noterella d’autore su un autore, di Massimo Morigi

 

In “Navigazione a vista” Roberto Buffagni dà mostra (o, meglio, dà una delle sue migliori conferme) di due importanti qualità. La prima è quella di acuto osservatore politico che però, proprio per una sorta di  intimo autorispetto alla sua profonda intelligenza, non afferma di avere la verità rivelata in merito a vicende di cui  è osservatore e non protagonista diretto (sul perché delle mosse di Salvini nel mettere in crisi il governo avanza infatti due scenari alternativi e contrapposti).

Questa “modestia” nel porsi è dote quasi unica nel panorama degli italici commentatori, i quali in ragione di qualche misteriosa grazia divina a loro accordata pretendono di sapere tutto (e pretendere quindi di spiegare tutto)  della politica e delle sue vicende ad un popolo che suppongono in estatica attesa dei loro vaticini, mentre in realtà così ridicolmente profetando e/o (anti)vedendo dimostrano non solo di non capire nulla della politica ma anche della vita di ogni giorno (un po’ come coloro che vogliono giudicare la vita di un’altra famiglia basandosi solo sui racconti dei coniugi, mentre non bisogna essere psicologi laureati ma semplicemente essere dotati di semplice buonsenso  per sapere che il non detto conta più del detto e questo non detto, in politica come nella vita familiare, può essere, almeno in parte, solo conosciuto da chi è dentro una specifica vicenda).

La seconda qualità è la davvero formidabile capacità di fornire uno sguardo prospettico di natura culturale all’attuale polarizzazione della politica italiana (progressisti-mondialisti vs antiprogressisti-nazionalisti), sguardo prospettico che, al contrario del doveroso suo riserbo di natura personale prima ancora che teorico nel giudicare le mosse tattiche dei protagonisti della politica (Buffagni prima ancora che fine teorico della politica è fine filosofo a trecentosessanta gradi e quindi è assolutamente intransigente  in merito alla sua divisa di “modestia” tipica di colui che sa di non sapere), abbandona, e con pieno diritto, la prudenza che dovrebbe sempre connotare chi giudica la ratio delle altrui motivazioni ma produce con assoluto ed  inconfondibile   nitore la chiara ed inequivocabile rappresentazione di quello che è (al di là delle ridicole ed inadeguate figure di coloro che dovrebbero mettere in campo questa guerra )  lo scontro strategico (politico, culturale ed economico) in atto oggigiorno non solo in Italia ma anche in tutto il resto del mondo  globalizzato post caduta del muro di Berlino.

Buffagni fa professione di “modestia” dove tutto il resto degli altri commentatori (leggi pennivendoli di grido) tonitruano  ad usum delle masse e fa mostra – assolutamente giustificato! – del massimo orgoglio filosofico-politico  per indicare che il re è del tutto nudo. Insomma tutto il contrario degli attuali commentatori pennivendolari orgogliosi dove dovrebbero essere modesti e mestatori e/o fumosi e, comunque, mai coraggiosamente espliciti quando si tratta di affrontare argomenti che necessitano una globale (e quindi) nitida visione d’insieme (al massimo si rifugiano, e questo lo fanno con notevole protervia, nella solita propaganda democraticistica e ricadono quindi nello schema già detto dell’arroganza ma con ancora maggior ridicolo nei loro confronti: se infatti si può pensare che un osservatore sia più addentro a certe oscure manovre ma non lo dice per non bruciare le sue fonti e/o non sputtanarsi nel suo ruolo di osservare “neutrale”, per giustificare la loro ridicola propaganda e le loro affermazioni apodittiche altro non rimane che invocare l’intervento di qualche oscura potenza plutonica o celeste).

Insomma, per farla breve, l’unione delle due sopraddette caratteristiche fa di Roberto Buffagni un commentatore  davvero unico nell’attuale (misero) panorama italiano, una sorta di “occhio d’aquila” che vede benissimo laddove viene investito dalla luce ma che sa affidarsi anche ad altri sensi, cioè alla aristotelica phronesis, laddove quest’occhio non possa operare, dando così mostra di una prassi teorica –  anche se non di una teoria della prassi perché su quest’ultimo punto io da lui amichevolmente dissento – che dimostra di aver benissimo appreso – e di sviluppare con impareggiabile e clausewitziana maestria  – i capisaldi del conflitto espressivo-dialettico-strategico del Repubblicanesimo Geopolitico.

Grazie ancora Roberto.

Massimo Morigi

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