Iran tra mutamenti e mutazioni Con Cesare Semovigo, Roberto Iannuzzi, Antonello Sacchetti

#iran #geopolitica #Pezeshkian #multipolarismo #Kameney #mediooriente La transizione e l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ha determinato una accelerazione delle dinamiche geopolitiche specie in Medio Oriente. Nessuno è uscito sonoramente sconfitto dal conflitto in corso, con la notevole eccezione della Siria. Rimane l’evidenza di un importante cambiamento degli equilibri in corso. Israele pare aver guadagnato terreno, ma allo stesso tempo sembra assumere un ruolo minore nei disegni della nuova amministrazione. L’Iran, al contrario, a causa dei colpi ricevuti, grazie alla capacità di deterrenza dimostrata, ai traumatici avvicendamenti nella dirigenza sembra promettere profonde trasformazioni ed adattamenti dei propri orientamenti geopolitici. Il recente accordo con la Russia e i primi abboccamenti con la amministrazione statunitense rappresentano il prodromo di nuovi assetti interni ed esterni. Ne parliamo in questo video registrato ormai una settimana fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Quattro domande a Eric Denécé, direttore del CF2R

Quali saranno le conseguenze a breve e medio termine della sconfitta occidentale in Ucraina sulla coesione della NATO? E che dire della coesione dell’UE? Secondo lei, quali sono i paesi più propensi ad aprire possibili linee di faglia per la NATO e l’UE, e perché?

Credo che non ci rendiamo sufficientemente conto del fatto che la guerra in Ucraina ha suonato la campana a morto per la difesa europea. Per i paesi baltici, la Romania e la Polonia, che beneficiano pienamente dei fondi europei, ma anche per la Finlandia e i paesi scandinavi, l’unica alleanza che garantisce la loro sicurezza è la NATO. Quindi i rischi di disintegrazione dell’Alleanza nel breve termine sono limitati.

Non è questo il caso dell’UE, dove le divergenze sono sempre più marcate e potrebbero accentuarsi in occasione delle prossime elezioni dei prossimi anni.

Inoltre, cresce la sfiducia dei cittadini dei paesi che hanno formato la Comunità Europea nei confronti di Bruxelles. Infine, c’è la questione dell’euro, che pone i Paesi del Sud (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia) in una situazione di forte svantaggio rispetto alla Germania, che ne ha tratto pieno vantaggio.

 

Un importante riarmo all’interno della NATO dei principali paesi europei, in particolare della Germania, sembra possibile o probabile nel medio termine? Quali sarebbero le conseguenze per le decisioni strategiche russe?

Il riarmo europeo è già iniziato, e questa è una buona cosa perché abbiamo ridotto così tanto i nostri bilanci che i nostri paesi hanno solo eserciti “campione”. Dovrà continuare anche se la guerra in Ucraina finirà, perché è necessario per la nostra sicurezza. Ma il rischio è che questo vada a vantaggio dell’industria americana più che di quella dei nostri stati. Dobbiamo stare attenti a non arricchire il complesso militare-industriale oltre Atlantico a scapito della nostra industria.

Infine, ritengo che questo riarmo non debba essere diretto contro la Russia. Il vero massacro dei funzionari della sicurezza della NATO e di alcuni stati membri è grottesco e serve gli interessi americani: affermare che la Russia minaccia di invadere l’Europa entro pochi anni è una grossolana bugia! Diamo un’occhiata alla realtà e ai numeri (economia, popolazione, personale militare, bilanci, ecc.). Mosca non ha né i mezzi né l’intenzione!

 

Dopo la sconfitta definitiva dell’Occidente in Ucraina, pensa che gli Stati Uniti saranno in grado di identificare e decidere una nuova strategia coerente nei confronti della Russia? Se sì, quale?

Sì, perché nella misura in cui la nuova amministrazione è realmente ossessionata dalla “minaccia” cinese, ha perfettamente capito che non è più opportuno disperdersi troppo continuando a sostenere la guerra contro la Russia in Ucraina. Già prima del suo arrivo alla Casa Bianca, Trump aveva chiarito i suoi obiettivi di politica internazionale: contrastare l’ascesa economica e militare della Cina (il cui bilancio della difesa resta quasi 3 volte inferiore al proprio!). I suoi commenti sulla Groenlandia (situazione strategica e riserve di idrocarburi), Panama e il Canada rientrano in questo approccio.

 

La Francia è forse il Paese che, grazie alla sua eredità gollista, possiede la cultura “sovranista” migliore e più strutturata. La produzione editoriale ne è una preziosa testimonianza. Come mai questa capacità non riesce a tradursi in un’espressione politica matura e a rispondere adeguatamente alle esigenze popolari?

Semplicemente perché questa cultura non esiste più nelle classi dominanti, conquistate dall’ideologia europeista e sottomesse all’influenza e alle costrizioni americane.

I politici francesi, sia al potere che all’opposizione, non hanno alcuna visione di quale potrebbe essere il futuro del nostro Paese, non hanno immaginazione né coraggio e non pensano nemmeno che siamo in grado di riconquistare un grado maggiore di indipendenza e sovranità. Sono disfattisti e non credono nelle nostre possibilità di ripresa autonoma, per questo giocano la carta di un’Europa sempre più sottomessa agli Stati Uniti. Le possibilità che questa situazione cambi nel breve termine sono scarse, mi aspetto piuttosto un cambiamento di alleanza dai Democratici a Trump…

Quelles seront les conséquences à court et moyen terme de la défaite occidentale en Ukraine sur la cohésion de l’OTAN ? Et sur la cohésion de l’UE ? À votre avis, quels sont les pays les plus susceptibles d’ouvrir d’éventuelles lignes de fracture pour l’OTAN et l’UE, et pourquoi ?

Je crois que nous ne mesurons pas assez que la guerre d’Ukraine a sonné le glas de l’Europe de la défense. Pour les pays baltes, la Roumanie et la Pologne, qui bénéficient à plein de fonds européens, mais aussi pour la Finlande et les pays scandinaves, la seule alliance qui garantisse leur sécurité, c’est l’OTAN. Donc les risques de délitement de l’Alliance à court terme sont limités.

Ce n’est pas le cas de l’UE, car les divergences y sont de plus en plus marquées et pourraient s’accroitre à l’occasion des élections à venir dans les toutes prochaines années.

De plus la défiance des citoyens dans les pays à l’origine de la Communauté européenne est de plus en plus forte à l’égard de Bruxelles. Enfin, il y a la question de l’euro, qui désavantage beaucoup les pays du Sud (Italie, France, Espagne, Portugal, Grèce) par rapport à l’Allemagne qui en a profité à plein.

Un réarmement majeur au sein de l’OTAN des principaux pays européens, en particulier de l’Allemagne, semble-t-il possible ou probable à moyen terme ? Quelles en seraient les conséquences sur les décisions stratégiques russes ?

Le réarmement européen a déj commencé, et c’est une bonne chose car nous avions tellement réduit nos budgets que nos pays n’ont plus que des armées « échantillonaires ». Il faudra le poursuivre, même si la guerre d’Ukraine cesse, car cela est nécessaire à notre sécurité. Mais le danger est que cela profite davantage à l’industrie américaine qu’à celles de nos États. Il faudra veiller à ne pas enrichir le complexe militaro-industriel d’outre-Atlantique au détriment de notre industrie.

Je pense enfin que ce réarmement ne doit pas être orienté contre la Russie. Le véritable matraquage des responsables de la sécurité de l’OTAN et d’une partie des États membres est grotesques et sert les intérêts américains : dire que la Russie menace d’envahir l’Europe d’ici quelques années est un mensonge grossier ! Regardons la réalité et les chiffres (économie, population, effectifs militaires, budgets, etc.). Moscou n’en a ni les moyens, ni l’intention !

 

Après la défaite finale de l’Occident en Ukraine, pensez-vous que les Etats-Unis seront en mesure d’identifier et de décider d’une nouvelle stratégie cohérente à l’égard de la Russie ? Si oui, laquelle?

Oui, car dans la mesure où la nouvelle administration est véritablement obnubilée par la « menace » chinoise, elle a parfaitement compris qu’il n’est plus opportun de se disperser en continuant de soutenir la guerre contre la Russie en Ukraine. Avant même son arrivée à la Maison-Blanche, Trump a fait clairement part de ses objectifs de politique internationale : contrer la montée en puissance économique et militaire de la Chine (dont le budget de défense reste presque 3 fois inférieur au sine !). Ses propos sur le Groenland (situation stratégique et réserves d’hydrocarbures), le Panama et le Canada s’inscrivent dans cette démarche

 

La France est peut-être le pays qui possède, grâce à son héritage gaulliste, la culture « souverainiste » la meilleure et la plus structurée. La production éditoriale en est un précieux témoignage. Comment se fait-il que cette capacité ne parvienne pas à se traduire par une expression politique mature et à se connecter de manière adéquate aux besoins populaires ?

Simplement parce que cette culture n’existe plus dans les classes dirigeantes, qui sont gagnées à l’idéologie européiste et soumises à l’influence et aux contraintes américaines.

Les politiques français, au pouvoir comme dans l’opposition, n’ont aucune vision de ce que pourrait être l’avenir de notre pays, aucune imagination ni courage, et ne pensent même pas que nous sommes en mesure de retrouver un degré supérieur d’indépendance et de souveraineté. Ils sont défaitistes et ne croient pas en nos possibilités de redressement autonome, raisons pour lesquelles ils jouent la carte d’une Europe de plus en plus inféodée aux Etats-Unis. Les chances que cela évolue à court terme sont minces, je m’attends plutôt à un changement d’allégeance, passant des Démocrates à Trump….

 

 

Eric Denécé
Direttore del Centro francese per la ricerca sull’intelligence (CF2R)
12/14 rond-point des Champs Elysées
75008 Parigi
01 53 53 15 30
www.cf2r.org
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Traiettoria esistenziale di Kiev: I toni occidentali cambiano di nuovo, di Simplicius

Traiettoria esistenziale di Kiev: I toni occidentali cambiano di nuovo

E discutiamo delle prospettive di un futuro che vada oltre la sconfitta dell’Ucraina.

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Il tono intorno all’Ucraina continua a cambiare. All’inizio era impercettibile, ma da allora ha raggiunto un punto in cui pronunciare cose prima indicibili è un grido d’allarme comune. Per molto tempo, i giornalisti gialli hanno tentato disperatamente di mascherare il crollo dell’Ucraina come semplice necessità di una pausa di riflessione, o di far ricadere il tutto sulla Russia o sul desiderio di Putin di avviare colloqui di pace, a causa delle elevate perdite e della presunta incapacità di raggiungere gli obiettivi.

Ma ora, ovunque si guardi, per la prima volta l’omertà è stata tolta: gli organi di informazione ammettono apertamente – anche se ancora con toni sommessi – che l’Ucraina non solo rischia una vaga “sconfitta”, ma la capitolazione totale alla Russia. Anche in precedenza, quando a volte si accennava a un simile esito, le piene ramificazioni della parola venivano lasciate intenzionalmente in sospeso, come se si sperasse che il lettore non pensasse ancora al peggio, ma magari immaginasse che il “collasso” dell’Ucraina fosse solo un evento localizzato. Ciò che è cambiato ora è che lo stanno apertamente definendo: questo è il secondo rapporto importante in pochi giorni che dice direttamente: se le cose continuano così, i carri armati russi passeranno attraverso sia Kiev che Lvov, punto e basta.

Vi presento le ultime novità di Hill:

Un breve riassunto dei punti prima di discutere:

La Russia si impadronirà di Kiev e Leopoli nel 2026 se gli Stati Uniti interromperanno gli aiuti – The Hill

▪️“Senza il sostegno degli Stati Uniti, la Russia avanzerà nel 2025 perché Kiev sarà a corto di armi.

▪️Entro il 2026, l’Ucraina perderà un’efficace difesa aerea, permettendo alla Russia di condurre continui bombardamenti su larga scala.

▪️Le truppe ucraine continueranno a combattere, ma molto probabilmente crolleranno entro la fine dello stesso anno, il che permetterà alla Russia di catturare Kiev e poi avanzare verso il confine della NATO”, teme la pubblicazione.

▪️“Poi la Russia ricostruirà le sue unità da combattimento, userà le risorse dell’Ucraina per rafforzare le sue capacità, dispiegherà le sue forze lungo il confine della NATO e sarà pronta ad attaccare fuori dall’Ucraina entro il 2030”.

Prima di tutto, l’autore cerca di far credere ai lettori occidentali che molti più soldi delle loro sudate tasse dovranno essere sprecati in spese militari se l’Ucraina perde la guerra:

Un’analisi condotta dall’American Enterprise Institute ha stabilito che la sconfitta dell’Ucraina da parte della Russia costerebbe ai contribuenti americani 808 miliardi di dollari in più rispetto a quanto gli Stati Uniti hanno pianificato di spendere per la difesa nei prossimi cinque anni. Si tratta di una cifra circa sette volte superiore a tutti gli aiuti stanziati al Pentagono per aiutare l’Ucraina dall’invasione russa del 2022.

Questa stima si basa su uno scenario in cui gli Stati Uniti smettono di fornire aiuti e la conseguente vittoria russa ci impone di adattare le nostre capacità militari, la capacità e la postura per mantenere la nostra sicurezza. Lo studio utilizza quindi il simulatore di futuro della difesa per stimare la spesa necessaria per scoraggiare e, se necessario, sconfiggere la Russia in Europa, prevenendo al contempo ulteriori conflitti da parte di avversari rafforzati nel Pacifico e in Medio Oriente.

La parte più curiosa è che la fonte della suddetta “stima” è il cosiddetto ‘Defense Futures Simulator’, la cui front splash page presenta un gigantesco trafiletto dell’autore dell’articolo di cui sopra. Quanto è conveniente – o dovremmo dire, non etico e inappropriato – che l’autrice utilizzi un programma discutibile in cui sembra essere coinvolta per fare propaganda ai contribuenti creduloni?

Ma dopo aver scaldato il forno, sgancia la notizia bomba:

Senza il sostegno degli Stati Uniti, la Russia avanzerebbe nel 2025, quando Kiev sarà a corto di armi. Entro il 2026, l’Ucraina perderebbe un’efficace difesa aerea, permettendo alla Russia di condurre continui bombardamenti su larga scala. Le forze convenzionali ucraine continuerebbero a combattere con coraggio, ma probabilmente crollerebbero entro la fine di quell’anno, permettendo alla Russia di impadronirsi di Kiev e poi di dirigersi verso il confine della NATO.

Una Russia rafforzata ricostituirebbe le sue unità da combattimento, userebbe le risorse dell’Ucraina per rafforzare le sue capacità, stazionerebbe le sue forze lungo la frontiera della NATO e sarebbe pronta ad attaccare oltre l’Ucraina entro il 2030.

Prima di tutto: si noti l’evidente contraddizione di questa affermazione. Lei sostiene la necessità di misure d’emergenza per salvare l’Ucraina perché la Russia potrebbe presto conquistare Kiev e spingersi fino al “confine della NATO”. Quindi, si capisce che la Russia al confine della NATO è una minaccia esistenziale da evitare a tutti i costi… giusto?

Allora chiedetemi: come è possibile spingere contemporaneamente per l’adesione dell’Ucraina alla NATO come soluzione, che metterebbe il confine della NATO proprio contro la Russia, o piuttosto le forze russe “proprio sul confine della NATO”. Qual è la differenza? Un ucraino intelligente noterebbe il razzismo sottilmente radicato in questo caso: I portavoce della NATO sembrano essere d’accordo con gli ucraini, carne da cannone sacrificabile, come “scudi di frontiera” impilati alle estremità delle canne dei carri armati russi. Ma i paesi “a misura di NATO”, molto più preziosi, situati più a ovest, sono troppo “preziosi” per rischiare di condividere un confine con la Russia.

Vedete come funziona questa logica?

La cosa importante, però, è che gli scrittori di narrativa occidentale si sono ormai liberati di tutte le ultime vestigia di finzione. Ovunque si guardi, le figure di spicco evocano apertamente una totale sconfitta ucraina, non uno “stallo”. Anche l’ucraino Budanov ha recentemente attirato il fuoco ammettendo che l’Ucraina rischia un collasso “esistenziale” se i negoziati non saranno portati avanti nei prossimi sei mesi, come ho scritto nell’ultimo rapporto.

Ma nonostante abbia tentato di minimizzare o di liquidare la questione, l’outlet ucraino Strana riferisce ora che l’SBU ha aperto un procedimento penale per la diffusione dei commenti di Budanov ai media, il che li convalida indirettamente.

Non l’avrebbero fatto se la rivelazione “altamente sensibile” di Budanov non fosse reale, vero?

Sempre rimanendo in tema, anche l’ex portavoce di Zelensky, Iulia Mendel, ha scritto un articolo per il Time, chiedendo un cessate il fuoco immediato sulla base del fatto che la guerra sta “prosciugando [la società ucraina] fino al midollo“:

Apre descrivendo un Paese il cui spirito è spento, con la gente che fugge, le imprese che chiudono, in mezzo a una campagna militare apparentemente senza scopo contro “un nemico che non può essere superato dalla sola forza militare. Gli alleati occidentali sono stati generosi, ma anche il loro fermo sostegno non può garantire il futuro che tanto desideriamo. Una vittoria con i soli mezzi militari, per quanto stimolante, potrebbe non essere più raggiungibile. A quale costo, dobbiamo chiederci, si arriva alla nostra lotta continua?”.

Mentre l’Ucraina si aggrappa agli sbiaditi barlumi delle “speranze” della NATO, la nazione si sta perdendo, dice, con l’unica prospettiva realistica di un’ulteriore conquista di territorio da parte dell’implacabile macchina militare russa, e di altre vite perse inutilmente.

Sono tutti echi stanchi della stessa ripetizione che abbiamo sentito fino alla nausea. Ma il suo appello si differenzia per il fatto che l’urgenza ha raggiunto un tale punto di non ritorno che lei sostiene apertamente qualsiasi cessate il fuoco, anche uno “imperfetto” che non favorisca in alcun modo l’Ucraina. In modo estenuante, sostiene che i precedenti punti di trattativa non hanno più importanza – l’Ucraina ha semplicemente bisogno di una pausa a tutti i costi, o la nazione morirà. Lo dice chiaramente:

Forse un cessate il fuoco imperfetto, che potrebbe non soddisfare tutte le nostre richieste di giustizia, è un passo necessario. Questo non è un appello al compiacimento; è un appello alla sopravvivenza.

Ancora una volta, abbiamo questa parola: sopravvivenza, esistenziale, collasso, perdita della nazione. Le figure ai vertici hanno finalmente compreso la natura estremamente terribile del momento. Non le importa nemmeno che un tale cessate il fuoco concederebbe alla Russia il tempo di rafforzare le proprie forze: è tale la natura critica dei problemi dell’Ucraina che invoca un disperato respiro anche se questo ne concede uno alla Russia.

Queste sono le ultime agonia di una nazione in preda alla disperazione.

Il suo ultimo straziante appello si scontra con decine di sfacciati ultimatum dell’establishment occidentale e con gli appelli a armare l’Ucraina in continuazione, come si vede settimanalmente in ritagli di tempo dell’establishment come Foreign Affairs, Economist, Atlantic e simili:

Perseguire un cessate il fuoco non è da deboli. La guerra ci ha insegnato il pericolo delle risposte semplici e delle narrazioni rosee. Dobbiamo essere pragmatici, per il bene delle generazioni future che sopporteranno le conseguenze delle scelte di oggi. Questo non è un appello alla resa, ma a una strategia che riconosca sia la nostra forza che i nostri limiti. L’Ucraina merita un futuro che vada oltre la guerra infinita. L’ingenuità oggi non è cercare una tregua, ma credere che una guerra di logoramento senza fine, idealizzata su TikTok e Twitter, possa in qualche modo portare alla vittoria.

Recuperare i nostri territori è un obiettivo condiviso. Tuttavia, dopo la controffensiva del 2023, abbiamo affrontato una dura verità: l’Ucraina potrebbe non avere una possibilità realistica di riprendere immediatamente tutte le aree occupate. Le recenti sconfitte sottolineano che nessun sostegno da parte dei social media potrà spostare la realtà militare.

La controversa deputata della Rada Mariana Bezuglaya, invece, ha fatto leva sul nuovo assolutismo affermando che l’Ucraina si trova ora di fronte a due sole scelte: continuare a combattere o crollare completamente:

ii.

Le élite di potere europee hanno intensificato la loro retorica di guerra alla luce delle conclusioni raggiunte in precedenza: l’inevitabilità della capitolazione totale dell’Ucraina le ha lasciate alla ricerca di modi per continuare la guerra contro la Russia. L’Europa non solo è al limite della debolezza, ma le linee di tendenza indicano che tutte le possibilità di inversione sono evaporate da tempo, il che significa che se la Russia vincerà in Ucraina, diventerà la potenza europea dominante per generazioni, se non per sempre; e non solo dominante in misura marginale, ma nel modo in cui una “superpotenza” eclissa completamente i suoi subordinati, come gli Stati Uniti hanno fatto per decenni con i loro vassalli europei.

Per questo motivo, le élite europee hanno rapidamente messo insieme una schiera dei più apertamente bellicosi e malleabili tra gli apparatchiks, quelli per i quali i kompromat esistono a vagonate. Come Kaja Kallas, per esempio, che ora viene preparata come futura sostituta di Ursula von der Leyen come autarca del morente impero fascista dell’UE.

Qui si gela per una sconfitta russa che balcanizzerebbe il Paese in molte nazioni sottomesse:

Qui alimenta la paura facendo eco alle parole del Reichsmarschall della NATO Mark Rutte, secondo cui la Russia sta producendo in tre mesi più di quanto i Paesi della NATO possano fare in un anno:

Ora la pressione è alta perché i paesi della NATO aumentino notevolmente le loro spese militari. I Paesi baltici e quelli limitrofi, in particolare, starebbero procedendo a spese folli con l’unico intento di intrappolare le flotte russe in futuro:

I Paesi baltici stanno acquistando moderni missili antinave e minacciano di bloccare la Marina russa nel Mar Baltico.

Nel 2019, la Finlandia ha ricevuto i missili antinave israeliani Gabriel V con una gittata da 200 a 400 km a seconda del profilo di volo.

Nel 2021 l’Estonia ha acquistato la versione israelo-singaporeana Blue Spear, con una gittata massima di 290 km.

Nel 2023, la Lettonia ha annunciato l’intenzione di ricevere missili d’attacco navali norvegesi-americani con una gittata di 185 km.

Nel 2024, la Svezia ha approvato l’acquisto di nuovi missili nazionali RBS-15 Mk 3 con una gittata fino a 200 km.

I sogni dei comandanti navali baltici sono ambiziosi, ma l’uso reale di queste armi è possibile alle soglie dell’apocalisse.

Il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius ha infatti avvertito che l’UE deve prepararsi alla guerra contro la Russia entro cinque anni esatti:

L’aspetto più interessante è che ammette apertamente che l’unico scopo rimanente della continuazione della guerra ucraina è quello di dare all’Europa il tempo di prepararsi alla guerra contro la Russia:

“Ogni giorno che l’Ucraina continua a combattere è un giorno che permetterà all’UE e alla NATO di rafforzarsi”, ha detto, invitando tutti i Paesi europei a “prepararsi alla guerra entro cinque anni”.

Fortunatamente, non tutti sono d’accordo. Il ministro della Difesa tedesco Pistorius ha sorpreso con questa dichiarazione di sfida:

Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius si è espresso contro la proposta del presidente americano Donald Trump di aumentare le spese per la difesa al 5% del PIL del Paese, osservando che si tratta di una cifra troppo alta per la Germania.

“Il 5% del nostro PIL corrisponderebbe al 42% del bilancio federale – cioè quasi un euro su due che il governo tedesco spende, ovvero 230 miliardi di euro. Non potremmo permettercelo e non potremmo spendere tutti quei soldi” ha dichiarato Pistorius in un’intervista al quotidiano Tagesspiegel.

Un generale britannico ha minacciato che la Russia vedrà una seria rinascita del suo potere dopo aver sconfitto l’Ucraina:

Il comandante dell’esercito britannico, il tenente generale Mike Elwiss, ha dichiarato che “quando le armi in Ucraina saranno messe a tacere, allora ci sarà una rinascita e una restaurazione della Russia. Sarà una corsa al riorientamento e al ripristino dei deterrenti convenzionali in un’epoca di confronto strategico”.

Un analista russo aggiunge il suo plausibile commento:

Con “mettere a tacere le armi” non si intende la sconfitta dell’Ucraina, ma in realtà una tregua di 2-3 anni, che sarà interrotta da un attacco dei paesi della NATO alla Russia. Se saremo pronti a respingere un attacco è una grande domanda.
Zelensky, in un’intervista rilasciata ieri a Bloomberg, ha affermato la necessità di dispiegare 200.000 militari della NATO (“peacekeepers”) nel caso in cui vengano firmati accordi di pace con Mosca.

Il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius ha dichiarato alla conferenza annuale dell’Agenzia europea per la Difesa a Bruxelles: “L’Unione Europea dovrebbe contribuire a prolungare il conflitto in Ucraina per contenere la Russia e prepararsi alla guerra nei prossimi 5 anni”. Ogni giorno di guerra in Ucraina è un giorno guadagnato per addestrare gli eserciti europei alla guerra contro la Russia”: “Ogni missile, ogni UAV abbattuto dall’Ucraina è un giorno che non minaccerà la NATO. Ogni giorno, finché l’Ucraina continua a combattere, è un giorno in cui l’Unione Europea e la NATO possono diventare più forti”, ha detto Kubilius.

Il livello pericolosamente istrionico raggiunto dalla retorica dell’UE deve essere semplicemente visto per essere creduto. Il famigerato deputato ucraino della Rada Goncharenko ha fatto saltare il tetto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) con una filippica incredibilmente omicida. Prestate attenzione alla parte più importante, che tale retorica è messa in scena e apertamente consentita – implicitamente invitata e incoraggiata dagli euro-tecnocrati assetati di guerra con la Russia:

Questo sproloquio assume una sfumatura particolarmente seria alla luce della recente affermazione di Tucker Carlson secondo cui Biden e l’Ucraina avrebbero effettivamente tentato di far assassinare Putin. L’affermazione è stata presa talmente sul serio dai legislatori russi che il presidente della Duma di Stato russa Vyacheslav Volodin ha chiesto un’indagine ufficiale e che Biden e Blinken siano “consegnati alla giustizia”:

È bene ribadire che questo livello di retorica non si vedeva nemmeno ai vertici della Guerra Fredda, dove esisteva una certa rettitudine professionale tra gli avversari. Ciò non fa che evidenziare il totale nichilismo a cui sono sprofondati gli attuali regimi vigliacchi dell’Occidente e i loro decadenti leader-giullari, emblematico di un percorso davvero terminale.

Dove sono dirette le cose, vi chiederete? L’ultimo articolo di Foreign Affairs ci dà un indizio:

L’articolo inizia con una dichiarazione audace:

“La Pax America è finita” .

Il documento prosegue spiegando che la “Pax Americana” ha piantato i semi della propria distruzione nell’era successiva alla Guerra Fredda. Il succo generale è riassunto come segue:

L’ordine internazionale statunitense è “morto”, Trump pronto a fare concessioni a Putin e Xi sull’Ucraina – Foreign Affairs

▪️Il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Trump cerca di tornare alla politica di potenza e alle sfere di interesse del XIX secolo, dove le grandi potenze dominavano senza tenere conto degli interessi dei Paesi più piccoli.

▪️Gli Stati Uniti stanno attualmente cercando di ridurre il numero di alleanze perché ritengono che stiano danneggiando il Tesoro e l’economia degli Stati Uniti.

L’articolo evoca sia il Destino Manifesto che la Dottrina Monroe, anticipando un mondo in cui l’America è privata del suo grande “dovere” di essere la mente del mondo. A riprova della prevalenza di questo concetto nell’amministrazione Trump, il neo-segretario di Stato Marco Rubio ha appena espresso lo stesso concetto in una nuova intervista. Ascoltate attentamente al minuto 1:10, quando rivela apertamente qualcosa di sorprendentemente nuovo per il tessuto politico americano, affermando che il modello mondiale unipolare è un’anomalia e che lo stato naturale del mondo è un multipolarismo equilibrato, al quale il mondo sta ora tornando:

Questo significa che l’amministrazione Trump potrebbe effettivamente rispettare gli interessi nazionali della Russia nel ritagliare una nuova architettura di sicurezza globale, che codifichi specificamente questa realtà globale recentemente riconosciuta? Trump sta certamente agendo in questo senso, tagliando fuori l’Europa e segnalando che gli Stati Uniti non si limiteranno più ad allineare i loro interessi in modo approssimativo, ma piuttosto valuteranno ogni esigenza geopolitica in base al proprio merito.

Una simile mossa stimolerà ulteriori fratture e oscillazioni verso l’indipendenza nella stessa Europa. Un esempio recente: Trump ha recentemente irritato la Commissione UE scavalcando Ursula von der Leyen e il suo staff non eletto per trattare direttamente con i leader nazionali europei.

Questo ha terrorizzato i tiranni fascisti dell’UE, perché minaccia di inviare il messaggio che sono del tutto superflui ed estranei, mandando in frantumi il mito che i burocrati fraudolenti dell’UE hanno cercato disperatamente di mantenere per decenni.

Ora, in mezzo a questo rimescolamento, i Paesi europei hanno iniziato a testare lentamente le acque della sfida, forse in qualche piccola parte ritrovando il loro coraggio. Come apparentemente per ripagare la recente aggressione di Trump nei confronti della Groenlandia, la Danimarca ha annunciato il permesso a Gazprom di effettuare lavori di riparazione sul gasdotto Nord Stream. E improvvisamente l’UE ha iniziato a discutere il ritorno agli acquisti di gas russo come parte di un potenziale accordo sulla guerra in Ucraina:

Dopo l’autorizzazione della Danimarca a riparare il gasdotto Nord Stream, l’UE discute ora il ripristino degli acquisti di gas russo – Financial Times

L’UE discute la ripresa degli acquisti di gas russo e la rimozione di alcune sanzioni come forma di accordo di pace con il Cremlino.

Sembra che la guerra in Ucraina si stia avvicinando alla fine e che sullo sfondo si stiano svolgendo seri negoziati.

Il mondo si sta riordinando attorno ai nuovi assi delle grandi potenze. Gli staterelli europei oscilleranno come piccoli fiocchi ferromagnetici, gravitando verso un polo o l’altro. Ma alla fine, il nuovo mondo incipiente sarà scolpito tra Stati Uniti, Russia e Cina: l’Europa, nella sua vile sottomissione, ha perso la possibilità di avere ancora voce in capitolo.

Un nuovo pezzo del NYT dà un indizio di come ciò potrebbe accadere, collegando la possibilità al critico New Start trattato di riduzione degli armamenti nucleari che scade quasi esattamente tra un anno.

Una simile pietra miliare della sicurezza e della stabilità globale potrebbe servire come base perfetta per un nuovo quadro generale tra Stati Uniti e Russia, che potrebbe coinvolgere l’Ucraina come una sorta di pilastro quasi secondario della più ampia architettura della stabilità continentale. È proprio questo il tipo di momento storico di “grande idea” che potrebbe invogliare sia Putin che Trump a incarnare una conferenza seminale simile a quella di Yalta, adatta alle loro posizioni preminenti, per un mondo appena rimodellato.

Ma per ora, naturalmente, la guerra deve continuare finché Trump non acquisirà la realtà fondamentale di dove sono dirette le cose: solo allora avremo i primi veri segnali di come la sua strategia per porre fine alla guerra si configurerà effettivamente di fronte a una Russia inaspettatamente ignara delle sue spacconate. Ci sono alcuni segnali di speranza, come l’improvvisa spinta di Kellogg o Zelensky a indire le elezioni:

E’ arrivato anche un po’ di rimprovero:

“La maggior parte delle nazioni democratiche hanno elezioni in tempo di guerra. Credo sia importante che lo facciano”, ha detto Kellogg. “Penso che sia un bene per la democrazia. Questo è il bello di una democrazia solida, hai più di una persona potenzialmente in corsa”.

Questo potrebbe essere il segnale di un cambiamento di rotta sull’Ucraina, soprattutto alla luce dell’altra nuova intervista di Kellogg in cui ha lasciato intendere che Trump applicherà sia la “pressione” che la “leva” sulla Russia e sull’Ucraina, il che significa la rovina dell’Ucraina, non della Russia. La Russia è in grado di gestire qualsiasi pressione economica, ma la minima pressione sull’Ucraina potrebbe far crollare il Paese a questo punto, dato che l’Ucraina dipende totalmente dagli aiuti occidentali di ogni tipo. Se questo è davvero un segno del cambiamento di posizione di Trump, si tratterebbe di una prospettiva negativa per l’Ucraina, che potrebbe portare i carri armati russi a percorrere le strade di Kiev, come riportato nell’articolo di Hill.


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JD Vance ha ragione sull'”Ordo Amoris”

A proposito del tentativo di costruzione di una nuova narrazione e di un nuovo humus culturale. Non è solo tecnoscienza!_Giuseppe Germinario

JD Vance ha ragione sull'”Ordo Amoris”
Di RR Reno • 31 gennaio 2025
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C’è stata una lite sull’amore. No, non sto parlando di Taylor e Travis, che sembrano andare a gonfie vele. È JD Vance. Il vicepresidente è stato intervistato da Fox e ha fatto un’osservazione diretta: esiste un ordine o una gerarchia di amori, ciò che è classicamente chiamato ordo amoris . Dovremmo amare prima la nostra famiglia, poi i nostri vicini, poi la nostra comunità, poi il nostro Paese e solo dopo considerare gli interessi del resto del mondo. Vance ha definito questa una visione cristiana.

Alcuni reagirono con orrore. Essere cristiani significa essere universali e imparziali, dissero! Vance sta sostenendo un nativismo anticristiano! Ma Vance ha ragione. La tradizione cristiana ha un insegnamento coerente secondo cui dobbiamo amare chi ci è vicino con un fervore maggiore di chi ci è lontano.

Nella sua discussione sulla virtù dell’amore, Tommaso d’Aquino affronta la domanda chiave: dovremmo amare un uomo più di un altro? A prima vista, un universalismo dell’amore suona vero. Considerate questa modalità di deduzione: nel suo amore, Dio offre la salvezza a tutto il mondo. Siamo chiamati a imitare Dio. Pertanto, dobbiamo amare tutti e cercare di promuovere il loro benessere.

Tommaso non contesta la conclusione. Sì, il cristianesimo insegna che dobbiamo amare ampiamente. Gesù ribadisce il grande comandamento di amare il prossimo come noi stessi, e continua a chiarire che “il nostro prossimo” include coloro che sono al di fuori delle nostre famiglie, comunità e nazioni. (Questo è il gravamen della parabola del buon samaritano.) Ma Tommaso affina la conclusione, concludendo che non dovremmo amare tutte le cose allo stesso modo e allo stesso grado.

Ad esempio, dovremmo amare il buon cibo e la buona compagnia. Ma sicuramente ci sono beni superiori che dovremmo amare in misura maggiore. Se essere invitati alla festa richiede di dissimulare o fingere di avere opinioni che sai essere false, allora tradisci l’amore superiore per la verità per amore dell’amore molto meno importante per una buona tavola e una compagnia congeniale.

La buona salute offre un altro esempio. È qualcosa da amare, il che significa cercarla per noi stessi, così come per gli altri. Ma la salute non è il bene supremo. Come abbiamo scoperto durante la pandemia, amare il benessere fisico a scapito dei beni spirituali come la compagnia, per non parlare del culto, porta a una grave perversione della vita civica.

“Esiste un ordo amoris , un ordine dell’amore.”

In parole povere, esiste un ordo amoris , un ordine dell’amore. Dobbiamo amare le cose giuste nel modo giusto.

Tommaso applica la nozione di ordo amoris al nostro amore per le altre persone. Non c’è dubbio che tutte le persone siano ugualmente degne del nostro amore. Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. Ma ognuno di noi è gettato in un mondo di relazioni già esistenti. Queste relazioni portano con sé doveri e responsabilità.

Tommaso d’Aquino stabilisce un principio fondamentale: “L’obbligo di amare una persona è proporzionato alla gravità del peccato che si commette agendo contro questo amore”. In altre parole, dobbiamo amare con maggiore devozione coloro per i quali abbiamo una maggiore responsabilità.

Tommaso d’Aquino fornisce come esempio la nostra relazione con i genitori. Siamo obbligati a onorare nostra madre e nostro padre. È proprio lì nei Dieci Comandamenti. Ne consegue, quindi, che un amore per gli altri che impedisce o contraddice il nostro amore appropriato per i genitori è fuorviante, persino sbagliato. Lo stesso vale per i figli. Immaginiamo che Dio ci chiami ad amare gli altri in un modo che ci porta a trascurare i nostri obblighi di genitori? In Bleak House , Charles Dickens crea un personaggio, la signora Jellyby, che esemplifica la perversione dell’amore. È devota a iniziative filantropiche all’estero mentre trascura i suoi figli.

Gesù ci dice che dobbiamo essere preparati a odiare le nostre madri e i nostri padri, i nostri fratelli e le nostre sorelle. È un avvertimento appropriato, ma riguarda il nostro amore per Dio, che deve essere l’amore più alto, più alto persino della famiglia. Guai a colui che sostituisce “l’umanità” a Dio. I suoi amori saranno disordinati e, come la signora Jellyby, potrebbe ben immaginare di dover amare l’umanità più di sua moglie e dei suoi figli.

Vance parla di vicini e comunità. Anche qui si applica il principio articolato da Tommaso d’Aquino. Trascurare i bisogni di qualcuno in Siria non facendo una donazione a un’organizzazione di soccorso può essere peccaminoso. (Sottolineo ” può “). Ma restare indifferenti quando il prossimo è in difficoltà è probabilmente un peccato molto più grave. Lasciatemi dire questo in termini concreti: l’amore simile a quello di Cristo incoraggia la preoccupazione per le vittime di incendi in altri stati, regioni o paesi. Ma a maggior ragione l’amore simile a quello di Cristo ci spinge ad andare in aiuto dei vicini le cui case in fondo alla strada stanno bruciando.

Sospetto che la maggior parte dei critici di Vance si sia angosciata per la sua schietta affermazione del nostro amore per i nostri concittadini. Temono il “nativismo” o qualche altra manifestazione di xenofobia. Ma non dovremmo lasciare che amori disordinati screditino un corretto ordine di amori.

Ricordate il principio di Tommaso d’Aquino: il nostro obbligo di amare è proporzionato al peccato commesso nell’agire contro quell’amore. Il tradimento è un crimine grave. Non posso commettere tradimento contro la Cina o qualsiasi altra nazione che non sia la mia. Pertanto (se mi permettete un momento di logica scolastica), dovremmo amare il nostro paese più di qualsiasi altro paese.

L’amore è geloso. Amo mia moglie a scapito degli altri. Lo stesso vale per il mio Paese. Ma l’amore è anche fecondo. Un uomo che ama sua moglie con devozione disinteressata ha preparato il suo cuore ad amare il suo Paese e a fare sacrifici per conto dei suoi concittadini.

Vance non sta sminuendo la preoccupazione dell’America per le altre nazioni e popoli, perché la stessa fecondità opera sulla scena mondiale. Dio non voglia che il nostro futuro riposi in una tecnocrazia senza anima e in “migliori pratiche” senza sangue. Abbiamo bisogno di leader che amino gli altri anziché manipolarli o gestirli, compresi quelli in terre lontane. Questo amore deve essere incoraggiato, addestrato e approfondito, il che avviene quando viviamo in accordo con un caldo e senza scuse ordo amoris .

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Il ritiro militare della Francia e il riallineamento dell’Africa, di Paulo Aguiar, M.A.

La tragedia e l’autolesionismo delle nazioni europee: dopo aver tagliato volontariamente i ponti con la Russia, sono tagliati fuori dall’Africa, grazie alla loro subordinazione atlantista e al retaggio coloniale. Su quali basi vorranno preservare la loro parvenza di autonomia, le loro forniture energetiche e la loro capacità industriale sarà un mistero_Giuseppe Germinario

Il ritiro militare della Francia e il riallineamento dell’Africa

Con l’ingresso nel vuoto di Russia, Cina e altri attori emergenti, l’equilibrio di potere in Africa sta subendo una trasformazione fondamentale.


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Panoramica

 

La lunga influenza della Francia nell’Africa francofona si sta dissolvendo ad un ritmo accelerato. Nell’ultimo anno, un’ondata di riallineamenti politici e militari ha portato all’espulsione delle truppe francesi e alla risoluzione degli accordi di difesa in diverse nazioni. Il Ciad è stato l’ultimo Paese a rompere i legami, prendendo ufficialmente il controllodell’ultima base militare francese a N’Djamena il 31 gennaio 2025. Questo segue mosse simili in Mali, Burkina Faso e Niger. Con l’arretramento della Francia, nuovi attori di potere – tra cui Russia, Cina e Turchia – stanno intervenendo per rimodellare le dinamiche economiche e di sicurezza della regione. Questi sviluppi hanno implicazioni di vasta portata per la stabilità regionale, le relazioni economiche e l’impegno dell’Occidente in Africa.


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Sviluppi chiave

 

Il ritiro militare della Francia e la fine degli accordi di difesa

 

  • La rottura strategica del Ciad:La Francia ha concluso la sua presenza militare in Ciad, trasferendo formalmente la sua ultima base al governo locale. Questo segna la fine di un patto di difesa che esisteva da decenni, risalente agli accordi post-indipendenza che posizionavano la Francia come fornitore di sicurezza chiave. Le forze francesi hanno svolto un ruolo cruciale nelle operazioni antiterrorismo e negli sforzi di stabilizzazione regionale, ma la crescente insoddisfazione locale per il coinvolgimento e l’influenza militare della Francia ha portato alla decisione di separarsi.

  • Uno schema di espulsioni: Mali, Burkina Faso e Niger hanno tutti estromesso le forze militari francesi e le hanno sostituite con accordi di sicurezza alternativi. Questi governi, spesso guidati da giunte militari, hanno cercato di affermare la propria sovranità e di allontanarsi dall’influenza storica della Francia, rivolgendosi invece a partner non occidentali per il sostegno alla difesa e alla sicurezza. In particolare, i consiglieri militari sostenuti dalla Russia sono intervenuti per colmare il vuoto di sicurezza, promettendo misure di controinsurrezione più incisive.

  • Futuro incerto per i restanti avamposti francesi: Con solo Gibuti e Gabon che ospitano basi militari francesi, la longevità dell’impronta di sicurezza della Francia in Africa è in discussione. Gibuti rimane un avamposto critico grazie alla sua posizione strategica lungo lo stretto di Bab el Mandeb, che ospita diverse basi militari straniere, tra cui quelle di Stati Uniti, Cina e Giappone. Il Gabon, tuttavia, si trova ad affrontare l’instabilità politica dovuta alle recenti transizioni di governo, il che solleva la possibilità che la sua leadership possa riconsiderare i legami militari con la Francia. Se il Gabon seguirà la tendenza regionale, la Francia potrebbe perdere un’altra base chiave, erodendo ulteriormente la sua influenza sul continente.

L’ascesa di nuove alleanze e nuovi attori di potere

 

  • La crescente impronta della Russia: Mali, Burkina Faso e Niger si sono orientati verso il sostegno militare russo, in particolare attraverso l’Africa Corps, affiliato a Wagner, in cambio di garanzie di sicurezza e accordi economici. Le forze russe stanno capitalizzando il sentimento antifrancese per espandere la loro influenza nella regione, offrendo assistenza militare con minori condizioni politiche rispetto ai governi occidentali.

  • L’espansione della leva economica cinese: Mentre la Francia si ritira, le imprese cinesi stanno perseguendo in modo aggressivo progetti infrastrutturali e minerari, assicurandosi un accesso critico alle risorse naturali dell’Africa. La Belt and Road Initiative (BRI) della Cina ha guadagnato terreno, con le nazioni africane che guardano sempre più a Pechino per finanziamenti e partnership di sviluppo, in particolare in settori come i trasporti, l’energia e le telecomunicazioni.

  • La Turchia e gli Emirati Arabi Uniti entrano in scena: Il Ciad e altre nazioni guardano sempre più alla Turchia e agli Emirati Arabi Uniti per l’addestramento militare, l’approvvigionamento di armi e la cooperazione strategica. La crescente presenza militare della Turchia in Africa è sostenuta dalla sua industria della difesa, che fornisce droni e veicoli blindati, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno approfondito i legami attraverso patti di sicurezza e investimenti economici, in particolare nella regione del Sahel.

Problemi di sicurezza e sfide dell’antiterrorismo

 

  • Minacce terroristiche in crescita: Il vuoto lasciato dalle forze francesi ha incoraggiato gruppi militanti come Boko Haram e ISWAP, permettendo loro di riorganizzarsi, espandere gli sforzi di reclutamento e lanciare attacchi transfrontalieri più frequenti. La rinascita di questi gruppi è particolarmente preoccupante nella Nigeria settentrionale, nel bacino del Lago Ciad e nella regione tri-frontaliera tra Mali, Burkina Faso e Niger. Con le forze di sicurezza ridotte al lumicino, queste fazioni estremiste stanno sfruttando la debolezza delle strutture di governance e la porosità dei confini per riaffermare la loro influenza.

Regione africana del Sahel. (Encyclopædia Britannica).
  • Stabilità di confine a rischio:Il movimento di armi e militanti nella regione ha acuito le tensioni, mentre le fazioni militanti tuareg e le forze governative competono per il dominio territoriale. Il crescente ricorso a gruppi paramilitari russi, soprattutto in Mali e Burkina Faso, ha portato a scontri con le fazioni locali e ha sollevato crescenti preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani e le azioni extragiudiziali.

  • Perdita di risorse chiave di intelligence: L’abbandono della Francia significa che le nazioni africane perdono l’accesso a sofisticati meccanismi di condivisione dell’intelligence, tra cui la sorveglianza con i droni e il coordinamento dell’antiterrorismo. In precedenza, le basi militari francesi fornivano dati critici in tempo reale sui movimenti degli estremisti, aiutando a prevenire gli attacchi. Senza queste risorse, le forze locali si trovano ad affrontare una significativa lacuna nel monitorare e rispondere alle minacce emergenti. Il passaggio a partner alternativi, come la Russia e la Turchia, potrebbe non compensare immediatamente questo deficit di intelligence, aumentando la probabilità di avanzamenti militanti inaspettati e di destabilizzazione.

Ricadute economiche e conseguenze politiche

 

  • Un clima commerciale ostile per le aziende occidentali: i governi del Mali e del Niger stanno dando priorità al controllo nazionale sulle risorse, attuando misure restrittive nei confronti delle aziende occidentali e favorendo invece le aziende russe e cinesi.

  • La migrazione come leva strategica: Con l’affermazione del dominio della sicurezza da parte della Russia, cresce la preoccupazione che le rotte migratorie dall’Africa all’Europa possano essere manipolate per ottenere una leva geopolitica. L’aumento dell’instabilità e delle difficoltà economiche nel Sahel potrebbe spingere ondate migratorie verso l’Europa, intensificando la pressione sui governi europei affinché negozino con i nuovi mediatori di potere regionali.

  • Nazionalismo antifrancese in aumento: I leader politici in tutta l’Africa occidentale stanno facendo leva sul sentimento antifrancese per consolidare il sostegno interno, rafforzando le richieste di sovranità economica e politica. Le manifestazioni pubbliche contro la Francia sono aumentate, con richieste di risarcimenti e cambiamenti di politica che limitino ulteriormente il coinvolgimento occidentale negli affari nazionali.



Implicazioni strategiche e prospettive future

 

Per la Francia:

 

  • L’erosione dell’influenza militare indebolisce la sua capacità di proiettare potere in Africa e di mantenere un punto d’appoggio strategico.

  • Le imprese francesi devono affrontare crescenti ostacoli economici e normativi, poiché i governi africani favoriscono partner alternativi.

  • Gli sforzi di Macron per rivitalizzare le relazioni della Francia con l’Africa sono falliti, segnando di fatto la fine della “Françafrique” come realtà geopolitica.

  • La diminuzione dell’influenza avrà probabilmente un impatto sulla più ampia politica estera della Francia, costringendo Parigi a ripensare i suoi impegni strategici in altre ex colonie e oltre.

  • Per riconquistare una posizione di rilievo nella regione, la Francia potrebbe dover ricorrere a strategie di soft power, come la diplomazia culturale e i partenariati economici.

Per l’Europa:

 

  • Una potenziale ondata migratoria dal Sahel metterà a dura prova le politiche europee di gestione delle frontiere.

  • Gli Stati membri dell’UE devono ricalibrare le loro politiche estere e di sicurezza per rispondere alla diminuzione della presenza francese nella regione.

  • Il crescente dominio della Cina sui mercati africani rappresenta una sfida a lungo termine per l’influenza economica europea.

  • Le aziende europee che operano nell’Africa francofona potrebbero trovarsi ad affrontare una maggiore concorrenza da parte delle imprese russe e cinesi, rendendo necessarie politiche commerciali e di investimento più incisive.

  • L’UE potrebbe dover prendere in considerazione iniziative diplomatiche ed economiche alternative per contrastare la perdita di influenza in Africa.

Per gli Stati Uniti:

 

  • Washington deve rivalutare il suo approccio all’antiterrorismo in Africa senza che la Francia guidi le operazioni di sicurezza, in particolare nelle regioni in cui gruppi jihadisti come Boko Haram e Al-Qaeda nel Maghreb islamico rimangono attivi. Senza una solida presenza di sicurezza occidentale, il rischio che le reti estremiste espandano la loro influenza aumenta in modo significativo.

  • Assicurarsi partner affidabili per la stabilità regionale sarà fondamentale, dato che Russia e Cina stanno guadagnando terreno. Gli Stati Uniti dovranno rafforzare i legami diplomatici con le nazioni africane e migliorare la cooperazione economica e militare per contrastare la crescente influenza degli attori non occidentali.

  • L’ascesa di attori non occidentali potrebbe complicare gli impegni diplomatici e militari degli Stati Uniti in tutto il continente, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza delle risorse strategiche e il mantenimento dell’accesso alle reti di condivisione dell’intelligence. Le mutevoli alleanze delle nazioni africane potrebbero richiedere a Washington di adattare il proprio quadro politico per garantire una continua influenza e stabilità.

  • Il Pentagono potrebbe anche dover riconsiderare l’ubicazione delle sue basi e i suoi dispiegamenti militari per mantenere una presenza operativa in regioni chiave come il Sahel e il Corno d’Africa.

Per la Russia e la Cina:

 

  • La Russia rafforza la sua influenza geopolitica: Mentre la Francia si ritira, la Russia si inserisce nel vuoto della sicurezza, espandendo la sua portata e assicurandosi l’accesso alle risorse strategiche dell’Africa. Gli appaltatori militari e le iniziative diplomatiche russe stanno aumentando di importanza, radicando ulteriormente l’influenza di Mosca nei principali Stati africani.

  • Il dominio economico della Cina cresce: Con il ritiro delle imprese occidentali, gli investimenti cinesi nelle infrastrutture, nella tecnologia e nell’estrazione delle risorse africane stanno accelerando, rafforzando ulteriormente l’influenza di Pechino. I progetti cinesi della Belt and Road Initiative (BRI) continuano ad espandersi, consolidando le relazioni economiche a lungo termine di Pechino con i governi africani e aumentando la dipendenza dal sostegno finanziario cinese per le infrastrutture critiche.


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Conclusione

 

Il ritiro della Francia dal Ciad e da altre nazioni africane è più di una riconfigurazione militare: rappresenta un profondo cambiamento geopolitico. Le nazioni africane stanno affermando la propria indipendenza e perseguendo partnership globali diversificate, allontanandosi dalla loro storica dipendenza dalle potenze occidentali. Con l’ingresso nel vuoto di Russia, Cina e altri attori emergenti, l’equilibrio di potere in Africa sta subendo una trasformazione fondamentale. Questa transizione segna la fine del dominio decennale della Francia e inaugura una nuova era di impegno multipolare, riallineamento strategico e geopolitica competitiva in Africa.

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Cinque spunti dai piani di Trump per costruire una cupola di ferro per l’America, di Andrew Korybko

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1 febbraio
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Si tratta di un punto di svolta nella Nuova Guerra Fredda, poiché porterà la rivalità degli Stati Uniti con Russia e Cina a un livello qualitativamente più pericoloso attraverso la conseguente iper-militarizzazione dello spazio.

Trump ha firmato un ordine esecutivo per costruire un Iron Dome per l’America, che mira a difendere la patria “dai missili da crociera balistici, ipersonici, avanzati e da altri attacchi aerei di nuova generazione”. Includerà anche, cosa importante, sistemi di monitoraggio e intercettazione basati sullo spazio. Alcuni di questi ultimi avranno anche “capacità non cinetiche”, probabilmente riferendosi alle armi ad energia diretta (DEW), ma non è chiaro se saranno schierate a terra e/o nello spazio. Ecco cinque spunti da questa mossa monumentale:

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1. La stabilità strategica non sarà mai più la stessa

Il ritiro unilaterale di Bush Jr. dal Trattato antimissile balistico nel 2002 ha spinto la Russia a sviluppare una tecnologia ipersonica per impedire agli Stati Uniti di sentirsi abbastanza a loro agio con il loro scudo di difesa missilistica da pianificare un giorno un primo attacco dopo aver pensato di poter intercettare il secondo della Russia. I piani Iron Dome di Trump significano che non si tornerà all’era delle restrizioni reciproche sulla difesa missilistica, che era già dubbia dopo ciò che ha fatto Bush Jr., peggiorando così il dilemma di sicurezza russo-statunitense.

2. Gli Stati Uniti hanno appena accelerato la seconda corsa allo spazio

La seconda corsa allo spazio è già in corso da quando Trump ha creato la Space Force nel 2019, ma il suo ultimo ordine esecutivo l’ha accelerata costringendo Russia e Cina a dare ulteriore priorità ai loro piani di difesa basati sullo spazio, il che porterà inevitabilmente all’iper-militarizzazione dello spazio. Non c’è modo che quei due non si adattino tramite l’implementazione dei loro sistemi difensivi lì che potrebbero anche mascherare armi offensive proprio come gli Stati Uniti potrebbero segretamente complottare di fare con questo pretesto.

3. Le “verghe di Dio” sono la prossima superarma

Qualunque paese sia il primo a posizionarsi per effettuare bombardamenti cinetici contro gli altri, ovvero lanciare proiettili spaziali sul loro avversario, otterrà il predominio. Queste armi sono popolarmente note come ” verghe di Dio ” e sono pronte a diventare la prossima superarma poiché potrebbero essere impossibili da intercettare e possono colpire prontamente gli avversari perché orbitano minacciosamente sopra i loro obiettivi o sono abbastanza vicine a loro in ogni momento. Ciò le rende un punto di svolta militare.

4. Si tratta di un gioco di potere senza precedenti da parte degli Stati Uniti

I punti precedenti dimostrano che i piani Iron Dome di Trump sono un gioco di potere senza precedenti contro Russia e Cina. L’elemento offensivo non ufficiale “verghe da Dio” aumenta le possibilità che gli Stati Uniti possano distruggere la loro capacità di secondo attacco basata a terra in un primo attacco, mentre quello ufficiale di difesa missilistica è destinato a neutralizzare le loro capacità rimanenti (basate su sottomarini). L’effetto combinato è destinato a metterli in posizioni di ricatto nucleare da cui si possono poi estrarre concessioni in modo perpetuo.

5. Il controllo degli armamenti spaziali dovrebbe essere una priorità

Russia e Cina lavoreranno per contrastare il suddetto gioco di potere degli Stati Uniti e poi sveleranno i propri sistemi in modo da cercare di metterli nella stessa posizione di ricatto nucleare in cui vogliono metterli. Questa è una dinamica pericolosa poiché uno di questi tre potrebbe pensare che il tempo stia per scadere prima di essere messo in tale posizione e che debba quindi lanciare un primo attacco senza indugio. L’unico modo per ridurre questo rischio è attraverso un patto di controllo degli armamenti basato sullo spazio con meccanismi di monitoraggio e applicazione credibili.

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I piani di Trump di costruire un Iron Dome per l’America sono un punto di svolta nella Nuova Guerra Fredda , poiché porteranno la rivalità degli Stati Uniti con Russia e Cina a un livello qualitativamente più pericoloso. La conseguente iper-militarizzazione dello spazio che si verificherà a seguito del suo desiderio di schierare intercettori lì, che potrebbero camuffare armi offensive come “verghe di Dio”, aumenta il rischio di guerra per errore di calcolo. Un patto di controllo degli armamenti basato sullo spazio tra loro è improbabile in tempi brevi, ma è l’unico modo per ridurre questo rischio.

Una vera e propria campagna di pressione economica da parte degli Stati Uniti contro i paesi BRICS potrebbe essere imminente.

Trump ha ripreso la minaccia di fine novembre di imporre tariffe del 100% ai Paesi BRICS se andranno avanti con i loro presunti piani di creazione di una nuova valuta o di sostegno a quella esistente per sostituire il dollaro, analizzata qui all’epoca. È stato valutato che la sua minaccia si basava su false premesse, poiché tali piani erano stati solo ventilati dal gruppo e mai seriamente avanzati. Persino Putin li ha sminuiti, come dimostrato dalla suddetta analisi che cita i discorsi del sito ufficiale del Cremlino.

La realtà è che i BRICS non hanno ottenuto nulla di tangibile nel decennio trascorso da quando hanno deciso di creare la Nuova Banca di Sviluppo nel 2014, e persino il vertice di Kazan dello scorso ottobre è caduto nel vuoto nonostante il clamore senza precedenti che lo ha preceduto, come spiegato in dettaglio qui allora. Poco dopo la minaccia iniziale di Trump, il Ministro degli Affari Esteri indiano Dr. Subrahmanyam Jaishankar ha chiarito che il suo Paese non ha alcun piano di de-dollarizzazione, cosa che è stata ribadita dopo l’ultima minaccia di Trump e anche evidenziata dalla Russia.

In ogni caso, vale la pena chiedersi perché Trump abbia ripresentato la stessa identica minaccia a distanza di due mesi, e si può rispondere ricordando che questa precedeva immediatamente l’imposizione di dazi del 25% su Canada e Messico e del 10% sulla Cina con il pretesto che non lo avrebbero aiutato a fermare la piaga del fentanyl. È quindi possibile che stia pianificando di ampliare la dimensione anticinese di queste tariffe con il pretesto che Pechino sta cercando di internazionalizzare lo yuan attraverso i BRICS come concorrente del dollaro.

Per quanto riguarda gli altri Paesi del gruppo, potrebbero essere sanzionati caso per caso con il pretesto che stanno lavorando con la Cina a questo scopo o con quello correlato che stanno cercando di creare una nuova valuta all’interno dei BRICS, con tali minacce che gli conferiscono una potente leva negoziale su di loro. Dal momento che l’affermazione dei BRICS è provatamente falsa, come è stato dimostrato in precedenza, è più probabile il primo scenario, che prevede l’implementazione di tariffe con il pretesto di aiutare la Cina a internazionalizzare lo yuan, escludendo così almeno l’India.

Per essere sicuri, potrebbe ancora imporre altre forme di pressione su di essa quando negozia questioni legate al commercio, ma non c’è alcuna base credibile per sostenere che l’India stia cospirando con il suo rivale cinese per internazionalizzare lo yuan in mezzo alla loro disputa di confine irrisolta che si è scongelata solo di recente. Gli altri Paesi non hanno tensioni di questo tipo con la Cina e ostacoli concomitanti all’internazionalizzazione della sua valuta a scapito del dollaro, per cui è possibile che presto vengano minacciati con tariffe doganali con questo pretesto.

In tal caso, alcuni dei Paesi meno forti economicamente e politicamente sovrani potrebbero capitolare a qualsiasi richiesta degli Stati Uniti, che potrebbe assumere la forma di un graduale ribilanciamento del commercio e degli investimenti dalla Cina agli Stati Uniti. In pratica, ciò potrebbe portare alla rinegoziazione degli accordi commerciali e di investimento, oltre che ad altri mezzi per ottenere questo risultato, compresi quelli subdoli che potrebbero vedere questi Paesi BRICS creare informalmente un ambiente ostile alle imprese cinesi.

Nessuno deve aspettarsi che questo accada subito o che porti a una rottura delle loro relazioni con la Cina, né tantomeno che si ritirino dai BRICS, ma solo che è l’obiettivo più logico a cui Trump punterebbe se minacciasse di tassarli con il pretesto della de-dollarizzazione di cui ha appena parlato. In altre parole, potrebbe essere imminente una vera e propria campagna di pressione economica da parte degli Stati Uniti nei confronti dei Paesi BRICS, alla quale molti di loro potrebbero preferire di sottomettersi piuttosto che rischiare di subire dazi paralizzanti.

Non correrà il rischio di disgregare la NATO, e tanto meno di combattere una guerra che sicuramente perderà, per quanto duro il suo ministro degli Esteri si sforzi di sembrare, nell’ambito di uno stratagemma per presentare la Francia come leader dell’UE.

Politico ha citato il ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot che ha affermato che il suo paese aveva discusso il possibile dispiegamento di truppe in Groenlandia con la Danimarca per proteggerla dalle affermazioni di Trump, ma Copenaghen non voleva andare avanti con la proposta di Parigi. Ha poi liquidato lo scenario dell’invasione degli Stati Uniti per far sembrare che la suddetta divulgazione e il suo esito non fossero un granché. Sembrava quindi che volesse solo sottolineare che la Francia proteggerà i confini dell’UE.

La realtà, però, è che la Francia non combatterà gli USA per la Groenlandia, se si dovesse arrivare a questo. Innanzitutto, distruggerebbe l’unità della NATO, il che potrebbe portare alla seconda conseguenza del ritiro degli USA dal blocco e lasciare gli europei da soli ad affrontare la Russia. Terzo, la Francia perderebbe sicuramente, quindi il quarto punto è che non c’è motivo di rischiare tutto questo per il bene della Danimarca. E infine, i groenlandesi potrebbero alla fine votare per l’indipendenza, rendendo così l’intervento della Francia una guerra neocoloniale con gli USA.

Come è stato valutato a fine dicembre, ” Il Canale di Panama e la Groenlandia sono di Trump, se li vuole davvero “, ma resta da vedere se è disposto a usare la forza militare a tal fine o se le sue rivendicazioni su entrambi sono solo una tattica negoziale per espellere rispettivamente l’influenza cinese e tenerla a bada. C’è anche la possibilità che voglia trasformarli in protettorati, formalmente o meno, con privilegi poco chiari per i cittadini americani, le aziende e/o i militari.

In ogni caso, questi sono imperativi abbastanza importanti da far sì che gli USA prendano seriamente in considerazione l’uso della forza, se necessario, a seconda di come potrebbero andare i negoziati su ciascuno di essi, il che è in netto contrasto con l’interesse della Francia per la Groenlandia. La Francia voleva solo riaffermare l’importanza di proteggere i confini dell’UE e presentarsi come leader del blocco in mezzo al suo tradizionale rivale con la Germania in questo senso. Non ha la volontà politica di mantenere effettivamente questa promessa contro gli USA, se mai la Danimarca glielo chiedesse.

Ciò che dimostra tutto questo episodio è che la rivendicazione di Trump sulla Groenlandia ha scatenato il panico tra gli europei. Non si aspettavano che accadesse qualcosa del genere e ora non sanno come reagire nel caso in cui esercitasse ulteriori pressioni sulla Danimarca. Non importa quanto alcuni paesi europei come la Francia pensino ancora di sé stessi, il fatto è che sono ancora partner minori degli Stati Uniti e persino vassalli nella maggior parte dei casi. Dipendono più dagli Stati Uniti che il contrario.

Per questo motivo, è altamente improbabile che le truppe europee in Groenlandia facciano qualcosa di più che sparare in aria nel caso in cui Trump autorizzi l’esercito a impadronirsi di quell’isola, poiché usare la forza letale contro le truppe americane innescherebbe una crisi intra-NATO senza precedenti. Le dinamiche di potere tra loro sono tali che i membri europei del blocco si sono convinti di aver bisogno degli Stati Uniti per proteggerli dalla Russia e quindi non rischieranno di essere abbandonati dagli Stati Uniti per la Groenlandia.

Non bisogna dimenticare che la Francia non è mai intervenuta in modo convenzionale in Ucraina l’anno scorso, nonostante le minacce di farlo . Questo perché non è riuscita a ottenere le garanzie dell’articolo 5 dagli Stati Uniti. Dal momento che la Francia ha obbedito alla molto più debole amministrazione Biden e ha dimostrato di non essere davvero così entusiasta di combattere la Russia come ha fatto sembrare, prevedibilmente obbedirà alla molto più forte amministrazione Trump e non oserà sfidarla militarmente sulla Groenlandia, che è molto meno significativa per l’UE rispetto all’Ucraina

Due recenti sviluppi hanno riacceso le speculazioni sulla possibilità che questa antica fantasia politica possa diventare realtà.

La proposta del capo del Russian Foreign Intelligence Service (SVR) Sergey Naryshkin di organizzare una conferenza di storici del suo paese, Polonia, Ungheria e Slovacchia per discutere della potenziale futura divisione dell’Ucraina ha nuovamente alimentato le speculazioni sui suoi confini occidentali che cambieranno dopo la fine del conflitto. Poco dopo è seguita quella del populista rumeno Calin Georgescu, che ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali dell’anno scorso prima che venissero scandalosamente annullate , rivendicando anche lui una parte dell’Ucraina.

Nelle sue parole , “Il percorso verso qualcosa del genere è inevitabile. L’Ucraina è uno stato fittizio… la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Il mondo sta cambiando. I confini cambieranno… Se i confini cambiano, dove siamo? Abbiamo un interesse nella Bucovina settentrionale. Abbiamo Budjak, abbiamo il Maramures settentrionale, l’ex Transcarpazia… ci sono ancora ungheresi”. Questa sequenza di eventi ha ricordato ad alcuni osservatori il rapporto di Interfax-Ucraina di novembre sui presunti piani della Russia di triforcare l’Ucraina.

Hanno citato la comunità di intelligence del loro paese per affermare che la prima parte avrebbe incluso la piena incorporazione delle quattro regioni ucraine che si sono unite alla Russia nel settembre 2022; la seconda si sarebbe estesa fino agli ex confini polacco e rumeno, avrebbe ospitato truppe russe e sarebbe stata amica della Russia; mentre la terza sarebbe stata “contesa” tra i vicini dell’Ucraina. È questa parte finale che presumibilmente sarebbe stata divisa da Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania con l’incoraggiamento della Russia.

Ciò probabilmente non accadrà, tuttavia, per le ragioni spiegate nell’analisi precedente con collegamento ipertestuale, che ha elaborato questa precedente qui del gennaio 2024, che affrontava tali affermazioni da parte dei populisti ungheresi e rumeni all’epoca. Si riducono al fatto che nessuno di questi paesi, in particolare la Polonia , desidera una significativa minoranza ucraina (inclusi radicali violenti) all’interno dei propri confini. Inoltre, non vogliono nemmeno effettuare una pulizia etnica, né gli Stati Uniti approverebbero ciò, anche se qualcuno ci provasse.

Gli stessi fattori rimarrebbero in vigore anche in mezzo all’ipotetico dispiegamento di peacekeeper occidentali nell’Ucraina occidentale, il che è inverosimile in ogni caso, poiché non ci si aspetta che la Russia accetti questo né che Trump estenda loro le garanzie dell’articolo 5 e rischi una guerra calda su questa questione. Se mai ciò accadesse, il massimo che potrebbero fare è ritagliare lì sfere di influenza economica per i rispettivi paesi, ma ciò potrebbe essere prevenuto imponendo la creazione di battaglioni misti.

Ad esempio, gli USA potrebbero esigere che i polacchi si mescolino con i tedeschi e i rumeni con i francesi, con i peacekeeper di ogni paese non confinante che fungono da ostacolo per quelli di ogni paese confinante nell’evento irrealistico che questi ultimi ordinino alle loro forze di annettere parti dell’Ucraina occidentale. Non che qualcuno di loro oserebbe sfidare gli USA in questo modo, ma questo potrebbe comunque essere implementato per rassicurare gli ucraini locali che nessuno dei loro vicini ha tali intenzioni, riducendo così il rischio di insurrezione.

Considerando che la Russia non ha catturato un’intera regione in quasi tre anni di combattimenti, non c’è alcuna base credibile per ipotizzare che pianterà gli stivali sulla frontiera della NATO, quindi le uniche variabili rilevanti per lo scenario del cambiamento dei confini occidentali dell’Ucraina sono quelle menzionate in precedenza. Anche la recente previsione del consigliere senior di Putin Nikolai Patrushev secondo cui l’Ucraina potrebbe non esistere entro la fine dell’anno è improbabile che si realizzi, poiché gli Stati Uniti hanno tutte le ragioni per garantire l’esistenza almeno della sua metà occidentale.

Trump è un uomo d’affari che non lascerà che i quasi 200 miliardi di dollari di finanziamenti del suo paese all’Ucraina vadano sprecati senza almeno mantenere tutto fino al Dnieper sotto il controllo di fatto degli Stati Uniti, perseguendo il quale potrebbe chiarire a Putin che intensificherà drasticamente se le forze russe attraversassero il fiume. Un’intesa reciproca su questo potrebbe quindi gettare le basi per un grande accordo sull’Ucraina che potrebbe assumere la forma dei compromessi che sono stati proposti alla fine di questa analisi qui .

Mentre la Russia non è in grado di influenzare il futuro dell’Ucraina occidentale, potrebbe essere in grado di influenzare ciò che accade nella regione “Trans-Dnieper” a nord delle sue nuove regioni e a est del fiume, che potrebbe diventare una zona demilitarizzata controllata da peacekeeper non occidentali come descritto qui . Questa è l’unica parte del paese che potrebbe vedere cambiamenti significativi dopo la fine del conflitto, ma anche questo è discutibile poiché gli Stati Uniti potrebbero non essere d’accordo o potrebbero prima chiedere concessioni inaccettabili alla Russia.

Tuttavia, il punto è che speculare sul futuro della regione ucraina del “Trans-Dnieper” sarebbe un uso migliore del tempo degli osservatori che speculare sull’Ucraina occidentale, quest’ultima probabilmente manterrà i suoi confini e non ci si aspetta che le venga imposto alcun regime speciale. Di sicuro, quegli stessi confini sono effettivamente artificiali esattamente come ha notato Georgescu, ma costituiscono anche una parte integrante del progetto di contenimento anti-russo degli Stati Uniti che non hanno motivo di spartirsi con altri anche se lo volessero.

È improbabile che Trump estenda le garanzie dell’articolo 5 alle truppe polacche in Bielorussia e Ucraina, che verrebbero attaccate dalla Russia nel momento in cui intervenissero, quindi non è previsto che il timore di Lukashenko che la Polonia tenti di annettere i territori di quei due Paesi che controllava durante il periodo tra le due guerre si concretizzi.

Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, appena rieletto domenica per il suo settimo mandato, ha messo in guardia sui presunti piani territoriali della Polonia per il suo paese e l’Ucraina. Secondo lui , “Oggi state tenendo d’occhio la Bielorussia occidentale fino a Minsk, avete già iniziato a parlare dell’Ucraina occidentale. Capite che non otterrete un centimetro di territorio da noi. Questo è il nostro territorio”. Mentre la Polonia sostiene l’Ucraina contro la Russia e appoggia il cambio di regime in Bielorussia, è improbabile che invii truppe in uno dei due paesi.

Lo stesso Zelensky si è lamentato la scorsa settimana del fatto che gli europei non invieranno alcun peacekeeper in Ucraina come ha chiesto durante il suo discorso a Davos, a meno che gli Stati Uniti non approvino, per non parlare del lancio unilaterale di un intervento militare convenzionale a suo sostegno mentre il conflitto è ancora in corso . Questo perché la Russia in precedenza aveva minacciato di prendere di mira qualsiasi truppa straniera non autorizzata che entrasse in Ucraina, cosa che uno dei suoi diplomatici senior ha appena ribadito nel fine settimana, in mezzo a un crescente dibattito su questo scenario.

Alcuni nazionalisti polacchi vogliono ripristinare il controllo di Varsavia dell’era del Commonwealth su parti di ciò che oggi sono Bielorussia, Ucraina e Lituania, ma sono una minoranza marginale e lo stato ha sempre cercato di stabilire una sfera di influenza politica ed economica invece di annettere le loro terre. Questa è stata la politica della Polonia dal 1991, dopo aver accettato i suoi confini orientali del dopoguerra, che hanno preso la forma di cooperazione bilaterale , Eastern Partnership , Three Seas Initiative e Lublin Triangle .

Le ragioni erano pragmatiche, poiché le minoranze polacche storicamente indigene di quei paesi moderni furono espulse e costrette ad andarsene in massa dopo la seconda guerra mondiale. Inoltre, la Polonia voleva replicare la politica Intermarium del leader tra le due guerre Jozef Pilsudski di creare una zona cuscinetto di stati subordinati tra sé e la Russia, che fallì all’epoca a causa del compromesso territoriale che pose fine alla guerra polacco-bolscevica (spartizione di Bielorussia e Ucraina) e all’ammutinamento (finto) di Lucjan Zeligowski su Vilnius.

Rilanciare le rivendicazioni territoriali contro quei tre, e soprattutto senza alcuna minoranza polacca significativa sul territorio a sostenerle, fatta eccezione per la Bielorussia (sebbene molti lì siano considerati “polacchi sovietizzati” che vogliono rimanere sotto il mandato di Minsk), rovinerebbe ancora una volta questi piani. L’ipotetica annessione dell’Ucraina occidentale da parte della Polonia rimodellerebbe anche radicalmente la sua demografia, porterebbe all’inclusione di una grande minoranza ostile all’interno dei suoi confini e aumenterebbe il rischio di un ritorno del terrorismo tra le due guerre .

L’Ucraina occidentale è stata una delle culle della civiltà polacca, dopo che molti leader militari, politici e artistici provenivano da lì da quando fu incorporata nella Polonia a metà del 1300, ma Kiev aveva già concesso ai polacchi privilegi senza visto , così che potessero visitare i suoi siti storici senza doverli prima annettere. Lo stesso vale per i membri dell’UE, la Lituania e persino la Bielorussia , che hanno anche concesso ai polacchi privilegi senza visto, anche se per una durata inferiore (90 giorni in un anno solare invece di 180 giorni totali).

La motivazione socio-culturale per l’annessione dei territori di quei paesi in cui i polacchi erano storicamente indigeni per secoli prima della fine della seconda guerra mondiale è quindi neutralizzata, il che si abbina alle suddette argomentazioni politico-strategiche contro questo per rendere tale scenario molto improbabile. La situazione militare contemporanea impedisce anche alla Polonia di lanciare unilateralmente un intervento militare convenzionale poiché verrebbe schiacciata dalla Russia a meno che gli Stati Uniti non promettessero di difenderla ai sensi dell’articolo 5.

Qui sta il principale ostacolo agli scenari di annessione di cui Lukashenko ha messo in guardia, poiché è improbabile che Trump estenda tali garanzie alle truppe degli alleati in paesi terzi che vi si schierano senza il suo permesso, poiché non vuole che gli Stati Uniti vengano trascinati in una guerra con la Russia. Ciò significa che anche se i militanti sostenuti dalla Polonia destabilizzano la Bielorussia, come quest’ultima ha affermato di voler fare alla fine dell’anno scorso, come spiegato qui , non sarà in grado di dare seguito inviando quella che ora è la terza armata più grande della NATO .

Per queste ragioni, mentre è vero che “la Polonia persegue la politica più aggressiva e cattiva contro la Bielorussia”, esattamente come ha detto Lukashenko domenica, invierà truppe lì e/o in Ucraina solo con l’approvazione di Trump, ma è improbabile che dia il via libera e la Polonia è ancora meno propensa a sfidarlo. Con questa intuizione in mente, le sue osservazioni servono a sensibilizzare sulla minaccia non convenzionale che la Polonia rappresenta per la Bielorussia e quindi per estensione per la Russia, ma nessuno dovrebbe aspettarsi che assuma una forma convenzionale.

Se il New START non verrà rinnovato o sostituito, all’inizio del 2026 potrebbe scatenarsi una nuova corsa agli armamenti a livello mondiale.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto che Putin è pronto a incontrare Trump per discutere di come porre fine al conflitto ucraino e riprendere i colloqui sul controllo degli armamenti dopo che il leader americano ha detto all’élite di Davos la scorsa settimana che vorrebbe fare entrambe le cose con la sua controparte russa il prima possibile. Il loro riferimento alla ripresa dei colloqui sul controllo degli armamenti è significativo poiché il New START scadrà a febbraio 2026, ma il processo di negoziazione è congelato dal 2023. Ecco alcuni briefing di base su questo argomento:

* 21 febbraio 2023: “ La Russia ha fatto la cosa giusta al momento giusto sospendendo la partecipazione al nuovo START ”

* 20 gennaio 2024: “ La Russia non riprenderà i colloqui sul controllo degli armamenti con gli Stati Uniti finché non sarà terminato il conflitto ucraino ”

* 18 ottobre 2024: “ L’interesse di Biden nei colloqui nucleari con la Russia è una risposta alla recente retorica di Trump ”

Per riassumere per comodità del lettore, la stabilità strategica globale dipende in larga misura dall’equilibrio delle forze nucleari e associate (come i sistemi di lancio) tra Russia e Stati Uniti, i paesi con i più grandi arsenali di questo tipo in assoluto. Si resero conto verso la fine della Vecchia Guerra Fredda di quanto fosse pericoloso produrre così tante migliaia di armi nucleari e di quanto fossero finanziariamente onerosi tali programmi per ciascuno di loro, ergo perché accettarono tagli parziali e meccanismi di monitoraggio.

Ciò ha contribuito ad alleviare il loro dilemma di sicurezza, che si riferisce alle mosse difensive di una parte (come la costruzione di armi nucleari a scopo di deterrenza) percepite dal rivale come offensive (come la preparazione di un primo attacco schiacciante) e quindi catalizzando un ciclo di escalation. Il loro dilemma di sicurezza è tornato a causa dell’espansione verso est della NATO. Ha poi raggiunto una nuova fase pericolosa con la loro guerra per procura in Ucraina e può peggiorare ulteriormente se il New START scade senza un sostituto.

Per questo motivo, Trump ha deciso di mantenere la promessa fatta in campagna elettorale di rilanciare i colloqui sulla denuclearizzazione con Russia e Cina che, a suo dire, erano sull’orlo del successo prima delle elezioni del 2020, il che spiega perché ne abbia parlato durante la sua apparizione video a Davos. Di sicuro, avrebbe potuto esagerare le possibilità di raggiungere un accordo se avesse vinto allora, soprattutto perché la Cina non era ricettiva e la Russia chiedeva (come Peskov ha ricordato a Trump) anche tagli al nucleare da parte di britannici e francesi.

Tuttavia, l’importanza di spiegare questo è dimostrare che l’interesse reciproco tra Stati Uniti e Russia nel riprendere i colloqui sul controllo degli armamenti potrebbe accelerare il processo di pace ucraino, poiché i primi sono stati sospesi da Mosca in attesa della conclusione dei secondi, il che può incentivare compromessi reciproci a tal fine. Si può solo ipotizzare quale forma ciò potrebbe assumere, ma alcune delle proposte alla fine di questa analisi qui e quella elaborata qui potrebbero essere in gioco se entrambe le parti hanno la volontà politica.

La necessità di riprendere i colloqui sul controllo degli armamenti è più urgente che mai, non solo perché il dilemma di sicurezza tra Stati Uniti e Russia è entrato in una nuova fase pericolosa tre anni fa e il New START scadrà presto, ma anche a causa dello sviluppo e dell’impiego di nuovi sistemi d’arma come gli Oreshnik ipersonici russi . È solo questione di tempo prima che gli Stati Uniti e altri recuperino, e visto che queste munizioni possono essere paragonabili in potenza alle armi nucleari ma senza le radiazioni , potrebbe presto iniziare una nuova corsa agli armamenti globale.

L’iper-proliferazione della tecnologia dalla fine della vecchia Guerra Fredda significa che questa possibile imminente competizione non sarebbe solo tra Stati Uniti e Russia come prima, ma includerebbe quasi inevitabilmente tutte le altre potenze nucleari e anche alcuni stati non nucleari come l’Iran e altri ancora. È solo attraverso un patto multilaterale, con un accordo tra Stati Uniti e Russia al centro, che altre potenze nucleari e/o missilistiche chiave possono essere coinvolte per accettare di limitare queste armi e impedire ad altri di ottenerle.

In pratica, ciò potrebbe assumere la forma di un accordo da parte loro di autorizzare sanzioni UNSC contro qualsiasi stato non firmatario che sia accusato in modo credibile di sviluppare o distribuire clandestinamente queste armi, nonché contro qualsiasi firmatario che sia accusato in modo credibile di accumulare più munizioni di quanto concordato. Ciò che viene sostanzialmente proposto in una nuova architettura di sicurezza internazionale incentrata sulla non proliferazione di armi non nucleari all’avanguardia che richiede la partecipazione di tutti i principali attori.

C’è ancora molta strada da fare prima che qualcosa del genere venga concordato al livello proposto che è necessario affinché questo funzioni, che include i dettagli sensibili e minuziosi dei meccanismi di monitoraggio, ma è nell’interesse di ogni potenza nucleare e missilistica responsabile che ciò accada. Il mezzo per raggiungere tale scopo è porre rapidamente fine al conflitto ucraino attraverso una serie di compromessi reciproci pragmatici in modo che il nucleo USA-Russia del sistema di sicurezza strategica globale possa quindi iniziare a lavorare su questo al più presto.

I politici occidentali possono ancora odiare la Russia, mentre i loro storici potrebbero continuare a sostenere che l’obiettivo dell’URSS nella Seconda guerra mondiale era quello di eliminare la minaccia esistenziale rappresentata dai nazisti, non necessariamente quello di liberare i campi di sterminio e le popolazioni occupate, senza escludere la Russia dagli eventi legati ad Auschwitz.

La Russia non è stata invitata a partecipare alla cerimonia commemorativa dell’80 ° anniversario della liberazione di Auschwitz a causa delle tensioni in corso con l’Occidente. Il direttore del Museo di Auschwitz ha anche chiarito lo scorso settembre che i rappresentanti russi non erano benvenuti dopo aver dichiarato che “È difficile immaginare la presenza della Russia, che chiaramente non comprende il valore della libertà. Una tale presenza sarebbe cinica”. L’evento ha anche ignorato il ruolo dell’Armata Rossa nella liberazione del campo di sterminio più famigerato del mondo.

L’ambasciatore russo in Polonia Sergey Andreev ha rifiutato di partecipare per queste ragioni, anche se ufficialmente chiunque era autorizzato a partecipare anche senza invito. Nelle sue parole , “Hanno pubblicato un messaggio che ci saranno eventi: chi vuole, lascialo andare. In teoria, possiamo, naturalmente, apparire lì, ma partecipare a un evento in cui nessuno ricorderà chi ha liberato il campo di concentramento di Auschwitz e l’Europa… Non ne abbiamo bisogno. Celebreremo questo anniversario nella nostra cerchia e in modo appropriato”.

Ciononostante, Putin ha comunque inviato un messaggio ai partecipanti e agli ospiti di quella cerimonia, scrivendo in parte che “I cittadini della Russia sono i discendenti diretti e gli eredi della generazione vittoriosa. Ci opporremo fermamente e risolutamente a qualsiasi tentativo di alterare il giudizio legale e morale emesso sui carnefici nazisti e sui loro collaboratori”. Ha anche ribadito il suo sacro impegno a “combattere attivamente contro la diffusione dell’antisemitismo, della russofobia e di altre forme di ideologie razziste”.

Sebbene il direttore della BBC Russia Steve Rosenberg abbia appena intitolato un articolo in cui si afferma che ” la Russia si concentra sulle vittime sovietiche della Seconda guerra mondiale come funzionari non invitati alla cerimonia di Auschwitz “, la realtà è che la Russia in generale e Putin in particolare hanno sempre attirato molta attenzione sul genocidio degli ebrei da parte dei nazisti. Ciò è stato riconosciuto in modo importante da Bibi, che ha invitato Putin come suo ospite d’onore a partecipare al ” Remembering The Holocaust: Fighting Antisemitism Forum ” di gennaio 2020 a Gerusalemme.

Il suo successore Naftali Bennett ha poi affermato nell’ottobre 2021 che “Voglio dirti a nome del nostro Paese, di tutto il nostro popolo, che ti consideriamo un amico molto intimo e sincero dello Stato di Israele”. Ciò è dovuto alle eccellenti relazioni che ha contribuito a coltivare tra la Russia e lo Stato ebraico dal 2000, nonché a tutto ciò che ha fatto per garantire un ricordo diffuso dell’Olocausto. Lungi dall’essere un antisemita come alcuni hanno falsamente affermato, Putin è in realtà un orgoglioso filosemita da sempre .

Questi fatti dovrebbero immunizzare i lettori dalle bugie palesi e dai resoconti deliberatamente fuorvianti sulla commemorazione della Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto in Russia, che mirano a giustificare la sua esclusione dall’ultimo evento. Tali raduni saranno sempre incompleti senza la Russia, poiché è lo stato successore dell’Unione Sovietica, la cui Armata Rossa multietnica e religiosamente diversificata liberò Auschwitz, dove ebrei, prigionieri di guerra sovietici, polacchi (i primi prigionieri del campo) e altri furono genocidiati.

I politici occidentali possono ancora odiare la Russia mentre i loro storici potrebbero continuare a sostenere che l’obiettivo dell’URSS nella seconda guerra mondiale era quello di eliminare la minaccia esistenziale che i nazisti rappresentavano per essa, non necessariamente di liberare i campi di sterminio e le persone occupate, senza escludere la Russia dagli eventi correlati ad Auschwitz. Rifiutarsi di invitare i suoi rappresentanti è irrispettoso nei confronti delle vittime, dei sopravvissuti e dei loro discendenti, e facilita anche gli sforzi per rivedere la storia mitigando il ruolo guida dei sovietici nella sconfitta di Hitler.

I pochi soldi extra che la Russia potrebbe ricavare da un’ipotetica vendita di sistemi d’arma ad alta tecnologia al Pakistan non basterebbero minimamente a compensare il modo in cui questa decisione potrebbe avere un impatto negativo sugli interessi della Russia nei confronti dell’India.

Il Daily Times del Pakistan ha pubblicato un articolo intitolato ” L’ambasciatore Khorev afferma che la Russia è desiderosa di rafforzare i legami di difesa con il Pakistan “, che è stato poi ripubblicato da MSN in base a un accordo di distribuzione. Molti consumatori occasionali di notizie oggigiorno si limitano a scorrere i titoli e poi cliccano solo sulle storie più interessanti per darne una rapida occhiata. Per questo motivo, un numero imprecisato di persone potrebbe aver pensato che ci fosse un evento significativo che giustificasse questo titolo, il che non è stato il caso, come verrà spiegato ora.

Chi legge effettivamente l’articolo del Daily Times o la ripubblicazione di MSN scoprirà che il primo ha scelto in modo fuorviante di fare di un singolo vago punto del recente articolo dell’ambasciatore Albert P. Khorev il titolo del proprio articolo senza nemmeno riportare esattamente cosa avesse scritto. Intitolato ” Un’amicizia collaudata ” e pubblicato da The Nation, ha esaminato gli ultimi sviluppi nelle relazioni bilaterali, che si sono conclusi con una frase sul futuro della loro cooperazione in materia di difesa.

Nelle sue parole: “Intendiamo rafforzare ulteriormente la cooperazione in materia di difesa tra Russia e Pakistan, come dimostrato dai contatti regolari tra la leadership militare dei due paesi, dalle esercitazioni Russia-Pakistan “Amicizia-2024″ e dalla partecipazione della Russia alle prossime esercitazioni navali Aman 2025 a Karachi nel febbraio di quest’anno”. Come si può vedere, questo è diverso da ciò che i consumatori di notizie occasionali probabilmente hanno supposto imbattendosi nel titolo del Daily Times e/o di MSN.

L’impressione che avrebbero potuto avere se non avessero effettivamente letto quegli articoli, per non parlare di quello principale a cui il Daily Times non ha nemmeno fatto un collegamento ipertestuale per contesto e comodità, è che la cooperazione in materia di difesa potrebbe presto espandersi in nuovi modi, come attraverso vendite di armi di grosso valore. Non solo non è questo il caso al momento, ma è anche improbabile nel breve o persino nel medio termine, e questo a causa dell’attuale dipendenza del Pakistan dalle armi cinesi e della partnership strategica della Russia con l’India.

Per quanto riguarda il primo, il rapporto annuale “ Trends In International Arms Transfers ” dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) dell’anno scorso ha stabilito che la Cina ha fornito un enorme 82% delle importazioni di armi del Pakistan dal 2019 al 2023. Questi due paesi si considerano ancora oggi “fratelli di ferro” nonostante il loro incipiente divergenze sulla scarsa gestione da parte di Islamabad delle minacce terroristiche ai cittadini cinesi e sul progetto di punta China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) della Belt & Road Initiative.

Dal loro punto di vista, l’India costituisce una minaccia alla sicurezza nazionale che è meglio affrontare congiuntamente, ergo perché la Cina arma il Pakistan fino ai denti contro di essa come dimostrato dal rapporto del SIPRI e si prevede che continuerà a farlo indipendentemente da ciò che potrebbe accadere con il CPEC a causa dei loro interessi duraturi condivisi in questo senso. Di conseguenza, ipoteticamente diversificare dai sistemi d’arma cinesi a quelli russi non solo rischierebbe problemi di interoperabilità, ma Pechino potrebbe anche vederla come una mossa ostile che danneggia la fiducia reciproca.

Allo stesso modo, l’India considererebbe certamente qualsiasi esportazione ipotetica di sistemi d’arma russi ad alta tecnologia al Pakistan come una mossa molto ostile che danneggerebbe sicuramente la fiducia reciproca, qualcosa che nessuno a Mosca vorrebbe che accadesse a causa del ruolo fondamentale di Delhi nella loro grande strategia. È al di là dello scopo di questa analisi dilungarsi, ma la Russia fa affidamento sull’India per evitare preventivamente una dipendenza potenzialmente sproporzionata dalla Cina, mentre l’India fa affidamento sulla Russia anche nei confronti degli Stati Uniti a questo riguardo.

Tuttavia, la Russia aveva già venduto quattro elicotteri d’assalto Mi-35 al Pakistan nel 2015, che erano stati poi consegnati nel 2018 , motivo per cui il rapporto annuale del SIPRI del 2023 ha rilevato che il 3,6% delle importazioni totali di armi del Pakistan dal 2018 al 2022 erano state fornite dalla Russia. Ciò ha irritato alcuni in India, ma la Russia ha insistito sul fatto che voleva solo rafforzare le capacità antiterrorismo del Pakistan, non degradare in alcun modo la sicurezza nazionale dell’India. Oggettivamente parlando, questi sistemi non hanno cambiato le carte in tavola, quindi la preoccupazione era fuori luogo.

L’India non ha avuto un ruolo così significativo nella grande strategia russa all’epoca come ha iniziato a fare tre anni fa dopo l’ operazione speciale e le sanzioni senza precedenti dell’Occidente , e poiché la Russia non ha esportato sistemi ad alta tecnologia in Pakistan allora, sicuramente non lo farà ora. Nel caso remoto in cui ciò accadesse, tuttavia, potrebbe avvelenare i legami con l’India e di conseguenza rafforzare la fazione politica pro-USA che potrebbe quindi fare pressioni con maggiore sicurezza per allontanare l’India dalla Russia.

In tale scenario, la Russia rischierebbe la stessa dipendenza sproporzionata dalla Cina che ha cercato di evitare preventivamente tramite l’India, mentre l’India rischierebbe lo stesso tipo di dipendenza dagli Stati Uniti che ha cercato di evitare preventivamente tramite la Russia, portando così probabilmente a un ritorno alla bi-multipolarità sino-americana . Tale risultato contraddirebbe i loro grandi obiettivi strategici complementari di accelerare congiuntamente i processi di tri-multipolarità con una visione verso la nascita di una multipolarità più complessa (“multiplexity”) come spiegato qui .

I pochi dollari extra che la Russia potrebbe ricavare da una ipotetica vendita di sistemi di armi ad alta tecnologia al Pakistan non riuscirebbero minimamente a compensare il modo in cui questa decisione potrebbe avere un impatto negativo sugli interessi della Russia ed è per questo che è estremamente improbabile che ciò accada. Anche così, alcuni in Pakistan potrebbero calcolare che insinuare il contrario potrebbe spaventare l’India e spingerla a reagire in modo eccessivo in modi che hanno un impatto negativo sui legami con la Russia, spiegando così forse il titolo fuorviante del Daily Times.

I decisori politici indiani non saranno influenzati dal titolo deliberatamente fuorviante di un’agenzia pakistana e da tutto ciò che si immagina comporti, ma ciò non toglie nulla al fatto che Pakistan e India si combattono una guerra psicologica, di cui l’articolo esaminato è un esempio. A volte, che in questo caso era probabilmente il motivo principale, i consumatori occasionali di notizie vengono tratti in inganno da questi prodotti di guerra psicologica-informativa ed è per questo che è importante chiarire tutto come è stato appena fatto.

Per riassumere il tutto, non ci si aspetta che la Russia esporti alcun sistema di armi ad alta tecnologia in Pakistan, come il titolo fuorviante del Daily Times avrebbe potuto far supporre a molti, ma non si può escludere che altre vendite come armi leggere e droni possano aver luogo per rafforzare le sue capacità antiterrorismo. Inoltre, le esercitazioni antiterrorismo congiunte annuali continueranno, così come la partecipazione a esercitazioni navali multilaterali biennali, ma queste non sono dirette contro l’India. Sono anche molto più piccole in scala rispetto alla cooperazione militare indo-americana.

Ecco l’intervista completa che ho rilasciato a FM Shakil di VOA Cina su questo argomento, alcuni estratti sono stati pubblicati nel loro rapporto il 20 gennaio intitolato “安全和阿富汗问题将考验2025年中国与巴基斯坦的关系”

I legami sino-pakistani rimangono ufficialmente eccellenti, ma sembrano essere stati sottoposti a forti tensioni nell’ultimo anno. L’incapacità del Pakistan di proteggere i lavoratori cinesi riflette male il suo ruolo nell’ospitare il progetto di punta della Belt & Road Initiative (BRI), il Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC).

Dove va il CPEC, va anche la BRI, o almeno questa è la percezione tra alcuni che considerano questo megaprogetto un indicatore del successo di questa rete infrastrutturale globale. Non c’è da stupirsi che la Cina sia preoccupata per la sua fattibilità a lungo termine.

Si pensa che gli ultimi attacchi terroristici in Pakistan siano collegati all’Afghanistan a causa dei rapporti secondo cui il “Tehrik-i-Taliban Pakistan” (TTP) e il “Balochistan Liberation Army” (BLA) stanno operando da quel paese con la tacita approvazione del Talebani afghani (semplicemente i “Talebani”).

Alcuni credono che i talebani stiano usando gruppi designati come terroristi come mezzo per compensare in modo asimmetrico la loro debolezza militare convenzionale nei confronti del loro ex protettore pakistano con cui sono in conflitto sulla linea Durand, il confine imposto dagli inglesi tra Afghanistan e quello che poi divenne il Pakistan, che i talebani non riconoscono.

Indipendentemente dalle possibili motivazioni che li spingono a ricorrere speculativamente a tali mezzi per bilanciare il potere del Pakistan, il fatto è che questi gruppi stanno creando un ambiente pericoloso per il CPEC, in particolare per il BLA, che talvolta prende di mira direttamente i progetti associati e i lavoratori cinesi.

Il problema dal punto di vista della Cina è quindi duplice: i talebani stanno presumibilmente impiegando terroristi per procura contro il Pakistan, il che è già abbastanza preoccupante, ma il Pakistan non è in grado di proteggere adeguatamente i progetti del CPEC e i lavoratori cinesi, il che è presumibilmente dovuto alla sua priorità sbagliata di decifrare i dati. contro il partito di opposizione PTI dell’ex Primo Ministro Imran Khan.

Entrambe queste cose sono al di fuori della capacità diretta di influenza della Cina, come si è visto. La sua precedente diplomazia in questo senso non è riuscita a far sì che l’Afghanistan evitasse tali mezzi scandalosi per bilanciare il potere del Pakistan, il Pakistan continua a dare priorità alla repressione dell’opposizione rispetto alla sua anti – interessi terroristici e i legami tra questi paesi confinanti amici della Cina continuano a deteriorarsi, come dimostrato dalle ultime violenze di confine.

Se le relazioni tra Afghanistan e Pakistan continuano a peggiorare, la Cina potrebbe prendere in considerazione di ridurre informalmente gli investimenti nel CPEC e forse persino di congelare i progetti esistenti, anche con pretesti non correlati, se ciò accade e i suoi rappresentanti vengono spinti a rendere conto pubblicamente di ciò per evitare la percezione che stia tirando di ritorno dal progetto di punta della BRI.

Per aggiungere un tocco di novità a tutto ciò, il ritorno di Donald Trump alla presidenza americana potrebbe vederlo eventualmente fornire una qualche forma di assistenza all’ultima campagna antiterrorismo del Pakistan, ma a condizione che si ritiri dal CPEC (anche se solo informalmente) e fornisca gli Stati Uniti con investimenti privilegiati e altre opportunità per bilanciare l’influenza cinese nel paese.

Il suo primo mandato è stato caratterizzato dal suo stile transazionale orientato all’economia, quindi il precedente esiste, anche se alla fine potrebbe non proporre un tale accordo, o potrebbe anche includere l’inaccettabile condizione del Pakistan di limitare il suo programma di missili balistici a lungo raggio contro cui l’ex Biden L’amministrazione ha appena imposto sanzioni, tra cui misure senza precedenti, contro un’agenzia statale.

In ogni caso, il 2025 potrebbe essere un anno difficile per le relazioni sino-pakistane a causa del peggioramento della situazione della sicurezza interna del Pakistan causato dai terroristi afghani (in particolare il BLA) e dai piani di Trump di contenere più energicamente la Cina, quest’ultimo dei quali potrebbe vederlo tentare per esercitare maggiore pressione sul CPEC al fine di screditare la BRI nel suo complesso (se non ci riuscirà prima la suddetta ondata di terrorismo).

Estratti di questa intervista sono stati pubblicati nel rapporto di VOA China il 20 gennaio intitolato “ 安全和阿富汗问题将考验2025年中国与巴基斯坦的关系

Potrebbe essersi convinto che la pulizia etnica dei palestinesi è l’unico modo per porre fine in modo definitivo al conflitto, garantire la sicurezza a lungo termine di Israele e ripristinare opportunità commerciali regionali come il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa.

Ralph Peters è un ex analista dell’esercito americano che è diventato famoso a metà degli anni 2000 per il suo articolo ” Blood Borders: How A Better Middle East Would Look “, che proponeva di ridisegnare i confini della regione in base alle identità locali. Lo giustificò dicendo che “la pulizia etnica funziona”. Anche se Peters scrisse che Israele dovrebbe tornare ai suoi confini precedenti al 1967, il succo generale del suo pezzo potrebbe aver ispirato l’ultima proposta di Trump di ” semplicemente ripulire ” Gaza inviando la sua gente in Egitto e Giordania.

Non è influenzato da argomenti morali o umanitari quando formula le politiche del suo paese, solo da quelli pratici, che in questo caso sono guidati dal suo interesse nel porre fine in modo decisivo al conflitto e poi ripristinare le opportunità commerciali regionali sulla sua scia. Tutti i riferimenti ad argomenti morali e umanitari, come il fatto che lui abbia detto all’élite di Davos che vuole porre fine al conflitto ucraino solo per il gusto di fermare le uccisioni, sono solo tentativi di rendere le sue proposte previste più accettabili pubblicamente.

Ecco perché non ha remore a suggerire qualcosa che sostanzialmente equivale a una pulizia etnica dei palestinesi dalla loro patria, ma ci sono diversi problemi nella sua ultima proposta. Per cominciare, non c’è modo di costringerli all’esilio senza rischiare un altro conflitto. Il nascente cessate il fuoco chiede di consentire ai palestinesi di tornare alle loro case e di consentire a centinaia di camion di aiuti di entrare nella striscia ogni giorno. Si prevede che Hamas riprenderà le ostilità se Israele rinnega queste parti cruciali dell’accordo.

Bibi potrebbe sentirsi incoraggiato a farlo, però, a causa di quanto sia impopolare il cessate il fuoco in patria, dopo la proposta di pulizia etnica di fatto di Trump e dopo aver ricevuto le bombe da 2000 libbre dagli Stati Uniti, la cui presa dell’era Biden è stata appena revocata nel fine settimana. In tal caso, Israele potrebbe tagliare gli aiuti alla Striscia e rimanere dalla sua parte del muro di confine per attirare Hamas allo scoperto, mentre aspetta che i civili diventino abbastanza disperati da fuggire in Egitto, ma ciò richiede la complicità del Cairo in questo possibile complotto.

Ha rifiutato di aprire i suoi confini ai rifugiati durante l’ultima guerra, citando minacce alla sicurezza, che Alt-Media ha disonestamente spacciato per opposizione di principio alla pulizia etnica, ma Trump potrebbe sfruttare gli aiuti esteri degli Stati Uniti all’Egitto per costringerlo ad accettare. Dopo tutto, l’Egitto è stato appena esentato dalla sospensione di 90 giorni degli aiuti esteri degli Stati Uniti insieme a Israele, mentre la Giordania (che controllava la Cisgiordania e riceve anche oltre 1 miliardo di dollari in aiuti esteri dagli Stati Uniti all’anno ) deve ancora ricevere una notifica di sospensione degli aiuti al momento in cui scrivo.

Di conseguenza, potrebbe minacciare di ridurre gli aiuti esistenti se non accettano e/o offrire di aumentare parte dei loro aiuti per contribuire a pagarli, quest’ultima possibilità potrebbe essere rafforzata dal contributo dell’alleato saudita comune di quei tre a questi sforzi di reinsediamento. Mohammed Bin Salman (MBS) potrebbe anche invitare alcuni palestinesi a vivere nel suo regno, non solo per solidarietà etno-religiosa, ma soprattutto per attutire le critiche legate al suo potenziale riconoscimento di Israele.

Ci si aspetta che faccia delle serie concessioni alla posizione ufficialmente rigida del suo paese di riconoscere Israele solo una volta che la Palestina avrà ottenuto l’indipendenza, poiché questa mossa è necessaria per sbloccare il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC). Quel megaprogetto è stato annunciato al Summit del G20 a Delhi meno di un mese prima che l’attacco furtivo di Hamas ne sospendesse bruscamente i lavori. MBS è impaziente di rimettere in azione l’IMEC poiché i piani di sviluppo (probabilmente ritardati) del suo paese ” Vision 2030 ” dipendono da esso.

A tal fine, è fondamentale che egli assista in una rapida risoluzione del conflitto, anche se ciò comporta la pulizia etnica di fatto di Gaza, motivo per cui ci si aspetta che svolga un ruolo diretto (reinsediamento) e/o indiretto (finanziamento) in questo caso, se Trump costringe tutti gli attori a farlo. Mentre sarà certamente attaccato duramente dagli attivisti occidentali e dai surrogati mediatici dell'” Asse della Resistenza ” guidati dall’Iran, potrebbe scommettere che la maggior parte degli arabi tirerà un sospiro di sollievo perché questa dimensione del conflitto è stata finalmente risolta.

Per quanto riguarda la questione molto più ampia riguardante lo status finale della Cisgiordania, potrebbe accontentarsi di vaghe promesse di futura autonomia da Israele, o potrebbe accettare un altro complotto simile a quello di Gaza per spingere quei palestinesi in Giordania. In ogni caso, ciò che non ci si aspetta che faccia è opporsi all’imposizione congiunta americano-israeliana di “Blood Borders” sulla Palestina, che si tratti di Gaza e/o della Cisgiordania. Non ha fatto altro che lamentarsi moderatamente durante l’ultima guerra, quindi i precedenti suggeriscono che non farà di più se ne scoppierà un’altra.

Non si può escludere che le ostilità non riprenderanno, considerando la facilità con cui Israele potrebbe violare il cessate il fuoco dopo il ritorno degli ostaggi ancora in vita (o forse anche dopo tutti i corpi degli ostaggi rimasti, se volesse aspettare ancora). Ciò potrebbe assumere la forma di un taglio degli aiuti alla Striscia per costringere i civili a fuggire in Egitto, da dove alcuni potrebbero poi essere reinsediati in Giordania, Arabia Saudita e/o altrove all’interno della “Ummah” (comunità musulmana internazionale).

Trump potrebbe essersi convinto che questo è l’unico modo per porre fine in modo decisivo al conflitto, garantire la sicurezza a lungo termine di Israele e ripristinare opportunità commerciali regionali come l’IMEC. Ciò non significa che avrà successo, ma solo che c’è una probabile possibilità che ci provi, il che potrebbe portare a una nuova guerra. Se l’Egitto viene costretto dalla leva degli aiuti esteri degli Stati Uniti ad aprire i suoi confini ai rifugiati, allora la pulizia etnica di fatto di Gaza potrebbe procedere, dopodiché gli Stati Uniti potrebbero approvare l’annessione da parte di Israele.

Mentre quest’ultima affermazione sarebbe più facile a dirsi che a farsi, considerando quanto sia stata difficile per Israele l’ultima guerra con Hamas, l’esodo su larga scala di civili che gli Stati Uniti potrebbero progettare in base a un accordo con l’Egitto potrebbe cambiare le dinamiche del prossimo conflitto. Trump potrebbe dare a Bibi il via libera per andare fino in fondo nel bombardare Hamas dopo un certo periodo di tempo, con il pretesto che tutti i civili hanno avuto la possibilità di evacuare in Egitto entro quella data, quindi tutto ciò che rimane sono presumibilmente solo membri armati di Hamas.

Israele è stato accusato di aver preso di mira i civili durante l’ultima guerra, ma avrebbe potuto assolutamente andare molto oltre se avesse ritenuto di avere il pieno sostegno americano, cosa che non ha ricevuto dall’amministrazione Bibi, i cui membri sono rimasti in qualche modo sensibili all’opinione globale e volevano anche rovesciare Bibi . A Trump non importa dell’opinione globale e, nonostante i suoi problemi personali con Bibi , non vuole attuare un cambio di regime in Israele mettendo al potere un liberal-globalista sostenuto dai democratici.

Per queste ragioni, è molto probabile che Trump possa mantenere la sua proposta di far sì che Israele “ripulisca” Gaza costringendo i palestinesi lì a fuggire in Egitto e da lì in poi in altri paesi “Ummah”, motivo per cui gli osservatori dovrebbero prendere sul serio il suo piano ispirato a “Blood Borders”. Qualsiasi mossa che lui e Israele potrebbero fare per implementarlo non sarà fermata dalla condanna pubblica, ma solo da Hamas, anche se potrebbe essere ormai troppo debole per impedire la pulizia etnica lì.

Trump si sta preparando ai negoziati con Putin sull’Ucraina, così come con Xi sul commercio e probabilmente anche su Taiwan, quindi apparirebbe debole ai loro occhi se lasciasse che un leader mediocre come Petro lo sfidasse pubblicamente e persino lo insultasse senza conseguenze.

Il presidente colombiano Gustavo Petro pensava di riequilibrare le relazioni sbilanciate con la sua controparte statunitense di ritorno rifiutando bruscamente due voli militari precedentemente concordati per rimpatriare gli immigrati clandestini del suo paese, ma alla fine gli è stata impartita una lezione indimenticabile. Trump ha reagito con rabbia minacciando tariffe del 25% che sarebbero raddoppiate nel giro di una settimana e sanzionando funzionari di alto livello con pretesti di sicurezza nazionale, tra le altre misure punitive, il che ha rapidamente spinto Petro a capitolare .

La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha poi confermato la vittoria del suo Paese nella breve disputa con la Colombia, poco dopo la quale Petro ha twittato con rabbia un’invettiva contorta sull’imperialismo e il razzismo come un colpo di coda contro Trump che è stato ampiamente accolto con scherno online, soprattutto dagli americani. Questo scandalo di breve durata è stato significativo poiché Trump ha dimostrato quanto sia serio nel fare leva su tariffe e sanzioni per costringere i Paesi iberoamericani ad accettare il ritorno dei loro cittadini rimpatriati.

Ha vinto le elezioni del 2016 in parte grazie alla sua promessa di costruire un muro al confine meridionale per fermare l’immigrazione illegale, ma dopo che circa 8 milioni di clandestini si sono riversati nel paese durante il mandato di Biden, ha poi promesso di espellerne il maggior numero possibile se gli elettori lo avessero riportato in carica come hanno fatto alla fine. Sarà difficile riportarli tutti indietro, tuttavia, motivo per cui la sua amministrazione vuole costringerli ad andarsene volontariamente da soli creando condizioni estremamente onerose per coloro che rimangono.

A tal fine, rimpatriare alcuni di loro nelle loro terre d’origine su voli militari, anche in manette come è appena successo ad alcuni immigrati clandestini dal Brasile, ha lo scopo di intimidirli e spingerli a tornare a casa alle loro condizioni, da qui l’importanza di garantire che questi voli non vengano respinti. Parallelamente, l’amministrazione Trump sta valutando un accordo per deportare i richiedenti asilo in El Salvador, che è ormai noto a livello mondiale per la sua tolleranza zero nei confronti dei membri delle gang.

A questo proposito, il Venezuela sanzionato dagli Stati Uniti ha sospeso i voli di rimpatrio lo scorso febbraio, dopo averne brevemente consentito la ripresa nell’ottobre 2023, quindi i presunti membri di gang venezuelane potrebbero essere inviati direttamente dagli Stati Uniti alle prigioni salvadoregne se si raggiungesse un accordo. In combinazione con un aumento senza precedenti delle retate dell’ICE in tutto il paese, coloro che rimangono illegalmente negli Stati Uniti dovranno sempre guardarsi le spalle e temere di essere deportati nelle loro terre d’origine o inviati a El Salvador, a seconda di chi sono.

L’amministrazione Trump considera giustamente l’immigrazione illegale una minaccia alla sicurezza nazionale, il che spiega la dura reazione di Trump al rifiuto di Petro di quei due voli militari precedentemente concordati. Se non ne avesse fatto un esempio, la maggior parte dei paesi iberoamericani avrebbe prevedibilmente sfidato gli Stati Uniti anche su questo tema, rovinando così i suoi ambiziosi piani di rimpatrio. Trump ha quindi dovuto ricordare alla Colombia e a tutti gli altri paesi dell’emisfero che sono partner minori degli Stati Uniti.

Non sottomettersi alle sue ragionevoli richieste di ricevere i cittadini rimpatriati che sono immigrati illegalmente negli Stati Uniti comporterà conseguenze schiaccianti in termini di tariffe e sanzioni che rischieranno di danneggiare le loro economie e di creare notevoli disagi alla loro élite politica. Inoltre, mancare di rispetto agli Stati Uniti e a Trump personalmente come ha fatto Petro è assolutamente inaccettabile in quella che Trump ha descritto come la nascente ” Età dell’oro dell’America “, e coloro che lo faranno saranno costretti a pagarne il prezzo, anche in termini di reputazione.

Il cosiddetto “ordine basato sulle regole” non è mai stato ciò che l’amministrazione Biden ha erroneamente presentato per quanto riguarda la pretesa che ogni paese sia presumibilmente uguale e debba seguire le stesse regole. Si è sempre trattato di mantenere l’egemonia unipolare in declino degli Stati Uniti nell’emergente ordine mondiale multipolare rafforzando la gerarchia internazionale post-vecchia guerra fredda in cima alla quale si trova. Un approccio di carota e bastone si abbina a doppi standard espliciti per convincere i paesi ad allinearsi con successo variabile.

Quelli che dipendono dal mercato statunitense e/o dall’equipaggiamento militare, come la maggior parte dei paesi iberoamericani, tendono a piegarsi alla sua volontà, mentre quelli come la Russia, che sono più autarchici e strategicamente autonomi, tendono a resistere. Le amministrazioni Obama e Biden hanno cercato di mascherare questa realtà con una retorica elevata e talvolta chiudendo un occhio sulle trasgressioni dei loro partner, come quei paesi iberoamericani che finora si sono rifiutati di accettare i loro cittadini rimpatriati, ma Trump è più diretto.

Non ha scrupoli a ricordare loro apertamente il loro status di subordinati rispetto agli USA, poiché preferirebbe che il suo paese fosse temuto piuttosto che amato, se dovesse scegliere tra loro, come diceva Machiavelli. Inoltre, Trump si sta preparando per i negoziati con Putin sull’Ucraina, così come con Xi sul commercio e probabilmente anche su Taiwan, quindi apparirebbe debole ai loro occhi se lasciasse che un leader mediocre come Petro lo sfidasse pubblicamente e persino lo insultasse senza conseguenze. Questi imperativi lo hanno portato a intensificare i rapporti con la Colombia.

L’esempio che Trump ha appena fatto di Petro avrà quindi ripercussioni in tutto il mondo. Quella che lui chiama la “Golden Age of America” può essere più accuratamente definita l’era dell’iperrealismo statunitense negli affari esteri, in cui dichiara esplicitamente i propri interessi e poi li persegue aggressivamente senza alcuna cura per l’opinione globale. Quindi, potrebbe essere meglio per Russia e Cina scendere a compromessi con gli Stati Uniti invece di sfidarli se non replicheranno questa politica, o se non hanno lo stesso potere o la stessa volontà di usarla.

L’ultima crisi congolese potrebbe modificare in modo decisivo l’equilibrio di potere nella nuova Guerra Fredda, a seconda di come si svilupperà e di quale potrebbe essere il suo esito.

L’ultima crisi congolese è scoppiata nel weekend dopo che i ribelli M23, sostenuti dal Ruanda, hanno preso il controllo della città orientale di Goma nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), lungo la periferia ricca di minerali del paese. La posizione della Russia, come articolata dal Rappresentante permanente all’ONU Vasily Nebenzia domenica durante un briefing di emergenza dell’UNSC, è stata impressionantemente equilibrata, come spiegato qui martedì. Poi l’ha ricalibrata più tardi quello stesso giorno, incolpando M23 per l’ultima crisi.

Il suo ultimo briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lo ha visto dichiarare che “la Russia condanna fermamente le azioni dell’M23. Chiediamo un’immediata cessazione delle ostilità e il ritiro dei ribelli di questo gruppo armato illegale dalle città, dai villaggi e dai territori che hanno conquistato. Chiediamo inoltre agli attori esterni di smettere di supportare l’M23 e di richiamare le loro unità militari”. Ciò è in netto contrasto con quanto aveva detto solo due giorni prima, quando aveva attribuito la stessa colpa a loro e alle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR).

Nebenzia ha anche detto all’epoca che sia i patroni degli stati stranieri a maggioranza Tutsi M23 che quelli a maggioranza Hutu FDLR, contestualmente intesi come rispettivamente Ruanda e RDC, sebbene non nominati per ragioni di sensibilità diplomatica, devono “interrompere la loro interazione con (tali) gruppi armati illegali”. Questa rapida ricalibrazione politica ha lasciato alcuni osservatori perplessi, ma è presumibilmente attribuibile a due importanti sviluppi avvenuti martedì mattina.

Il primo è che i rivoltosi di Kinshasa hanno attaccato le ambasciate dei paesi che hanno accusato di sostenere l’M23, che includevano nazioni africane come Ruanda, Kenya e Uganda insieme a quelle occidentali come Stati Uniti, Francia e Belgio. La Russia gode di una stretta sicurezza legami con il Ruanda nella Repubblica Centrafricana (RCA), ha coltivato ottimi legami con l’Uganda negli ultimi anni e sta cercando di fare breccia in Kenya, il tutto mentre è attualmente impegnato in una guerra per procura con l’Occidente in Ucraina.

Di conseguenza, il radicale cambiamento dell’opinione pubblica nella RDC contro l’Occidente potrebbe essere visto dalla Russia come un’opportunità per espandere ulteriormente il suo soft power in questa nazione ricca di risorse, con l’obiettivo di sostituire alla fine i contratti occidentali lì, il che fornisce una spiegazione parziale per il cambiamento della Russia contro M23. Inoltre, la Russia ha anche tenuto d’occhio il corridoio di Lobito degli Stati Uniti , che è un progetto ferroviario transcontinentale mirato a collegare Angola, RDC, Zambia e Tanzania.

Il suo scopo è quello di reindirizzare le esportazioni di minerali dall’Asia all’America, dopodiché una nuova élite locale può essere preparata in preparazione per un orientamento geopolitico della regione dalla Cina verso gli Stati Uniti nella Nuova Guerra Fredda . Gli ultimi attacchi all’ambasciata suggeriscono che l’opinione pubblica potrebbe non accettare più il Corridoio di Lobito, che potrebbe essere preso di mira in futuro, portando così alla sua possibile riduzione o cancellazione. Ciò potrebbe fornire un’altra opportunità alla Russia di sostituire il ruolo forse perduto dall’Occidente nella RDC.

A differenza dell’Occidente , la Russia non ha bisogno di trasformare la RDC o altri stati africani in vassalli, poiché è autosufficiente in termini di risorse, compresi i minerali. Per questo motivo, il suo obiettivo strategico è di dar loro il potere di diventare più sovrani e di conseguenza privare l’Occidente delle risorse che estrae da lì per mantenere la sua egemonia unipolare in declino, il che lo rende un partner molto migliore. Pertanto, non avrebbe senso per la Russia rimanere in equilibrio in questa crisi, date le allettanti opportunità strategiche in gioco.

Il secondo sviluppo si è verificato poco dopo quegli attacchi e riguarda il comunicato del Consiglio per la pace e la sicurezza (PSC) dell’Unione Africana più tardi quel giorno. Ha condannato l’offensiva dell’M23, invitando quel gruppo, FDLR e altri a “cessare immediatamente e incondizionatamente i loro attacchi e a sciogliersi definitivamente e deporre le armi”. Il comunicato ha anche chiesto il ritiro dell’M23 da Goma e dalla regione circostante insieme ad altri gruppi, condannando il sostegno straniero per esso e FDLR.

Sebbene possa sembrare equilibrato a prima vista, è chiaramente più critico nei confronti dell’M23 che di qualsiasi altro gruppo, FDLR compreso. L’M23 è fondamentalmente accusato di aver messo in moto l’ultima violenza, il che lo rende quindi più responsabile di chiunque altro per le conseguenze umanitarie e di sicurezza regionali. Il comunicato allude anche fortemente al sostegno ruandese alle loro azioni. Dato che il PSC è l’equivalente dell’UNSC per l’UA, è naturale che la Russia prenda spunto da quell’organismo per la sua politica africana.

Il loro comunicato, unito agli attacchi anti-occidentali all’ambasciata di Kinshasa di quel giorno, ha costretto la Russia a ricalibrare la sua politica nei confronti dell’ultima crisi congolese durante il briefing del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di quel pomeriggio. È importante notare che Nebenzia non ha condannato il Ruanda, con cui le forze armate del suo paese si coordinano nella CAR in difesa del suo governo riconosciuto dall’ONU, ma ha comunque fatto sapere che la Russia considera l’M23 l’aggressore responsabile di questa crisi.

Questo nuovo approccio probabilmente porterà il soft power russo ad espandersi a passi da gigante nella RDC, che è nel complesso un partner regionale molto più promettente del Ruanda se Mosca fosse costretta a scegliere tra loro, anche se Mosca potrebbe comunque stare attenta a non rovinare i legami con Kigali. Non solo cooperano nella CAR come detto sopra e hanno relazioni bilaterali piuttosto buone , ma il Ruanda è una superpotenza militare regionale e non è mai saggio mettersi dalla parte sbagliata di tali paesi se si può evitarlo.

La Russia non ha paura del Ruanda, semplicemente non vuole entrare in una rivalità inutile che potrebbe essere sfruttata in seguito dall’Occidente per dividere e governare se i legami di quel blocco con Kigali dovessero mai migliorare, nel qual caso potrebbero subordinare qualsiasi riavvicinamento al fatto che il Ruanda contenga attivamente la Russia nella regione. Lo scenario delle forze ruandesi nella CAR che rivolgono le loro armi contro i russi sarebbe un incubo di per sé e potrebbe trasformarsi in un disastro geostrategico se portasse al loro ritiro.

Sebbene la CAR sia un alleato russo che ha accettato di lasciargli stabilire una base lì, il suo governo sta anche giocherellando con mercenari americani come spiegato qui lo scorso settembre, quindi non si può escludere che il Ruanda possa essere indotto dall’Occidente a cacciare la Russia dalla CAR se gli vengono offerti i giusti incentivi. Per essere chiari, non ci sono indicazioni che qualcosa del genere sia in discussione, ma lo scenario è abbastanza realistico e potrebbe spiegare perché la Russia è ancora riluttante a condannare il Ruanda nonostante condanni l’M23.

Pertanto non ci si aspetta che la posizione sempre più pro-RDC della Russia si trasformi in una apertamente anti-ruandese a causa del fattore CAR sopra menzionato, anche se la sua retorica contro M23 diventasse ancora più dura. Il Cremlino spera di raccogliere una manna dal soft power dalla crisi congolese replicando l’approccio del PSC e cavalcando le onde del crescente sentimento anti-occidentale nella RDC, che spera un giorno gli consentirà di sostituire il ruolo forse perso dall’Occidente lì allo scopo di privare quel blocco della sua ricchezza mineraria.

La Russia non vuole sfruttare i congolesi o tenere per sé quelle risorse, che sono indispensabili per la “Quarta Rivoluzione Industriale”/“Grande Reset” , ma semplicemente assicurarsi che l’Occidente non abbia più un accesso privilegiato a esse per mantenere la sua egemonia unipolare in declino. Gli osservatori dovrebbero quindi prestare molta più attenzione all’ultima crisi congolese poiché ha il potenziale per spostare in modo decisivo l’equilibrio di potere nella Nuova Guerra Fredda a seconda di come si sviluppa e di quale potrebbe essere l’esito.

Il progetto di accordo militare della Russia con il Congo, unito alla stretta cooperazione in materia di sicurezza con il Ruanda nella Repubblica Centrafricana, sono responsabili della sua posizione straordinariamente equilibrata.

Il rappresentante permanente della Russia presso l’ONU Vasily Nebenzia ha condiviso la risposta del suo paese all’ultima crisi congolese durante il briefing di emergenza dell’UNSC di domenica, che è seguito alla presa della città orientale di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), da parte dei ribelli M23, sostenuti dal Ruanda. Le radici di questo conflitto di lunga data sono complesse, ma si riducono a un dilemma di sicurezza, risorse e ragioni etniche, di cui i lettori possono saperne di più dopo aver esaminato i seguenti tre briefing di base:

* 8 novembre 202: “ Un breve riassunto dell’ultimo conflitto congolese ”

* 9 novembre 2022: “ Indagine sul fattore francese nell’ultima fase del conflitto congolese ”

* 29 maggio 2024: “ Lo scandalo delle spie polacche in Congo merita attenzione dopo il recente fallito tentativo di colpo di stato ”

In breve, il Ruanda accusa la RDC di sostenere le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), a maggioranza Hutu, e legate al genocidio del 1994, mentre la RDC accusa il Ruanda di sostenere l’M23, a maggioranza Tutsi, come parte di un gioco di potere sui minerali delle sue regioni orientali. Si pensa che queste risorse siano al centro di questo conflitto, che è guidato da (parzialmente esacerbate esternamente) differenze tra Hutu residenti nella RDC e Tutsi, questi ultimi considerati da alcuni locali come non indigeni.

Nebenzia ha iniziato condannando l’offensiva di M23, che ha finora sfollato 400.000 persone, ed esprimendo preoccupazione per l’uso di sistemi di armi avanzati. Ha elaborato parlando di “uso di artiglieria pesante vicino alle infrastrutture civili” e “l’uso continuo di mezzi di guerra elettronica, che rappresentano una minaccia, tra l’altro, per l’aviazione civile”. Quest’ultimo punto potrebbe alludere all’abbattimento dell’aereo che trasportava i presidenti ruandese e burundese nel 1994 che ha innescato il famigerato genocidio.

Ha poi espresso le condoglianze alle famiglie dei peacekeeper uccisi negli ultimi combattimenti e ha dichiarato il sostegno della Russia alle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite e della Southern African Development Community nella RDC orientale. La mossa successiva di Nebenzia è stata quella di chiedere il ripristino dei colloqui tra Rwanda e RDC mediati dall’Angola, che si erano interrotti alla fine dell’anno scorso . Ha anche affermato in modo importante che “un vero progresso sulla strada diplomatica sarà fattibile solo quando lo Stato interromperà la sua interazione con i gruppi armati illegali”.

M23 e FDLR sono stati menzionati per nome, dopo di che ha aggiunto che “quando si tratta dei parametri di questo processo, spetta al Ruanda e alla RDC decidere se questi parametri debbano essere definiti all’interno del rilanciato processo di Nairobi o all’interno di altre iniziative. In ogni caso, è chiaro che questa questione richiede un approccio globale e una certa flessibilità da entrambe le parti”. Ciò dimostra che la Russia riconosce le radici del dilemma di sicurezza dell’ultima crisi congolese e di quelle etniche associate.

Poi è passato ad affrontare quelli delle risorse, ricordando a tutti come “Non dobbiamo dimenticare che l’elemento centrale della crisi è lo sfruttamento illegale delle risorse naturali congolesi… È anche ben noto che ci sono altri gruppi e ‘attori’ esterni coinvolti in questo business criminale. Sappiamo tutti molto bene chi sono e sappiamo che si riempiono le tasche contrabbandando risorse naturali ‘sanguinose’ dall’est della RDC”. Ciò allude a un ruolo occidentale nell’esacerbare le tensioni.

Lascia anche aperta la possibilità che l’M23, sostenuto presumibilmente dal Ruanda, possa agire come un rappresentante occidentale per sequestrare i minerali della RDC, sebbene la richiesta del Ministero degli Esteri russo di un cessate il fuoco il giorno dopo, invece del ritiro unilaterale del gruppo, suggerisca che Mosca non sia ancora convinta. Lo stesso vale per la decisione di RT di intervistare Vincent Karega , l’ex ambasciatore ruandese presso la RDC che ora è ambasciatore a titolo personale nella regione dei Grandi Laghi, e poi promuoverlo in prima pagina martedì.

Karega ha prevedibilmente ripetuto la posizione di Kigali secondo cui la presunta marginalizzazione della minoranza tutsi da parte della RDC e la mancata attuazione di precedenti accordi per l’integrazione dell’M23 nell’esercito nazionale sono responsabili dell’ultima crisi congolese. Come ci si poteva aspettare, ha anche negato le segnalazioni secondo cui diverse migliaia di soldati ruandesi avrebbero invaso la RDC per aiutare l’M23 nella sua offensiva. L’importanza di intervistarlo e poi promuoverlo è che mostra la posizione equilibrata della Russia nei confronti della crisi.

Di conseguenza, mentre gli osservatori possono leggere tra le righe del briefing di Nebenzia per intuire che Mosca incolpa l’M23 per la violenza e sospetta che ci possa essere una traccia occidentale, è prematuro affermare che la Russia sia contro il Ruanda. Dopo tutto, un confronto superficiale delle crisi congolese e ucraina suggerisce che l’M23 e il Ruanda stanno svolgendo ruoli simili alla milizia del Donbass e alla Russia, e la RDC orientale ha molta ricchezza mineraria proprio come il Donbass ha molta ricchezza di litio in particolare.

Esistono ancora importanti differenze che rendono il suddetto paragone imperfetto. Ad esempio, il Ruanda era uno stretto alleato degli Stati Uniti durante le guerre del Congo, ma è caduto in disgrazia negli ultimi anni a causa dei suoi crescenti legami con la Cina e la Russia , nonché della ribellione dell’M23 , mentre la Russia non ha mai svolto un ruolo come il Ruanda nel promuovere l’agenda regionale degli Stati Uniti. Inoltre, i minerali della RDC vengono già estratti, mentre il litio del Donbass deve ancora esserlo. Un’altra differenza è la natura delle loro operazioni speciali.

La Russia ha ufficialmente riconosciuto che ha fatto di tutto per evitare di danneggiare i civili, mentre quella del Ruanda, che nega ancora ufficialmente, è già stata devastante per loro. Inoltre, c’erano ragioni credibili nel periodo precedente all’operazione speciale della Russia per cui Mosca sospettava che l’Occidente stesse spingendo l’Ucraina a lanciare un’offensiva contro i russi nel Donbass, mentre apparentemente non esisteva alcun evento scatenante simile per quanto riguarda il Ruanda e i Tutsi della RDC orientale.

In ogni caso, le somiglianze sono abbastanza vicine da far sì che la Russia si sia sentita a disagio nell’attribuire l’intera colpa a M23 e ai suoi presunti patroni ruandesi, nonostante la bozza di accordo militare con la RDC dello scorso marzo. La Russia potrebbe anche prendere in considerazione la possibilità di mediare tra loro, data la sua stretta sicurezza legami con il Ruanda nella Repubblica Centrafricana . Naturalmente, la sua posizione potrebbe cambiare a seconda che il conflitto si espanda o meno e dei modi in cui ciò potrebbe accadere, ma per ora è impressionantemente equilibrata.

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Un altro punto di vista: l’Europa si sta trasformando in un “buco nero” della politica mondiale, di Karl Sánchez

L’Europa si sta trasformando in un “buco nero” della politica mondiale

Ci sono due cose che le élite europee possono davvero temere nei confronti della nuova amministrazione statunitense. E la possibile decisione dell’amministrazione Trump di perseguire un confronto militare con la Russia in Ucraina, ma rottamando tutti i costi non è il problema più grave di tutti.

Тимофей БордачёвTimofei Bordachev

Direttore del programma del Valdai Club

Siamo lontani dal pensare che l’insediamento di un nuovo presidente americano significhi una rivoluzione nella politica interna ed estera di questa potenza. È molto probabile che la maggior parte degli obiettivi dichiarati a gran voce si rivelino irraggiungibili o che le vittorie debbano essere spacciate per fallimenti. Ma anche ciò che viene dichiarato come programma d’azione è sufficiente a suscitare una reazione emotiva da parte dell’Europa, la regione dipendente dall’America nella postura più mortificante e allo stesso tempo la più parassitaria nella politica internazionale contemporanea.

I nostri immediati vicini occidentali si trovano da decenni in uno stato di ambiguità.

La “spina dorsale” militare e politica dell’Europa è stata spezzata durante la Seconda guerra mondiale. In primo luogo, dalla schiacciante vittoria delle armi russe, che distrussero l’ultimo focolaio di militarismo continentale. In secondo luogo, la politica coerente degli americani nei confronti dei Paesi europei che sono riusciti a portare sotto il loro controllo nel 1945. Questa politica è consistita nel privare sistematicamente gli europei di una pur minima opportunità di determinare autonomamente il proprio posto negli affari mondiali. La Gran Bretagna, l’unica potenza tra le “Tre Grandi” europee a non essere stata battuta dalla Russia, ha mantenuto un certo spirito combattivo. Ma le sue capacità materiali sono da tempo così ridotte da consentirle di agire solo “alle spalle” degli americani.

Nel caso dell’Italia e della Germania, la questione era semplice: sono state sconfitte e poste sotto il diretto controllo esterno degli Stati Uniti. Nel resto dei Paesi, la scommessa è stata inequivocabilmente fatta sulla creazione di élite politiche ed economiche controllate. Ora questa politica ha semplicemente raggiunto il suo assoluto: gli statisti europei sono manager di medio livello nel sistema di influenza globale degli Stati Uniti. Non ce ne sono altri al potere.

In cambio di questa misera situazione, gli europei, le élite e la società, hanno ricevuto dagli Stati Uniti l’accesso più privilegiato ai benefici della globalizzazione. Tutto ciò di cui avevano bisogno lo acquisivano senza lottare e senza troppa concorrenza. La combinazione di queste due caratteristiche ha dato origine a una situazione unica: mentre il parassitismo degli americani poggia sulla loro forza, nel caso dell’Europa il fondamento di questa posizione nel mondo è proprio la debolezza.

I politici europei amano parlare costantemente della necessità di superare questa debolezza. Il nostro comune favorito Emmanuel Macron ha avuto particolare successo in questo senso. Questo è esattamente ciò verso cui sembra spingerli l’amministrazione americana di Donald Trump.

Pertanto, ora è piuttosto difficile comprendere la natura della preoccupazione dei politici europei per le intenzioni dei nuovi padroni degli Stati Uniti. No, a parole tutto sembra logico, e lo abbiamo già sentito quando Trump è diventato il padrone della Casa Bianca per la prima volta nel 2016. Ma nella pratica, lascia molto spazio alle domande. Ed è difficile trovare cosa, in effetti, in questi piani gli europei potrebbero non essere soddisfatti nelle circostanze attuali.

Il riferimento al fatto che un governo repubblicano in America richiederebbe agli europei un aumento sostanziale delle spese per la difesa è del tutto illogico. Negli ultimi tre anni, abbiamo sentito ripetutamente dagli stessi leader europei che si stanno preparando vigorosamente alla guerra con la Russia e stanno aumentando le proprie risorse a questo scopo. I governi di Germania, Francia e Regno Unito hanno ripetutamente espresso l’intenzione di aumentare di propria iniziativa la spesa per le armi e le infrastrutture necessarie al confronto a est. Alla luce di ciò, è difficile comprendere le ragioni della loro insoddisfazione per le richieste di Washington di aumentare la spesa militare al 5% del PIL.

Inoltre, sappiamo a livello delle più serie competenze che la russofobia sistemica e l’isteria di guerra sono oggi i principali strumenti di sopravvivenza delle élite europee. Ciò è confermato dalla semplice osservazione dei cittadini europei che sono favorevolmente disposti verso la Russia. Nel caso in cui le élite europee dovessero effettivamente entrare in guerra con noi, dovrebbero solo accogliere con favore le richieste di Trump di aumentare le spese militari. O almeno non esprimere preoccupazione al riguardo. Oppure non sono abbastanza sinceri quando parlano delle loro intenzioni nei rapporti con la Russia.

Su questo tema.

Si sente continuamente dire che i politici e i diplomatici europei sono allarmati dal disprezzo delle nuove autorità americane per il diritto internazionale e per le organizzazioni che lo incarnano a vari livelli. Negli ultimi anni, tuttavia, il mondo intero ha potuto constatare che gli stessi europei sono stati piuttosto incuranti delle regole e delle norme quando i loro interessi lo richiedevano. Nel 1999, sono state le potenze europee a fornire il maggior numero di forze per l’aggressione della NATO contro la Jugoslavia sovrana. Il numero, ad esempio, di sortite di combattimento degli aerei francesi contro pacifiche città serbe superava allora le cifre americane.

Nel 2011, gli europei hanno violato direttamente la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia, quando hanno dovuto completare il rovesciamento del governo legittimo di Muammar Gheddafi. Ora i politici europei si schierano per ricevere le forze che hanno preso il potere in Siria. Per non parlare della partecipazione dei Paesi dell’UE alle “sanzioni” dell’Occidente contro la Russia, che sono illegali dal punto di vista del diritto internazionale. In altre parole, i commenti degli europei sul ritiro degli Stati Uniti dagli accordi internazionali appaiono un po’ artificiosi. Lo stesso vale per la questione dei diritti e delle libertà, che in Europa sono limitati in modo molto più esteso che nella maggior parte dei Paesi del mondo.

Cosa possono temere gli europei e le loro élite politiche nei rapporti con la nuova amministrazione americana? Innanzitutto, naturalmente, coloro che sono al potere: nessuno nel Vecchio Continente è più particolarmente interessato all’opinione degli elettori comuni.

Si può supporre che i loro timori si basino sulla paura di un ritiro completo degli Stati Uniti dall’Europa e di lasciare i loro reparti al loro destino. Anche questo tema è ora attivamente presente nelle discussioni politiche e degli esperti. Tuttavia, anche in questo caso, le ragioni dell’allarme non sono chiare, poiché non c’è nessuno che possa minacciare l’Europa senza la protezione americana.

Siamo lontani dal pensare che la Russia possa anche solo teoricamente concepire piani per un’offensiva militare contro i principali Stati dell’Europa occidentale. Non ha alcun motivo per farlo. E il destino delle province baltiche è, di fatto, del tutto indifferente a Paesi come la Germania, la Francia o la Gran Bretagna. E il gasdotto Nord Stream non è stato chiaramente fatto saltare dal Cancelliere federale della Germania. E comunque: l’Europa conosce meglio di chiunque altro la magnanimità e il pragmatismo dei russi.

L’unica ipotesi che ora può essere riconosciuta come funzionante è che l’Europa può temere solo due probabili svolte nella politica americana. In primo luogo, la decisione dell’amministrazione Trump di continuare il confronto militare con la Russia in Ucraina, ma di rottamarla a tutti i costi. Non c’è dubbio che le risorse politiche degli Stati Uniti siano sufficienti a costringere gli europei a togliersi gli ultimi pantaloni ma ad armare il regime di Kiev. In secondo luogo, i politici europei hanno una paura elementare di qualsiasi cambiamento nel loro abituale stile di vita.

Il primo problema può essere risolto in qualche modo: attraverso negoziati diretti tra Russia e Stati Uniti, che porterebbero a una pace duratura con la garanzia che le terre ucraine non rappresentino una minaccia per noi. Tuttavia, il secondo – la riluttanza degli europei a cambiare qualcosa – è molto più grave. Dopo secoli di storia gloriosa e turbolenta, l’Europa si sta trasformando in un “buco nero” della politica mondiale, con cui è decisamente impossibile fare qualcosa, e rimane in questo stato ai confini occidentali della Russia.

Un altro punto di vista: l’Europa si sta trasformando in un “buco nero” della politica mondiale

Di Timofey Bordachev, direttore del programma del Valdai Discussion Club

31 gennaio

Pubblicato da VZGLYAD il 23 gennaio 2025, Timofey Bordachev , direttore del programma del Valdai Discussion Club, fornisce un altro articolo della serie sull’Europa e suggerimenti per la politica europea della Russia che ci era stato detto di aspettarci da Karaganov. RT ha anche curato e tradotto questo sforzo , ha modificato il titolo, “Debole e senza valore: le élite dell’Europa occidentale l’hanno mandata in un declino storico”, ma almeno ha mantenuto parte del titolo originale nel sottotitolo: “Una regione che un tempo governava il mondo è ora diventata un buco nero geopolitico”. A mio parere, c’è una netta differenza di significato tra i due titoli. Il motivo per cui RT si sente obbligata a modificare i titoli degli autori è sconosciuto ma fastidioso. Ma poiché, per quanto ne so, nessun editor di RT legge il mio substack, non ha molto senso discutere con un non sequitur e concentrati su ciò che Bordachev ha da dire:

Siamo ben lontani dal pensare che l’insediamento di un nuovo presidente americano significhi una rivoluzione nella politica interna ed estera di questa potenza. È molto probabile che la maggior parte degli obiettivi dichiarati a gran voce si riveleranno irraggiungibili, o che dovrete spacciare risultati fallimentari per vittorie. Tuttavia, anche ciò che viene dichiarato come programma d’azione è sufficiente a provocare una reazione emotiva in Europa, una regione che è nella più umiliante dipendenza dall’America e allo stesso tempo conduce l’esistenza più parassitaria in politica internazionale moderna.

I nostri vicini occidentali più prossimi si trovano in questa situazione di ambiguità da diversi decenni.

La spina dorsale politico-militare dell’Europa fu spezzata durante la Seconda guerra mondiale. In primo luogo, la schiacciante vittoria delle armi russe, che distrussero l’ultimo focolaio del militarismo continentale. In secondo luogo, la politica coerente degli americani nei confronti di quei paesi europei che erano in grado di portare sotto il loro controllo nel 1945. Questa politica era quella di privare sistematicamente gli europei anche di una minima opportunità di determinare il proprio posto negli affari mondiali. La Gran Bretagna, l’unica potenza europea delle “tre grandi” non sconfitta dalla Russia, ha mantenuto alcuni spirito. Ma le sue capacità materiali sono state a lungo così ridotte che le consentono di agire solo “ai margini” degli americani.

Nel caso di Italia e Germania, la situazione era semplice: furono sconfitti e posti sotto il diretto controllo esterno degli Stati Uniti. In altri paesi, l’enfasi era inequivocabilmente posta sulla creazione di élite politiche ed economiche controllate. Ora questa politica ha semplicemente raggiunto il suo limite assoluto: gli statisti europei sono manager di medio livello nel sistema di influenza globale degli Stati Uniti. Non ci sono altri rimasti al potere lì.

In cambio di una situazione così miserabile, gli europei, le élite e la società, hanno ricevuto dagli Stati Uniti l’accesso più privilegiato ai benefici della globalizzazione. Tutto ciò di cui avevano bisogno, lo hanno ottenuto senza lotte e competizioni speciali. La combinazione di queste due caratteristiche ha creato una situazione unica: se il parassitismo degli americani si basa sulla loro forza, nel caso dell’Europa il fondamento di tale posizione nel mondo è proprio la debolezza.

I politici europei amano parlare della necessità di superare questa debolezza in continuazione. Il nostro favorito comune Emmanuel Macron ha avuto particolare successo in questo. Questo è esattamente ciò che l’amministrazione statunitense di Donald Trump sembra spingerli a fare.

Pertanto, ora è difficile comprendere la natura della preoccupazione da parte dei politici europei circa le intenzioni dei nuovi proprietari negli Stati Uniti. No, a parole, tutto sembra logico, e lo avevamo già sentito quando Trump è diventato il proprietario per la prima volta della Casa Bianca nel 2016. Ma in pratica c’è ancora molto spazio per le domande. Ed è difficile trovare cosa, rigorosamente parlando, in questi piani gli europei potrebbero non essere soddisfatti nelle circostanze attuali.

È del tutto illogico riferirsi al fatto che il governo repubblicano in America richiederà agli europei di aumentare significativamente la loro spesa per la difesa. Negli ultimi tre anni, abbiamo sentito costantemente dai leader dei paesi europei stessi che si stanno preparando vigorosamente per la guerra con La Russia e stanno accumulando le proprie risorse per questo. I governi di Germania, Francia e Regno Unito hanno ripetutamente espresso la loro intenzione di aumentare la spesa per armi e infrastrutture necessarie per il confronto a est di loro iniziativa. Dato questo, è difficile comprendere le ragioni della loro insoddisfazione nei confronti delle richieste di Washington di aumentare la spesa militare al 5% del PIL.

Inoltre, sappiamo a livello di competenza più seria che la russofobia sistemica e l’istigazione all’isteria militare sono ora i principali strumenti per la sopravvivenza delle élite europee. Ciò è confermato da semplici osservazioni di cittadini europei che simpatizzano per la Russia. In nel caso in cui le élite europee si stessero davvero dirigendo verso la guerra con noi, dovrebbero solo accogliere le richieste di Trump per un aumento della spesa militare. In ogni caso, non esprimere preoccupazione per questo. Oppure non sono abbastanza sinceri quando parlano delle loro intenzioni nei rapporti con Russia.

Sentiamo anche costantemente che i politici e i diplomatici in Europa sono preoccupati per il disprezzo delle nuove autorità americane per il diritto internazionale e le organizzazioni che lo incarnano a vari livelli. Tuttavia, negli ultimi anni, il mondo intero ha avuto molti casi per vedere che gli europei loro stessi erano molto negligenti riguardo a regole e regolamenti, se i loro interessi lo richiedevano. Nel 1999, furono le potenze europee a fornire il maggior numero di forze per l’aggressione della NATO contro la Jugoslavia sovrana. Il numero, ad esempio, di sortite di combattimento su pacifiche le città dell’aviazione francese superarono allora le cifre americane.

Nel 2011, gli europei violarono direttamente la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia, quando avevano bisogno di completare il rovesciamento del governo legittimo di Muammar Gheddafi. Ora i politici europei sono in fila per accogliere le forze che hanno preso il potere in Siria . Per non parlare della partecipazione dei paesi dell’UE alle “sanzioni” illegali dell’Occidente contro la Russia dal punto di vista del diritto internazionale . In altre parole, i commenti europei sul ritiro degli Stati Uniti dagli accordi internazionali sembrano un po’ artificiali. Lo stesso vale per le questioni dei diritti e libertà, che in Europa sono soggette a limitazioni molto più severe rispetto alla maggior parte dei paesi del mondo.

Dunque, cosa possono realmente temere gli europei e le loro élite politiche nei loro rapporti con la nuova amministrazione statunitense? Innanzitutto, naturalmente, coloro che sono al potere: nessuno è particolarmente interessato all’opinione degli elettori comuni nel Vecchio Mondo.

Si può supporre che i loro timori siano basati sul timore di un ritiro completo degli Stati Uniti dall’Europa e di lasciare i loro protetti a cavarsela da soli. Questo problema è ora attivamente presente anche nelle discussioni politiche e degli esperti. Tuttavia, anche in questo caso , le ragioni di questa paura non sono chiare, poiché non c’è assolutamente nessuno che possa minacciare l’Europa senza il patrocinio americano.

Siamo ben lontani dal pensare che la Russia possa anche solo teoricamente contemplare un’offensiva militare contro i principali stati dell’Europa occidentale. Non ha motivo di farlo. E il destino dei provinciali baltici verso paesi come Germania, Francia o Gran Bretagna, in effetti, è completamente indifferente. E il Nord Stream non è stato chiaramente fatto saltare in aria dal Cancelliere federale tedesco. E in generale: l’Europa conosce la generosità e il pragmatismo dei russi meglio di chiunque altro.

L’unica ipotesi che può essere accettata come funzionante in questo momento è che l’Europa possa solo provare timore per due probabili svolte della politica americana. In primo luogo, le decisioni dell’amministrazione Trump di continuare il confronto militare con la Russia in Ucraina, ma di rimuovere tutti i costi. C’è non c’è dubbio che le risorse politiche degli Stati Uniti siano sufficienti a costringere gli europei a togliersi gli ultimi pantaloni, ma armare il regime di Kiev. In secondo luogo, i politici europei hanno semplicemente paura di qualsiasi cambiamento nel loro solito modo di vivere.

Il primo problema può essere risolto in qualche modo: attraverso negoziati diretti tra Russia e Stati Uniti, che porteranno a una pace duratura con garanzie che le terre ucraine non rappresenteranno una minaccia per noi. Tuttavia, il secondo, la riluttanza degli europei a cambiare qualsiasi cosa at all l—è molto più grave. Dopo secoli di storia gloriosa e turbolenta, l’Europa si sta trasformando in un “buco nero” della politica mondiale, su cui è assolutamente impossibile fare qualcosa, e rimane in questo stato ai confini occidentali della Russia . [La mia enfasi]

Non è spiegato esattamente come “l’Europa si stia trasformando in un “buco nero”. Innanzitutto, cosa fa un buco nero? Il suo pozzo gravitazionale è così potente che nessun fotone può sfuggire, ecco perché il nome. Quando e cosa costituiva la precedente luce che l’Europa ha emesso prima di diventare un buco nero, perché doveva esserci luce prima dell’oscurità. Bordachev sta dipingendo con un pennello troppo largo? Non emana luce da Serbia, Ungheria, Slovacchia, Romania, Bielorussia, Armenia, Azerbaigian, Georgia , Kazakistan, tutti parte dell’Europa come la Russia? Noto che Bordachev omette di menzionare i veri poteri politici all’interno dell’Europa, NATO/UE, e come controllano il comportamento dei loro membri in modo totalitario. Sì, alcuni dei agli animali è permesso squittire, ma i topi mantengono il controllo, e chi controlla i topi? L’Impero degli Stati Uniti fuorilegge. Almeno Bordachev ammette che l’Europa è essenzialmente una colonia dell’Impero. Forse è questa la vera ragione per cui UE/NATO è diventata un buco nero: tutti coloro che sono al potere sono stati comprati o controllati tramite kompromat e quindi baciano lo stivale e fanno gli ordini dell’Impero. Sì, il Team Biden è stato sostituito dal Team Trump, ma come notato lo stesso grado di sottomissione è richiesto, anche se la retorica è cambiata ed è diventata più realista. Sì, gli europei comuni sono responsabili del destino che ora sperimentano da quando hanno ingoiato le bugie e votato per i leccapiedi: non è che non siano mai stati ingannati a prima. Forse la Russia è stata troppo gentile nella sua retorica verso le masse europee. Forse è vero in tutti i suoi rapporti con il Gloden Billion. Forse il soft power russo è stato troppo soft.

A mio parere, l’isteria che si vede nei politici europei è dovuta al fatto che si rendono conto che ora sono visti per quello che sono: leccapiedi, imbroglioni e veri e propri traditori, e rischiano di essere estromessi dall’ufficio per non essere mai più ammessi, la fine del treno della cuccagna. E nel caso degli inutili funzionari della NATO/UE, il crollo e la scomparsa di quelle istituzioni insieme alle loro pensioni. La NATO ha sempre avuto bisogno di una minaccia per giustificare la sua esistenza. E la penisola occidentale dell’Eurasia, affamata di risorse, avrà bisogno di interagire con le nazioni a est per mantenere il loro livello di benessere, mentre altre devono farlo per potersi sviluppare. Alcune nazioni europee possono nutrirsi, ma la maggior parte non può, e la naturale dipendenza geoeconomica dell’Europa è dalle nazioni eurasiatiche, non dall’impero degli Stati Uniti fuorilegge dall’altra parte del un oceano che vuole solo saccheggiare tutto ciò su cui riesce ad ottenere il controllo.

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Gli Stati Uniti hanno dichiarato la fine dell’ordine mondiale unipolare? _ di Glenn Diesen

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TRUMP 2: IL MONDO STA CAMBIANDO, di Michele Rallo

Le opinioni eretiche

di Michele Rallo

 

 

TRUMP 2: IL MONDO STA CAMBIANDO

 

 

Esiste una nettissima differenza fra come “quelli che contano” accolsero il “Trump 1” (quello del 2017) e come la settimana scorsa hanno accolto il “Trump 2”. Il primo era considerato un fenomeno passeggero, un tizio che per puro caso era riuscito a battere Hillary Clinton, imbucandosi alla Casa Bianca. Si pensava che sarebbe stato facile liquidarlo, magari organizzando qualche protesta woke per la solita canagliata del solito poliziotto violento, o scagliandogli contro qualche attricetta alla ricerca di pubblicità gratuita e/o qualche baldo magistrato di belle speranze. E – la mia è solamente una teoria complottista – se proprio The Donald si fosse ostinato a non voler sloggiare dalla studio ovale, allora sarebbe forse bastato qualche provvidenziale “aiutino” per limare i risultati negli Stati-chiave e scongiurare il pericolo di una sua rielezione.

Bene, se questo era il clima del 20 gennaio 2017, completamente diverso è stato quello del 20 gennaio 2025. Adesso nessuna facile ironia, nessun sorrisetto di condiscendenza, nessun ottimismo da salotto radical chic, né dagli avversari politici né dai commentatori “indipendenti” di giornali e tv (anche nostrani); ma soltanto una cupa rassegnazione a quello che potrebbe essere lo spartiacque fra il mondo sognato da lor signori e il ritorno ad un mondo “normale”, senza la dittatura del “politicamente corretto”, senza il ridicolo della cancel culture, senza la follìa del gender, senza l’autolesionismo dello ius soli e dell’accoglionimento generale, senza l’obbrobrio dei una incredibile ideologia green che minaccia interi comparti della nostra economia.

Si, il clima diverso non lo si avvertiva soltanto, ma era concreto, palpabile. Chiaro e evidente come certe imbarazzate giustificazioni sul recente passato, come certe improvvise conversioni, come certe divertenti rincorse per balzare sul carro del vincitore.

Non è soltanto effetto della dimensione della vittoria trumpiana del novembre scorso. È la quasi certezza che sia davvero finita un’epoca e che ne stia iniziando un’altra, destinata a durare anche quando l’attempato Trump avrà terminato il suo secondo quadriennio. Dopo di lui verrà probabilmente il suo giovane vice, J.D. Vance, e poi altri che – repubblicani o democratici che siano – si muoveranno comunque al di fuori dell’ubriacatura autolesionista che ha infettato l’America e l’intero Occidente in questi ultimi anni.

Perché dico questo? Perché la vittoria trumpiana non è arrivata da sola, ma è stata invece accompagnata da una serie di terremoti politici sull’altra riva dell’Atlantico. A cominciare dai grandi paesi europei, dalla Francia, dalla Germania, dalla stessa Italia (malgrado il moderatismo della Meloni), per continuare con i più piccoli: l’Olanda, l’Austria, l’Ungheria, la Romania, e gli altri, man mano che andranno a svolgersi le elezioni.

Finora la cupola fedele all’UE e alla NATO è riuscita a limitare i danni, ricorrendo a trucchetti antidemocratici come quello di promuovere alleanze “antifasciste” di tutti gli altri partiti. Ma fino a quando riusciranno ad imporre un andazzo del genere? In Austria – è notizia di questi giorni – i popolari sembrano essersi rassegnati a governare insieme ai sovranisti filoputiniani. In Francia il presidentuzzo Macron è riuscito ad assemblare tutti i partiti per evitare la vittoria della Le Pen, ma non riesce a mettere insieme un governo con un minimo di respiro. In Romania sono stati costretti ad annullare il primo turno delle presidenziali per scongiurare il pericolo di un trionfo del candidato nazionalista al secondo turno, ma il risultato sarà probabilmente confermato a breve, quando le elezioni dovranno essere ripetute. E in Germania ci si avvicina alle elezioni con AfD a un passo dal diventare il primo partito tedesco.

Ecco perché, questa volta, Trump fa più paura agli “anti”. Perché è l’espressione americana di un fenomeno globale, perché è il prodotto di una reazione dei popoli occidentali contro chi li voleva privare delle loro identità nazionali, etniche, culturali, religiose, finanche della identità sessuale dei singoli individui.

Certo, “loro” non si rassegneranno facilmente. Ma, a meno di voler imporre il “modello Romania” dappertutto (come ventilato nei giorni scorsi dall’ex commissario europeo Breton) la “resistenza” avrà ben poche speranze di successo.

Ben venga, quindi, la “nuova età dell’oro” americana. Ma, occhi aperti: con Trump o con Biden o con chiunque altro, gli interessi americani (e inglesi) sono contrari agli interessi europei.

Il nostro interesse, per esempio, è quello di essere “dipendenti dal gas russo”. L’interesse degli USA, al contrario, è quello di venderci il loro gas. A prezzi da capogiro, naturalmente.

RALLO – Trump 2 (575)

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La sicurezza umana e le sue dimensioni, di Vladislav B. Sotirovic

La sicurezza umana e le sue dimensioni

Il concetto di sicurezza umana è un approccio controverso da parte di un certo gruppo di accademici post Guerra Fredda 1.0 (dopo il 1990) allo scopo di ridefinire e allo stesso tempo rendere più ampio il significato di sicurezza nella politica globale e negli studi di relazioni internazionali (IR). Dobbiamo tenere presente che fino alla fine della Guerra Fredda 1.0, la sicurezza, sia come fenomeno politico che come studio accademico, era connessa esclusivamente alla protezione dell’indipendenza (sovranità) e dell’integrità territoriale degli Stati (polarità nazionali) dalla minaccia militare (guerra, aggressione) da parte di fattori (attori) esterni ma, di fatto, da altri Stati. In realtà, questa era l’idea cruciale del concetto di sicurezza nazionale (statale), che ha avuto un dominio incontrastato nell’analisi della sicurezza e nelle decisioni politiche dopo il 1945 fino agli anni Novanta.

Tuttavia, a partire dalla metà degli anni ’90, gli studi sulla sicurezza, rispondendo ai nuovi cambiamenti geopolitici globali dopo il crollo del blocco sovietico, hanno iniziato a ricercare le questioni di sicurezza in categorie più ampie, ma non solo statali-militari, nonostante il fatto che lo Stato e la sicurezza dello Stato rimanessero ancora l’oggetto focale degli studi sulla sicurezza come entità da proteggere. Tuttavia, il nuovo concetto di sicurezza umana ha sfidato il paradigma della sicurezza incentrato sullo Stato, ponendo l’accento sull’individuo come referente e oggetto della sicurezza. In altre parole, gli studi sulla sicurezza umana si occupano della sicurezza delle persone (individui o gruppi) piuttosto che dell’amministrazione governativa e/o dello Stato nazionale (confini). I sostenitori del concetto di sicurezza umana affermano che si tratta di un contributo significativo per risolvere i problemi di sicurezza e sopravvivenza umana posti dalla povertà, dai cambiamenti ambientali, dalle malattie, dalle violazioni dei diritti umani e dai conflitti armati locali/regionali (ad esempio, la guerra civile). Tuttavia, oggi è diventato abbastanza ovvio che, nell’epoca della turbo-globalizzazione, gli studi sulla sicurezza devono prendere in considerazione una gamma di preoccupazioni e sfide più ampia della semplice difesa dello Stato da azioni armate esterne.

L’idea di sicurezza umana è nata in contrasto con i realisti che vedevano la questione della sicurezza solo legata allo Stato per proteggerlo da altri Stati, grazie ai pensatori liberali che sostenevano che carestie, malattie, crimini o catastrofi naturali costano in molti casi molte più vite umane rispetto alle guerre e alle azioni militari in generale. In breve, l’idea liberale di sicurezza umana pone l’accento sul benessere degli individui piuttosto che su quello degli Stati.

Il concetto di sicurezza umana si occupa dei seguenti sette ambiti o aree di ricerca:

1) Sicurezza politica: garantire che gli esseri umani vivano in una società che onora la libertà individuale e dei gruppi dalla politica delle autorità governative di controllare l’informazione e la libertà di parola.

2) Sicurezza personale: proteggere gli individui o i gruppi dalla violenza fisica, sia da parte delle autorità statali sia da fattori esterni, da individui violenti e da fattori sub-statali, da abusi domestici e da adulti predatori.

3) Sicurezza della comunità: proteggere un gruppo di individui (di solito un gruppo minoritario) dalla perdita della cultura, delle abitudini, delle relazioni e dei valori tradizionali, nonché dalla violenza settaria (religiosa) ed etnica.

4) Sicurezza economica: assicurare agli individui un reddito fondamentale derivante dal loro lavoro retribuito o, in ultima istanza, da qualche organizzazione caritatevole.

5) Sicurezza ambientale: proteggere gli individui dalla distruzione a breve/lungo termine della natura, solitamente come risultato di minacce create dall’uomo, e dall’avvelenamento dell’ambiente naturale.

6) Sicurezza alimentare: garantire a tutte le persone, in ogni momento, l’accesso fisico ed economico al cibo di base per sopravvivere.

7) Sicurezza sanitaria: garantire una protezione minima dalle malattie e da stili di vita malsani.

La sicurezza umana, si può dire, è un approccio alle questioni di sicurezza che ha come punto focale il fatto che molte persone (in particolare nella parte in via di sviluppo del globo – il Terzo Mondo) stanno sperimentando una crescente vulnerabilità globale in relazione alla povertà, alla disoccupazione e al degrado ambientale. Tuttavia, va sottolineato che sia il concetto che l’idea di sicurezza umana non si oppongono alle tradizionali preoccupazioni di sicurezza nazionale – il compito del governo è fondamentale per difendere i cittadini comuni dagli attacchi esterni di una potenza straniera. Al contrario, i sostenitori dell’idea di sicurezza umana affermano che l’obiettivo appropriato della sicurezza è l’individuo umano piuttosto che lo Stato. Ciò significa che il concetto di sicurezza umana assume una visione della sicurezza incentrata sulle persone che, secondo i suoi sostenitori, è necessaria per una più ampia stabilità nazionale, regionale e globale. Il concetto stesso attinge a diverse aree disciplinari come, ad esempio, gli studi sullo sviluppo, le relazioni internazionali, gli studi strategici o i diritti umani.

I sostenitori degli studi sulla sicurezza umana sono, infatti, insoddisfatti della nozione ufficiale di sviluppo, che la considerava una funzione dello sviluppo economico locale, regionale o globale. Propongono invece un concetto di sviluppo umano. L’obiettivo principale di questo concetto è la creazione di capacità umane per affrontare e superare l’analfabetismo, la povertà, le malattie, i diversi tipi di discriminazione, le restrizioni alla libertà politica e la minaccia di conflitti violenti (armati/militari).

Gli studi sulla sicurezza umana sono strettamente correlati alla ricerca sull’impatto negativo delle spese per la difesa sullo sviluppo (“armi contro burro”), in quanto la corsa agli armamenti e lo sviluppo sono in una relazione competitiva (opposta) (in questo senso, probabilmente il caso delle spese militari statunitensi e dello sviluppo della società americana è l’esempio migliore). In effetti, i sostenitori della sicurezza umana richiedono più risorse per lo sviluppo e meno per gli armamenti (un dilemma di “disarmo e sviluppo”).

Nel periodo successivo alla Guerra Fredda 1.0, le prospettive di sicurezza umana sono cresciute di importanza. Una delle ragioni di tale pratica è stata la crescente incidenza dei conflitti armati civili in diverse regioni (Balcani, Caucaso, Ruanda…) che sono costati un gran numero di vite (ad esempio, in Ruanda nel 1994 fino a un milione), lo spostamento della popolazione locale all’interno dei confini nazionali (sfollati interni) o oltre i confini nazionali (rifugiati/emigrati di guerra). È vero che gli studi tradizionali sulla sicurezza nazionale non hanno preso in considerazione i casi di conflitti e lotte armate per identità etniche, culturali o confessionali in tutto il mondo dopo il 1990. Tuttavia, l’idea della diffusione della democratizzazione, della protezione dei diritti umani e degli interventi umanitari (R2P), purtroppo solitamente utilizzata in modo improprio dai politici occidentali, ha avuto una certa influenza sullo sviluppo degli studi accademici sulla sicurezza umana. Si tratta del principio secondo cui la comunità internazionale (di fatto l’ONU, ma non i singoli Stati con le loro decisioni unilaterali) è giustificata a intervenire militarmente contro altri Stati accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Di conseguenza, questo principio ha portato alla consapevolezza che, sebbene il concetto di sicurezza nazionale sia ancora rilevante, esso non rendeva più sufficientemente conto dei diversi tipi di pericolo che minacciavano la sicurezza delle società locali, degli Stati nazionali o della comunità internazionale. La nozione di sicurezza umana è stata introdotta nell’agenda accademica anche a causa delle crisi derivanti dal processo di globalizzazione turbo dopo il 1990, come la questione della povertà diffusa, gli alti livelli di disoccupazione o le dislocazioni sociali causate dalle crisi economico-finanziarie, poiché tali problemi hanno sottolineato la debolezza degli individui di fronte agli effetti della globalizzazione economica.

Va notato che i dibattiti accademici sul tema della sicurezza umana come branca relativamente nuova degli studi sulla sicurezza si sono sviluppati in due direzioni:

1) Sia i sostenitori che gli scettici del concetto sono in disaccordo sulla questione se la sicurezza umana sia una nozione nuova o necessaria, seguita dal problema di quali siano i costi e i benefici della sua adozione come strumento intellettuale o quadro politico.

2) Ci sono stati dibattiti sulla portata del concetto, soprattutto tra i suoi sostenitori.

Da un lato, i critici del concetto di sicurezza umana sostengono che sia troppo ampio per essere analiticamente significativo o utile come strumento di policy-making. Un’altra critica è che tale concetto potrebbe causare più danni che benefici. Per loro, la definizione di sicurezza umana è considerata troppo moralistica rispetto al concetto tradizionale di sicurezza e, pertanto, non è realistica. Inoltre, la critica più forte alla sicurezza umana è che il concetto non prende in considerazione il ruolo dello Stato come fonte di sicurezza. Essi sostengono che lo Stato è una struttura necessaria per qualsiasi forma di sicurezza individuale, perché se non c’è lo Stato, quale altra agenzia può agire per il bene dell’individuo?

D’altra parte, i sostenitori della sicurezza umana non hanno trascurato l’importanza pratica e l’influenza reale dello Stato come garante della sicurezza umana. Essi sostengono che la sicurezza umana è complementare alla sicurezza dello Stato. In altre parole, gli Stati deboli non sono in grado di proteggere la sicurezza e la dignità dei loro abitanti. Tuttavia, il conflitto tra il ruolo tradizionale della sicurezza statale e il nuovo ruolo della sicurezza umana dipende essenzialmente dalla natura del carattere politico-economico dell’autorità statale. È noto che non sono pochi gli Stati in cui la sicurezza umana dei cittadini è di fatto minacciata dalla politica delle proprie autorità governative. Pertanto, sebbene le autorità statali siano ancora cruciali per fornire l’insieme degli obblighi in materia di sicurezza umana, in molti casi sono la fonte principale della minaccia per i propri cittadini. Di conseguenza, lo Stato non può essere considerato l’unica fonte di sicurezza umana e, in alcuni casi, nemmeno la più importante.

Il concetto di sicurezza umana considera l’individuo come l’oggetto di riferimento della sicurezza, riconoscendo il ruolo del processo di turbo-globalizzazione e la natura mutevole dei conflitti armati nella creazione di nuove minacce alla sicurezza umana. I sostenitori di questo concetto sottolineano la sicurezza dalla violenza come obiettivo chiave della sicurezza umana, chiedendo allo stesso tempo di ripensare la sovranità statale come fattore necessario per proteggere la sicurezza umana. Concordano sul fatto che lo sviluppo è una condizione necessaria per la sicurezza (statale e umana), così come la sicurezza (statale e individuale) è una condizione necessaria per lo sviluppo sia statale che umano.

Per i sostenitori della sicurezza umana, la povertà è probabilmente la minaccia più pericolosa per la sicurezza degli individui. Sebbene la torta economica globale sia in crescita, la sua distribuzione è piuttosto disomogenea, rendendo sempre più profondo il divario tra ricchi e poveri tra il Nord e il Sud del mondo. In molti Paesi in via di sviluppo, la rapida crescita della popolazione annulla, di fatto, la crescita economica. Come dato statistico, il 40% più povero della popolazione mondiale rappresenta solo il 5% del reddito globale, mentre il 20% più ricco riceve i ¾ del reddito mondiale. Inoltre, dal 2007, il divario di reddito tra il 10% superiore e quello inferiore è aumentato in molti Paesi. Pertanto, lo sforzo cruciale della politica di sicurezza umana deve essere quello di alleviare la povertà.

Le organizzazioni non governative (ONG) contribuiscono enormemente alla sicurezza umana in diversi modi, come fonte di informazioni e di allarme precoce sui conflitti, fornendo un canale per le operazioni di soccorso. Le ONG sono quelle che molto spesso intervengono per prime nelle aree di conflitto o di calamità naturale, e sostengono il governo locale o le missioni di pace e riabilitazione sponsorizzate dalle Nazioni Unite. Le ONG, così come in molte regioni, svolgono un ruolo centrale nella promozione dello sviluppo sostenibile. Si può sottolineare che, ad oggi, una delle principali ONG con una missione di sicurezza umana è il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), con sede a Ginevra. Ha un’autorità unica, basata sul diritto umanitario internazionale delle Convenzioni di Ginevra, per proteggere la vita e la dignità delle vittime della guerra e della violenza interna, compresi i feriti di guerra, i prigionieri, i rifugiati, gli sfollati, ecc. Un’altra ONG fondamentale per la tutela della sicurezza e dei diritti umani è Amnesty International.

Infine, per concludere, alcuni punti chiave sono all’ordine del giorno:

1) Il concetto di sicurezza umana rappresenta un’espansione sia verticale che orizzontale della nozione tradizionale di sicurezza nazionale, definita come la protezione dell’indipendenza dello Stato nazionale e della sua integrità territoriale dalla minaccia armata (militare) proveniente dall’esterno.

2) La sicurezza umana si distingue per tre elementi: A) l’attenzione all’individuo o al gruppo di persone come oggetto di riferimento della sicurezza; B) la sua natura multidimensionale; C) la sua portata globale (universale) (si applica sia al Nord più sviluppato che al Sud meno sviluppato).

3) Il concetto di sicurezza umana è influenzato da quattro sviluppi cruciali: A) Il rifiuto della crescita economica come indicatore principale dello sviluppo locale/regionale/nazionale e la nozione di “sviluppo umano” come empowerment delle persone; B) L’aumento dei conflitti interni in diverse parti del mondo (di solito militari); C) L’impatto della globalizzazione nel processo di diffusione dei pericoli transnazionali (come il terrorismo o le malattie pandemiche); D) L’enfasi post-Guerra Fredda 1.0 sui diritti umani e sull’intervento umanitario (diritto di proteggere, R2P).

4) La sicurezza umana, fondamentalmente, significa e si occupa della protezione contro le minacce alla vita e al benessere degli individui in aree di bisogno fondamentale che includono la libertà dalla violenza dei “terroristi” (compreso il terrorismo di Stato e quello delle organizzazioni di diverso tipo e provenienza), dei criminali o della polizia, la disponibilità di cibo e acqua, un ambiente pulito, la sicurezza energetica e la libertà dalla povertà e dallo sfruttamento economico.

5) La sicurezza umana si concentra sugli individui, indipendentemente dal luogo in cui vivono, anziché considerarli cittadini di particolari Stati o nazioni.

6) La sicurezza umana ha ancora molta strada da fare prima di essere universalmente accettata come quadro concettuale o come strumento politico per i governi nazionali e la comunità internazionale.

7) Vi è il dubbio che le minacce alla sicurezza umana siano intese come libertà dalla paura o libertà dal bisogno.

8) La sfida per la comunità internazionale è trovare modi per promuovere la sicurezza umana come mezzo per affrontare una gamma crescente di nuovi pericoli transnazionali che hanno un impatto molto più distruttivo sulla vita delle persone rispetto alle minacce militari convenzionali per gli Stati.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici

Belgrado, Serbia

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com © Vladislav B. Sotirovic 2025

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