La sindrome dell’Onnipotente_a cura di Roberto Buffagni

Il dono della sintesi. In cinque minuti e ventitre secondi il professor John Mearsheimer descrive la traiettoria strategica degli Stati Uniti dalla loro nascita ad oggi. Gli Stati Uniti come lo stato più potente e aggressivo della storia moderna, che diviene l’egemone dell’emisfero occidentale e categoricamente non tollera MAI l’esistenza di altri peer-competitors e anzi li spazza via uno dopo l’altro.

Oggi, il peer-competitor degli Stati Uniti è la Cina. L’attuale decisione strategica americana, confermata ufficialmente dai Ministri della Difesa e degli Esteri nella recente visita a Kiev, ribadita dal Presidente Biden nella successiva riunione straordinaria NATO di Ramstein, è di incapacitare politicamente la Russia, ossia di frammentarla, per indebolire la Cina e poi rivolgere la propria attenzione contro di essa.

La Cina è l’obiettivo principale perché solo la Cina dispone dei requisiti di potenza (demografia, economia, potenziale militare in fieri) necessari per divenire l’egemone regionale nell’ Asia, come egemone dell’emisfero occidentale sono gli Stati Uniti d’America.

Già oggi la Cina dispone di una potenza latente (economica) superiore alla potenza latente americana; per di più, la Cina è in grado di produrre tutti i beni tipici delle quattro rivoluzioni industriali, mentre la manifattura americana, in larga misura delocalizzata, non lo è. Quindi, una alleanza tra la Cina e la Russia, con il vastissimo bacino siberiano ricco di materie prime e un arsenale nucleare modernissimo, suona la campana a morto per l’egemonia mondiale statunitense.

Le opzioni strategiche, per gli Stati Uniti, erano due: la prima, trovare un modus vivendi con la Russia, progressivamente avvicinarsela staccandola dalla Cina della quale è avversario naturale (4500 km di frontiere in comune), e allentare la propria egemonia sull’Europa: la Russia, comunque, non dispone dei fondamentali di potenza sufficienti a egemonizzare l’Europa, e non ne disporrà mai finché non riuscirà a invertire la dinamica demografica, sviluppare l’economia a ritmi cinesi, creare FFAA convenzionali abbastanza numerose e qualitativamente adeguate per un progetto espansionistico, imprese tutte che richiedono almeno vent’anni di sforzi coronati da successo.

La seconda, affrontare insieme Russia e Cina, iniziando dalla Russia, l’anello più debole. Logorare la Russia con una guerra interminabile in Ucraina, nella quale si riversino truppe polacche, rumene, baltiche; accendendo focolai di ostilità in tutti i luoghi sensibili per la Russia, Balcani, Medio Oriente, Artico; fomentando separatismi interni alla Federazione russa; ostacolando l’economia Russia con sanzioni durissime che pesano anzitutto sui paesi europei. Al contempo, contenere la Cina nella sua zona d’influenza immediata, dove è improbabile che l’avversario tenti un’espansione perché le sue FFAA non sono ancora in grado di competere con la potenza aeronavale statunitense. Frammentata la Russia, impadronirsi indirettamente delle risorse siberiane russe, creare un blocco occidentale atlantico che giunga fino a Vladivostok, e un blocco occidentale pacifico composto da Australia, Giappone, Corea del Sud che stringa la Cina in un accerchiamento su due fronti. Di qui, potrebbe iniziare il rollback della Cina, e gli Stati Uniti potrebbero riconfermare ed estendere la loro egemonia mondiale.

Gli Stati uniti hanno scelto questa seconda “Grand Strategy”. Non si tratta di una strategia prudente, per usare un understatement. I rischi che essa fallisca ed esponga l’intero blocco occidentale, anzitutto l’Europa, a contraccolpi terribili, persino annichilenti, sono manifesti.

Ma come dice Mearsheimer, gli Stati Uniti sono lo Stato più potente e aggressivo della storia moderna. Oggi, la loro supremazia è in forse, e non sono disposti a rinunciarvi, costi quel che costi: specialmente agli altri. A noi italiani, a noi europei, per esempio._Roberto Buffagni

 

https://youtu.be/9qNDDYu9I3A

 

 

I paraocchi ideologici dell’America e la guerra in Ucraina, di gilbert doctorow

Paraocchi ideologici impediscono una corretta valutazione da parte degli Stati Uniti dei successi russi nella guerra in Ucraina, dei probabili esiti e di cosa fare ora

L’edizione di ieri del principale notiziario della domenica sulla televisione di stato russa, Vesti nedeli , condotto da Dmitry Kiselyov, ha segnato un punto di svolta in ciò che i russi stanno dicendo ufficialmente sui loro successi sul campo in Ucraina. Mi ha fatto pensare al motivo per cui Washington sta sbagliando tutto e come i paraocchi ideologici americani possono portare a conseguenze molto sfortunate a livello globale.

Finora, le notizie russe sono state molto tranquille sulle conquiste militari del paese in Ucraina. I briefing quotidiani del portavoce del ministero della Difesa Igor Konashenkov hanno fornito solo dati sintetici su aerei, carri armati e altri veicoli corazzati, centri di comando in Ucraina distrutti dai missili russi di alta precisione più i nomi delle città che sono state prese, senza approfondire la loro strategia o altro valore. Per il resto, la programmazione televisiva russa ha mostrato solo i danni inflitti quotidianamente dalle forze ucraine alla città di Donetsk e alla sua periferia dall’artiglieria e dagli attacchi missilistici Tochka U. C’è un numero costante di case distrutte, ospedali, scuole e perdite di vite civili. Il senso di questa programmazione è chiaro: spiegare ancora e ancora al pubblico russo perché siamo lì.

Il News of the Week di ieri ha dedicato più di 45 minuti alle operazioni militari russe a terra. Il messaggio è cambiato rispetto a ciò che stiamo facendo lì.I telespettatori sono stati guidati dalla squadra di giornalisti della zona di guerra Rossiya attraverso le foreste e i campi distrutti dell’oblast di Kharkov nell’Ucraina nord-orientale, nonché nelle parti appena liberate della Repubblica popolare di Donetsk. Le riprese da un veicolo blindato fuoristrada, ci hanno mostrato chilometri di distese di carri armati ucraini bruciati e altri equipaggiamenti militari pesanti, nonché dozzine e dozzine di cadaveri di soldati ucraini “uccisi in azione” e lasciati a marcire dalla loro rapida ritirata compagni e disertori. Poi sono arrivate le interviste ai prigionieri di guerra ucraini, i cui volti e parole raccontano una storia molto diversa dagli eroici encomium piovuti da Zelensky e dal suo entourage. Infine,

Tratterò brevemente ciascuno di questi segmenti dal News of the Week di ieri sera. Ma prima, permettetemi di offrire due generalizzazioni generali.

In primo luogo, l'”operazione militare speciale” russa è una macina che macina lentamente ma macina bene. Funziona. I russi stanno schiacciando le forze ucraine. È improbabile che qualsiasi quantità di consegne di equipaggiamenti stranieri a Kiev possa fare la differenza sull’esito di questo conflitto. In effetti, mentre i critici dell’intervento guidato dagli Stati Uniti nel conflitto affermano, correttamente, che le consegne stanno prolungando la guerra incoraggiando Kiev a continuare a combattere, è anche vero che i russi non hanno problemi a riguardo: più va avanti , più territorio possono conquistare, al fine di controllare e infine annettere l’intero litorale del Mar Nero. In tal modo assicurerebbero che ciò che sopravvive dello stato ucraino non possa mai più rappresentare una minaccia militare per la Russia, con o senza l’aiuto della NATO.

In secondo luogo, l’esercito ucraino ha davvero ufficiali addestrati dalla NATO e professionisti qualificati che possono essere combattenti ammirevoli, come insistono i media occidentali. Ma ha anche molta carne da cannone. Per carne da cannone intendo le reclute più anziane convogliate nelle forze armate e anche i volontari che sono inutili per qualsiasi esercito moderno e non sono più addestrabili. La maggior parte dei prigionieri di guerra mostrati dalla televisione russa avevano tra i 50 ei 60 anni; non avevano precedenti esperienze militari. A uno di questi ultimi, con la faccia smunta e la barba ispida fino al petto, è stato chiesto perché si fosse arruolato per combattere. La risposta è tornata: “Non c’era lavoro. Quindi mi sono iscritto solo per fare un po’ di soldi”. Dopo aver visto i loro compagni uccisi a colpi di arma da fuoco, c’è da meravigliarsi che tali soldati alzino le braccia per arrendersi alla prima occasione? 

La domanda che non viene posta è: dove sono tutti i giovani e abili maschi ucraini? Come hanno evitato la bozza? Data la corruzione ampiamente riconosciuta nel governo e nella società ucraini, non sarebbe strano se alcuni si limitassero ad uscire dalla guerra? Sono tra i 5 milioni di ucraini che sono andati all’estero dall’inizio delle ostilità? Sono loro che ora guidano la loro Mercedes costosa con targa ucraina per le strade di Amburgo? Chi in Occidente registra questo o se ne preoccupa davvero?

La testimonianza dei prigionieri di guerra mostra che furono fuorviati dai loro ufficiali. Gli è stato detto che i russi li avrebbero semplicemente massacrati se avessero mostrato la bandiera bianca. La testimonianza delle diverse donne che camminarono verso la libertà dalle catacombe dell’Azovstal supporta la versione ufficiale russa della situazione lì: furono intimidite dai guerrieri nazionalisti che le usarono come scudi umani. Sono stati nutriti a malapena e sono stati avvertiti che la via d’uscita era minata in modo che sarebbero morti in ogni tentativo di fuga.

L’avanzata dei russi sul terreno mentre terminano i preparativi del calderone o l’accerchiamento totale della maggior parte delle forze ucraine nel Donbas è lenta, solo un paio di chilometri al giorno. Il motivo era chiaro dalla segnalazione di ieri sera: a parte i campi aperti e le foreste di cui sopra, gli ucraini si trovano in bunker ben fortificati che hanno costruito negli ultimi otto anni e si trovano in mezzo a piccole città dove devono essere ripulito strada per strada, casa per casa. Bombardamenti a tappeto o bombardamenti illimitati provocherebbero pesanti perdite di vite umane tra la popolazione civile, molti dei quali sono di lingua russa, proprio le persone che i russi stanno cercando di liberare.

Il ragionamento alla base della Via della Guerra Russa in Ucraina è stato del tutto trascurato o respinto a priori dalla Washington ufficiale. I media americani e politici di alto livello parlano solo dei presunti problemi logistici della Russia e della scarsa attuazione dei suoi piani di guerra. Non è così perché i consiglieri di Biden sono scervellati. È così a causa dei paraocchi ideologici che l’intero sistema di politica estera negli Stati Uniti indossa. L’ideologia può essere chiamata idealismo (wilsoniano). È in contrasto con il realismo, che è sposato da una piccola minoranza di accademici americani.

La distinzione non sono semplici parole. È così che vengono analizzate le questioni di politica estera. Si tratta della creazione negli Stati Uniti di un mondo post-fattuale che potrebbe anche essere chiamato un mondo virtuale. 

L’idealismo in politica estera si basa sul presupposto che i principi universali modellano le società ovunque. Ignora sistematicamente le peculiarità nazionali, come la storia, la lingua, la cultura e la volontà. Al contrario, il realismo si basa proprio sulla conoscenza di tali specificità, che definiscono gli interessi e le priorità nazionali.

In queste condizioni, gli studiosi di think tank negli Stati Uniti possono sedersi davanti ai loro computer e scrivere le loro valutazioni del proseguimento russo della guerra in Ucraina esclusivamente su ciò che loro, gli americani e i loro alleati, farebbero se dirigessero il russo sforzo militare. Avrebbero combattuto alla maniera americana, il che significa un inizio con “shock e timore reverenziale” seguito da una vasta distruzione di tutto ciò che si trovava sulla via della loro marcia sulla capitale dello stato nemico per ottenere la capitolazione totale in breve tempo. Il ragionamento degli uomini al Cremlino non li interessa. Da qui la conclusione completamente sbagliata che i russi stanno perdendo la guerra, che la Russia non è la forza militare forte che temevamo,

Lo stesso problema dell’approccio del “mondo virtuale” emerge ora nella discussione tra gli esperti americani sulla probabilità che Putin utilizzi armi nucleari tattiche in Ucraina e su come dovrebbe rispondere l’Occidente guidato dagli Stati Uniti. È esclusa la possibilità che i russi stiano vincendo e non abbiano bisogno di soluzioni estreme. È esclusa la possibilità che soluzioni non nucleari come i bombardamenti a tappeto possano essere applicate se i russi fossero davvero ostacolati.

L’ultima variazione sulla possibile escalation della Russia verso la terza guerra mondiale utilizzando armi nucleari tattiche è una reazione alla vaga minaccia del presidente Putin di una risposta “fulminea” a qualsiasi segno che le potenze occidentali diventino cobelligeranti con le loro azioni a sostegno dell’Ucraina. Curiosamente, si riteneva che la minaccia significasse precisamente attacchi nucleari tattici, non il lancio dei nuovi missili balistici intercontinentali ipersonici Sarmat e in grado di eludere l’ABM, o l’invio del drone d’altura Poseidon per spazzare via Washington, DC in un’esplosione nucleare causata da un’onda di marea . In ogni caso, l’assortimento di nuovi devastanti sistemi d’arma a disposizione della Russia sembra essere ignorato dai nostri esperti di politica. Si sono stabiliti su uno solo, su cui speculano all’infinito.

La bolla del mondo virtuale in cui esiste e prospera la comunità della politica estera statunitense è un disastro che aspetta di accadere. Chi ascolterà il campanello d’allarme di John Mearsheimer e dei pochi esperti di politica che sostengono lo standard della Realpolitik?

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/05/02/americas-ideological-blinkers-and-the-ukraine-war/

UCRAINA: Il vero Zelensky_di Natylie Baldwin

Natylie Baldwin intervista l’accademica Olga Baysha sul presidente dell’Ucraina, un ex attore televisivo che è diventato, dall’inizio della guerra, una celebrità di primo piano negli Stati Uniti

Di Natylie Baldwin
The Greyzone

Un attore comico che è salito alla carica più alta del paese nel 2019, Volodymyr Zelensky era praticamente sconosciuto all’americano medio, tranne forse come un  piccolo attore  nel teatro dell’impeachment dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Ma quando la Russia ha attaccato l’Ucraina il 24 febbraio, Zelensky è stato improvvisamente trasformato in una celebrità di primo piano nei media statunitensi. I consumatori di notizie americane sono stati bombardati dalle immagini di un uomo che  sembrava  sopraffatto dai tragici eventi, forse sopra la sua testa, ma alla fine comprensivo. Non ci volle molto prima che quell’immagine si evolvesse nell’eroe instancabile vestito color cachi che governava su una piccola democrazia scadente e da solo allontanava i barbari dell’autocrazia dall’est.

Ma oltre a quell’immagine mediatica occidentale accuratamente realizzata c’è qualcosa di molto più complicato e meno lusinghiero. Zelensky è stato eletto dal  73%  dei voti con la promessa di perseguire la pace mentre il resto della sua piattaforma era vago. Alla vigilia dell’invasione, tuttavia, il suo indice di gradimento era sceso al  31%  a causa del perseguimento di politiche profondamente impopolari.

L’accademica ucraina Olga Baysha, autrice di  Democracy, Populism, and Neoliberalism in Ukraine: Ai margini del virtuale e del reale , ha studiato l’ascesa al potere di Zelensky e come ha esercitato quel potere da quando è diventato presidente.

Nell’intervista qui sotto, Baysha discute dell’abbraccio di Zelensky al neoliberismo e al crescente autoritarismo, di come le sue azioni abbiano contribuito alla guerra in corso; la sua leadership controproducente e egocentrica durante la guerra, le complesse opinioni e identità culturali e politiche degli ucraini, il partenariato tra neoliberisti e destra radicale durante e dopo la rivolta di Maidan e se un’acquisizione russa dell’intera regione del Donbass potrebbe essere meno popolare tra la popolazione locale di quanto sarebbe stato nel 2014.

Raccontaci un po’ del tuo background. Da dove vieni e come ti sei interessato alla tua attuale area di studio?

Olga Baysha. (Scuola Superiore di Economia, Università Nazionale delle Ricerche)

Sono di etnia ucraina nata a Kharkov, una città ucraina al confine con la Russia, dove vivono ancora mio padre e altri parenti. Prima dell’attuale guerra, Kharkov era uno dei principali centri educativi e scientifici dell’Ucraina. I residenti della città sono orgogliosi di vivere nella “capitale intellettuale” dell’Ucraina.

Nel 1990 vi è stata fondata la prima compagnia televisiva libera dal controllo dei partiti; presto andò in onda il suo primo telegiornale. A quel tempo, mi ero già laureato all’Università di Kharkov e un giorno sono stato invitato a lavorare come giornalista in questo programma da un amico universitario. Il giorno dopo, senza esperienza precedente, ho iniziato a fare reportage. In un paio di mesi, ero un presentatore di notizie. La mia carriera fulminea non è stata un’eccezione.

I nuovi media incontrollati, il cui numero cresceva ogni giorno a un ritmo enorme, richiedevano sempre più operatori dei media. Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di giovani ambiziosi senza alcuna formazione giornalistica o esperienza di vita. Ciò che ci ha unito è stato il desiderio di occidentalizzarsi, la mancanza di comprensione delle contraddizioni sociali che caratterizzano la transizione post-sovietica e la sordità alle preoccupazioni dei lavoratori che si opponevano alle riforme. Questi ultimi ai nostri occhi erano “retrogradi”: non capivano di cosa si trattasse la civiltà.

Ci siamo visti come un’avanguardia rivoluzionaria e abbiamo scelto dei riformatori progressisti. Siamo noi, operatori dei media, che abbiamo creato un ambiente favorevole alla neoliberalizzazione dell’Ucraina, presentata come occidentalizzazione e civiltà, con tutte le conseguenze disastrose per la società che hanno portato. Solo anni dopo me ne sono reso conto.

Più tardi, mentre supervisionavo la produzione di documentari storici in una compagnia televisiva di Kiev, ho riconosciuto che la mitologia del progresso storico unidirezionale e l’inevitabilità dell’occidentalizzazione per i “barbari” fornivano un terreno ideologico per esperimenti neoliberali non solo negli ex stati sovietici ma in tutto il mondo . È questo interesse per l’egemonia globale dell’ideologia dell’occidentalizzazione che mi ha portato prima al programma di dottorato in studi critici sui media presso l’Università del Colorado a Boulder e poi alla ricerca che sto facendo ora.

Secondo il  lavoro accademico  di alcuni sociologi ucraini, i sondaggi hanno mostrato nel recente passato che la maggior parte degli ucraini non era molto interessata alla questione dell’identità, ma era più interessata a questioni come lavoro, salari e prezzi. Il tuo lavoro si concentra molto sulle riforme neoliberiste varate in Ucraina dal 2019, contro il sentimento popolare. Puoi parlare di qual è il punto di vista sulle questioni economiche per la maggior parte degli ucraini e perché?

Negli ambienti sociali [in cui] ho vissuto – l’est dell’Ucraina, la Crimea e Kiev – c’erano pochissime persone interessate alla questione dell’identità etnica.

Non sottolineo invano “i miei ambienti sociali”. L’Ucraina è un paese complesso e diviso con il suo estremo oriente e l’estremo ovest che hanno punti di vista diametralmente diversi su tutte le questioni socialmente significative. Dalla dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina nel 1991, due idee di identità nazionale sono state in competizione in Ucraina: “ucraino etnico” contro “slavo orientale”.

L’idea nazionale etnica ucraina, basata sull’idea che la cultura, la lingua e la storia centrata sull’etnia ucraine dovrebbero essere le forze di integrazione dominanti nello stato-nazione ucraino, è stata molto più popolare nell’Ucraina occidentale. L’idea slava orientale, che prevede la nazione ucraina come fondata su due gruppi etnici, lingue e culture primarie – ucraino e russo – è stata accettata come normale nel sud-est ucraino. Tuttavia, in generale, sono d’accordo sul fatto che la maggior parte degli ucraini è molto più interessata alle questioni economiche, come è sempre stato.

Tramonto alla stazione ferroviaria di Kharkov, Ucraina, 2007. (Trey Ratcliff, Flickr, CC BY-NC-SA 2.0)

In effetti, l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991 è stata in larga misura anche una questione di preoccupazioni economiche. Molti ucraini hanno sostenuto l’idea del divorzio politico dalla Russia a causa dell’aspettativa che l’Ucraina sarebbe stata meglio economicamente – questo è ciò che ci hanno promesso volantini propagandistici.

Questa speranza economica non si è realizzata. In molti modi, il crollo dell’Unione Sovietica ha cambiato radicalmente in peggio la vita delle persone a causa della neoliberalizzazione dell’Ucraina: la commercializzazione della sfera sociale e la rovina dello stato sociale sovietico.

E le riforme neoliberiste avviate da Zelensky? Puoi giudicare la loro popolarità dai sondaggi di opinione: fino al 72% degli ucraini non ha sostenuto la sua riforma agraria, il fiore all’occhiello del programma neoliberista di Zelensky. Dopo che il suo partito l’ha approvato nonostante l’indignazione della gente, la valutazione di Zelensky è scesa dal 73% nella primavera del 2019 al 23% nel gennaio 2022. Il motivo è semplice: un profondo senso di tradimento.

Nella sua piattaforma elettorale non ufficiale – lo spettacolo “Servant of the People” – Zelesnky-Holoborodko [Holoborodko era il personaggio di Zelensky nello show televisivo – NB] ha promesso che se avesse potuto governare il paese per una sola settimana, avrebbe “fatto vivere l’insegnante come presidente, e il presidente vive come insegnante”. Per dirla in parole povere, questa promessa non è stata mantenuta. La gente si è resa conto di essere stata ingannata ancora una volta: le riforme sono state attuate nell’interesse non degli ucraini ma del capitale globale.

In che misura pensi che la priorità della sicurezza economica rispetto alle questioni di identità sia cambiata con l’invasione russa? Come pensi che funzionerà per le fortune politiche dei nazionalisti/ultranazionalisti rispetto ai moderati o alla sinistra?

Questa è una domanda interessante. Da un lato, la priorità delle persone ora è sopravvivere, il che fa della sicurezza la loro preoccupazione principale. Per salvarsi la vita, milioni di ucraini, tra cui mia madre e mia sorella con bambini, hanno lasciato l’Ucraina per l’Europa. Molti di loro sono pronti a rimanere lì per sempre, a imparare le lingue straniere e ad adottare uno stile di vita straniero: tutti questi sviluppi difficilmente possono dare priorità alle preoccupazioni sull’identità.

D’altra parte, però, è anche evidente l’intensificarsi dei sentimenti etnici e il consolidamento della nazione di fronte all’invasione. Posso giudicare questo dalle discussioni pubbliche sui social media: alcuni kharkiviti che conosco personalmente hanno persino iniziato a pubblicare post in [lingua] ucraina, che non avevano mai usato prima, per evidenziare la loro identità nazionale e segnalare che sono contrari a qualsiasi invasione straniera.

Questo è un altro aspetto tragico di questa guerra. La rivoluzione Maidan del 2014, che molte persone nel sud-est non hanno sostenuto, ha trasformato queste persone in “schiavi”, “sovki” e “vatniki”, termini dispregiativi per denotare la loro arretratezza e barbarie.

È così che i rivoluzionari di Maidan, che si consideravano la forza progressista della storia, vedevano gli “altri” anti-Maidan a causa della loro adesione alla lingua e alla cultura russa. Mai e poi mai questa popolazione filo-russa potrebbe immaginare la Russia che bombarda le loro città e rovina le loro vite. La tragedia di queste persone è duplice: in primo luogo, il loro mondo è stato simbolicamente rovinato dal Maidan, ora viene distrutto fisicamente dalla Russia.

I risultati di questi sviluppi non sono chiari nella misura in cui non è chiaro come finirà la guerra. Se le regioni sudorientali rimarranno in Ucraina, molto probabilmente sarà completata la rovina di tutto ciò che resiste al nazionalismo aggressivo.

“… prima, il loro mondo è stato simbolicamente rovinato dai Maidan, ora viene distrutto fisicamente dalla Russia.”

Questa sarà probabilmente la fine di questa cultura borderline unica che non ha mai voluto essere né completamente ucrainizzata né russificata. Se la Russia stabilisce il controllo su queste regioni, come si vanta ora, difficilmente posso prevedere come affronterà il risentimento di massa, almeno nelle città che sono state danneggiate in modo significativo, come a Kharkov.

Passando a Zelensky in particolare: una cosa che fai notare nel tuo libro è come Zelensky abbia servito come questa specie di pifferaio magico in quanto ha usato la sua celebrità e le sue capacità di recitazione per convincere le persone a sostenerlo per conto di questo vago programma di benessere ( pace, democrazia, progresso, anticorruzione) ma ciò ha davvero oscurato un’altra agenda che non sarebbe stata popolare, in particolare un’agenda economica neoliberista. Puoi parlare di come lo ha fatto: come ha condotto la sua campagna e quali erano le sue priorità dopo essere entrato in carica?

L’argomento di base presentato nel mio recente libro è che la sorprendente vittoria di Zelensky e del suo partito, poi trasformata in una macchina parlamentare per sfornare e imprimere riforme neoliberiste (in un “regime turbo”, come lo chiamavano), non può essere spiegato a parte il successo della sua serie televisiva, che, come credono molti osservatori, è servita da piattaforma elettorale informale di Zelensky.

A differenza della sua piattaforma ufficiale, che conteneva solo 1.601 parole e conteneva pochi dettagli politici, i 51 episodi di mezz’ora del suo spettacolo hanno fornito agli ucraini una visione dettagliata di ciò che dovrebbe essere fatto affinché l’Ucraina potesse progredire.

Il messaggio consegnato da Zelensky agli ucraini attraverso il suo show è chiaramente populista. Il popolo ucraino è raffigurato come una totalità priva di problemi e priva di divisioni interne, dalla quale sono esclusi solo gli oligarchi e i politici/funzionari corrotti. Il paese diventa sano solo dopo essersi sbarazzato sia degli oligarchi che dei loro burattini. Alcuni di loro vengono imprigionati o fuggono dal paese; i loro beni sono confiscati senza alcun riguardo alla legalità. Più tardi, Zelensky-il-presidente farà lo stesso con i suoi rivali politici.

È interessante notare che lo spettacolo ignora il tema della guerra del Donbass, scoppiata nel 2014, un anno prima che la serie iniziasse a essere trasmessa. Poiché le relazioni Maidan e Russia-Ucraina sono questioni molto divisive nella società ucraina, Zelensky le ha ignorate per non mettere a repentaglio l’unità della sua nazione virtuale, dei suoi spettatori e, in definitiva, dei suoi elettori.

Volodymyr Zelensky nel 2016, in un episodio della commedia televisiva ucraina “Servant of the People”. (Youtube)

Le promesse elettorali di Zelensky, fatte ai margini del virtuale e del reale, riguardavano principalmente il “progresso” dell’Ucraina, inteso come “modernizzazione”, “occidentalizzazione”, “civiltà” e “normalizzazione”.

È questo discorso di modernizzazione progressista che ha permesso a Zelensky di camuffare i suoi piani di riforme neoliberiste, lanciati solo tre giorni dopo l’ascesa al potere del nuovo governo. Durante tutta la campagna, l’idea di “progresso” evidenziata da Zelensky non è mai stata collegata a privatizzazioni, vendita di terreni, tagli di budget, ecc.

Solo dopo che Zelensky aveva consolidato il suo potere presidenziale stabilendo il pieno controllo sui rami del potere legislativo ed esecutivo, ha chiarito che la “normalizzazione” e la “civiltà” dell’Ucraina significavano la privatizzazione della terra e della proprietà statale/pubblica, la deregolamentazione rapporti di lavoro, riduzione del potere per i sindacati, aumento delle tariffe delle utenze, e così via.

Lei ha sottolineato che molti stranieri sono stati assegnati a importanti incarichi economici e sociali dopo il colpo di stato del 2014 e prima del mandato di Zelensky. Allo stesso modo, molti dei funzionari di Zelensky hanno stretti legami con le istituzioni neoliberiste globali e hai suggerito che ci sono prove che manipolano Zelensky che ha una comprensione non sofisticata di economia/finanza. Puoi discutere questo aspetto delle ramificazioni del cambio di governo filo-occidentale nel 2014? Quali sono gli interessi più grandi in gioco qui e hanno in mente gli interessi della popolazione ucraina in generale?

Sì, il cambio di potere di Maidan nel 2014 ha segnato l’inizio di un’era completamente nuova nella storia dell’Ucraina in termini di influenza occidentale sulle sue decisioni sovrane.

A dire il vero, da quando l’Ucraina ha dichiarato la sua indipendenza nel 1991, questa influenza è sempre esistita. La Camera di Commercio americana, il Centro per le relazioni USA-Ucraina, il Consiglio d’affari USA-Ucraina, la European Business Association, il FMI, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, l’OMC, l’UE: tutte queste istituzioni di lobbying e di regolamentazione hanno avuto un impatto significativo[ing] Decisioni politiche ucraine.

Mustafa Nayyem, uno dei primi attivisti a esortare gli ucraini a riunirsi su Maidan Nezalezhnosti, o Piazza dell’Indipendenza, parlando il 23 novembre 2013. (Aleksandr Andreiko, CC BY-SA 2.0, Wikimedia Commons) 

Tuttavia, mai nella storia pre-Maidan dell’Ucraina il paese aveva nominato cittadini stranieri a incarichi ministeriali di primo piano: ciò è diventato possibile solo dopo il Maidan.

Nel 2014 Natalie Jaresko, cittadina statunitense, è stata nominata ministro delle finanze ucraino; Aivaras Abromavicius, cittadino lituano, divenne ministro dell’economia e del commercio ucraino; Alexander Kvitashvili, cittadino georgiano, ministro della sanità. Nel 2016 Ulana Suprun, cittadina statunitense, è stata nominata ministro della sanità ad interim.

Altri stranieri hanno assunto cariche di rango inferiore. Inutile dire che tutte queste nomine non sono derivate dalla volontà degli ucraini ma dalle raccomandazioni delle istituzioni neoliberiste globali, il che non sorprende dato che lo stesso Maidan non è stato sostenuto da metà della popolazione ucraina.

Come già accennato, la maggior parte di questi “altri” anti-Maidan risiede nelle regioni sudorientali. Più si guardava a est, più forte e unificato si sarebbe trovato un rifiuto del Maidan con la sua agenda europea. Più del 75% di coloro che vivono nelle oblast’ di Donetsk e Luhansk (due regioni orientali dell’Ucraina popolate prevalentemente da lingua russa) non hanno sostenuto il Maidan, mentre solo il 20% delle persone che vivono in Crimea lo ha sostenuto.

Questi dati statistici, forniti dall’Istituto di Sociologia di Kiev nell’aprile 2014, non hanno impedito alle istituzioni di potere occidentali di sostenere che il Maidan fosse la rivolta del “popolo ucraino” presentato come una totalità non problematica – un trucco ideologico molto potente. Visitando piazza Maidan e incoraggiando i suoi rivoluzionari a protestare, i membri della “comunità internazionale” hanno mancato di rispetto a milioni di ucraini che avevano opinioni anti-Maidan, contribuendo così all’escalation del conflitto civile, che alla fine della giornata ha portato alla disastro che stiamo osservando impotenti oggi.

“… i membri della ‘comunità internazionale’ … hanno contribuito all’escalation del conflitto civile.”

Che dire degli interessi esteri investiti nella neoliberalizzazione dell’Ucraina, portata avanti in nome del popolo ucraino? Sono diversi, ma dietro la riforma agraria, che ho analizzato attentamente, c’erano lobby finanziarie in Occidente. I fondi pensione e i fondi di investimento occidentali volevano investire denaro che si stava deprezzando. Alla ricerca di asset in cui investire, hanno ottenuto il sostegno del FMI, della Banca Mondiale, della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo

e vari gruppi di lobby per promuovere i loro interessi e tracciare tutte le basi necessarie. Questo non ha nulla a che fare con gli interessi degli ucraini, ovviamente.

Come sono stati i precedenti di Zelensky sulla democrazia: libertà di parola e di stampa, pluralismo politico e trattamento dei diversi partiti politici? Come si confronta con i passati presidenti dell’Ucraina post-sovietica?

Sono d’accordo con Jodi Dean che sostiene che la democrazia è una fantasia neoliberista, nel senso che non può esistere nei sistemi di governo neoliberisti controllati non dalle persone ma da istituzioni sovranazionali. Come accennato in precedenza, ciò è diventato particolarmente evidente dopo il Maidan, quando i ministri degli Esteri sono stati nominati da queste istituzioni per presentare i loro interessi in Ucraina.

Tuttavia, nel suo zelo riformatore, Zelensky è andato oltre. All’inizio di febbraio 2021, i primi tre canali televisivi di opposizione – NewsOne, Zik e 112 Ukraine – sono stati chiusi. Un altro canale di opposizione  Nash  è stato bandito all’inizio del 2022, prima dell’inizio della guerra.

Dopo lo scoppio della guerra, a marzo sono stati arrestati decine di giornalisti, blogger e analisti indipendenti; la maggior parte di loro sono di visione di sinistra. Ad aprile sono stati chiusi anche i canali televisivi di destra, Channel 5  e  Pryamiy . Inoltre, Zelensky ha firmato un decreto che obbliga tutti i canali ucraini a trasmettere un unico telethon, presentando un solo punto di vista filogovernativo sulla guerra.

Tutti questi sviluppi sono senza precedenti per la storia dell’Ucraina indipendente. I sostenitori di Zelensky sostengono che tutti gli arresti e i divieti dei media dovrebbero essere cancellati per convenienza militare, ignorando il fatto che la prima chiusura dei media è avvenuta un anno prima dell’invasione russa. Quanto a me, Zelensky usa questa guerra solo per rafforzare le tendenze dittatoriali all’interno del suo regime di governo, che ha iniziato a formarsi subito dopo l’ascesa al potere di Zelensky, quando ha creato una macchina del partito per controllare il parlamento e ha approvato le riforme neoliberiste senza riguardo per l’opinione pubblica umore.

Il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale (NSDC) è stato utilizzato da Zelensky nel 2021 per sanzionare alcune persone, per lo più rivali politici. Puoi spiegare cos’è l’NSDC e perché Zelensky lo stava facendo e se fosse legale o meno.

Dopo che il suo sostegno popolare è crollato nel 2021, Zelensky ha avviato il processo incostituzionale di sanzioni extragiudiziali contro i suoi oppositori politici, imposto dal National Security and Defense Council (NSDC).

Tali sanzioni hanno comportato il sequestro extragiudiziale di beni senza alcuna evidenza di attività illecite delle persone fisiche e giuridiche interessate. Tra i primi ad essere sanzionati dall’NSDC c’erano due deputati parlamentari della Piattaforma di opposizione — For Life (OPZZh) — Victor Medvedchuk (poi arrestato e mostrato in TV con la faccia picchiata dopo l’interrogatorio) e Taras Kozak (che è riuscito a fuggire da Ucraina), così come i membri delle loro famiglie. Questo è successo a febbraio 2021; nel marzo 2022 sono stati banditi 11 partiti di opposizione. Le decisioni di bandire i partiti di opposizione e di sanzionare i leader di opposizione sono state prese dall’NSDC; sono stati attuati con decreti presidenziali.

La Costituzione dell’Ucraina afferma che il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale è un organo di coordinamento: “coordina e controlla l’attività degli organi del potere esecutivo nella sfera della sicurezza e della difesa nazionale”.

Questo non ha nulla a che fare con il perseguimento degli oppositori politici e la confisca delle loro proprietà, cosa che l’NSDC fa dal 2021. Inutile dire che questo know-how del regime di Zelensky è incostituzionale: solo i tribunali possono decidere chi è colpevole o meno e confiscare proprietà.

Ma il problema è che i tribunali ucraini si sono rivelati impreparati a fungere da burattini di Zelensky. Dopo che il capo della Corte costituzionale ucraina, Oleksandr Tupytskyi, ha definito le riforme incostituzionali di Zelensky un “colpo di stato”, Zelensky non ha avuto altro da fare che fare affidamento sull’NSDC per portare avanti le sue politiche impopolari. E il “dissidente” Tupytskyi? Il 27 marzo 2021 – anche in violazione della Costituzione ucraina – Zelensky ha firmato un decreto che annulla la sua nomina a giudice del tribunale.

Sotto il governo di Stalin, il Commissariato del popolo per gli affari interni (NKVD) ha creato “troika” per emettere condanne alle persone dopo indagini semplificate e rapide e senza un processo pubblico ed equo. Quello che osserviamo nel caso dell’NSDC è uno sviluppo molto simile, solo i processi incostituzionali dell’NSDC hanno un numero maggiore di partecipanti: tutte le figure chiave dello stato, inclusi il presidente, il primo ministro, il capo del servizio di sicurezza ucraino, il procuratore generale dell’Ucraina, ecc.

Una riunione dell’NSDC può decidere il destino di centinaia di persone. Solo nel giugno 2021, Zelensky ha messo in atto una decisione dell’NSDC di imporre sanzioni contro 538 individui e 540 aziende.

Vorrei chiedervi dell’elenco dei “Peacemaker” (Myrotvorets) che secondo quanto riferito è  affiliato  al governo ucraino e ai servizi di intelligence della SBU. La mia comprensione è che questo è un elenco di “nemici dello stato” e pubblica le informazioni personali di detti nemici. Molti di coloro che sono apparsi su di esso sono stati successivamente assassinati. Puoi parlare di questa lista, come ci finiscono le persone e come si inserisce in un governo che ci è stato detto essere democratico?

Il sito web nazionalista  Myrotvorets  è stato lanciato nel 2015 “da un deputato del popolo che ricopre una posizione di consigliere del Ministero dell’Interno dell’Ucraina” – così lo descrive il rapporto delle Nazioni Unite. Il nome del deputato di questo popolo è Anton Gerashchenko, ex consigliere dell’ex ministro degli Interni Arsen Avakov. È sotto il patrocinio di Avakov nel 2014 [che] sono stati creati battaglioni punitivi nazionalistici da inviare nel Donbass per reprimere la resistenza popolare contro il Maidan.

Myrotvorets  ha fatto parte della strategia generale di intimidazione degli oppositori del colpo di stato. Qualsiasi “nemico del popolo” – chiunque osi esprimere pubblicamente opinioni anti-Maidan o sfidare l’agenda nazionalistica dell’Ucraina – può comparire su questo sito web.

Ole Buzina. (CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons )

Su Myrotvorets c’erano anche gli indirizzi di Oles Buzina, un famoso pubblicista [giornalista], ucciso a colpi d’arma da fuoco dai nazionalisti vicino al suo condominio a Kiev, e Oleg Kalashnikov, un deputato dell’opposizione ucciso dai nazionalisti nella sua casa,  che ha aiutato gli assassini a trovare il loro vittime. I nomi degli assassini sono ben noti; tuttavia, non vengono imprigionati perché nell’Ucraina contemporanea, la cui vita politica è controllata dai radicali, sono considerati eroi.

Il sito non è stato chiuso nemmeno dopo uno scandalo internazionale quando  Myrotvorets ha  pubblicato i dati personali di noti politici stranieri, tra cui l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder. Ma, a differenza del signor Schröder residente in Germania, migliaia di ucraini i cui dati sono su  Myrotvorets non possono sentirsi al sicuro. Anche tutti gli arrestati nel marzo 2022 erano su  Myrotvorets  . Alcuni di loro li conosco personalmente: Yuri Tkachev, l’editore del quotidiano di Odessa  Timer  e Dmitry Dzhangirov, l’editore di  Capital , un canale YouTube.

Molti di coloro i cui nomi sono su  Myrotvorets , sono riusciti a fuggire dall’Ucraina dopo il Maidan; alcuni sono stati in grado di farlo dopo gli arresti di massa lo scorso marzo. Uno di loro è Tarik Nezalezhko, collega di Dzhangirov. Il 12 aprile 2022, già al sicuro fuori dall’Ucraina, ha pubblicato un post su YouTube, chiamando il servizio di sicurezza ucraino “Gestapo” e dando consigli ai suoi spettatori su come evitare di essere catturato dai suoi agenti.

Detto questo, l’Ucraina non è un paese democratico. Più osservo quello che sta succedendo lì, più penso al percorso di modernizzazione di Augusto Pinochet, che, di fatto, è ammirato dai nostri neoliberisti. Per molto tempo i crimini del regime di Pinochet non erano stati indagati. Ma alla fine, l’umanità ha scoperto la verità. Spero solo che in Ucraina ciò avvenga prima.

L’ accademico ucraino Volodymyr Ishchenko ha affermato in una recente  intervista  a New Left Review che, a differenza dell’Europa occidentale, c’è più di una partnership tra nazionalismo e neoliberismo nell’Europa orientale post-sovietica. Ciò è stato osservato anche nel Donbass tra i più ricchi. Sei d’accordo con questo? Se sì, puoi spiegare come si è evoluta quella combinazione?

Sono d’accordo con Volodymyr. Ciò che osserviamo in Ucraina è un’alleanza di nazionalisti e liberali basata sulla loro comune intolleranza nei confronti della Russia e, rispettivamente, verso tutti coloro che sostengono la cooperazione con essa.

Alla luce dell’attuale guerra, questa unità di liberali e nazionalisti può apparire giustificata. Tuttavia, l’alleanza è stata creata molto prima di questa guerra, nel 2013, durante la formazione del movimento Maidan. Dai liberali, l’accordo di associazione con l’Unione europea, sostenuto dal Maidan, era visto principalmente in termini di democratizzazione, modernizzazione e civiltà: era immaginato come un mezzo per portare l’Ucraina agli standard di governo europei.

Al contrario, l’Unione economica eurasiatica, guidata dalla Russia, era associata alla regressione della civiltà allo statalismo sovietico e al dispotismo asiatico. È qui che convergono le posizioni di liberali e nazionalisti: questi ultimi hanno attivamente sostenuto il Maidan non per la democratizzazione, ma per la sua chiara posizione anti-russa.

Fin dai primi giorni delle proteste, i nazionalisti radicali sono stati i combattenti Maidan più attivi. L’unità tra i liberali che associano l’Euromaidan al progresso, alla modernizzazione, ai diritti umani, ecc., e i radicali che cooptano il movimento per la loro agenda nazionalistica è stata un prerequisito importante per la trasformazione della protesta civica in una lotta armata con conseguente ribaltamento incostituzionale potenza.

Colpo di stato di Maidan in Ucraina, 2014. (Wikipedia)

Il ruolo decisivo dei radicali nella rivoluzione è diventato anche un fattore cruciale nella formazione di un movimento di massa anti-Maidan nell’est dell’Ucraina contro il “colpo di stato”, come il discorso egemonico anti-Maidan ha soprannominato il cambio di potere in Kiev. Almeno in parte, quello che osserviamo oggi, è un tragico esito di questa miope e sfortunata alleanza, formatasi durante il Maidan.

Puoi spiegarci qual è stato il rapporto di Zelensky con l’estrema destra in Ucraina?

Lo stesso Zelensky non ha mai espresso opinioni di estrema destra. Nella sua serie “Servant of the People”, che è stata utilizzata come piattaforma elettorale non ufficiale, i nazionalisti ucraini sono descritti in modo negativo: non sembrano altro che stupide marionette di oligarchi.

Come candidato alla presidenza, Zelensky ha criticato la legge sulla lingua firmata dal suo predecessore Petro

Poroshenko, che ha reso la conoscenza della lingua ucraina un requisito obbligatorio per dipendenti pubblici, soldati, medici e insegnanti. “Dobbiamo avviare e adottare leggi e decisioni che consolidino la società, e non viceversa”, ha affermato il candidato Zelensky nel 2019.

Tuttavia, dopo aver assunto la carica presidenziale, Zelensky si è rivolto all’agenda nazionalistica del suo predecessore. Il 19 maggio 2021, il suo governo ha approvato un piano d’azione per la promozione della lingua ucraina in tutte le sfere della vita pubblica rigorosamente in linea con la legge sulla lingua di Poroshenko, per la gioia dei nazionalisti e lo sgomento dei russofoni.

Zelensky non ha fatto nulla per perseguire i radicali per tutti i loro crimini contro gli oppositori politici e il popolo del Donbass. Il simbolo della trasformazione di destra di Zelensky è stata la sua approvazione da parte del nazionalista Medvedko – uno di quelli accusati di aver ucciso Buzina – che ha approvato pubblicamente il divieto di Zelensky dei canali di opposizione in lingua russa nel 2021.

“Dopo aver assunto la carica presidenziale, Zelensky si è rivolto all’agenda nazionalistica del suo predecessore”.

La domanda è perché? Perché Zelensky ha fatto un’inversione di marcia al nazionalismo nonostante le speranze della gente che avrebbe perseguito la politica della riconciliazione?

Come credono molti analisti, ciò è dovuto al fatto che i radicali, pur rappresentando la minoranza della popolazione ucraina, non esitano a usare la forza contro politici, tribunali, forze dell’ordine, operatori dei media e così via, in altre parole, sono semplicemente bravi a intimidatorio della società, compresi tutti i rami del potere.

I propagandisti possono ripetere il mantra “Zelensky è un ebreo, quindi non può essere un nazista” tutte le volte che vogliono, ma la verità è che i radicali controllano il processo politico in Ucraina attraverso la violenza contro coloro che osano affrontare i loro programmi nazionalistici e suprematisti.

Il caso di Anatoliy Shariy  — uno dei blogger più popolari in Ucraina che vive in esilio — è un buon esempio per illustrare questo punto. Non solo lui, insieme ai suoi familiari, riceve in modo permanente minacce di morte, i radicali intimidiscono costantemente gli attivisti del suo partito (bandito da Zelensky nel marzo 2022), picchiandoli e umiliandoli. Questo è ciò che i radicali ucraini chiamano “safari politico”.

In questo momento, Zelensky è la figura più influente sulla scena mondiale rispetto a un conflitto che ha gravi implicazioni se dovesse degenerare. Sono preoccupato che stia usando quelle stesse abilità manipolative nel mondo dello spettacolo per raccogliere sostegno dietro questa immagine di una qualche incarnazione personale di democrazia e rettitudine contro le forze del male e dell’autocrazia. È come un film basato sul mondo dei fumetti Marvel. È proprio il tipo di inquadratura che sembra antitetica alla diplomazia. Pensi che Zelensky stia giocando un ruolo costruttivo come leader dell’Ucraina in tempo di guerra o no?

Seguo regolarmente i discorsi di guerra di Zelensky e posso affermare con sicurezza che il modo in cui inquadra il conflitto difficilmente può portare a una risoluzione diplomatica poiché ripete costantemente che le forze del bene sono attaccate dalle forze del male. Chiaramente, non ci può essere una soluzione politica per un simile Armageddon.

Ciò che esce da questo mitico quadro di riferimento per la guerra è il contesto più ampio della situazione: il fatto che da anni l’Ucraina si rifiuta di attuare gli accordi di pace di Minsk, firmati nel 2015 dopo la sconfitta dell’esercito ucraino in Guerra del Donbass.

Secondo questi accordi, il Donbass doveva ricevere un’autonomia politica all’interno dell’Ucraina, un punto inconcepibile e inaccettabile per i radicali. Invece di attuare il documento, che è stato ratificato dalle Nazioni Unite, Kiev ha combattuto con il Donbass lungo la linea di demarcazione per otto lunghi anni. La vita degli ucraini che vivono in questi territori si è trasformata in un incubo. Per i radicali, i cui battaglioni hanno combattuto lì, il popolo del Donbass – immaginato come  sovki  e  vatniki – non merita pietà e indulgenza.

L’attuale guerra è un prolungamento della guerra del 2014, iniziata quando Kiev ha inviato truppe nel Donbass per reprimere la ribellione anti-Maidan con la premessa della cosiddetta “operazione antiterroristica”. Il riconoscimento di questo contesto più ampio non presuppone l’approvazione dell’“operazione militare” della Russia, ma implica il riconoscimento che anche l’Ucraina è responsabile di quanto sta accadendo.

Inquadrare la questione della guerra in corso nei termini di una lotta della civiltà contro la barbarie o della democrazia contro l’autocrazia non è altro che manipolazione, e questo è essenziale per capire la situazione. La formula dell’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush “o sei con noi o con i terroristi”, propagata da Zelensky nei suoi appelli al “mondo civile”, si è rivelata molto conveniente in termini di evitare la responsabilità personale per il disastro in corso.

In termini di vendita di questa storia unidimensionale al mondo, le capacità artistiche di Zelensky sembrano inestimabili. È finalmente sulla scena globale e il mondo sta applaudendo. L’ex comico non cerca nemmeno di nascondere la sua soddisfazione. Rispondendo alla domanda di un giornalista francese del 5 marzo 2022 — decimo giorno dell’invasione russa — su come era cambiata la sua vita con l’inizio della guerra, Zelensky ha risposto con un sorriso di gioia: “Oggi  la mia vita è bella . Credo di essere necessario. Sento che è il significato più importante nella vita: essere necessari. Sentire che non sei solo un vuoto che è solo respirare, camminare e mangiare qualcosa. Tu vivi.”

Per me, questa costruzione è allarmante: implica che Zelensky gode dell’opportunità unica di esibirsi su un palcoscenico globale fornito dalla guerra. Ha reso bella la sua vita; lui vive. In contrasto con milioni di ucraini la cui vita non è affatto bella e migliaia di quelli che non sono più in vita.

Alexander Gabuev ha  suggerito  che la leadership russa ha una mancanza di esperienza sul paese che è stata un fattore che ha contribuito a questo conflitto. Ho anche sentito commentatori russi suggerire che l’Ucraina ha un atteggiamento superiore riguardo all’essere filo-occidentale rispetto a filo-russo. Pensi che questo sia un fattore che contribuisce in modo significativo a entrambe le parti?

Sono propenso a condividere l’affermazione relativa alla mancanza di un’adeguata comprensione da parte della leadership russa dei processi sociali che sono in corso in Ucraina dal Maidan. In effetti, metà della popolazione ucraina non l’ha accolto con favore e milioni di persone che vivono nel sud-est hanno voluto che la Russia intervenisse. Lo so per certo poiché tutti i miei parenti e vecchi amici risiedono in questi territori.

Tuttavia, ciò che era vero nel 2014 potrebbe non essere necessariamente il caso ora. Sono passati otto anni; è cresciuta una nuova generazione di giovani, cresciuta in un nuovo ambiente sociale; e molte persone si sono semplicemente abituate a nuove realtà. Infine, anche se la maggior parte di loro disprezza i radicali e la politica dell’ucrainizzazione, odia ancora di più la guerra. La realtà sul campo si è rivelata più complessa di quanto si aspettassero i decisori.

E il senso di superiorità tra quegli ucraini che si identificano con gli occidentali piuttosto che con i russi? 

Questo è vero e, per quanto mi riguarda, questa è la parte più tragica dell’intera storia post-Maidan, perché è proprio questo senso di superiorità che ha impedito alle forze “progressiste” pro-Maidan di trovare un linguaggio comune con le loro ” connazionali filo-russi. Ciò ha portato alla rivolta del Donbass, all’“operazione antiterroristica” dell’esercito ucraino contro il Donbass, all’intervento della Russia, agli accordi di pace di Minsk, al loro mancato adempimento e, infine, alla guerra in corso.

Natylie Baldwin è una scrittrice di politica estera russa e statunitense e autrice di The View from Moscow: Understanding Russia & US-Russia Relations.

Questo articolo è tratto da The Grayzone .

Le opinioni espresse in questa intervista possono riflettere o meno quelle di  Consortium News .03

https://consortiumnews.com/2022/04/29/ukraine-the-real-zelensky/

CRIMEA, DONBASS E DNEPR: RADICI DELLA CRISI NEL CUORE DELL’EUROPA, di Marco Giuliani

CRIMEA, DONBASS E DNEPR: RADICI DELLA CRISI NEL CUORE DELL’EUROPA

Una crisi che nasce da lontano

Nel caso della Russia moderna e contemporanea, così come per l’Ucraina, non è affatto facile ricostruire un percorso storico-politico coerentemente legato al concetto di Stato in quanto entità sovrana caratterizzata da confini geografici predefiniti. Ciò è dovuto soprattutto ad antichi motivi etnici, culturali, linguistici e sociali. La ricerca storiografica, nel tempo, si è orientata infatti ad analizzare come, limitatamente dal punto di vista sociologico, scientifico ed eziologico il multiculturalismo delle aree comprese in particolare tra la parte orientale dell’ex impero zarista e la parte slava riferita alla vecchia Polonia e all’Austria-Ungheria, fosse divenuto oggetto di scontri, tensioni, rivalse e rivendicazioni territoriali. Nonostante le difficoltà di ricostruzione, resta forte motivo di interesse individuarne le cause principali.
Osserviamo che nel Settecento e nell’Ottocento, le secolari comunità ucrainofone, presenti per la quasi totalità presso alcune zone centro-meridionali situate accanto al fiume Dnepr, erano prevalentemente un popolo contadino circoscritto in relazione a una variabile linguistica in virtù della stragrande maggioranza russofona estesa verso Est. Questo vale soprattutto per la Crimea, allora abitata da coloni detti “grandi russi” e da comunità di origine tatara, e per le zone di Donetsk e Rostov sino a lambire Karkiv, che per convenzione, vengono oggi considerate parte integrante della regione del Donbass. Le sottili differenze di cui sopra, oltre alle cause descritte, erano ingigantite in primo luogo dal fatto che non fossero stati definiti confini fisici, e in secondo luogo dal fatto che la presenza russa riguardava i centri urbani e relegava indirettamente le comunità ucraine a una distinta condizione di ceto bracciantile. In un contesto così frammentato, si andava ad aggiungere la diversità del credo religioso: i russi, i polacchi e gli ucraini si differenziavano in quanto rispettivamente ortodossi, cattolici romani e uniati (l’uniatismo, o greco-ortodossia, è un sostantivo dispregiativo usato per definire gli osservanti cristiani che rispettano il culto della Chiesa di Roma ma si dedicano a pratiche religiose locali). Di conseguenza, durante il XIX secolo la distinzione si accentuerà anche per suddette cause; come è evidente, è stato ed è molto difficile ancora oggi quantificare o stilare ogni tipologia di schematizzazione su valori nazionali o squisitamente geopolitici.

1897: i primi censimenti

Il primo vero censimento della “fetta” paneuropea dell’Impero zarista risale al 1897, e fu effettuato su basi fiscali, ovvero su chi e quante tasse versava allo Stato. Ne risultò che i Russi rappresentavano il 44,3% della popolazione, gli Ucraini il 17,8, i Polacchi il 6,3 e i Bielorussi il 4,7. Tutto il restante era costituito da comunità Kazake, Tedesche, Lituane, Lettoni, Estoni, Rumene, Armene, Georgiane, Tatare e Uzbeke. In relazione a questa interconnessione di culture e appartenenze, appare evidente a prescindere che i Governatorati istituiti al tempo per dare una sorta di delimitazione alle varie province, non erano affatto sufficienti a selezionare geograficamente e politicamente le zone sottoposte alla giurisdizione imperiale. Rileviamo, inoltre, che in seguito il governo (esattamente nel 1914-15) diede la possibilità ai residenti delle aree più ramificate sotto l’aspetto linguistico di scegliere se registrarsi o meno secondo la definizione di “ucraini russofoni”.
Di fronte a una così complessa condizione di multietnia e plurilinguismo, un minimo di semplificazione ebbe luogo solo a margine della Rivoluzione del 1917, che, come sappiamo, si compì in pieno primo conflitto mondiale. Approfittando della forte instabilità determinata dalla Grande Guerra, le popolazioni del basso Don, quelle per intenderci comprese tra le province di Donetsk e Luhans’k, rivendicarono l’autonomia dal potere centrale e a febbraio del 1918 proclamarono unilateralmente la Repubblica Sovietica del Donec-Krivoj-Rog (in russo Донецко-Криворожская). Tuttavia, a solo un anno di distanza, il partito bolscevico, nel frattempo salito al potere, inglobò sine die la piccola repubblica in quella ucraina, più vasta, che nel 1922, assieme alle altre, avrebbe dato vita alla costituzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.).
La questione legata all’autonomismo delle comunità periferiche dell’ex impero si intrecciò inevitabilmente con l’aspetto socioeconomico; la modernizzazione degli apparati industriali e tecnologici, accelerata dalla NEP (Nuova Politica Economica), incentivò fortemente l’abbandono delle campagne da parte dei contadini, i quali invasero i centri urbani ponendo l’intero paese di fronte a svolte epocali. Così, centinaia di migliaia di ucraini diedero luogo a quella “russificazione” – del tutto spontanea – che segnò la fine della solidarietà di stirpe (o etnica) mantenuta sino a quel momento con i villaggi rurali limitrofi. Va sottolineato che alle soglie del Novecento i contadini impegnati nei campi ammontavano a un numero di circa 25 milioni su un totale di 70 milioni di abitanti. Nell’assimilazione di ampie comunità ucrainofone all’interno dell’amministrazione russa, intesa anche e soprattutto come possibilità di emancipazione lavorativa e sociale, intervennero dunque fattori esclusivamente asimmetrici rispetto a quelli considerati come “discriminanti culturali”. In pieno XX secolo, tollerare di “russificarsi” significò in modo implicito la piena accettazione della forza attrattiva esercitata dalla possibilità di nuove aspettative di vita, che si legavano via via anche alla condizione di burocratizzazione di cui era oggetto il gigante sovietico. Insieme allo sviluppo dei grandi poli industriali (enorme fu l’attività della costruzione di nuove ferrovie avviata dal ministro delle Finanze Sergej Vitte) marciava di pari passo l’istituzione di migliaia di uffici governativi, di apparati politico-amministrativi e di distretti militari; ciò significava lavoro, occupazione e reddito, ovvero altri elementi di assorbimento che conferivano alle comunità ucraine una progressiva e ulteriore “russificazione”, la quale divenne, in parte, anche linguistica.
Il Donbass e i suoi tesori

Il Donbass, in quanto polo industriale che attinge risorse dai suoi grandi giacimenti minerari, non nasce oggi, tantomeno nel Novecento. È in realtà da prima del Settecento che quest’area millenaria, compresa tra le coste del Mar Nero e gli Oblast di Luhans’k e Belgorod (in pratica, una linea parallela al Don che corre dalla Crimea e va a Nord), grazie anche agli investimenti di paesi stranieri, rappresenta un sito naturale di inestimabile valore che gli zar sfruttarono sino al tempo della grande esplosione demografica e operaia. Oltre a favorire l’esodo dalle campagne, i giacimenti del luogo richiamarono una certa abbondanza di manodopera per l’industria che comportò al tempo stesso la radicalizzazione delle tensioni sociali; queste, provocate dai bassi salari e dalle cattive condizioni di vita della classe operaia, presero sempre più corpo incentivando l’associazionismo dei lavoratori in funzione antigovernativa. Come si può evincere, le note differenze etnico-culturali tra le comunità russo-ucraine ebbero anche implicazioni politiche, che di fatto continuarono a impedire una perdurante stabilità di governo.
«Se lavorerete per il presente, il vostro lavoro resterà insignificante. Bisogna lavorare pensando al futuro». Nel citare questo sillogismo di Anton Pavlovic Cechov, è opportuno ricordare che la classe dirigente russa, nelle prime due decadi del Novecento, aveva tentato di avviare alcune riforme – di cui una relativa alla attribuzione delle terre ai contadini, i quali, come nuovi proprietari, andarono a ingrossare le già nutrite fila dei kulaki, i “signori della terra” – che lenissero il malcontento delle classi meno agiate. Non bastò, e gli scioperi e le proteste di piazza si moltiplicarono, così come l’allestimento dei gulag, dove vennero deportati gli oppositori politici del Cremlino.
Lo spartiacque costituito dal secondo, tragico, conflitto mondiale, diversificò ma non smorzò le tensioni che si trascinavano oramai da decenni. L’invasione nazifascista della Russia (denominata Unternehmen Barbarossa), avvenuta nel 1940, che ne determinò un’occupazione durata circa 3 anni, fu caratterizzata, tra gli altri eventi, dalla costituzione di un esercito paramilitare ucraino in funzione antirussa e dall’arruolamento spontaneo di almeno 250 mila volontari nella Wermacht e nelle Shutz-Staffel (le ben note SS), i quali parteciparono attivamente allo sterminio degli ebrei del luogo. Trattavasi di ultranazionalismo radicato che avrebbe, nel tempo, mantenuto le sue tristi affinità con alcuni movimenti politici locali abbastanza diffusi.

Acutizzazione delle tensioni

Come si diceva, tensioni mai sopite, in cui intervennero nuove discriminanti diacroniche; liberata l’Europa dalle potenze dell’Asse e superato il periodo di Guerra Fredda, le incomprensioni assunsero un contenuto più squisitamente economico e sociale. La dissoluzione dell’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991, che sancì l’indipendenza delle repubbliche federatesi nel 1922, rese i rapporti tra Mosca e Kiev mutevoli e controversi, o quanto meno più complicati dal tempo della già menzionata “russificazione” delle aree orientali ucraine. Tutto il bacino degli Urali e le regioni distribuite a est – compreso evidentemente il Donbass – hanno dato e danno attualmente lavoro a decine di migliaia di cittadini con passaporto russo, di lingua e religione filorusse, e ciò ha comportato ulteriori motivi di scontro non solo identitari e sociali, ma, come detto, anche economici. Non va dimenticato neanche che nel referendum del 1991 il 20% degli ucraini, corrispondente a circa 8 milioni di elettori, si pronunciò a favore del mantenimento federativo con la Russia.
Col passare degli anni, la posizione geopolitica dell’Ucraina ha peggiorato questa condizione, specie in relazione all’attrattiva costituita dal mercato libero legato alla UE, che l’alternanza dei governi ha di volta in volta valutato, caldeggiato o meno in base alle congiunture storico-economiche; il paese si è infine letteralmente lacerato tra quanti propesero a favore dell’avvicinamento all’Europa e quanti sostennero l’indipendenza dall’Ucraina mantenendo rapporti strettissimi di lavoro, vicinanza e amicizia con Mosca. Un attrito che provocherà una profonda ferita nel cuore dell’Europa e per la quale si attende il tanto auspicato annuncio di una tregua. Magari con il contributo di paesi terzi che in questo momento sembra stiano affossando qualsiasi possibilità di dialogo.

MG

FONTI & BIBLIOGRAFIA

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ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), Sez. Ricerca, Europa e Governance Globale, vedi notizie crisi Russia-Ucraina –
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N. Werth, Storia della Russia del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2000 –

La metamorfosi dell’Impero e le sue vittime_di Andrea Zhok

1. Il riflusso dell’imperialismo globalista USA

 

Nella frenesia angosciosa degli ultimi due anni, prima con la pandemia e ora con la guerra russo-ucraina, molti processi stanno accelerando e prendendo forme inedite.

Per comprendere gli eventi recenti bisogna partire da una constatazione, ovvero dall’esaurimento della spinta globalizzante dell’economia capitalistica mondiale. Come noto, il sistema capitalistico si conserva in equilibrio soltanto se e nella misura in cui può garantire ai detentori di capitale (investitori) una crescita futura del proprio capitale. Uno stato stazionario perdurante equivale senza resti ad un collasso per il sistema capitalistico, a partire dal fallimento degli istituti finanziari, che possono esistere soltanto sulla base di questo assunto di crescita.

La globalizzazione è stata la forma principale della crescita capitalistica (e delle promesse di crescita) a partire dagli anni ’70 del XX secolo. Dopo la caduta dell’URSS l’espansione globalizzante ha iniziato ad accelerare.

La globalizzazione tuttavia non è semplicemente un moto acefalo del capitale, per quanto essa esprima tendenze strutturali del capitalismo in quanto tale. Nell’ultimo mezzo secolo la globalizzazione è stata la forma presa dall’espansionismo “imperiale” americano.

La narrazione liberista per cui l’ampliamento e l’intensificazione degli scambi creerebbero automaticamente benessere per tutti i transattori è soltanto una fiaba per gonzi, che nasconde un punto cruciale: in ogni scambio è sempre decisivo il rapporto tra i poteri contrattuali dei contraenti. Chi ha maggior potere contrattuale è in grado di estrarre dallo scambio un profitto molto maggiore; chi estrae maggior profitto rafforza ulteriormente il proprio potere contrattuale futuro; e ciò che conta nel sistema è la gerarchia di potere che ne emerge (il capitale è potere).

Quando l’asimmetria di potere contrattuale conferito dalla capitalizzazione è grande, la parte “perdente” nello scambio è di fatto in condizioni di dipendenza totale, non dissimile da quella di uno schiavo nei confronti del padrone. Ciò accade negli scambi tra individui non meno che in quelli tra nazioni. In uno scambio tra poteri contrattuali massivamente asimmetrici la parte debole è disponibile a fornire qualunque servizio pur di evitare il collasso. Nel sistema mondiale degli scambi, all’indomani della caduta dell’URSS c’era un solo paese in cima alla piramide alimentare: gli USA, mentre un gran numero di paesi, soprattutto africani, in parte asiatici e sudamericani, fornivano la base della piramide, in condizioni di dipendenza totale.

In questa fase gli USA hanno alimentato la globalizzazione attraverso istituzioni internazionali (World Bank, International Monetary Fund, World Trade Organization) e hanno controllato il rispetto dei patti, dei contratti internazionali, e delle proprie aspettative, con l’esercito più forte del mondo.

Con il nuovo millennio è iniziata una fase caratterizzata da due principali fenomeni.

Il primo fenomeno è la comparsa sulla scena mondiale di un protagonista capace di sfruttare le occasioni offerte dalla globalizzazione in modo più efficace degli USA, battendoli proprio sul punto che la teoria predicava come qualificante: la capacità di produrre meglio a costi minori. La Cina, diversamente da altri paesi, aveva caratteristiche politiche, geografiche e demografiche tali da non essere senz’altro ricattabile e assoggettabile da parte americana. E sotto queste condizioni peculiari, invero uniche al mondo, il libero commercio ha operato effettivamente come capacità di trasferimento di capitali verso il produttore migliore. La Cina ha inoltre anche iniziato a fare affari con le parti più sfruttate del mondo, fornendo condizioni di scambio migliori, e così ha esteso la propria influenza insieme economica e geopolitica.

Il secondo fenomeno, parzialmente legato al primo, è stata la crescente fragilità di catene produttive sempre più estese e complesse. Quanto più estese e complesse, tanto maggiore la possibilità che eventi locali, guerre, epidemie, rivolgimenti politici, bolle finanziarie, ecc. creassero bruschi crolli delle aspettative di profitto.

La crisi subprime del 2007-2008 ha segnato qui la svolta, coinvolgendo l’intero pianeta, ma in maniera particolarmente dura l’Occidente a guida americana e i suoi satelliti. Dal 2008 il sistema finanziario e produttivo occidentale è stato tenuto artificialmente in vita con somministrazioni massive di denaro. Queste somministrazioni non hanno però avuto carattere “keynesiano”, anticiclico. Il denaro “stampato” dalle banche centrali è stato destinato direttamente o indirettamente allo stesso sistema finanziario che aveva creato la crisi, entrando solo in minima percentuale nell’economia reale. Dopo il 2008, a causa di queste politiche di trasferimento dalle banche centrali al sistema finanziario, il rischio di una bolla inflattiva senza crescita (stagflazione) era sempre più forte. Questo processo non poteva durare indefinitivamente e ha dato ripetuti segni di essere sulla strada di un nuovo tracollo (l’ultimo grave segno fu la crisi di liquidità bancaria del settembre 2019).

La fase in cui siamo entrati è quella in cui la “globalizzazione imperiale” americana è entrata in fase di riflusso. I vertici del complesso politico-finanziario-militare americano devono ripensare il proprio ruolo, modificando il modello propagandato negli ultimi decenni e riposizionando il proprio potere, mentre le catene produttive si accorciano.

Tutto ciò che ci sta succedendo da due anni a questa parte ricade nella cornice definita da questa inversione di una tendenza storica, inversione che ha una portata storica simile a quella della ritrazione dell’Impero romano dalla propria fase di massima espansione dopo il II secolo d.C. Un sistema come quello romano sul piano militare, o come quello americano sul piano economico, che può prosperare solo crescendo, quando inizia a decrescere deve cambiare pelle e, nel lungo periodo, natura.

Questa fase di transizione può essere lunga o breve, ma in ogni caso non può non essere traumatica.

 

2. Il ruolo della pandemia di Covid-19

 

Che la pandemia di Covid sia stata scatenata appositamente, o che sia stato invece un accidente, questo probabilmente non lo sapremo mai con certezza. Quello che è certo è che una volta avviata, le sue opportunità di manipolazione di sistema sono state prontamente colte.

Da anni si facevano simulazioni intorno a cosa sarebbe potuto e dovuto accadere in presenza di un grave evento pandemico (le più note simulazioni: Clade-X, del 2017-2018, e Event 201 del settembre 2019, entrambe a guida americana). Queste simulazioni consideravano sia le ripercussioni economiche, sia le esigenze di “indirizzo mediatico”, cioè di controllo del messaggio da rivolgere alla popolazione.

Quale che ne sia stata l’origine, dunque, quando la pandemia si è presentata, esistevano indicazioni operative e previsioni circa gli effetti, ed esisteva un dominus della vicenda, ovvero gli USA, che avevano tutte le conoscenze e tutti i mezzi per orientare le scelte, se non del mondo, almeno di tutti i paesi da essi direttamente dipendenti sul piano politico-militare.

E in effetti, la prima cosa da osservare è che i paesi che hanno adottato, con piccole variazioni, il medesimo modello basato sulla vaccinazione a tappeto, con vari livelli di pressione sui renitenti, coincidono con l’area di influenza geopolitica e militare diretta degli USA: questo modello è stato adottato da tutta l’Europa inclusa nella Nato, da Canada, Israele, Australia e Nuova Zelanda.

Il modello di gestione della pandemia è stato sin dall’inizio di tipo militare, e militare è stata la retorica della “guerra al virus”, dei “no vax” come disertori, ecc.

Gli obiettivi di questa manipolazione sono stati due: l’incremento di controllo interno sulla popolazione e il compattamento internazionale delle catene di comando del blocco a guida americana.

Ben prima dello scoppio della pandemia c’erano stati tumulti e proteste diffuse in molti paesi europei, visto che dai postumi della crisi del 2008 non si era mai davvero usciti. I tumulti più tenaci e minacciosi sono stati quelli promossi dai gilets jaunes in Francia, ma le proteste avevano punteggiato tutti i paesi. In Italia le proteste erano state contenute, trovando un’apparente valvola di sfogo elettorale, con la nascita di un governo “atipico” e apparentemente “antisistema” (che inizialmente suscitava alcune preoccupazioni a livello UE).

Con la pandemia tutti i margini di protesta, contestazione e rivendicazione sono stati messi a tacere per “cause di forza maggiore”. Questo è un desideratum di chiunque gestisca il potere, e ha un significato di lungo periodo. Infatti, che circostanze di stagnazione, inflazione, contrazione economica, disoccupazione, ecc. conducano a tumulti e proteste potenzialmente esplosive è ovvio. In una fase di massiva contrazione e riflusso, come quella avviata, questo rischio è previsto, e perciò il potere si premunisce, procedendo a restrizioni, con incremento di controlli, limitazioni agli spostamenti, controllo intensivo sulle espressioni d’opinione, ecc.

Il secondo obiettivo ha carattere internazionale e geopolitico. La pandemia si presenta come un’occasione per addomesticare e “normalizzare” il contrarsi della globalizzazione, specificamente in rapporto al grande concorrente cinese. Con lo scoppio della pandemia la Cina venne immediatamente presentata (lo era invero già in precedenza) come il grande untore mondiale. Questo fatto ha iniziato una spinta a riportare la produzione in una sfera di nuovo direttamente controllabile da parte della potenza imperiale americana. È un processo costoso, lungo e faticoso, che non si sarebbe potuto mai avviare se non grazie a qualcosa che venisse percepito come una inesorabile e fatale “causa di forza maggiore”.

 

3. Il ruolo della guerra russo-ucraina

 

Mentre nel caso della pandemia attribuirne l’avvio ad un’iniziativa volontaria da parte americana è solo una congettura, nel caso della guerra attualmente in corso individuare un’intenzione americana diretta di innescare il conflitto è piuttosto facile.

Nessuno, che non sia uno sfortunato lettore dei gemelli diversi Corriere-Repubblica, può avere dubbi sul fatto che gli USA hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per provocare questo conflitto. Ci sono le prove che il golpe in Ucraina del 2014 sia stato, almeno in parte, finanziato dagli USA e che questi abbiano deciso unilateralmente (alla faccia della sovranità ucraina) chi sarebbe succeduto a Yanukovich. Ci sono le prove di attività di armamento e addestramento militare americano delle forze armate ucraine ben prima del 2022. E c’è, come evidenza macroscopica, l’intero processo di espansione della Nato verso Est, in corso da oltre vent’anni, rispetto a cui i conflitti diplomatici con la Russia sono stati ripetuti e crescenti. Dunque, che gli USA abbiano lavorato per creare la condizioni di tale conflitto è certo. Questo, naturalmente, non significa che Putin sia stato costretto ad agire, visto che nessuna azione umana è mai obbligata: Putin porta la responsabilità delle scelte fatte, scelte che, nella propria ottica di una potenza internazionale che vuole rimanere tale, erano non obbligate, ma solo fortemente motivate.

Nell’ottica dell’impero americano la guerra perfeziona il processo avviato con la pandemia: questa volta l’operazione di ritrazione delle dipendenza globali si rivolge all’altro grande protagonista mondiale dopo la Cina, ovvero la Russia. La Russia non è economicamente comparabile con la superpotenza produttiva cinese, ma è l’unico vero competitore militare degli USA, oltre ad essere il paese con la maggiori risorse naturali del mondo; dunque, dopo gli anni del declino con Eltsin, la Russia è nuovamente di diritto una potenza capace di tenere testa all’impero americano.

Anche qui, come nel caso della pandemia, non bisogna mai cadere nell’errore di pensare che sia il fatto in sé, nella sua oggettività a creare certi esiti politici. Decisiva è la specifica orchestrazione interpretativa che ne viene data. Non è la pandemia ad aver causato i lockdown, né ad aver bloccato i consumi, né ad aver prodotto il Green Pass, ecc., parimenti, non è la guerra a causare automaticamente il distacco economico e politico dell’Europa dalla Russia.

Cruciale è invece il modo in cui la guerra è stata interpretata e continua ad essere letta dai principali media europei, modo che nutre una narrazione volta a creare una barriera di filo spinato tra l’“Occidente liberale” e l’“Impero del Male russo”. La demonizzazione di Putin, e dei russi in toto, è funzionale a creare una barriera durevole nel sentire popolare, che induca nel lungo periodo a separare Russia ed Europa, riconducendo economicamente l’Europa pienamente sotto l’ala americana.

L’Europa, cui gli USA avevano allentato la catena negli ultimi trent’anni, lasciando che dopo il trattato di Maastricht essa divenisse un polo neoliberale autonomo, viene ora richiamata all’ordine.

L’idea, cullata da molti europeisti, che l’UE fosse il nucleo di una forza mondiale autonoma viene riportata alla dura realtà: salvo i fratelli minori degli USA nel Regno Unito, l’Europa dal 1945 non è mai stata altro che una colonia americana, territorio occupato. L’americanizzazione culturale ha proceduto in maniera capillare a tutti i livelli, sempre però all’ombra silente di una dipendenza militare e politica assoluta (cui solo la Francia ha occasionalmente opposto qualche mugugno).

 

4. Chi guida il vascello?

 

Veniamo alla domanda più difficile. Chi è l’agente di tutto questo processo? Chi sya ai posti di comando della nave su cui siamo nostro malgrado imbarcati? La domanda è importante perché è proprio l’idea che il processo non sia nelle mani di nessuno, che sia qualcosa di “spontaneo”, a creare le condizioni della sua percezione pubblica come qualcosa di naturale, inevitabile, fatale.

Purtroppo non essendo di fronte ad istituzioni ufficiali, le possibilità di fornire una sorta di “elenco esaustivo di congiurati” è altamente improbabile. Ma forse una tale risposta, una risposta che desse i nomi e i piani di una sorta di “loggia segreta mondiale” non è richiesta, e non è nemmeno necessario che davvero una tale entità esista (per quanto non lo si possa escludere).

Forse invece di un tale “club di congiurati” è più sensato nominare ciò che li lega, prima e a prescindere dall’entrare in tale (eventuale) club. La migliore risposta che si può dare riecheggia la celebre espressione di Eisenhower, quando parlava del “complesso militare-industriale” americano.

Oggi come quando parlava Eisenhower, gli USA rimangono alla guida dell’impero globale, tuttavia la forma delle strutture di potere centrale ha subito una metamorfosi. La finanza ha una dimensione meno nazionalmente definita rispetto alla tradizionale economia industriale. E la dimensione militare negli USA è riassorbita nella politica neoliberale americana, che ha imparato da tempo a usare la sfera militare come il proprio più utile strumento. Lo stato neoliberale infatti non si affida al “libero scambio”, ma agisce energicamente per controllare gli approvvigionamenti di materie prime, usa l’esercito come strumento di pressione nei “trattati di libero scambio”, e usa le spese militari come mezzo di “intervento anticiclico”. Dunque invece che parlare di un “complesso militare-industriale” americano possiamo parlare di un “complesso politico-finanziario” a guida americana.

Questo complesso ha capacità e moventi per gestire la situazione mondiale nelle forme attuali. Se non è un’entità statutaria, sul modello di una “società segreta”, è probabile che si tratti di un nucleo flessibile dove ideologia e potere convergono. L’interesse primario è la conservazione del potere dell’attuale concentrazione finanziaria. Gli strumenti principali per implementare questo intento sono due: 1) la capacità di spostare i capitali internazionali (promuovendo politici graditi, condizionando gli apparati mediatici, ecc.) e 2) la minaccia militare rappresentata dall’esercito americano e dai suoi “alleati” (Nato in primis).

Al livello di questi gestori apicali del potere non c’è qui bisogno che “tutti siano d’accordo”, perché per ottenere spostamenti decisivi bastano accordi di minoranza di un gruppo compatto, capace di spostare i pesi nelle decisioni politiche e finanziarie che contano. Questo complesso è sì accomunato dall’interesse primario nel mantenimento del potere (la supremazia mondiale relativa), ma è anche accomunato da un’ideologia liberale in cui si identifica senza resti. Questo gruppo di comando non richiede una struttura istituzionale, né una distribuzione di compiti, come avviene nelle organizzazioni formalizzate, essendo unito dalla coincidenza tra il proprio potere, da preservare, e la visione del mondo liberale che sostiene e giustifica tale potere.

Queste caratteristiche di relativa indefinitezza rendono l’imputabilità dei responsabili delle odierne vicende ardua. Nominare questo o quel personaggio della finanza internazionale (Bill Gates, George Soros, ecc.), questo o quell’intellettuale di riferimento (Klaus Schwab, Bernard-Henry Levy, ecc.), questo o quel leader politico (Hilary Clinton, Emmanuel Macron, ecc.) non presenta mai un quadro di sufficiente distinzione, perché i confini di questo gruppo apicale del capitalismo liberale non sono netti ed è improbabile che ci sia un club specifico la cui tessera tutti debbano necessariamente avere in tasca. Esistono numerose associazioni che coltivano questo campo ideologico e operativo (World Economic Forum, Gruppo Bilderberg, ecc.), ma probabilmente non esiste alcuna “cupola” cui tutti facciano riferimento. Ciò che conta è la comune ideologia e la comune posizione apicale nella distribuzione del potere politico-finanziario a guida americana.

 

5. Apocalypse Now

 

Concludendo, oggi ci troviamo in una fase di ritrazione della fase globalista dell’impero americano, che sta richiamando una parte dei propri tentacoli, per consolidarsi ed arroccarsi sulle posizioni per gli USA più facilmente difendibili dell’Occidente egemonizzato o colonizzato.

Questa fase ha, ed avrà, costi economici e sociali spaventosi. Essi devono venir fatti pagare alla periferia dell’impero, in proporzione al potere contrattuale delle varie parti.

Ne saranno esentati i gruppi apicali USA e minoranze scelte delle province dell’impero. I costi interni agli USA dovranno essere tenuti bassi, perché, come per la Roma imperiale, non ci si può permettere di avere eccessivi tassi di malcontento sotto casa. Via via che ci si allontana dal centro dell’impero verso le sue propaggini meno integrate i costi saliranno esponenzialmente, e alcuni paesi verranno semplicemente sacrificati.

In questa fase, che durerà certamente per diversi anni, il potenziale esplosivo delle proteste e dei moti di ribellione verrà tenuto a bada con la duplice leva di “alte ragioni morali” e “doverose strette repressive”.

Da un lato, grazie al controllo dei media, la propaganda promuove un “bene superiore” che esprime l’adesione ideologica positiva, quella che identifica i “buoni” e i “cattivi”. Nella cornice liberale il “bene superiore” ha tipicamente la forma di “solidarietà con le vittime”, quali che siano (recentemente siamo passati dai morti per Covid alle vittime ucraine, ma la lista è lunga). Una volta inventata mediaticamente una vittima acconcia, e suscitati i gridolini di sdegno della plebe telecomandata, si può chiedere ogni sacrificio, fiduciosi nella malleabilità del pubblico.

Simultaneamente, delle vittime reali di questa catastrofica trasformazione, delle popolazioni schiacciate, delle culture cancellate, dei nuovi schiavi, delle plebi emarginate e ricattate né oggi né domani sentirà parlare nessuno.

Se questa dimensione “positiva” non basta come motivante, per gli altri, per i reprobi, per quelli che non si lasciano commuovere dai peana su commissione per le “vittime” col bollino, per questi bruti si ricorre, e si ricorrerà sempre di più, a forme repressive: minacce, rappresaglie lavorative, sanzioni, censure, divieti di manifestazione, sistemi di controllo e ricatto, ecc.

Il punto d’arrivo di questo processo, se riuscirà a dispiegare i propri effetti senza un’opposizione dura ed efficace, sarà l’abbandono integrale, anche formale, del paradigma democratico (già svuotato di fatto) e l’avvento di un neo-feudalesimo a base tecnocratica e plutocratica.

https://sfero.me/article/la-metamorfosi-impero-e-le-sue-vittime

Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci_di Alessandro Visalli

Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci.

 

Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, il filoccidentale ma fedelissimo di Putin ex Presidente ed ex Primo ministro fino al 2020 Dmitrij Anatol’evič Medvedev[1], ha dichiarato sulla stampa russa che le sanzioni (congelamento delle riserve, misure sui capitali privati all’estero, esclusione dallo Swift) violano la sacralità della proprietà privata e lo stato di diritto, apparentemente cari all’occidente, e dunque manifestano una ‘guerra senza regole’ che ‘distruggerà tutto l’ordine economico mondiale’. Ne abbiamo già parlato[2].

Ma queste misure colpiscono principalmente la credibilità stessa di chi le promuove, stracciando leggi e regolamenti, con ciò mostrando la natura del potere, e determinano l’arrivo di un nuovo “Ordine finanziario mondiale” nel quale chi non è credibile non avrà più voce in capitolo. Chi farebbe patti con un baro? La risposta russa a questa mossa è stata di capovolgere il principio di base denaro-per-merci. L’idea è di connettere merci di base, petrolio, gas naturale, materie prime minerarie e oro, al rublo.

La guerra valutaria lanciata contro la Russia, fondata sull’inibizione della liquidità in modo che sia inibita sia la funzione di riserva di valore, sia quella di mezzo di scambio della moneta internazionale detenuta dal sistema economico russo, viene tradotta da questa mossa (alla quale lavora la Banca centrale Russa e la diplomazia economica altamente attiva verso i paesi ‘non allineati’, che crescono ogni giorno) in guerra di merci e monete. Ovvero in un confronto a tutto campo tra ‘merci’ cruciali e monete sovrane ad esse ancorate.

 

Se l’Occidente ha la sua valuta finanziaria, il ‘non-occidente’ (che si genera per negazione direttamente dalla logica della ‘crociata’ politico culturale altamente autolesionista avviata dai neocon americani negli anni Novanta ed ora fatta propria dai democrat al potere[3]) ha le merci di base e la capacità di trasformazione di queste. Da tempo, infatti, le basi industriali di tutte le filiere mondiali non sono più in Occidente.

Allora, chi ha paura di chi? Chi punisce chi? Chi ha ucciso il cervo? Si chiede Zhang Weiwei (docente di economia al Fudan e presidente del China Research Institute) su Guancha[4].

 

Di fatto, appena Putin ha lanciato questa controbomba (nucleare) il rublo è tornato al livello pre-sanzioni ed il Primo ministro polacco ha dichiarato “fallite” le sanzioni occidentali.

 

Ma la rivoluzione contro l’Ordine valutario americano[5], lanciata in questo modo, deve vedere necessariamente la partecipazione della Cina stessa, che è ormai la più grande economia mondiale (a parità di potere di acquisto, ovvero in termini di beni reali), il più grande commerciante di beni e il più grande mercato di consumo e investimento. E’ del tutto chiaro che avendo perso tutti questi primati gli Stati Uniti sono in una posizione di fragilità che la ‘bomba’ russa colpisce al cuore.

 

Questa considerazione mostra con precisione la posta della guerra e anche la ragione della disperata determinazione americana (e dei suoi clienti e subalterni).

 

E la cosa non potrebbe essere più seria. Il mondo è esattamente ad un punto di svolta sistemico.

Come Xi Jimping, con la sua “Iniziativa di Sicurezza Globale[6], propone un Nuovo ordine Diplomatico[7], così la risposta russa scardina l’Ordine finanziario americano, rendendo possibile sia una disconnessione da esso, sia la formazione con il tempo di un diverso allineamento egemonico. Saranno le due cose insieme a determinare, se la guerra[8] non interrompe il processo e la nostra vita, l’era post-americana.

 

La bomba nucleare finanziaria americana, lanciata contro la Russia (e prima contro altri, ma meno sistemici, come il Venezuela e l’Iran), ha, infatti, mostrato al mondo intero che, come riassume Weiwei, “se accetti pienamente l’egemonia finanziaria degli Stati Uniti, allora puoi solo giocare nelle sue regole del gioco, ti offre una sorta di comodità, ma allo stesso tempo può anche ricattarti o addirittura derubarti”.

Questa consapevolezza, davanti al mondo intero (Europa inclusa) apre la possibilità reale che ora i “rubli gas naturale”, i “rubli cibo”, i “rubli oro” e via dicendo (“rublo palladio”, 40% quota di mercato, “rublo nichel”, “rublo platino”, e via dicendo), ristrutturino in profondità la sorgente del valore della moneta[9]. Essi colpiscono, infatti, in un punto di altissima fragilità e molto noto, ma sino ad ora protetto da altissime dighe per il terrore degli effetti sistemici del loro crollo. Già nel 2009, Massimo Amato e Luca Fantacci, nel loro “Fine della finanza[10], ipotizzavano che la Cina e la Russia avrebbero preso il testimone dell’egemonia monetaria statunitense sulla base di una diversa idea di moneta e di credito. Nell’attuale mondo, la preferenza per la liquidità, e il rinvio del pagamento (ovvero della liberazione del rapporto di dipendenza implicitamente presente in ogni credito e debito), determina un sistema, cresciuto di passo a passo e di rinvio a rinvio, nel quale la tesaurizzazione è esasperata e la rendita del denaro liquido è privilegiata rispetto alla detenzione di ricchezza in forma di merci. Si può capire, le merci non sono il punto di forza dell’egemone americano (non più).

 

Sapendo questo, quel che in effetti hanno fatto gli americani, ma verso uno dei più grandi ed importanti mercati delle materie prime, e senza controllare i più grandi ed importanti mercati delle merci e della loro trasformazione (dio acceca chi vuole perdere) è di tradire il principio cardine dell’Ordine finanziario esistente per il quale la liquidità va sempre protetta. Ovvero il principio per il quale va sempre garantito, costi quel che costi, che sia sempre possibile la convertibilità incondizionata tra moneta e credito (per cui qualsiasi credito sia sempre rilevabile a richiesta in moneta). Questo è quel che rendeva il dollaro la moneta centrale e i suoi titoli la riserva di valore più affidabile per privati e stati. Se il credito è essenzialmente una relazione rischiosa, allora ciò che è stato fatto è di distruggerlo. Ma non si può distruggere una relazione senza esserne colpiti.

Ed il colpo cade in una situazione di enorme fragilità. Infatti la potenza americana, in prima fase fondata sulla maggiore produttività e sull’enorme dotazione di infrastrutture, industrie, capacità in un mercato continentale interconnesso, dalla crisi degli anni sessanta-settanta (nella quale quella supremazia si erode) e dalla rottura del 1971 non vive più del suo commercio e della sua produzione, ma dei suoi debiti. Paradossalmente vive di rendita sui propri debiti, grazie alla circolazione come moneta del debito della sua Banca Centrale, che è accettata in tutto il mondo come moneta di riserva.

 

Già nel 2009 Amato e Fantacci descrivevano per questo motivo la proposta di russi e cinesi (che ora sarà implementata da qualcosa come l’80% del mondo) come la scelta di non puntare a regolare il prezzo dei beni finanziari, garantendoli come abbiamo fatto continuativamente in questi 13 anni con costanti iniezioni di liquidità, ma regolare piuttosto il valore della moneta come mezzo per pagare i debiti e scambiare le merci. Si tratta di porre fine a quel sistema, governato dal centro imperiale come si è visto esattamente in questa crisi, nel quale la moneta finisce per essere l’unica merce che non costa nulla produrre e che dunque è per sua natura illimitata. Non avere una moneta centrale, questione sulla quale da tempo si affaticano in tanti, ed avere piuttosto monete sostenute solo dagli scambi commerciali (se voglio il gas russo compro rubli, se voglio il caffè compro real) e reciprocamente riconosciute ed interconnesse (forse sul modello dell’accordo Russo-Indiano che vede l’acquisto del gas, ed altre materie prime, usando le rupie che la Russia depositerebbe su conti di riserva nel paese) potrà reggere se riuscirà a stabilizzare il mercato finanziario nel tempo. Ovvero se diventerà un “Ordine finanziario”, come quello garantito dal dollaro.

Anche il sistema del dollaro svolge questa funzione in modo rischioso ed incerto, in particolare a causa dell’assenza di una sottostante economia effettivamente dominante, sostenuta da un attivo commerciale che renda logico detenere riserve. La funzione di riserva in qualche modo è ingiustificata. Si regge su se stessa. O meglio, anche questo si vede benissimo in questa crisi, ha il suo limite fuori di sé (si regge sulla indispensabile capacità di minaccia, e quindi di ordine, svolta dalle forze armate americane).

Nella proposta di Fantacci e Amato, tra non pagare i debiti e non prestare più, bisognava trovare un’altra uscita dalla crisi determinata dall’insostenibile illimitatezza di una moneta che non ha una sua specifica ragione. La strada l’aveva indicata Keynes, con il sistema del “bancor[11]; una moneta di conto senza liquidità, capace di garantire credito senza leva[12]. Se si sceglie, in altre parole, di non giocare più all’egemone (nella figura del creditore universale, e/o paradossalmente in quella del debitore universale, ma indispensabile, che assumono gli USA dagli anni sessanta in poi), si apre la possibilità offerta da Keynes di avviare un generale “disarmo finanziario”. Per ottenerlo bisogna però che il credito non sia più una merce indefinitamente trasferibile (insieme fittiziamente e molto concretamente, essendo sostanzialmente potere), ma torni ad essere visto per quel che è: “un rapporto tra un creditore e un debitore conforme, nella struttura giuridica e nella scadenza, allo scopo in vista del quale l’anticipazione è stata concessa; e che la moneta non sia una merce indefinitamente accumulabile, ma un mezzo di scambio e di pagamento all’interno di uno spazio economico e politico definito”[13].

Si tratta perciò e abbastanza semplicemente di guardare ai beni e non alla moneta come fonte della ricchezza. Semplice, ma non fattibile nel quadro di un sistema congegnato per essere gerarchico e garantire il potere di uno su molti (peraltro uno che non ha beni a sufficienza). Una cosa, sia chiaro, che nessuno può stabilire con un decreto.

 

In questo senso, come dice Weiwei, la Russia ha trasformato la guerra valutaria in una “guerra tra valuta e moneta[/beni]”, cosa che apre la strada per l’internazionalizzazione di altre valute, fuori del ricatto dell’immane tesaurizzazione del dollaro. Valute come il renmibi, la rupia, il rublo ovviamente, il real, la lira turca, il riyal arabo o iraniano, la sterlina egiziana[14]. La possibilità nasce dalla dimensione delle economie (a parità di potere di acquisto pari a quelle occidentali[15]), dalla abbondanza schiacciante delle risorse naturali (tra Russia e Cina sono in pratica completamente indipendenti, anche considerando l’influenza sul continente africano, nel quale ne vedremo presto delle bruttissime), dalla catena industriale non solo più grande quanto, e soprattutto più completa del mondo. La Cina, come dice l’economista cinese è, infatti, l’unico paese al mondo “in grado di produrre quasi tutto dalla prima rivoluzione industriale alla quarta rivoluzione industriale”.

 

C’è in pratica un solo ‘bene’ nel quale la superiorità Occidentale è ancora netta: le armi. Di qui l’assoluta necessità di spezzare la resistenza russa, prima che la Cina diventi troppo forte anche su questo terreno.

 

Di fronte al probabile ed imminente collasso del sistema degli ultimi quaranta anni, fondato come è sull’egemonia diplomatica e militare nel sistema gerarchico di sicurezza e sulla liquidità ancorata al dollaro, la proposta dello studioso cinese è quindi di “pensare a tutto [ed] agire con decisione quando è il momento”.

 

Si avvicina.

 

 

 

[1] – Eletto Presidente nel 2008, considerato più ‘liberale’ di Putin promosse un programma di modernizzazione ad ampio raggio e di riduzione della dipendenza dai prodotti energetici. Tra i suoi successi il trattato New Start e la vittoria in Ossezia del sud, ma anche la fine di una recessione molto pericolosa. Nel 2012 gli succede Putin e viene nominato Primo ministro (si è trattato di una staffetta a parti invertite, Putin era il suo Primo ministro). Nelle riforme del 2020 si è dimesso (in modo concordato) ed è stato nominato Vicepresidente del Consiglio di sicurezza. Laureato in giurisprudenza con un dottorato e docente all’Università di San Pietroburgo (città di cui Putin era vicesindaco).

[2] – Si veda, “Circa il rapporto della Banca di Russia alla Duma: disconnessioni e fine del sistema-mondo occidentale”, Tempofertile, 22 aprile 2022.

[3] – Si veda, “Circa David Brooks, ‘La globalizzazione è finita’. Ovvero, ancora del ‘fardello dell’uomo bianco’”, Tempofertile, 9 aprile 2022. E anche “Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione. Note sulla svolta di Biden”, tempofertile, 5 aprile 2022.

[4] – Zhang Weiwei, “Russia vs Stati Uniti: la guerra del denaro e della valuta”, Guancha, 25 aprile 2022

[5] – Vedi nota 8. Si nomina in questo modo la capacità della moneta americana, fino al 1971 nel suo ancoraggio nominale all’oro e in base al Trattato di Bretton Woods e dopo senza di esso, di essere quella riserva di valore ed unità di conto che rende stabile il sistema finanziario mondiale.

[6] – Discorso di Xi Jimping al Forum di Boao,

[7] – Ne abbiamo parlato in “Dal Grande Gioco triangolare alla polarizzazione. Circa la posizione diplomatica e strategica cinese; Qin Gang e Yongnian Zheng”, Tempofertile 19 aprile 2022.

[8] – Si veda “Guerra”, Tempofertile 18 aprile 2022.

[9] – La metafora, usata dall’economista cinese, è ovviamente una immagine e solo questa. Non ci saranno “rubli gas”, distinti dai “rubli cibo”, ma semplicemente “rubli” con i quali devi comprare gas e cibo. La mossa è semplicissima, ma gli effetti sistemici sono difficili da valutare e dipendono interamente dalla reazione che il mondo avrà ad essa. Se il rublo conserverà il suo valore, o lo accrescerà, e soprattutto se sarà stabile, allora vorrà dire che i sottostanti beni stabilizzano il mercato, rendendo possibili le funzioni chiave della moneta (riserva di valore, unità di conto, mezzo di scambio). Negli ultimi due secoli questa funzione di unità di conto, riserva di valore e quindi di mezzo di scambio universale l’aveva avuta una moneta centrale (prima nel suo ancoraggio all’oro, in realtà mai completo, e poi senza). Essa aveva creato un “Ordine monetario”, non era stata solo una moneta tra le altre. Se le merci, in appropriati mercati e con sottostanti accordi bilaterali di swatch e di formazione e riconoscimento reciproco di ‘riserve’ riuscirà a svolgere la medesima funzione saremo in un nuovo “Ordine”, nel quale non ci sarà un egemone centrale.

[10] – Massimo Amato, Luca Fantacci, “Fine della finanza”, Donzelli 2009.

[11] – Cfr. “John Maynard Keynes, ‘Moneta internazionale’, il progetto di Bretton Woods”, Tempofertile, 10 dicembre 2016

[12] – Amato, Fantacci, op. cit. p. 279

[13] – Amato, Fantacci, op. cit. p.283.

[14] – A parità di potere di acquisto le monete indicate corrispondono ad un Pil che è rispettivamente il primo, terzo, sesto, ottavo, tredicesimo, diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo. Mentre la Cina è prima, l’India terza, la Russia è sesta, vicinissima alla Germania, complessivamente cubano 58 mila miliardi di dollari a PPA, su 141 mila del mondo complessivo e 68 mila miliardi del blocco Occidentale (calcolato come per quelli tra i primi venti).

[15] – Con l’ulteriore glossa che il Pil occidentale (anche a parità di potere di acquisto) è ‘drogato’ dalla presenza di un fatturato per intermediazione finanziaria e servizi evoluti che va dal 40% ca nel caso statunitense (e britannico) al 20% ca in quello tedesco. Depurandolo i rapporti di forza fondati su una economia non più finanziarizzata in questa misura cambierebbero drasticamente.

https://tempofertile.blogspot.com/2022/04/chi-ha-ucciso-il-cervo-della-guerra-tra.html?fbclid=IwAR2En6hVFKcUIqY473A_s2WflA4EpAAYcqwBe3aD2Ln6qI6fm7MeTauMYnQ

Russian Media Today, 26 April 2022 _di gilbertdoctorow … il 28 aprile 2022

La notizia numero uno della televisione di stato russa il 26 aprile è stata l’incontro a Rammstein, in Germania, di funzionari della difesa degli Stati Uniti e di 40 paesi alleati per definire la politica sulla fornitura di assistenza militare all’Ucraina, inclusa la previsione di riunioni mensili di questo tipo in futuro.

La delegazione statunitense era guidata dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin e le sue osservazioni sono state analizzate dai “capi parlanti” russi. Hanno anche espresso le loro considerazioni sul valore pratico delle consegne di armi pesanti che la Germania e altri paesi europei hanno promesso durante il raduno.

Come è ormai consuetudine, la migliore discussione su questi temi è stata nel talk show politico “The Great Game”, che presenta l’analisi più calma e raccolta delle notizie più importanti della giornata. Nessuno dei relatori cerca di sminuire gli altri, che è stata la lunga tradizione di tali spettacoli. Tutti sono avvertiti dal moderatore di non presumere di dare consigli militari al comandante in capo della nazione. Eppure anche qui era chiaro che l’umore dei relatori è per un’azione più decisa contro l’Ucraina in questo momento, ovvero il bombardamento delle “istituzioni decisionali” a Kiev, come ha proposto di fare il ministero della Difesa russo una settimana fa in risposta a Attacchi missilistici e di artiglieria ucraini oltre il confine con la Russia. Ciò è stato reso ancora più attuale dalle dichiarazioni della delegazione britannica a Rammstein che incoraggiava gli ucraini a fare proprio questo e dalla corrispondente offerta di spedire missili appropriati a Kiev ora. I relatori vogliono anche che le infrastrutture di trasporto dell’Ucraina vengano distrutte senza indugio per evitare che le nuove armi pesanti spedite a Kiev raggiungano le forze ucraine al fronte.

Sicuramente arriverà il bombardamento del centro di Kiev, rimuovendo di fatto il regime ucraino. Ma arriverà al momento della scelta di Vladimir Vladimirovich e segnerà la decisione russa di dividere l’Ucraina in più stati, come ha detto ieri il segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Nikolai Patrushev potrebbe essere nelle carte se la guerra si trascina a causa dell’intervento occidentale e delle cheerleader.

Rispetto alla dichiarazione di ieri di Lloyd Austin secondo cui l’obiettivo degli Stati Uniti è quello di indebolire notevolmente le forze armate russe per un lungo periodo di tempo, i relatori di The Great Game hanno offerto un’interpretazione che vale la pena ripetere qui. I russi vedono questo come un’ammissione da parte di Washington che la posizione degli ucraini sul campo di battaglia è senza speranza. Gli americani ora cercano di ridefinire i loro obiettivi in ​​modo da trasformare una sconfitta in un’apparente vittoria. Qualunque cosa accada in prima linea nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, Washington potrà dire di aver costretto la Russia a immergersi profondamente nella sua scorta di missili e altri equipaggiamenti ad alta tecnologia, di aver costretto la Russia a perdere una parte sostanziale dei suoi soldati professionisti .

Per quanto riguarda la spedizione appena annunciata di super carri armati dalla Germania e altri equipaggiamenti ad alta tecnologia da altri Stati membri della NATO, il panel russo sembrava fiducioso che sarebbe stato troppo poco, troppo tardi e sarebbe stato per lo più distrutto a terra dai missili russi e dai bombardamenti aerei.

Quanto sopra è molto più rassicurante sulla nostra sopravvivenza futura qui a Bruxelles ea New York di qualsiasi dichiarazione statunitense di ieri secondo cui la guerra nucleare è fuori discussione.

©Gilbert Doctorow, 2022

Media russi oggi, 28 aprile 2022

In adempimento della mia missione di portare ai lettori occidentali notizie di particolare importanza nei media russi su cui altrimenti sarebbero probabilmente all’oscuro, rivolgo l’attenzione alle informazioni pubblicate sul sito Web Interfax e riportate da Lenta.ru e altri importanti portali di notizie russi: il capo dell’intelligence esterna russa (SVR), Sergei Naryshkin, ha parlato dei piani della Polonia di prendere il controllo di parte del territorio dell’Ucraina.

Secondo SVR, la Polonia sta coordinando questo problema con gli Stati Uniti. L’idea è di stabilire il controllo militare e politico di Varsavia sui “suoi territori storici” che oggi rientrano nei confini dell’Ucraina. La Polonia introdurrebbe le sue truppe nelle regioni occidentali del paese con la copertura di una missione per “proteggere il territorio dall’aggressione russa”. Alla fine questo dovrebbe portare a una spartizione dell’Ucraina. I polacchi installerebbero un governo amico nel territorio che controllano, cacciando i nazionalisti ucraini.

Naturalmente, le ambizioni polacche nell’Ucraina occidentale sono storicamente fondate come lo sono quelle della Russia rispetto all’Ucraina orientale, che un tempo era conosciuta come Nuova Russia. I seguaci occidentali della guerra ora sapranno con certezza dove si trova la città di Leopoli, a 50 km o meno dal confine polacco. È la città in cui si sono ritirati diplomatici americani e di altri stranieri dopo che Kiev sembrava insicura nei primi giorni della guerra. È stato il punto di smistamento per i mercenari stranieri in arrivo e le consegne di rifornimenti militari in Ucraina dall’Occidente.

Dopo le tre partizioni della Polonia nel 18 ° secolo e per l’intero periodo del 19 ° secolo, Lviv alias Lvov alias Lemberg, fu una città polacca nota per la sua splendida architettura mitteleuropea e la sua vocazione filosofica: la città fu sede di sette mistiche religiose, sia ebraiche che cristiane.

Infatti, se vogliamo ripercorrere nella storia le origini dell’attuale conflitto in e oltre l’Ucraina, ci troviamo necessariamente indietro nel 16 ° e 17 ° secolo, quando le grandi potenze dell’epoca, la Turchia ottomana, la Polonia , Svezia e Russia erano tutte impegnate in una guerra per le terre che figurano nell’odierna Ucraina. Per una buona iniziazione alla cultura, o forse per meglio dire alla barbarie di quei tempi, che prefigurano quello che sta succedendo ora in posti come Bucha, un buon punto di partenza è con il romanzo Taras Bulba dell’autore ucraino-russo Nikolai Gogol . L’ho appena riletto in russo e vi assicuro che il romanzo è una splendida guida iniziale per comprendere le passioni dei giorni nostri.

Tuttavia, nessuno dei precedenti tiene conto della potenza militare che la Russia è oggi. Possiamo considerare la possibilità di una mossa polacca delle sue forze nell’Ucraina occidentale come il tipo di intervento che Vladimir Putin aveva in mente quando ha detto ieri ai legislatori riuniti a San Pietroburgo che avrebbe provocato un fulmineo contrattacco da parte della Russia. Nel frattempo, un simile possibile intervento della Romania per inghiottire la Moldova e minacciare di invadere il territorio separatista russo della Transnistria, stretto tra Moldova e Ucraina, potrebbe anche innescare una potente risposta militare da parte di Mosca.

La molla principale della storia si sta svolgendo in modo spasmodico e distruttivo.

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/04/28/russian-media-today-28-april-2022/

Fasi storiche e transizioni, di George Friedman

Fasi storiche e transizioni

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

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Ho detto prima che il 1991 fu l’anno in cui un’era finì e ne iniziò un’altra. Nel 1991 l’Unione Sovietica crollò e fu firmato il trattato di Maastricht. Si verificò l’operazione Desert Storm e il miracolo economico giapponese crollò. L’era precedente era stata dominata dalla Guerra Fredda, un confronto ideologico e strategico globale tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. La maggior parte degli eventi globali rientra da qualche parte in quel paradigma.

L’essenza della nuova era era racchiusa nell’Unione Europea, emersa dalla paura di un’altra guerra europea e dalla convinzione che la guerra fosse obsoleta e che il sistema globale fosse ora principalmente una questione economica. Questa era aveva anche altre dimensioni. Desert Storm ha dato energia al fondamentalismo islamico e ha innescato decenni di guerra al terrorismo. Il declino del Giappone ha fatto spazio all’ascesa della Cina. La nuova era non riguardava il potenziale di guerra nucleare nella lotta bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma piuttosto il declino dei confini nazionali e il primato del commercio internazionale.

A mio avviso, l’invasione russa dell’Ucraina segna una nuova era, la cui forma non è ancora chiara. Ovviamente, la guerra è tornata come fattore primario, ma forse più importante, l’uso della guerra economica da parte degli Stati Uniti e la resurrezione delle istituzioni della Guerra Fredda segnalano un nuovo modo di usare l’economia: dalla fede nell’economia globale che arricchisce il mondo all’uso dell’economia globale come strumento di guerra. Questo deve essere preliminare perché abbiamo visto solo l’Ucraina e forse il COVID-19 come indicatori di questo cambiamento.

La vita umana è costruita su modelli: nascita, infanzia, età adulta, riproduzione e uscita. Se la vita di un essere umano è ordinata nelle sue grandi linee, mi sembra strano pensare che la vita della società umana sia casuale. Quindi, forse passo troppo del mio tempo a cercare quei modelli, una teoria sul campo dell’umanità. Guardando al 1991 e a ciò che si sta svolgendo ora davanti a noi, ho deciso di provare a dare una rapida mano all’analisi della storia umana degli ultimi 200 anni circa. Di seguito hai il mio primo, e probabilmente cotto a metà, tagliato a questo. Il suo uso non è semplicemente trovare l’ordine nella storia, sebbene ciò abbia importanza. Il suo potenziale utilizzo potrebbe essere che nel trovare l’ordine, i colpi strazianti e psicologicamente destabilizzanti inflitti dai cambiamenti potrebbero essere mitigati. Ovviamente, pensieri così grandiosi devono seguire la domanda se l’ordine che sto presentando è reale o semplicemente un’illusione che ho creato, con confini che sono chiari solo nella mia testa. Normalmente non presento idee minimamente ponderate (alcuni potrebbero discuterne), ma in questo caso ho pensato che potesse avere un certo valore. È qualcosa con cui gioco da tempo, ma sembra particolarmente significativo nel 2022. Non ho cercato di includere gli eventi di transizione come ho fatto nel 1991 ma semplicemente di identificare i punti di transizione.

Ciò è fortemente incentrato sull’Europa, con menzioni minime di altri continenti, ma ciò è dovuto al fatto che la storia globale è stata forgiata e dominata dall’Europa negli ultimi 200 anni circa, transitando in altri paesi come driver solo in epoche successive.

Cinque epoche di storia dal 1789 e la sesta emergente

1. 1789-1858 (69 anni): Il repubblicanesimo sfida i regni d’Europa

Questa epoca inizia con la Rivoluzione francese e l’ascesa di un tentativo di rimodellare l’Europa in un’unica entità. Emerse una cultura di stati-nazione governati liberamente, con il declino del vecchio ordine politico e sociale europeo.

2. 1858-1914 (56 anni): gli imperi europei dominano il globo

Il 1858 segnò l’istituzione del Raj britannico in India e un punto definitivo in cui gran parte del mondo, già sotto l’intrusione e l’assalto europeo, si trovò avvolta nell’imperialismo europeo, dove prima c’erano assalti ma nessun sistema imperiale sistematico. Laddove la Francia definì l’epoca precedente, la Gran Bretagna definì questa.

3. 1914-1945 (31 anni): l’Europa si fa a pezzi, emergono gli USA

Questa epoca fu dominata dalle guerre europee che portarono all’emergere degli Stati Uniti come forza economica e militare dominante e al crollo del
sistema imperiale britannico.

4. 1945-1991 (46 anni): Due ideologie dell’Illuminismo diventano geopolitiche

Questo periodo è stato dominato dalla lotta USA-URSS incentrata sull’Europa ma combattuta a livello globale. La paura globale era di una guerra nucleare, ma la realtà globale era che il modello economico e tecnico americano dominava gran parte del mondo, soppiantando la cultura dell’imperialismo europeo.

5. 1991-2022 (31 anni): trionfo americano e fantasia di pace e prosperità globale

6. 2022-????

Quando guardiamo alle epoche precedenti, siamo colpiti dalla discontinuità. L’egocentrismo europeo è sostituito dall’ossessione europea per il mondo. L’ossessione europea per il mondo è sostituita dalla subordinazione europea agli Stati Uniti. Lo scontro militare ideologico della Guerra Fredda è sostituito da un’ideologia globalista.

Separando le epoche, non è semplicemente che un conflitto è finito ed è emerso un nuovo potere, ma piuttosto è cambiata la realtà fondamentale del mondo. La cosa più importante della Guerra Fredda non è stata la vittoria degli Stati Uniti, ma la creazione di una concezione completamente nuova del mondo. A partire dalla Rivoluzione francese, le certezze del mondo cambiarono drasticamente ogni generazione o due.

Se questo è vero, definire quale paese sale o scende, sebbene necessario, non è sufficiente. Se la guerra in Ucraina definisce la fine della quinta era, un ritorno a una guerra fredda multigenerazionale tra Stati Uniti e Russia come principio determinante dell’epoca è il risultato meno probabile. La fine della Guerra Fredda ha portato giocatori molto diversi a giocare a un gioco molto diverso.

Continuo a guardare la sequenza e mi rendo conto che ogni epoca era una realtà fondamentalmente diversa. E la cosa più sorprendente è la velocità con cui si evolve. Quando guardo altre volte, i cambiamenti su questo ordine dopo una o due generazioni non si verificano. Ora appare con regolarità. Alcuni direbbero che è tecnologia, ma non credo. La tecnologia ha una base nell’Illuminismo e l’illuminazione è una cultura infelice, che desidera sempre qualcosa di nuovo e di migliore. La tecnologia è semplicemente parte di questa cultura.

Il punto cruciale è che all’interno di un’epoca c’è un tema generale che si ripete costantemente. Nella quarta epoca ci fu la Guerra Fredda, la terza guerra europea e mondiale. Il quinto ha visto il declino delle nazioni a favore dell’economia. La differenza tra le epoche è sorprendente e improvvisa. Se ho ragione, siamo appena oltre la soglia della sesta epoca, la cui forma potrebbe essere distinguibile se questo modello diventasse molto più completo e significativo. A guardare il modello, questi elementi sembrano ovvi e non hanno segreti. Ma è ovvio perché tutti conosciamo questa storia e non abbiamo guardato attentamente sotto il cofano. Sto cercando di trovare il fermo sul cofano, ancora lontano dallo sguardo attento. I primi pensieri, a lungo borbottati.

https://geopoliticalfutures.com/historical-phases-and-transitions/

Geopolitica della Russia_da Geopolitical Future

Un saggio senza dubbio interessante, ma con alcuni punti da chiarire:

  • la relativa debolezza della Russia rispetto alla relativa forza degli Stati Uniti e la compatezza e forza dei diversi sistemi di alleanza e cooperazione in via di formazione
  • la postura globale o prevalentemente locale della visione geopolitica russa rispetto a quella occidentale
  • la constatazione che comunque la Russia è una potenza nucleare di prim’ordine con un potere grandissimo di deterrenza
  • le alternative geopolitiche e geoeconomiche possibili della Russia rispetto a quelle del mondo occidentale.

Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il presidente russo Vladimir Putin ha descritto il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 come “la più grande catastrofe politica” del XX secolo. A quelli fuori dalla Russia può suonare come un’iperbole, ma per chi ci ha vissuto è una storia diversa. In breve tempo, hanno assistito al loro governo a Mosca, una potenza alla pari con gli Stati Uniti per quasi cinque decenni, perdere l’equilibrio e non riprendersi mai completamente. La Russia divenne indigente, persino senza scopo.
Il crollo dell’Unione è stato così traumatico che continua a definire l’identità della Russia di oggi.
E anche se il paese è rimasto formidabile nel suo vicino estero, è meno capace di una volta nel garantire i suoi interessi nazionali più lontani. Per capire perché è così, dobbiamo iniziare guardando una mappa.

Geografia, o i pericoli dell’Occidente

In effetti, la sfida più fondamentale e strategica della Russia – nelle sue due dimensioni internazionali e domestiche – deriva dalla geografia del paese. La gran parte del territorio russo si trova tra i 50 gradi e 70 gradi di latitudine. Per comparazione, la latitudine di Londra è di circa 51 gradi, quella di Berlino ha 52 gradi e quello di Ottawa 45. Il clima della Russia è generalmente fresco, e la vegetazione e l’uomo nel loro ciclo vitale tendono ad abitare aree che sono al di sotto dei 60 gradi di latitudine. Il cuore dell’agricoltura russa si trova a sud-ovest, lungo i suoi confini
con Ucraina, Caucaso e Kazakistan. Il clima e l’agricoltura spiegano molto dei motivi per i quali tre quarti della popolazione vive nella zona tra il confine della Russia con l’Europa e gli Urali. Le città più cruciali del paese, tra cui la sede del suo governo, inoltre, sono tutte vicine all’Europa. La Russia ha pochi fiumi, e quelli che ha fluiscono principalmente verso ovest, rendendo difficoltoso trasportare merci lungo il territorio nazionale.
La Russia compensa questi svantaggi naturali affidandosi alle ferrovie, che ulteriormente evidenziano l’importanza dell’occidente e delle regioni meridionali. Ed è così che la Russia è sproporzionatamente preoccupata – e in pericolo – per i suoi tratti occidentali.
In quanto potenza terrestre, la Russia è intrinsecamente vulnerabile.
Il suo confine con l’Europa è estremamente suscettibile all’invasione, situata com’è sulla pianura nord europea. Questa distesa piatta di terra inizia in Germania e, appena ad est dei Carpazi, ruota verso sud, aprendo proprio alle porte della Russia. Storicamente, è stata un’importante arteria di invasione militare occidentale. Poiché i nemici della Russia lo hanno fatto così spesso utilizzando questa rotta di invasione, Mosca ha provato a rendere più difficile per gli invasori raggiungere il suo territorio spingendo i confini della Russia il

più a ovest possibile. Quando i confini nazionali non potevano essere estesi, Mosca ha stabilito zone cuscinetto tra il nucleo della Russia e il resto della Europa. Al culmine dell’Unione Sovietica, Mosca ha goduto di un ampio zona-cuscinetto che si estendeva bene nell’Europa centrale.
Con il crollo dell’Unione Sovietica, però, la Russia ha perso la maggior parte di questi territori
e da allora è sulla difensiva. Considera che nel 1989 San Pietroburgo era a circa 1.000 miglia dalle truppe NATO. Adesso quella distanza è di circa 200 miglia.

UNA CONCENTRAZIONE DI RICCHEZZA

La geografia russa presenta una sfida si troppo evidente: chi governa il Paese deve gestire il paese più grande del mondo, che comprende popoli molto diversi, clima, risorse naturali e reti di infrastrutture. la Federazione Russa è composta da 85 soggetti federali che consistono amministrativamente in strutture che vanno da regioni autonome e repubbliche alle singole città. Di conseguenza, la Russia ospita economie altamente regionalizzate in cui ricchezza e prosperità sono distribuite in modo non uniforme.
La ricchezza è concentrata in Occidente, in particolare a Mosca e nel Distretto Federale Centrale.
In tempi di prosperità, la disparità economica può essere rappezzata e la pressione nei distretti ad alto reddito si allevia abbastanza facilmente.
Ma in tempi di costrizione economica, come è successo quando i prezzi del petrolio sono scesi alla fine del 2014, il governo centrale deve far fronte alla pressione sociale dei distretti più poveri dell’interno.
Non c’è da meravigliarsi, quindi, che lo sviluppo economico della Russia sia stato dalla fine della Guerra Fredda così irregolare. Gli anni ’90 erano dedicati alla sopravvivenza, non alla crescita economica. Le riforme del decennio erano finalizzate a una cosa: prevenire il ritorno della Russia al regime comunista.
La maggior parte dei russi viveva in condizioni di povertà o quasi; la maggior parte delle imprese statali sono state privatizzate – in offerta. La crisi finanziaria russa del 1998 e le proteste associate hanno portato a un grande cambiamento. Le persone erano pronte ad accettare un governo forte e così ha accolto con favore un sovrano più forte.
Entra in campo Vladimir Putin, che ha cercato di aggiustare l’economia e poi ricostruire il governo.
Da allora, lo sviluppo della Russia è stato basato sulle esportazioni di energia, che a loro volta hanno alimentato il bilancio della spesa e dei consumi.

Questo ha funzionato abbastanza bene quando i prezzi dell’energia erano alti. Ma quando cadono, cadono anche le entrate russe. Questo porta inevitabilmente a periodiche recessioni economiche. Dal 2015 al 2017, per esempio, i cittadini hanno protestato contro la disoccupazione, i salari bloccati, i tagli ai programmi di governo, salari reali più bassi, fallimento e frustrazione generale con standard di vita ridotti. Le proteste erano limitate, ma potevano minacciare Putin a lungo termine. Adesso tocca alle sanzioni occidentali minacciare l’economia russa e una volta, ancora una volta, Putin non deve solo mantenere il controllo ma mostrare anche alle persone che sta rispondendo ai loro bisogni.
Il modo in cui lo ha fatto è erigere un doppio livello del sistema economico. Controlla un livello attraverso la sua “cerchia ristretta”, che sono le aziende di proprietà statale, mentre l’altro livello è soggetto alle leggi del libero mercato. Quelle gestite dallo stato costituiscono circa un quinto della economia russa. Il popolo russo ancora sostiene Putin – e potrebbero anche fidarsi di lui – ma considerano oligarchi e amministratori regionali come persone corrotte. Il presidente deve contemperare i bisogni del suo popolo e i bisogni delle aziende che sostengono l’economia. Nel 2001 si è schierato con il popolo, ha condotto una campagna contro gli oligarchi per poi prendere il controllo dei media e delle aziende energia energetiche.

Ha anche riorganizzato parte dello stato e le agenzie di sicurezza che aiutano a mantenere l’ordine.
Ha istituito la Guardia Nazionale, che unifica diverse forze di sicurezza interna sotto il controllo diretto del presidente.
Lo scopo dichiarato delle truppe è quello di proteggere l’ordine pubblico, combattere l’estremismo, proteggere le figure e le strutture del governo, aiutare a proteggere il
confine e controllare il commercio di armi. Ha inoltre ins
ediato funzionari fedeli al suo governo
in luoghi importanti. Ad esempio, tra
il 2017 e il 2018, ha rimosso 16 generali dai loro incarichi presso il Ministero della Protezione Civile, le Emergenze ed eliminazione delle conseguenze
dei disastri nazionali; un corpo responsabile della risposta alla protezione civile,
ai disordini pubblici e proteste, all’interno del Ministero, sostituendoli con funzionari selezionati personalmente. I licenziamenti in primis hanno colpito il Caucaso, l’Estremo Oriente e città alla portata di Mosca – città dove, fino alla fine del 2017, era stato segnalato un aumento dei disordini.

Tutta la politica è locale

Politicamente, il governo russo sotto Putin ha consolidato il suo potere abbastanza presto.
Sotto la sua amministrazione, i partiti politici sono relativamente poco importanti; il sistema favorisce i partiti filo-Cremlino. Partiti che non supportano il governo hanno poche possibilità di ottenere seggi alla Duma, la camera bassa del parlamento. Nel 2000, a breve dopo aver assunto la sua prima presidenza, Putin in realtà ha ridotto il numero dei partiti rappresentati alla Duma. Nel 2012, l’allora Presidente Dmitri Medvedev sembrava fare marcia indietro su questa mossa approvando una legge che semplificava le procedure di registrazione per i partiti politici. Sulla carta, la nuova normativa intendeva aprire il sistema dei partiti a gruppi di interesse alternativi. In pratica, il sistema è rimasto chiuso.
Cinque partiti politici, tutti filogovernativi in una certa misura, attualmente dominano la Duma. Russia Unita, il partito di Putin, detiene 323 seggi su 450, facendo quello che dice Putin di fare. Il Partito Comunista (57), il Partito Democratico Liberale(23), Una Russia Giusta(27) e New People Party (14) detengono i posti rimanenti. Gli ultimi quattro partiti non sono visti come partiti ufficiali filo-governativi e quindi rappresentano almeno in parte l’opposizione. In particolare, il termine “opposizione” è usato liberamente; i rappresentanti raramente sfidano le iniziative guidate da Putin.

Voti espressi dai funzionari di questi partiti riflette un disaccordo con Russia unita e la burocrazia allo stesso tempo rimane fedele al presidente e al sistema. Hanno una certa distanza dal regime, ma non vi si oppone apertamente.
Putin ha anche consolidato il potere politico con l’epurazione dei governatori russi: un aspetto importante, considerando il rapporto tra governatori e membri del governo nazionale.
Spesso lavorano insieme, dipendono l’uno dall’altro e hanno cura degli interessi reciproci. Sono state reintrodotte le elezioni governative nel 2012, ma mentre la legge da reintrodurre si stava facendo strada nel sistema, più di 20 governatori erano riconfermati dal Cremlino, ritardando le elezioni in queste località fino al 2017. Poi, nel 2013 Putin ha firmato una legge regionale che ha permesso elezioni per decidere tra l’elezione diretta dei governatori o avere l’elezione regionale con seleziona e nomina di un governatore da una breve lista stilata da Putin.
I governatori regionali, a loro volta, svolgono un ruolo nel nominare membri del Consiglio della Federazione Russa, la camera alta del parlamento.
Il consiglio è composto da due rappresentanti eletti da ciascuna delle 83 entità federali della Russia. Un rappresentante è scelto dal legislatore regionale
e uno è selezionato dal governatore della regione. La lunghezza del mandato varia con l’entità federale. Costruito dentro questo sistema è un livello di reciprocità tra
governatore e presidente, abilitando ulteriormente Putin nell’esercizio di influenza. È in grado di garantire che un candidato ottenga una carica di governatore,e in cambio, il governatore può
nominare un membro pro-Cremlino al consiglio.

Questa relazione diventa ancora più importante considerando che il consiglio approva i decreti presidenziali di legge marziale, dichiara lo stato di emergenza, schiera truppe all’estero, sovrintende alla nomina presidenziale del procuratore generale e decide l’impeachment e i verdetti.
Putin ha dedicato gran parte della sua politica, di capitali e risorse per consolidare il suo potere attraverso le riforme inel governo dei vari organi di sicurezza. Ricostruendo il suo cerchio interno e rinnovando la struttura del potere, Putin ha dimostrato che ha bisogno di estendere la sua rete per garantire che decreti e politiche siano attuati correttamente e che i dissidenti restino messi a tacere.

Il fulcro della sua politica estera

Gran parte delle macchinazioni politiche di Putin, tuttavia, hanno lo scopo di perpetuare un mito all’estero. Il mito che la Russia sia forte quanto sembra. Senza la capacità di agire in modo altrettanto deciso come poteva fare durante la Guerra Fredda, in Russia è relegato a concentrarsi sul proprio cortile.
Le vulnerabilità lungo il suo confine occidentale costringono la Russia a mantenere un forte punto d’appoggio in Ucraina e Bielorussia. La Russia ha bisogno di questi due paesi per isolarlo dalle minacce esterne. Anche se la Bielorussia è rimasta saldamente all’interno della sfera di influenza della Russia nell’era post-sovietica, l’Ucraina no. Dopo che i sostenitori filo-occidentali hanno rovesciato il governo amico della Russia a Kiev, Mosca non aveva altra scelta che rispondere con forza. Sin dall’inizio del 2014 ha conquistato la penisola di Crimea e ha inviato truppe e rifornimenti ai ribelli pro-Russia che combattono nell’Ucraina orientale.
La Crimea è stata annessa in parte per garantire un punto d’appoggio in Ucraina e in parte per mettere in sicurezza il porto di Sebastopoli, sede della flotta del Mar Nero.
La marina russa è composta principalmente da quattro principali flotte – il Nord, il Baltico, il Mar Nero e Pacifico. I primi tre sono tutti basati sulla parte europea della Russia e sono vincolati da importanti strozzature che ne limitano l’accesso alle acque aperte. Dal momento che gran parte della Russia è senza sbocco sul mare, la perdita o la compromissione dei porti e del quartier generale per ognuno di queste flotte ridurrebbero gravemente il potere della flotta russa e incidono negativamente sul commercio marittimo.

Dal Mar Nero, attraverso il Bosforo, la Russia ottiene l’accesso al Mediterraneo e da lì l’Atlantico.
Nonostante tutto, l’Ucraina è rimasta la priorità assoluta della Russia e il fulcro della sua politica estera. La Russia post-sovietica non aveva nessuno né le risorse né i mezzi per riprendere l’Ucraina. Il potere ridotto della Russia ha forzato Mosca per adottare una strategia di disgregazione globale che mirava principalmente agli Stati Uniti. (La loro rivalità è un elemento dell’era della Guerra Fredda che rimane intatta.) Mosca lo ha fatto in modo più visibile in Siria, dove ha funzionato per sfruttare la sua influenza nella risoluzione del conflitto con un risultato più vantaggioso verso gli Stati Uniti che sull’Ucraina, anche se è stata parte attiva anche in Venezuela e Corea del Nord.
Ad esempio, a metà del 2013 si è inserita la Russia stessa nella crisi internazionale negoziando un accordo per distruggere il programma siriano di armi chimiche. Nello stesso anno, le proteste dell’Euromaidan in Ucraina hanno estromesso il Governo favorevole alla Russia a Kiev e sostituito esso con uno che ha favorito l’Occidente. In una posizione molto più debole di quella di pochi mesi prima, la Russia si rivolse ancora una volta al conflitto in Siria. Dopo aver rimodellato le percezioni del potere russo, rafforzando la posizione delle forze e dei suggerimenti di Assad nei negoziati con gli Stati Uniti, il limitato intervento siriano limitato ha ampiamente soddisfatto lo scopo strategico della Russia.
Recentemente la Russia ha deviato dalla globale strategia di interdizione e ha invaso l’Ucraina.
La mossa ha rivitalizzato la NATO e in generale la relazione USA-Europa. Mentre l’Occidente non si è impegnato direttamente in un’azione militare con la Russia in Ucraina, ha però fornito significativo supporto logistico e militare all’Ucraina.

In aggiunta l’Occidente ha applicato severe sanzioni contro la Russia, isolando il Paese da gran parte dell’economia globale. La Nato ha anche aumentato le rotazioni delle sue truppe, incrementato difesa e dispiegamento di sistemi d’arma lungo il fianco orientale della NATO. Per la Russia, l’aumento della presenza della NATO – e in particolare quella degli Stati Uniti – nel suo cortile costituisce una grave minaccia.

È una minaccia che non può gestire completamente. A più di 30 anni dal crollo dell’Unione Sovietica, la Russia sta ancora cercando di trovare la sua strada. Nella vita delle nazioni, 30 anni non sono così lunghi nel tempo, e la caduta degli imperi tende a risuonare per anni dopo. Inoltre, l’economia Russa dopo la pandemia ora deve affrontare gli ulteriori vincoli di sanzioni di vasta portata
Ciò è particolarmente problematico in una regione complessa e pericolosa come quella russa; una regione in cui apparire debole può essere una minaccia altrettanto grande che essere debole. La Russia deve contemporaneamente cercare di apparire più potente di quel che è e gestire meticolosamente la potenza che ha. Ma il vero potere è durevole. Le illusioni sono effimere. Azioni intraprese dalle nazioni deboli, progettate per farle apparire più forti quasi sempre falliscono nel lungo periodo.

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SANZIONI ED ETEROGENESI DEI FINI, di Teodoro Klitsche de la Grange

Dall’inizio del conflitto russo-ucraino i mass-media mainstream (ossia la grande maggioranza) esaltano l’efficacia delle sanzioni decise – in particolare quelle dell’U.E..

Questo toccandone ogni possibile aspetto e conseguenza. Si legge con piglio giustizial-populista, che sono sequestrati i panfili degli oligarchi. Ma come ciò possa danneggiare il tenore di vita della stragrande maggioranza dei russi che quei panfili li hanno visti solo in cartolina, non si comprende; e ancor meno come, da ciò, possa diminuire il consenso popolare a Putin. Piuttosto potrebbe farlo – e probabilmente lo può – l’aumento delle perdite umane provocate dal proseguire della guerra. Parimenti non è chiaro se il divieto di vendere mocassini, prosecco e parmigiano ai russi possa creare problemi a Putin; casomai li crea ai produttori italiani.

Certo sanzionare le importazioni di petrolio e gas problemi seri allo Zar li può provocare: solo che perché la minaccia diventi efficace occorrono anni. Nel frattempo Putin concluderà la guerra e le sanzioni saranno inutili.

D’altra parte nel secolo scorso l’efficacia delle sanzioni economiche per dissuadere dall’aggressione o comunque coartare la volontà del sanzionato è stata – per lo più – minima.

A partire da quelle applicate all’Italia perla guerra d’Etiopia, fino al caso della piccola Cuba che ha resistito per diversi decenni alle misure economiche degli U.S.A., e conservato il proprio regime nemico degli Yanquis; permettendosi anche qualche intervento all’estero (a dispetto degli americani, e, ovviamente sollecitato dai sovietici). Se ci si chiede il perché, data la sproporzione dei mezzi (tra sanzionanti e sanzionati) i risultati siano stati così modesti, occorre, principalmente, rifarsi a due ragioni.

La prima: che la guerra reale è condizionata, limitata ad un obiettivo politico. Vince chi lo consegue, perde chi non lo raggiunge. Occorre pertanto che per dissuadere l’aggressore le sanzioni siano efficaci nel lasso di tempo decorrente tra inizio e conclusione della guerra. Nel caso ad esempio della guerra di Etiopia, le sanzioni all’Italia durarono poco più di sette mesi e furono revocate due mesi dopo la caduta di Addis Abeba. Ma non avevano né influito sulle operazioni né distolto Mussolini dall’obiettivo politico (la conquista dell’Etiopia). Conseguito il quale diventavano inutili.

La seconda: per essere efficaci le sanzioni devono essere applicate da quanti più soggetti, di guisa da non lasciare alternativa al sanzionato. Quelle per la guerra d’Etiopia furono inefficaci perché, per diverse ragioni, Germania, U.S.A. e perfino alcuni Stati che le avevano deliberate non le applicarono o lo fecero parzialmente e distrattamente. Lo zucchero cubano, nell’altro caso ricordato, trovò un acquirente interessato nell’Unione sovietica e Stati satelliti.

Al contrario l’embargo deciso da U.S.A., Gran Bretagna e Olanda contro il Giappone nel luglio del 1941 era estremamente efficace, perché il Giappone non poteva trovare delle possibili sostituzioni alle materie prime che venivano a mancare, petrolio in primo luogo.

I militari giapponesi stimavano che il petrolio accumulato o comunque disponibile non sarebbe durato più di due anni: entro quel termine avrebbero dovuto cessare l’aggressione alla Cina e l’occupazione dell’Indocina. La guerra scoppiò meno di sei mesi dopo. Il principale (se non unico) caso di sanzioni efficaci nel secolo scorso ebbe il risultato di dar inizio ad una guerra nuova, e non di concludere quella in corso. Cioè raggiunse l’obiettivo opposto alle intenzioni proclamate: costituendo così caso da manuale di eterogenesi dei fini (esternati).

Cambiando angolo visuale sopravvalutare l’effetto delle sanzioni è un errore di valutazione che consegue alla sopravvalutazione dell’elemento economico in un ambito essenzialmente politico com’è la guerra. Il discorso relativo è di un’ampiezza da non poter essere contenuto in un articolo. Sta di fatto che l’esito della guerra – salvo il “caso” ricordato da Clausewitz – dipende da una serie di fattori, fattori di potenza. Ossia idonei a far prevalere la propria volontà su altri, o, all’inverso, di non far prevalere quella degli altri sulla propria. Ambedue condizionate dall’obiettivo politico della guerra (o della pace). Nel caso più frequente alle volte conseguirlo esige di vincere (sul piano militare) la guerra, in altri di non perderla. Allo scopo i fattori di potenza (economico, militare, organizzativo, anche costituzionale) non è solo il primo. Anzi possono essere compensati da altri. Nella guerra dei sette anni, la Prussia, piccola ma dotata di un grande esercito guidato dal miglior generale dell’epoca – ed alleata ed aiutata dalla Gran Bretagna – riuscì a realizzare l’obiettivo di non soccombere ai tre più potenti Stati continentali dell’epoca: Francia, Austria e Russia, dotati di risorse economiche, finanziarie e demografiche superiori di circa 20 volte a quelle di Federico II. Nel XX secolo le guerre rivoluzionarie di liberazione – asimmetriche in sé – hanno mostrato come popoli colonizzati, poveri ed arretrati hanno raggiunto l’indipendenza dagli Stati colonizzatori, malgrado la disparità anche nei mezzi militari. Questo essenzialmente per il loro obiettivo politico (l’indipendenza), la determinazione nel perseguirlo nonostante danni e perdite, e la coesione realizzata allo scopo. Dalla parte dei colonizzatori, dove l’interesse economico era prevalente e richiedeva il controllo del territorio coloniale, il costo delle guerre si rivelò superiore ai benefici dell’occupazione (onde preferirono concedere l’indipendenza). Cioè opera in senso inverso alla logica economicistica e quantitativa. Logica che avrebbe avuto un ruolo sicuramente più ampio e di “successo”, in stato di pace. Per cui, dati i risultati delle sanzioni efficaci (cioè Pearl Harbour) c’è da augurarsi che, ai fini della pace, quelli delle sanzioni U.E. lo siano il meno possibile.

Teodoro Klitsche de la Grange

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