente false, più di quanto possiate immaginare. Ed anche il problema di quali storie invece ci converrebbe darci per sfuggire al dominio coatto di quelli che infilandosi tra le tue sinapsi, dominano il tuo stesso essere nel mondo insegnandoti pure a dire che è giusto così perché così è sempre stato e sempre così sarà.
Giorno di liberazione, mi sembra tema appropriato. Auguri.