Il Grafico Definitivo, di Giuseppe Masala

Qui sotto un post dell’economista Giuseppe Masala tratto da https://www.facebook.com/bud.fox.58/posts/2352245748167070

Il dibattito pubblico da diversi decenni è incentrato sul problema del deficit e del debito pubblico. Più volte abbiamo sottolineato che il modo di porre un problema e stabilire priorità dipende da precise finalità politiche nella fattispecie italiana lesive degli interessi e dell’autonomia politica del paese. In realtà più che di debito si dovrebbe discutere delle modalità di utilizzo del risparmio nazionale. Molti aspetti riguardanti la qualità della nostra classe dirigente risulterebbero evidenti.Giuseppe Germinario

Il Grafico Definitivo.

Se guardate il grafichetto sotto che rappresenta il saldo Target2 della BCE sommata al saldo cumulato della Bilancia dei Pagamenti italiana potete apprezzare come in Italia siano impiegati quasi 300 miliardi di capitali esteri a fronte di quasi 800 miliardi di capitali italiani impiegati all’estero. Ciò significa chiaramente che siamo di fronte alla più grande fuga di capitali dal Sistema-Italia della storia. Quasi 500 miliardi di risparmi italiani utilizzati all’estero. Come mai questi danari sono impiegati all’estero e non Italia? Semplice, perché lo stato italiano non può indebitarsi in ossequio ai parametri di Maastricht. O meglio ancora, chiamiamo le cose con il significato proprio: lo Stato italiano non può mobilitare il risparmio degli italiani per erogare beni e servizi agli stessi italiani. Il debito pubblico così va inteso (e così andrebbe chiamato): “Risparmio interno mobilitato dallo Stato”. Il debito pubblico non è il debito del bottegaio.
Dunque, si può dire senza tema di essere smentiti che il debito pubblico (o le “risorse italiane mobilitate dallo stato italiano”) potrebbe essere più alto di quasi 500 miliardi senza che lo stato italiano assorba neanche un centesimo dal risparmio dei nostri “amici” stranieri. [Ovviamente semplifico, perché è chiaro che se lo stato italiano desse una spinta poderosa alla spesa pubblica, agli investimenti, dovrebbe mobilitare meno perché una determinata quantità Q della cifra in questione verrebbe mobilitata dalle imprese private e dalle famiglie]. Abbiamo dunque margini enormi. Eh, ma il debito pubblico al 60% del Pil? Semplice, non significa nulla. Nulla. Nulla. Il 60% è troppo per il Venezuela e l’Argentina che rispettivamente hanno un rapporto debito/pil pari al 30% e al 50% ma non riescono a sostenerlo perché hanno i conti con l’estero totalmente scassati ed è pochissimo per il Giappone che ha un rapporto debito/pil pari al 250% perché ha dei conti con l’estero (e risparmi dei giapponesi) floridissimi.
E allora perché gli “amici” europei ci sottopongono da anni a water bording fiscale all’inseguimento di un rapporto debito/pil del 60% che non significa nulla pur sapendo che abbiamo la possibilità di mobilitare risorse italiane fino a 500 miliardi di euro? Semplice, perché hanno trovato la Cuccagna nelle formichine italiane. Se non è il nostro stato a mobilitare per noi queste risorse [Perché gli è impedito da regole folli e senza senso in valore assoluto ma valide solo se viste in relazione ai conti con l’estero] le mobiliteranno loro: se qui nessuno le può impiegare il risparmio italiano corre all’estero.
Perché la Cuccagna? Semplice, pensiamo ai nostri fraterni amici tedeschi che ci impongono austerità: ci danno tassi negativi sui loro Bund decennali: ciò significa che lo stato tedesco mobilita risparmio italiano facendo pagare gli italiani (tasso negativo) per dare miglior istruzione, miglior cultura, miglior infrastrutture, miglior ricerca, migliore sanità… ai tedeschi. Si, si, avete capito bene, noi italiani riceviamo tassi negativi dai tedeschi per consentire ai tedeschi di godere della vita e soprattutto di darci pubbliche lezioni su come si sta al mondo sottoponendoci a pubblica gogna e facendoci passare per cialtroni.
Questo è il perverso meccanismo di Maastricht e del Fiscal Compact e delle folli e insignificanti regole quali l’output gap [che è un non sense applicato a cose macroeconomiche] e l’applicazione di stupidi modelli econometrici. Scoppiamo di soldi e ci fanno la lesina sugli 0,1% di spesa calcolati sulla base di un modello econometrico che come tutti questi modelli del menga lasciano il tempo che trovano.
Perché la classe dirigente italiana [mi riferisco a quella che capisce e capiva, non al diplomato in dentiere Zingaretti. Sia detto senza offesa] accetta tutto questo? Un Padoa Schioppa è ovvio che conosceva le identità della Contabilità Economica Nazionale e lo stesso un Monti ma erano e sono accecati dall’idea dello Stato Minimo, dello Stato Sentinella: bisogna affamare “la Bestia” [lo Stato] per costringerlo a uscire dalle cose economiche per concentrarsi in quelle poche cose che secondo i dogmi liberisti lo stato deve fare: Difesa, Giustizia, Pubblica Sicurezza e Stop.
Altri come Prodi, semplicemente perché di economia non capiscono nulla: si si, l’hanno fatto professore, lo chiamano “economista” ma questo non capisce una beata mazza. Proprio non conosce le identità contabili. Non sa nulla. Se no come lo spieghi uno che farnetica di necessità “di attrarre i capitali stranieri in italia” quando i dati ci dicono che scoppiamo di risparmi nostri che non possiamo utilizzare in ossequio a parametri folli e siamo costretti a impiegarli a tassi negativi per esempio in Germania? Solo un cretino può dire cose del genere, e se cretino non è fate voi le ipotesi che preferite.
E nel frattempo in Italia ci crollano i ponti in testa. Stanno per andare in pensione 50000 medici e non possiamo sostituirli perché – nonostante i nostri giovani fanno a pugni per riuscire ad entrale in una Facoltà di Medicina – formarli costa soldi e lo stato non può spendere. Una follia.

E qui la finisco, perché se inizio a scrivere tutto quello che dovrei scrivere Céline sarebbe un dilettante dell’insulto. Batterei anche il suo virtuosismo nell’Arte Sublime.

Un’ultima cosa. Il grafico che vi propongo non viene da chissà quale sito complottista ma direttamente dal Bollettino Economico 1/2019 della Banca d’Italia (pag. 24). Una prece e sipario. Amen.

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