L’esplosione del nazionalismo in Europa orientale è legata alla nostalgia dei regimi comunisti?_Lionel Baland

L’ex Germania dell’Est offre un terreno di analisi unico in Europa. Come i Paesi dell’ex blocco orientale, è stata a lungo protetta dall’immigrazione di massa dai Paesi extraeuropei, ma come Germania riunificata ha dovuto affrontarla molto presto. Questo la pone al centro dell’ascesa del populismo, a destra e a sinistra, con l’AfD e la BSW, in un contesto di nostalgia. Lo storico Ilko-Sascha Kowalczuk, figura di spicco della storiografia della Germania dell’Est, ha pubblicato un’opera importante, anche se critica nei confronti del fenomeno, sulla recrudescenza illiberale dell’Est, che non può immaginare che non si ripercuota anche sull’Ovest: “Freedom Shock. Une autre histoire de l’Allemagne de l’Est de 1989 à aujourd’hui”. Lionel Baland lo ha letto.

Se l’aumento delle idee nazionaliste nell’Europa occidentale si spiega con il massiccio afflusso di immigrati che pone gravi problemi e con la deindustrializzazione causata dalla globalizzazione sfrenata, esso solleva interrogativi nell’Europa orientale, dove gli stranieri extraeuropei sono ancora pochi e l’economia è in pieno sviluppo.

Tra tutti i luoghi dell’ex blocco orientale in cui il nazionalismo è in crescita, la Germania orientale ha la particolarità, al momento, di combinare il fatto di aver vissuto il comunismo da un lato e, dall’altro, la presenza di un gran numero di migranti, arrivati dopo l’apertura delle frontiere nel 2015 da parte dell’allora cancelliere federale cristiano-democratico (CDU), Angela Merkel, che li ha poi distribuiti in tutto il Paese, compresa la parte orientale.

In quest’area due partiti di stampo nazionalista stanno ottenendo risultati clamorosi: una versione di destra chiamata Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania – AfD) e una di sinistra anti-immigrazione, la Bündnis Sahra Wagenknecht – Für Vernunft und Gerechtigkeit (Alleanza Sahra Wagenknecht – Per la Ragione e la Giustizia – BSW), la cui figura di riferimento e co-presidente è Sahra Wagenknecht. L’AfD, pur essendo patriottico a est, può essere chiaramente descritto come nazionalista e il suo programma, che è economicamente e socialmente liberale a livello federale (guidato dalla co-presidente federale del partito Alice Weidel), è più incentrato a est su ” patriotisme solidaire ” teorizzato dallo scrittore della Nuova Destra tedesca Benedikt Kaiser nel suo libro Solidarischer Patriotismus. Die soziale Frage von rechts (” Patriottismo solidale. La question sociale vue de droite “) pubblicato nel 2020.

Questa richiesta elettoralmente forte di maggiore solidarietà e protezione di fronte alla globalizzazione e all’immigrazione di massa è legata alla nostalgia per i tempi della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) comunista? Lo storico tedesco Ilko-Sascha Kowalczuk, uno dei più rinomati esperti di storia della Repubblica Democratica Tedesca, che si oppone all’ascesa dell’AfD e del BSW nella Germania orientale, che collega al fenomeno illiberale rappresentato dal primo ministro ungherese Viktor Orbán, ha pubblicato un libro in cui tenta di far luce su questa domanda : Freiheitsschock. Eine andere Geschichte Ostdeutschlands von 1989 bis heute (” Freedom shock. Un’altra storia della Germania Est dal 1989 a oggi “).

Lo shock della trasformazione

Ilko-Sascha Kowalczuk ritiene che, quando il Muro di Berlino e la Cortina di ferro caddero, la popolazione della Germania Est fu scioccata dall’arrivo della società aperta, teorizzata dal pensatore liberale Karl Popper nel suo libro La società aperta e i suoi nemici (1945)  e molti non percepirono questo cambiamento come una liberazione. Inoltre, la gente dell’Est pensava che la società aperta portasse necessariamente prosperità economica, ma non era così.

Dopo la caduta del comunismo alla fine del 1989 e la riunificazione della Germania meno di un anno dopo, i cittadini dell’Est, che si aspettavano cambiamenti lenti e di impatto limitato, si sono trovati di fronte a trasformazioni radicali. Molte persone sono rimaste deluse e disilluse da questi cambiamenti e dalla precarietà che ne è seguita. Inoltre, nella Repubblica Democratica Tedesca, la società civile era quasi inesistente, tranne che nelle chiese, e non era desiderata dal partito politico dominante, la SED, e dal servizio di sicurezza statale, la Stasi. In effetti, il nazionalismo era molto diffuso nella DDR. Nell’Est, i partiti politici rimangono debolmente radicati e la banalizzazione del passato comunista e nazionalsocialista è più diffusa. Inutile dire che la riunificazione ha lasciato il segno anche qui, creando molte ingiustizie. È percepita come un’operazione che ha permesso di svendere l’economia della Germania orientale agli interessi finanziari della Germania occidentale. I tedeschi dell’Est, gli ” Ossis “, si sentivano cittadini di seconda classe, discriminati sia nella Germania occidentale (perché considerati ” arretrati ” e non adattati alle esigenze produttive dell’economia di mercato) sia in patria, dove le persone arrivate dall’Ovest del Paese riunificato hanno occupato posizioni di rilievo all’interno dell’apparato statale o vi hanno creato imprese e aziende con risorse finanziarie che le persone provenienti dall’Est del Paese non avevano. Vale la pena notare che la denuncia dell’AfD sulle élite si concentra principalmente su quelle dell’Ovest. Sebbene il partito sia nato nell’ex RFT, ha ottenuto i suoi migliori risultati nell’ex DDR. La stampa del sistema, percepita come un’emanazione dell’Occidente, fu dichiarata “non veritiera”.

La voce dall’Est

Mentre alle ultime elezioni generali del 2021, il partito post-comunista Die Linke ha ottenuto solo il 4,9 %, non raggiungendo la soglia elettorale del 5 Sahra Wagenknecht, che proviene da Die Linke e ha annunciato che lascerà il partito nell’ottobre 2023 per formare il BSW, riceve una grande attenzione dai media nazionali perché è vista come la voce dell’est del Paese.

” Gran parte di ciò che l’AfD o il BSW rappresentano, ad esempio uno Stato forte, una posizione anti-occidentale legata alla vicinanza a Stati autoritari come la Russia, l’aspirazione a una società omogenea, un orientamento nazionale-etnico della politica sociale, La chiusura delle frontiere, il rifiuto dell’Europa e dell’euro, l’enfasi sul principio “prima la Germania” e la fine degli estenuanti dibattiti sulla storia tedesca sono tutti elementi che risuonano fortemente nella Germania orientale, al di là della divisione partitica “, riassume Ilko-Sascha Kowalczuk (pag.182).

L’autore ritiene che l’attuale affermazione dell’AfD a Est, con i suoi quadri politici provenienti dall’Occidente, avrà ripercussioni anche in Occidente in futuro.

Dopo il crollo finanziario del 2008, i cittadini dell’Est si sono resi conto che nel capitalismo non tutto può essere dato per scontato e si trovano ad affrontare l’instabilità creata dalla sfida del cambiamento digitale. Di conseguenza, si rivolge alla sicurezza e al passato. Ma la Germania orientale ha una lunga tradizione di regime autoritario: l’Impero tedesco, la Repubblica di Weimar, il Terzo Reich e la DDR. I tedeschi dell’Est provano quindi un senso di solidarietà con la Russia, perché vedono Vladimir Putin come rappresentante di una posizione anti-occidentale e anti-americana.

Due libri di grande successo, che secondo Ilko-Sascha Kowalczuk non offrono nulla di nuovo in termini di contenuto, hanno recentemente dato forma al dibattito : Der Osten : Eine west-deutsche Erfindung (” L’Est : un’invenzione della Germania occidentale “) del professore di letteratura Dirk Oschmann e Diesseits der Mauer. Eine neue Geschichte der DDR 1949-1990 (” Di qua dal muro. Una nuova storia della DDR 1949-1990 “) della storica Katja Hoyer. Il primo incolpa l’Occidente per tutto ciò che è andato storto dal 1990 in poi e scagiona l’Est. La seconda presenta la società della DDR come armoniosa e lontana dai governanti dittatoriali, di cui si preoccupava poco. L’Ostalgie – la nostalgia per la Germania Est comunista – ha preso il posto del ricordo delle sgradevolezze dell’epoca.

La lotta è in corso

Ilko-Sascha Kowalczuk ritiene che il sistema liberale sia minacciato in molti Paesi europei, con l’eccezione della Danimarca, dove i socialdemocratici hanno ripreso e applicato parte della retorica dei partiti patriottici, tagliandoli alle ginocchia.

Avendo vissuto il regime comunista della DDR, poi il suo crollo e il trionfo del liberalismo, teme fortemente che anche l’attuale sistema possa cadere. Infatti, nella Germania orientale – e forse in futuro anche in quella occidentale – i partiti politici del Sistema, che rappresentano la società aperta liberale, potrebbero perdere la battaglia contro i tre partiti anti-sistema che pretendono di recuperare la grandezza del passato: i nazionalisti dell’AfD, i nazional-bolscevichi del BSW e i post-comunisti di Die Linke. La partita è aperta e ci sarà un solo vincitore.

© Foto : Juergen Nowak / shutterstock. Sahra Wagenknecht e Alice Weidel durante una seduta del Bundestag, il 7 aprile 2022.

Fonte :
KOWALCZUK Ilko-Sascha, Freiheitsschock. Una storia diversa della Germania orientale dal 1989 a oggi, C.H. Beck, Monaco, 2024.

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L’età del ferro della decadenza, di Julien Freund_Un inedito

Qui sotto un inedito di Julien Freund sul tema dell’identità e della decadenza delle civilizzazioni. Lo scritto è apparso sul settimanale francese “Eléments” nel suo formato cartaceo, in occasione della riedizione del libro, pubblicato nel 1984, La décadence. Il testo è preceduto da una presentazione, anche essa tradotta in italiano, di Laurent Vergniaud. La décadénce è parte della trilogia fondamentale di Julien Freund composta da “L’essence du politique” e da “La sociologie du conflit”, nessuno dei quali, purtroppo, disponibile nella traduzione italiana. Tre testi che meriterebbero a pieno titolo la medesima attenzione riservata, sia pure in diverse gradazioni, tra gli altri, ad autori del calibro di Max Weber, Carl Schmitt, Gramsci, Vilfredo Pareto, Carl Marx. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Le lezioni del dottor Freund

sintomatologia della decadenza

di Laurent Vergniaud

La décadence (1984), opera maggiore di Julien Freund, nella riedizione di quest’anno delle éditions du Cerf. Una analisi illuminante – storica, sociologica, filosofica ed esistenziale – della decadenza.

 

Si avrebbe torto a relegare Julien Freund a un semplice ruolo di ricercatore e di teorico del Politico, in quanto nozione astratta. Benché abbia sempre rifiutato le etichette (sino a definirsi “reazionario ma di sinistra”), il suo rigetto delle ideologie non ha significato assenza di prese di posizioni particolarmente nette. Attore della Resistenza, poi osservatore degli avvenimenti del ‘68, Freund rimase per tutta la vita un feroce oppositore dei totalitarismi e un  partigiano della Unione Europea. Benché classificasse la “décadence” come “la sua ricerca puramente storica, quindi di un novizio”, egli dispiega una analisi conseguente tanto sociologica che filosofica della decadenza in quanto esperienza, secondo lui una dimensione ignorata dagli sorici del suo tempo. Intende così porre una pietra miliare di una storia della “sociologia delle mentalità”, di “esplorare le credenze vissute in epoche determinate”.

La storia, questo cimitero delle civilizzazioni

La civilizzazione è l’insieme di norme morali e imperative che uniscono un popolo ed una società funzionale, la decadenza rappresenta il degrado di queste norme. Esperienza percepita sul piano metafisico, ciò non di meno manifesta dei sintomi materiali osservabili. Freund la descrive come una accumulazione di crisi affliggenti ogni categoria della attività umana: politica, economica, artistica e religiosa.

Dagli antichi a Pierre Chaunu, passando attraverso il pensiero controrivoluzionario, i romantici tedeschi e i dissidenti sovietici, Freund documenta con pedagogia ed esaustività l’evoluzione della nostra comprensione della decadenza. Questa si è trasformata a partire dalla concezione ciclica degli antichi. Freund evidenzia due visioni inconciliabili della decadenza: una escatologica, catastrofista e utopista, profondamente irrazionale; l’altra, pessimista e realista, alla quale si rifà, erede dei valori umanisti occidentali.

Per Freund l’essenza della civilizzazione europea risiede in due virtù cardinali: la libertà, incarnata dalla democrazia e l’indipendenza nazionale; lo spirito di verità, fonte del progresso scientifico. Valori minacciati da un egualitarismo utopico che lo svuota di ogni significato, da uno scientismo e progressismo che non sono alro che le manifestazioni più moderne del pensiero escatologico. Pervertite, queste credenze spianano i rapporti gerarchici che hanno consentito alla nostra civilizzazione di irradiarsi. Si ritrova così una costante del pensiero di Freund: senza gerarchie, niente valori; senza aristocrazia, niente progresso. “Siamo noi in decadenza? A questa domanda io rispondo senza esitazione: sì”; così debutta la perorazione appassionata che conclude l’opera. In effetti la décadence non è affatto un semplice studio della storia, ma mira ad affrontare frontalmente  il problema della decadenza in Europa. Freund ne isola i sintomi: ripiegamento degli imperi di fronte al terzo mondo, emersione di iperpotenze non europee, pacifismo rinunciatario, divisione della Germania, i più recenti stati nazione europei. Ai quali si aggiunge l’affossamento della struttura della famiglia, la legislazione dell’aborto, così come il cambiamento della popolazione indotto dall’immigrazione incontrollata. Esattamente come l’Impero Romano sommerso dai barbari, la nostra decadenza è quella di una società che non crede più nel suo proprio avvenire e sacrifica i propri valori in cambio delle comodità materiali immediate, di orizzonti messianici e  della fascinazione verso l’Altro. Di fronte al pericolo di affossamento Freund si appella al risveglio politico e militare degli europei, alla difesa dei confini esterni e delle norme di regolazione interna, contro i nostri nemici, in primo luogo il comunismo. Ossessionato dalla consapevolezza di un pericolo comunista, egli sovraestimerà sino alla fine la minaccia dell’Unione Sovietica. Di fatto, la riunificazione della Germania e la fine del blocco sovietico non hanno portato al tanto auspicato risveglio generale europeo. Le conclusioni di Freund rimangono, ciononostante, profetiche, allorquando il matrimonio omosessuale cancella le antiche norme familiari o la Grande Sostituzione sconvolge ogni stato europeo. La storia è un cimitero di civilizzazioni. Raddrizzare la nostra è impossibile senza prendere coscienza della possibile sparizione.

L’età del ferro della decadenza Julien Freund

Successivamente alla comparsa del libro “La  décadence” (1984), Julien Freund ritorna sul tema in numerosi interventi pubblici. Siamo felici di offrirvi il testo di una brillante, ma inedita prolusione prevista nel marzo 1985 in una conferenza all’Università Fiamminga di Bruxelles, non pronunciata per ragioni di salute

Questa età del ferro è l’epoca che noi viviamo, se si intende per età dell’oro un periodo eccezionale durante il quale un fenomeno storico si dispiega in tutta la sua pienezza e nel quale gli uomini sono nella sostanza felici del contesto in cui vivono.

L’umanità ha conosciuto numerose fasi di decadenza: a partire dagli imperi assiro ed egiziano, inca e azteco, numerose fasi di decadenza in Cina e India, soprattutto la decadenza dell’impero romano, il quale è restato da allora paradigmatico nello studio di tali fenomeni.

Or dunque, tutti questi esempi non hanno raggiunto l’ampiezza della decadenza europea alla quale noi stiamo assistendo. È la decadenza per eccellenza. Prima di entrare nel vivo del soggetto, conviene rispondere alla questione cardinale: l’Europa è realmente in decadenza?

La nozione di decadenza è una categoria dell’interpretazione storica grazie alla quale noi cerchiamo di render conto della sparizione delle civiltà passate, la caduta della potenza da esse sviluppate e le nuove civilizzazioni alle quali hanno consentito la nascita. La nozione di decadenza, come ogni categoria storica, è una nozione relativa; non la si può, quindi, concepire che in relazione ad altri periodi che non sono stati decadenti, ma che, al contrario, sono stati marcati da una lenta progressione di potenza e dall’espansione della corrispondente civilizzazione, sino al momento in cui, raggiunto l’apogeo, intraprende il proprio declino.

Alcuni storici rifiutano il termine di decadenza, sotto pretesto che non significherebbe né più né meno che il cambiamento costante che si produce nella storia. E però non abbiamo avuto solamente un cambiamento a seguito del declino di Roma; piuttosto l’impero romano non esiste più. Un’altra configurazione storica ha preso il suo posto. L’ascesa di Roma costituì, per tanto, un cambiamento, come pure la rivoluzione degli astri. L’idea di cambiamento rimane vaga sin tanto che non la si caratterizzi, sin tanto che non si determini la sua natura e specificità.

La nozione di decadenza è la maniera di caratterizzare nella storia il cambiamento che consiste nel declino di una configurazione politica. Il fenomeno non è improvviso, ma si estende lungo numerose generazioni.

Singolarità dell’Europa

L’Europa è in decadenza in rapporto a quello che è stata. È stata la padrona delle terre e dei mari del globo; oggi  è raggomitolata nel suo spazio geografico. È il segno oggettivo della decadenza europea. Non insisterò sul fatto che questa riduzione dell’Europa in se stessa ha avuto l’effetti diversi  sulla sua mentalità. Mi interessa precisare in cosa tale decadenza si differenzia dalle altre conosciute.

  1. Tutte le civilizzazioni conosciute sono state delimitate, locali; la sola civiltà europea è stata mondiale, planetaria. Ha raggiunto quindi con gradazioni diverse, tutti i popoli del mondo. In questo è unica. Il fatto che entri in decadenza ha inevitabilmente delle implicazioni su tutti questi popoli, anche nel cado essi stessi non siano in decadenza. È ormai storicamente irreversibile il fatto che questi popoli non possano svilupparsi come se non fosse esistita la civilizzazione europea, come se non avessero avuto contatti con essa. È in questo senso, in quanto civilizzazione unica e mondiale, che quella europea costituisce la decadenza per eccellenza. Una realtà mai prodotta sino ad ora.
  2. Questa è la decadenza della potenza politica dell’Europa; aspetto che non esclude che in altri ambiti non si faccia ancora sentire, ad esempio nel dominio economico, tecnologico e artistico. Detto altrimenti, la decadenza non raggiunge uniformemente tutti i settori. In sovrappiù, gli europei  colgono comunque fascino da questa condizione. Rifiutano di prenderne coscienza perché a permettere loro di vivere bene. Gli europei continuano quindi a vivere come se non esistesse e i cittadini di paesi non europei, messi per la prima volta in contatto tra di loro dagli europei, emigrano in Europa perché anche essi vogliono profittare di tale relativo benessere.. Di fronte a questo afflusso esogeno, gli europei  tentano  di trovare soluzioni che dovrebbero in linea di principio giustificare il mantenimento di tale condizione: il pluriculturalismo, il multietnico ed altre dottrine universalistiche di questo genere. Non vogliono d’altronde rendersi conto che i loro territori sono luoghi privilegiati del terrorismo; un segno di debolezza poiché essi faticano a proteggersi da questa forma di aggressione indiretta.

La decadenza per eccellenza

 

  1. Avendo ricevuto parzialmente la civilizzazione europea, i popoli non europei hanno ugualmente ricevuto i germi di tale decadenza. Sarebbe un errore credere che essi potrebbero discernere tra gli elementi di questa civilizzazione, come si può separare il grano dal loglio. La civiltà europea è pervenuta loro nella sua globalità, nella sua tecnologia come nella sua filosofia.  I paesi non europei certamente l’integrano a modo loro, ma comunque,anche in questo caso, interiorizzano la sua potenza e le sue debolezze. Non è possibile prevedere tutti gli effetti di questo processo nell’insieme del mondo.
  2. È in ragione di questa contaminazione perché c’è decadenza in lei che gli altri popoli faranno fatica a sormontare gli effetti. Si sforzano di tutelarsi rifiutando il regime politico propriamente europeo, nella fattispecie rappresentativo, e instaurano a casa propria un sistema dispotico o semidispotico. Investendosi, però, dell’insegna del socialismo o della democrazia egalitaria, essi integrano elementi che, con ogni probabilità, creeranno delle faglie nel loro modo di governare.
  3. Essendo un dato di fatto la varietà degli scambi che la civilizzazione europea ha introdotto nel mondo, il movimento di decadenza potrà svilupparsi attraverso numerose generazioni, forse durante uno due secoli, prima che possa apparire un nuovo stile di civilizzazione nella sua unità e con le sue norme. Quale sia la durata, il nuovo stile di civilizzazione, anche al di fuori dell’Europa, avrà inevitabilmente un carattere mondiali sta; non è possibile, a meno di un cataclisma,, tornare indietro, segnare una linea su questa acquisizione. Ogni nuova forma di civilizzazione sarà erede di quella europea; poco importa se questa ritrova un altro dinamismo oppure langue per lungo tempo nella propria decadenza.

È per tutte queste ragioni che la decadenza europea  costituisce un caso unico nella storia; che rappresenti l’età d’oro della decadenza in quanto siamo in presenza di una tale ampiezza del fenomeno da poter appena supporre i possibili sviluppi nell’insieme del mondo. In ragione della sua debolezza, l’Europa non ha più avuto la forza di sfruttare le risorse tecnologiche e scientifiche delle quali è stata iniziatrice, per esempio in materia di conquiste spaziali. Sono questi due paesi non europei, gli USA e l’URSS, impregnati della sua civiltà, che lo hanno fatto. Con ogni probabilità altri sistemi egemonici prenderanno parte al concerto tecnologico e svilupperanno altre possibilità aperte dalla civiltà europea.

Affrontare il nostro declino

La questione è di sapere se l’Europa intende compiacersi nella decadenza come se questa fosse una fatalità o ancora come se avesse esaurito l’insieme delle potenzialità della sua civilizzazione. Dando seguito alla risposta da dare a questa questione o noi ci compiaceremo nella decadenza, accentuandola in virtù del nostro attuale benessere fin tanto che durerà oppure, a patto di stimarci capaci di un soprassalto, accettando i conflitti che alimentano ogni vitalità. Credo personalmente alla seconda possibilità. Per conseguirla, tuttavia, credo che ci si debba piegare a due condizioni.

La prima consiste ad assumere la condizione di decadenza, a prenderne quindi coscienza, a riconoscerla in modo da adottare le misure più idonee possibili che, senza dubbio, non ci faranno uscire dalla decadenza, ma permetteranno di instaurare una tregua in attesa che le generazioni successive prendano le misure. Vuol dire che si deve invertire la tendenza attualmente dominante negli spiriti, che si rifugiano illusoriamente nell’utopismo  di  un miglioramento continuo della situazione senza ricorrere ai mezzi necessari. Non non assumeremo consapevolezza della decadenza e non ci daremo i mezzi per una tregua, per una rivitalizzazione in qualche misura durevole, in tanto che noi persisteremo nell’ignorarla e nel fuggire nelle chimere della divagazione futuriste. L’avvenire non è rosa; crediamo che non lo sia unicamente perché continuiamo a ragionare con le categorie del secolo passato (‘800); quelle, quindi, di una espansione materiale, economica e sociale, di una espansione materiale, economica e sociale, dell’estensione della civiltà europea sino ai confini del mondo. Assumere la condizione di decadenza, induce a prevedere il peggio di essa in vista di fermarla, d’impedire che questo arrivi. Se la politica europea è in procinto di fallire, è perché essa si incammina contro una condotta politica lucida che consiste nell’individuare il peggio per darsi i mezzi per  affrontarlo.

Soccombere o persistere

La seconda condizione consiste nel prendere coscienza della nostra identità, a la volta come popolazione particolare e come civilizzazione originale.

Bisogna quindi sapere cosa vuol dire concettualmente identità. Essa implica due elementi: da una parte, la coscienza corrispondente della alterità, dall’altra la coscienza di un passato, di una tradizione.

Chiariamo questi due aspetti.

L’identità è il rapporto a sé in tanto che lo si afferma in ciò che si è. Questa affermazione è indivisibile dal riconoscimento della differenza dall’altro, dell’alterità. Impossibile pensare l’identità senza l’alterità e viceversa. È quindi attraverso l’alterità che appare la determinazione del  significato, essendo questo il rapporto al tutto di cui si fa parte o alle altre parti del tutto. Non possiamo attribuire significato a noi stessi senza rapportarci all’altro. Il senso di una parola si stabilisce attraverso la sua distinzione dalle altre parole; sarebbe sufficiente, altrimenti, una sola parola. Il secondo aspetto è il riferimento a un passato, il riferimento quindi alla durata nel tempo. È nel tempo che io resto identico, non nell’istante. È impossibile restare identico a se stesso mutando senza sosta, senza essere fedele a ciò che si è, a ciò che si è stati e a ciò che si tenterà di restare.

L’identità europea  racchiude lo spirito che fu proprio dell’Europa dalla sua esistenza in tanto che furono gli Europei ad introdurre nel mondo lo spirito filosofico, critico e storico, il regime rappresentativo libero e l’economia della crescita e dell’investimento denominato capitalismo. Ogni identità suppone conservazione; in questo senso sono conservatore.

La conservazione non esclude comunque il cambiamento; al contrario essa è creazione continua nel rispetto della propria identità. Detto altrimenti, l’identità esige un continuo rinnovamento, così come il corpo non si conserva  se non creando ripetutamente nuove cellule. L’identità europea risiede nella capacità della propria civilizzazione di uscire dagli stereotipi, di uscire da un tempo prefissato, di rinnovarsi continuamente nella critica. Tutto questo possibile se non si accetta preliminarmente la libertà. Il tempo è alla volta corruttore e creatore; l’importante è la conservazione creativa che tiene in scacco l’unilateralità, quindi in termini sociali la decadenza.

Di per sé il tempo è indifferente, fluisce. Lo trasformiamo in storia dandogli la dimensione del passato, del presente e del futuro; non si può introdurre queste dimensioni che attraverso l’azione cosciente, cioè l’azione meditata. Attraverso le loro azioni gli uomini danno consistenza al tempo, sia queste azioni siano intese nel senso di una crescita, di una ascesa, sia che in quello di una corruzione, di una decadenza. Il fatto è che l’Europa non è più in una fase ascensionale, bensì in una decadente. La decadenza, però, non esclude di poterla contrastare, a patto di averne la volontà. Non fosse altro che per darci dei nuovi mezzi nella stessa azione.

Soccombere o perdurare? L’Europa soccomberà se continua a farsi illusioni per via del rifiuto dell’idea di decadenza. Se l’assumiamo, rimangono le possibilità. La possibilità, diceva Pasteur, non sorride se non a quelli che sono preparati e che sanno tentarla. Non ha alcuna possibilità di essere acquisita da chi rifiuta l’iniziativa, di intervenire nel corso degli eventi.

(Testo recuperato da Gilles Banderier grazie all’autorizzazione di Jean Noel, René e Jacques Freund)

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