Italia e il mondo

5° PODCAST-LUNGO LA MEZZALUNA, di Gianfranco Campa

Inizia un itinerario che in pochi giorni partirà dal punto focale coreano, si spingerà verso il groviglio del Medio Oriente per concludersi con il viaggio del Presidente Trump in Europa sino alla sua partecipazione al vertice del G7. In Corea, la vittoria dei liberal-democratici, rappresenta una battuta d’arresto, vedremo se solo temporanea, della strategia conflittuale americana verso la Corea del Nord. Alla luce delle intenzioni politiche originarie, del resto già abbondantemente annacquate, dell’amministrazione Trump, rappresenta una smentita delle intenzioni di conflitto verso la Cina piuttosto che verso la Russia, quanto più la situazione in Medio Oriente da un lato, con l’esito delle elezioni in Iran, non pare offrire ulteriori pretesti di revisione ostile del trattato, dall’altro vede il tentativo di rabberciare il ruolo dei Sauditi. Una condizione che non fa che accentuare la diffidenza dei Russi. In Europa si vedrà come lo sciagurato fronte democratico-conservatore riuscirà a contribuire  all’ulteriore collasso della strategia originaria di Trump, senza addivenire però ad una sia pur minima condizione di costruzione di una politica estera sganciata dall’avventurismo americano di questi ultimi decenni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

PODCAST NR 4- Trump licenzia James Comey direttore dell’FBI, di Gianfranco Campa

Con il licenziamento del capo del FBI, gli equilibri interni all’amministrazione Trump sembrano subire un nuovo cambiamento, questa volta più favorevole al nucleo storico duramente ridimensionato dalle dimissioni di Flynn, dalla defenestrazione di Bannon e dal sopravvento di Matis a Segretario della Difesa. Due mesi fa Comey affermava al Congresso Americano che le indagini non riguardavano il Presidente, ma lo staff che lo ha portato a vincere le elezioni. Voleva essere forse un segnale di salvezza a Trump in cambio del sacrificio dei collaboratori più fedeli; ma era probabilmente anche la confessione che il vecchio establishment intendeva eliminare ogni condizione che riproducesse in futuro una tale situazione. Una guerra senza prigionieri. Dopo i primi cedimenti, probabilmente Trump non deve aver evidentemente creduto al proprio salvacondotto. Contemporaneamente, nello scacchiere internazionale l’esito elettorale in Corea del Sud, il sostegno militare diretto ai curdi siriani, i prossimi colloqui israelo-palestinesi, i primi contatti ufficiali tra i massimi diplomatici russi e americani sembrano indebolire alcune recenti scelte interventiste americane nel Pacifico e delineare meglio gli orientamenti in Medio Oriente e le basi di una trattativa. L’offensiva del vecchio establishment che da mesi cerca di logorare e annichilire la nuova amministrazione assume sempre più i connotati di una fibrillazione di una forza tanto potente ma dallo scarso respiro strategico. La vera cartina di tornasole sarà il ruolo che i militari alla testa del Segretariato alla Difesa sapranno conservare o meno. Qualche crepa comincia a manifestarsi. Si vedrà. Comey è stato accusato anche dai democratici per aver avvallato per pochi giorni le indagini sulla Clinton stessa, legate alle rivelazioni sulle sue mail.  In realtà è stato costretto dalla veementi pressioni di settori stessi del FBI e della Polizia di New York a cedere per alcune settimane. Quello che è certo è che il conflitto politico negli USA sta sempre più assumendo l’aspetto di uno scontro cruento che sta erodendo ulteriormente la coesione di quella formazione sociale. Qui sotto i link del memorandum di accusa a Comey  (http://www.dolphnsix.com/news/3745892/rosenstein-memo ) e del documento dell’agente britannico da cui è partita la campagna sulle presunte intromissioni russe (https://www.documentcloud.org/documents/3259984-Trump-Intelligence-Allegations.html). Buon ascolto _ Giuseppe Germinario

PODCAST N°3 – A DUE PASSI DALLE ELEZIONI IN SUD-COREA, di Gianfranco Campa

La trama del confronto con la Corea del Nord si svolge secondo un canovaccio sempre più complesso. Il confronto coinvolge certamente alcuni stati (USA, Corea del Nord, Cina e Russia) come attori principali, altri come comprimari. Le dinamiche, in realtà, si svolgono tra centri di potere all’interno degli stati in cooperazione e conflitto tra di essi all’interno e all’esterno. Il focus si sta concentrando su entrambe le Coree. Al Sud  gli Stati Uniti vorrebbero scongiurare l’eventualità di un successo delle forze politiche favorevoli ad un riavvicinamento tra le due Coree nelle prossime elezioni del 9 maggio. Al Nord la possibile destabilizzazione del regime mette in allarme la Cina, timorosa di perdere il controllo politico di quel paese. Una situazione quindi precaria che rischia di trasformare i destabilizzatori in destabilizzati e viceversa. A questo punto, un intervento diretto di una superpotenza, rischia di legittimare la reazione dell’altra. Come dice giustamente Campa, le parole vanno interpretate alla luce dei comportamenti. I comportamenti più discreti, dietro le quinte, si intuiscono sulla base degli eventi e delle loro concatenazioni. In una fase di conflitto multipolare è un’impresa sempre più difficoltosa_Giuseppe Germinario

PODCAST nr 2 _ ESCALATION IN COREA, di Gianfranco Campa

Il secondo podcast di Italia e il mondo. Il gioco in Corea. (cliccare sul cursore dell’immagine in basso)

Una partita giocata ormai al rialzo. Se va bene, scopriremo chi tra i due contendenti sta bluffando; uno dei due contendenti, comunque, è destinato ad una rovinosa caduta di immagine e credibilità. Se va male si rischia un conflitto dalle conseguenze imprevedibili nella loro gravità. I motivi contingenti che stanno portando a questo alto livello di tensione sono numerosi, non ultimo la delega in bianco lasciata da Trump ai militari all’interno dello staff presidenziale, senza poter rinunciare alla propria responsabilità politica. Il Presidente, ormai, è destinato a rimanere in ostaggio e il suo destino è in mano ai suoi avversari di appena otto mesi fa. La posta strategica è ancora più decisiva. Si tratta di determinare il livello di autonomia decisionale che, nel bene e nel male, possono avere paesi e potenze regionali, tra questi oltre alla Corea del Nord, Egitto, Turchia ed Iran, i quali aspirano a mantenere un ruolo attivo meno subordinato alle strategie delle grandi potenze, in primis degli Stati Uniti; una autonomia, purtroppo, che dipende sempre più, ormai, anche dalla capacità di deterrenza nucleare. Anche le tensioni regionali spingono di per sé verso questo tipo di riarmo. Ma una grande responsabilità ricade su chi ha chiuso entrambi gli occhi sul riarmo nucleare di paesi alleati, come Israele, osteggiando gli altri; soprattutto ricade sulle potenze che hanno fomentato la destabilizzazione e distruzione di paesi e stati (Iraq, Jugoslavia, Libia, Siria tra questi) sprovvisti di armamento strategico, favorendo e legittimando così i propositi di riarmo di altri. Si vedrà se questa politica in particolare statunitense riuscirà a trovare sponde ed uditori sensibili nelle fila delle altre due potenze di rango, Cina e Russia. Con l’attuale gruppo dirigente russo pare improbabile, perché la Russia ha bisogno di questi paesi per compensare lo scarto di potenza che la separa dagli Stati Uniti e perché con Putin, dal famoso discorso di Monaco nel 2007, ha inaugurato una linea diplomatica di maggior rispetto delle entità statuali. Il gruppo dirigente cinese sembra apparentemente più permeabile alle pressioni americane per tante ragioni, impossibili da enumerare in questo commento. Intanto, però, i cinesi hanno schierato due corpi d’armata (500.000 uomini) alla frontiera nordcoreana e i russi stanno rafforzando a loro volta il loro presidio. Vedremo se questi schieramenti sono rivolti solo contro la coalizione statunitense oppure nascondono qualche gioco più complesso rivolto anche verso i nordcoreani_ Giuseppe Germinario

PODCAST

Con questa registrazione avviamo un nuovo servizio a disposizione dei lettori. Dieci minuti di registrazione di un intervento o di un filmato dedicato ad un argomento preciso imposto dall’attualità. Il contenuto è fruibile digitando sull’immagine. Digitando sul pulsante PODCAST del menu orizzontale posto sotto il titolo del sito sono fruibili i filmati via via prodotti. La registrazione è fruibile direttamente su computer. Per l’utilizzo su tablet e cellulari occorre scaricare l’apposito software che appare al tentativo di apertura. Buon ascolto

L’utilizzo della GBU-43/B  Massive Ordnance Air Blast (MOAB), apre nuovi scenari nello scacchiere geopolitico mondiale. L’incontro fra Trump e Xi Jinping porta all’isolamento di Pyongyang. Di Gianfranco Campa 

 

 

L’UOMO Ω, di Gianfranco Campa

L’UOMO OMEGA, di Gianfranco Campa

Mentre i figli di Ivanka Trump e Jared Kushner cantavano una canzoncina al presidente Cinese Xi Jinping a Mar-A-Lago in Florida, 59 missili Tomahawk colpivano la base militare aerea Siriana di al-Shayrat sancendo la fine di una distensione mai iniziata e l’inasprirsi di una tensione con la Russia dai connotati oscuri e pericolosi. Il giorno dell’attacco è significativo e sconcertante allo stesso momento: esattamente cento anni prima nello stesso giono, più o meno alla stessa ora, gli Stati Uniti entravano nel calderone della prima guerra mondiale.

Questo attacco sanciva anche la negazione, la sconfitta, di un uomo; quell Donald Trump che per tutta la campagna elettorale aveva auspicato una distensione e un rapporto con la Russia più amichevole e convergente. Una politica nazional-populista incentrata prima di tutto sugli interessi di coesione interna piuttosto che sugli impulse verso l’estero, meno guerrafondaia e più incentrata sulla tessitura di rapporti piuttosto che sulla loro distruzione a livello internazionale; ora Trump si ritrova decostruito, ristrutturato e impacchettato in una nuova versione, quella di Neocon.

Un cammino relativamente breve. Ci sono voluti all’establishment esattamente 21 settimane e 3 giorni per completare la trasformazione di un uomo che si è ritrovato assediato e accerchiato senza quella capacità e quella necessaria forza  mentale e fisica da contrapporre all’incessante tambureggiamento di un sistema politico luciferino che ci sta spingendo verso un abisso dal quale, al momento, non si vedono all’orizzonte personaggi capaci di sottrarci.

Il giorno dopo l’attacco, gli arcinemici neocons e neoliberals del Presidente, si sono trasformati in cantori di lodi e inni celebrativi. I media si sono associate almeno per il momento al coro di lodi verso questo uomo “nuovo”. Fareed Zakaria sulla CNN ha detto che Donald Trump è diventato presidente questa notte (la notte del bombardamento). Fino al giorno prima gli sputava in faccia, il buon Zakaria; il giorno dopo era lì a leccargli il sedere. Brian Williams sulla MSNBC celebrava le immagini dei missili lanciati dalle navi della marina americana come “una bellissima visione celeste”, rischiando di farsela addosso dall’emozione. La MSNBC con la giornalista Rachel Maddow per mesi è stato la grancassa di questo neomaccartismo versione XXI secolo.

I vari John McCain, Lindsey Graham, Marco Rubio e compagnia assortita si sono come camaleonti trasformati da cecchini a salvatori di Trump, dichiarandosi orgogliosi del Presidente. E’ chiaro che costoro non si accontenteranno di una semplice sortita e spingeranno affinché il presidente continui e espanda l’intervento militare.

E così un uomo solo e ingabbiato è diventato tutto d’un colpo l’eroe della giornata, l’equivalente del leader di quella classe politica che lo aveva eretto a nemico numero uno, crocifiggendolo ogni volta che starnutiva o scorreggiava. Alla fine Trump sollecitato dalle vipere presenti nel suo entourage, si è venduto, come il musicista Robert Johnson,  l’anima al diavolo, liberandosi momentaneamente, in un colpo solo, di quei nemici che lo avevano assediato.

Sembra che la mossa sia stata di successo; l’indice di gradimento verso Trump da parte degli americani è passato dal 35% a oltre il 50 % nel volgere di una notte. Vorrei ricordare però a Trump che Bush aveva il 73% di gradimento prima della guerra in Iraq ma alla fine del suo mandato ne conservava solo il 32%. Una vittoria di Pirro che costerà a Trump più di quel che crede.

In ogni caso i poveri bambini siriani gridavano vendetta e vendetta è stata verso quel “mostro” di Assad. Nessun atto è stato messo in opera per incoraggiare la gente ad aspettare. Almeno una inchiesta dell’ONU; l’evidenza del precedente caso nel 2013 di uso di armi chimiche, prima associato frettolosamente ad Assad per poi essere, dopo le indagini dell’U.N. Independent International Commission of Inquiry on Syria, attribuito ai ribelli, unici responsabili, secondo il giudice Carla Del Ponte, dell’uso di armi chimiche. A nulla è servito ricordare che prima della guerra in Iraq, ci avevano assicurato che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa.

La tempistica dell’attacco agli innocenti civili Siriani è a dir poco sospetta, appena qualche giorno prima della visita a Mosca di Tillerson, già programmata da molto tempo. All’apparenza si potrebbe pensare ad una mossa brillante di Trump. Pretende di colpire la Siria di Assad alleata di Putin togliendosi davanti tutte quelle accuse di essere un pupazzo di Putin e della Russia. Distogliendo l’attenzione anche dalla pressione incessante dell’FBI, la quale sta conducendo un’inchiesta su presunti rapporti tra alcuni ex-collaboratori di Trump, principalmente Carter Page, Paul Manafort, Roger Stone ed esponenti politici Russi. Rapporti che i tre non hanno mai negato ma che hanno sempre considerato collocabili nei parametri della legalità. Ormai è chiaro che ogni cosa associata alla Russia è suscettibile di essere screditata dall’apparato di potere con il supporto, l’appoggio e l’azione delle nuove guardie pretoriane, i servizi di Intelligence.

Io comunque a tutta sta brillantezza di Trump non credo neanche un po`. Primo perché ha mostrato molta approssimazione nella gestione delle politiche estere ma anche interne; ma soprattutto perché, se di brillantezza si è trattato, mi viene allora difficile spiegare la dichiarazione della Clinton la quale la mattina stessa nel giorno dell’attacco aveva, durante un discorso in uno dei tanti incontri con gruppi di femministe, che alle parole di Clinton hanno fatto seguire applausi scroscianti che la dice lunga sulle reali priorità` di questi gruppi, suggerito una azione diretta ai posti da dove si presume siano partiti gli aerei responsabili dell’attacco ai civili siriani.

Un genio quello Trumpista, ma solo a metà; perché un lampo “creativo” da condividere con quella pacifista dura e pura di Hillary che ha anticipato l’iniziativa  del presidente di qualche ora. Trump ha completato la sua trasformazione da nazional-populista a guerrafondaio neocons, una versione maschile della pericolosa Clinton in pantaloni e peluche arancione.

La trasformazione di Trump non è comunque avvenuta nel giro di una notte; è proseguita nel corso di mesi e settimane, sotto la gestione brillante dell’uomo Omega, Mike Pence e del suo compare, Jared Kushner.

Trump era all’apparenza l’uomo Alpha; il primo, il comandante di nuovo corso, Ora è diventato un Bush versione 2.0. Mike Pence è invece l’uomo Omega, perché paladino dei neocons; con quell sorriso sornione sarà l’ultimo a restare in piedi se Trump dovesse essere rimosso con le buone o con le cattive. E’ chiaro che se la capitolazione ideologica di Trump dovesse completarsi senza possibilità di resipiscenza allora risulterebbe inutile la sua rimozione dall Casa Bianca, almeno fino alla scadenza del mandato.

Pence, come avevo scritto in precedenti articoli, è stato l’entità responsabile dell’abbattimento di Flynn e del suo gruppo di advisors, messi da parte da McMaster e rimpiazzati con i soliti membri dei gruppi Think Tank tornati al potere dopo nemmeno più di tre mesi di esilio. McMaster ha reclutato tra gli altri Fiona Hill, una studiosa della Brookings Institution e tradizionalmente un falco anti-russo, una McCain in gonella. Fiona Hill sarà senior director per gli affari di Russia e Europa. Origianariamente, Flynn aveva scelto Tim Shea, un personaggio molto più mite e propositivo verso la Russia.

Dopo la dipartita di Flynn, Pence è volato a Monaco a Febbraio per partecipare al Munich Security Conference della NATO dove con il suo solito sorriso affabile e sornione ha tranquillizato i membri NATO attaccando la Russia per la suo atteggiamento aggressivo e mandando il chiaro messaggio che con Trump non sarebbe cambiato nulla.

Se il siluramento di Flynn non è bastato, se le dichiarazioni di Pence a Monaco non sono state sufficienti, allora l’emarginazione di Steve Bannon dovrebbe rendere chiaro una volta per tutte chi ora comanda a Washington. I neocons sono tornati grazie a Pence, l’uomo Omega, l’ultimo a sorridere, l’ultimo a parlare, l’ultimo a rimanere in piedi.

STAR WARS di Gianfranco Campa

Pubblichiamo un articolo già apparso nell’aprile 2013 ma ancora attuale a proposito dell’intenzione dell’allora amministrazione di Obama di installare in Corea del Sud il sistema antimissile THAAD. La proposta fu accolta dal Governo Giapponese e respinta da quello Sudcoreano. Il progetto rientrava pienamente nella politica di destabilizzazione che il governo americano di allora perseguiva in diverse regioni cruciali del mondo a scapito di quei paesi più restii ad accettare i diktat e i desiderata americani e suscettibili di perseguire una politica di avvicinamento alla Russia. In questi giorni il governo sudcoreano ha invece acconsentito all’installazione del sistema antimissilistico; potrebbe essere però una decisione a termine a pochi mesi dalle elezioni di quel paese che potrebbero portare alla vittoria uno schieramento di centrosinistra favorevole ad un avvicinamento alla Cina e contrario al dispiegamento del sistema d’arma. Più che una prosecuzione, quindi, della politica obamiana un segno della schizofrenia dell’attuale politica estera statunitense la quale, piuttosto che riorientare il confronto ostile dalla Russia alla Cina, rischia l’apertura di più fronti di conflitto contemporaneamente con i due paesi. Una schizofrenia che soffre quindi questa volta del confronto aperto all’interno degli Stati Uniti tra diverse strategie.

All’inizio di aprile la Casa Bianca fu informata specificamente dai servizi che le minacce che venivano dalla Corea del Nord erano da prendersi sul serio. I probabili obiettivi dei colpi nord-coreani erano da considerare le isole di Guam ed Okinawa in Giappone. Entrambe le isole hanno una forte presenza militare americana e sono posizionate strategicamente nell’arena dell’Asia-Pacifico. In particolare Guam è considerato l’obiettivo principale in quanto territorio non-incorporato degli Stati Uniti nell’ oceano Pacifico occidentale. La valutazione dei servizi riteneva più probabile un attacco a Guam che non sugli USA continentali.

Le capacità di attacco della Corea del Nord non sono totalmente chiare, ma osservando delle immagini satellitari molto precise il Dipartimento della Difesa USA riporta che i missili che la Corea del Nord vorrebbe lanciare, fanno parte della famiglia No-Dong/Musadan, ed in particolare quelli di classe B. I No-Dong B sono la versione più recente della famiglia No-Dong.

Secondo i rapporti dei servizi il No-Dong B è lungo circa 12 metri con diametro di circa mezzo metro. Sembra che i missili classe B siano un po’ più piccoli di quelli dell’intera famiglia No-Dong. La differenza con gli altri sta nella maggiore gittata e mobilità di questi missili che possono essere lanciati da mezzi semoventi. Le stime della loro gittata vanno da un minimo di 2400 km ad un massimo di 4000 km. La classe B è potenzialmente in grado di raggiungere le basi americane a Guam ed Okinawa.

Diversi missili No-Dong B sono stati scoperti mentre erano trasportati via treno attraverso la nazione verso i loro siti di lancio. Guardando le foto in dettaglio, si osserva che i missili hanno un comparto motore ed un serbatoio di propellente insieme ad un componente ulteriore simile al No_Dong A/1 che fornisce al classe B un ulteriore stadio come veicolo di rientro. Con l’aggiunta del serbatoio di propellente e del veicolo di rientro, il No-Dong B potrebbe essere capace di aggiungere altri mille kilometri di gittata, che è un buon risultato, ma non ancora sufficiente per raggiungere parti critiche degli USA. Con le attuali apparecchiature militari la Corea del Nord non ha ancora sviluppato la capacità di raggiungere gli USA continentali. Le smanie dei media su possibili obiettivi come S.Francisco o Los Angeles sono esagerate e totalmente sbagliate.

Chiarito che non c’è alcuna possibilità di raggiungere gli USA continentali, comunque, i missili nord-coreani hanno la gittata per raggiungere Guam e Okinawa. Okinawa, anche se in territorio giapponese, è una delle più importanti aree militari americane, rendendola un obiettivo primario. Lo stesso per Guam, che non solo è un possedimento USA, ma è anche sede di tre basi militari importanti. La base aerea Andersen a Yigo, la base navale nel porto di Apra e le forze navali a Marianas.

Stabiliti i possibili obiettivi dell’attacco nord-coreano e con solide informazioni dei servizi (ancorché non complete) sulle capacità della Corea del Nord, la Casa Bianca ha scatenato pienamente la macchina militare. Il vincitore del Nobel per la pace Obama, fra un ricevimento ed un torneo di golf, ha chiarito che ogni azione ostile della Corea del Nord sarà contrastata col pugno di ferro. Ma mentre tutti rivolgono la loro attenzione alle tradizionali manovre della marina, dell’esercito e dell’aviazione nell’arena asiatica, lo sviluppo più significativo è lo spiegamento del nuovissimo THAAD (Difesa dell’Area Terminale ad Elevata Altitudine).

2

 

Il 3 aprile 2013 il Dipartimento della Difesa ha annunciato che il sistema di difesa anti-missili balistici THAAD era stato dispiegato a Guam. Dal 14 aprile la prima unità THAAD è in posizione e pronta ad intercettare qualsiasi missile possa essere lanciato dalla Corea del Nord. Questa nuova classe di intercettori è l’ultima aggiunta al Sistema di Difesa anti-Missili Balistici (BMDS) che è completato dai Patriots e dal sistema AEGIES BMD. I THAAD sono dispiegabili rapidamente e capaci di distruggere missili sia dentro che fuori l’atmosfera durante la fase finale del loro volo.

Ecco alcune delle caratteristiche del THAAD. I missili sono basati a terra, montati su veicoli semoventi e ad alta tecnologia. Sono specificamente progettati per distruggere qualsiasi testata bellica e sono molto efficaci contro qualsiasi minaccia asimmetrica di missili balistici. La loro capacità di intercettare i missili in arrivo ad altitudini molto elevate, mitiga gli effetti di ogni arma di distruzione di massa prima che arrivino a terra. Una batteria THAAD consiste di quattro elementi: un lanciatore, gli intercettori, il radar ed infine il controllo del fuoco. I lanciatori sono montati su camion e quindi molto mobili, i missili possono essere facilmente sparati e ricaricati. Ci sono otto intercettori per ogni lanciatore. Ogni lanciatore è provvisto di un AN/TPY-2 (sistema di sorveglianza radar). Il radar è in grado di cercare, seguire e puntare un oggetto e di identificare di che tipo di oggetto si tratti prima di decidere di colpire l’oggetto in arrivo. Ogni componente del THAAD è connesso a mezzo di software estremamente sensibile e sofisticato. Il THAAD è capace di esplorare, applicare ed eseguire soluzioni di intercettazione multiple, ridefinendo continuamente i suoi obiettivi. THAAD ha un’altitudine operativa di 150 km.

3

Il progetto THAAD è stato inizialmente concepito nei primi anni ‘90 ma vari ritardi per ragioni di budget lo avevano rallentato. Nel 1992, Lockeed Martin Missiles-Space e Raytheon hanno ottenuto un contratto di 689 milioni di USD per sviluppare il sistema THAAD. Alla fine il programma THAAD entrò nella fase di sviluppo progettuale e costruttiva nel 2000. La piena produzione del THAAD cominciò nel marzo 2004 nei nuovi impianti Lokheed Martin a Pike County, Alabama. Le prove di volo incominciarono nella base di White Sands Missile Range nel New Mexico. Il primo test di volo del sistema completo incluso missile, lanciatore, radar e sistema di controllo ebbe luogo nel maggio 2006. Nel gennaio 2007 nella base Pacific Missile Range, a Kauai, nelle Hawai ci fu un test positivo di intercettazione condotto nella elevata endo-atmosfera. I test sono continuati negli anni incluso, nell’ottobre 2012, un test combinato utilizzando tutta la tecnologia e le apparecchiature dell’arsenale BMDS, un test integrato per valutare l’interoperabilità fra AEEGIS BMD, THAAD, Patriots e il sistema di comando-controllo. Occorre dire che il test del sistema THAAD è stato estremamente positivo. Interessante che nel 2011 gli Emirati Arabi Uniti (EAU) abbiano  firmato un accordo da 1,96 miliardi di USD per due sistemi d’arma THAAD e apparecchi di supporto. Questo è il primo contratto di vendita estero del THAAD. Il THAAD è considerato vitale per la protezione degli EAU contro le minacce missilistiche provenienti dall’Iran. Personalmente non credo che la Corea del Nord stia preparandosi ad eseguire una attacco contro installazioni militari o territori americani, ma se un tale attacco avvenisse, Guam e Okinawa potrebbero diventare campi di prova per valutare le reali capacità dei sistemi di dispiegamento e lancio dei missili nord-coreani e per valutare il salto militare americano nel futuro con il sistema THAAD e la sua efficacia in situazioni di scenario reale.

SOTTO LA COPERTURA DELLE TENEBRE, di Gianfranco Campa

Mentre si infiamma la guerra civile, attualmente in atto tra le orde  Sorosiane/Obamiane/Clintoniane/Neoconiane da un lato e la armata Brancaleone/Trump dall’altra, cominciano ad affiorare in superficie le mine disseminate dall’amministrazione Obama con l’obbiettivo di far deragliare parzialmente se non completamente il convoglio della Presidenza di Trump.

Sono tutte trappole piazzate con discernimento, disseminate lungo il percorso intrapreso da Trump, al solo scopo di far saltare e distruggere le buone intenzioni del Presidente.

Arroccato nel castello bianco, stretto sotto assedio, Trump è diventato il Capitano York di Fort Apache. Le orde barbariche girano come avvoltoi senza tregua cercando il momento opportuno per sferrare il colpo mortale, mentre tutto intorno la sua scarna truppa cerca disperatamente di spegnere i fuochi che rischiano di incendiare e far crollare l’intero accampamento.

Siamo forse arrivati al momento più delicato di questo scontro. Trump sta vivendo ore cruciali; tutta la sua amministrazione è messa a dura prova, rischia di saltare in aria. Le mine da disinnescare sono numerose e quasi tutte accuratamente mimetizzate. Non riguardano solo la politica interna ma anche la geopolitica; quella che poi ci coinvolge maggiormente.

Una di queste trappole è stata preparata da Barack Obama nella notte dello scorso capodanno,  approfittando della copertura delle tenebre e del rumore dei botti festosi.  L’Amministrazione Obama prende una decisione apparentemente inspiegabile e allo stesso tempo strana, pericolosa che lascia non solo perplessi , ma soprattutto con pesanti interrogativi circa la sua utilità e le gravi conseguenze che potrà innescare in termini geopolitici. La sera del 31 Dicembre 2016, al tramonto della suo mandato, Obama ha imposto al Pakistan pesanti sanzioni. Queste sanzioni, dato l’orario, il giorno e l’obbiettivo, sono passate quasi del tutto inosservate e tuttora la stragrande maggioranza dei media non pare esserne al corrente. Gli stessi “esperti” di Politica Estera e Strategie Geopoltiche, come i Think Tank di Foreign Policy, del Council on Foreign Relation, del Brookings Institution e via dicendo, non hanno dedicato praticamente nulla del loro tempo ad analizzare la bizzarra decisione presa da Barack e “Barakkini”.

Anche gli esperti sono stati colti di sorpresa? Solo in parte, data la tarda ora; soprattutto, visto che non sono degli sprovveduti, hanno chiuso gli occhi perché hanno volutamente omesso di avvertire il team di transizione di Trump, all’epoca non ancora insediato alla Casa Bianca. Si sono quindi autocensurati per non allertare il nuovo Presidente di questa patata geopolitica molto bollente, diventando quindi complici di Obama nella sua opera di posizionamento delle mine anti-Trump. Di conseguenza, oppressi dal cumulo di impegni assillanti, i nuovi inquilini della Casa Bianca hanno impiegato molte settimane per prendere coscienza prima della esistenza stessa delle sanzioni, poi del loro carattere pesantemente negativo, dall’importanza geopolitica enorme con potenziali nefaste consequenze epocali per l’attuale amministrazione.

Obama, dopo aver proposto nel febbraio dello scorso anno al Senato Americano aiuti finanziari al Pakistan per un totale di 860 milioni di dollari, appena qualche mese dopo ha finito per sanzionarlo. Un atteggiamento in teoria strano e inspiegabile; in realtà una decisione mirata solo ed esclusivamente a porre Trump con le spalle al muro.

Il primo ministro indiano Modi, a Luglio dello scorso anno aveva fatto pressione sugli Stati Uniti per punire il Pakistan per il suo aggressivo programma missilistico e  nucleare. Obama all’epoca non reagì alle richieste dell’India. In effetti Obama non si è mai realmente curato della situazione geopolitica e della tensione che intercorre tra il Pakistan e i paesi limitrofi tra i quali l’India. In aggiunta l’Arabia Saudita ha manifestato insofferenza verso il Pakistan per il rifiuto di quest’ultimo di partecipare o quantomeno sostenere i Sauditi nella guerra in Yemen. Anche su questo aspetto Obama ha sempre ostentato disinteresse, creando disappunto tra le fila del regime saudita.

Sono anni che il Pakistan sostiene un programma missilistico e nucleare. In otto anni di presidenza Obama, il Pakistan non ha modificato di una virgola questo programma, rimasto inalterato per tutto il prosieguo. In altre parole Obama sapeva benissimo quale fossero i progetti e le capacità militari del Pakistan. Anzi, durante il suo mandato, ha manipolato il Pakistan come un burattino violando più volte il suo territorio e la sua sovranità; non dimentichiamoci del raid contro Bin Laden. Addirittura ha usato il Pakistan come leva per arrivare a un accordo con l’Iran.

Quindi una domanda importante da porsi è la seguente: cosa ha fatto cambiare idea al nostro caro Barack? La risposta è semplice; fino a novembre Trump non costituiva una minaccia; alla fine di dicembre Trump era ormai avviato verso la Casa Bianca.

Sono molte le aziende che sono state messe fuorilegge dal Dipartimento del Commercio Americano; tra queste figurano la Ahad International, la Air Weapons Complex, la Engineering Solutions Pvt. Ltd., il Maritime Technology Complex, il National Engineering and Scientific Commission, il  New Auto Engineering e l’Universal Tooling Services. Tutte aziende importanti e vitali per l’economia Pakistana; sanzioni quindi che fanno male e che hanno suscitato in Pakistan un forte malumore verso gli Stati Uniti. I Pakistani hanno  sbagliato su una cosa però; ritengono che la decisione delle sanzioni sia stata presa da Obama sotto suggerimento degli Indiani e dei Sauditi. Solo ora, in pieno caos politico Americano, stanno finalmente mettendo insieme i tasselli e prendendo coscienza che il Pakistan si ritrova vittima sacrificale della guerra civile politica in atto negli States.

Per Trump sarà molto problematico cancellare le sanzioni per due semplici motivi. Prima di tutto perchè i Pakistani hanno ormai aperto la porta ai Cinesi, i quali hanno sostanzialmente aumentato la loro presenza economica nel paese, accrescendo il peso diplomatico al punto tale che sono ora in grado di dettare loro stessi la linea geopolitica al Pakistan. In secondo luogo l’eventuale decisione da parte di Trump di revocare le sanzioni risulterebbe intollerabile sia per gli Indiani che per i Sauditi, in particolare  per Narendra Modi, il piu  ostinato oppositore a qualsiasi rapporto amichevole  tra Pakistan e USA.

In sovrappiù le sanzioni servono a collocare Trump in una situazione difficilissima per quanto riguarda l’Afghanistan. I vertici del Pentagono e gli esperti geopolitici concordano nel considerare l’Afghanistan un paese sull’orlo del collasso. Stiamo parlando non di anni, ma di mesi, forse di settimane. Trump dovrà confrontarsi con un problema serio; salvare il salvabile in Afghanistan.

Due opzioni sono a disposizione dell’amministrazione Trump. Intervenire al più presto oppure abbandonare l’Afghanistan al proprio destino. In ogni caso tutte e due queste soluzioni comportano un problema enorme, un dilemma serio. Se Trump decide di lasciare l’Afghanistan al proprio destino, il mondo intero lo taccerà di quel fallimento e di ingenua approssimazione al cospetto dei piu` “capaci” Obama e Bush. Dovesse decidere il massiccio intervento militare, l’azione sarebbe pesantemente pregiudicata dal mancato supporto logistico del Pakistan. Date le sanzioni, ritengo improbabile una concreta disponibilità dei Pakistani nei confronti degli Americani. In alternativa ci sarebbero i Russi, ma anche qui Obama ha fatto terra bruciata.

Ecco perchè Trump si ritrova con le spalle al muro.

Non ci devono sorprendere le manovre obamiane. Si conosce la sua particolare predisposizione e sensibilità alla pace nel mondo. Il Nobel, Obama se lo è proprio meritato!

L’unica via per Trump sarebbe quella di negoziare una qualche soluzione che smussi le tensioni e il malcontento di Pakistani, Indiani e in alternativa dei  Russi e poter quindi operare liberamente in Afghanistan; sempre che i Cinesi non si mettano di traverso.

Vedo già i titoloni che annunciano il fallimento di Trump in Afghanistan; fallimento di cui dovrà sopportare tutta la colpa, sappiamo già come operano i media.

Non c’è da aggiungere altro; il suo predecessore gli ha lasciato in eredità una situazione geopolitica gravissima. D’altronde c`era da aspettarselo da un uomo come Barack, campione dei diritti civili, sempre attento alle necessità degli ultimi.Un figuro che se può ti dà una mano; controlla però che nel  frattempo non ti abbia tagliato l’altra.

IL RITORNO DEI NEOCONS, di Gianfranco Campa

Storicamente parlando, durante la prima Guerra Fredda,  anche nei momenti di tensione più palpabili, come per esempio la crisi dei missili a Cuba, da qualche parte, nelle stanze riservate della casa Bianca e del Cremlino, c’era chi si parlava, comunicava, cercava spiragli per risolvere crisi che portavano sempre inevitabilmente a confrontarsi con la possibilità di una Guerra Nucleare. Nell’assurdità del sistema politico attuale, la assillante propaganda Anti-Russa, usata come arma per screditare Trump e qualsiasi nemico del sistema governativo teso al nuovo ordine mondiale, porta a chiederci fino a che punto questi signori sono disposti a spingere la retorica di una nuova Guerra Fredda; confronto che potrebbe sfociare in qualcosa di molto più grave. Servirebbe fermarsi un attimo per ponderare le ripercussioni che potrebbero avere una intensificazione della crisi Nato-Russia.

In questo contesto si impongono un paio di domande fondamentali:

  • cosa ne sarà di una distensione mai veramente cominciata, forse appena solo accennata?
  • Una distensione con la Russia è ancora possible?

Il generale Flynn ha pagato il prezzo di essere stato la figura di spicco, l’attore principale, incaricato da Trump nel provare a tessere quella rete diplomatica che con il supporto di Tillerson avrebbe dovuto portare ad un tavolo di negoziati Trump e Putin.  Flynn ha anche pagato un prezzo caro per la sua lealtà al Presidente e per la dedizione alla missione a lui assegnata nelle sue valenze ed implicazioni più strettamente geopolitiche. Il pesante retaggio di Flynn, arrivato ad inimicarsi negli anni via via la maggior parte degli apparati di governo con le sue dure critiche, prima ad Obama poi all’establishment Repubblicano, colpevole quest’ultimo di non aver  sostenuto Trump durante la campagna elettorale, per proseguire con  la sua aperta disapprovazione della condotta dei vertici dei servizi di intelligence, tra di essi personaggi come James Clapper e John Brennan, ne ha fatto un bersaglio facile. Sarebbe stato troppo costoso, in termini politici, per Trump difendere Flynn. Così il Presidente ha cercato un atterraggio morbido, qualcosa che alleggerisse la pressione e rilanciasse la possibilità di creare un ambiente meno torbido intorno alla sua presidenza.

Ora possiamo ricostruire con quasi certezza gli episodi principali che hanno portato alle sue dimissioni. Tre giorni prima dell’ormai noto “scandalo” delle intercettazioni, Flynn aveva consegnato a Trump un dossier, un documento, da lui stesso redatto, con l’assenso, piu o meno tacito di Tillerson e di pochi altri appartenenti al circolo più stretto di Trump, con il quale si ponevano le basi di un accordo su vasta scala con la Russia. Seguendo la traccia del documento si sarebbe dovuto discutere, in un summit Trump-Putin, dei Balcani, della Siria, dell’Iran e della Cina; soprattutto si sarebbe affrontato la questione dell’Uncraina, punto critico da cui si genera la ragione della maggior resistenza dei Neocons alla svolta politica del Presidente. I contenuti dettagliati del fascicolo sono tuttora sconosciuti e, se devo azzardare una previsione, il dossier probabilmente è sparito per sempre, consegnato agli annali della storia più nascosta e segreta della Repubblica a Stelle e Strisce. Comunque è chiaro che il tempestivo assalto a Flynn tendeva  non solo ad un indebolimento di Trump, ma ad un deragliamento definitivo di qualsiasi accordo con Putin.

Girano voci di corridoio che additano in Reinhold Richard Priebus, meglio conosciuto come “Reince” Priebus, il cecchino di Flynn. Sono solo voci di corridoio, tese ad indebolire un altro fedele di Trump. Insinuando un tradimento di Priebus si colpiscono due piccioni con un solo colpo; far fuori Flynn e Priebus con lo stesso scandalo delle intercettazioni, equivarebbe ad un terno al lotto. Ma io so con certezza che Priebus non c’entra assoluntamente niente con il siluramento di Flynn. C’è invece un altro attore più potente complice del siluramento, perché sodale del vecchio establishement: Mike Pence. Il nostro caro vice presidente, Mike Pence, con il pretesto che Flynn gli avesse mentito riguardo alle sue assicurazioni dello scorso dicembre di non aveva parlato di sanzioni con l’ambasciatore russo, ha fatto pesanti pressioni su Trump perché lo rimuovesse dal suo incarico.

Mike Pence è un sornione, un uomo che trasuda fiducia da tutti i pori con la sua aria di vecchio amico che non ti tradisce mai. Fatto sta che Pence col suo sorriso soave di buon Cristiano e brav’uomo di famiglia è lo strumento che viene usato, naturalmente con il suo pieno consenso, dall’establishement repubblicano per manovrare Trump.

Trump ha cosegnato a Pence le chiavi di molte stanze e concesso una ampia libertà di azione; neanche il vecchio Joe Biden godeva sotto Obama di tale facoltà.

Biden era il cagnolino di Obama, Pence è la serpe che si insinua nel letto e ti colpisce quando vuole.

E` andata piu` o meno così. Pence ha sussurato all’orecchio di Trump la soluzione di tutti i suoi problemi: “fai fuori Flynn, affida la politica estera in mano ad altri, concentrati sulla politica interna, cerca un accordo con l’establishment per poi essere ricompensato con il pieno appoggio di tutto l’apparato repubblicano contro le orde barabariche democratiche.”

Questo però è un gioco pericoloso per Trump; intanto perché non sono convinto che i Repubblicani possano ostacolare i Democratici nella loro offensiva. Sono soprattutto persuaso che non abbiano assolutamente il desiderio di farlo.

Flynn, il fautore di una relazione più stretta fra Russia e USA, lascia il posto ad un altro Generale, H. R. McMaster. Con McMaster la manovra di aggiramento da parte dell’Establishment è completata. Ci sono voluti più o meno quattro mesi di assidui attacchi, di manovre e contromanovre  per far capitolare Trump e far deragliare le sue promesse di una nuova distensione con la Russia sostenute sin dai tempi delle primarie.

Intendiamoci; le credeziali del nuovo National Security Advisor non si discutono.

Il curriculum parla da sè: McMaster, per chi lo non lo conosce è un generale a tre stelle, decorato dalla testa ai piedi, soprattutto per le sue azioni durante la prima Guerra del Golfo, in Iraq. McMaster è anche l’autore di diversi libri; il più famoso riguarda la Guerra in Vietnam, con il quale McMaster critica, non tanto le ragioni della guerra, quanto le tattiche usate e la divisione alimentata con gli argomenti “parrocchiali” di chi altrimenti avrebbe dovuto gestirla strategicamente. Fattori che secondo McMaster hanno contribuito alla disfatta militare .

Il libro è diventato, per un’intera generazione di ufficiali militari, una lettura obbligata.

Ora il Generale McMaster avrà la possibilità di mettere a disposizione della Casa Bianca le proprie conoscenze, anche se McMaster non solo è un uomo di intelligenza superiore ma è anche un personaggio di brutale schiettezza e scorbuticità.

Un carattere duro che gli è costato più volte la promozione, raggiunta poi inevitabilmente grazie alle innegabili capacità.

Resta il fatto che McMaster è stato messo lì per intimidire Trump e portarlo ad abbracciare politiche neocons. Basta osservare che gli arcinemici di Trump, fino al giorno precedente la capitolazione di Flynn, sputavano veleno sul Presidente; ora si trovano ad eloggiare la nomina di McMaster. Il nostro caro McCain in un Twitter ha detto di McMaster: “Lt Gen HR McMaster è una scelta eccellente come consigliere per la sicurezza – uomo d’intelletto genuino, carattere e capacità

 

La disfatta di Trump è sintetizzata dal regista Oliver Stone; in un commento ha detto che:  “Condi Rice e Susan Rice impallidiscono accanto al generale H.R. McMaster, un cane da guerra del Pentagono fino alle midolla. Trump chiaramente sembra ormai sconfitto dal potere delle agenzie di intelligence e dei media. Anche il psicotico John McCain approva con tutto il cuore la nomina di McMaster.”

Il regista Stone è impegnato da oltre un anno nell’arduo compito di comunicare agli americani la pericolosità dell’antagonismo verso la Russia e delle menzogne costruite sull’Ucraina. Lo stesso regista parla di ostruzioni pesanti che arrivano non solo da entità politiche ma anche dall’ipocrita mondo hollywoodiano i quali cercano di ostacolarlo in tutti i mondi nella produzione di un documentario sulle verità ucraine.

Con la dipartita del General Flynn, la speranza di una distensione con la Russia sembra ormai confinata nell’ottimismo quasi illusorio di pochi credenti i quali si abbarbicano a cercare improbabili appigli.

Come ho scritto in precedenza, nutro ancora qualche speranza; soprattutto che Rex Tillerson possa compiere un miracolo e contro tutto e tutti riesca a raggiungere un accordo, anche se minimo con Lavrov. Un accordo che apra la via a negoziati più seri.  Inutile nascondere le difficoltà nelle quali Tillerson dovrà operare.

Tillerson però è un uomo dalle risorse nascoste, che ne fanno un formidabile nemico degli avversari della distensione.

Non ci resta  che seguire le trame che si svilupperano nei prissimi giorni, settimane, mesi.

Una cosa è certa; i Neocons sono tornati, ma forse non erano mai andati via.

L’ASCESA E LA CADUTA DI FLYNN, di Gianfranco Campa

Il pathos che traspare dal testo rivela non solo lo stato d’animo dell’autore, cittadino americano, ma la drammaticità stessa dello scontro politico, in atto negli Stati Uniti ma dalle profonde implicazioni nel resto del mondo (nota editoriale)


L’ASCESA E LA CADUTA DI FLYNN

In queste ore di profonda incertezza sul futuro dei rapporti Occidente-Russia, osserviamo i soliti media, ambasciatori asserviti ai poteri forti, che trasudano odio e rincorrono elaborati esercizi mentali nel tentativo di interpretare e far coniugare le dimissioni di Michael Flynn, il consigliere della sicurezza nazionale appena nominato dall’Amministrazione Trump, con la loro agenda ideologica, cercando nel contempo anche di screditare tutto l’apparato dello striminzito Governo Trump e infliggergli di conseguenza il colpo mortale. Queste gimcane servono in questo contesto solo al tavolo degli idioti di turno; non tutti però sono imbecilli da credere alla propaganda divulgata dai poteri anti-Trump.

Le “accuse” sono semplici: Flynn si è reso responsabile, secondo loro, di alto tradimento quando ha parlato al telefono più volte con l’Ambasciatore di Mosca a Washington; in particolare la telefonata più incriminata è quella del 29 Dicembre, giorno in cui l’amministrazione Obama prese la decisione di espellere i diplomatici russi dal suolo nazionale.

Procediamo con ordine. Da tempo Flynn era marcato stretto, bersaglio primario dei nemici mortali di Trump. Come avevo già scritto precedentemente, la situazione di Flynn era già apparsa, negli ultimi giorni, molto precaria. Flynn si è ritrovato strattonato da più parti sugli indirizzi di politica estera da perseguire. Flynn era dibattuto fra il suo desiderio, in linea con Trump, di attuare una nuova distensione con la Russia e la sua insofferenza verso l’Iran. Questa insofferenza insieme ai suoi rapporti più o meno amichevoli con i Russi sono stati usati come cuneo, prima per indebolire e poi per neutralizzare il Generale Flynn. Questi personaggi, come avvoltoi, hanno annusato la preda ferita e si sono avventati contro per straziarla. Il pretesto usato è stato una probabile serie di telefonate intercorse lo scorso dicembre fra Flynn e l’Ambascitore russo a Washington, Sergey Kislyak. Telefonate che secondo le accuse si incentravano sulle sanzioni imposte da Obama alla Russia e sulla possibilità di rimuoverle una volta Trump subentrato alla Casa Bianca. L’arma usata contro Flynn è stata la riesumazione  del cosiddetto  Logan Act del 1799 che recita: “Si impone una multa e/o l’imprigionamento di ogni cittadino il quale negozi, non autorizzato,  con governi stranieri con un contezioso in corso con il Governo attuale degli Stati Uniti.” Essendo le telefonate fra Flynn e Kislyak tenutesi a Dicembre, quando Obama era ancora alla Casa Bianca, allora queste telefonate possono considerarsi una violazione del Logan Act.

Questa è l’accusa, ma in sostanza non c’è niente di criminale nelle telefonate tra Flynn e Kislyak. Non c’è nessuna violazione del Logan Act per il semplice motivo che Flynn, letteralmente parlando, non era un privato cittadino nel momento in cui ha condotto la telefonata, bensì un funzionario di un governo, non ancora insediato, ma già eletto democraticamente dal popolo. L’unica accusa che gli si può imputare è il fatto che non abbia dichiarato integralmente tutta la natura delle conversazioni fra lui e Kislyak.  In aggiunta voglio fare presente che in tutta la storia Americana, mai nessuno era stato accusato di violare il Logan Act. Inoltre è provato che i Democratici come il compianto Ted Kennedy, John Kerry, Nancy Pelosi e altri hanno commesso atti di gran lunga peggiori di quello portato avanti da Flynn. In particolare mi viene in mente un episodio di qualche anno fa quando Michael McFaul, nel 2008,  prima  ancora che Obama fosse eletto, andò a incontrarsi direttamente con in funzionari Russi a Mosca per trattare linee diplomatiche da perseguire fra i due governi. McFaul dopo la vittoria di Obama divenne ambasciatore a Mosca. Se c’è stato uno che ha violato il Logan Act, questo è appunto McFaul il quale prese l’iniziativa di recarsi, da cittadino comune, in Russia (sicuramente con il beneplacito di Obama) per rappresentare un presidente non ancora ufficialmente eletto.  Andatelo a spiegare voi a questi quattro pagliacci di giornalisti che si stracciano pubblicamente le vesti, la differenza fra una accusa finta e una vera.

Un altro punto importante; queste telefonate erano già state trattate da Flynn con il vice presidente Mike Pence in dettaglio e già allora si era chiarita la situazione. Flynn aveva negato che la natura delle telefonate fosse stata esclusivamente incentrata sulle sanzioni. Ora si è trovata la scusa che Flynn non sia stato del tutto sincero e nasconda una sinistra attrazione verso la Russia. Non c’è nessuna prova che Flynn sia un personaggio compromesso. Le accuse che arrivano a Flynn provengono dalla stessa melma che da anni batte i tamburi di una guerra fredda con la Russia e usano i contatti con la Russia per screditare Trump.

La formula e già colludata; infiltrati, usualmente di estrazione del Dipartimento di Giustizia o del Dipartimento di Stato, rimanenze delle falangi Obamiane, rappresentanti di quel governo ombra, inquinato di neocons, i quali imperversano indisturbati nelle stanze del potere, fanno trapelare informazioni sull’ amministrazione Trump consegnando questi “sensazionali scoop” ai portavoce di regime come il Washington Post o il New York Times, giornali screditati, diventati ormai da spazzatura, neanche buoni da usare al bagno. Una volta che queste notizie vengono rese pubbliche, i soliti cecchini ormai ben noti, tipo l’ex direttore della National Intelligence James Clapper (uno che ha mentito sotto giuramento) e l’ex direttore della CIA John Brennan , alimentano questa caccia alle streghe. Una volta che uno come Clapper , Brennan, Sally, Yates o MacCain (tanto per fare dei nomi conosciuti), ufficializzano  le accuse, la melma raccoglie la palla al balzo giocandoci con impunità.

Flynn paga inoltre il dazio della sua dura critica ai servizi di Intelligence sui vari dossier anti Trump divulgati durante la campagna elettorale. L’assassinio politico di Flynn ci consegna più domande che risposte. Chi sono i traditori spia, inflitrati nei vari sistemi di governo che impunemente rilasciano ai media informazioni considerate riservate se non segrete? Chi ha dato l’ok a NSA, CIA e FBI di intercettare le telefonate di Flynn? Quanti altri tabulati di intercettazioni  sono in mano a questi terroristi domestici? Chi sarà il prossimo bersaglio?

Trump deve stare molto attento; già i collaboratori fidati sono pochi, ma con la perdita di Flynn si assottigliano ancora di più. La tattica è chiara; prendere uno alla volta i colaboratori più fedeli e demolire la Casa Trump un pezzo alla volta. Flynn è solo l’inizio. Sono in serio pericolo anche i vari Bannon, Conway, Spicer, Miller e via dicendo. Il guru Roger Stone ha oggi dichiarato, in una intervista a Newsmax TV, che la decisione di Trump di non erigere un muro di sbarramento in difesa di Flynn, costi quel che costi, equivale a una “Pearl Harbor” di chi ha sostenuto il Presidente fino a questo momento. Secondo Stone, Trump sente la pressione e avendo incaricato Flynn di tessere relazioni con i Russi prima ancora della sua entrata alla Casa Bianca, ha deciso di spingerlo alle dimissioni per coprire quella tessitura di rapporti che era stata pianificata da tempo, mirante ad una relazione più amichevole con la Russia. Venuto meno il supporto a tale rapporto e sentendo il montare della pressione, Trump si è tirato indietro e ha lasciato Flynn in pasto ai lupi. Così si spiega, secondo Stone, la dichiarazione fatta oggi dalla Casa Bianca di ritenere la Crimea un territorio Ucraino.

Tornando a Flynn, ci sono uomini che nonostante tutto, anche sbagliando, non perdono la loro integrità. Sono fedeli alle loro convinzioni e valori, qualunque essi siano e promuovono queste convinzioni e questi valori al di là di ogni calcolo di interesse personale. Vengono descritti in gergo comune come uomini tutti di un pezzo. Il generale Michael Flynn appartiene a questa categoria di uomini che, nella melma del mondo occidentale, si rarefanno. Uomini in via di estinzione, spianati dal rullo compressore di interessi e poteri avversi a chi, come Flynn, non si ribassano a compromessi per questione di calcoli politici miserabili o economici.

Flynn apparteneva al gruppo più vicino a Trump, quello storico, quello che ha creato il fenomeno Trump. Senza Flynn e pochi altri non ci sarebbe stato un Trump. Flynn e il suo amico Sebastian Gorka, sono stati i primi veri personaggi di estrazione militare ad appoggiare la candidatura di Trump, apertamente, senza se e senza ma, mettendosi in prima fila, senza vergogna, al servizio stesso dell’attuale Presidente. Per questo supporto, Flynn si sottometteva con stoicità alle critiche che gli piovevano da tutte le parti. Venendo anche attaccato sulla sua stessa integrità morale, una cosa che sicuramente non gli è mai mancata. Le sue dimissioni da consigliere sulla sicurezza dell’amministrazione Trump ne sono la prova; piuttosto che continuare a sottoporsi alle vessazioni di una stampa meschina e di nemici potenti, Flynn ha preferito ritirarsi dalla scena, scegliendo la via più a lui consona, quella dell’orgoglio e della dignità personale.

Questa marmaglia può solo pulire le scarpe a Flynn, un uomo che ha pagato con la sua onorata carriera l’opposizione prima allo stesso Clapper e poi a Obama definendolo un “ presidente bugiardo” e denunciando il sistema corrotto non solo dei servizi di intelligence ma anche della giustizia della vecchia amministrazione. Un’altra dura critica di Flynn era rivolta contro quella che riteneva una posizione troppo debole nei confronti del Terrorismo Islamico, e aveva più volte fatto sottintendere che il connubio fra l’amministrazione Obama e i terroristi usati come strumento di destabilizzazione e caos nel Medio Oriente era inaccettabile e distruttivo.

Dopo la chiara presa di posizione contro Obama e James Clapper, Flynn fu spinto a dimettersi dal suo incarico di direttore della Defense Intelligence Agency. In trentatre anni di carriera militare Flynn non è mai stato accusato di nessun reato. Un patriota di vecchia generazione che non si è mai ribassato a giochi politici di convenienza.

Michael Flynn si ritira nell’oblio, la sua partenza rappresenta un colpo durissimo a chi cercava una nuova distensione con la Russia. L’ultima speranza rimane Rex Tillerson; ma è come scalare l’Everest senza ossigeno.

 

Sotto trovate la lettera di dimissioni di Flynn:

 

February 13, 2017

In the course of my duties as the incoming National Security Advisor, I held numerous phone calls with foreign counterparts, ministers, and ambassadors. These calls were to facilitate a smooth transition and begin to build the necessary relationships between the President, his advisors and foreign leaders. Such calls are standard practice in any transition of this magnitude.

Unfortunately, because of the fast pace of events, I inadvertently briefed the Vice President Elect and others with incomplete information regarding my phone calls with the Russian Ambassador. I have sincerely apologized to the President and the Vice President, and they have accepted my apology.

Throughout my over thirty three years of honorable military service, and my tenure as the National Security Advisor, I have always performed my duties with the utmost of integrity and honesty to those I have served, to include the President of the United States.

I am tendering my resignation, honored to have served our nation and the American people in such a distinguished way.

I am also extremely honored to have served President Trump, who in just three weeks, has reoriented American foreign policy in fundamental ways to restore America’s leadership position in the world.

As I step away once again from serving my nation in this current capacity, I wish to thank President Trump for his personal loyalty, the friendship of those who I worked with throughout the hard fought campaign, the challenging period of transition, and during the early days of his presidency.

I know with the strong leadership of President Donald J. Trump and Vice President Mike Pence and the superb team they are assembling, this team will go down in history as one of the greatest presidencies in U.S. history, and I firmly believe the American people will be well served as they all work together to help Make America Great Again.

 

Michael T. Flynn, LTG (Ret)

 

1 21 22 23 24