GLI USA NEL LABIRINTO MEDIO-ORIENTALE, di Fabio Falchi

GLI USA NEL LABIRINTO MEDIO-ORIENTALE

In questi giorni sembra tornato di attualità il paragone tra la Clinton e Trump. Ma è una questione che si pone in termini sbagliati se non si distingue tra Trump in quanto avversario della Clinton e Trump in quanto presidente degli Usa.

Il primo Trump era un “estraneo” per il deep State, ossia per l’élite Usa che guida la globalizzazione e che da tempo ha separato il proprio interesse da quello della società americana nel suo complesso. Trump si è fatto invece portavoce di quest’ultima e per questa ragione ha sconfitto la Clinton.

Come presidente degli Usa però Trump non può “ignorare” che le basi della potenza degli Usa dipendono ormai dal ruolo di gendarme mondiale dell’America, che deve tutelare in primo luogo gli interessi dei gruppi dominanti occidentali.

Con l’elezione di Trump alla Casa Bianca è venuta alla luce questa contraddizione, che non è senza relazione con il declino degli Usa come centro egemonico, a causa della nascita di altri centri di potenza i cui interessi sono differenti e in alcuni casi perfino opposti rispetto a quelli dei gruppi dominanti occidentali, a loro volta in lotta tra di loro per conquistare nuove posizioni di potere o semplicemente perché perseguono fini diversi.

Il programma di Trump quindi era chiaro: difendere gli interessi della classe media Usa, ridefinire i rapporti con i gruppi dominanti occidentali e cercare un compromesso con la Russia di modo da lasciare tempo e spazio agli Usa necessari per ristrutturare il quadro dell’economia mondiale su basi nuove e più favorevoli alla società americana nel suo complesso.

Ma imperialismo Usa e multipolarismo non sono affatto facili da conciliare, tanto più che rinunciare al primo significherebbe per gli Usa, che dipendono orami pressoché totalmente dal Warfare State, andare incontro ad un declino di potenza incontrollabile e inaccettabile.

Si tratta ovviamente di un problema che va ben oltre la persona di Trump, che peraltro si è rivelato anche sotto questo profilo tutt’altro che deciso e capace tanto che il deep State è riuscito a mettere nel governo Usa due falchi come Pompeo e Bolton – certo avvantaggiato dallo stesso Trump che, del resto, ha sempre appoggiato la politica di Israele e dei sauditi contro l’Iran, non diversamente dai falchi neocon.

Questo groviglio di contraddizioni è reso ancor più ingarbugliato dalla mancanza di una strategia Usa chiara e definita, il che ha portato gli Usa a perdere l’iniziativa in una zona chiave come il Medio Oriente, in cui l’America adesso non solo rischia di perdere un alleato prezioso come la Turchia ma, per non essere declassata ad attore geopolitico di secondo piano, rischia, per così dire, di “andare a rimorchio” dalla politica israeliana e saudita. Insomma gli Usa si sono cacciati in un vicolo cieco.

Quel che davvero conta allora non è se Trump sia o no un falco o se sia più o meno capace (certo non è un’aquila….), ma come i vertici degli Usa intendono confrontarsi con la questione del multipolarismo. Una questione che fino adesso di fatto gli Usa non hanno affrontato, perché in sostanza non sono affatto disposti né sono pronti a confrontarsi su un piano di parità con altri attori geopolitici, in primis la Russia.

IRAN, COSE CURDE_ di Antonio de Martini

IRAN: COSE CURDE

KERMANSHAH, ZANJAN, IZEH, tutte località poste in zona curda.
Abbiamo visto come i curdi siano sparsi su quattro confini: Iran Irak, Turchia e Siria.
I curdi iraniani sono alla testa dei moti di questi giorni. E non possono fare marcia indietro. Hanno già versato sangue.

L’obbiettivo USA nel fomentare questa rivolta priva di capi e di programmi ( come in Libia…) è anzitutto calmare le paure israeliane inducendo gli iraniani a ritirare i loro volontari all’estero ( Siria, Irak, gli istruttori di Hezbollah in Libano e in Yemen).

L’idea non è malvagia in se, ma è foriera di un danno maggiore a carico degli USA rispetto alla minaccia a Israele che permarrà intatta.

Anzitutto l’espansione iraniana è dovuta più alle sciocchezze fatte dagli USA ( dare il potere agli sciiti in Irak e attaccare a freddo la Siria, far eleggere alla presidenza in Libano il generale Aoun invece che Samir Geagea).

Secondo poi, affidare ai curdi anche questa funerea incombenza ( hanno già ucciso un poliziotto) rappresenta IL TERZO COLLANTE in un mese che lega in una coalizione dai comuni interessi L’Iran, la Siria, l’Irak e la Turchia contro un comune nemico oltre alla vicenda di Gerusalemme e del problema palestinese.
Tutti col patrocinio russo.

Adesso i quattro stati – oltre al Libano- hanno un nemico per ora militarmente imbattibile, Israele, e uno bastonabile a piacere: i curdi.

La reazione anti USA ha numerose possibilità .

La guerra in Afganistan ne trarrà certamente nuova linfa e i diecimila yankees in arrivo non basteranno più, tenuto conto che Trump ha appena litigato con il Pakistan che è l’altro paese confinante e permeabile a piacere dai guerriglieri afgani e in flirt coi russi.

Quindi gli afgani coi ” safe heaven” da uno sono passati a due ( Iran e Pakistan)
I curdi da tre safe heaven, sono passati a due ( Siria e Iran) e poi a uno ( Iran) e adesso, nessuno.

Il Presidente USA ha detto che “un regime che dura da quaranta anni è ora che cambi.” Giustissimo ( vale anche per noi che li abbiamo sul gobbo da settanta?), ma come?

Vediamo cosa succede se si verificasse un “regime change.”

Cade il solo Rouhani. Verrà un Ahmadinejad e non un democratico a 18 carati. Credo che non convenga a nessuno.
Assieme a Rouhani cade il regime clericale. Dubito che nasca un regime democratico.
Caduti i preti ( da sempre sostenuti dagli inglesi) verrà certamente un regime nazionalista ispirato a Mossadeq ” il vecchio padre della Patria, che accentuerà il suo appoggiarsi alla Russia e vorrà consolidare la propria sfera di influenza nel bassopiano arabo accentuando le pressioni su Bahrein ( sciiti dove c’è la base navale USA della flotta del golfo persico) e Arabia Saudita ( zona est dove ci sono sciiti e petrolio).

Quanto al ritiro dei volontari iraniani dai vari impegni esteri, non se ne parla.
Finora l’esercito non è stato utilizzato perché all’estero hanno mandato solo la milizia su base volontaria. L’esercito verrà impiegato contro i traditori e si scateneranno i pogrom.

Con un buon coordinamento tra i paesi interessati, di curdi presto non se ne troverà più uno. Intanto, Yeni Safak e Yeni Akit, due giornali turchi accusano apertamente gli USA, mettono in guardia contro escalation e dicono apertamente che, in caso di successo, l’obbiettivo N 2 sarebbe la Turchia.
E le stelle ( e strisce) staranno a guardare, sempre più isolati.

Post aggiornato nel finale sulla posizione della Turchia.

FRONTIERA E SOLITUDINE, di Antonio de Martini

due incisivi post di Antonio de Martini

SOLITUDINE

Chi volesse indicare l’uomo più solo della terra in Trump o Netanyahu, sbaglierebbe.

Si chiama Mohammed ben Salman, Crownprince dell’Arabia Saudita e difensore delle città sante di Mecca e Medina.

Novanta anni fa, conquistando l’Hejaz, suo nonno Abdel Aziz Ibn Saud aveva spodestato la dinastia Hashemita – la più longeva della terra- e su questa conquista aveva fondato la sua dinastia.

Oggi, dopo aver perso la guerra in Yemen e tentato di provocare una catastrofe umanitaria che ha causato un milione di casi di colera in un paese con nove milioni di abitanti; dopo le voci di contatti nemmeno troppo segreti con Israele; dopo non essere riuscito a gestire la crisi siriana e dopo essersi classificato buon ultimo nell’elenco dei difensori della santità di Gerusalemme ( dopo i rivali di area e religione Turchia e Iran e Giordania) , è detestato anche dal re suo padre nei momenti di lucidità.

Lo stuolo di familiari arrestati ” per corruzione” il giorno dopo essersi insediato alla presidenza della commissione anticorruzione da lui stesso istituita, non ha migliorato la sua situazione relazionale.

Potrebbe riallacciarsi agli USA, offesi dal fatto che ha dovuto votare contro Trump alle Nazioni Unite, se solo non avesse tolto i membri della casa reale dai posti di ministro degli esteri e di Ambasciatore a Washington per sostituirli con funzionari privi di relazioni di lunga data e di qualità.

Ora tenta di rimediare liberando i tre figli dell’ex re Abdallah.
Mitaab ben Abdallah, il più influente, ha comunque ormai sborsato un miliardo di dollari di ” ravvedimento operoso” pochi giorni fa e non deve essere di buon umore.

Gli altri due fratelli Mishaal ben Abdallah e un altro che ora non ricordo, sono stati liberati ieri presumo come gesto di buona volontà e forse su pressione USA-UK congiunte.
Troppo poco e troppo tardi e c’è sangue versato da lavare.

Penso che più che aiutarlo ad uscire dall’isolamento, alla prima occasione gli faranno la pelle per aver messo in pericolo la dinastia e il suo ruolo di protettrice delle città sante: Mecca, Medina e Gerusalemme, ridando vita e significato alla dinastia degli Hashemiti che regnano sulla piccola Amman, ma ricordano tutto

FRONTIERA

BEIT JENN nella zona di Jabal El Cheikh è il luogo sconosciuto più sensibile del Vicino Oriente.

Situato nel triangolo tra Libano, Siria e Israele è stato presidiato dai mercenari di Al Nusra fino a due giorni fa quando è stato espugnato dall’esercito siriano.

Con la ripresa del controllo di questa zona strategica che domina le alture del Golan, Assad è tornato a contatto diretto con Israele, vanificando il piano israeloamericano di impiantarvi una zona cuscinetto. Molto di questo fallimento è dovuto al governo giordano che ha fatto orecchie di mercante alle reiterate proposte USA di mandare truppe a rinforzo dei mercenari antigovernativi.

Il rifiuto giordano a combattere in favore di Israele ha rinsaldato rapporti arrugginiti e dato uno strumento negoziale alla monarchia Hashemita che osserva con attenzione gli errori sauditi nella mai sopita speranza di tornare al controllo delle città sante dell’Islam.

Partiti con lo scopo di rovesciare il regime siriano, gli Stati Uniti avevano nell’ultimo anno ridimensionato le proprie ambizioni alla creazione di una zona cuscinetto a protezione dei confini di Israele. Adesso resta loro soltanto di erogare la causa curda limitatamente al confine siriano.

Le grandi speranze accese dalle sette primavere arabe hanno prodotto una montagna di morti anche se i due regimi superstiti ( Siria e Bahrein) si sono salvati al prezzo di affidarsi a eserciti stranieri.
Negli altri cinque paesi il “regime change” non ha prodotto che qualche irrilevante cambio di persone al potere.

Israele, nato come rassicurante testa di ponte dell’occidente a difesa del fianco destro NATO, si è sviluppato al punto da provocare una reazione di rigetto che ha disarticolato l’intero fianco destro dello schieramento e consentito alla Russia una penetrazione politica mai sognata nemmeno nei momenti di massimo splendore imperiale.
Complimenti!

TRUMP UNIFICA IL MONDO ARABO E RICOMPATTA L’ISLAM CONTRO ISRAELE. POSSIAMO APPROFITTARNE. di antonio de martini

oggi, 6 dicembre, Trump – per rispettare una promessa elettorale- riconoscerà Gerusalemme capitale di Israele e trasferirà l’ambasciata USA costì. È una scelta che mi ricorda l’adozione del proibizionismo che si ritorse contro gli autori e poi dovette essere rimangiata.

Non accadrà nulla di epocale, tanto la impopolarità e l’odio nei confronti degli Stati Uniti erano già al massimo storico e così rimarranno molto a lungo.

Diversa la situazione di Israele che potrebbe essere nuovamente isolata mentre stava per incassare il riconoscimento saudita, che ora non potrà non sfumare.
Si intravede una nuova rottura dei rapporti con la Turchia e forse persino con l’Egitto.

Per riempire il vuoto politico ed economico che viene lasciato dagli USA ( che a loro volta avevano sostituito gli inglesi dal 1948 in poi) ecco apparire la Francia di Macron.

È possibile che al vuoto politico segua quello economico deciso a livello popolare, che potremmo riempire noi, dato che il gettito maggiore gli USA lo registravano negli approvvigionamenti alimentari all’area MENA e noi potremmo intervenire proficuamente in tutta l’area facendo uscire dallo stato di crisi le fabbriche di pollame e carne non suina in scatola,tabacchi,bibite e dolciumi, condizionatori, distribuzione energetica ecc.

Il settore trainante dell’economia USA non è mai stato la tecnologia o gli armamenti, bensì l’agroindustria e il suo maggior cliente è proprio il mondo arabo.

Per noi è una occasione da non perdere.

Politicamente, il mondo intero – il mondo islamico moderato in particolare- vede questa scelta come un grave errore ed uno schiaffo alla credibilità ONU oltre che ai leaders arabi alleati che vedono traballare i loro troni. Difficile che qualcun altro leader si dichiari alleato o amico degli USA di Trump. Nemmeno i curdi.

Oltre ai tradizionali avversari, anche il Vaticano che puntava alla internazionalizzazione di Gerusalemme e i cristiani palestinesi si muoveranno in senso contrario a queste scelte USA.

Credo che nessun paese occidentale seguirà l’esempio americano e la speranza di promuovere una qualche forma di pace tra palestinesi e israeliani andrà in soffitta per un bel pezzo.

Per ogni paese che trasferirà l’ambasciata a Gerusalemme, si apriranno opportunità commerciali per noi se ci allineeremo col Vaticano invece che con Trump e suo genero.

La conseguenza politica di maggior rilievo, sarà l’atteggiamento delle Nazioni Unite che vedono stracciata la loro storica risoluzione costitutiva dello Stato di Israele del 1948 che in contemporanea stabiliva che Gerusalemme sarebbe stata internazionalizzata.
La credibilità ONU è così azzerata definitivamente.

La reazione araba è scontata ed è possibile che assuma anche forme creative alla Ben Laden. La distinzione molto pompata tra sciiti e sunniti perderà significato.

Meno scontata e prevedibile la reazione dell’Europa e dell’Asia nei confronti di Israele che rischia di fare la spese della bella figura di Trump i cui elettori amano molto vederlo “rompere gli schemi.”

Rischiamo una crisi internazionale di lunga durata per consentire al Presidente americano di conquistare gli elettori dell’Alabama.

Possiamo però trasformare questo problema in una grande occasione commerciale e industriale per occupare le aree in cui gli arabi ( e gli islamici) boicotteranno gli Stati Uniti.

THE DAY AFTER

gli ultimi tentativi di pace tra israeliani e palestinesi ci furono nel 2014, John Kerry consule, e finirono in un nulla di fatto.
Oggi tutti gli israeliani festeggeranno il riconoscimento degli Stati Uniti di quel che già avevano, cioè Gerusalemme capitale.

Passata la sbornia, si renderanno conto di aver barattato la pace con una soddisfazione enorme ma psicologica.

Tutta la comunità internazionale mantiene il punto che i negoziati devono farsi tra le parti in causa ( Israele e i palestinesi) con trattative dirette e che la sola soluzione che tutti gli analisti individuano al problema è quella di creare due Stati .

La frattura stessa interna agli USA, tra democratici e parte dei repubblicani da una parte e seguaci di Trump dall’altra, fa sì che gli USA stessi non siano unanimi in questa scelta ed abbiano bruciato la credibilità delle Nazioni Unite che creava un sembiante di consenso internazionale a molte decisioni USA.

Trump dice che andava tolta la polvere dal negoziato che si trascina da mezzo secolo. Vero, ma andava usato il piumino, non l’idrante.

Netanyahu, è certamente felice di aver acquisito questo merito storico che spera allontani lo spettro della indagine della polizia israeliana che è giunta ormai al suo quinto interrogatorio sulla vicenda di corruzione sulle forniture militari tedesche. Per lui, ogni giorno in più è guadagnato, ma ha messo l’intero paese nella stessa situazione di precarietà.

Nessuno intanto tra gli amici di Israele risponde alla domanda posta da Paolo Sax Sassetti:
da domani Israele sarà più o meno sicuro?

MARE NOSTRUM_UNA CHIOSA A “UN PIVOT MEDITERRANEO PER L’ITALIA”_ GIUSEPPE GERMINARIO

Qui sotto il link di un articolo decisamente interessante, apparso sulla rivista Eurasia, riguardante una possibile ricollocazione geopolitica dell’Italia che consentirebbe una maggiore autonomia di azione senza necessariamente rimettere radicalmente in discussione l’attuale sistema di alleanze incentrate sulla Unione Europea e sulla NATO. Il fulcro dell’azione politica, in sostanza, dovrebbe volgersi verso il Mediterraneo e verso l’Africa nel vicinato prossimo e verso l’Asia, la Russia e la Cina in quello lontano. E’ indubbio che, pur all’interno dei pesanti vincoli di subordinazione ed alleanza, ci siano margini di agibilità che la nostra classe dirigente nemmeno sogna di utilizzare. L’esempio positivo della Turchia, per altro, mi pare fuorviante; come pure quello della Polonia, giacché l’Italia gode, a dispetto della presunta perifericità del paese, della stessa attenzione strategica da parte delle potenza dominante. La condizione di frammentarietà e debolezza politica ed istituzionale difficilmente consentirebbe di sostenere  una pressione analoga a quella subita dalla Turchia. E infatti appare propedeutico e decisivo l’orientamento politico strategico della classe dirigente dominante per intraprendere una qualsiasi strada di maggiore autonomia. La vicenda delle sanzioni alla Russia, tra i tanti, assume la veste di un vero e proprio paradigma. Non sono solo uno strumento offensivo contro la Federazione Russa, sono anche uno strumento di compattamento dell’alleanza atlantica; si stanno rivelando, sorprendentemente, nella loro opacità ed arbitrarietà di applicazione un modo particolarmente subdolo di ridefinire i rapporti interni all’alleanza stessa e di danneggiare i paesi diretti dalla classe dirigente più prona. La volontà di una classe dirigente è, però, solo una condizione, sia pure determinante. Il problema è innanzitutto come si forma e costruisce una classe dirigente alternativa, visto che quella attuale non pare offrire nessuna capacità di analisi e possibilità di redenzione. E tuttavia occorre prestare un occhio più attento alla condizione oggettiva del paese. Su questo l’articolo assume, a mio avviso, una postura un po’ troppo ottimistica sia pur nella cautela in esso suggerita rispetto a soluzioni-panacea quali quella dell’uscita dall’euro. Intanto, ancora una volta, l’estensore sembra fondare sulle capacità economiche e sulle potenzialità produttive la possibilità di redenzione dalla condizione di asservimento. Purtroppo numerosi eventi ed episodi attestano ormai quanto queste potenzialità siano piegate e conformate dalle esigenze politiche e rese praticabili da una credibilità e autorevolezza politica della classe dirigente purtroppo in via di esaurimento. Il paese, inoltre, sta erodendo drammaticamente piuttosto che acquisendo le capacità tecnologiche e produttive necessarie a dar corpo a queste politiche. Ma non solo quelle; anche dilapidando le stesse capacità e qualità professionali che non ostante tutto riesce ancora a formare. La classe dirigente sta perdendo progressivamente e consapevolmente il controllo e la capacità di indirizzo dei residui atout disponibili. Non è un caso che gli americani si siano concentrati nell’acquisizione dei settori strategici, anche quelli in apparenza meno significativi come la ceramica; non è un caso che francesi e tedeschi si siano concentrati sulla logistica, sul drenaggio del risparmio e sull’acquisizione di marchi, in particolare di quelli che potessero qualificarli con miglior lustro, sotto mentite spoglie, in Medio Oriente. Due esempi tra tutti, l’Edison e l’Italcementi, concesse anch’esse allegramente rispettivamente in mano francese e tedesca. Una gran parte dell’apparato produttivo, per altro, è costituito da componentistica legata ormai mani e piedi al prodotto finito della grande industria tedesca. La storia dello sviluppo industriale del paese è lì a rammentarci, per altro, che i momenti di maggior espansione e di sviluppo qualitativo dell’economia, in particolare dell’industria, a partire da metà ‘800, si sono ottenuti guardando a nord e ad ovest, il più delle volte obtorto collo. Emblematico ed illuminante a proposito il contenuto dell’acceso dibattito degli anni ’50, propedeutico al “miracolo economico”. La stessa impresa straordinaria di Mattei all’ENI, pur con tutti i margini di audacia ed autonomia che costui si è concesso e per i quali ha pagato drammaticamente dazio, consistevano sì in una apertura verso i paesi mediterranei, africani e mediorientali, che consentisse soprattutto l’approvvigionamento necessario alla compartecipazione, però, del paese al miracolo economico euroccidentale. Non a caso Mattei contrastò l’ostracismo dei settori più retrivi dell’industria italiana, anch’essi favorevoli ad una espansione verso il Mediterraneo, sostenne lo sviluppo dell’industria di base, specie energetica, siderurgica e chimica, antagonista a quelli e si alleò con la nascente industria meccanica, notoriamente direttamente legata ai centri americani. Nell’attuale condizione, uno spostamento del baricentro rischierebbe di asservire ulteriormente il paese al vero dominus dal secondo dopoguerra ad oggi, gli Stati Uniti. La condizione preliminare di una svolta è, diversamente, l’assunzione del controllo delle principali leve di governo e di indirizzo del paese; il patto europeo, negli attuali termini, inibisce questi sforzi secondo modalità ben più complesse della mera introduzione della moneta unica, l’euro e della imposizione delle norme di stabilità finanziaria, sui quali si incentra purtroppo la quasi esclusiva attenzione dei critici. Una rinegoziazione piuttosto che una rottura presupporrebbe l’esistenza di una classe dirigente ancora più determinata e capace e di un contesto ben diverso, quanto meno di una Unione Europea molto più ristretta e gestibile degli attuali ventisette aderenti. Una rideterminazione del “pivot” non può prescindere quindi da un lavorio sagace in grado di favorire il cambiamento degli equilibri politici in Francia e Germania, senza il quale rischiamo di trovarceli come avversari sempre più dichiarati, in una Europa sempre più frammentata e rissosa, ma sempre a supporto della potenza dominante. A maggior ragione le implicazioni sarebbero determinanti se il paese, motu proprio, dovesse allargare il raggio di azione a Cina e Russia. Buona lettura_Giuseppe Germinario

UN PIVOT MEDITERRANEO PER L’ITALIA

SIRIA, il vaso di Pandora dalle tante sorprese_ conversazione con Antonio de Martini

Continua il viaggio in Medio Oriente. Antonio de Martini è la bussola che ci consente di orientarci in quel vero e proprio vaso di Pandora che sta diventando il Medio Oriente. Questa volta si parte dalla Siria, l’attuale epicentro di una competizione, grazie soprattutto ai Saud, dai tratti a volte medievali_ Giuseppe Germinario

La saga dei Saud_una conversazione con Antonio de Martini

L’Arabia Saudita sta vivendo da tempo una defatigante fase di successione all’interno della dinastia regnante. Il sistema di trasmissione del potere ha sino ad ora consegnato le leve di governo ad una paradossale gerontocrazia. L’ascesa di Selman sembra contraddire questa prassi e condurre all’epilogo la saga; con essa il perseguimento di alcuni capisaldi della politica estera e della politica interna sta trovando nuove ed inquietanti modalità operative, grazie anche agli sconvolgimenti in corso nella casa-madre americana_ Buon ascolto_ Germinario Giuseppe

https://www.youtube.com/watch?v=hyxQVMqEkG8&t=72s

Breve consuntivo sulla Siria, di Antonio de Martini

Mi pare una sintesi efficace ed una valutazione attendibile di quanto sta accadendo attualmente in Siria ad opera di un personaggio che ha conosciuto e vissuto come pochi la Siria  _ Giuseppe Germinario

SIRIA: ASSAD MOSTRA DI NON CADERE NELLA TRAPPOLA DEL ” FRONTE SUD” E SI RIPRESENTA ALLA FRONTIERA LIBANESE PER RIAPRIRE IL CONTENZIOSO CON GLI ISRAELIANI. di Antonio de Martini

SIRIA: ASSAD MOSTRA DI NON CADERE NELLA TRAPPOLA DEL ” FRONTE SUD” E SI RIPRESENTA ALLA FRONTIERA LIBANESE PER RIAPRIRE IL CONTENZIOSO CON GLI ISRAELIANI. di Antonio de Martini

Sbarcando in Israele per una visita ufficiale predisposta da tempo, il ministro della Difesa russo  Sergei Shoygu si è trovato di fronte a uno dei rompicapo classici del Vicino Oriente: pensava di fare un incontro in atmosfera serena sfuggendo all’inverno di Mosca per qualche giorno e la patata bollente gli è caduta in mano all’improvviso, rivoluzionando l’agenda dell’incontro che peraltro  conferma il nuovo ruolo di arbitro della Russia nel contenzioso mediorientale, accettato anche da Israele.Due giorni fa un aereo di Tsahal è stato attaccato nei cieli del Libano da un sistema missilistico AS 200 in dotazione alla contraerea siriana e l’aeronautica, israeliana ha risposto con sospetta immediatezza attaccando la centrale radar che aveva diretto il tiro dal territorio siriano, distruggendola.

E’ necessaria una premessa mnemonica, necessariamente lunga, ai lettori: il Libano, piccolo e disarmato, è da sempre oggetto di contesa tra i suoi due potenti vicini. Entrambi considerano i cieli libanesi  zona propria sorvolandoli a piacimento, ma dall’inizio della guerra nel 2011 Israele non era più stato contrastato nelle sue scorrerie sul cielo di Beirut.

Assad, preso da altre più pressanti preoccupazioni e ansioso di non accumulare nemici, ha per sei anni ” sorvolato” sulle circa cento incursioni compiute dagli israeliani con due diverse motivazioni: impedire il trasferimento di ” armi strategiche a Hezbollah” e reagire a colpi perduti che colpivano il territorio israeliano senza troppo badare a chi era il mittente.

Ora che la situazione si era andata calmando si è constatato che almeno una delle due motivazioni era artefatta e – poiché le incursioni dell’aeronautica di Tsahal avevano sempre come obbiettivo installazioni militari governative – gli “insurgents” operanti ai confini israeliani avevano preso l’abitudine di sparare qualche colpo di mortaio  ( curando che non colpisse nessuno) sul territorio occupato da Israele, in maniera da ottenere di fatto un appoggio aereo “a richiesta” sotto forma di legittima rappresaglia.

L’intervento dell’aeronautica russa pose fine a questa ambigua forma di sostegno aereo ai ribelli.

Dato che le FFAA di Israele già assistevano i feriti ribelli più gravi  , fino a prelevarli con elicotteri per ricoverarli ed operarli, questo secondo “coordinamento” colp- di-mortaio-senza-danni-intervento-aereo-anti-esercito-siriano, è diventato un ulteriore elemento di accusa di ingerenza israeliana nel conflitto.

Con l’affievolirsi delle prospettive di vittoria dei mercenari ribelli, gli israelo-americani hanno precauzionalmente cessato ogni azione proveniente dalla Giordania e più in generale nelle zone prospicienti il confine israeliano.  Per evitare ogni minimo  rischio,  hanno cessato di pagare e rifornire le truppe in tutta l’area e creato una newsletter finta filo governativa mirante a suggerire la strategia desiderata  ” southfront” che osanna ogni piccolo progresso delle truppe lealiste nell’area di Deir el Zohr. In occidente il bollettino  ha trovato adepti, ma non nel Levante. Oltretutto la terminologia usata dagli arabi non è quella e i filmati e le cartine particolareggiate non fanno parte dell’arsenale siriano.

L’attacco missilistico dei siriani  all’aereo militare  israeliano che solcava i cieli del Libano ha il significato che Assad considera la guerra sul proprio territorio liquidata, che non ha abdicato al ruolo di protettore del Libano e che non abboccherà al giochino di contrastare i curdi che hanno occupato Rakka ” la capitale del Califfo”. Ai curdi ci pensano le truppe irachene che hanno occupato Kirkuk e costretto a un armistizio i seguaci di Barzani che si sono impegnati a rientrare nei confini del 2003 ossia all’inizio dell’avventura di Bush il piccolo, mentre i curdi di Rakka saranno presto impegnati dai turchi che hanno gia annunziato ufficialmente di aver installato “posti di osservazione ” nella zona di Idlib, ossia in territorio siriano ( zona di Aleppo, per intenderci). Nessuna protesta di sovranità violata da parte della Siria.

Gli israeliani, dal canto loro, hanno preferito mettere alla prova le intenzioni siriane proprio mentre arrivava  Sergei Shoygu, responsabile dei rifornimenti di nuove armi alla Siria, per poter disporre di un mediatore autorevole in caso di aggravamento della crisi nascente dal test libanese.

Si torna alla casella di partenza in questo gioco di scacchi in cui tutti sembrano conoscere le regole ad eccezione degli americani che sono riusciti in una nuova performance: hanno unificato turchi, siriani e iracheni contro i curdi.

Dopo l’Operazione ” Pace in Galilea” del 1982 in cui si volle costringere alla pace con Israele  il Libano togliendogli anche un pezzo di territorio ( e che ha dato vita a Hezbollah), assistiamo agli ultimi fuochi della “Operazione Assad” che mirava ad eliminare la Siria come avversario di Israele e che ha trasformato un oculista nel protagonista principale  della politica araba e del Levante.

TEOLOGI FAI DA TE ? AHI, AHI, AHI, ! , di Antonio de Martini

Un po’ di ricostruzione storica serve ad inquadrare il presente di un paese, o meglio della sua classe dirigente attualmente in auge, il quale sorprendentemente comincia a guardarsi anch’essa intorno sino a cercare accordi con gli avversari di sempre, compresa la Russia. Segno che la fase multipolare sta accelerando le dinamiche di confronto. Non è detto, però, che dietro tali passi ci sia la comprensione, benevola ma alquanto discreta, del beffardo Trump _ Giuseppe Germinario

Mohammed ibn Abd el Wahab ( che d’ora in poi chiameremo MAW) è vissuto nel XVIII secolo e gran parte del disordine sociopolitico e militare attuale si deve a lui ed alla intuizione che mettendo le sue idee al servizio delle ambizioni di uno sceicco di periferia in quel di Day’rrya ( un paesino grande come uno sputo) ha provocato un moto ondoso che continua ancor oggi anche se a più riprese stroncato con la forza.

Basterà in questa sede sapere che di regni sauditi ce ne sono stati tre e che il patto tra MAW e lo sceicco Saud ( dei bani Hanifa) fu molto semplice e rispecchiante quello che Guglielmo di Occam propose alla Repubblica di Venezia ( “defende me gladio, te defendam calamo”) rafforzato dall’impegno di sposarsi tra membri dei due clan senza mai che discendenti di Abdel Wahab ( MAW) si candidassero a gestire il potere politico e i Saud quello religioso.

Dopo tre secoli il patto regge ancora e si basa sul programma di unificazione della penisola araba e di riforma salafita dell’Islam.

L’arricchimento seguito allo choc petrolifero del ’74 ha provocato un allargamento degli orizzonti che presto o tardi dovremo fermare con la forza e la forca, come la volta scorsa.

L’ultimo regno saudita, ai primi dell’800, irritò la sublime porta al punto che il Califfo, rischiando il rifiuto da parte dello pseudo vassallo egiziano, gli diede L’ incarico di farla finita voi wahabiti.

Mohammed Alì, un soldato di ventura albanese che si era impadronito dell”
M Egitto, volse la palla al balzo per affermare la propria legittimità e organizzò una spedizione militare nella penisola arabica conclusasi con la cattura e impiccagione del re saudita.

Così cessò il secondo regno saudita e iniziò la dinastia egiziana che portò al re Farouk.

Un sincero amico dell’Italia, di fronte al quale Weinstein era un chierichetto, ma che Churchill definì “uno sfrontato” perché a ventun anni gli si rivolse con franchezza chiedendo come compenso di guerra la Cirenaica.

Per sistemare la crisi del vicino oriente, serve un altro Mohammed Ali.

CASA NOSTRA O COSA LORO? I MEDIA CONTINUANO A OMETTERE NOTIZIE DI RILIEVO, di Antonio De Martini (pubblicato su facebook)

 

Durante la visita del re saudita Salman ben Abdulaziz a Mosca, i corrispondenti italiani ci hanno detto che hanno parlato di petrolio.
Può darsi benissimo.

La SAMI (Saudi Arabian Military Industries) ha pubblicato un comunicato informando che sono stati sottoscritti una serie di MOU ( memorandum of understanding) – d’ordine del figlio del re, il crownprince Mohammed ben Salman – con la
Rosoboronexport, per la fornitura del sistema antiaereo A400 famoso ormai in tutto il vicino oriente per la sua inesorabile efficacia.

Altre forniture coinvolte,i missili anticarro Kornet -EM, i LRM TOS-1A e dei lanciabmbe ags30 con le granate relative, un numero imprecisato di Kalashnikov col relativo munizionamento è peggio di tutto, uno dei MOU riguarda l’impianto in Arabia Saudita di fabbriche, con particolare riguardo ai sistemi AS400.

Questo passo gravido di conseguenze, indica che la Russia è in Arabia per restarci; che il principe saudita vuole mostrare indipendenza rispetto all’alleato americano che continua a rifornire anche il rivale Katar ad onta delle sanzioni decise dai sauditi.
E soprattutto che la lobby delle armi ha perso l’esclusiva di un cliente che solo lo scorso anno ha piazzato ordini per 80 miliardi di dollari.

L’ AS 400 che era la garanzia di inattaccabilità dell’Iran potrebbe essere una garanzia a breve scadenza e quindi è bene che non disobbedisca a Mosca; che gli Emirati ( alleati dei sauditi nella vicenda Katar) mostrano interesse per i caccia S35 russi che surclassano nettamente i 24 Rafale francesi comprati dal Katar e che il cugino del crownprince , oggi agli arresti a casa, potrebbe a breve tornare in auge tra gli yankees visto che il giovane Mohammed non si limita a fare il galletto con gli yemeniti, ma alza la cresta anche con gli USA.

Siamo in un’altra vigilia di crisi e i nostri media ci tengono all’oscuro.

Forse vogliono scongiurare l’accaparramento delle scatole di sardine da parte delle nostre massaie.

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