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CAOS MIGRANTI/ “Politica in Africa e caos in Libia, tutte le colpe della Francia”_tratto da ilsussidiario.net

Pubblichiamo una intervista al generale in pensione Marco Bertolini sul tema della gestione dei flussi migratori

CAOS MIGRANTI/ “Politica in Africa e caos in Libia, tutte le colpe della Francia”

tratto dal sito http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2018/6/23/CAOS-MIGRANTI-Politica-in-Africa-e-caos-in-Libia-tutte-le-colpe-della-Francia-/826985/

Per il generale MARCO BERTOLINI bisogna insistere a bloccare ogni rotta via mare dalla Libia, perché al momento non è possibile inviare forze militari ai confini subsahariani

Il presidente francese Emmanuel Macron (LaPresse)Il presidente francese Emmanuel Macron (LaPresse)

Circa l’80% del patrimonio economico dei paesi cosiddetti subsahariani, le ex colonie francesi come il Niger, la Repubblica Centrafricana, il Ghana, il Senegal, il Mali, è gestito direttamente da Parigi in cambio di pseudoaiuti economici. La moneta di riferimento è il franco, cosa che li assoggetta economicamente ancor di più a Parigi. Qui, ci ha detto il generale Marco Bertolini (ex comandante del Coi, a capo di operazioni speciali in Libano, Somalia, Balcani e Afghanistan), la Francia ha migliaia di soldati impegnati in azioni di guerra a favore di una parte piuttosto che l’altra. Per Parigi basta che rimanga il predominio francese: “Qui la Francia non ha mai fatto niente per bloccare i flussi di migranti che si recano in Libia, dopo aver fatto saltare quel tappo che si chiamava Gheddafi e che teneva lontani questi flussi”. Per Bertolini, un blocco delle frontiere libiche del sud da parte di contingenti militari è praticamente impossibile, l’unica maniera è aumentare il blocco fino a farlo diventare totale delle rotte via mare.

Generale, in un modo o nell’altro, prima con Minniti adesso con Salvini, ci si sta avvicinando a un blocco dei flussi migratori via mare verso l’Italia. Il problema però è che i migranti continuano ad arrivare in Libia attraverso la frontiera sud, quella del Sahara. Bloccare quell’ingresso con contingenti di polizia militare sarebbe fattibile?

Il termine polizia militare è un termine poco corretto. Può essere utile spostare forze militari sia nei paesi subsahariani che in Libia per cercare di contenere lì sul posto i flussi migratori. Questo però non può prescindere da accordi con paesi che hanno una loro sovranità, indipendenza, una loro dignità. Accettare forze straniere non tutti sono disposti a farlo, altrimenti saremmo già presenti.

Basterebbe tenere le forze militari dentro i confini libici, o no?

E a chi chiediamo l’autorizzazione? Ad Haftar, a Serraj, ai tuareg del Sahara? Non possiamo andare senza permessi e imporre la nostra presenza, ci possiamo andare se siamo richiesti e accettati. Non vedo uno qualunque dei due attuali governi libici disposti ad accettare una presenza militare italiana. Noi abbiamo già a Misurata dei militari, un ospedale da campo e dei consiglieri militari ma sono presenze poco significative. L’idea di bloccare i confini sahariani è interessante ma al momento del tutto teorica.

Già ai tempi del ministro Pinotti il parlamento con accordo bipartisan si era detto disposto a togliere truppe italiane da paesi come l’Afghanistan o il Kosovo e mandarli in Africa.

Si era pianificato di andare in Niger, ma solo per addestrare le loro forze militari contro i jihadisti. Il ministro della Difesa nigerino aveva detto sì ma quello degli Esteri no e tutto è finito lì.

Quindi considera questa strada del tutto impraticabile?

La nostra presenza sarebbe importante in quei paesi per rinsaldare vincoli economici e diplomatici, ma al momento la strada da percorrere è ancora quella di togliere quel magnete che c’è in mare, le navi Ong e di altri paesi europei, che danno ai trafficanti la certezza che il loro carico sarà preso da qualcuno. Ci vuole dello stomaco almeno all’inizio, possono esserci anche incidenti ma a lungo andare si risparmiano vite. Una volta che non ci fosse più nessuno in mare pronto a portare i migranti in Italia, questo mercato dovrebbe finire. Navi Ong che operano sottocosta alla Libia sono un obiettivo facilissimo da raggiungere per chiunque dopo poche miglia in gommone.

Potrebbero volerci anni, non crede? Intanto la Libia continuerebbe a riempirsi di migranti fino a diventare una sorta di bomba che implode su se stessa.

Certamente, infatti questa azione sul mare va integrata anche da misure come quelle che ha detto lei, va fatta una pressione molto forte sui governi africani, dobbiamo pretendere che blocchino questo traffico, usando armi economiche e diplomatiche, mettendo in gioco quel po’ di forza se ancora l’abbiamo.

C’è poi la presenza francese in questa parte dell’Africa che è totalizzante, difficilmente accetterebbe la presenza su territori da cui ha vantaggi economici enormi di altre nazioni, non crede?

Infatti, a maggior ragione. In quei paesi la Francia sì che ha voce in capitolo, ha in mano l’economia, le monete locali hanno come riferimento il franco, ma non ha mai fatto niente per aiutare a interrompere il flusso che la Francia stessa ha innescato togliendo il tappo che si chiamava Gheddafi. La Francia ha nel Subsahara  migliaia di soldati, se volesse fare qualcosa lo potrebbe fare. Se parlasse con quei governi si otterrebbero risultati. Noi possiamo farlo con la Libia ma al momento manca un interlocutore.

(Paolo Vites) 

IUS SOLI 2, di Roberto Buffagni

Ius soli 2: mi spiego meglio.
Che succederebbe nei prossimi tre-cinque anni, se venisse approvata la presente proposta di legge sull’estensione dello ius soli? Niente di che. Forse – non è detto – il partito promotore si prenderebbe qualche centinaio di migliaia di voti in più, e tutto il resto, salvo grossi imprevisti, resterebbe immutato.

L’analisi molto sintetica che ho proposto qui https://italiaeilmondo.com/…/26/ius-soli-di-roberto-buffagni/ non riguarda gli effetti immediati di questa legge, illustra in breve un fatto: che il regime politico nel quale viviamo, la democrazia rappresentativa a suffragio universale, NON è adatto per una società multiculturale. A una società multiculturale è invece adatto un altro regime politico, l’impero. Qui aggiungo che non si passa da un regime politico all’altro, dallo Stato nazionale a democrazia rappresentativa all’impero, spingendo un interruttore: se c’è un luogo e un tempo in cui non si profilano neanche le condizioni minime per la nascita di un impero, questo luogo e questo tempo sono proprio l’Europa e il 2017.
L’Italia e l’Europa, insomma, sono Stati-nazione, il cui regime politico è la democrazia rappresentativa a suffragio universale – credo impossibile che la UE si trasformi in un vero e proprio Stato federale, tipo Stati Uniti d’Europa – che devono fare i conti con una realtà, l’immigrazione di massa, per la quale NON sono predisposti. Quali sono i principali problemi che devono e soprattutto dovranno affrontare, e per quale ragione ritengo che l’estensione dello ius soli sia un provvedimento sbagliato e controproducente?
1) Premessa: nelle intenzioni dei promotori, questa proposta di estensione dello ius soli è il primo passo per ulteriori allargamenti e facilitazioni, tendenzialmente sino alla concessione automatica della cittadinanza a chiunque nasca su suolo italiano o europeo. Non dispongo di facoltà telepatiche, ma il metodo “dal dito al braccio” è carissimo alle classi dirigenti UE, e comunque la logica sottesa alla proposta di legge è quella.
2) Concedere con facilità e tendenzialmente a tutti gli stranieri regolarmente residenti in Italia i diritti politici ha alcuni effetti molto importanti sul lungo periodo (20-30 anni). Attualmente, risiedono regolarmente in Italia circa 6 MLN di stranieri, di varia nazionalità ed etnia. Nel loro insieme, gli stranieri presentano una curva demografica di molto superiore a quella, preagonica, degli italiani. Quanto più facilmente e rapidamente gli stranieri otterranno i diritti politici (la cittadinanza cambia questo, non il resto) tanto prima si ridisegneranno tutti i bacini elettorali dei partiti politici, e il profondo mutamento della domanda provocherà un profondo mutamento dell’offerta politica. Sintesi: la linea di frattura politica principale tenderà a divenire veteroitaliani/neoitaliani.
3) I motivi per cui questo avverrà sono molti. Uno è, paradossalmente, la necessità di integrare socialmente gli stranieri. La principale forma di integrazione (integrazione, non assimilazione) è l’integrazione sociale. Per integrare la massa crescente di stranieri, molto probabilmente si farà ricorso a forme di “affirmative action” sul tipo di quelle adottate a favore delle minoranze etniche negli USA, cioè a dire forme di accesso privilegiato all’assistenza, all’istruzione, al lavoro: la funzione economica degli immigrati è fornire forza lavoro a basso costo, e senza un congruo salario indiretto, un salario diretto molto basso non basta per vivere. Ce n’è già una forma embrionale oggi, ed è il metodo di calcolo dell’ISEE introdotto nel 2015, profilato per favorire un tipo di nucleo familiare (3 figli o più, non proprietario di casa o titolare di diritti reali come l’ usufrutto sull’abitazione) che NON corrisponde al tipico nucleo familiare italiano ma al tipico nucleo familiare straniero. La pura e semplice introduzione di misure di affirmative action provocherà un forte e crescente conflitto per l’appropriazione delle risorse-welfare tra vetero e neoitaliani. E’ già avvenuto negli USA, dove le ultime elezioni presidenziali hanno dimostrato plasticamente che il sistema politico si sta ridisegnando su base etnica.
4) L’integrazione sociale, pur necessaria, NON produce automaticamente l’integrazione culturale e antropologica. Sradicarsi e gettare nuove radici in nuovo suolo è un processo lungo e difficile, che spesse volte fallisce. Il passaggio più delicato e difficile è quello delle seconde e terze generazioni, che non si formano più nell’ambiente culturale di provenienza, e non si formano ancora nell’ambiente culturale di arrivo, patendo così una tensione esistenziale molto seria. Lo mostra con chiarezza la dinamica rilevata in Francia, dove a radicalizzarsi nel jihadismo sono quasi sempre neofrancesi arabi di seconda o terza generazione, che dopo essersi allontanati dalla religione e dai costumi familiari e aver assorbito, della cultura ospite, solo il peggiore individualismo, vanno in crisi esistenziale, e “mettono la testa a posto”, cioè riescono a conferire un senso alla loro vita alla deriva, solo radicalizzandosi nell’islamismo jihadista. Segnalo en passant che queste persone sono tutte scolarizzate nel sistema scolastico francese.
5) Uno spiritoso commentatore, dissentendo dal mio mio articolo ha scritto: “Varrebbe la pena di rimettere i piedi per terra e considerare ad esempio che per lo sport lo jus soli funziona già!” Il suo invito scherzoso è quanto mai opportuno per descrivere il problema che si presenterà all’Italia e all’Europa delle prossime generazioni, in presenza di importanti – e crescenti, a cagione della dinamica demografica – percentuali di stranieri immigrati titolari dei diritti politici. Nelle competizioni sportive, infatti, il conflitto NON degenera in conflitto a morte perché tutti i giocatori accettano, non in conformità a una decisione razionale ma dandole per scontate e avendole assimilate sin dall’infanzia, le regole del gioco; e perché c’è un arbitro che NON ha bisogno di una scorta armata per farsi obbedire. Nel conflitto politico, accettazione irriflessa delle regole del gioco e rispetto delle decisioni arbitrali sono manifestazione visibile dell’invisibile “idem sentire” tra i cittadini, che provando sentimenti, più o meno vivi, di lealtà verso la loro nazione e le istituzioni che la reggono, si astengono dallo spingere il conflitto politico oltre la soglia della sovversione (per esempio, non manifestano armati, se danneggiati da una decisione del governo non attentano alla vita dei ministri, etc.). Finché le cose vanno così, il conflitto politico resta conflitto tra avversari, che possono scontrarsi con durezza e anche odiarsi di cuore ma che non spingono la lotta sino al conflitto tra nemici, che è il conflitto a morte.
6) Non sempre va così. Vent’anni fa, alle porte di casa nostra, si è consumata una guerra civile terribile, nella quale uomini che sino a cinque minuti prima convivevano pacificamente, pur confliggendo politicamente come avversari per le più svariate ragioni, cinque minuti dopo hanno cominciato a massacrarsi, senza risparmiare donne, vecchi e bambini. I campi in conflitto si sono disegnati, guarda caso! lungo linee etniche e religiose: perché le differenze etniche e religiose sono le più profonde e incomponibili. Sino a cinque minuti prima, non sembrava proprio, ai futuri combattenti, che etnia e religione fossero così importanti: anzi, la comunità politica che da più generazioni riuniva i futuri nemici era ufficialmente atea e universalista, e le sue istanze autorevoli, a cominciare dalla scuola, insegnavano a tutti l’oscurantismo delle religioni, la malvagità del razzismo, l’eguaglianza tra gli uomini, la fraternità socialista, eccetera. C’erano matrimoni misti (pochi, è vero), c’era pacifica convivenza, c’era un buon livello di istruzione, pubblica e gratuita per tutti; non c’era ricchezza diffusa ma neanche miseria; c’era un’antica civiltà europea, e una piacevole vita quotidiana, come sa chiunque vi abbia trascorso qualche giorno di vacanza nei tempi beati precedenti il patatrac. Poi, tàc! Un urto dall’esterno – il crollo del sistema di alleanze sovietico – e la Jugoslavia si è trasformata in ex Jugoslavia. Il transito alla nuova e attuale versione è stato una passeggiata in un mare di sangue.
Mi sono spiegato meglio?

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