Il triangolo imperfetto_Un anno di Trump_19° podcast, di Gianfranco Campa

Ad un anno dal suo insediamento alla Casa Bianca si può tentare un primo bilancio della azione di Donald Trump. Gianfranco Campa, all’inizio del suo intervento, ci rivela le fondamenta e le ragioni di interesse che consentono l’instabile equilibrio tra il Presidente, il vecchio establishment neoconservatore repubblicano e l’imprescindibile elettorato più militante e critico verso la vecchia guardia. La definitiva defenestrazione di Bannon, grazie anche ai suoi incredibili harakiri, ha spianato la strada ad un accordo, per quanto difficoltoso, sulla politica interna che ha consentito di portare avanti buona parte del programma presidenziale già dal primo anno di insediamento. Un dinamismo i cui risultati stanno incrinando le certezze di vittoria del Partito Democratico Americano alle prossime elezioni congressuali di medio termine.

Molto più controverse e contraddittorie risultano essere le linee di politica estera. Appare insolitamente evidente l’esistenza di più canali diplomatici e di diversi centri strategici in diretta competizione tra loro e su linee divergenti e contraddittorie; come pure l’esistenza di canali alternativi di comunicazione con i competitori geopolitici non corrispondenti ai canali ufficiali. Una fase nella quale le logiche apparenti stridono con quelle più profonde e riservate. Un chiaro indizio che l’equilibrio faticoso e precario in questo ambito coinvolge forze molto più potenti e temibili in una condizione molto più sfavorevole rispetto alle intenzioni dichiarate da Trump nella sua campagna elettorale. Su questo piano si riscontreranno i maggiori effetti della defenestrazione di Bannon. Antonio de Martini, nel post precedente pubblicato su questo sito, ha rivelato con particolare perspicacia l’essenziale della reale posta in palio riguardante l’uso “del bottone più grosso” http://italiaeilmondo.com/2018/01/14/il-bottone-piu-grosso-di-antonio-de-martini/ . Si profila un equilibrio tra poteri, soprattutto dello stato profondo che sembra concedere qualcosa di significativo sul piano interno in cambio di una “armonizzazione” maggiore delle intenzioni trumpiane con i canoni classici della politica estera e della diplomazia americane. Sono comunque equilibri dinamici che non consentiranno comunque il ritorno allo “statu quo ante” sia per il rafforzamento progressivo degli altri attori geopolitici, ad eccezione ahimè degli stati europei, che per i diversi assetti interni alla potenza tuttora prevalente. Sta di fatto che anche su questo piano, la tattica de “l’America first” con l’indebolimento dell’approccio multilaterale e la rinegoziazione su base bilaterale dei trattati con gli USA sta modificando pesantemente e in maniera duratura le modalità e i contenuti delle relazioni internazionali. A prescindere dal suo esito tutt’ora incerto, penso che ricorderemo per tanto tempo questa presidenza. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-1

18° podcast_ all’ultimo sangue; la battaglia in Alabama, di Gianfranco Campa

La guerra di movimento tra il vecchio establishment democratico-neoconservatore e le forze che hanno portato Trump alla Presidenza ha trovato il proprio punto di attrito decisivo nelle recenti elezioni in Alabama. L’elezione del rappresentante al Senato rappresentava la ridotta, il baluardo difensivo apparentemente secondario, dalla quale avrebbe dovuto ripartire l’offensiva di Bannon tesa a sconvolgere l’assetto del Partito Repubblicano. Ha trovato invece un muro di gomma, una classe dirigente disposta a sacrificare se stessa pur di non concedere spazio all’avversario. Per il rotto della cuffia è riuscita nell’intento, ma difficilmente potrà ricostruire su tali e tante macerie una credibilità sufficiente a riprendere il pieno controllo degli spazi politici. Una battaglia aperta e senza esclusione di colpi rischia di tramutarsi in un conflitto sordo e strisciante difficilmente controllabile e dalle implicazioni poco prevedibili. Con il ridimensionamento definitivo di Steve Bannon, almeno nei prossimi anni, Trump perde l’unica sponda cui appoggiarsi per resistere al progressivo logoramento della sua azione politica. Avrà forse guadagnato un momento di tregua ed una attenuazione della presa nelle spire che lo condannano al soffocamento; di certo non guadagnerà alcuna libertà di movimento. Potrà forse togliersi qualche amara soddisfazione. Le pedine a lui avverse più esposte probabilmente non serviranno più e potranno essere offerte in sacrificio alla plebe delusa ed assetata di sangue. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Per ascoltare al meglio la registrazione è consigliabile registrarsi a

https://soundcloud.com/user-159708855. Le registrazioni possono essere scaricate anche su cellulare e tablet ed essere ascoltate senza connessione.

Qui sotto il link:

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-18

 

17° podcast_La Guerra di Bannon, la guerra a Bannon, di Gianfranco Campa

Lo scontro politico negli Stati Uniti inizia a delineare connotati di volta in volta un po’ più chiari; connotati i quali caratterizzano entrambi i due partiti storicamente in contesa sulle le leve del governo. Dalla parte del Partito Democratico la soluzione pare passare attraverso la liquidazione del gruppo di potere aggregatosi attorno ai Clinton. Le incognite da quel versante, però, non mancano; la principale riguarda la componente più radicale e legata al classico elettorato democratico, in buona parte ormai astenutosi o addirittura passato a sostenere Trump, quella rappresentata da Bernie Sanders. Sanders, da alcuni mesi, non fa più parte del Partito Democratico. In futuro, sempre che non rientri, si vedrà quale funzione intenderà assumere: quella di un leader alternativo oppure collaterale al Partito Democratico. La prima opzione potrebbe innescare un processo irreversibile di riorganizzazione del sistema politico americano con la formazione di un partito centrista, frutto della esplicitazione della collusione attualmente sottotraccia tra democratici e parte dei repubblicani, e due movimenti radicali. Ne parleremo meglio nei prossimi podcast. Da parte repubblicana l’obbiettivo non è più il conseguimento della vittoria da parte di uno degli schieramenti, ma la sconfitta totale dell’altro. Una dinamica che, se protratta all’estremo, potrebbe diventare perfettamente complementare alla prima opzione di confronto nella componente democratica. Buon ascolto, cliccando sull’immagine qui sotto_ Germinario Giuseppe

Oliver Stone, le mezze verità sull’assassinio di JFK _ Pubblicazione autorizzata

Pubblichiamo, debitamente autorizzate, alcune considerazioni del regista Oliver Stone sulla recente pubblicazione di file riservati inerenti l’assassinio a Dallas del Presidente J.F. Kennedy, tutt’ora uno degli enigmi e delle macchie più oscure che marchiano le vicende politiche degli Stati Uniti. Un episodio ancora suscettibile di influenzare pesantemente il confronto politico in atto nel paese. Un confronto, per meglio dire uno scontro, per molti versi incredibile, ancora più acuto e feroce ma che a tutt’oggi non ha trovato un analogo epilogo cruento solo per la crescente perdita di credibilità del vecchio establishment, visti anche gli oscuri antefatti. Non a caso rivangati di tanto in tanto da Trump e dai componenti più fedeli e militanti del suo staff.

Non solo! La formazione sociale statunitense è molto meno coesa di allora e la contrapposizione tra élites emergenti e vecchia classe dirigente sempre meno ricomponibile_ Il rischio è quello di pervenire, in tempi relativamente brevi, ad una implosione drammatica da cui potremmo veder sorgere, nel bene e nel male, “un nuovo mondo”. 

Oliver Stone continua a distinguersi, dal suo punto di vista tipicamente americano, nella sua opera di informazione e riflessione_ Una delle poche voci che riescono a oltrepassare la cortina mediatica sapientemente stesa. In Italia gli acuti sono ancora più rari ed impercettibili. Buona lettura. Gianfranco Campa e Giuseppe Germinario.

 

A picture taken on July 5, 2017 shows a souvenir shops offering among others cup a tin mug depicting Russian President Vladimir Putin and US President Donald Trump, in Moscow. It was a constant refrain on the campaign trail for Donald Trump in his quest for the US presidency: "We're going to have a great relationship with Putin and Russia." Now, weighed down by claims that Moscow helped put him in the White House, Trump is set to finally meet his Russian counterpart in an encounter fraught with potential danger for the struggling American leader. / AFP PHOTO / Mladen ANTONOV

A picture taken on July 5, 2017 shows a souvenir shops offering among others cup a tin mug depicting Russian President Vladimir Putin and US President Donald Trump, in Moscow.
It was a constant refrain on the campaign trail for Donald Trump in his quest for the US presidency: “We’re going to have a great relationship with Putin and Russia.”
Now, weighed down by claims that Moscow helped put him in the White House, Trump is set to finally meet his Russian counterpart in an encounter fraught with potential danger for the struggling American leader.
/ AFP PHOTO / Mladen ANTONOV

Queste alcune mie considerazioni sui file di JFK:

 

  1. Trump è stato derubato. Penso che volesse davvero la pubblicazione di tutti gli archivi su JFK, ma come per qualsiasi altra cosa che riguarda il “Deep State”, i sommi sacerdoti gli hanno detto: “Non puoi farlo”,  appellandosi alla “sicurezza nazionale”; lo stesso pretesto che  viene utilizzato dal 1963.

 

  1. La pubblicazione degli archivi  è stata programmata per essere un “niente di interessante.” Il lancio di materiale cancellato / non eliminato / non più redatto è spesso illeggibile e ha lo scopo di assicurarci che “vedi, qui non c’è niente”.

 

  1. Ma nonostante tutto, alcune “peculiarità” sono venute in superficie come melma in uno stagno; il fascicolo CIA / Angleton / Oswald risale chiaramente al 1959 e Angleton aveva senza dubbio un interesse speciale per Oswald. Jeff Morley, che ha scritto una nuova biografia di Angleton (“Il fantasma: La vita segreta di CIA Spymaster James Jesus Angleton”, St. Martin’s Press, 2017) e che lavora anche come redattore sulle verità di JFK, descrive Oswald come “carta segnata” nel gioco, cioè un soldato, una pedina  da utilizzare secondo necessità; il che, a mio parere, si adatta molto bene al profilo di Oswald.

 

  1. Oswald a Città del Messico rimane ancora un mistero. Era o non era lì? Non esistono foto di lui; ho testimonianze che indicano la sua presenza in Messico . Angleton, a quanto pare, intendeva che Oswald andasse a Cuba, usando la permanenza a New Orleans per ottenere le necessarie credenziali come agente pro-Cuba. Il piano della CIA subì un arresto quando il governo cubano respinse la domanda di visto di Oswald non credendo genuina la sua presunta posizione pro Cubana.

 

  1. Al di là di questa questione,  quello che colpisce è la completa assenza di attori chiave nell’affare JFK. Gente come Howard Hunt, William Harvey, David Atlee Phillips (CIA, Messico), Anne Goodpasture (CIA, Città del Messico) e George Joannides (CIA, Miami), non vengono menzionati negli archivi pubblicati. Gli archivi completi con i nomi di questi principali attori non sono stati ancora pubblicati. Nel complesso, ci sono troppe pagine vuote. Ad esempio, apparentemente, la CIA dedica undici pagine a Garrison, ma otto sono completamente cancellate.

 

  1. I documenti più controversi sono “declassificabili”, ma secondo James DiEugenio (“Reclaiming Parkland”, “Citizens for Truth about the Kennedy Assassination”), anche se queste pagine dovessero essere pubblicate in futuro e passate sotto la macchina del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR), non sarebbero lo stesso decifrabili. In altre circostanze, la sentenza “NON RITENUTO IMPORTANTE” diventa un’altra categoria di documenti da screditare. Persone di grande interesse come Earle Cabell, sindaco di Dallas nel 1963 e fratello del vice direttore generale Charles Cabell, l’agente di alto livello della CIA licenziato da Kennedy insieme ad Allen Dulles e Richard M. Bissell Jr. dopo il fiasco della Baia dei Porci, non sono considerati importanti, anche se hanno giocato un ruolo enorme nel tracciare il tragitto della macchina di JFK. considerato “non importante” era ANCHE il disertore russo Yuri Nosenko, la spia sovietica che aveva una teoria sull’assassinio di Kennedy completamente diversa rispetto a quella di Angleton, che invece era intento a coprirla. Nosenko fu vittima della terrificante “caccia alla talpa” di Angleton (vedi “Wilderness of Mirrors” e la nuova biografia di Morley su Angleton); sfortunatamente, il fiasco di “The Good Shepherd”, un film brutto, con Matt Damon e Angelina Jolie, ha impedito la realizzazione di altri film su questo argomento.

 

  1. Allo stesso modo, si può affermare che i sovietici – Nikita Khrushchev e il KGB – avevano chiaramente capito come  l’assassino di Kennedy fosse un colpo di stato, con elementi di forze di “destra” intente ad arrivare al potere negli Stati Uniti. Ciò si rivelò sfortunatamente vero, poiché Lyndon Johnson introdusse un nuovo sistema con politiche di linea dura in tutto il mondo, a cominciare dalla dittatura militare in Brasile e, più disastrosamente, l’invio di 525.000 truppe da combattimento in Vietnam. Il presidente francese Charles de Gaulle si trovò d’accordo con l’opinione dei Sovietici. Ma de Gaulle non fa parte di questa tornata di declassificazione degli archivi.

 

In generale, direi che questa pubblicazione degli archivi JFK è deludente nelle informazioni, ma come ho detto in apertura, è fatta apposta per essere in questo modo. Si perde interesse quando si passa da una documentazione illeggibile a una documentazione classificata “niente di interessante” per finire con un documentazione minore, non interamente redatta. Qualunque cosa di valore deve essere soppesata nei dettagli ed è proprio chi conosce i dettagli a poter interpretare al meglio questo inganno poderoso.

 

Oliver Stone.

Mueller: Il Cacciatore Fasullo, 16° podcast di Gianfranco Campa

La battaglia politica negli Stati Uniti sta assumendo sempre più l’aspetto di una faida grazie alla quale la criminalizzazione dell’avversario prende il sopravvento sul confronto tra le diverse opzioni politiche che in realtà continuano a sussistere; un confronto, quindi, che rischierebbe di affossare il sodalizio dell’attuale establishment neocon-democratico se condotto secondo i canoni classici della competizione politica. Da qui l’uso apertamente strumentale delle istituzioni più delicate, quali la magistratura. Una situazione ben conosciuta nel nostro paese ormai dagli anni ’90. Una conduzione dello scontro che spinge sempre più alla eliminazione dell’avversario, piuttosto che alla sua subordinazione in un crescendo che ci riserverà parecchie sorprese. Il rischio è quello di trascinare nel discredito le istituzioni chiave del paese minando ulteriormente la coesione e la capacità di controllo di quella formazione sociale. Se la guerra civile a metà ‘800 vedeva due fronti nettamente contrapposti in un quadro di acquisizione di potenza e di capacità di predominio, il conflitto attuale sta degenerando in forme frammentarie e polverizzate sempre più difficili da ricondurre ad una logica unitaria_ Giuseppe Germinario

 

 

WEINSTEIN, CLINTON! LE SUPERNOVA DELLO STARSYSTEM AMERICANO, di Gianfranco Campa

Lo avevamo già, più volte annunciato. Tra i tanti qui a fianco due link http://italiaeilmondo.com/2017/10/22/un-torrido-inverno-di-giuseppe-germinario/

http://italiaeilmondo.com/2017/09/15/755/

Le impalcature dell’attuale sistema di potere americano iniziano a vacillare pericolosamente. La produzione cinematografica americana è uno dei veicoli fondamentali nella costruzione dell’immaginario; indispensabile a fornire una rappresentazione, indispensabile a orientare e a offrire motivi e chiavi di interpretazione alle azioni degli individui e guida e orientamento necessari a plasmare la società alle élites. E’ il modello americano! La cinematografia americana è un pilastro fondamentale della egemonia culturale e politica di quel paese. Nei momenti di crisi acuta ha spesso accentuato il proprio carattere propagandistico, ma ha sempre saputo offrire scorci sottili e di impressionante realismo e veridicità dei pregi, dei difetti e delle crudeltà della società, in particolare la loro. Da alcuni anni, però, si è legata in larga parte, quasi soffocata, ad una frazione precisa e particolare dell’establishment, quello democratico, sposando appieno l’ipocrisia del “politicamente corretto”. Ne ha guadagnato in posizioni di potere, ma ne ha perso pesantemente in credibilità agli occhi di gran parte dello stesso pubblico americano. Da qui, una delle cause del crollo degli incassi e dell’affluenza di pubblico. Da qui, soprattutto, il diretto coinvolgimento nei conflitti tra fazioni politiche e la sovraesposizione, in quanto personaggi pubblici particolarmente in vista, alle gogne politiche e mediatiche tipiche delle fasi di transizione sino a diventare, ormai, vittime sacrificali. Gianfranco Campa ci illustra, ancora una volta, con sagacia e dovizia di particolari, queste dinamiche. Una voce rara, pressoché unica, nello stantio salotto politico italico, della quale si dovrebbe saper approfittare. Buon ascolto, qui sotto_Giuseppe Germinario

BATTERI GEOPOLITICI, di Gianfranco Campa

Le notizie ( https://www.popsci.com/antibiotic-resistance-meat-farming-tax ) https://www.popsci.com/antibiotic-resistance-meat-farming-tax che arrivano dalla comunità medico-scientifica sono estremamente preoccupanti. In un recente incontro gli scienziati biomedici della Società Americana per la Microbiologia hanno rivelato che un gene chiamato MRC-1, presente nei batteri, conferisce agli stessi una resistenza a tutti gli antibiotici, inclusa la Colistina. La Colistina, conosciuta anche col nome di polimixina, è un farmaco di vecchia data creato da un ricercatore giapponese nel 1949. L’effetto collaterale più deleterio della Colistina è la pesante nefrotossicità e per questo motivo non è stata più utilizzata come antibiotico dalla comunità medica; questo fino a qualche anno fa, quando l’ascesa di microbi resistenti agli antibiotici tradizionali ha forzato la comunità scientifica a riesumare dagli armadi la Colistina per usarla come “arma di ultima speranza” per aver ragione di quelle infezioni resistenti ormai a tutti gli altri antibiotici. Ebbene, l’avvento dell’MRC-1 ha rivelato che anche quest’ultima arma è antiquata e quindi non rimane niente a disposizione della comunità medica da contrapporre ai superbatteri.

La scoperta del MRC-1 è relativamente nuova, avvenuta in Cina poco più di due anni fa. Gli scienziati trovarono un gene che permette ai batteri di diventare resistenti ad una classe di antibiotici conosciuti come polimine, comunemente utilizzati per combattere i superbatteri resistenti agli antibiotici più tradizionali. Contro MCR-1 anche le polimine erano diventate superflue eccetto in un primo momento, appunto, la Colistina; le ultime notizie sono preoccupanti poiché ci dicono che ora anche la Colistina è diventata inefficace. In altre parole l’MRC-1 rende invincibili i batteri, rendendo nuovamente mortali malattie precedentemente trattabili come per esempio la Polmonite. L’altra notizia è che la presenza dei batteri contenenti l’MRC-1, due anni fa, era circoscritta alla sola Cina; ora questi si stanno diffondendo anche nel resto del mondo. Molti scienziati hanno descritto questo avvenimento come una drammatica svolta epocale, un evento apocalittico, immune da contromisure adeguate. Tra qualche anno torneremo all’era pre-antibiotici, quando la gente moriva o si ammalava gravemente semplicemente per un’infezione più o meno banale, come detto prima la Polmonite, ma anche la Clamidia, la Gonorrea, la Tubercolosi, la Cistite, la Salmonellosi e così via. Insomma uno scenario appunto apocalittico. Attualmente 700.000 persone all’anno muoiono per infezioni resistenti ai farmaci. Secondo gli esperti nei prossimi tre decenni intorno ai 10 milioni di persone moriranno ogni anno per infezioni ormai intrattabili con gli attuali farmaci. Sul Guardian, Jonathan Pearce, l’immunolo del British Medical Research Council, ha detto che “ La Chirurgia in generale, i parti cesarei e la stessa chemioterapia, i quali devono il loro successo all’uso concomitante degli antibiotici, diverranno operazioni ad alto rischio”. Torneremo insomma all’era pre-antibiotici. Consideriamo questi cambiamenti potenzialmente catastrofici per la Medicina e l’umanità in generale.

Gli scienziati e le varie organizzazioni mondiali sulla salute hanno cominciato a proporre piani concreti, idee e soluzioni da proporre per allontanare questo incombente, catastrofico scenario.

Tra le varie opzioni, la riduzione drastica degli usi di antibiotici particolarmente nell’ambito degli allevamenti intensivi dove praticamente il loro abuso, negli allevamenti di animali da macello, ha contribuito a creare lo scenario apocalittico cui stiamo andando incontro. Non è un caso che l’MRC-1 sia stato individuato per la prima volta in Cina, paese in cui si fa uso indiscriminato di antibiotici per scongiurare il rischio di infezioni negli allevamenti intensivi, in particolare quelli dei maiali, dove si ritrovano a stretto contatto un numero elevato di animali. Gli allevatori Cinesi usando gli antibiotici anche per aumentare velocemente il peso e la massa muscolare degli animali. Qualcuno dirà vabbè, ma quelli sono i cinesi; noi italiani siamo più sensibili ai problemi di salute e ambientali. Nulla di più falso! Uno studio condotto l’anno scorso dall’associazione CIWF Italia ha rivelato che gli allevatori locali fanno uso massiccio degli antibiotici; il doppio rispetto all’utilizzo medio nella Comunità Europea. Secondo questo studio, il 71% degli antibiotici venduti in Italia finisce negli allevamenti. In Europa solo la Spagna e Cipro stanno peggio di noi. Negli Stati Uniti l’80% degli antibiotici viene usato negli animali in salute, non in quelli malati. Una stima mondiale rivela che 131.000 tonnellate di antibiotici vengono usati tutti gli anni negli allevamenti. Secondo il CDC Americano, il Centro per il Controllo e Prevenzione delle Malattie, due milioni di Americani vengono annualmente a contatto con infezioni resistenti agli antibiotici. Nel 2016 le Nazioni Unite hanno indetto un’assemblea straordinaria sul tema della resistenza dei microbi agli antibiotici. Da questa riunione sono venuti fuori dei programmi per cercare di fermare questa minaccia. La prima, ripeto, quella di bandire l’uso di antibiotici negli allevamenti. Questa soluzione è però ormai tardiva; sarebbe come chiudere la stalla con i buoi ormai scappati. L’altra soluzione sarebbe di cercare di coinvolgere più attivamente le grandi industrie farmaceutiche nella ricerca di un farmaco che possa risolvere il problema; questa sarebbe la soluzione forse più logica.

Ci sono poi altre soluzioni dalle significative implicazioni politiche e geopolitiche.

Di certo non sono un esperto in Biologia/ Medicina; non mi azzardo, quindi, a fare analisi sulle proposte prettamente scientifiche per risolvere questa crisi incombente. Vorrei piuttosto soffermarmi un attimo sull’aspetto prettamente politico delle proposte fatte.

Come diceva Rahm Emanuel, sindaco di Chicago ed ex Chief of Staff di Obama; “Non lasciare mai che una grave crisi vada sprecata. Queste congiunture ci offrono la possibilità di fare cose che non si potevano fare prima”; così ci è voluto poco per i soliti ignoti (noti) per arrivare a proporre soluzioni dalle pesanti implicazioni politiche e geopolitiche. La più interessante è quella che, al bando degli antibiotici negli allevamenti (cosa buona e giusta), si accompagna la proposta di ridurre il consumo di carne attraverso un pesante sistema di tassazione. In un articolo uscito sul Popular Science, l’Epidemiologo dell’Istituto di Biologia Integrativa di Zurigo, il Dottor Thomas Van Boeckel e i suoi colleghi hanno calcolato che si dovrebbe ridurre il consumo di antibiotici negli animali di almeno il 60 % entro l’anno 2030. Questo viene ottenuto riducendo l’uso di agenti antimicrobici intorno ai 50 mg per chilogrammo di prodotto animale. Questo specifico approccio comporta una serie di regolamentazioni, di sorveglianza e monitoraggio da erigere a livello mondiale. La Cina e il paese che fa più uso di antibiotici, pari a 318 milligrammi per chilogrammo di prodotto animale contro, per esempio, gli 8mg della Norvegia. Come si può indurre la Cina e a loro volta gli allevatori Cinesi ad allinearsi ad un eventuale trattato internazionale visto che la Cina non fa neanche parte dell’OECD? Per Van Boeckel la soluzione deve andare di pari passo con la riduzione di consumo di carne a livello mondiale. In altre parole bisognerà ridurre drasticamente il consumo di carne. In questa ottica hanno calcolato che, limitando il consumo quotidiano di carne a 40 grammi, si ridurrebbe del 66 % il consumo globale di carne. Secondo i ricercatori la riduzione delle razioni di carne porterebbe anche significativi benefici ambientali.

A parte la necessità di nuovi trattati e di conseguenti sistemi di monitoraggio, come pensano esattamente i nostri geni al lavoro di risolvere il problema di implementare la cosiddetta riduzione del consumo di carne? La soluzione consisterebbe nella proposta di imporre una tassa del 50 % sul costo attuale della carne. In altre parole, al un costo verosimile per chilo di vitello di venti euro, bisognerebbe aggiungere il 50% di tassa (chiamiamola anti-carne). Il costo finale sarebbe quindi di 30 euro. Un’altra soluzione sarebbe la tassazione delle aziende farmaceutiche, imponendo una imposta sui prodotti antibiotici fatturati, destinati all’impiego animale. La proposta comporterebbe due problemi: primo, l’aumento della tassazione su antibiotici ad uso animale comprometterebbe anche le cure legittime di gatti, cani e tutti gli animali domestici soggetti a malattie e cure del veterinario. Il secondo, una tariffa o meglio una tassa sugli antibiotici colpirebbe anche le stesse case farmaceutiche che investono nella ricerca scientifica di questi prodotti; colpirebbe, in altre parole, quella stessa industria che potrebbe trovare la soluzione contro i superbatteri.

Ci sono inoltre delle considerazioni importanti da fare a livello geopolitico. Pare che questo catastrofico evento possa dar vita a nuove occasioni per creare ulteriori trattati internazionali e imporre nuovi strumenti di controllo, monitoraggio e regole associate ad un aumento di tasse e/o di tariffe. Insomma assisteremmo alla nascita di nuove entità sovranazionali usate come strumento di oppressione della sovranità. In realtà potrebbe però esserci anche una risposta diametralmente opposta a quella descritta sopra; una crisi sanitaria su scala mondiale potrebbe invece incoraggiare la chiusura di frontiere, frenare l’immigrazione e bandire prodotti da vari paesi mettendo a rischio i meccanismi di scambio economici, un ritorno quindi al sovranismo nazionale come tentativo di controllare e gestire la crisi incombente. D’altronde è indubbio che c’è una diretta concomitanza fra l’avvento degli antibiotici, un’apertura graduale alla globalizzazione e la decadenza del concetto Stato-Nazione. Gli anni ‘50 e ‘60 con l’arrivo degli antibiotici e dei vaccini hanno visto di pari passo una graduale caduta di barriere fra i vari stati. Comunque sia, in mancanza di un rimedio veloce ed efficace all’incombente crisi sanitaria su scala planetaria, i sistemi e i meccanismi geopolitici ed economici mondiali sarebbero stravolti pesantemente. Non vorrei apparire troppo pessimista, ma inquietanti nubi nere si stanno accumulando all’orizzonte; segno che la tempesta è in arrivo.

Meglio essere preparati.

14° Podcast _ Trump non va dove lo porta il cuore, di Gianfranco Campa

La vecchia talpa continua a scavare. I centri di potere americani dominanti hanno ripreso in mano le leve del Governo; quelle del governo, non quelle di potere. Queste ultime sono sempre rimaste fondamentalmente sotto controllo. Non sembrano in grado di determinare il consenso e la coesione necessaria a dare forza, rispettabilità e motivazioni alle loro intenzioni. Segno di una strategia inadeguata a garantire nel tempo la supremazia all’esterno e una rappresentazione dell’interesse nazionale appena dignitosa e credibile al proprio interno. Da qui l’erosione interna dei partiti politici americani; di quello repubblicano ma, come vedremo nei prossimi podcast, anche di quello democratico. Gli ultimi avvenimenti in Alabama e in Tennessee sono il prodromo. Alcuni centri in competizione, vedi i cinesi, sembrano accorgersi del fiume sotterraneo. La quasi totalità di quelli europei, aggrappati ostinatamente e ciecamente ai vecchi equilibri, rischiano ancora una volta di essere spiazzati. Dovranno perfezionare ulteriormente le loro qualità di camaleonti._ Giuseppe Germinario

podcast-episode-13_ Lo SMARRIMENTO DEI VINCITORI, di Gianfranco Campa

Può capitare che anche l’uomo politico più ostinato e cinico, ma con ancora qualche residuo anelito di compassione represso nel fondo dell’animo, possa essere indotto ad un moto, magari un semplice cenno, di comprensione e conforto verso il suo più acerrimo avversario. Lo sconforto che ha colto in mondovisione John Kelly, capo di gabinetto presidenziale, proprio nelle fasi più colorite ed impetuose dell’intervento di Trump all’ONU, può spezzare ogni resistenza e senz’altro indurre a questo impulso. Bisognerebbe del resto mettersi, anche se di malavoglia, nei panni dei rappresentanti del vecchio establishment americano, in particolare neocon. Per mesi hanno dovuto metter mano a tutto il proprio arsenale e portare allo scoperto anche gli arnesi più riservati, quelli da esibire più come deterrenza che da mettere all’opera; hanno pregiudicato la credibilità dei mezzi di informazione, della magistratura, dei servizi investigativi e probabilmente di importanti settori delle forze armate, ma alla fine sembrava che fossero finalmente riusciti una volta per tutte ad addomesticare il Presidente riottoso e ad isolarlo dalla congrega di cattivi consiglieri. Ecco invece riemergere senza preavviso il Trump baldanzoso delle origini. E da quale pulpito! Niente meno che dall’assemblea generale dell’ONU; un sinedrio certamente poco produttivo di strategie politiche, ma certamente spettacolare nella funzione di propagazione mediatica e nella costruzione di immagine di un personaggio politico. Durante la sua performance ha rispolverato gran parte del suo repertorio d’antan: “America First”, il Nazionalismo, l’antiglobalismo, l’antimultilateralismo, l’indispensabile funzione dello stato; ha concesso rispetto ed ammirazione agli statisti dediti alla difesa degli interessi nazionali del proprio paese. Con qualche inverosimile acrobazia logica ha sostenuto però la coerenza della propria politica estera e l’incoerenza dei cosiddetti “stati canaglia” e dei loro sostenitori più o meno occulti. Un funambolismo troppo audace anche per i più perspicaci ed aperti interlocutori. La gran cassa dei saccenti, dimentichi delle batoste elettorali, non ha tardato a pontificare sull’inaffidabilità e sull’irrazionalità del Presidente. Faremmo torto alla nostra intelligenza, oltre che a quella di Trump, ad assecondare questa tesi. Gianfranco Campa ci illumina come di consueto sulla ragione principale di questo comportamento, tutt’altro che irrazionale. Trump sa benissimo che il proprio salvacondotto, nell’operazione trasformista ancora in corso, rimane la conservazione di buona parte del consenso del nocciolo duro del proprio elettorato. Il vecchio establishment non vuol capire che strattonature ulteriori rischiano di isolare del tutto Trump e trascinare il paese in un confronto politico interno dalla virulenza paragonabile solo a quella già conosciuta a metà ‘800. Il taglio particolare del discorso, inoltre, è motivato probabilmente da un’altra ragione ancora più imbarazzante; si tratta forse di una volontà manifesta di evidenziare la contraddizione e di chiedere tra le righe comprensione e tregua a quelli che avrebbero dovuto essere i suoi interlocutori privilegiati, primo fra tutti Putin, di una politica estera meno interventista e più condivisa. L’inerzia delle attuali dinamiche geopolitiche rende però pressoché impossibili ulteriori prove d’appello. Lavrov, ciò non ostante, ha dichiarato apertamente che “l’attuale incoerenza della politica estera americana” è la conseguenza delle numerose trappole disseminate dalla vecchia amministrazione Obama ai danni del nuovo presidente. Anche su questo Gianfranco Campa è stato particolarmente lucido in un articolo precedente http://italiaeilmondo.com/2017/03/09/sotto-la-copertura-delle-tenebre-di-gianfranco-campa/  _ Giuseppe Germinario

12° Podcast _ UNA DINASTIA IN BILICO, di Gianfranco Campa

Questa volta i riflettori puntano a illuminare un altro angolo del palcoscenico a stelle e strisce; quello sino ad ora riservato ai Clinton. Protagonisti, nell’ombra e in primo piano, in questi ultimi venti anni, ma con una pesante ipoteca riguardo al loro futuro politico segnato dalla drammatica sconfitta elettorale alle presidenziali americane. Gli attacchi forsennati a Trump dell’intero vecchio establishment hanno impedito la resa dei conti postelettorale nel Partito Democratico. La sua progressiva normalizzazione tranquillizzerà probabilmente la vecchia classe dirigente e la spingerà a regolare i conti al proprio interno e a gestire in qualche maniera il ricambio. Il contesto geopolitico e sociopolitico è, però, radicalmente mutato rispetto ad appena dieci anni fa. Gli Stati Uniti in qualche maniera devono prendere atto della presenza di altri attori di peso nello scacchiere internazionale; all’interno le basi di consenso dei due partiti tradizionali sono cambiate con una erosione delle basi elettorali e un significativo spostamento di opinione di importanti settori di ceto popolare e medio, come per altro sta avvenendo in maniera più confusa anche in Europa. Sullo sfondo una radicale polarizzazione che impedisce a tutte le forze di assumere il ruolo di forza politica in grado di garantire la coesione del paese. Le emergenti non riescono ancora a sedurre almeno una parte significativa dei settori di punta e più avanzati del paese; le altre sembrano ancora del tutto sorde ai richiami del loro elettorato tradizionale.La paralisi programmatica e progettuale di queste ultime appare sempre più evidente. Come se non bastasse, la possibile formazione autonoma di un nuovo movimento politico, come conseguenza della defenestrazione dei sostenitori originari dallo staff presidenziale, potrebbe catalizzare definitivamente questi settori ed avviare ad una crisi profonda se non irreversibile prima il Partito Repubblicano e poi quello Democratico. Non a caso la componente radicale, più legata ai ceti professionali, del Partito Democratico stesso si è rivelata molto più cauta e sconcertata nei confronti di Trump. Nelle intenzioni della famiglia Clinton questa dovrebbe essere una fase di transizione generazionale, ma con le stesse dinastie come protagoniste; nei fatti Hillary Clinton potrebbe rivelarsi il capro espiatorio perfetto da offrire in cambio della definitiva defenestrazione di Trump e con questo pregiudicare le ambizioni della progenie e di qualche adepto rimasto impigliato in qualche parte del mondo. Fantapolitica? Molto probabile! Questi due anni sono stati però effervescenti e sorprendenti. Le trappole disseminate nello scacchiere internazionale iniziano a stringersi e gli armadi di gran parte di questi esponenti politici, cresciuti e formatisi in altri contesti, sono ricolmi di scheletri pronti alla riesumazione. Lo scontro è apertissimo _ Giuseppe Germinario

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