Il debito pubblico è bellissimo!-di Davide Gionco

Riceviamo e pubblichiamo. Gran parte del problema risiede nel moltiplicatore e soprattutto nel grado di indipendenza, sovranità e potenza di un paese che non è determinato soltanto dal controllo della moneta e dalla gestione del risparmio nazionale_Giuseppe Germinario

Il debito pubblico è bellissimo!

di Davide Gionco

In un precedente articolo ci siamo occupati del debito buono e del debito cattivo.
Un debito è generalmente buono quando è sostenibile dal debitore, diventando uno strumento per investimenti produttivi, per la realizzazione di cose utili per il debitore.
Un debito è sempre cattivo quando non è sostenibile dal debitore. In tal caso può generare debiti a catena nella società, creando grave danno (si pensi ai debiti subprime della Lehman Brothers che portarono alla crisi economica del 2008). Oppure il debito insolvibile viene perpetuato nel tempo, trasformandosi in un meccanismo di schiavitù nei confronti di persone, classi sociali o interi popoli.

Nel presente articolo vogliamo occuparci specificamente del debito pubblico.
Come per il debito privato, anche il debito pubblico è una cosa molto utile alla nazione che lo emette, naturalmente.
Possiamo dire che il debito pubblico è bellissimo. A patto che, naturalmente, sia sostenibile.

Quali sono le funzioni utili del debito pubblico sostenibile?

 

Il debito pubblico è uno strumento di risparmio
La prima funzione è consentire ai risparmiatori di investire in modo sicuro, al riparo dei rischi della borsa e della speculazione finanziaria. La Costituzione della Repubblica Italiana cita testualmente “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare…”
Quale modo migliore di garantire il risparmio dei cittadini che quello di garantire la restituzione del capitale, con un tasso di interesse stabilito? Lo Stato è a tutti gli effetti una cassa di risparmio pubblica, alla quale i cittadini affidano i propri risparmi e la quale garantisce che vengano restituiti con gli interessi, al tempo pattuito. Mentre nelle banche private questo avviene scrivendo sui libri della banche l’importo versato dal cittadino, nella banca pubblica questo avviene consegnando al cittadino un certificato di deposito, denominato titolo di stato.
Ma non solo questo. Il tasso di interesse riconosciuto sui titoli di stato diventa inevitabilmente un punto di riferimento per tutti gli altri investimenti finanziari.
Se lo Stato garantisce il 3% di interessi sui titoli, chi mai andrebbe ad investire i propri risparmi in azioni in borsa, il cui rendimento viene stimato al massimo al 2%.
Nello stesso tempo se i titoli di stato garantiscono un rendimento netto del 2%, un imprenditore riterrà conveniente investire i propri fondi nella propria azienda in cui si prospetti un rendimento dell’investimento del 3-4%. Ed una banca
Il fatto che lo Stato possa emettere titoli ad un tasso di interesse determinato risponde appieno a quanto richiesto dall’art. 47 della Costituzione.

Il debito pubblico mette in circolazione i capitali a vantaggio degli investimenti pubblici
Una seconda funzione del debito pubblico è mettere in circolazione i capitali dei risparmiatori, che diversamente resterebbero immobili e improduttivi o che verrebbero investiti su mercati esteri.
Questa funzione era particolarmente importante prima del 1971, quando vigeva ancora il gold standard, ovvero quando la quantità di denaro che poteva essere emessa era limitata dalla quantità d’oro delle riserve della banca centrale. In questa situazione tenere delle banconote ferme nella cassaforte era uno “spreco”, in quanto quel denaro avrebbe potuto essere usato per degli investimenti, consentendo di produrre beni e servizi utili, che non sarebbero stati prodotti se quei soldi fossero stati conservati inoperosi nei forzieri.
Un caso storico esemplare è l’unico caso che si ricordi in cui uno stato ha pagato tutto il proprio debito pubblico. Nel 1584 la Repubblica di Venezia decise di estinguere il proprio debito pubblico, con l’obiettivo di risparmiare l’oneroso pagamento degli interessi, che ammontavano al 16% annuo.
Contrariamente alle aspettative del provveditore sopra i beni comunali Zuan Francesco Priuli, i risultati dell’estinzione del debito pubblico furono molto diversi da quelli attesi: i ricchi commercianti veneziani, non avendo più un luogo sicuro “pubblico” in cui investire i propri risparmi, si indirizzarono verso le banche private o verso titoli pubblici emessi in altri stati del tempo (Ducati di Ferrara, Mantova, Modena, Milano; Repubblica di Genova o di Firenze). Se prima la liquidità prestata alla Serenissima veniva utilizzata per investimenti pubblici, come ad esempio la costruzione di navi da guerra per fare fronte all’avanzata dell’Impero Ottomano, ora la liquidità veniva investita secondo gli interessi di altri stati o delle banche private, che erano diversi dall’interesse pubblico.
Le conseguenze della riforma proposta dal Priuli furono il declino politico della Repubblica di Venezia, causa mancanza di investimenti pubblici.

Il debito pubblico consente di diminuire le tasse
Una terza funzione del debito pubblico, quella che il Priuli non aveva compreso, è consentire allo Stato di finanziare il proprio funzionamento raccogliendo meno tasse.
Prendiamo come esempio il bilancio previsionale dello Stato per il 2020, presentato prima della crisi del coronavirus, che ha evidentemente mandato all’aria ogni previsione.

La previsione per il 2020 era di fare fronte 660 miliardi di spesa pubblica avendo delle entrate pari a 536 miliardi di euro. Se avessimo dovuto finanziare tutto il bilancio del 2020 pagando le tasse, avremmo dovuto pagare ben (660-563 =) 124 miliardi di tasse in più sui 512 miliardi di tasse previste, pari al 24% di tasse in più che dovremmo in caso di assenza del debito pubblico.

La sostenibilità del debito pubblico
Da che mondo è mondo i grandi debiti non sono mai stati pagati. Quando il debito è grande, non è più un problema del debitore, ma dei creditori.
Già nel 1339 re Edoardo III d’Inghilterra dichiarò bancarotta e si rifiutò di rimborsare i prestiti che aveva ricevuto dai Bardi, banchieri fiorentini. Il fatto si ripeté molte volte nei secoli successivi, da parte dei vari re di Francia, di Spagna, d’Asburgo. Peraltro i banchieri che cosa avrebbero potuto fare? Armare un esercito e dichiarare guerra ai sovrani? In realtà a volte lo facevano, finanziando le guerre di nazioni avversarie dei loro debitori, ma non sempre la manovra finanziaria funzionava.

Questo vale anche per i grandi debiti privati. E’ noto che i grandi (?) imprenditori italiani (Debenedetti, Montezemolo, Lotito, Benetton, ecc.) abbiano facilità di accesso al credito, anche se sono già molto indebitati, mentre la difficoltà di accesso al credito è in genere un problema che riguarda le piccole e medie imprese o le famiglie. Tanto per fare un esempio, nel caso del fallimento del Monte dei Paschi di Siena, poi salvato con fondi pubblici, Sorgenia di Carlo Debenedetti era debitrice di ben 665 milioni di euro. Uno dei molti grandi debiti mai ripagati.

I grandi debiti possono quindi essere cancellati, con grande sventura dei creditori, oppure rinnovati in modo da renderli sostenibili e garantire quantomeno la rendita (gli interessi) ai creditori.

Il debito pubblico, trattandosi di un grande debito, non è quindi qualcosa destinato ad essere ripagato (anche ricordando la sfortunata decisione di Zuan Francesco Priuli del 1584), ma qualcosa destinato ad essere rinnovato. La sostenibilità del debito, quindi, non dipende dal suo importo, né dal rapporto fra i debito ed il prodotto interno lordo (PIL).
Non è un caso che i debiti pubblici più alti del mondo, come quello statunitense e quello giapponese, siano considerati unanimemente sostenibili e quotati con la “tripla A” dalle società di rating. Viceversa vi sono debiti pubblici molto bassi, come quello del Venezuela, che sono considerati a maggior rischio.

La solvibilità di un debito pubblico dipende dalla facilità di un paese di procurarsi il denaro necessario per rinnovare il debito ovvero di pagare gli interessi. In teoria uno stato deve anche essere in grado di rimborsare il capitale dei titoli che ha emesso, ma, statisticamente parlando, se il servizio di risparmio fornito è affidabile, sempre ci saranno degli investitori interessati ad acquistare le nuove emissioni di titoli. L’importante è garantire la possibilità di convertire i titoli in scadenza nel denaro versato per acquistarli, con l’aggiunta degli interessi.

Moneta sovrana e non sovrana
Ora, vi sono sostanzialmente due tipi di debito pubblico: il debito pubblico denominato in moneta non sovrana e il debito pubblico denominato in moneta sovrana.
Per “moneta sovrana” si intende una moneta di cui uno stato è in grado di controllare l’emissione ovvero di emettere nuova moneta nella quantità e nei tempi desiderati, senza vincoli. Uno stato con moneta sovrana non potrà mai restare a corto di moneta, al limite ne potrà stampare troppa.
Viceversa per “moneta non sovrana” si intende un mezzo di pagamento di cui lo stato non può disporre a proprio piacimento. Era ad esempio il caso di Edoardo III d’Inghilterra, che non aveva alcun modo di procurarsi i fiorini d’oro necessari per rimborsare i Bardi. Oppure è stato a più riprese il caso di paesi latinoamericani come l’Argentina, indebitati in dollari con le banche americane. Oppure di molte ex colonie francesi, indebitate in franchi CFA con le due banche centrali controllate dal governo francese, quindi in una valuta fuori dal controllo dei loro governi.
Ed è il caso dell’Italia, indebitata in euro, moneta emessa dalla BCE, fuori dal controllo del governo italiano.
Sono invece paesi a moneta sovrana i paesi in cui la banca centrale, che emette denaro, è controllata ufficialmente, o sostanzialmente, dal governo: Cina, USA, Giappone, Canada, Corea (del Nord e del Sud), Iran, Cuba, Svizzera, ecc.
In realtà vi sono anche delle situazioni “intermedie” in cui la banca centrale è “indipendente” dal potere politico, pur emettendo la moneta ufficiale dalle nazione in cui si trova, per cui non collabora pienamente con il governo nel garantire le emissioni di moneta ritenute politicamente necessarie.

Uno stato a moneta a sovrana, per intenderci, è uno stato ha la “macchina che stampa i soldi”, il quale sempre sarà in grado di stampare il denaro sufficiente a pagare gli interessi ed eventualmente i capitali in scadenza. Ed è risibile la contestazione di chi sostiene che “stampare denaro genera sempre inflazione”, in quanto il nuovo denaro stampato viene destinato a ripagare i risparmiatori (denaro che non destinato ad acquistare beni e servizi, ma a risparmiare) e in quanto un governo accorto sa regolare la spesa pubblica in modo da evitare eccessi di inflazione.

Se il debito pubblico non è espresso in moneta sovrana, diventa un “debito cattivo”, in quanto i creditori, pur non avendo l’interesse che venga tutto ripagato (perché ci vogliono guadagnare gli interessi per lungo tempo), avranno un forte potere contrattuale verso uno stato che si può finanziare solo tramite i creditori ed i contribuenti, senza poter stampare una propria moneta. E questo potere contrattuale lo utilizzeranno per trarre i massimi benefici per loro, naturalmente ai danni dei cittadini, che pagheranno più tasse, per garantire il pagamento di interessi più elevati.
In questo caso, come in quello del debito privato impagabile, il debito pubblico impagabile diventa un meccanismo permanente di sfruttamento, da parte dei creditori, nei confronti della nazione che lo detiene.

A dire il vero ci sono nazioni povere del mondo che hanno la necessità di indebitarsi in valuta estera per poter acquistare tecnologie e competenze estere di cui non dispongono. In questi casi deve valere sempre la stessa regola: il debito deve essere sostenibile, diversamente diventa uno strumento di imperialismo

 

E’ solo una scelta politica
Se il debito pubblico sia uno strumento utile ai cittadini, per le ragioni sopra espresse, oppure se sia un meccanismo di sfruttamento del popolo, dipende unicamente da due fattori: la denominazione del debito (in moneta sovrana o non sovrana) e dal controllo pubblico sulla banca centrale che la emette.
Si tratta di due scelte a costo zero, puramente politiche. Infatti un paese libero e democratico ha tutto il potere di scegliere se emettere titoli di stato nella propria valuta o se emetterli in una valuta fuori dal proprio controllo. Ed ha tutto il potere giuridico di stabilire il controllo pubblico della banca centrale, affinché stampi il denaro necessario a garantire la sostenibilità del debito.

Dopo di che, evidentemente, non tutti i paesi sono liberi e democratici. Un paese sotto il controllo di una potenza straniera (una colonia) emetterà debito in una valuta confacente agli interessi della potenza straniera, garantendole un potente meccanismo di controllo, come lo è il debito pubblico estero della maggior parte dei paesi del Terzo Mondo, costantemente impagabile, costantemente nelle mani di stati/banche dei paesi più ricchi del mondo.
Un paese che emette titoli di stato in euro, moneta emessa da una banca centrale di cui non ha il controllo, sarà sottoposto ad un meccanismo di potere da parte di chi controlla la BCE, che si imporrà sulle decisioni del Parlamento.

Si tratta solo di una decisione politica: se l’Italia desidera essere un paese libero e democratico, dove il debito pubblico è un servizio di risparmio per i cittadini, questo deve essere denominato in valuta nazionale e la Banca d’Italia deve essere posta sotto controllo pubblico (oggi non lo è). Diversamente l’Italia continuerà ad essere soggetta al potere di coloro che controllano la banca centrale che emette gli euro, la BCE, i quali sono sempre più ricchi, proprio mentre il popolo italiano è sempre più povero, secondo lo stesso meccanismo applicato da decenni ai paesi poveri del Terzo Mondo.
E’ quanto spiega Guido Grossi nel suo video Il furto del debito pubblico.

C’è anche chi sostiene che il problema lo si potrebbe risolvere imponendo il controllo pubblico degli “stati europei” sulla Banca Centrale Europea. Da punto di visto tecnico-economico si tratta certamente di una soluzione funzionale. Il problema, però, è la fattibilità politica. Si tratta di una decisione che dovrebbe essere presa all’unanimità da 27 governi, molti dei quali sottoposti ai ricatti ed alle infiltrazioni da parte dei poteri finanziari che controllano la stessa BCE e ne traggono profitto.
Le probabilità che una riforma del genere avvenga in pochi anni sono prossime allo zero, mentre gli effetti di impoverimento dell’Italia sono già in corso da anni e continuano pesantemente.
La via più percorribile, quindi, è che lo stato italiano cominci ad emettere titoli espressi in una valuta parallela all’euro, emettendo esso stesso questa valuta. In questo modo il debito pubblico ritornerebbe a svolgere la funzione “buona” di supporto al risparmio e cesserebbe di essere uno strumento di potere della finanza internazionale sull’Italia.

Il debito buono e il debito cattivo, di Davide Gionco

riceviamo e pubblichiamo_Giuseppe Germinario

Il debito buono e il debito cattivo

di Davide Gionco

L’antropologo David Graeber aveva dedicato un intero saggio (Debito. I primi 5000 anni) al ruolo del debito nella storia dell’umanità, dalle prime civiltà mesopotamiche di cui abbiamo notizia fino alla crisi della Lehman Brothers del 2008.
Il debito è il principale motore dell’economia e, probabilmente, anche della storia dell’umanità. Per fare un esempio, ci eravamo già occupati dell’importanza fondamentale dei prestiti delle banche estere nella storia dell’unificazione dell’Italia sotto la corona dei Savoia. Senza i debiti contratti dal Regno di Sardegna verso le banche, non ci sarebbero stati i fondi per finanziare le guerre di indipendenza ed il corso della storia d’Italia sarebbe stato differente da quello che conosciamo.
Senza il debito gran parte delle case in cui abitiamo non sarebbe stata costruita.
Ma è anche vero che senza il debito molti paesi del Terzo Mondo non sarebbero ridotti in povertà e probabilmente non ci sarebbero i flussi migratori dal Sud del mondo verso il Nord del mondo.
Ci sono persone rovinate dai debiti, ma anche persone che sui debiti hanno costruito la loro fortuna.

Quando un debito è “buono” e quando un debito è “cattivo”?

Il debito non è qualche cosa che esiste in natura, è qualche cosa che nasce dalle relazioni umane. Il concetto di debito, evidentemente, precede l’economia. Ogni volta che diamo la nostra parola promettendo qualche cosa, ci indebitiamo verso l’altra persona, nel senso che ci impegniamo a dare a quella persona quanto pattuito: un oggetto che possediamo, un po’ del nostro tempo e del nostro lavoro o il nostro amore eterno.

Il giudizio sulla bontà del debito lo si dà a partire dalle conseguenze sulla vita reale delle persone. Ho fatto bene a promettere amore eterno a quella persona? Che cosa ci ho guadagnato?
Ho fatto bene a farmi prestare del denaro per acquistare quel macchinario o per prendere casa in centro città?

Il debito economico, di per sé, è solo una registrazione contabile astratta, derivante da un contratto economico, l’impegno a restituire una certa somma denaro in cambio di un bene reale ricevuto (acquisto) o di un prestito ricevuto. Sono pezzi di carta, numeri su dei computers.
Se il debito contratto sia cosa buona o cattiva lo si può giudicare solo dalle conseguenze sulla vita reale delle persone. Non è corretto un approccio etico del tipo “mai indebitarsi”, perché senza indebitamento si fermerebbe il mondo.
Non si potrebbe, ad esempio, ordinare un’automobile: io sono debitore di 20 mila euro verso concessionario, ma il concessionario è debitore verso di me di un’automobile.
Non si potrebbe stipulare un contratto di affitto: io sono debitore mensilmente dell’importo dell’affitto, il proprietario è debitore verso di me nel concedere l’uso del suo appartamento per un mese.
Non si potrebbe stipulare un contratto di lavoro: io sono debitore di 21 giorni al mese del mio lavoro verso l’impresa che mi ha assunto, l’impresa è debitrice verso di me dello stipendio mensile.

Si potrebbe discutere dell’opportunità di indebitarsi prendendo del denaro in prestito, ad esempio da una banca. Se prendo in prestito un credito da 150 mila euro per l’acquisto della casa in cui vivo, che comporta l’esborso di una rata mensile di 400 euro ed il mio lavoro mi consente agevolmente di vivere e di pagare le rate del mutuo, il debito contratto è una cosa buona, in quanto mi consente di acquistare una casa in cui vivere, la quale ha un valore reale. In sostanza quel debito è stato lo strumento per barattare la mia capacità lavorativa con la casa che ho acquistato.
Ovviamente se la casa che ho acquistato non è stato un buon affare, nel senso che era in pessimo stato, da ristrutturare, in un quartiere pieno di criminalità e privo di servizi, non si è trattato di un buon affare. In questo caso, però, la colpa non è dello strumento-debito, ma del mio errore di scelta della casa da acquistare.

I problemi legati alla contrazione del debito li si hanno quando il debito risulta non sostenibile, per cui l’impegno di restituzione ci porta a doverci privare di cose vitali. Il debito inizia ad essere un problema se per mettere insieme i 400 euro al mese della rata del mutuo mi trovo obbligato a rinunciare alle spese non essenziali che costituiscono il mio benessere. Ma il debito diventa un vero problema (“cattivo”) quando per rimborsarlo devo privarmi di beni essenziali per la mima esistenza, quali la casa in cui vivere, i vestiti, il cibo e, magari, il debito impagabile mi precipita in una situazione umana che mi fa perdere anche gli affetti più cari.
Nell’antichità la mancata restituzione del debito poteva portare non solo alla perdita di tutti i propri beni, ma anche alla riduzione in schiavitù del debitore, con moglie e figli, fino a che, lavorando, non avessero restituito quanto dovuto. Oggi le conseguenze del non pagamento del debito non arrivato a questi livelli. Il tutto dipende da come la questione viene gestita a livello giuridico.

La questione centrale del debito è dunque la sostenibilità.
Quando il debito non è sostenibile, porta sempre il debitore a cadere in situazioni umanamente inaccettabili: povertà, anche estrema, e forme di schiavitù.
Per quanto riguarda il creditore, in alcuni casi subirà anch’esso delle conseguenze a causa del mancato rimborso, che gli comporterà come minimo delle perdite finanziarie (denaro prestato e non restituito), ma anche conseguenze più gravi se quel denaro prestato doveva a sua volta essere restituito ad altri. In questi casi l’insolvenza del debitore si propaga coinvolgendo la catena dei creditori.

Ci sono anche casi nei quali il creditore non teme il mancato rimborso, vuoi perché dispone di ampie riserve di ricchezza, vuoi perché dispone del diritto giuridico di creare dal nulla, a certe condizioni, il denaro che presta ai debitori.
Un caso classico è quello degli usurai, degli strozzini, i quali dispongono di molto denaro, che prestano ai debitori a condizioni particolarmente vantaggiose per il creditore e svantaggiose per il debitore, il quale non dispone di sufficiente potere contrattuale per esigere delle condizioni più accettabili.
Una persona che abbia assoluto bisogno di denaro per sopravvivere sarà sempre disposta ad accettare delle condizioni capestro ed anche a rivolgersi a prestatori che operano al di fuori dal quadro giuridico ovvero dalle tutele che la legge riconosce ai debitori nei confronti dei creditori. Sono situazioni in cui chi dispone del denaro da prestare ha il potere contrattuale di imporre condizioni legalmente e umanamente non accettabili. Ad esempio la condizione per cui se il debito non viene ripagato sono previsti danni fisici al debitore ed ai suoi famigliari.
Una situazione simile la si ha anche quando i prestatori sono le banche che operano (almeno dovrebbero farlo) dentro il quadro giuridico vigente. Se il debitore è un piccolo artigiano che ha bisogno di credito per pagare le troppe tasse impostegli dal Fisco, è molto probabile che anche la banca approfitti della situazione per quanto le è possibile, dato che quel debitore ha un basso potere contrattuale.
Se, invece, colui che chiede credito è una grande azienda di livello nazionale o internazionale, di cui magari la banca dispone della proprietà di quote ingenti del pacchetto azionario, state certi che le condizioni del credito saranno molto più agevolate, in quanto il debitore ha un forte potere contrattuale.

Da che mondo è mondo, i piccoli debiti sono sempre stati rimborsati o hanno a portato a situazioni di sfruttamento, mentre i grandi debiti sono sempre stati rinegoziati, rifinanziati, eventualmente scaricati su soggetti più deboli (piccoli risparmiatori, si pensi al caso dei Tango Bonds) o eventualmente scaricati nel calderone del debito pubblico (si pensi al caso del Monte dei Paschi di Siena).

Quando un debito a carico di soggetti deboli, a basso potere contrattuale, risulta impagabile ed il soggetto creditore non ha la necessità di essere rimborsato (perché non ha bisogno di denaro), il creditore userà il proprio potere contrattuale per trarre altri vantaggi economici, tentando di trasformare una momentanea situazione di insolvenza in una permanente e perpetua situazione di potere sul debitore, imponendo su di esso delle condizioni per il rinnovo del debito. Il debitore non avrà scelta, non essendo in grado di rimborsare il debito contratto
Il caso tipico è quello di molti paesi de Terzo Mondo, i quali hanno nei decenni passati ricevuto prestiti da parte del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale o da parte di gestori di grandi fondi di investimento internazionali. Quando il debito arrivato in scadenza non può essere rimborsato, i creditori lo rinnovano alle seguenti condizioni:
1) Che alla prossima scadenza il debito sia certamente non ripagabile, obiettivo che viene raggiunto imponendo tassi di interesse sufficientemente alti.
2) Che il debitore metta in atto delle azioni che consentiranno ai creditori di trarre altri tipi di profitti, azioni del tipo: privatizzazioni di servizi pubblici e concessioni esclusive su risorse naturali (minerarie, agricole, turistiche, ecc.)
In questo mondo il rapporto creditore-debitore cessa di essere un rapporto di cooperazione economica (caso del debito “buono” in cui il prestito porta sviluppo) e diventa un meccanismo di sfruttamento perenne da parte dei (pochi) creditori nei confronti dei (molti) debitori.

Il problema è noto fin dagli albori delle società umane. Se ne era già occupato intorno al 1’700 a.C. il re sumero di Lagash con la legge AMA-GI che affrancava tutti i debitori dai creditori, restituendo loro la libertà. Se ne erano già occupati gli antichi Israeliti, le cui leggi prevedevano ogni 50 anni il Giubileo ovvero la cancellazione di tutti i debiti. Se ne era occupato, nell’antica Repubblica di Roma, anche il tribuno della plebe Licinio Sextio, quando il meccanismo dei debiti era quello che consentiva ai ricchi patrizi di imporre costantemente i loro interessi sopra quelli dei poveri plebei.
Sarebbe bene che anche oggi ci si occupasse della questione in modo umano e intelligente, ricordandosi che il denaro prestato non è un valore in sé, mentre un valore in sé è la vita delle persone. La cancellazione dei debiti, a determinate condizioni, è una soluzione da prendere in considerazione, se questi sono diventati un meccanismo di sfruttamento di pochi nei confronti di molti, sapendo che quei pochi non hanno affatto bisogno di quel denaro per vivere.
Non stiamo parlando di “giustizia sociale”, ma stiamo parlando di umanità nei rapporti sociali, nei quali lo sfruttamento non deve mai essere consentito, neppure se il creditore ha delle ragioni giuridiche, in quanto il diritto alla vita delle persone è più importante (anche economicamente parlando) dei diritti dei creditori nei confronti dei debitori.

Abbiamo accennato sopra ai creditori che hanno il potere, a certe condizioni, di creare da nulla il denaro che prestano. Questo è il caso delle banche commerciali che, oggi, possono creare il denaro che prestano a fronte di certe garanzie presentate alla banca centrale e, naturalmente, a fronte di certe garanzie che il denaro prestato venga restituito. Se il denaro creato viene restituito, scompare dal bilancio, lasciando al prestatore solo gli utili, che sono gli interessi. Si tratta di un meccanismo simile a quello rappresentato dal comico Erminio Macario in un suo famoso sketch.
La cosa importante è che la restituzione del prestito sia garantita. O, se non è garantita in modo totale, che l’imposizione delle successive condizioni di rinnovo del debito (ad esempio lo sfruttamento a proprio vantaggio di risorse minerarie) consentano al prestatore di far rientrare i capitali prestati insieme a degli utili.

Questo meccanismo del debito perenne sta alla base delle maggiori forme di sfruttamento oggi esistenti nel Pianeta, sia nei confronti della fasce povere della popolazione (i ricchi sfruttano i poveri, dai tempi del re di Lagash ad oggi), sia nei confronti delle nazioni povere del mondo.

In questo articolo non ci siamo occupati delle questione relative al debito pubblico, ne parleremo in un prossimo articolo.

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