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L’UE tra illusioni, contraddizioni e derive geopolitiche: il canto del cigno europeo_di Éric Juillot

L’UE tra illusioni, contraddizioni e derive geopolitiche: il canto del cigno europeo

Mentre si profila la prospettiva di un allargamento dell’Unione europea sotto forma di una fuga in avanti sconsiderata, la volontà della Commissione di sequestrare i beni russi congelati per sostenere l’Ucraina suscita giustamente qualche resistenza, mentre la Germania, nella speranza di ripristinare un po’ della sua competitività, danneggia il mercato unico sovvenzionando massicciamente il consumo elettrico delle sue industrie. Ultime notizie da Bruxelles.

Articolo Politica

pubblicato il 24/12/2025 Di Éric Juillot

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Ursula von der Leyen ha fatto dell’allargamento dell’Unione europea una priorità dei suoi due mandati. Sta spingendo per l’integrazione nell’UE del maggior numero possibile di Stati, dato che sei di essi, balcanici, vedono chiaramente avvicinarsi questa prospettiva, mentre la candidatura dell’Ucraina si profila all’orizzonte.

Una fuga in avanti mortale

Sebbene negli ambienti europeisti si manifesti talvolta preoccupazione per gli ostacoli che restano da superare prima di un effettivo allargamento, nessuno ne contesta il principio. L’apertura dell’Unione europea a nuovi Stati è spontaneamente percepita come una prova inconfutabile della vitalità del progetto europeista in un momento in cui è fondamentale rassicurarsi al riguardo, tanto più che le forze che lo contestano si intensificano e l’ideologia che lo sostiene si affievolisce. Tutto converge quindi per spingere i suoi sostenitori in una vera e propria cecità strategica sulla questione dell’allargamento.

Va tuttavia osservato che, lungi dal rilanciare la dinamica comunitaria, il processo di allargamento dell’UE rischia di accelerarne il crollo definitivo.

Ci sono diverse ragioni per questo. In primo luogo, un numero maggiore di Stati rende ancora più problematica l’insolubile questione della governabilità dell’UE. Al di là della sua complessità istituzionale, del peso della tecnocrazia e della mancanza di legittimità del Parlamento, il processo decisionale in seno al Consiglio a 29 o 31 Stati sarà ancora più complicato che a 27, anche in caso di estensione dei settori interessati dalla maggioranza qualificata (al posto dell’unanimità).

Le autorità francesi, che sostengono l’idea che un approfondimento debba costituire il presupposto indispensabile per qualsiasi allargamento, non brillano tuttavia per il loro discernimento. L’approfondimento presuppone infatti il rilancio di un progetto istituzionale di cui nessuno vuole più sentir parlare, a causa del ricordo traumatico dei referendum francesi e olandesi del 2005, ma anche perché l’influenza ideologica che potrebbe rendere desiderabile questo progetto è ormai troppo debole. Esso richiederebbe nuove rinunce alla sovranità da parte degli Stati, rinunce che oggi non sono più politicamente accettabili.

In queste condizioni, un’Unione Europea allargata rischia di diventare vittima della diversità dell’Europa e dell’eterogeneità dei rapporti con il mondo propri di ciascuno Stato. Coloro che temono la possibile integrazione di un «cavallo di Troia» difensore di una potenza terza e minacciosa non fanno altro che constatare i limiti del progetto europeista, che non ha più la forza di coprire e diluire queste differenze in un grande insieme comunitario. Il moltiplicarsi delle crisi di ogni tipo che caratterizzano la nostra epoca è destinato ad accentuare queste divergenze fino a renderle inconciliabili, e gli appelli al risveglio dell’«Europa», che si moltiplicano nel momento in cui essa intona il suo canto del cigno, non possono cambiare nulla, poiché non tengono conto della realtà.

Ma c’è di peggio. L’elemento determinante, quello che sottilmente dà impulso alla dinamica dell’allargamento a tutti i costi, rivela allo stesso tempo l’inutilità del progetto. La costruzione europea costituisce infatti un’impresa dalla pretesa storica nel cuore di un’epoca che ha perso la capacità e persino la comprensione di essa. Il regime di storicità che si è instaurato negli ultimi decenni è infatti di tipo presentista; è caratterizzato dalla cancellazione del passato e dall’oblio del futuro. La continuità dei tempi non è più assicurata, perché il passato ha perso la sua forza istituzionale – le società non vi attingono più il loro fondamento – e il futuro ha perso la dimensione chiara e radiosa che lo animava in precedenza. Al suo posto rimane solo un futuro dai contorni nel migliore dei casi incerti, nel peggiore apertamente minacciosi.

L’epoca è quindi, essenzialmente, quella di un presente perpetuo all’interno del quale la coscienza e l’azione propriamente storiche sono fuori portata, ed è in questo contesto civile quasi sterile che il progetto europeista cerca di svilupparsi. Se questo contesto ha permesso all’UE, per decenni, di diventare un surrogato di potenza, alla fine del percorso, ogni tentativo di illudersi più a lungo avvicina a una realtà sulla quale il pallone comunitario finirà per schiantarsi.

Il prossimo allargamento segue questa logica. È inevitabile perché, in un’epoca presentista, il movimento è fine a se stesso; costituisce una versione degradata del cambiamento, simile a un simulacro, che rassicura e addormenta tanto più quanto più è debole la sua portata operativa. Giunta al termine, la costruzione europea manifesta un’ultima volta il suo vigore tentando, con l’allargamento, di proiettare un pallido bagliore verso un futuro dal quale spera, a torto, di trarre una qualche forza motrice.

Prima la Germania!

Le scelte energetiche della Germania, indipendentemente dal ragionamento che le ha determinate, hanno contribuito ad aumentare i costi di produzione delle sue industrie, al punto da penalizzarne oggi la competitività. L’uscita dal nucleare era economicamente sostenibile solo a condizione di poter continuare a disporre a lungo di gas russo abbondante e a basso costo. La guerra in Ucraina ha deciso diversamente, costringendo la Germania a farne a meno.

Di fronte alla crisi economica in cui è globalmente impantanata e mentre la sua base industriale si sgretola rapidamente, la Germania è oggi costretta a sovvenzionare sul proprio territorio il prezzo dell’elettricità per i settori che ne consumano di più. Questa decisione spettacolare, annunciata pochi giorni fa, testimonia la gravità della situazione e il pragmatismo di cui è capace il governo tedesco, quando le circostanze lo richiedono. Una scelta del genere, che graverà sulle finanze pubbliche per diversi miliardi di euro all’anno, rappresenta infatti una rottura con il dogma dell’austerità di bilancio quasi perpetua su cui la Germania ha costruito la sua credibilità sui mercati finanziari negli ultimi decenni. È un esempio, tra gli altri, del “cambiamento epocale” annunciato dal precedente cancelliere Olaf Scholz nel 2022.

Sebbene la Germania disponga di un margine finanziario ben superiore a quello degli altri Stati dell’UE, non è certo che il ricorso massiccio all’arma fiscale possa far uscire l’economia tedesca dall’impasse, poiché si tratta in fin dei conti di un sostegno congiunturale, a fronte di un declino in gran parte strutturale.

Inoltre, indipendentemente dai risultati finali, questa decisione è altamente problematica a livello comunitario. Innanzitutto, perché è difficile capire come possa essere giustificata dal punto di vista giuridico. Il mercato unico europeo si basa sul dogma della concorrenza «libera e non falsata», che la decisione tedesca colpisce in pieno. Come al solito, le autorità di Bruxelles si trovano in una situazione insostenibile. In qualità di custode dei trattati, la Commissione è certamente abituata a contorsioni giuridiche e argomentazioni speciose per fingere almeno di farli rispettare. Deve infatti evitare di scontrarsi troppo frontalmente con gli Stati, per non alimentare un’ondata di sfiducia nell’opinione pubblica interessata.

Tuttavia, questa decisione non riguarda solo la Commissione; gli Stati membri dell’UE, “partner” oltre che concorrenti, avrebbero buoni motivi per ritenersi lesi e persino attaccati nei loro interessi economici dalla Germania. Tanto più che non è la prima volta che si verifica una situazione del genere.

Vent’anni fa, infatti, Gerard Schröder, allora cancelliere, avviò un vasto processo di regressione sociale – le riforme “Hartz” – e di contenimento salariale per aumentare la competitività della Germania nel mercato unico e trarre il massimo vantaggio dalla rinuncia della Francia alla sua sovranità monetaria, poiché l’euro le impediva di ricorrere all’arma della svalutazione per proteggersi dall’eccessiva competitività del suo vicino. Prima la Germania! All’epoca, con grande costernazione dei sostenitori dell’euro, questo era il fondamento di quella che gli economisti hanno pudicamente definito la «strategia non cooperativa» di Berlino. Vent’anni dopo, nulla è cambiato, anzi.

Come reagirà la Francia a questa grave violazione del funzionamento del mercato unico? Logicamente, Emmanuel Macron dovrebbe scagliarsi contro il governo tedesco su questo tema. Ma la preoccupazione di preservare ciò che resta di una “coppia franco-tedesca” in stato di morte clinica lo spingerà senza dubbio alla cautela, a scapito dell’interesse superiore del Paese. Perché ciò che la Germania intende preservare è in particolare il suo surplus commerciale nei confronti della Francia. Ha lavorato per anni allo smantellamento del settore elettronucleare francese – un’ambizione sostenuta dalla sua volontà di far regredire il nucleare civile ovunque fosse possibile, unita alla speranza di far perdere alla Francia uno dei suoi rari vantaggi comparativi, ovvero l’energia a basso costo –, ma questa battaglia, combattuta a livello dell’UE, è stata persa.

Sebbene sia influenzata da numerosi fattori determinanti, la decisione presa dalla Germania costituisce una nuova offensiva alla quale sarebbe difficile non opporsi se l’orizzonte di pensiero europeista dei leader francesi non minasse la loro capacità di difendere l’interesse nazionale. La reazione futura della Francia in merito dirà molto sulla persistenza di questo modo di vedere le cose o sul suo indebolimento.

Volerà, non volerà?

Da diversi mesi la Commissione sta cercando di convincere gli Stati membri a sequestrare i beni congelati della Russia per sostenere finanziariamente l’Ucraina. La cosa più incredibile di questa proposta non è il fatto che i 27 siano stati, come al solito, divisi al momento di prendere una decisione in merito, ma che non sia stata respinta fin da subito e all’unanimità. Perché non solo è difficile da difendere dal punto di vista morale e giuridico, ma è anche, e forse ancora di più, di una rara stupidità. L’UE vorrebbe compromettere gravemente la propria credibilità, ma non agirebbe in altro modo, e le conseguenze di una tale decisione si rivelerebbero nel tempo così controproducenti da minacciare la sua coesione e il suo cuore ideologico.

La coesione dell’UE sarebbe infatti compromessa dalle ripercussioni concrete che inevitabilmente avrebbe il sequestro autoritario dei beni russi. Sia sul piano geopolitico che su quello finanziario, l’UE si troverebbe coinvolta in una tempesta ingestibile, fatta di contromisure da parte della Russia e, soprattutto, di una diffusa sfiducia del resto del mondo nei confronti dell’UE, che perderebbe il suo status di piazza finanziaria sicura per i capitali.

A questo proposito, la posizione molto ferma assunta dal direttore di Euroclear, la struttura finanziaria belga incaricata dal 2022 di gestire tali beni – posizione sostenuta e ribadita di recente dal governo belga – ha il merito di essere lucida e realistica. Euroclear non può permettersi di compromettere la propria reputazione di integrità per 200 miliardi di euro di attività russe, quando ne gestisce altri 40.000 provenienti da tutto il mondo. Queste evidenze sono tali da far riflettere i capi di Stato e di governo, che avrebbero tutto l’interesse a meditare sulle lezioni del fallimento delle sanzioni europee a causa della maggiore efficacia delle controsanzioni russe sulle rispettive economie. Potrebbero anche pensare a preservare il futuro, piuttosto che creare un nuovo pomo della discordia che potrebbe rovinare le relazioni con la Russia molto tempo dopo il ritorno della pace.

Ma c’è di peggio: agendo in questo modo, l’UE si renderebbe colpevole di un vero e proprio furto, che nessuna arguzia giuridica, nessuna manipolazione comunicativa potrebbe nascondere o giustificare. Ciò comprometterebbe gravemente ciò che essa è, o meglio ciò che pretende di essere, ovvero una garante dello Stato di diritto in Europa e oltre, nonché, dal 2022, una difensore incrollabile di un ordine internazionale «basato su regole».

Fino a prova contraria, gli atti di predazione caratterizzati non fanno parte di tali regole, né tantomeno dei «valori» con cui l’UE si ammanta per attestare la propria superiorità ontologica. Tuttavia, è necessario sottolineare che questi valori, nonostante la loro applicazione fluttuante, l’ipocrisia che spesso ne presiede l’attuazione e gli effetti di facciata che hanno come prima virtù quella di autorizzare, costituiscono per l’UE il suo bene più prezioso, poiché non c’è nient’altro che possa fondare ideologicamente la sua esistenza.

Se oggi è tentata di rimetterli in discussione, è perché cerca disperatamente un modo per operare la sua trasformazione geopolitica. Crede di averlo trovato comportandosi come fanno alcuni Stati, ma così facendo rischia di perdere su entrambi i fronti. Da un lato, la distruzione certa delle fondamenta ideologiche dei valori e delle regole che oggi ne garantiscono la stabilità; dall’altro, un’impossibile trasformazione in Stato, essendo la sua natura del tutto incompatibile con la sostanza geopolitica, anche quando la guerra all’estremità orientale dell’Europa rappresenta un contesto favorevole.

È quindi difficile immaginare una proposta più autodistruttiva di questa per l’UE. Il fatto stesso che sia stata formulata deve essere visto come un disperato tentativo di ridare vigore a un progetto europeo ormai in fase terminale, nonché come un errore intrinseco alla lettura semplicistica del conflitto russo-ucraino in cui le élite europee si sono impantanate sin dall’inizio.

Un'”età dell’oro del lavoro salariato” in Russia? di Jacques Sapir

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Un'”età dell’oro del lavoro salariato” in Russia?

Salari e crescita nel settore manifatturiero

Jacques SAPIR*

 

In un contesto russo caratterizzato da un significativo aumento dei redditi e dei consumi, vale la pena interrogarsi sul legame tra aumento dei salari e aumento della produzione. La situazione economica che prevale dalla primavera del 2022 ha portato a una “età dell’oro dei salariati”? Questa espressione si riferisce a un periodo storico (XV secolo) caratterizzato dalla carenza di lavoratori dopo la peste nera[1]. È stata usata anche per descrivere la situazione dei lavoratori in Francia dal 1950 al 1975.

È ormai chiaro che la situazione dei lavoratori russi è migliorata in modo significativo dall’inizio dell’intervento in Ucraina. Non solo i salari reali e il potere d’acquisto sono aumentati sostanzialmente rispetto al 2esimo semestre del 2022, ma le disparità di reddito si sono ridotte tra i vari settori di attività e tra i rami dell’industria manifatturiera.

Qui di seguito analizziamo gli sviluppi in 16 settori dell’industria manifatturiera che sono rappresentativi del boom industriale che la Russia sta vivendo da due anni a questa parte.

  1. Un contesto segnato da un eccezionale aumento dei redditi e dei consumi

È innegabile che dalla primavera del 2022 i consumi sono aumentati notevolmente in Russia, nonostante la guerra in Ucraina, e questo è il risultato di un aumento del potere d’acquisto dei dipendenti nonostante l’inflazione.

Cartella 1

Fonte: FSGS (Rosstat)

Dopo un anno, il 2021, che ha visto l’economia russa riprendersi dagli shock generati dalla pandemia COVID-19, la guerra in Ucraina ha provocato un forte calo dei consumi (-10% in media) dovuto al significativo aumento dei prezzi nell’aprile-maggio 2022 ma anche all’ansia delle famiglie che avevano ridotto la spesa per accumulare risparmi precauzionali. Ciò è visibile nel Grafico 1 con la netta differenza tra consumi alimentari e non alimentari. Questa situazione ha lasciato il posto, a partire dal 1primo trimestre del 2024, a una costante tendenza all’aumento dei consumi, in particolare per i manufatti. Oggi i consumi sono superiori di oltre il 5% alla media del 2021.

Ciò riflette i salari reali che sono aumentati da settembre 2022 (Grafico 2) e stanno ora raggiungendo una crescita del 10% che, dato il tasso di inflazione, implica un aumento dei salari nominali del 17-19%.

Grafico 2

Fonte: FSGS (Rosstat)

Questo aumento dei salari reali ha più che compensato il forte calo dell’aprile 2022. Ora è rimasto a livelli tali che si può parlare di “età dell’oro dei salariati” in Russia dall’aprile 2023.

Questa situazione riflette le tensioni sul mercato del lavoro, in particolare nell’industria manifatturiera dove la crescita è molto forte. La popolazione attiva ha dovuto fare i conti con tre fattori principali che hanno esacerbato le tensioni:

  • Un’emigrazione di 600.000 lavoratori nel marzo 2022 e nel settembre 2022, di cui almeno la metà è tornata in Russia;
  • una mobilitazione di 300.000 riservisti nell’ottobre 2022 e un impegno di circa 360.000 persone in 2 anni, di cui probabilmente il 50% era già occupato.
  • Un aumento totale della “popolazione occupata” di 1,52 milioni, con un calo del numero di disoccupati di 1,07 milioni.

Questi fattori spiegano le forti tensioni sul mercato del lavoro.

Cartella 3

Fonte: FSGS (Rosstat)

Da un punto di vista demografico, ipotizzando che tutti i disoccupati registrati siano stati assunti, si ottiene :

Tabella 1

Milioni di persone
Incremento della popolazione occupata: da giugno-2022 a maggio-2024 1,52
Diminuzione del numero di disoccupati – 1,07
Risultati al netto della disoccupazione 0,44
Perdite per emigrazione 0,30
Mobilitazione delle perdite 0,30
Impegni di perdita (secondo i dati ufficiali) 0,36
Di cui già occupati 0,18
Totale prelievo sulla popolazione disponibile per l’occupazione 0,78
Ricavi assoluti 1,22

Ciò implica quindi che 1,22 milioni di persone disoccupate ma non conteggiate come tali dall’ILO (studenti, casalinghe, persone disoccupate ma non registrate, ecc.) sono state incoraggiate a trovare lavoro nell’economia, ovvero l’1,65% della popolazione “occupata”. È probabile che l’immigrazione di manodopera abbia contribuito in parte a questa cifra. È quindi comprensibile che ci sia stata una notevole pressione sul mercato del lavoro, che ha portato a un forte aumento dei salari.

  1. Tendenze salariali nel settore manifatturiero

Nell’industria, la crescita cumulativa in due anni è stata del 12,4% e nel settore manifatturiero del 22%. Queste cifre molto elevate hanno portato a un bisogno di manodopera nell’industria manifatturiera, che ha fatto impennare i salari.

Tabella 3

Fonte: FSGS (Rosstat)

A titolo di confronto, abbiamo aggiunto 3 settori dell’industria estrattiva (in arancione) ai 16 settori monitorati regolarmente dal CEMI dal maggio 2022. In tutti questi settori, ad eccezione della cokeria e dei prodotti petroliferi, i salari nominali sono aumentati notevolmente. Nelle 3 industrie estrattive, gli aumenti salariali sono stati maggiori tra giugno 2022 e maggio 2023 che tra maggio 2023 e maggio 2024, a causa del forte aumento dei prezzi mondiali nel 2022. Per le 16 industrie manifatturiere monitorate, gli aumenti sono significativi, sia per le industrie con un chiaro coinvolgimento nella produzione militare che per le industrie di consumo.

Alcuni settori stanno registrando una forte crescita di rispetto alla media, come la produzione di apparecchiature elettroniche e ottiche, di prodotti metallici lavorati (due settori con evidenti implicazioni militari) e la produzione di abbigliamento. Questa crescita avviene a scapito di altri settori come la cokeria e i prodotti petroliferi, la produzione di attrezzature mediche e medicinali (in espansione) e la metallurgia. Infine, altri settori come l’industria automobilistica e chimica non crescono. Queste tendenze non sono lineari. In alcuni settori la crescita seguirà un calo nel 2022-2023 (industria alimentare, produzione di mobili).

Tabella 4

Fonte: FSGS (Rosstat)

Questi dati mostrano che la gerarchia dei settori in termini di salari si è spostata tra giugno 2022 e maggio 2024. Naturalmente, a causa di una minore richiesta di competenze, i rami dell’industria dei consumi rimangono al di sotto del livello salariale medio per tutto il periodo. Altri, come la cokeria e la produzione di prodotti petroliferi (nonostante il calo della sua percentuale rispetto alla media), l’industria chimica, la produzione di farmaci e apparecchiature mediche e, naturalmente, l’industria elettronica e ottica, hanno tutti una buona performance rispetto ai salari medi. Ma questo fenomeno riguarda anche i prodotti metallici lavorati e la produzione di apparecchiature elettriche.

Il confronto della gerarchia dei rami mostra stabilità e progressi significativi.

Tabella 5

Fonte: calcoli CEMI

I cambiamenti nella gerarchia dei rami in termini di salari non devono nascondere un altro fenomeno: il restringimento della scala salariale. Il divario tra il 1esimo ramo e il 16ultimo ramo, rispetto alla media del campione, scende dal 155,0% al 101,6%. Il divario tra le prime 4 e le ultime 4 scende dal 90,6% al 76,0%.

Non solo il periodo compreso tra giugno 2022 e maggio 2024 è stato caratterizzato da cambiamenti nella gerarchia salariale tra i settori, ma, cosa forse più significativa e importante, il divario tra i settori tradizionalmente ad alta e bassa retribuzione si è ridotto drasticamente. I 24 mesi che coprono la ripresa dell’economia e dell’industria russa dopo lo shock iniziale delle sanzioni e l’inizio di una crescita molto forte dell’industria manifatturiera non hanno quindi visto solo aumenti salariali significativi, ma anche cambiamenti nella gerarchia (a causa della guerra) e un miglioramento molto forte nei rami dell’industria di consumo (a causa dell’aumento della domanda guidato dall’aumento generale dei redditi). L’industria russa, e quella manifatturiera in particolare, non solo si è sviluppata, ma è anche cambiata ed è diventata molto meno diseguale.

Tableau 6

Fonte: FSGS (Rosstat)

Il meccanismo è lo stesso se consideriamo i principali settori dell’economia. L’aumento dei salari reali è del 26,7%, ma per l’istruzione è del 106,1%, per la logistica del 33,7% e, complessivamente, 7 settori di attività fanno meglio della media nazionale. Anche la forbice tra i settori si sta riducendo: il divario tra il settore più alto e quello più basso è passato dal 167,4% di giugno 2022 al 155,6% di maggio 2024.

È evidente la volontà politica di aumentare le retribuzioni degli insegnanti (primari e secondari), ma è interessante notare che le attività di trasporto e logistica, le attività manifatturiere, le attività di controllo dell’inquinamento e le costruzioni registrano aumenti superiori alla media.

  1. La natura degli aumenti salariali

Gli aumenti salariali nell’industria superarono di gran lunga l’inflazione, riflettendo un arricchimento della classe operaia, con l’eccezione di un settore (la cokeria), dove però i salari erano già alti. In termini reali, gli aumenti sono stati superiori al 30% nell’arco di 24 mesi.

In 4 filiali, e tra il 20% e il 30% in 10 filiali.

Tabella 7

Redditi nominali e redditi reali nell’industria

Crescita giugno-22/maggio-24 Aumento

Giugno-22/Maggio-24 in termini reali

Produzione di abbigliamento 150,9% 134,5%
Fabbricazione di computer, apparecchiature elettroniche e ottiche 150,0% 133,7%
Prodotti metallici lavorati 148,5% 132,4%
Produzione di apparecchiature elettriche 146,7% 130,8%
Produzione di macchinari e ” altre attrezzature “. 145,5% 129,7%
Resine e plastiche 145,3% 129,5%
Industria tessile 143,9% 128,3%
Altri mezzi di trasporto e attrezzature 141,5% 126,1%
Cuir e prodotti in pelle 140,3% 125,0%
Industria alimentare 139,4% 124,3%
Produzione di mobili 138,3% 123,2%
Industria chimica 136,6% 121,8%
Colline 136,6% 121,8%
Produzione di autovetture, rimorchi e semirimorchi 136,2% 121,4%
Metallurgia 132,8% 118,3%
Produzione di farmaci e attrezzature mediche 130,0% 115,8%
Estrazione di metalli 126,8% 113,0%
Industria del petrolio e del gas 120,7% 107,6%
Coking e prodotti petroliferi 103,0% 91,8%
Media del campione 137,5% 122,6%
Media sull’industria manifatturiera (rami monitorati) 139,3% 124,2%

Fonte: elaborazioni FSGS e CEMI

Il movimento dei salari nominali, in un contesto in cui le risorse lavorative – e in particolare la manodopera qualificata – sono scarse, può essere spiegato da due diverse strategie aziendali: o un’azienda ha bisogno di assumere personale e per farlo aumenta i salari, oppure l’azienda vuole mantenere il proprio personale di fronte alle aziende che adottano la prima strategia e aumenta anch’essa i salari, ma questa volta per mantenere il proprio personale. La prima strategia è nota come aumento salariale offensivo e la seconda come aumento salariale difensivo.

Per distinguere tra queste due strategie, gli aumenti dei salari nominali saranno confrontati con gli aumenti della produzione nei 24 mesi considerati (Grafico 4).

Grafico 4

Confronto degli aumenti salariali e della produzione, giugno 2022-maggio 2024

Industria alimentare 1 Resine e plastiche 9
Industria tessile 2 Metallurgia 10
Produzione di abbigliamento 3 Prodotti metallici lavorati 11
Pelli e prodotti in pelle 4 Produzione di computer, apparecchiature elettroniche e ottiche 12
Produzione di mobili 5 Produzione di apparecchiature elettriche 13
Coking e prodotti petroliferi 6 Produzione di macchinari e ” altre attrezzature “. 14
Industria chimica 7 Produzione di automobili, rimorchi e semirimorchi 15
Medicinali e attrezzature mediche 8 Altri mezzi di trasporto e attrezzature 16
  • Esiste una zona di aumento salariale offensivo, la zona verde, in cui si trovano 4 rami, tutti chiaramente legati allo sforzo bellico: la produzione di prodotti metallici lavorati, la produzione di apparecchiature elettroniche e ottiche, la produzione di apparecchiature elettriche e infine la produzione di mezzi di trasporto diversi da quelli prodotti dall’industria automobilistica.
  • Nella zona rosa si trovano i settori che hanno adottato una strategia salariale difensiva, ovvero i quattro rami dell’industria di consumo, la produzione di resine e plastiche e la produzione di macchinari e “altre attrezzature”.
  • La zona gialla corrisponde ai settori che hanno aumentato la loro produzione in modo significativo, ma non hanno avuto bisogno di adottare una strategia salariale “offensiva”. Si tratta della produzione di auto e camion, un settore che è stato devastato dalla partenza delle aziende occidentali e che, nonostante la forte crescita, non ha ancora recuperato completamente il livello di produzione della fine del 2021, e della produzione di mobili. In questo caso, possiamo ipotizzare che la domanda di lavoro sia molto specifica (lavorazione del legno) e che la pressione sui salari da parte di altri settori non abbia avuto le stesse conseguenze in termini di strategia “difensiva”.
  • Infine, la zona blu comprende le industrie (cokeria e prodotti petroliferi, chimica, farmaceutica e attrezzature mediche, metallurgia) in cui l’aumento della produzione è stato inferiore alla media e in cui i salari sono stati più contenuti, poiché queste aree potrebbero perdere lavoratori.

Tuttavia, questa ripartizione deve essere corretta in base all’area geografica principale di questi diversi settori. Non è impossibile che i principali impianti chimici siano situati in aree dove i salari e i prezzi medi sono più bassi rispetto alle regioni del “Centro” e del “Volga-Vyatka”. Lo stesso vale per l’industria metallurgica. In questo caso, depurato dalle variazioni regionali dei salari e dei prezzi, non è impossibile che questi due settori si trovino effettivamente nella zona rosa, cioè nella zona della strategia salariale “difensiva”.

  • Conclusione

Da quando la Russia ha superato lo shock iniziale delle sanzioni, la produzione e i salari sono aumentati notevolmente, soprattutto nel settore manifatturiero. Ciò corrisponde sia allo sviluppo della produzione militare per soddisfare le esigenze del conflitto con l’Ucraina, sia allo sviluppo delle industrie di consumo.

I salari, sia nominali che reali, hanno subito un forte aumento nei 24 mesi da giugno 2022 a maggio 2024. Il fenomeno ha interessato tutti i settori ed è stato particolarmente marcato nel settore manifatturiero. È stata accompagnata da una riduzione delle differenze tra i settori, ma anche tra i rami dell’industria manifatturiera, dove questa riduzione è stata particolarmente marcata.

Questo aumento si spiega con la pressione sul mercato del lavoro derivante sia dai prelievi legati alla guerra sia dalla crescita economica, che richiede più lavoratori.

È quindi ragionevole parlare di “età dell’oro del lavoro dipendente” in Russia, anche se l’evoluzione della situazione al ritorno della pace rimane imprevedibile. La correzione, seppur parziale, di alcune disuguaglianze salariali è particolarmente degna di nota. Questa situazione spiega in larga misura il sostegno di cui godono oggi il Presidente Putin e il Primo Ministro Mishustin tra la popolazione russa.

* Direttore di studi presso l’EHESS, docente presso l’École de Guerre Économique (Parigi), professore associato presso l’MSE-MGU (Università Lomonossov, Mosca), direttore del CEMI-CR451, membro straniero dell’Accademia delle Scienze russa.

[1] Dyer, C., “A Golden Age Rediscovered: Labourers’ Wages in the Fifteenth Century” In: Allen, M., Coffman, D. (eds) Money, Prices and Wages. Palgrave Studies in the History of Finance. Palgrave Macmillan, Londra, 2015.

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Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome, di Alastair Crooke

Casa

11 dicembre 2021 // Le crisi

Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome

L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente, scrive Alastair Crooke

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke
Tradotto dai lettori del sito Les-Crises

© Foto: REUTERS / Kevin Lamarque

Parlando all’Aspen Security Forum due settimane fa, il generale Milley ha ammesso che il secolo americano è finito, una consapevolezza che avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa, si potrebbe dire. Eppure, che sia tardi o meno, questa dichiarazione sembra segnalare un importante cambiamento strategico: “Stiamo entrando in un mondo tripolare, con Stati Uniti, Russia e Cina come grandi potenze. [e] Solo mettendo tre su due aumenta la complessità “, ha detto Milley.

Più recentemente, in un’intervista alla CNN, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza di Biden, ha affermato che è stato un errore cercare di cambiare la Cina: “L’America non sta cercando di contenere la Cina: non è una nuova guerra fredda. Le osservazioni di Sullivan arrivano una settimana dopo che il presidente Biden ha affermato che gli Stati Uniti non stavano cercando un “conflitto fisico” con la Cina, nonostante le crescenti tensioni. “Questa è una competizione”, ha detto Biden.

Questo in effetti sembrava segnalare qualcosa di importante. Ma è davvero così? L’uso della parola “competizione” è una terminologia un po’ strana e richiede un po’ di decrittazione.

L’intervistatore della CNN Fareed Zakaria ha chiesto a Sullivan: cosa è stato ottenuto dalla Cina dopo tutto il tuo duro discorso, cosa è stato negoziato? Si potrebbe immaginare una risposta che descriva come Biden pensa di gestire al meglio questi interessi in competizione in un complesso mondo tripolare. Beh, quella non era la linea di Sullivan. “Brutta domanda”, ha detto senza mezzi termini: non chiedere informazioni sugli accordi bilaterali, chiedi cos’altro abbiamo.

Il modo corretto di guardare a questo, ha detto Sullivan, è: “Abbiamo stabilito i termini per una concorrenza effettiva in cui gli Stati Uniti siano in grado di difendere i propri valori e promuovere i propri interessi, non solo nella regione indo-pacifica, ma anche Intorno al mondo. Quando si tratta dei nostri alleati in tutto il mondo, gli Stati Uniti e l’Europa sono allineati su questioni commerciali e tecnologiche per garantire che la Cina non possa “abusare dei nostri mercati”; e poi sul fronte indo-pacifico, siamo andati avanti in modo da poter ritenere la Cina responsabile delle sue azioni. “

“Vogliamo creare la situazione in cui due grandi potenze opereranno all’interno di un sistema internazionale per il prossimo futuro – e vogliamo che i termini di quel sistema siano favorevoli agli interessi e ai valori americani: è più di una disposizione favorevole in cui il Gli Stati Uniti e i suoi alleati possono modellare le regole di condotta internazionali sui tipi di questioni che saranno fondamentalmente importanti per il popolo del nostro paese [America] e per i popoli del mondo “, ha affermato. -aggiunge.

L’obiettivo dell’amministrazione Biden non era cercare una trasformazione politica in Cina, ha detto Sullivan, ma modellare l’ordine internazionale in un modo che servisse i suoi interessi e quelli di altre democrazie che la pensano allo stesso modo: “Vogliamo le condizioni per questa coesistenza in il sistema internazionale favorevole agli interessi e ai valori americani. Vogliamo che le regole del gioco riflettano una regione indo-pacifica aperta, equa e libera, un sistema economico internazionale aperto e il rispetto dei valori e degli standard fondamentali sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani nelle istituzioni internazionali, ha dichiarato. . Sarà una competizione mentre andiamo avanti. “

Sullivan propone molto chiaramente un ordine mondiale basato su “regole di condotta internazionali” che si svilupperebbe attorno ad un interesse strategico centrale (quello dell’America), senza preoccuparsi delle conseguenze che potrebbero derivarne per gli altri. Questo “sistema internazionale aperto, equo e libero” è solo uno strumento per la globalizzazione del sistema neoliberista occidentale finanziarizzato. Josh Rogin ha scritto questa settimana: “L’internazionalismo a guida americana, nonostante i suoi difetti e i suoi passi falsi, rimane l’ultima, la migliore speranza per l’umanità. “

E per intenderci, quando sentiamo parlare di un sistema economico aperto e libero favorevole agli interessi americani, non sono gli “interessi del 99%” a essere sanciti nel sistema, ma quelli della classe finanziaria dell’1%. , che pretendono il diritto di spostare denaro e beni ovunque, in qualsiasi momento, senza restrizioni.

Il riferimento di Sullivan ai diritti umani riflette lo “spirito” dell’UE, dove la dottrina dello stato di diritto europeo è servita come dispositivo pratico per estendere l’autorità centrale dell’Unione senza riscrivere i trattati. O, in questo caso simile, che gli Stati Uniti espandano la propria autorità e procedano senza dover concludere accordi bilaterali con la Cina (o la Russia) o chiunque altro. Sullivan è stato molto chiaro su questo punto: gli accordi negoziati con la Cina non erano il “parametro di riferimento” giusto per giudicare il successo della politica statunitense.

Inizialmente, nessuno in Europa si è preoccupato molto quando la Corte europea ha “scoperto” che nei trattati dell’UE era nascosta una supremazia generale dei valori e del diritto dell’UE (sebbene a prima vista non fosse così evidente). Questa tranquilla reazione, tuttavia, è in gran parte dovuta al fatto che la competenza dell’UE era ancora piuttosto limitata all’epoca.

Successivamente, il trasferimento graduale della sovranità nazionale a un interesse strategico centralizzato (Bruxelles) divenne il principale motore di quella che è stata definita “integrazione attraverso il diritto”. Nel tempo, una lettura approfondita dei trattati (per i trattati europei, leggi la “consacrazione” di Sullivan della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) ha offerto nuove ragioni per sottoporre le politiche nazionali democratiche a una lettura sovranazionale. “

Allo stesso modo, la Dichiarazione universale dei diritti umani offrirà probabilmente a Sullivan nuove ragioni e possibilità per armare il testo e piegare alleati e “avversari” alla disciplina di interesse strategico centrale (altrimenti nota come Washington).

Quindi, quello che sembrava segnalare un cambiamento significativo nel pensiero americano, dopo un po’ di decrittazione, si è rivelato nulla del genere. La competizione tra le grandi potenze non è altro che l’ordine globale globalista, incentrato sugli Stati Uniti e basato su regole. Gli Stati Uniti si astengono dal “trasformare” (cioè fomentare una rivoluzione colorata) il Partito Comunista Cinese, perché non possono; questo strumento si applica ancora ai piccoli pesci (es. Nicaragua).

Da un lato, abbiamo visto le conseguenze di questo approccio centralizzato alle “regole” – praticato a Bruxelles oa Washington: ne deriva una sorta di torpore soporifero. Tutte le energie sono dedicate a mantenere a galla il fragile sistema (che si tratti delle regole del gioco dell’UE o degli Stati Uniti), piuttosto che trovare soluzioni reali. Si aprono divisioni che politicamente è impossibile contenere; il risentimento aumenta; le crisi sono gestite e non risolte; giochiamo con il tempo; le riforme sono graduali e poi improvvisamente unilaterali; e, alla fine, regna l’immobilità. In Europa si chiama Merkelismo (dal nome del Cancelliere tedesco).

Dopo il tranquillo vertice del G20 a Roma e la COP26 a Glasgow, sembra che stiamo iniziando a vedere la Merkelizzazione del mondo. La sensazione che rimane è quella di un meccanismo (due in realtà se includiamo l’UE), che produce suoni convincenti di macchine ruggenti e che fa sperare in qualche risultato, ma che non porta alla fine a poco o nulla – ad eccezione di un crescente deficit democratico, con il trasferimento a una tecnocrazia sovranazionale di decisioni che prima erano di competenza dei parlamenti.

D’altra parte, per quanto grave sia (date le crisi economiche che affrontiamo), il suo più grande ” peccato ” (come ha detto Sullivan) è la sua richiesta di ” regole ” globali, il cui fondamento è semplicemente “Gli interessi e i valori degli Stati Uniti e dei suoi alleati e partner”. Sullivan sostiene che gli Stati Uniti non cercano più di trasformare il sistema cinese (il che è positivo), ma insiste sul fatto che la Cina operi all’interno di un “ordine” costruito attorno agli interessi e ai valori degli Stati Uniti – in breve[in francese nel testo, ndr]. E come ha sottolineato Sullivan, lo sforzo diplomatico americano deve mirare a costringere la Cina a conformarsi a questo sistema. Da nessuna parte si parla dei costi per gli alleati, che dovrebbero rinunciare ai rapporti con la Cina o la Russia, per compiacere Biden.

Il peccato più grande , molto semplicemente, è che il tempo di queste ambizioni arroganti sia passato. L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente. Cina e Russia – le altre due componenti del mondo tripartito del generale Milley – lo hanno detto abbastanza chiaramente: rifiutano le lezioni dell’Occidente.

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke, 15-11-2021