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Additive Manufacturing: l’impatto sulla geopolitica e il trasporto marittimo, di Alberto Cossu

Additive Manufacturing: l’impatto sulla geopolitica e il trasporto marittimo

Autore: Alberto Cossu – 09/06/2025

Additive Manufacturing: l’impatto sulla geopolitica e il trasporto marittimo

Alberto Cossu

Introduzione

La globalizzazione, spinta dall’ottimizzazione dei costi e dall’efficienza delle catene di approvvigionamento, ha profondamente rimodellato il panorama manifatturiero mondiale negli ultimi decenni. Questo modello, caratterizzato da una produzione frammentata su scala globale e da un’intensa dipendenza dal trasporto marittimo per la movimentazione di beni semilavorati e prodotti finiti, ha innegabilmente favorito la crescita economica e l’accesso a beni di consumo a prezzi competitivi. Tuttavia, la sua complessità intrinseca ha anche rivelato significative vulnerabilità. Eventi imprevisti come disastri naturali, tensioni geopolitiche o, più recentemente, pandemie globali, hanno esposto la fragilità di queste reti interconnesse, causando interruzioni diffuse, carenze di prodotti e una volatilità senza precedenti nei mercati. La resilienza delle catene di approvvigionamento è diventata, quindi, una priorità strategica per governi e imprese, spingendo verso la ricerca di modelli produttivi alternativi e più robusti.

In questo contesto di crescente incertezza e di ricerca di maggiore agilità, emerge con forza la produzione additiva, comunemente nota come stampa 3D e 4D, come una tecnologia dal potenziale trasformativo radicale. Lontana dalle sue origini come mero strumento per la prototipazione rapida, la manifattura additiva ha raggiunto oggi livelli di maturità e precisione tali da consentire la produzione di componenti complessi e prodotti finiti con una gamma crescente di materiali, dai polimeri ai metalli. La sua capacità di costruire oggetti strato dopo strato, partendo da un design digitale, introduce paradigmi produttivi fondamentalmente diversi da quelli sottrattivi o formativi tradizionali. Questo cambiamento non è solo incrementale; rappresenta una discontinuità che promette di ridefinire i processi industriali, la logistica e persino la geografia economica.

L’affermazione della produzione additiva è destinata a provocare una rivoluzione profonda nelle catene di approvvigionamento globali, catalizzando un significativo spostamento verso la localizzazione della manifattura e, di conseguenza, una trasformazione dei tradizionali flussi di trasporto marittimo.

La stampa 3D consente la produzione su richiesta, la personalizzazione di massa e una riduzione drastica della necessità di stoccaggio e movimentazione di prodotti finiti, spostando il focus logistico verso la gestione di materie prime. Le implicazioni economiche, operative e strategiche di questa transizione, comportano sfide e opportunità per l’industria, il sistema logistico e le politiche commerciali globali. Infine, si delinea un futuro in cui la logistica diventerà più snella, distribuita e intrinsecamente legata alle capacità produttive locali, ridefinendo il concetto stesso di “mercato globale”.

II. I Fondamentali della Produzione additiva

La produzione additiva rappresenta un paradigma di fabbricazione radicalmente diverso dai metodi tradizionali. Al suo nucleo, la stampa additiva consiste nella costruzione di oggetti tridimensionali strato dopo strato, basandosi su un modello digitale creato tramite software di progettazione assistita dal computer (CAD).[1]

Questa metodologia consente la realizzazione di geometrie di una complessità ineguagliabile con i processi tradizionali. Le tecnologie si differenziano in base al materiale utilizzato e al metodo di

solidificazione.

I vantaggi intrinseci della produzione additiva sono molteplici e catalizzano il suo ruolo dirompente. Innanzitutto, offre una libertà di design quasi illimitata, permettendo la creazione di strutture interne complesse, reticoli ottimizzati e parti consolidate che riducono il numero di componenti in un assemblaggio finale.

 Questo non solo migliora le prestazioni e riduce il peso, ma semplifica anche la catena di montaggio. La capacità di produrre su richiesta (on-demand production) elimina la necessità di grandi inventari, riducendo i costi di magazzino e lo spreco di materiali. Inoltre, la personalizzazione di massa diventa economicamente fattibile, consentendo di adattare i prodotti alle esigenze specifiche del cliente senza costi aggiuntivi proibitivi. I tempi di prototipazione e sviluppo del prodotto sono drasticamente ridotti, accelerando notevolmente l’innovazione.

Nonostante questi progressi, la produzione 3D affronta ancora diverse sfide che ne limitano l’adozione su vasta scala in alcuni settori. La velocità di produzione rimane un fattore limitante per la manifattura di massa di grandi volumi, sebbene la tecnologia sia in continua evoluzione. Esistono ancora limitazioni sui materiali, sia in termini di varietà sia di proprietà meccaniche rispetto ai materiali convenzionali, sebbene la ricerca stia rapidamente ampliando il portafoglio.

Molti processi richiedono post-elaborazione significativa (es. rimozione di supporti, finitura superficiale, trattamenti termici) che aggiunge tempo e costo al ciclo produttivo. Infine, gli investimenti iniziali in macchinari industriali e i costi dei materiali specializzati possono essere elevati, e le questioni relative alla garanzia di qualità e alla standardizzazione delle parti stampate in 3D sono ancora in fase di definizione per applicazioni critiche.[2]

Nonostante queste sfide, i rapidi avanzamenti tecnologici e l’abbattimento progressivo dei costi stanno rendendo la produzione additiva sempre più competitiva e accessibile per un’ampia gamma di applicazioni industriali.

III. L’Imperativo della Localizzazione: Produzione additiva e Manifattura Decentralizzata

L’ascesa della produzione additiva non è semplicemente un’evoluzione tecnologica; è il motore di un profondo ripensamento della logica manifatturiera globale, che spinge con forza verso modelli di produzione localizzata e decentralizzata. Questo imperativo nasce da una confluenza di fattori economici e strategici, amplificati dalle capacità uniche della stampa 3D.

Sul fronte degli stimoli economici e strategici alla localizzazione, il più evidente è la riduzione dei costi di trasporto e dei tempi di consegna dei prodotti finiti. Eliminando la necessità di spedire componenti e beni assemblati attraverso lunghe distanze geografiche, le aziende possono tagliare significativamente le spese logistiche e ridurre i tempi di attesa per i consumatori finali.

Questo è particolarmente vero per prodotti ad alto valore aggiunto, con geometrie complesse o che richiedono una forte personalizzazione. Un altro driver cruciale è la mitigazione dei rischi della catena di approvvigionamento. La pandemia di COVID-19 ha evidenziato in modo drammatico la vulnerabilità delle catene globali eccessivamente estese, esponendo le imprese a interruzioni improvvise e carenze critiche.[3]

 La produzione localizzata, abilitata dalla stampa 3D, consente alle aziende di creare hub di produzione regionali o persino locali, aumentando la resilienza contro shock esterni (come disastri naturali, conflitti geopolitici o blocchi commerciali) e garantendo una maggiore stabilità nella fornitura. Inoltre, la capacità di rispondere rapidamente alla domanda dei consumatori per prodotti personalizzati e di provenienza locale è un vantaggio competitivo sempre più rilevante. I consumatori sono sempre più attenti all’origine dei prodotti e desiderano opzioni personalizzate, un’esigenza che la manifattura additiva può soddisfare in prossimità del punto di consumo, riducendo anche l’impatto ambientale legato al trasporto[4]. La produzione su richiesta riduce drasticamente anche i costi associati alla gestione dell’inventario e all’obsolescenza dei prodotti, liberando capitali e spazio prezioso.

A rendere possibile questa transizione verso la produzione in loco sono gli abilitatori tecnologici che hanno trasformato la stampa 3D da strumento di prototipazione a vero e proprio metodo di produzione industriale. I progressi nella compatibilità dei materiali hanno ampliato la gamma di applicazioni della stampa 3D, includendo metalli ad alte prestazioni, ceramiche avanzate e polimeri con proprietà meccaniche e termiche superiori, rendendo le parti stampate adatte a usi finali critici[5].

 Parallelamente, lo sviluppo di stampanti 3D su scala industriale, con volumi di costruzione maggiori e velocità di processo incrementate, ha reso economicamente fattibile la produzione di lotti più ampi. È emerso il concetto di “micro-fabbriche”, piccole unità di produzione automatizzate che possono essere dislocate strategicamente vicino ai mercati o ai centri di consumo, operando con un’efficienza e una flessibilità elevate.

 L’integrazione della produzione additiva con l’intelligenza artificiale (AI), l’Internet delle Cose (IoT) e la robotica sta ulteriormente potenziando la manifattura distribuita, permettendo processi più intelligenti, autonomi e ottimizzati, che possono essere gestiti da remoto e adattarsi rapidamente alle variazioni della domanda o delle forniture.[6]

Numerose industrie stanno già adottando o esplorando la produzione 3D localizzata. Nel settore aerospaziale, la stampa 3D viene utilizzata per produrre pezzi di ricambio su richiesta direttamente nei centri di manutenzione, riducendo i tempi di fermo degli aeromobili e il costoso stoccaggio di migliaia di componenti obsoleti. Nel campo dei dispositivi medici, la possibilità di stampare impianti, protesi e guide chirurgiche personalizzate sul paziente, in ospedali o centri specializzati, sta rivoluzionando la cura della persona. L’industria automotive sfrutta la stampa 3D per prototipazione rapida, produzione di utensili personalizzati e, in misura crescente, per componenti finali leggeri o di design specifico. Anche i settori dei beni di consumo stanno sperimentando la stampa 3D per offrire opzioni di personalizzazione su scarpe, occhiali o articoli per la casa direttamente nei punti vendita o in centri di produzione regionali, segnando un netto spostamento verso un modello più reattivo e personalizzato di fornitura.

IV. Impatto sulla Logistica Marittima Globale

Lo spostamento verso la produzione localizzata, abilitato dalla manifattura additiva, è destinato a ridisegnare il paesaggio della logistica marittima globale. Le attuali dinamiche di trasporto, profondamente radicate nel movimento di enormi volumi di beni finiti attraverso gli oceani, subiranno una trasformazione che ne altererà non solo la quantità ma anche la tipologia di merci trasportate e le rotte prevalenti.[7] Sebbene il numero di studi riguardo all’impatto della diffusione dell’AM sui traffici marittimi siano ancora limitati si può dire quanto segue[8].

Il primo e più significativo impatto sarà la diminuzione della domanda di trasporto di prodotti finiti a lunga distanza. Man mano che la produzione si avvicina ai mercati di consumo, la necessità di spedire beni come elettronica di consumo, ricambi automobilistici, dispositivi medici e persino articoli di abbigliamento dall’Asia all’Europa o alle Americhe diminuirà.

“The maritime and shipping industry, one of the streams of logistics and supply chain networks, is expected to be revolutionized by the mainstreaming of AM. It is reported that the industry is serving more than 90% of global trade and providing employment to an estimated 1.65 million seafarers worldwide . A recent study showed that AM has the potential to reduce the transportation of finished products and increase the shipping volume of raw materials.

Consequently, it can significantly impact maritime communities (shipping owners,manufacturers and operators), traditional manufacturing industries and businesses”.[9]

“Recently, the impact of AM on car shipping supply chain logistics in the Middle Eastern region has been quantitatively studied predicting a 26–39% reduction in ton-miles of shipping by 2040” [10]

Invece di trasportare un prodotto completamente assemblato, pesante e voluminoso, si trasporteranno le materie prime necessarie per stamparlo localmente. Questo significa un potenziale calo nel traffico di container marittimi carichi di merci finite, che costituiscono la spina dorsale del commercio globale moderno. [11]

Il focus si sposterà, invece, sul trasporto di volumi più piccoli ma specializzati di materie prime per la stampa 3D, come polveri metalliche, polimeri granulari, resine e filamenti. Questo cambiamento di tipologia di carico influenzerà l’intera filiera del trasporto, dalle navi ai porti.

Questa trasformazione porterà a un cambiamento significativo nelle rotte commerciali e nelle dinamiche portuali. I grandi hub portuali che hanno prosperato come snodi per l’import-export di prodotti finiti, soprattutto quelli che gestiscono enormi volumi di container, potrebbero vedere una contrazione del loro traffico principale.[12]

La loro centralità potrebbe essere messa in discussione se la maggior parte della produzione si decentralizza. Parallelamente, potremmo assistere all’ascesa di porti specializzati nella movimentazione di materie prime per la manifattura additiva, fungendo da centri di distribuzione per polveri e altri materiali verso le nascenti “micro-fabbriche” terrestri.

Questo richiederà nuovi investimenti in infrastrutture portuali e tecnologie di movimentazione dedicate a questi specifici tipi di carico, potenzialmente più sensibili a umidità o contaminazione. L’impatto sulla redditività delle maggiori compagnie di navigazione e degli spedizionieri sarà profondo, costringendoli a riadattare le loro strategie, passando da un modello basato sul volume di prodotti finiti a uno orientato alla gestione di catene di approvvigionamento di materie prime più complesse e di nicchia.

Pertanto la rivoluzione additiva aprirà anche a nuove opportunità per la logistica marittima. Un’area chiave sarà lo sviluppo di catene di approvvigionamento efficienti per le materie prime della manifattura additiva. Questo richiederà soluzioni logistiche innovative per il trasporto, lo stoccaggio e la gestione di materiali spesso costosi e delicati, garantendo purezza e tracciabilità. Inoltre, sebbene la produzione di massa di beni di consumo si localizzi, alcune componenti ad alto valore o di dimensioni eccezionali stampate in 3D (come grandi strutture aerospaziali o parti di macchinari industriali specializzati) potrebbero ancora richiedere il trasporto internazionale, creando un segmento di mercato per servizi di spedizione altamente specializzati e a valore aggiunto.

Infine, un’opportunità trasformativa risiede nello sviluppo di “shipping hubs” che integrano direttamente strutture di produzione additiva all’interno o in prossimità dei porti. Questi porti potrebbero evolvere da meri punti di transito a veri e propri centri manifatturieri, dove le materie prime arrivano via nave, vengono immediatamente trasformate in prodotti finiti tramite stampa 3D e poi distribuite ai mercati locali o regionali. Questo modello massimizzerebbe l’efficienza, riducendo ulteriormente i tempi di consegna e la complessità logistica.

V. Implicazioni Economiche e Geopolitiche

L’onda d’urto della produzione additiva si estende ben oltre le singole catene di approvvigionamento e i flussi logistici, toccando le fondamenta stesse dell’economia globale e le dinamiche geopolitiche. La localizzazione della manifattura, guidata dalla stampa 3D, non è solo una questione di efficienza o resilienza; è un fattore di trasformazione che ridefinirà il potere economico e la sicurezza nazionale. Inoltre si estenderà alle esplorazioni spaziali:

Astronauts can print tools and[13] replacement parts on-demand, reducing the need for costly resupply missions. NASA recently made the bold claim that it wants to use AM to build habitable structures on the moon by 2040. Researchers have made a great deal of progress printing objects with simulated lunar soil, so this goal may be in reach, especially with so many advancements in additive construction”. La missione italiana “small mission to Mars” prevede per esempio la produzione di manufatti in loco con materiali disponibili sul suolo marziano.[14] 

Il primo e più ampio impatto si manifesta nella riconfigurazione delle catene del valore globali. Il modello predominante, basato sulla frammentazione della produzione e sulla sua distribuzione geografica per sfruttare i vantaggi di costo e scala, si è tradotto in catene lunghe e complesse. La manifattura additiva consente un accorciamento radicale di queste catene, promuovendo un modello più agile e spesso regionale.

Le aziende possono ridurre la dipendenza da un’unica base produttiva globale, optando per una rete di impianti distribuiti che servono mercati locali o continentali.[15] Questo potrebbe portare a una diminuzione della “esternalizzazione” (offshoring) di alcune fasi produttive a favore di una “re-industrializzazione” (reshoring) o “vicinanza” (nearshoring), con conseguenze significative sulla bilancia commerciale dei paesi e sulla creazione di valore aggiunto interno.

Per le nazioni in via di sviluppo, l’avanzamento della produzione 3D presenta un duplice scenario. Da un lato, offre un’opportunità senza precedenti di saltare fasi industriali tradizionali, passando direttamente a una manifattura avanzata e ad alto valore aggiunto. Paesi che non hanno le infrastrutture o i capitali per stabilire grandi fabbriche convenzionali potrebbero investire in hub di stampa 3D, creando economie di nicchia specializzate in prodotti personalizzati o complessi. Questo potrebbe stimolare l’imprenditorialità locale e ridurre la dipendenza dalle importazioni di beni finiti, contribuendo a una maggiore industrializzazione endogena.

Dall’altro lato, c’è il rischio che questi paesi, in particolare quelli la cui economia è fortemente dipendente dalla manifattura a basso costo per l’esportazione, possano essere lasciati indietro. Se le nazioni più avanzate riportano la produzione in patria, i paesi in via di sviluppo potrebbero subire un calo delle esportazioni e una perdita di posti di lavoro, ampliando il divario economico e tecnologico se non riescono ad adattarsi e a investire in nuove competenze e infrastrutture.

Dal punto di vista della sicurezza nazionale e della resilienza strategica, la capacità di produrre beni critici internamente è un vantaggio inestimabile. In tempi di crisi (sanitarie, economiche, geopolitiche), la dipendenza da catene di approvvigionamento estere per farmaci, dispositivi medici, componenti per la difesa o infrastrutture essenziali si è dimostrata una vulnerabilità significativa.

 La produzione additiva permette ai paesi di rafforzare la propria autonomia strategica, garantendo la disponibilità di beni vitali anche quando le rotte commerciali internazionali sono interrotte o quando i rapporti geopolitici si deteriorano. Questa capacità di fabbricazione interna è cruciale non solo per la risposta alle emergenze ma anche per il mantenimento di un’industria della difesa robusta e per la protezione delle proprietà intellettuali sensibili.

Infine, l’impatto sul mercato del lavoro sarà profondo. La transizione verso la manifattura additiva comporterà una significativa riallocazione delle competenze. Mentre i lavori di assemblaggio e produzione a basso costo e ad alta intensità di manodopera, tipici della manifattura tradizionale, potrebbero diminuire a causa dell’automazione e della localizzazione, aumenterà drasticamente la domanda di professionisti altamente qualificati.

Questi includeranno ingegneri additivi, specialisti nella progettazione per la stampa 3D, tecnici di manutenzione per le stampanti avanzate, esperti di scienza dei materiali e ingegneri del software per la gestione dei flussi di lavoro digitali. Questo richiederà investimenti sostanziali nella formazione e riqualificazione della forza lavoro per garantire che le popolazioni siano preparate per i lavori del futuro, mitigando il rischio di disoccupazione strutturale.

VI. Sfide e Prospettive Future

Nonostante il potenziale trasformativo della produzione additiva e la sua crescente adozione, il cammino verso una sua piena integrazione nelle catene di valore globali è ancora costellato di sfide significative. Superare questi ostacoli sarà fondamentale per realizzare appieno la promessa della localizzazione e della resilienza manifatturiera.

Uno dei principali ostacoli è la carenza di normative e standardizzazione internazionali complete per le parti prodotte con tecnologie additive.

A differenza della manifattura tradizionale, dove esistono decenni di standard consolidati per materiali e processi, la produzione additiva è ancora relativamente nuova ed ha bisogno di tempo.[16] Questo rende più complesso garantire la qualità, la ripetibilità e l’affidabilità delle parti stampate, specialmente in settori critici come l’aerospaziale, il medico o l’automotive, dove la sicurezza e le prestazioni sono essenziali.

Sono necessari sforzi concertati a livello globale per sviluppare protocolli di test, certificazioni dei materiali e delle macchine, e linee guida per la progettazione e la produzione che possano infondere fiducia nell’affidabilità dei componenti additivi. Inoltre, emergono questioni complesse relative alla proprietà intellettuale dei file digitali che sono la base della produzione 3D, richiedendo nuovi quadri giuridici.

Un’altra sfida cruciale riguarda lo sviluppo delle infrastrutture necessarie per supportare una rete di produzione più distribuita. La transizione verso hub di manifattura locali o “micro-fabbriche” richiede investimenti significativi non solo in macchinari per la stampa 3D, ma anche in un’infrastruttura energetica affidabile e, idealmente, sostenibile, nonché in una connettività digitale robusta.

La gestione dei nuovi flussi di materie prime e dei potenziali rifiuti generati dai processi additivi locali richiederà anche sistemi logistici e di smaltimento adattati. La disponibilità di una forza lavoro qualificata è altrettanto critica, con la necessità di programmi di formazione e riqualificazione per formare i tecnici, gli ingegneri e i designer del futuro.

È importante riconoscere che il ritmo di adozione della produzione additiva sarà graduale e diseguale. Non tutte le industrie o i tipi di prodotti sono ugualmente adatti alla stampa 3D con le attuali tecnologie e costi. Settori come l’aerospaziale e il medicale, con la loro enfasi su personalizzazione, complessità e valore aggiunto elevato per unità, sono stati tra i primi ad abbracciare la tecnologia.

Tuttavia, per la produzione di massa di beni di consumo a basso costo, le tecniche tradizionali rimangono spesso più efficienti. La velocità con cui la stampa 3D si affermerà dipenderà dai continui progressi tecnologici (soprattutto in velocità e costi), dalla maturazione degli standard industriali e dalla volontà delle aziende di reimmaginare le proprie catene di valore. Ci saranno anche disparità regionali, con i paesi più tecnologicamente avanzati o con politiche industriali mirate che probabilmente guideranno l’adozione.

Guardando al futuro, è improbabile che si verifichi una sostituzione completa della manifattura tradizionale con la sola produzione additiva. Piuttosto, il panorama manifatturiero globale evolverà verso un modello ibrido. In questo scenario, la produzione di massa di beni standardizzati e a basso costo continuerà a beneficiare delle economie di scala della manifattura convenzionale, spesso ancora centralizzata.

Contemporaneamente, la produzione additiva assumerà un ruolo sempre più centrale per la realizzazione di prodotti altamente personalizzati, componenti complessi, pezzi di ricambio su richiesta e produzioni a basso volume. Questa coesistenza permetterà alle aziende di sfruttare i punti di forza di entrambe le metodologie, creando catene di approvvigionamento più flessibili, resilienti e in grado di soddisfare una gamma diversificata di esigenze del mercato.

La stampa 3D non eliminerà il trasporto marittimo, ma lo ridefinirà, spostando il focus dal trasporto di prodotti finiti a quello di materie prime e di componenti ad alto valore, e integrando la logistica con la capacità produttiva distribuita.

VII. Conclusione

La produzione additiva si sta affermando non come una semplice innovazione tecnologica, ma come un catalizzatore che potrebbe essere destinato a rimodellare in modo profondo il panorama della manifattura globale e, di conseguenza, la logistica marittima. Come abbiamo esplorato, la sua capacità di abilitare una produzione flessibile, su richiesta e altamente personalizzata spinge inevitabilmente verso una localizzazione delle catene di approvvigionamento, riducendo la dipendenza dal lungo trasporto di beni finiti e mitigando le vulnerabilità esposte da un sistema eccessivamente globalizzato.

Questo spostamento avrà un impatto trasformativo sui flussi marittimi, orientandoli sempre più verso la movimentazione di materie prime specializzate piuttosto che di voluminosi prodotti assemblati, e delineando nuove dinamiche per porti e rotte commerciali. Le implicazioni economiche e geopolitiche sono vaste, promettendo una maggiore resilienza nazionale e la possibilità di una ri-industrializzazione localizzata, sebbene con significative sfide per il mercato del lavoro e per le nazioni in via di sviluppo che non sapranno adattarsi.

In definitiva, il futuro della manifattura e della logistica sarà ibrido, un connubio tra processi tradizionali su larga scala e una produzione additiva agile e distribuita. Comprendere e abbracciare questa rivoluzione è essenziale per le imprese e i governi che mirano a costruire catene di approvvigionamento più resilienti, innovative e sostenibili nell’era a venire.

La capacità della produzione additiva di consentire una manifattura decentralizzata ha profonde implicazioni geopolitiche, ridefinendo la sicurezza nazionale[17] e l’equilibrio del potere economico globale. Tradizionalmente, le nazioni dipendono da catene di approvvigionamento globali, spesso complesse e frammentate, per l’accesso a beni strategici, componenti militari critici, dispositivi medici essenziali e infrastrutture vitali. Questa dipendenza può diventare una vulnerabilità significativa in contesti di tensioni geopolitiche, conflitti commerciali o crisi internazionali, poiché la fornitura può essere interrotta o “armata”.

La stampa 3D offre la possibilità di “reshoring” o “nearshoring” della produzione di questi beni critici, permettendo alle nazioni di rafforzare la propria autonomia strategica e ridurre la vulnerabilità a shock esterni.

Questo accorciamento delle catene di approvvigionamento non solo migliora la resilienza in tempi di crisi, ma contribuisce anche alla sicurezza economica, proteggendo l’innovazione e la proprietà intellettuale. Inoltre, l’adozione diffusa della manifattura additiva potrebbe alterare gli equilibri di potere nel commercio internazionale, poiché i paesi con solide capacità di produzione 3D potrebbero diventare meno dipendenti dalle importazioni di beni finiti e, al contrario, focalizzarsi sull’esportazione di materie prime specializzate o di know-how tecnologico.

Per le nazioni in via di sviluppo, ciò presenta sia l’opportunità di “saltare” le fasi tradizionali di industrializzazione, sia il rischio di rimanere ai margini se non riescono a investire nelle tecnologie e nelle competenze necessarie. In sintesi, la produzione additiva emerge come uno strumento chiave nella ridefinizione della sovranità industriale e della capacità di una nazione di proiettare il proprio potere economico e strategico in un mondo sempre più interconnesso ma anche volatile.


[1] Gibson, I., Rosen, D., & Stucker, B. (2014). Additive Manufacturing Technologies: 3D Printing, Rapid Prototyping, and Direct Digital Manufacturing. Springer. https://link.springer.com/book/10.1007/978-1-4939-2113-3

[2]https://www.researchgate.net/publication/373362740_Some_Challenges_and_Opportunities_in_Additive_Manufacturing_Industrialization_Process

[3] http://journal.sagpb.com/index.php/SAJOL/article/view/126

[4] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0360835223006241

[5]https://www.researchgate.net/publication/364468293_A_review_of_various_materials_for_additive_manufacturing_recent_trends_and_processing_issues

[6]https://www.researchgate.net/publication/346656885_Additive_Manufacturing_Applications_for_Industry_40_A_Systematic_Critical_Review

[7] file:///C:/Users/Hp/Downloads/ssrn-4311254%20(1).pdf

[8] https://www.mpa.gov.sg/docs/mpalibraries/mpa-documents-files/ittd/additive-manufacturing-(closed)/maritime-sg-am-landscape-rpt-2022.pdf?sfvrsn=805d0201_4

[9] file:///C:/Users/Hp/Downloads/ssrn-4311254%20(1).pdf pag.191

[10] file:///C:/Users/Hp/Downloads/ssrn-4311254%20(1).pdf pag.202

[11]https://manufacturingdigital.com/articles/manufacturing-unwrapped-3d-printing-in-the-maritime-sector

[12] https://www.maritimestudies.nus.edu.sg/wp-content/uploads/2021/01/DT2020_Impact-of-disruptive-technologies-on-maritime-trade-and-maritime-industry_final-report_Final.pdf

[13] https://wohlersassociates.com/uncategorized/challenges-and-future-trends-in-additive-manufacturing/

[14] Destinazione Marte, , pubblicato da Distretto Aerospaziale della Sardegna DASS, 2013, Cagliari

[15] https://www2.deloitte.com/content/dam/insights/us/articles/additive-manufacturing-business-case/DR15_3D_Opportunity_For_Production.pdf

[16] https://www.astm.org/membership-participation/technical-committees/committee-f42

[17] https://nap.nationalacademies.org/read/25890/chapter/1

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Asia Centrale: concorrenza per l’influenza economica e strategica, di Alberto Cossu

Asia Centrale: concorrenza per l’influenza economica e strategica

Autore: Alberto Cossu

L’Asia Centrale, un crocevia storico tra Oriente e Occidente, si trova al centro di un rinnovato e intenso gioco geopolitico. Le cinque nazioni della regione – Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan – affrontano sfide significative, tra cui una notevole vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Nonostante queste difficoltà, la regione è diventata un’arena di crescente interesse per le potenze mondiali, attratte in gran parte dalle sue vaste risorse minerarie essenziali per le tecnologie energetiche pulite e dalla sua posizione strategica. In questo contesto, mentre Russia e Cina godono attualmente di un predominio economico, l’interesse e l’impegno di altre potenze come l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone e la Turchia stanno intensificando la competizione per l’influenza regionale.

Il predominio economico di Russia e Cina

La presenza economica di Russia e Cina in Asia Centrale è radicata e profonda, derivante da legami storici, geografici e strategici.

La crescente influenza economica della Cina

La Cina è emersa come il principale partner commerciale dell’Asia Centrale, con un’influenza che si estende attraverso la sua ambiziosa Belt and Road Initiative (BRI). Questa colossale iniziativa infrastrutturale, lanciata nel 2013, mira a rivitalizzare le antiche rotte commerciali della Via della Seta, collegando la Cina all’Europa attraverso l’Asia Centrale. La BRI ha portato investimenti massicci in infrastrutture di trasporto e connettività, con oltre 112 progetti finanziati in Asia Centrale. Ad esempio, il Kazakistan potrebbe beneficiare di miliardi di dollari in tasse di transito annuali grazie al passaggio di merci attraverso il suo territorio The Impact of China’s Belt and Road Initiative on Central Asia and the South Caucasus.

Gli investimenti cinesi si concentrano anche sull’estrazione di risorse naturali e sulla produzione, attratti dalle abbondanti riserve energetiche della regione. La Cina ha investito pesantemente in gasdotti come la pipeline Cina-Asia Centrale per importare gas naturale dalla regione, con il Turkmenistan che ha rappresentato circa il 70% delle importazioni di gas cinesi dall’Asia Centrale nel 2021. Inoltre, la Cina importa circa il 25% della produzione totale di petrolio del Kazakistan China’s BRI in Central Asia & Its Impact: An Appraisal of the 10 Years. – F1000Research. L’obiettivo di Pechino è promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso l’innovazione e la cooperazione nelle tecnologie energetiche, come dimostrato dalla firma dell’Alleanza Cina-Asia Centrale per l’Innovazione Energetica ed Elettrica. L’approccio cinese è spesso pragmatico e focalizzato sull’economia, evitando di legare gli aiuti a condizioni di governance o diritti umani, il che lo rende attraente per molti regimi della regione.

Il coinvolgimento energetico e storico della Russia

La Russia mantiene un’influenza di lunga data in Asia Centrale, dovuta ai legami storici ereditati dall’era sovietica e alla sua continua presenza attraverso organizzazioni come la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Mosca rimane un attore cruciale nel gioco dell’influenza regionale, in particolare nel settore energetico. Dopo il calo della domanda europea a seguito dell’inizio della guerra in Ucraina, la Russia ha intensificato le esportazioni di gas verso il Kazakistan e l’Uzbekistan nel 2023. L’Uzbekistan, pur avendo una propria industria del gas, importa gas russo per soddisfare la crescente domanda interna, consentendo a Tashkent di continuare a esportare gas in Cina The Time Is Now For Kazakhstan to Achieve Energy Independence From Russia.

L’influenza russa si manifesta anche attraverso la partecipazione al settore minerario e nucleare, con Mosca che controlla una quota significativa della produzione di uranio del Kazakistan e si propone come fornitore di tecnologia nucleare Playing both sides: Central Asia between Russia and the West | Chatham House. Sebbene la Russia stia cercando nuove rotte di esportazione del gas, inclusa la possibilità di un gasdotto verso la Cina attraverso il Kazakistan, ha incontrato ostacoli significativi, con la Cina che ha respinto l’idea a causa della capacità limitata e dei costi elevati China spikes Gazprom gas export plan in Central Asia – Eurasianet. Questo evidenzia la complessità delle dinamiche tra le due potenze dominanti.

La competizione in crescita da parte di altre potenze

Nonostante il vantaggio economico di Russia e Cina, un’ampia gamma di potenze sta dedicando maggiore attenzione all’Asia Centrale. Questa crescente attenzione è motivata dalla necessità di diversificare le catene di approvvigionamento, accedere a minerali critici e promuovere i propri valori e interessi strategici. La volontà delle leadership centroasiatiche di coinvolgere un ventaglio più ampio di attori è evidente nell’ottica di politica multivettoriale.

L’Impegno dell’uEropa e l’iniziativa Global Gateway

L’interesse dell’Europa per l’Asia Centrale si è intensificato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, spinta dalla necessità di diversificare le catene di approvvigionamento globali, in particolare per le transizioni verde e digitale. L’Unione Europea ha ospitato il suo primo vertice con l’Asia Centrale, durante il quale ha presentato la sua agenda incentrata su quattro aree chiave del programma Global Gateway. Questa iniziativa, con un’erogazione di circa 300 miliardi di euro a livello globale fino al 2027, mira a investire in energia sostenibile, materie prime essenziali, connettività digitale e trasporti  Global Gateway: Commissioner Síkela reinforces EU-Central Asia partnership to boost prosperity – European Commission.

Nell’ambito del Global Gateway, l’UE ha promosso la trasformazione digitale del Kirghizistan e il rafforzamento economico del Turkmenistan, sostenendone l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un impegno chiave è la promozione di una Rotta Internazionale di Trasporto Transcaspica (Corridoio Centrale) via terra e via mare, che attraversa l’Asia Centrale, il Mar Caspio, il Caucaso meridionale e la Turchia. L’UE ha destinato 10 miliardi di euro (10,8 miliardi di dollari) per rafforzare questo corridoio, mirando a renderlo un’alternativa vitale alla tradizionale Rotta Settentrionale che attraversa la Russia  EU Aims To Elevate Ties With Central Asia At Landmark Samarkand Summit. Il pacchetto di investimenti dell’UE per l’Asia Centrale ammonta a 13,2 miliardi di dollari, con priorità su connettività, clima, energia e acqua EU Launches US$13.2 Billion Package for Central Asia at Historic Samarkand Summit.

L’approccio degli Stati Uniti

L’engagement degli Stati Uniti con l’Asia Centrale è in fase di ricalibrazione, con un crescente focus sulla sovranità, l’investimento e l’interconnettività regionale. Tradizionalmente, la politica statunitense si è concentrata sulla promozione della democrazia, ma vi è un riconoscimento crescente della necessità di un approccio più pragmatico che dia priorità a partenariati economici e di sicurezza. La regione è vista come strategica per la competizione geopolitica e l’accesso a risorse critiche come uranio, terre rare e litio  Special Report: An American Strategy for Greater Central Asia.

Gli Stati Uniti mirano a creare un ambiente stabile e a garantire l’accesso aperto nella Grande Asia Centrale, favorendo gli investimenti americani attraverso partnership tecnologiche e lo sviluppo delle risorse. Sono state proposte iniziative per creare un Consiglio Commerciale USA-Grande Asia Centrale non governativo per assistere nell’integrazione economica regionale e stabilire un Quadro di Sicurezza Regionale incentrato sulla condivisione di intelligence e la cooperazione antiterrorismo. L’incontro storico tra i presidenti dell’Asia Centrale e il Presidente degli Stati Uniti nel settembre 2023, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha segnato un passo importante nell’intensificazione del dialogo  Special Report: An American Strategy for Greater Central Asia.

Il dialogo “Asia Centrale più Giappone”

Il Giappone ha un’influenza positiva di lunga data nella regione, essendo stato un importante donatore di aiuti per gran parte del periodo successivo alla Guerra Fredda. Tokyo sta rafforzando i suoi legami attraverso il dialogo “Asia Centrale Più Giappone”, un quadro per promuovere la cooperazione tra il Giappone e i cinque paesi dell’Asia Centrale.

Questo dialogo include riunioni a livello di ministri degli Esteri e “Tokyo Dialogue” con la partecipazione di esperti e professionisti  “Central Asia plus Japan” Dialogue.

Il Giappone si concentra su temi come la connettività, in particolare per le nazioni senza sbocco sul mare dell’Asia Centrale, e promuove lo sviluppo sostenibile e la stabilità. Attraverso questo dialogo, il Giappone cerca di rafforzare la cooperazione in vari settori, inclusi gli aspetti tecnici e la condivisione di conoscenze sulle applicazioni digitali. L’approccio giapponese è spesso percepito come meno “aggressivo” rispetto a quello di altre potenze, concentrandosi sulla partnership e lo sviluppo a lungo termine  Twelfth Tokyo Dialogue of “Central Asia plus Japan” Dialogue on “Connectivity with Central Asia and the Caucasus”. | Ministry of Foreign Affairs of Japan.

L’ambizione della Turchia e l’Organizzazione degli Stati Turcici

Anche la Turchia è una potenza in lizza per una posizione più influente in Asia Centrale, condividendo una tradizione culturale e linguistica comune con la regione. L’Organizzazione degli Stati Turcici, che include Turchia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan, serve come piattaforma per rafforzare i legami e la cooperazione.

Una delle iniziative più recenti della Turchia nella regione è un nuovo accordo sul gas naturale che prevede che il Turkmenistan spedisca gas naturale attraverso l’Iran verso la Turchia. Le forniture di gas sono iniziate il 1° marzo 2025. Questo accordo strategico, pur con volumi iniziali relativamente piccoli, segna un passo importante per la Turchia nella diversificazione delle sue fonti di approvvigionamento energetico e per il Turkmenistan nell’espansione dei suoi mercati di esportazione Turkey Secures a New Gas Agreement with Turkmenistan – energynews.

La Turchia mira a rafforzare la sua posizione come hub energetico regionale, e questo accordo si allinea con le sue ambizioni geopolitiche più ampie all’interno dell’Organizzazione degli Stati Turcici, fungendo da contrappeso al dominio russo e cinese nel panorama energetico dell’Asia Centrale  Strategic Cooperation Between Turkey and Turkmenistan Gains Momentum.

Conclusione

In sintesi, mentre Russia e Cina detengono un chiara posizione di vantaggio nell’Asia Centrale, la competizione per l’influenza nella regione è destinata a intensificarsi. Le nazioni dell’Asia Centrale, con le loro vaste riserve di minerali critici e la loro posizione strategica, sono sempre più consapevoli dell’importanza di coinvolgere una gamma diversificata di potenze. L’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone e la Turchia stanno raddoppiando i loro sforzi diplomatici ed economici, portando avanti agende che spaziano dalla promozione della democrazia all’integrazione economica regionale, dallo sviluppo delle infrastrutture energetiche alla diversificazione delle rotte commerciali. Questo “nuovo grande gioco” non solo rimodellerà il panorama geopolitico dell’Asia Centrale, ma avrà anche implicazioni significative per le catene di approvvigionamento globali e la transizione energetica mondiale. La volontà delle nazioni centroasiatiche di mantenere una politica estera multipolare suggerisce che la regione rimarrà un epicentro di complesse dinamiche di potere per gli anni a venire. In questo contesto è importante la presenza dell’Italia che ha programmato un viaggio del Presidente del consiglio in Asia Centrale, ma rinviato, finalizzato ad accrescere il ruolo del nostro paese che già sperimenta una formula diplomatica innovativa di coordinamento denominata C5+1.  

L’aborto negli Usa: un caso che riflette la frammentazione politica e istituzionale_di Alberto Cossu

L’aborto negli Usa: un caso che riflette la frammentazione politica e istituzionale

Autore: Alberto Cossu 18/05/2025

L’aborto negli Stati Uniti rappresenta uno dei temi più controversi e divisivi della storia politica e sociale del Paese, con una lunga evoluzione normativa che ha riflesso e alimentato profonde tensioni culturali e ideologiche. La sua storia moderna inizia con la sentenza storica della Corte Suprema del 1973, Roe v. Wade, che ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale, ma che è stata poi ribaltata nel 2022 durante la Presidenza Biden, lasciando gli Stati liberi di regolamentare autonomamente la materia.

Prima di Roe v. Wade, la disciplina sull’aborto era affidata ai singoli Stati, con una situazione molto frammentata: in 30 Stati l’aborto era considerato un reato, mentre in altri era consentito solo in casi molto limitati, come pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali. Nel 1970, le Hawaii furono il primo Stato a legalizzare l’aborto su richiesta della donna, anticipando la svolta federale. La causa Roe v. Wade nacque dal caso di Norma McCorvey, alias Jane Roe, una donna del Texas che contestava le restrizioni statali sul diritto di interrompere la gravidanza. La Corte Suprema, con una maggioranza di 7 a 2, riconobbe che il diritto all’aborto rientrava nella sfera della privacy tutelata dal 14° emendamento della Costituzione, sancendo così un diritto costituzionale che limitava l’ingerenza statale fino al momento in cui il feto non fosse in grado di sopravvivere fuori dall’utero, generalmente intorno alla 24ª settimana di gravidanza. Questa sentenza rappresentò una svolta epocale, stabilendo un equilibrio tra il diritto della donna e l’interesse dello Stato a proteggere la vita prenatale.

Negli anni successivi, però, la questione è rimasta fortemente politicizzata e oggetto di scontro tra gruppi pro-choice, favorevoli al diritto all’aborto, e gruppi pro-life, contrari all’interruzione di gravidanza. Negli anni ’80 e ’90, l’opposizione all’aborto si è organizzata in lobby potenti e  iniziative legislative volte a limitare l’accesso all’aborto. A livello federale, sono stati approvati emendamenti che limitano i finanziamenti pubblici all’aborto, come l’emendamento Hyde, che vieta l’uso di fondi federali per finanziare aborti tranne che in casi di stupro, incesto o pericolo per la vita della donna.

La situazione è radicalmente cambiata nel 2022, quando la Corte Suprema ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade con la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, eliminando la protezione federale del diritto all’aborto e restituendo ai singoli Stati la facoltà di legiferare liberamente in materia. Questo ha portato a una frammentazione normativa senza precedenti: alcuni Stati hanno vietato l’aborto quasi completamente, mentre altri hanno rafforzato le garanzie di accesso.

Attualmente, circa 19 Stati vietano l’aborto con divieti totali o quasi totali, spesso a partire da 6 settimane di gravidanza, un termine molto precoce che rende di fatto impossibile l’accesso all’interruzione di gravidanza. Tra questi Stati vi sono Texas, Alabama, Arkansas, Mississippi, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, e altri. Alcuni Stati come Florida, Georgia, Iowa e South Carolina hanno introdotto divieti molto restrittivi con limiti a 6 settimane. Altri Stati impongono restrizioni intermedie, con divieti dopo 12 o 18 settimane, come Nebraska, North Carolina e Utah.

Dall’altra parte, ci sono Stati che tutelano e garantiscono il diritto all’aborto, spesso inserendolo nella propria Costituzione o con leggi che ne assicurano l’accesso fino alla 24ª settimana o oltre. Tra questi Stati “abortisti” figurano California, New York, Colorado, Maryland, Massachusetts, Oregon, Washington, e altri. Alcuni Stati hanno recentemente approvato referendum per rafforzare la protezione costituzionale del diritto all’aborto, come Arizona, Colorado, Maryland, Nevada, New York, Montana, Florida, Nebraska, South Dakota e Missouri.

Due esempi emblematici che mostrano il divario tra Stati sono il Texas e New York. Il Texas rappresenta il modello più restrittivo: dal settembre 2021 è in vigore la legge SB 8, che vieta l’aborto già a partire da circa 6 settimane di gravidanza, senza eccezioni per stupro o incesto. La legge permette a privati cittadini di fare causa a chiunque aiuti o esegua aborti dopo questo limite, con ricompense pecuniarie, creando un meccanismo di controllo diffuso e difficile da contrastare legalmente. Questo ha portato alla chiusura di molte cliniche e ha costretto molte donne a cercare assistenza in altri Stati. Anche in casi di grave rischio per la salute della donna, l’accesso all’aborto è fortemente limitato e soggetto a battaglie legali.

Al contrario, New York ha una legislazione molto più permissiva e protettiva. L’aborto è legale fino a 24 settimane e può essere consentito anche oltre in caso di pericolo per la salute della donna o anomalie fetali incompatibili con la vita. Nel novembre 2024, un referendum ha rafforzato la protezione costituzionale del diritto all’aborto nello Stato, inserendo esplicitamente il diritto all’autonomia riproduttiva nella Costituzione di New York. Questo garantisce un accesso più sicuro e tutelato all’interruzione di gravidanza, in netto contrasto con le restrizioni texane.

Queste differenze riflettono anche le profonde divisioni politiche che attraversano il Paese e i partiti stessi. L’aborto è diventato uno dei temi più divisivi all’interno del Partito Repubblicano, che vede una forte componente conservatrice e religiosa contraria all’aborto, ma anche alcune posizioni più moderate o libertarie. Nel Partito Democratico, invece, il diritto all’aborto è generalmente considerato un principio fondamentale, con un forte sostegno alle politiche di accesso e tutela della salute riproduttiva. Questa polarizzazione ha reso l’aborto un tema centrale nelle campagne elettorali, nelle elezioni di midterm e presidenziali, e nei referendum statali, influenzando l’orientamento politico degli elettori e la composizione dei tribunali.

A livello federale, nonostante l’assenza di un divieto nazionale, sono in corso iniziative politiche per limitare ulteriormente l’aborto, come la proposta di legge H.R. 722, che mira a vietare l’aborto basandosi su un’interpretazione estensiva del 14° emendamento, riconoscendo diritti legali al concepito sin dal concepimento.

In conclusione, l’aborto negli Stati Uniti è un tema che ha attraversato una lunga evoluzione storica, da un regime di divieti diffusi a una tutela federale sancita da Roe v. Wade, fino al ritorno a una legislazione frammentata e polarizzata dopo il 2022. Le differenze tra Stati come Texas e New York illustrano chiaramente come il diritto all’aborto sia oggi profondamente legato alle dinamiche politiche e culturali locali, riflettendo e alimentando le divisioni di un Paese che continua a confrontarsi con uno dei temi più sensibili e decisivi della sua storia contemporanea.

Il nuovo ruolo strategico del Regno Saudita, di Alberto Cossu

Il nuovo ruolo strategico del Regno Saudita

Autore: Alberto Cossu 20/05/2025

L’Arabia Saudita sta vivendo una trasformazione epocale che la proietta al centro degli equilibri geopolitici mondiali. Il Regno, storicamente percepito come uno Stato rentier, passivo e dipendente quasi esclusivamente dalle rendite petrolifere, si sta oggi affermando come attore proattivo, riformista e strategicamente assertivo. Questa evoluzione è il risultato di una serie di cambiamenti interni e di una nuova visione di politica estera, incarnata dalla Vision 2030 del principe ereditario Mohammed bin Salman. In tale contesto, la recente visita del presidente Donald Trump a Riyadh, scelta come prima tappa del suo secondo mandato, ha rappresentato non solo un gesto diplomatico di grande impatto, ma anche una dichiarazione geopolitica che ha sancito la centralità crescente dell’Arabia Saudita nello scenario internazionale.

La visita di Trump: un nuovo paradigma nelle relazioni bilaterali

La visita di Trump nel maggio 2025 è stata molto più di una semplice riaffermazione dei legami storici tra Washington e Riyadh. Essa ha segnato un punto di svolta, confermando che l’Arabia Saudita non è più vista dagli Stati Uniti come un semplice cliente o fornitore di petrolio, ma come un partner strategico a tutto tondo. L’incontro tra Trump e il principe ereditario Mohammed bin Salman ha avuto luogo in un clima di grande attenzione internazionale, con delegazioni commerciali e di difesa di altissimo livello al seguito del presidente americano. Gli accordi siglati hanno spaziato dall’intelligenza artificiale ai semiconduttori, dall’idrogeno verde alle infrastrutture turistiche, riflettendo la volontà saudita di diversificare la propria economia e di posizionarsi come hub di innovazione e investimenti globali.

Uno degli aspetti più rilevanti della visita è stato l’annuncio della joint venture tra AMD e l’Arabia Saudita per la produzione di chip AI di ultima generazione. Questo accordo pone il Regno in una posizione di leadership nella corsa globale all’intelligenza artificiale, segnando il passaggio da consumatore a produttore e abilitando di tecnologia. Non meno importante è stato il rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza, con un’enfasi particolare sul trasferimento di tecnologia e sulla produzione congiunta di sistemi di difesa, a testimonianza della volontà saudita di raggiungere una maggiore autosufficienza anche nel settore militare.

La visita di Trump ha avuto anche una forte valenza simbolica. In un momento di grandi tensioni regionali, la presenza del presidente americano a Riyadh ha rafforzato il ruolo del Regno come potenza centrale di convocazione in Medio Oriente. L’appoggio di Trump alla richiesta saudita di revocare le sanzioni alla Siria ha rappresentato un importante successo diplomatico, confermando che, quando la regione richiede leadership, Washington guarda ancora a Riyadh come primo interlocutore.

Il nuovo ruolo dell’Arabia Saudita tra i paesi del Golfo

La trasformazione dell’Arabia Saudita non si limita alla sfera bilaterale con gli Stati Uniti, ma si riflette anche nei rapporti con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Tradizionalmente leader del blocco, il Regno ha saputo consolidare la sua posizione grazie a una politica estera più assertiva e a una capacità di mediazione che si è rivelata cruciale nei momenti di crisi, come durante il recente riavvicinamento tra Arabia Saudita e Qatar dopo la crisi diplomatica del 2017-2021.

Oggi, Riyadh si propone come punto di riferimento per la stabilità e la sicurezza della Penisola Arabica, ma anche come motore di integrazione economica e tecnologica. Gli investimenti in settori strategici come l’energia rinnovabile, la digitalizzazione e le infrastrutture hanno rafforzato la posizione saudita all’interno del GCC, consentendo al Regno di guidare l’agenda regionale verso una maggiore diversificazione economica e una riduzione della dipendenza dal petrolio.

Arabia Saudita e Iran: tra rivalità e dialogo

Il rapporto tra Arabia Saudita e Iran rimane uno dei dossier più delicati del panorama mediorientale. Le due potenze, divise da profonde rivalità religiose, politiche e strategiche, hanno attraversato fasi alterne di tensione e dialogo. Negli ultimi anni, tuttavia, si è assistito a un cauto riavvicinamento, favorito anche dalla mediazione della Cina e dal mutato contesto regionale.

L’Arabia Saudita, pur mantenendo una posizione di fermezza nei confronti delle ambizioni regionali di Teheran, ha compreso la necessità di gestire il confronto in modo pragmatico, privilegiando la stabilità e la sicurezza collettiva. Il dialogo avviato tra le due capitali, seppur fragile, ha già prodotto alcuni risultati concreti, come la ripresa delle relazioni diplomatiche e la cooperazione su questioni di sicurezza marittima. Tuttavia, le divergenze permangono, soprattutto in relazione ai conflitti in Yemen, Siria e Libano, dove le rispettive sfere di influenza continuano a scontrarsi. In questo contesto, la capacità saudita di bilanciare il confronto con l’Iran e di mantenere aperti i canali del dialogo rappresenta un elemento chiave della sua nuova postura strategica.

Il rapporto con Israele: normalizzazione e calcolo strategico

Un altro fronte su cui l’Arabia Saudita si sta muovendo con grande attenzione è quello del rapporto con Israele. Sebbene non siano ancora state formalmente avviate relazioni diplomatiche, il dialogo tra i due paesi si è intensificato negli ultimi anni, soprattutto in funzione anti-iraniana e nella prospettiva di una maggiore integrazione regionale. La normalizzazione dei rapporti, già avviata da altri paesi arabi come Emirati Arabi Uniti e Bahrein nell’ambito degli Accordi di Abramo, rappresenta per Riyadh una scelta strategica di grande portata, ma anche un rischio politico, considerata la sensibilità della questione palestinese nell’opinione pubblica saudita e araba.

Il Regno sta valutando attentamente i costi e i benefici di una possibile apertura, consapevole che una mossa in questa direzione potrebbe rafforzare la sua posizione come leader regionale e partner privilegiato degli Stati Uniti, ma anche esporlo a critiche interne ed esterne. In ogni caso, l’Arabia Saudita si sta dimostrando abile nel capitalizzare la propria posizione di ago della bilancia nei nuovi equilibri mediorientali, mantenendo una postura di cauta apertura verso Israele senza compromettere i propri interessi fondamentali.

La Cina: un partner strategico in ascesa

Negli ultimi anni, la Cina è diventata uno degli interlocutori più importanti per l’Arabia Saudita, sia sul piano economico che su quello politico. Pechino è oggi il principale partner commerciale del Regno e uno dei maggiori acquirenti di petrolio saudita. Ma la relazione va ben oltre l’energia: la Cina è coinvolta in numerosi progetti infrastrutturali, tecnologici e industriali nell’ambito della Vision 2030, e il dialogo tra i due paesi si estende anche alla sicurezza e alla diplomazia regionale.

L’Arabia Saudita vede nella Cina un partner alternativo agli Stati Uniti, capace di offrire investimenti, tecnologia e sostegno politico senza le condizioni spesso imposte da Washington. Al tempo stesso, Riyadh è consapevole della necessità di bilanciare il rapporto con Pechino per non compromettere l’alleanza storica con gli Stati Uniti. In questo senso, la diplomazia saudita si sta muovendo con grande abilità, sfruttando la competizione tra le grandi potenze per massimizzare i benefici per il Regno.

La mediazione cinese nel riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran ha rappresentato un esempio concreto della crescente influenza di Pechino nella regione e della volontà saudita di diversificare i propri partner strategici. In prospettiva, la collaborazione con la Cina potrebbe estendersi anche ai settori dell’intelligenza artificiale, delle energie rinnovabili e della sicurezza, rafforzando ulteriormente la posizione del Regno come ponte tra Oriente e Occidente.

La Turchia: rivalità, cooperazione e pragmatismo

Il rapporto tra Arabia Saudita e Turchia è stato caratterizzato da una forte rivalità negli ultimi anni, soprattutto dopo la crisi diplomatica seguita all’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul. Tuttavia, le due potenze hanno progressivamente superato le tensioni, avviando un dialogo pragmatico su questioni di interesse comune come la sicurezza regionale, la lotta al terrorismo e la cooperazione economica.

La Turchia, guidata dal presidente Recep Tayyip Erdoğan, vede nell’Arabia Saudita un partner indispensabile per la stabilità del Medio Oriente e per il rilancio della propria economia, mentre Riyadh riconosce l’importanza di mantenere rapporti costruttivi con Ankara per evitare nuove frizioni e rafforzare la propria posizione regionale. La collaborazione si è recentemente intensificata, con la firma di accordi commerciali e investimenti congiunti, a testimonianza di una volontà comune di superare le divergenze e di costruire un partenariato basato su interessi reciproci.

L’India: un ponte tra Golfo e Asia

L’India rappresenta un altro partner strategico di crescente importanza per l’Arabia Saudita. I due paesi condividono interessi convergenti in diversi settori, dall’energia alle infrastrutture, dalla sicurezza alla tecnologia. L’India è uno dei principali mercati di sbocco per il petrolio saudita e un importante investitore nei progetti di sviluppo del Regno. Al tempo stesso, la diaspora indiana in Arabia Saudita costituisce una componente fondamentale della forza lavoro locale e un ponte culturale tra le due nazioni.

Negli ultimi anni, la cooperazione si è estesa anche alla sicurezza e alla lotta al terrorismo, con la firma di accordi bilaterali e la partecipazione a esercitazioni militari congiunte. L’Arabia Saudita vede nell’India un alleato chiave per rafforzare la propria presenza in Asia e per diversificare i propri partner strategici, in un’ottica di crescente multipolarismo.

L’Europa e l’Italia: tra interessi economici e valori condivisi

Il rapporto tra Arabia Saudita ed Europa, e in particolare con l’Italia, è caratterizzato da una forte interdipendenza economica e da una crescente collaborazione in settori strategici come l’energia, la tecnologia e la difesa. L’Unione Europea rappresenta uno dei principali partner commerciali del Regno e un mercato di riferimento per le esportazioni di petrolio e prodotti petrolchimici. Allo stesso tempo, l’Europa è un importante investitore nei progetti di sviluppo sauditi, soprattutto nell’ambito delle energie rinnovabili e delle infrastrutture.

L’Italia, in particolare, ha rafforzato la propria presenza nel Regno grazie a una serie di accordi commerciali e di cooperazione industriale, soprattutto nei settori dell’energia, della meccanica e delle costruzioni. La partecipazione di aziende italiane ai grandi progetti della Vision 2030, come la città futuristica di Neom, rappresenta un’opportunità di crescita e di innovazione per entrambe le parti. Tuttavia, il dialogo tra Arabia Saudita ed Europa non si limita agli aspetti economici, ma si estende anche ai temi dei diritti umani, della sicurezza e della lotta al terrorismo. In questo senso, il Regno è chiamato a bilanciare le proprie ambizioni di modernizzazione con le aspettative della comunità internazionale in materia di riforme politiche e sociali.

La Russia e la partecipazione ai BRICS

Negli ultimi anni, l’Arabia Saudita ha rafforzato i rapporti con la Russia, soprattutto nell’ambito della cooperazione energetica e della gestione dei mercati petroliferi attraverso l’OPEC+. Mosca rappresenta per Riyadh un partner alternativo agli Stati Uniti e all’Europa, capace di offrire sostegno strategico nella definizione delle politiche in materia di petrolio in grado di influenzare il sistema economico globale.

Un elemento di particolare rilievo è la recente adesione dell’Arabia Saudita ai BRICS+, il gruppo di paesi emergenti che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. L’ingresso del Regno in questo forum rappresenta un segnale chiaro della volontà saudita di giocare un ruolo da protagonista nel nuovo ordine multipolare, rafforzando i legami con le economie emergenti e ampliando la propria influenza a livello globale. La partecipazione ai BRICS+ offre all’Arabia Saudita nuove opportunità di cooperazione economica, tecnologica e politica, ma anche la possibilità di contribuire attivamente alla definizione delle regole del gioco internazionale.

Conclusioni: una nuova centralità globale

L’Arabia Saudita si trova oggi al centro di una trasformazione senza precedenti, che la vede protagonista non solo nello scenario regionale, ma anche in quello globale. La visita di Trump ha rappresentato una tappa fondamentale di questo percorso, sancendo la nuova centralità del Regno e la sua capacità di influenzare le dinamiche internazionali. La politica estera saudita, sempre più assertiva e multilaterale, si basa sulla capacità di bilanciare i rapporti con le grandi potenze – Stati Uniti, Cina, Russia – e di costruire partenariati strategici con attori regionali come Israele, Turchia e India.

In questo contesto, l’Europa e l’Italia sono chiamate a rafforzare il dialogo con Riyadh, cogliendo le opportunità offerte dalla trasformazione del Regno e contribuendo alla definizione di un nuovo ordine internazionale più equilibrato e inclusivo. L’Arabia Saudita, da paese rentier e periferico, si sta rapidamente affermando come attore centrale, capace di guidare la transizione verso un mondo multipolare e di giocare un ruolo da protagonista nelle grandi sfide del XXI secolo.

IL DOMINIO MARITTIMO AMERICANO GEOPOLITICA, INDUSTRIA E NUOVI EQUILIBRI GLOBALI_di Alberto Cossu

IL DOMINIO MARITTIMO AMERICANO GEOPOLITICA, INDUSTRIA E NUOVI EQUILIBRI GLOBALI

Alberto Cossu

Visione e tendenze globaliIl recente ordine esecutivo firmato dal Presidente Donald J. Trump, intitolato “Restoring America’s Maritime Dominance”, non è solo un atto di politica industriale interna. È un segnale potente, una dichiarazione di intenti con profonde ramificazioni geopolitiche, che mira a ridefinire gli equilibri del potere marittimo globale, a contrastare l’ascesa della Cina e a rinvigorire un settore strategico americano caduto in declino. L’onda d’urto di questa iniziativa si propaga ben oltre le coste statunitensi, toccando alleati storici come l’Italia – con il suo campione nazionale Fincantieri direttamente coinvolto nel tessuto industriale americano – e intersecandosi con le ambiziose strategie di nuovi attori globali, come l’Arabia Saudita nel suo tentativo di diventare un hub logistico globale. L’analisi di questo PO richiede quindi una lente geopolitica ampia, in grado di cogliere le interconnessioni tra sicurezza nazionale, competizione economica e spostamento delle alleanze nel XXI secolo.Declino americano e ascesa cinese nel dominio marittimoPer comprendere la portata della EO di Trump, è fondamentale partire dal contesto storico e strategico. Gli Stati Uniti, usciti dalla Seconda guerra mondiale come indiscussa potenza marittima globale sia in termini commerciali che militari, hanno visto progressivamente erodere la propria base industriale navale negli ultimi decenni. Le cause sono molteplici e complesse: gli alti costi di produzione interni rispetto ai concorrenti asiatici, il consolidamento dell’industria navale in pochi grandi operatori focalizzati principalmente sul settore della difesa, un mutato quadro di priorità strategiche dopo fine della Guerra Fredda e una concorrenza internazionale sempre più agguerrita in grado di offrire prezzi più bassi e tempi di consegna più rapidi.

Le statistiche citate dalla stessa amministrazione Trump sono eloquenti: si stima oggi gli Stati Uniti costruiscano meno dell’1% delle navi commerciali globali, rispetto alla Cina che domina mercato con quote superiori al 50-60% (e un dominio quasi totale in segmenti come i container o le gru portuali).Parallelamente a questo relativo declino americano, la Repubblica Popolare Cinese ha orchestrato una crescita esponenziale nel settore marittimo, diventando il “cantiere navale” del mondo. Questa supremazia non è solo commerciale, ma ha profonde implicazioni strategiche. Pechino ha utilizzato la sua capacità di costruzione navale per modernizzare ed espandere rapidamente la sua Marina Militare (PLAN), che ora supera quella statunitense per numero di unità, alterando l’equilibrio militare nell’Indo-Pacifico. Inoltre, attraverso iniziative come la Belt and Road Initiative (BRI), la Cina ha investito massicciamente in infrastrutture portuali in tutto il mondo, estendendo la propria influenza lungo rotte commerciali vitali. Il controllo sulla cantieristica, sui porti e sulla logistica conferisce a Pechino una formidabile influenza geopolitica ed economica, percepita a Washington come una minaccia diretta alla sicurezza nazionale e alla prosperità economica americana. La dipendenza dalle catene di approvvigionamento dominate dalla Cina, soprattutto per i beni critici e i componenti industriali, è considerata una vulnerabilità strategica inaccettabile.

Sezionare l’ordine esecutivo: Ambizioni e strumenti

L’EO “Restoring America’s Maritime Dominance” si presenta come una risposta diretta e ambiziosa a questa minaccia percepita. Non si tratta di una singola misura, ma di un quadro strategico che mobilita l’intero apparato governativo (“approccio whole-of-government”) verso un obiettivo comune: la rivitalizzazione dell’industria marittima statunitense in tutte le sue componenti (cantieristica commerciale e militare, riparazioni, catene di approvvigionamento, porti, forza lavoro).

I principali pilastri dell’ordine comprendono:

• Piano d’azione marittimo (MAP): Entro 210 giorni, il Consigliere per la sicurezza nazionale devepresentare un piano d’azione dettagliato, coordinando gli sforzi di numerosi dipartimenti (Difesa,Commercio, Trasporti, Lavoro, Sicurezza interna). Questo piano deve delineare strategie specificheper raggiungere una “resilienza sostenuta” nel settore.

• Investimenti e incentivi: Il ME prevede creazione di un “Fondo fiduciario per la sicurezza marittima”per garantire finanziamenti stabili e prevedibili, superando l’incertezza dei cicli annuali di bilancio.Viene inoltre istituito un programma di incentivi finanziari per stimolare gli investimenti privati nellacantieristica nazionale. È previsto un ampio uso delle autorità fornite dal titolo III del DefenseProduction Act (DPA) per gli investimenti diretti e per catalizzare il capitale privato verso i cantierinavali, i fornitori e le infrastrutture portuali. Anche l’Ufficio del capitale strategico del Pentagono èchiamato a contribuire.

• Contrastare la concorrenza cinese: L’ordine incarica il Rappresentante per il Commercio degli StatiUniti (USTR) di portare a termine le indagini sulle pratiche commerciali cinesi ritenute sleali e anticoncorrenziali nel settore marittimo (sussidi, dumping) e di attuare le contromisure. Queste potrebberoincludere tariffe significative sulle navi costruite in Cina o battenti bandiera cinese che fanno scalo neiporti statunitensi, nonché dazi su gru portuali e altre attrezzature di origine cinese. Sono previste anchemisure per contrastare l’evasione tariffaria attraverso i porti canadesi o messicani.

• Sviluppo della forza lavoro: Riconoscendo la grave carenza di manodopera qualificata come unostacolo critico, la PO pone l’accento sulla formazione. Sono previsti investimenti per modernizzarel’Accademia della Marina Mercantile degli Stati Uniti e programmi per espandere le opportunità diformazione e apprendistato nel settore marittimo.

• Impegno degli alleati e “zone di prosperità marittima”: Nonostante la forte enfasi sull'”AmericaFirst”, il ME riconosce implicitamente la necessità di competenze e capitali esterni, chiedendomeccanismi per incentivare gli investimenti delle “nazioni alleate” nei cantieri navali e nelle comunitàcostiere statunitensi. Si ipotizza la creazione di “zone di prosperità marittima” con agevolazioni fiscalie normative per attrarre tali investimenti.

• Rafforzamento delle flotte commerciali e militari: L’ordine mira ad aumentare il numero di navicommerciali battenti bandiera statunitense nel commercio internazionale e nazionale (potenzialmenterafforzando il Jones Act) e a garantire un’adeguata flotta di riserva inattiva per le esigenze militari intempi di crisi.L’ambizione è enorme: invertire decenni di tendenze industriali e riconquistare una posizione di leadership globale. Le sfide sono altrettanto grandi: la necessità di finanziamenti ingenti e sostenuti nel , difficoltà di ricostruire catene di fornitura complesse e di formare rapidamente una forza lavoro specializzata, i tempi di consegna intrinsecamente lunghi della costruzione navale e la possibile reazione dei concorrenti internazionali.

Fincantieri e l’Italia: Un alleato strategico nelle acque americane

In questo scenario, la posizione dell’Italia e del suo campione nazionale Fincantieri assume particolare importanza. Fincantieri non è solo uno dei maggiori costruttori navali al mondo, ma è anche un attore profondamente radicato nel panorama industriale della difesa statunitense attraverso la sua filiale Fincantieri Marinette Marine (FMM) nel Wisconsin. Il ruolo di FMM è diventato cruciale per la Marina statunitense. Dopo lesperienza con le Littoral Combat Ships (LCS), FMM si è aggiudicata nel 2020 il prestigioso contratto per progettazione e la costruzione delle nuove fregate a missili guidati della classe Constellation (FFG-62), basate sulla piattaforma italo-francese FREMM. Questo programma è considerato vitale per il futuro della flotta di superficie americana e rappresenta un enorme successo tecnologico e industriale per Fincantieri, che una testimonianza della fiducia accordatale dall’alleato americano.L’EO “Restoring America’s Maritime Dominance” presenta un quadro complesso di opportunità e sfide per Fincantieri e l’Italia:

• Opportunità: L’enfasi sulla crescita della flotta militare e sulla rivitalizzazione della base industrialepotrebbe tradursi in ulteriori ordini o nellaccelerazione di programmi già esistenti, gli FFG.62. La richiesta di investimenti da parte degli “alleati” potrebbe favorire Fincantieri, data la suapresenza consolidata e le sue comprovate capacità. L’azienda potrebbe beneficiare di incentivi e fondimessi a disposizione per espandere la propria capacità produttiva negli Stati Uniti o per migliorareinfrastrutture dei propri cantieri americani (oltre a Marinette, Fincantieri possiede anche BayShipbuilding e altri impianti). Potrebbe esserci spazio anche nel settore delle riparazioni navali o inspecifici segmenti commerciali, se il PO riuscirà a stimolare anche questa parte dell’industria.

• Sfide e rischi: La retorica “America First” potrebbe, nonostante le aperture nei confronti degli alleati,tradursi in pressioni per aumentare ulteriormente il contenuto “americano” della produzione, limitandopotenzialmente l’apporto tecnologico dall’Italia o complicando la gestione delle catene di fornituraglobali del gruppo. La concorrenza di altri alleati con forti capacità cantieristiche (Corea del Sud,Giappone, Spagna) potrebbe intensificarsi per cogliere le opportunità offerte dal mercato statunitense.La navigazione nel complesso panorama politico, normativo e lavorativo americano richiederà unacontinua attenzione e abilità diplomatica. Sarà fondamentale per l’Italia, come sistema nazionale,supportare Fincantieri nel cogliere le opportunità e mitigare i rischi, mantenendo un costante dialogostrategico con Washington.Per l’Italia, la partecipazione di Fincantieri sforzo di ricostruzione marittima americano rappresenta un importante asset geopolitico. Consolida l’alleanza strategica con gli Stati Uniti in un settore chiave, garantisce l’accesso a programmi tecnologicamente avanzati e offre ritorni economici e occupazionali. Tuttavia, richiede anche un’attenta gestione per bilanciare gli interessi nazionali con quelli dell’alleato e con il posizionamento dell’Italia nel più ampio contesto europeo e mediterraneo.L’Arabia Saudita e la corsa per diventare un hub logistico globaleMentre gli Stati Uniti cercano di “ripristinare” il loro dominio marittimo, un altro attore sta emergendo con ambizioni di trasformazione nel settore: L’Arabia Saudita. Nell’ambito della sua “Visione 2030”, Riyadh sta investendo decine, se non centinaia, di miliardi di dollari per diversificare la sua economia dipendente dal petrolio e posizionarsi come hub logistico, commerciale e turistico globale, sfruttando la sua posizione strategica tra Asia, Europa e Africa.

Il settore marittimo è centrale in questa strategia:

• Sviluppo portuale: Sono in corso ingenti investimenti per espandere e modernizzare i porti sauditi, inparticolare sulla costa del Mar Rosso. Il King Abdullah Port (KAP) mira a diventare uno dei diecimaggiori porti container del mondo. Il porto islamico di Gedda sta subendo un’importante revisione. Ilfuturistico progetto NEOM comprende Oxagon, una città industriale galleggiante concepita comeporto e centro logistico di nuova generazione.• Costruzioni e riparazioni navali: Attraverso la joint International Maritime Industries (IMI) – checoinvolge Saudi Aramco, Bahri (la compagnia di navigazione nazionale saudita), Lamprell e HyundaiHeavy Industries (un gigante sudcoreano) – l’Arabia Saudita sta costruendo uno dei più grandiimpianti di costruzione navale e offshore del mondo nel complesso di Ras Al-Khair. Sarà in grado dicostruire VLCC (Very Large Crude Carriers), piattaforme offshore e altre navi, oltre fornire servizi diriparazione.• Creare un ecosistema logistico: L’obiettivo è integrare porti, zone economiche speciali, retiferroviarie e aeroporti per offrire soluzioni logistiche end-to-end e attrarre traffico marittimo einvestimenti internazionali.Le implicazioni geopolitiche di questa spinta saudita sono significative. Se Riyadh riuscisse nel suo intento, potrebbe modificare le rotte commerciali globali, sfidando hub consolidati come Dubai (Jebel Ali) negli Emirati Arabi Uniti. La sua posizione sul Mar Rosso, un’arteria marittima vitale ma anche instabile (come dimostrano i recenti attacchi degli Houthi), la rende un attore chiave per la sicurezza marittima regionale e globale. Il successo saudita potrebbe dare impulso a nuovi corridoi commerciali, come il Corridoio IndiaMedio Oriente-Europa (IMEC), concepito anche come alternativa alla BRI cinese.Come si interseca l’ambizione saudita con il PO americano? In apparenza, si tratta di dinamiche parallele. Gli Stati Uniti cercano di rafforzare propria base industriale e la sicurezza delle proprie catene di approvvigionamento, in parte reazione alle vulnerabilità globali. L’Arabia Saudita cerca diventare un nodo cruciale di queste catene di approvvigionamento globali. Tuttavia, ci sono punti di contatto:• Sicurezza marittima: Una Marina statunitense più forte e più presente, un obiettivo implicito del PO,è rilevante per la sicurezza delle rotte del Mar Rosso, cruciali per le ambizioni saudite. Esiste unpotenziale per una maggiore cooperazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla sicurezza marittimaregionale, nonostante la complessità delle loro relazioni bilaterali.

• Competizione/Cooperazione tecnologica: Sia gli Stati Uniti che l’Arabia Saudita (con partner comeHyundai) stanno investendo in tecnologie navali e portuali avanzate. La concorrenza o lacollaborazione potrebbero emergere in settori come l’automazione portuale, la decarbonizzazionemarittima o la sicurezza informatica delle infrastrutture critiche.

• Riorientamento della catena di approvvigionamento: Se il PO americano stimolerà un significativoreshoring o “friend shoring”, ciò potrebbe influenzare i flussi commerciali globali che l’Arabia Sauditaspera di intercettare. D’altra parte, un hub logistico efficiente e sicuro in Medio Oriente potrebbeessere visto positivamente da Washington come un’alternativa alla dipendenza da altre regioni. In sintesi, mentre l’America si concentra sulla ricostruzione interna, l’Arabia Saudita si proietta come nuovo centro di gravità logistica globale: due movimenti tettonici che insieme contribuiscono a ridisegnare la mappa marittima del mondo.

Le onde lunghe della nuova geopolitica marittima

L’ordine esecutivo “Restoring America’s Maritime Dominance” è molto più un piano industriale. È una scommessa geopolitica di vasta portata, tentativo di invertire decenni di relativo declino e di rispondere alla sfida strategica posta dalla Cina per il dominio dei mari. Le sue implicazioni sono globali e sfaccettate.Per gli Stati Uniti, si tratta di un impegno monumentale che richiederà una volontà politica incrollabile, investimenti colossali e sostenuti nel tempo e la capacità di superare significativi ostacoli industriali e di formazione. Il successo non è garantito, ma l’intenzione è chiara: riaffermare la centralità americana negli affari marittimi globali.Per alleati come l’Italia, attraverso attori come Fincantieri, si aprono importanti opportunità per consolidare partnership strategiche e beneficiare della spinta agli investimenti, ma anche la necessità di navigare con attenzione nelle complessità di un’alleanza che, pur solida, è soggetta alle dinamiche interne e alla visione “America First” dell’attuale amministrazione.Per attori emergenti come l’Arabia Saudita, l’attuale fluidità geopolitica offre spazio per perseguire ambiziose strategie di trasformazione nazionale che potrebbero ridisegnare le mappe logistiche e commerciali globali, intersecandosi in modo complesso con le mosse delle grandi potenze.In definitiva, la direttiva di Trump segna l’ingresso in una nuova era di intensificazione della competizione marittima, in cui il controllo dei mari, delle rotte commerciali, delle infrastrutture portuali e della capacità di costruzione navale torna a essere un elemento centrale della grande strategia delle nazioni. Le onde generate da questa iniziativa americana si propagheranno per anni, influenzando non solo la rivalità tra Stati Uniti e Cina, ma anche le scelte strategiche degli alleati, le ambizioni delle potenze regionali e il futuro stesso della globalizzazione. Il dominio dei mari è, ancora una volta, al centro dello scacchiere globale.

LA GEOPOLITICA DELL’ACQUAIL BRAHMAPUTRA E IL POTERE CINESE SUI FIUMI TIBETANI, di Alberto Cossu

LA GEOPOLITICA DELL’ACQUAIL BRAHMAPUTRA E IL POTERE CINESE SUI FIUMI TIBETANI_Alberto Cossu

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Il fiume Brahmaputra, maestosa arteria vitale che serpeggia nel cuore dell’Asia, nasce dalle gelide vette dell’Himalaya tibetano per poi snodarsi attraverso Cina, India e Bangladesh, fino a sfociare nel Golfo del Bengala. Conosciuto con diverse denominazioni lungo il suo percorso – Yarlung Tsangpo in Tibet, Siang e Brahmaputra in India, e Jamuna in Bangladesh – questo fiume transfrontaliero rappresenta una fonte di sostentamento cruciale per centinaia di milioni di persone. Il Brahmaputra è un fiume sacro che ha una notevole valenza culturale in India. Il suo nome vuol dire figlio di Brahma ed è l’unico ad essere denominato al maschile mentre tutti i fiumi in India sono indicati al femminile. Questo per significare la sua imponenza e forza con la quale si precipita nel Gange per poi formare uno dei delta più grandi al mondo.Ma la Cina ha ambiziosi piani di sviluppo infrastrutturale lungo il suo corso superiore, in particolare la costruzione di dighe su larga scala. Tali progetti stanno destando preoccupazioni significative nelle nazioni a valle, in primis India e Bangladesh, in merito alla sicurezza idrica, all’equilibrio ecologico e alle delicate dinamiche di potere regionali. La gestione delle acque del Brahmaputra si è così trasformata in un intricato nodo geopolitico in cui si scontrano da un lato le aspirazioni energetiche della Cina legate a ragioni di sviluppo economico e dall’altra le preoccupazioni di India e Bangladesh per l’impatto sul vasto ecosistema a valle e sui timori che la Cina possa diventare un regolatore delle acque con un impatto geopolitico di notevole ampiezza.Estendendosi per circa 2.900 chilometri, il Brahmaputra non è semplicemente un corso d’acqua; esso incarna un’ancora di salvezza per la variegata gamma di ecosistemi e comunità che alimenta. Originando dal ghiacciaio Chemayungdung in Tibet, il fiume attraversa un paesaggio multiforme, spaziando dagli aridi deserti d’alta quota alle lussureggianti pianure alluvionali. Nel suo tragitto attraverso il Tibet, il fiume scorre verso est per circa 1.700 chilometri, incrementando significativamente il suo volume grazie al contributo di numerosi affluenti. Entrando in India attraverso l’Arunachal Pradesh, assume la denominazione di Siang, per poi emergere nelle pianure dell’Assam come il possente Brahmaputra. In questa fertile valle, il fiume si espande ulteriormente, configurandosi come un ampio e ramificato corso d’acqua, di vitale importanza per l’agricoltura, i trasporti e l’identità culturale del popolo assamese. Infine, una volta giunto in Bangladesh, prende il nome di Jamuna e si fonde con il Teesta e altri fiumi prima di confluire nel Gange, dando vita al delta più esteso del pianeta, il fertile e densamente popolato delta del Bengala, per poi sfociare nel Golfo del Bengala.La rilevanza del Brahmaputra per i paesi collocati lungo il suo percorso si manifesta a diversi livelli. Per la Cina, il tratto tibetano del fiume rappresenta una notevole opportunità per la produzione di energia idroelettrica, elemento cardine della sua strategia energetica nazionale e volano di sviluppo per le regioni occidentali. Per l’India, in particolare per gli stati di Arunachal Pradesh e Assam, il fiume è essenziale per l’irrigazione, sostenendo un’ampia base agricola e garantendo la sussistenza di milioni di persone. Le sue piene annuali, pur essendo talvolta fonte di devastazione, depositano anche fertile limo, arricchendo i terreni agricoli. Il fiume riveste inoltre un profondo significato culturale e religioso in India, essendo venerato come il figlio di Brahma. In Bangladesh, il Jamuna è cruciale per l’agricoltura, la pesca e la navigazione interna. La natura dinamica del fiume e il suo contributo alla formazione e al mantenimento del delta del Bengala sono altresì di notevole importanza ecologica. Tuttavia, la regione è anche altamente vulnerabile ai disastri naturali, con India e Bangladesh che sperimentano frequentemente gravi inondazioni e siccità, rendendo la prevedibilità e la gestione del flusso del Brahmaputra di primaria importanza.La crescente attenzione della Cina verso lo sfruttamento del potenziale idroelettrico dei suoi fiumi, inclusi quelli che nascono in Tibet, ha suscitato preoccupazioni tra i paesi vicini situati a valle. Sebbene la Cina abbia già costruito diverse dighe di dimensioni minori sugli affluenti del Brahmaputra, la prospettiva di dighe su larga scala sul corso principale del fiume ha innescato forti preoccupazioni. Rapporti e dichiarazioni ufficiali cinesi hanno confermato i piani per la costruzione di importanti progetti idroelettrici sullo Yarlung Tsangpo. La Cina sostiene che questi progetti sono principalmente destinati alla produzione di energia idroelettrica per soddisfare la sua crescente domanda energetica e per promuovere lo sviluppo nella Regione Autonoma del Tibet. Pechino afferma di condurre valutazioni di impatto ambientale e che i progetti sono concepiti per minimizzare gli effetti a valle. Funzionari cinesi hanno inoltre rivendicato il diritto sovrano del paese di sviluppare le risorse all’interno del proprio territorio. Tuttavia, l’opacità che circonda questi progetti, inclusa la condivisione di piani dettagliati e dati idrologici in tempo reale, ha alimentato sospetti e apprensione in India e Bangladesh. Uno dei progetti più discussi è la proposta di una mega-diga nella contea di Medog in Tibet, in prossimità del confine indiano. Sebbene i dettagli specifici rimangano scarsi, la sua potenziale portata ha generato timori di significative alterazioni del flusso del fiume a valle. Lo scopo dichiarato è spesso legato alla produzione di energia idroelettrica, ma persistono preoccupazioni riguardo a potenziali piani futuri per la deviazione dell’acqua, specialmente considerando la scarsità idrica della Cina nelle sue regioni settentrionali.La costruzione di dighe sul Brahmaputra da parte della Cina ha introdotto una significativa dimensione geopolitica nella gestione delle acque nella regione. L’acqua, risorsa fondamentale, possiede il potenziale di divenire fonte di conflitto o catalizzatore di cooperazione, e il caso del Brahmaputra esemplifica questo delicato equilibrio. Le principali preoccupazioni dell’India si concentrano sul potenziale per una riduzione del flusso d’acqua durante le stagioni secche, con gravi ripercussioni sull’agricoltura e sui mezzi di sussistenza di milioni di persone nella valle del fiume Brahmaputra. Il rilascio improvviso di ingenti volumi d’acqua dalle dighe durante la stagione dei monsoni potrebbe inoltre esacerbare le già frequenti e devastanti inondazioni in Assam e Bangladesh, senza un adeguato preavviso. Inoltre, l’India considera il controllo cinese su una risorsa idrica vitale come una vulnerabilità strategica. La mancanza di un meccanismo di condivisione dei dati robusto e trasparente da parte della Cina riguardo al flusso del fiume e alle operazioni delle dighe aggrava ulteriormente tali preoccupazioni, ostacolando un’efficace gestione delle inondazioni e la pianificazione agricola a valle. Il Bangladesh condivide simili preoccupazioni con l’India riguardo alla ridotta disponibilità d’acqua e all’aumento del rischio di inondazioni. Data la sua posizione come stato rivierasco più a valle, il Bangladesh è particolarmente vulnerabile a qualsiasi alterazione significativa del flusso del Brahmaputra. Il potenziale impatto sul delta del Bengala, una regione fragile ed ecologicamente significativa, rappresenta anch’esso una seria preoccupazione. I cambiamenti nel flusso di sedimenti dovuti alle dighe a monte potrebbero influire sulla formazione e sulla stabilità del delta, con conseguenze sulla sua biodiversità e sui mezzi di sussistenza dei suoi abitanti. Dal punto di vista cinese, lo sviluppo delle risorse idroelettriche in Tibet è considerato cruciale per la crescita economica e lo sviluppo regionale del paese. Pechino sostiene che i suoi progetti sono sostenibili e tengono nella dovuta considerazione gli impatti a valle, rivendicando inoltre il diritto sovrano di utilizzare le risorse all’interno del proprio territorio. Strategicamente, il controllo sulle sorgenti di importanti fiumi come il Brahmaputra conferisce alla Cina una significativa leva nelle sue dinamiche di potere regionali. L’assenza di un quadro giuridico internazionale globale che governi il Brahmaputra complica ulteriormente la situazione. A differenza del fiume Indo, regolato da un trattato tra India e Pakistan, non esiste un accordo generale per il Brahmaputra che coinvolga tutti e tre gli stati rivieraschi. Sebbene siano in vigore alcuni accordi bilaterali tra India e Cina per lo scambio di dati idrologici durante la stagione delle inondazioni, questi sono spesso ritenuti insufficienti per affrontare le maggiori preoccupazioni. Al di là delle immediate tensioni geopolitiche, la costruzione di grandi dighe sul Brahmaputra comporta anche significative implicazioni ambientali ed ecologiche. Le dighe possono alterare il regime di flusso naturale del fiume, influenzando i modelli di migrazione dei pesci, interrompendo l’ecosistema fluviale e potenzialmente portando alla perdita di biodiversità. I cambiamenti nel flusso di sedimenti possono influire sulla fertilità delle terre agricole a valle e sulla stabilità del delta del Bengala. Le conseguenze ecologiche a lungo termine della costruzione di dighe su larga scala in una regione sismicamente attiva come l’Himalaya richiedono inoltre un’attenta considerazione. Il futuro del Brahmaputra e la stabilità geopolitica della regione dipendono dalla ricerca di un percorso verso la cooperazione e la gestione sostenibile delle acque. Il dialogo e la trasparenza sono fondamentali. La Cina deve impegnarsi in modo più proattivo con India e Bangladesh, condividendo informazioni dettagliate sui suoi progetti di dighe e sui loro potenziali impatti. L’istituzione di un meccanismo di condivisione dei dati robusto e affidabile, che vada oltre la sola stagione delle inondazioni, è cruciale per costruire fiducia e consentire alle nazioni a valle di prepararsi a eventuali cambiamenti nel flusso d’acqua. Esplorare la possibilità di un accordo globale sulla gestione delle acque transfrontaliere che coinvolga tutti e tre gli stati potrebbe fornire un quadro per affrontare le preoccupazioni e garantire un uso equo e sostenibile delle risorse del fiume. Tale accordo potrebbe comprendere aspetti come la condivisione di informazioni, il monitoraggio congiunto e meccanismi di risoluzione delle controversie. In definitiva, il fiume Brahmaputra dovrebbe essere visto come una risorsa condivisa, un’ancora di salvezza vitale che connette tre nazioni. Affrontare le sfide geopolitiche associate alla sua gestione richiede un passaggio da azioni unilaterali a soluzioni collaborative, riconoscendo l’interconnessione della regione e la responsabilità condivisa di garantire la salute del fiume e il benessere dei milioni di persone che dipendono da esso. Le acque agitate del Brahmaputra servono come un potente promemoria della complessa interazione tra sviluppo, geopolitica e il bisogno fondamentale di una gestione sostenibile delle risorse nel XXI secolo.Il vasto e imponente altopiano tibetano, spesso definito la “Torre d’Acqua dell’Asia”, è la sorgente di alcuni dei fiumi più importanti del mondo. Da queste altitudini glaciali e dalle nevi perenni nascono circa dieci grandi fiumi che alimentano le vite e le economie di miliardi di persone in numerosi paesi a valle. Il controllo che la Cina esercita su questo altopiano strategico conferisce un potere significativo sulla gestione di queste risorse idriche transfrontaliere, con implicazioni geopolitiche di vasta portata per l’intera regione asiatica. Questa “idro-egemonia” cinese, derivante dal suo dominio sulle sorgenti di questi fiumi vitali, solleva preoccupazioni cruciali riguardo alla sicurezza idrica, all’equilibrio ecologico e alla stabilità politica dei paesi che dipendono dalle acque tibetane.Il Tibet è la culla di una rete idrografica cruciale per l’Asia. Tra i dieci principali fiumi che traggono origine da questo altopiano si annoverano: lo Yangtze (Fiume Azzurro), il fiume più lungo dell’Asia, vitale per l’agricoltura, l’industria e l’energia idroelettrica cinese; il Fiume Giallo (Huang He), culla della civiltà cinese e fondamentale per l’irrigazione e l’approvvigionamento idrico della Cina settentrionale; il Mekong, che attraversa Cina, Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam, sostenendo l’agricoltura, la pesca e la vita di milioni di persone nel Sud-est asiatico; il Brahmaputra (Yarlung Tsangpo), che fluisce attraverso Cina, India e Bangladesh, cruciale per l’agricoltura e i mezzi di sussistenza nelle regioni nord-orientali dell’India e in Bangladesh; l’Indo, che alimenta l’agricoltura e le popolazioni di India e Pakistan, con un’importanza storica e strategica significativa; il Salween, che attraversa Cina, Myanmar e Thailandia, noto per la sua biodiversità e le sue aree selvagge; l’Amu Darya, un tempo noto come Oxus, che scorre attraverso Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, vitale per l’irrigazione in Asia centrale; il Syr Darya, che attraversa Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan, anch’esso fondamentale per l’agricoltura in Asia centrale; il fiume Tarim, il fiume più lungo della Cina interna, essenziale per l’agricoltura e la sopravvivenza nelle regioni aride dello Xinjiang; e il fiume Sutlej, un importante affluente dell’Indo, che scorre attraverso Cina e India, cruciale per l’irrigazione e l’energia idroelettrica nel nord dell’India. Questi fiumi rappresentano arterie vitali per i paesi a valle, fornendo acqua per l’irrigazione di vaste aree agricole, sostenendo ecosistemi delicati, alimentando la produzione industriale e fornendo acqua potabile a miliardi di persone. La dipendenza di queste nazioni dalle risorse idriche che nascono in Tibet è profonda e significativa.

Il controllo delle sorgenti di questi fiumi conferisce alla Cina notevoli vantaggi strategici. In primo luogo, la produzione di energia idroelettrica: la Cina ha intrapreso un ambizioso programma di costruzione di dighe sull’altopiano tibetano, sfruttando il potente flusso di questi fiumi per generare enormi quantità di energia idroelettrica, fondamentale per alimentare la sua crescita economica e ridurre la sua dipendenza dai combustibili fossili. In secondo luogo, il potenziale di deviazione delle acque: sebbene attualmente non implementato su vasta scala, il controllo delle sorgenti fluviali offre alla Cina il potenziale teorico di deviare significative quantità d’acqua per soddisfare le proprie esigenze, in particolare nelle regioni settentrionali del paese che soffrono di scarsità idrica. Questa possibilità, anche se non immediata, genera preoccupazioni nei paesi a valle. Terzo, la leva geopolitica: la capacità di influenzare il flusso di fiumi transfrontalieri fornisce alla Cina una potente leva geopolitica nei confronti dei paesi a valle. Il controllo di una risorsa vitale come l’acqua può essere utilizzato come strumento di pressione diplomatica, economica o persino politica in caso di tensioni o negoziati. Infine, lo sviluppo delle regioni occidentali: i progetti di costruzione di dighe e infrastrutture idriche contribuiscono allo sviluppo economico e all’affermazione del controllo cinese nelle regioni occidentali, incluso il Tibet, un’area di importanza strategica per Pechino.I paesi a valle dei fiumi tibetani nutrono una serie di preoccupazioni significative riguardo al crescente controllo cinese sulle risorse idriche. La sicurezza idrica è la prima di queste preoccupazioni, con il timore principale che si verifichi una potenziale riduzione del flusso d’acqua, soprattutto durante le stagioni secche, a causa della costruzione e della gestione delle dighe a monte. Ciò potrebbe avere un impatto devastante sull’agricoltura, sull’industria e sull’approvvigionamento idrico domestico in paesi come India, Bangladesh, Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia, Myanmar, Pakistan e le nazioni dell’Asia centrale. In secondo luogo, la gestione delle inondazioni: le preoccupazioni riguardano anche il potenziale per rilasci improvvisi e massicci di acqua dalle dighe cinesi durante la stagione dei monsoni, che potrebbero esacerbare le inondazioni a valle, causando danni significativi e perdite di vite umane. La mancanza di preavviso e di coordinamento in tali situazioni è un motivo di forte ansia. Terzo, gli impatti ecologici: la costruzione di dighe altera il regime di flusso naturale dei fiumi, con conseguenze negative sugli ecosistemi fluviali, sulla biodiversità e sul trasporto di sedimenti. La riduzione del flusso di sedimenti può compromettere la fertilità dei terreni agricoli a valle e la stabilità dei delta fluviali, come nel caso del delta del Mekong e del delta del Bengala. Quarto, la mancanza di trasparenza e condivisione dei dati: una delle maggiori fonti di frustrazione per i paesi a valle è la limitata condivisione da parte della Cina di dati idrologici dettagliati e informazioni sui progetti di costruzione di dighe. Questa mancanza di trasparenza rende difficile per le nazioni a valle prevedere e prepararsi ai cambiamenti nel flusso d’acqua. Infine, lo strumento geopolitico: esiste la percezione che la Cina possa utilizzare il suo controllo sulle risorse idriche come strumento di coercizione politica o economica nei confronti dei paesi vicini, creando un clima di sfiducia e tensione regionale. A differenza di alcuni fiumi transfrontalieri che sono regolati da trattati internazionali specifici, non esiste un accordo globale che governi l’uso delle acque dei fiumi che nascono in Tibet e attraversano più paesi. Questa mancanza di un quadro giuridico internazionale completo rende difficile la risoluzione delle controversie e la promozione di una gestione equa e sostenibile delle risorse idriche. La cooperazione regionale in materia di gestione delle acque è ulteriormente complicata da sensibilità politiche, tensioni storiche e dinamiche di potere asimmetriche tra la Cina e i suoi vicini. Sebbene esistano alcuni accordi bilaterali per lo scambio di dati idrologici, la loro portata e la loro efficacia sono spesso limitate. È importante notare che la costruzione di dighe su larga scala all’interno del Tibet ha anche significative conseguenze ambientali e sociali per la regione stessa. Questi progetti possono portare allo spostamento di comunità locali, alla perdita di habitat naturali e alla degradazione di ecosistemi fragili sull’altopiano tibetano.Il controllo dei fiumi che nascono dal “Tetto del Mondo” conferisce alla Cina un potere considerevole nella regione asiatica. La sua capacità di influenzare il flusso di queste arterie vitali ha profonde implicazioni geopolitiche, sollevando preoccupazioni cruciali per la sicurezza idrica, l’equilibrio ecologico e la stabilità politica dei paesi a valle. Per evitare potenziali conflitti e garantire una condivisione equa e sostenibile di queste risorse preziose, è fondamentale promuovere una maggiore cooperazione, trasparenza e dialogo tra la Cina e i suoi vicini. Solo attraverso un approccio collaborativo sarà possibile navigare le acque del potere e assicurare un futuro idrico sicuro e prospero per l’intera regione.

Uova si, petrolio no _ di Alberto Cossu

Uova si petrolio no

Alberto Cossu 04/04/2025

I migliori economisti del mainstream sono unanimi nel prevedere un infiammata globale dell’inflazione e una prossima recessione dovuta alla politica dei dazi dell’amministrazione Trump. Mentre il mondo si interroga sulle catastrofiche conseguenze con le quali presto avremo a che fare il focus dell’attenzione dell’opinione pubblica viene quasi esclusivamente mantenuto sui dazi e le tensioni inflazionistiche.  Fioriscono sui “migliori” giornali racconti sul costo delle uova negli Usa e altre storie che ingenerano paure e preoccupazione per l’inflazione che viene rappresentata come devastante.

Il prezzo del petrolio che solitamente è un indicatore efficace per misurare le tendenze inflazionistiche viene dimenticato e sostituito dal prezzo delle uova come nuovo termometro inflazionistico. Gli analisti parlano di tutto, raccontano nei dettagli particolari a volte irrilevanti. Però sembra che il prezzo del petrolio, che nel paniere dei beni  ha un peso rilevantissimo, è oggetto del totale ostracismo da parte di insigni accademici, giornalisti paludati ed esperti in questioni internazionali. Infatti combinando la spesa per i combustibili impiegati per il trasporto con una parte della spesa per uso domestico, si può certamente affermare che la spesa per il petrolio costituisce una delle categorie  più rilevanti nel paniere dei beni per il calcolo dell’inflazione.

In questi giorni il prezzo del petrolio sia quello quotato WTO che Brent ha perso circa 10 dollari. Le quotazioni oscillano intorno a 65 $ per il Brent e 61$ per il WTO. Una bella discesa da quotazioni superiori ai 70 dollari. Le previsioni di recessione pesano, ma pare che l’Opec e in particolare l’Arabia Saudita invece non la pensino nello stesso modo. Infatti hanno aumentato l’offerta di oro nero facendo letteralmente precipitare il prezzo. Insomma i consumatori di tutto il mondo possono tirare un sospiro di sollievo perché forse l’inflazione non eroderà il loro potere d’acquisto in modo devastante. Una operazione che arriva quasi “telecomandata” ad attenuare gli effetti inflazionistici dovuti alla politica dei dazi voluta dall’amministrazione Trump.

In previsione di un periodo di recessione o di rallentamento dell’economia i paesi produttori controllano l’offerta per evitare una caduta sostenuta del prezzo. Un aumento dell’offerta è una anomalia. Infatti è questo il fattore che ha accelerato la caduta dei prezzi. Se nei prossimi giorni queste dinamiche si confermeranno esse giocheranno a favore delle politiche di Trump attenuandone il peso inflazionistico. Il futuro sarà un po’ meno cupo di come lo descrivono i media mainstream.

Insomma gli analisti di tutte le tipologie capaci di trovare il pelo nell’uovo per far quadrare le loro supponenti previsioni mettono da parte il prezzo del petrolio cosi che tutto può funzionare come vogliono. L’inflazione è assicurata.  Poi se il prezzo del petrolio cala non importa. E’ fuori dal loro modello e possono continuare a distribuire a piene mani paure economiche e generare caos mentale in tutti coloro che si espongono al loro pensiero senza le cautele dovute.

L’operazione di aumento dell’offerta da parte dell’OPEC fa riflettere sulla sincronizzazione delle politiche dei produttori petroliferi con gli USA. La precedente amministrazione quando l’inflazione è esplosa non è riuscita ad ottenere un incremento della produzione di petrolio per ammortizzare l’impatto inflazionistico. Interessi geopolitici e geoeconomici pare che si stiano armonizzando almeno momentaneamente per favorire la costruzione di un altro ordine economico.

L’Arabia Saudita al centro della Rivoluzione Logistica Globale

L’Arabia Saudita al centro della Rivoluzione Logistica Globale

Alberto Cossu

Dal cuore del Medio Oriente, l’Arabia Saudita si sta affermando come un pilastro fondamentale nell’economia globale grazie alla Vision 2030, un piano strategico che mira a trasformare il Regno in un hub logistico di rilevanza mondiale. Questo ambizioso progetto non solo cerca di diversificare l’economia saudita, tradizionalmente dipendente dal petrolio, ma punta anche a posizionare il paese come leader nell’infrastruttura logistica e nei trasporti internazionali. La Vision 2030 non è solo un piano economico, ma una dichiarazione di intenti geopolitici che riflette l’importanza strategica dell’Arabia Saudita nel commercio globale.

Situata al crocevia di tre continenti – Asia, Africa ed Europa – l’Arabia Saudita ha storicamente svolto un ruolo centrale nelle rotte commerciali internazionali. Con il 12% del commercio globale di container che attraversa il Mar Rosso, il Regno è perfettamente posizionato per sfruttare le dinamiche del commercio marittimo internazionale. La Vision 2030 mira a capitalizzare questa posizione strategica attraverso investimenti massicci in infrastrutture portuali, ferroviarie e aeroportuali.

Ad esempio, il porto di King Abdullah sul Mar Rosso è stato trasformato in un modello di sostenibilità e innovazione, riducendo le emissioni di carbonio del 20% grazie all’adozione di sistemi energetici solari e pratiche efficienti nell’uso dell’acqua. Inoltre, il piano prevede l’espansione della capacità portuale del paese per quadruplicare il volume annuale di container movimentati, passando da 10 milioni a 40 milioni di TEU (unità equivalenti a venti piedi) entro il 2030.

Uno degli obiettivi principali della Vision 2030 è posizionare l’Arabia Saudita in uno dei primi dieci paesi al mondo nel Logistics Performance Index della Banca Mondiale. Per raggiungere questo traguardo, il Regno ha introdotto una serie di riforme strutturali e investimenti strategici:

  • Zone Logistiche Integrate: La creazione di una zona logistica speciale presso l’aeroporto internazionale King Khalid a Riyadh rappresenta un esempio chiave. Questa zona mira a semplificare le procedure burocratiche e ad attrarre investimenti esteri.
  • Rete Ferroviaria Estesa: Il collegamento tra i porti del Mar Rosso e del Golfo Persico tramite una rete ferroviaria avanzata migliorerà la connettività regionale e ridurrà i costi logistici.
  • Tecnologie Avanzate: L’introduzione dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione nei processi logistici sta ottimizzando la gestione delle merci e migliorando l’efficienza operativa.

Questi sforzi hanno già prodotto risultati tangibili. Nel 2024, l’Arabia Saudita è salita al 15° posto nella classifica globale dei gestori di container secondo il rapporto Lloyd’s List, consolidando la sua posizione come leader regionale nel settore marittimo.

Un elemento fondamentale della strategia logistica saudita è la partecipazione al Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC). Questo progetto ambizioso mira a creare una rete multimodale che colleghi l’India all’Europa attraverso il Medio Oriente, includendo porti e infrastrutture saudite come punti chiave lungo la rotta. In particolare, il porto di Dammam è destinato a giocare un ruolo cruciale come snodo principale nel corridoio IMEC, facilitando il flusso di merci tra l’India e l’Europa.

L’IMEC rappresenta un’opportunità unica per l’Arabia Saudita di rafforzare ulteriormente la sua posizione come hub logistico globale. Il corridoio non solo migliorerà la connettività commerciale tra Asia ed Europa, ma consentirà anche al Regno di diversificare le sue rotte commerciali, riducendo la dipendenza dal Canale di Suez e aprendo nuove opportunità per collaborazioni economiche con India ed Europa. L’Arabia Saudita vede nell’IMEC un’alternativa strategica alla Belt and Road Initiative cinese, con potenziali benefici economici significativi e un rafforzamento dell’influenza regionale.

La Vision 2030 non può essere separata dal contesto geopolitico regionale e internazionale. L’Arabia Saudita sta utilizzando la sua crescente influenza logistica per rafforzare le sue relazioni con potenze globali come Stati Uniti, Cina ed Europa. Allo stesso tempo, il Regno sta cercando di bilanciare le sue relazioni con attori regionali come Israele e Iran. L’avvicinamento ad Israele, seppur cauto, è visto come un modo per stabilizzare la regione e creare un ambiente favorevole allo sviluppo economico a lungo termine.

L’investimento nella logistica è anche una risposta strategica alle sfide geopolitiche. Nel contesto delle tensioni nel Mar Rosso e delle incertezze legate alla sicurezza delle rotte marittime tradizionali, una rete logistica interna forte offre al Regno maggiore resilienza economica e una leva diplomatica significativa. La partecipazione all’IMEC, inoltre, permette all’Arabia Saudita di consolidare la sua posizione come mediatore chiave nei flussi commerciali globali.

La diversificazione economica è un aspetto cruciale della Vision 2030. L’Arabia Saudita sta investendo massicciamente in settori come il turismo, l’istruzione e la sanità, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal petrolio. Nonostante i progressi, il petrolio continua a rappresentare una quota significativa del budget nazionale, circa il 75% nel 2021.

Per attrarre investimenti stranieri, il Regno ha introdotto riforme che permettono la proprietà al 100% in alcuni settori e ha creato zone economiche speciali. Queste iniziative hanno aumentato gli investimenti diretti esteri (IDE), con l’obiettivo di raggiungere 100 miliardi di dollari entro il 2030.

L’Arabia Saudita sta rafforzando il suo settore marittimo, sfruttando la sua posizione strategica al centro delle rotte commerciali marittime più trafficate del mondo. Investimenti significativi sono stati destinati alla modernizzazione delle infrastrutture portuali e alla costruzione navale, con l’obiettivo di creare un hub logistico globale.

Fincantieri, uno dei principali costruttori navali mondiali, ha costituito Fincantieri Arabia per supportare lo sviluppo del settore marittimo saudita. Questa collaborazione include accordi per la cantieristica civile e lo sviluppo della cybersecurity navale, in linea con gli obiettivi della Vision 2030.

Il settore marittimo globale sta vivendo un momento di grande trasformazione. Nel 2025, le compagnie di navigazione dovranno affrontare sfide economiche, geopolitiche e ambientali che stanno trasformando profondamente il panorama del trasporto marittimo dei container

Nonostante i progressi impressionanti, l’Arabia Saudita deve affrontare diverse sfide per realizzare pienamente gli obiettivi della Vision 2030. Tra queste:

  • Competizione Regionale: Paesi come gli Emirati Arabi Uniti stanno anch’essi investendo pesantemente nel settore logistico, creando una competizione diretta per attrarre investimenti esteri.
  • Rischi Geopolitici: Le tensioni regionali e i conflitti in corso, come in Yemen, potrebbero influenzare negativamente lo sviluppo delle infrastrutture logistiche e la sicurezza delle rotte commerciali.
  • Sostenibilità Ambientale: Sebbene siano stati fatti progressi significativi nella riduzione delle emissioni nei porti sauditi, la transizione verso operazioni completamente sostenibili richiederà ulteriori investimenti e l’adozione di tecnologie innovative.

Tuttavia, le opportunità superano ampiamente le sfide. La crescita del settore logistico non solo diversificherà l’economia saudita, ma creerà anche migliaia di nuovi posti di lavoro e rafforzerà la posizione del paese come leader globale nel commercio internazionale. L’IMEC rappresenta un’ulteriore opportunità per attrarre investimenti e consolidare il ruolo dell’Arabia Saudita come hub logistico strategico.

Guardando al futuro, l’Arabia Saudita ha fissato obiettivi ambiziosi ma raggiungibili. Con investimenti stimati in miliardi di dollari per lo sviluppo delle infrastrutture logistiche e il supporto governativo continuo, il Regno è ben posizionato per diventare uno dei principali attori globali nel settore. L’uso dell’intelligenza artificiale, blockchain e altre tecnologie avanzate contribuirà a ottimizzare le operazioni logistiche e a ridurre i costi, rendendo l’Arabia Saudita ancora più competitiva.

Inoltre, la partecipazione a iniziative internazionali come l’IMEC rafforzerà ulteriormente la posizione dell’Arabia Saudita come ponte tra Asia ed Europa. La combinazione di innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e una visione strategica chiara garantirà che il Regno rimanga al centro delle dinamiche globali del commercio per i decenni a venire.

In sintesi, attraverso la Vision 2030, l’Arabia Saudita non sta solo costruendo un’infrastruttura logistica all’avanguardia; sta ridefinendo il suo ruolo nella geopolitica globale. Come crocevia naturale tra continenti e culture, il Regno si prepara a guidare una nuova era di commercio internazionale basata su efficienza, innovazione, sostenibilità e, soprattutto, sull’integrazione strategica nel panorama logistico globale attraverso iniziative come l’IMEC.

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Potere presidenziale: crisi istituzionale o ripristino della governance costituzionale, di Alberto Cossu

Potere presidenziale: crisi istituzionale o ripristino della governance costituzionale

Alberto Cossu

L’azione della nuova amministrazione americana ha generato un’ampia gamma di commenti da parte di analisti di ogni genere, molti dei quali si avventurano in campi complessi come il diritto costituzionale. Spesso, questi commenti si basano su analogie con il diritto italiano o di altri paesi occidentali, un approccio che può risultare problematico data la specificità del sistema costituzionale statunitense. I giudizi espressi riguardo alla serie di executive orders emanati dal nuovo Presidente variano dall’asserita illegittimità di alcuni di essi, alla paventata crisi istituzionale tra organi dello Stato, fino a scenari più estremi che evocano un vero e proprio colpo di stato in atto. Nell’ambito dello scontro di potere che sta avvenendo negli USA guardiamo alle dinamiche in evoluzione tra la presidenza e le agenzie indipendenti, con particolare attenzione alle azioni recenti volti a limitare il potere di queste ultime.

Per comprendere appieno il dibattito attuale, è essenziale rivisitare i principi fondanti della repubblica statunitense. I padri costituenti  hanno concepito una repubblica presidenziale in cui il Presidente, in quanto capo del ramo esecutivo, detiene un potere significativo al fine di dare coerenza ed efficacia alle politiche che hanno ottenuto il sostegno popolare. Come sottolineato da Costantino Mortati in “Le Forme di Governo”, il ruolo del Presidente era concepito come un contraltare al monarca britannico, con il Congresso che fungeva da freno al potere esecutivo.

Infatti, il Presidente sovrintende direttamente alle funzioni esecutive e amministrative del governo, assumendosi la responsabilità ultima della loro esecuzione. Questa concentrazione di autorità consente al Presidente di adempiere al mandato conferitogli dal processo elettorale. A differenza dei sistemi parlamentari in cui il potere è diffuso coinvolgendo il consiglio di ministri, il sistema statunitense attribuisce un’autorità considerevole al Presidente, che nomina i segretari a capo dei vari dipartimenti. Questi segretari non fanno parte di un consiglio formale con rilevanza costituzionale; invece, servono a discrezione del Presidente e possono essere rimossi dall’incarico in qualsiasi momento.

Il ruolo delle agenzie governative negli Stati Uniti ha subito una trasformazione significativa, in particolare a partire dall’era di Franklin D. Roosevelt. Il New Deal di Roosevelt ha ridefinito radicalmente l’ambito del governo federale, inaugurando un’era di espansione del potere e dell’influenza delle agenzie governative. Nel corso del tempo, queste agenzie si sono moltiplicate e hanno acquisito una crescente autonomia, allontanandosi dalla visione dei Padri Fondatori di un ramo esecutivo direttamente responsabile nei confronti del popolo.

La crescita delle agenzie indipendenti, come la Federal Trade Commission (FTC), la Federal Communications Commission (FCC) e la Securities and Exchange Commission (SEC), è stata particolarmente notevole. Queste agenzie operano con un certo grado di indipendenza dal diretto controllo presidenziale, ed esercitano una notevole influenza sulla società americana.

Nel febbraio 2025, il Presidente Trump ha emanato un executive order[1] volto a limitare il potere delle agenzie indipendenti e a riaffermare il controllo presidenziale sul ramo esecutivo. L’ordine invoca esplicitamente l’articolo II della Costituzione, che attribuisce tutto il potere esecutivo al Presidente. Questa affermazione costituisce la base dell’argomentazione dell’amministrazione secondo cui tutti i funzionari e i dipendenti del ramo esecutivo sono soggetti alla supervisione presidenziale e quindi possono essere rimossi qualora non si attengano alla volontà del Presidente.

L’executive order include diverse disposizioni. Tutte le agenzie, comprese quelle indipendenti (ad eccezione delle funzioni di politica monetaria della Federal Reserve), devono presentare le bozze dei regolamenti per la revisione da parte della Casa Bianca. Le agenzie sono tenute a consultarsi con la Casa Bianca sulle loro priorità e sui loro piani strategici, con la Casa Bianca che stabilisce gli standard di prestazione. L’Office of Management and Budget (OMB) adatterà le allocazioni delle agenzie indipendenti per garantire una spesa responsabile del denaro dei contribuenti.Il Presidente e il Procuratore Generale interpreteranno la legge per il ramo esecutivo, impedendo alle agenzie di adottare interpretazioni contrastanti. Implementando queste misure, l’amministrazione Trump cerca di garantire che le agenzie indipendenti siano responsabili nei confronti del Presidente e, per estensione, nei confronti del popolo americano. L’executive order riflette l’impegno a ripristinare la governance costituzionale e la responsabilità all’interno del ramo esecutivo.

Lo sforzo per limitare il potere delle agenzie indipendenti ha suscitato un intenso dibattito, con sostenitori e oppositori che presentano argomentazioni convincenti. I sostenitori della limitazione sostengono che le agenzie indipendenti operano senza sufficiente responsabilità nei confronti dei responsabili politici eletti. Sottoponendo queste agenzie alla supervisione presidenziale, l’executive order garantisce che rispondano alla volontà del popolo. Centralizzare l’interpretazione legale all’interno del ramo esecutivo promuove la coerenza e la coesione nell’applicazione delle leggi. Ciò riduce il potenziale di interpretazioni contrastanti da parte delle agenzie e rafforza lo stato di diritto. Semplificare i processi normativi e allineare le priorità delle agenzie all’agenda del Presidente può portare a una maggiore efficienza nelle operazioni governative. Infine  l’executive order è radicato nella Costituzione, che attribuisce tutto il potere esecutivo al Presidente. Perciò affermando  il controllo presidenziale sulle agenzie indipendenti, l’amministrazione sta semplicemente applicando lo spirito della costituzione.

Gli oppositori alla limitazione sostengono che l’executive order mina l’indipendenza delle agenzie che sono state create per operare libere da interferenze politiche. Questa indipendenza è considerata essenziale per garantire una regolamentazione e un’applicazione imparziali.

 Le agenzie indipendenti possiedono una competenza specializzata necessaria per un’efficace elaborazione delle politiche. Sottoponendo queste agenzie al controllo politico, l’executive order rischia di compromettere la qualità delle loro decisioni.

 Alcuni sostengono che l’executive order sconvolge il sistema di checks and balances concentrando troppo potere nel ramo esecutivo. Ciò potrebbe portare ad abusi di potere e a un indebolimento delle istituzioni democratiche.

Gli oppositori suggeriscono che il controllo presidenziale sulle agenzie indipendenti potrebbe renderle più suscettibili alla regulatory capture da parte di interessi speciali. Ciò potrebbe tradursi in politiche che avvantaggiano le industrie potenti a spese dell’interesse pubblico. Il regulatory capture è un fenomeno che si verifica quando un’agenzia di regolamentazione, creata per servire l’interesse pubblico, finisce per essere controllata dagli interessi delle aziende o dei settori che dovrebbe regolamentare. In altre parole, invece di proteggere il pubblico dai possibili abusi delle imprese, l’agenzia diventa uno strumento per favorire gli interessi di queste ultime

Il tentativo di limitare le agenzie indipendenti rappresenta uno sviluppo significativo nella governance americana. Il dibattito su questo tema solleva questioni fondamentali sull’equilibrio dei poteri tra il ramo esecutivo e gli organismi di regolamentazione. Mentre i sostenitori sostengono che un maggiore controllo presidenziale aumenta la responsabilità e l’efficienza, gli oppositori sollevano preoccupazioni sull’indipendenza, la competenza e il potenziale abuso di potere. Su questo punto si dovrà sicuramente esprimere la Corte Suprema.

In conclusione l’excutive order del 18 febbraio 2025 apre la strada ad una reinterpretazione del ruolo delle agenzie e non solo di quelle ma anche ai limiti del potere del Presidente. Gli scenari descritti dagli analisti avanzano ipotesi che sembrano discostarsi dalla realtà dei fatti che dimostra che le azioni della attuale amministrazione sono inquadrabili nell’ambito della Costituzione e non ne costituiscono un pregiudizio e meno che mai configurano un colpo di stato. Forse bisogna parlare di un ritorno allo spirito dei Padri Fondatori che concepivano la figura del Presidente con dei tratti da monarca sebbene limitato da un complesso sistema di check and balance.


[1] https://www.whitehouse.gov/fact-sheets/2025/02/fact-sheet-president-donald-j-trump-reins-in-independent-agencies-to-restore-a-government-that-answers-to-the-american-people/

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Il Manifesto dell’età Trumpiana, di Alberto Cossu

Il Manifesto dell’età Trumpiana

Alberto Cossu 05/03/2025

In un discorso carico di retorica e promesse di rinnovamento radicale, il Presidente Donald Trump si è rivolto alla sessione congiunta del Congresso il 4 marzo 2025, dipingendo un quadro di “America Rinata” e celebrando i risultati dei suoi primi 43 giorni in carica. Il discorso, caratterizzato da una combinazione di auto elogio, critiche pungenti e promesse di un futuro più prospero e sicuro, ha delineato una serie di politiche e iniziative volte a trasformare profondamente il tessuto economico, sociale e culturale degli Stati Uniti. Hanno prevalso gli argomenti di politica interna su quelli di politica estera.

Trump ha iniziato il suo discorso con una dichiarazione di intenti chiara e inequivocabile: “L’America è tornata”. Ha esaltato i risultati ottenuti in un lasso di tempo relativamente breve, sostenendo di aver fatto più in 43 giorni di quanto molte amministrazioni riescano a fare in anni. Questa affermazione, seppur esagerata, ha gettato le basi per un discorso incentrato sulla trasformazione rapida e radicale del paese.

Il Presidente ha posto l’accento sulla sua vittoria elettorale come un mandato popolare per il cambiamento, sottolineando la sua ampia vittoria nel Collegio Elettorale e nel voto popolare. Ha enfatizzato come, per la prima volta nella storia moderna, la maggior parte degli americani creda che il paese stia andando nella giusta direzione, un’inversione di tendenza che attribuisce direttamente alle sue politiche.

Il cuore del discorso è stato dedicato all’illustrazione delle politiche e delle iniziative chiave che l’amministrazione Trump ha intrapreso per realizzare la sua visione di un’America rinata. Queste politiche toccano una vasta gamma di settori, dall’immigrazione all’economia, dall’energia alla cultura.

Trump ha ribadito la sua posizione intransigente sull’immigrazione, dichiarando che ha proclamato  un’emergenza nazionale al confine meridionale con il Messico e schierato l’esercito e la Guardia di Confine per respingere l'”invasione” del paese. Ha rivendicato un drastico calo degli attraversamenti illegali come risultato diretto delle sue azioni, sottolineando il contrasto con le politiche “disastrose” dell’amministrazione Biden.

Il Presidente ha delineato una serie di misure volte a stimolare la crescita economica e a garantire l’indipendenza energetica degli Stati Uniti. Tra queste, il blocco delle assunzioni federali, la revisione delle normative, la fine degli aiuti esteri e il ritiro dall’Accordo di Parigi sul clima. Trump ha promesso di eliminare le restrizioni ambientali che ostacolano lo sviluppo industriale e di promuovere l’estrazione di petrolio e gas, sfruttando le vaste risorse energetiche del paese. L’approvazione di un gigantesco gasdotto in Alaska, con la partecipazione di investitori stranieri, è stata presentata come un simbolo di questa nuova era di prosperità energetica.

Trump ha parlato della creazione del “Dipartimento per l’Efficienza Governativa” (DOGE), guidato da Elon Musk, con l’obiettivo di eliminare gli sprechi e le frodi nel settore pubblico. Il Presidente ha elencato una serie di esempi di spese pubbliche che ha definito “assurde”, tra cui finanziamenti per programmi di diversità, equità e inclusione (DEI). Queste spese, secondo Trump, rappresentano un uso irresponsabile dei soldi dei contribuenti e devono essere eliminate.

Il Presidente ha promesso di invertire le politiche “woke” che, a suo dire, hanno minato i valori tradizionali americani. Ha annunciato la fine delle politiche DEI, il ripristino della libertà di parola, la dichiarazione dell’inglese come lingua ufficiale e il divieto agli uomini di partecipare agli sport femminili. Quest’ultima misura, in particolare, è stata presentata come una difesa delle atlete donne e un rifiuto dell’ideologia di genere.

Trump ha promesso di combattere le frodi e l’incompetenza presenti nel programma di previdenza sociale, sottolineando l’importanza di proteggere gli anziani e le persone vulnerabili. Ha citato dati “scioccanti” sui beneficiari della previdenza sociale, suggerendo che il sistema è afflitto da irregolarità e abusi.

Nonostante il tono celebrativo e ottimista, il discorso di Trump è stato segnato da critiche aspre nei confronti dei Democratici e delle politiche dell’amministrazione precedente. Il Presidente ha accusato i Democratici di non sostenere le sue politiche e di essere ostili al suo programma di cambiamento. Ha attaccato l’amministrazione Biden per aver causato una “catastrofe economica” e un’inflazione galoppante, e di aver generato l’aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari.

Tuttavia, Trump ha anche lanciato un appello all’unità e alla collaborazione, invitando i Democratici a unirsi a lui nel celebrare i successi dell’America e nel lavorare insieme per il bene della nazione. Ha esortato il Congresso a mettere da parte le divisioni partitiche e a concentrarsi sulla realizzazione di un futuro migliore per tutti gli americani.

Il discorso di Donald Trump al Congresso ha delineato un’agenda politica radicale e trasformativa, volta a smantellare le politiche dell’amministrazione Biden e a ripristinare i valori tradizionali americani. Le politiche proposte dal Presidente avranno un impatto significativo su una vasta gamma di settori, dall’economia all’energia, dall’immigrazione alla cultura.

Le implicazioni del discorso sono molteplici. In primo luogo, segnala un’intensificazione della polarizzazione politica negli Stati Uniti. Le critiche aspre di Trump nei confronti dei Democratici e la sua retorica incendiaria rischiano di esacerbare le divisioni esistenti e di rendere più difficile la cooperazione bipartisan.

In secondo luogo, il discorso riflette una visione del mondo populista e nazionalista. Trump si presenta come un difensore degli americani comuni e promette di proteggere i loro interessi dalle minacce esterne e interne. La sua enfasi sull’indipendenza energetica, sulla sicurezza dei confini e sulla lotta contro le politiche “woke” risuona con una parte significativa dell’elettorato americano.

In terzo luogo, il discorso solleva interrogativi sulla sostenibilità economica e ambientale delle politiche proposte. La promozione dell’estrazione di combustibili fossili e il ritiro dagli accordi internazionali sul clima potrebbero avere conseguenze negative sull’ambiente e sulla salute pubblica. Allo stesso modo, i tagli alla spesa pubblica e la deregolamentazione potrebbero compromettere i servizi sociali e la protezione dei lavoratori.

Il discorso di Donald Trump al Congresso ha segnato l’inizio di una nuova era nella politica americana. Le sue politiche radicali e la retorica che li caratterizza  hanno il potenziale per trasformare profondamente il paese, ma anche per accentuare le divisioni esistenti e disturbare il dialogo tra le forze politiche. Il Presidente ha i numeri nel Congresso per realizzare la sua visione di un’America rinata e allo stato attuale il programma politico dispone del sostegno necessario per superare le sfide che lo attendono.

In conclusione, il discorso di Trump è un manifesto politico che segna un cambio di paradigma e apre scenari inediti e, per molti versi, imprevedibili anche se il Presidente non si è sbilanciato sul versante della politica estera se non relativamente alla questione dei confini con il Messico, preferendo parlare dell’opera di prosciugamento della “palude” che assorbe risorse sottraendole allo sviluppo del paese. In alcuni passi soprattutto quelli dedicati al commercio internazionale si prefigura quasi un regime “autarchico” nel senso di auspicare un maggior consumo di prodotti soprattutto agroalimentari da parte del consumatore americano.

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