“I conquistatori”, recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange_A proposito di privatizzazioni e interesse nazionale

  1. Lannutti – T. Alterio – F. Fracassi, I conquistatori, Roma, 2018, p. 176, € 15,00.

Questo è il terzo libro che gli autori dedicano alle vicende economiche del recente passato; tratta delle privatizzazioni che hanno connotato le politiche economiche di molti paesi occidentali, con riguardo – quasi esclusivo – a quelle italiane. Il giudizio è negativo; parte della tragedia del ponte Morandi, che rivelò all’opinione pubblica come la vendita di Autostrade abbia generato enormi profitti per l’acquirente-concessionario, dovuti – anche – ai risparmi sulla manutenzione delle opere.

Analizzando buona parte delle privatizzazioni la costante principale che ne ricava è che sono state assai profittevoli per gli acquirenti, ma, di conseguenza, assai poco per il venditore (lo Stato italiano nelle sue varie articolazioni).

Le notizie che si scorrono nella lettura sono in larga misura già note: il pregio del libro è averle organizzate in un tutto organico che ne rende manifesta la logica generale come i rapporti tra i protagonisti pubblici (creditori) e privati (acquirenti). Curiosamente  in Italia il maggior privatizzatore è stato il centro-sinistra (altrove sono stati i partiti di destra).

Il motivo esternato di tante (e imponenti) svendite era non tanto d’opportunità economica, ma ideologica: si voleva ridurre la presenza pubblica nell’economia perché si riteneva la mano invisibile del mercato migliore e più razionale produttrice di ricchezza.

Solo che a riprendere la teoria di un economista come Friederich List ciò che è valido per l’economia globale, può non esserlo per l’economia nazionale, ossia per le comunità umane organizzate in Stati; del pari ciò che è economicamente vantaggioso può non esserlo per l’interesse nazionale (il bonum commune) che è il fine della politica.

É il caso di ricordare che è legittimo e prevedibile che il privato operi per il proprio profitto, cioè l’interesse individuale (anzi e proprio questo il presupposto della “mano invisibile”); ma, del pari – è – o meglio dovrebbe essere – che il pubblico operi per quello pubblico. La conseguenza è che nella generalità delle situazioni c’è la necessità di bilanciare (e regolare) interesse pubblico e interessi privati, senza enfatizzare l’ “appartenenza” al settore d’attività. L’esempio di “scuola” è quello del monopolista: il quale di solito manovrando per il proprio interesse privato spesso danneggia quello pubblico, quello dei consumatori e, ovviamente la stessa dinamica concorrenziale. Non è detto quindi che, specie nell’assenza o nell’insufficienza di una regolazione appropriata e di procedure trasparenti, la mano invisibile non finisca per impinguare sempre gli stessi portafogli. Proprio quello che purtroppo è spesso capitato nelle privatizzazioni-maccheroni realizzate in Italia.

Queste sono state frequentemente caratterizzate da condizioni di grande favore per gli acquirenti. Gli autori, pagina dopo pagina mostrano che i corrispettivi di cessione erano modesti rispetto al valore delle aziende e dei beni ceduti; che spesso quanto comprato è stato rivenduto a terzi a prezzi enormemente superiori; che privatizzatori pubblici e acquirenti privati erano legati da interessi, frequentazioni, affari; frequentemente lo erano quanto meno i primi con i consulenti che avrebbero dovuto assisterli (a pagamento) nelle procedure. Inoltre “Era il 1992. Il cartello finanziario internazionale aveva messo gli occhi e le mani sul nostro Paese con la complicità e la sudditanza di una nuova classe politica imposta dal cartello stesso. Il suo compito era quello di cedere le banche e i gioielli di Stato italiani ai potentati finanziari internazionali anche attraverso il filtro di imprenditori nostrani”.

La stessa “tangentopoli” è quindi vista dagli autori in quest’ottica: occorreva delegittimare e detronizzare la vecchia classe dirigente della prima repubblica, meno incline a realizzare il piano. Manovra reiterata nel 2011, col governo Monti, dato che Berlusconi era meno disponibile a favorire gli interessi stranieri a scapito di quello nazionale, come fatto dal “governo tecnico” xenodipendente.

Nel complesso un libro interessante, documentato e che si spera, possa contribuire a un common sense del popolo italiano più consapevole dei propri interessi e meno influenzato dalle derivazioni del terzo millennio. Ossia dell’occultamento di interessi sotto la copertura di obiettivi esternati che coniugano idola a carattere economico (tecnocrazia, progresso) con  idola a carattere morale-legalitario. Quelli, come diceva Craxi, dei moralisti “un tanto al chilo”.

Teodoro Klitsche de la Grange