DALLA STORIA PROFONDA, DI PIERLUIGI FAGAN

A proposito di contesto e induzione. Il ruolo della componente soggettiva?_Giuseppe Germinario

NOVITA’ DALLA STORIA PROFONDA. E’ ormai in pieno corso una rivoluzione paradigmatica nel campo della storia umana pre-antica. L’ Antichità e la sua storia narrativa, inizia con le prime forme di testimonianze scritte, circa cinquemila anni fa. La storia profonda è quella che la precede e sconfina con la paleoantropologia, avvalendosi di archeologia, geologia, biologia, climatologia e tutto ciò che può aiutare a ricostruire il quadro. Il processo è fortemente abduttivo, secondo Peirce, la vera forma del pensiero scientifico, l’unica forma che davvero produce nuova conoscenza.

Il focus della rivoluzione paradigmatica è nel periodo che va dal 15000 a.C. al 3000 a.C., un periodo prima segmentato tra Paleolitico superiore, Mesolitico e Neolitico, classificazioni che hanno due problemi collegati: le due principali (paleo-neo) vennero fatte nel 1865 quando le prove dei tempi addietro erano ben scarse e prese in esame solo per i cambiamenti nella lavorazione della pietra. La mentalità dominante al tempo era prettamente da Rivoluzione industriale. Oggi usiamo una grandissima massa di scavi e reperti, un grande ventaglio di discipline che ci raccontano cose dei tempi profondi che esulano dalla morfologia dei soli strumenti di pietra. Scaviamo un po’ dappertutto e sono spuntate fuori talmente tante incongruenze con la narrativa consolidata (Kuhn), da necessitare quello che oggi è il salto paradigmatico ad una nuova ricostruzione comprensiva.

In breve, non c’è stata nessuna rivoluzione neolitica, l’agricoltura non è stata “inventata” ma praticata per 10.000 anni prima come cura del selvatico, poi orticultura, poi agricoltura intenzionale, sempre come integratore alimentare di un dieta molto variata (caccia, pesca, raccolta, vari tipo di coltivazione) offerta dalle “terre umide”, prima di diventare l’unica forma di sussistenza. Ciò si è accompagnato con la domesticazione animale che è altrettanto longeva. La stanzialità è altrettanto antica, ancora quattromila anni prima della nascita del binomio stabile agricoltura-stato, c’erano città di 5000 abitanti che o non coltivavano nulla o molto poco.

Hobbes, Locke, Vico, Morgan, Engels (Marx), Spencer, Spengler, sulle orme di Giulio Cesare, hanno confezionato una narrativa moderna retro-proiettata su un telo bianco passivo che ha dato l’illusione di conoscenza reale quando in realtà si trattava di cinematografia. Non fu l’innovazione umana a cambiare la storia, né il motore primo fu il modo di produzione che cambiò come adattamento e non di sua spontaneità, né tutto ciò fu un progresso ma semmai un triste adattamento a condizioni sempre più strette, la faccenda durò migliaia di anni.

Nella Mezzaluna fertile allargata, il motore degli eventi del tempo profondo fu un meccanismo di correlazioni tra geografia, demografia, ambiente-clima. Il clima che s’avviava alla de-glaciazione subì uno shock tra il 10.800 ed il 9.600 a.C., poi una lunga fase “paradisiaca” (a cui si riferiscono tutte le mitologie antiche inclusa la Genesi che è solo quella che qui da noi si conosce meglio) e di nuovo un beve shock intorno al 6000 a.C. . Le comunità umane si mossero nei territori in virtù delle migliori ecologie locali, crescendo con una certa continuità. Più crescevano e si stanzializzavano, più aumentavano le epidemie, più aumentava la fertilità riproduttiva per compensare. Dopo il 6000 a.C., clima più secco, aridità dei terreni dovuta a molti fattori, rendimenti decrescenti della sussistenza mista, portarono ad un ricorso sempre maggiore all’agricoltura. Questa, tra l’altro, retroagì sulla complessione umana fragilizzando le ossa, rimpicciolendo il cervello, de-complessificando la mente umana esternalizzando la complessità nella struttura sociale (divisione del lavoro necessitante prima coordinamento e poi gerarchia), tutte dinamiche che rinforzavano il processo che le causava (rinforzo di feedback).

Tanti stimoli si possono trarre da questo cambiamento paradigmatico in corso: come usiamo le discipline se in forma integrata o imperialistica (oggi ad esempio l’economia), come consideriamo il tempo storico (a lunghe transizioni o a balzi “rivoluzionari”), quante variabili inseriamo nei modelli descrittivi (sistemica e complessità delle descrizioni) (da dopo McNeill ovvero da dopo quello che i meno addentro alle faccende degli storici scambiano per dopo Diamond, le epidemie sono diventate un fattore decisivo prima del tutto ignorato), l’antropocentrismo motore mosso poi da chissà cosa lascia il campo all’ adattamento condizionato dal fuori di noi, cambiano modi di considerare la società complesse ed i modi di produzione, la gerarchia e la guerra, la convivenza interna alle società, tra le società tra loro, tra le forme associate di vita umana e l’ambiente in cui crescono o decrescono periodicamente, per non dire delle trasformazioni di cultura materiale e non, incluse le concezioni metafisiche, teleologiche, escatologiche ed il senso della faccenda se ce ne è uno o più d’uno o nessuno.

Il libro postato (che sto studiando) non è che una delle tante ricostruzioni aggiornate che contemplano alcuni importanti risultati della ricerca degli ultimi venti anni, non è detto sia il miglior modo di interpretare i fatti ma i fatti usciti dalla ricerca sono tutti riferiti e quindi aiutano a farsi una idea complessiva. Qui una recensione da parte di un grande archeologo (che stimo molto) diverso dall’Autore, J.C. Scott, che è un professore di scienze politiche nonché antropologo di tendenze anarchiche di Yale, fortemente influenzato da Karl Polanyi.

Si cambia il modo di leggere il passato, quando si è spinti a trovare nuovi modi di leggere il presente ed il futuro. Oggi è uno di quei momenti. Meno male che c’è almeno un campo in cui il pensiero umano prende il moto ondoso, la bonaccia intellettuale prelude a morte certa.

Consiglio la lettura di questo articolo prima del libro: https://www.lrb.co.uk/…/steven-mit…/why-did-we-start-farmin