L’ORDINE MONDIALE LIBERALE_R.I.P., a cura di Gianfranco Campa

Pubblichiamo qui sotto, tradotto in italiano, un articolo apparso sul sito del CFR (Council on Foreign Relations) il 21 marzo scorso. Il testo, accompagnato da alcune note di Gianfranco Campa, è particolarmente importante più che per i contenuti, per la banalità e la rozzezza degli argomenti, soprattutto per l’atteggiamento psicologico, rivelatore di uno stato d’animo. Seguirà un articolo più ampio sull’argomento. Buona lettura_ Germinario Giuseppe

 

L’ORDINE MONDIALE LIBERALE-R.I.P.

Dopo una parabola di quasi mille anni, il filosofo e scrittore francese Voltaire scherzando afferma che il Sacro Romano Impero in declino non era né santo, né romano, né un impero. Oggi, a distanza di due secoli e mezzo, il problema, parafrasando Voltaire, è che l’ordine mondiale liberale, non è né liberale, né mondiale, né ordinato.

Gli Stati Uniti, lavorando a stretto contatto con il Regno Unito e altri paesi, istituirono l’ordine mondiale liberale sulla scia della seconda guerra mondiale. L’obiettivo era quello di garantire che le condizioni che avevano portato a due guerre mondiali in 30 anni non si sarebbero mai più verificate.

A tal fine i paesi democratici si sono impegnati a creare un sistema internazionale che fosse liberale, nel senso che doveva essere basato sullo stato di diritto e sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dei paesi. I diritti umani dovevano essere tutelati. Tutto questo avrebbe dovuto essere applicato su scala planetaria e contestualmente la partecipazione sarebbe fondata su base volontaria e aperta a tutti. Molte istituzioni furono costruite per promuovere la pace (le Nazioni Unite), lo sviluppo economico (la Banca mondiale) e il commercio e gli investimenti (il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio).

Tutto questo era sostenuto dalla potenza economica e militare degli Stati Uniti, da una rete di alleanze tra Europa e Asia e dalle armi nucleari necessarie a scoraggiare l’aggressione. L’ordine mondiale liberale si basava quindi non solo su ideali democratici, ma anche sulla minaccia dell’uso di forza bruta. Tutto ciò sopravvisse ad una Unione Sovietica decisamente illiberale, dalla nozione fondamentalmente diversa da ciò che costituiva l’ordine in Europa e nel mondo.

L’ordine mondiale liberale sembrava essere più robusto che mai con la fine della Guerra Fredda e il crollo dell’Unione Sovietica. Ma oggi, un quarto di secolo dopo, il suo futuro è in dubbio. Le sue tre componenti – il liberalismo, l’universalità e la preservazione dell’ordine stesso – vengono messe a dura prova come non era mai successo prima nel corso dei suoi 70 anni di storia.

Il liberalismo è in ritirata. Le democrazie sentono gli effetti del crescente populismo. I partiti dalle estreme ideologie hanno guadagnato terreno in Europa. Il voto nel Regno Unito a favore dell’uscita dall’UE ha attestato la perdita di influenza da parte dell’élite dominante. Persino gli Stati Uniti stanno subendo attacchi senza precedenti ad opera del proprio stesso Presidente, impegnato a colpire direttamente le istituzioni dei mass-media, della giustizia, delle forze dell’ordine e di intelligence; i capisaldi del paese. I governi autoritari, tra i quali Cina, Russia e Turchia, sono diventati ancora più chiusi su se stessi. Paesi come l’Ungheria e la Polonia sembrano non interessarsi al destino delle loro giovani democrazie.

È sempre più difficile parlare del mondo come se fosse un tutt’uno . Stiamo assistendo all’emergere di ordini regionali,  ognuno con le proprie caratteristiche. I tentativi di costruire una intelaiatura globale sta fallendo. Il protezionismo è in aumento; l’ultimo turno di negoziati sul commercio globale non è stato completato. Ci sono ancora poche regole che governano l’uso del cyberspace.

Allo stesso tempo, sta tornando la tensione e la rivalità fra varie potenze. La Russia ha violato la norma più basilare delle relazioni internazionali quando ha usato la forza armata per cambiare i confini in Europa e ha violato la sovranità degli Stati Uniti attraverso i suoi sforzi per influenzare le elezioni del 2016. La Corea del Nord ha ignorato il forte consenso internazionale contrario alla proliferazione delle armi nucleari. Il mondo è rimasto a guardare mentre gli abusi umanitari erano incorso in Siria e nello Yemen, senza nessuna iniziativa né dell’ONU, né di altre entità in risposta all’utilizzo di armi chimiche da parte del governo siriano. Il Venezuela è uno paese ormai fallito. Oggi una persona su cento al mondo è rifugiata o sfollata.

Ci sono diversi motivi per cui tutto questo sta accadendo e perché proprio ora. L’ascesa del populismo è in parte una risposta ai redditi stagnanti e alla perdita di posti di lavoro, dovuta principalmente alle nuove tecnologie, ma ampiamente attribuita alle importazioni e agli immigrati. Il nazionalismo è uno strumento sempre più utilizzato dai leader per rafforzare la propria autorità, specialmente in condizioni economiche e politiche difficili. Le istituzioni globali non sono riuscite ad adeguarsi ai nuovi equilibri di potere e alle tecnologie.

Ma l’indebolimento dell’ordine mondiale liberale è dovuto, più di ogni altra cosa, al mutato atteggiamento degli Stati Uniti. Sotto la presidenza di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno deciso di non aderire al partenariato transpacifico e di ritirarsi dall’accordo sul clima di Parigi. Trump ha anche minacciato di abbandonare l’accordo di libero scambio nordamericano e l’accordo sul nucleare iraniano. Ha introdotto unilateralmente tariffe sull’ acciaio e l’alluminio, basandosi su una giustificazione (sicurezza nazionale) che anche altri paesi potrebbero usare; un processo che potrebbe innescare una guerra commerciale. Ha posto dubbi sul suo impegno nei confronti della NATO e di altre forme di alleanza. E parla raramente di democrazia o diritti umani. L’America Prima sembrano incompatibili con l’ordine mondiale liberale.

Il mio punto non è quello di concentrare sugli Stati Uniti tutte le critiche. Altre importanti potenze, tra cui l’UE, la Russia, la Cina, l’India e il Giappone, potrebbero essere criticate per quello che stanno facendo o non facendo. Ma gli Stati Uniti non sono come altri paesi. Gli Stati Uniti erano non solo il principale artefice dell’ordine mondiale liberale ma anche il suo principale sostenitore e beneficiario. La decisione dell’America di abbandonare il ruolo che ha svolto per più di sette decenni segna così un punto di svolta. L’ordine mondiale liberale non può sopravvivere da solo, perché gli altri non hanno né l’interesse né i mezzi per sostenerlo. Il risultato sarà un mondo meno libero, meno prospero e meno pacifico, sia per gli americani che per gli altri.

https://www.cfr.org/article/liberal-world-order-rip?utm_medium=social_share&utm_source=fb

 

IL COMMENTO DI GIANFRANCO CAMPA

Questo senso di scoramento da parte delle élites è iniziato e precipitato dopo le elezioni di Trump. Il pessimismo li rende diabolicamente esposti e totalmente spogliati delle loro certezze. E’ ormai da tempo che circolano analisi sul tramonto dello stato globale; questa non è una notizia nuova. Quello che piuttosto colpisce non è solo la pubblicazione dell’articolo da parte del CFR (Council on Foreign Relations), uno dei maggiori e più importanti think tanks che supportano il cosiddetto globalismo e il nuovo ordine mondiale. Non è nemmeno l’unico articolo che il CFR ha dedicato al tramonto del nuovo ordine mondiale. Colpisce soprattutto la banalità dell’articolo, la leggerezza della analisi, piena di frasi fatte quasi a denotare il senso di disperazione e impotenza di questi potenti individui. Segno che la situazione sta realmente sfuggendo loro di mano. Tra l’altro l’articolo parla di un ordine mondiale in cui le sovranità nazionali sono rispettate. L’autore a questo punto può solo essere tacciato di disonestà oppure di ignoranza. Chi di spada ferisce di spada perisce.

Quando parla di sovranità non menziona che, soprattutto in Europa, la perdita di sovranità nazionale, giuridica, legale, militare, monetaria in paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna, ha influenzato negativamente l’opinione pubblica sulla necessità di un mondo globale. Le politiche di austerità hanno fatto il resto. L’autore denuncia il fatto che una persona su cento oggi come oggi sono rifugiati o sfollati ma si dimentica di analizzare l’impatto negativo che l’immigrazione di massa incontrollabile ha avuto sull’opinione pubblica. Parla di un mondo di pace globale che ha scongiurato una nuova guerra mondiale, ma si dimentica di ricordare i danni e il caos che guerre e bombardamenti negli ultimi anni hanno creato, destabilizzando intere aree geografiche; tutto nel nome di questo nuovo ordine mondiale. Come dimenticare il bombardamento della Serbia, la Guerra in Afghanistan, in Iraq (due volte), in Libia, in Siria, ect. Il peggior nemico di questi signori globalisti elitisti sono loro stessi, non Trump. Trump è il sintomo di una malattia più grande e profonda che loro hanno contribuito a creare.  La vera novità è che ormai queste organizzazioni globaliste non solo hanno paura e quindi denunciano apertamente l’erosione evidente nel loro piano di ordine mondiale, ma sono ormai entrati nella fase successiva; la disperazione di chi sa di aver perso per sempre il controllo della situazione. Questo spiega ora anche l’approssimazione delle loro analisi.

Per chi non lo sapesse il CFR è stato storicamente uno dei maggiori architetti di questo nuovo ordine mondiale.

Qualche nota, giusto per fare un veloce riassunto di cosa sia il Council On Foreign Relations. Uno dei fondatori del CFR è stato David Rockefeller. L’obiettivo del CFR era la formazione di un governo mondiale incrementalmente più forte. L’Ammiraglio Chester Ward, ex Giudice Avvocato della Marina degli Stati Uniti, è stato membro del CFR per 16 anni prima di dimettersi disgustato. Ha dichiarato: “Lo scopo principale del Council on Foreign Relations è promuovere il disarmo della sovranità degli Stati Uniti e l’indipendenza nazionale, la sommersione in un governo monopolistico onnipotente“.

Dopo la seconda guerra mondiale, nacquero le Nazioni Unite, il successore della Lega delle Nazioni. Contrariamente a ciò che viene comunemente detto al pubblico, l’ONU non è stata fondata da nazioni esauste della guerra. L’ONU è stata concepita da un gruppo di membri del CFR nel Dipartimento di Stato che si autodefinirono il Gruppo di Agenda informale. Hanno redatto la proposta originale per le Nazioni Unite e ottenuto l’approvazione del presidente Roosevelt il quale ha poi fatto stabilire all’ONU la sua più alta priorità politica postbellica. Quando l’ONU tenne la sua riunione di fondazione a San Francisco nel 1945, 47 delegati americani erano membri del CFR. Sebbene inizialmente l’ONU non fosse stata istituita come un governo mondiale, l’intento era che si sarebbe trasformata nel tempo in governo mondiale. John Foster Dulles (CFR), un delegato americano alla riunione di fondazione delle Nazioni Unite che in seguito divenne Segretario di Stato sotto Eisenhower, lo ha riconosciuto nel suo libro Guerra o Pace: “Le Nazioni Unite non rappresentano una fase finale nello sviluppo dell’ordine mondiale, ma solo uno stadio primitivo. Pertanto il suo compito principale è creare le condizioni che renderanno possibile un’organizzazione più altamente sviluppata.

Altre due istituzioni postbelliche, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, sono state create tecnicamente alla Conferenza di Bretton Woods del 1944. Ma la pianificazione iniziale è stata fatta dal gruppo economico e finanziario del CFR, parte del loro programma bellico di guerra e di studi sulla guerra. La Banca Mondiale e il FMI agiscono come un sistema di garanzia dei prestiti per le banche multinazionali. Quando un prestito in un paese straniero va male, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale entrano in azione con il denaro dei contribuenti, garantendo che le banche private continuino a ricevere i pagamenti di interessi. Inoltre, la Banca Mondiale e il FMI dettano le condizioni ai paesi che ricevono salvataggi, dando così ai banchieri una misura di controllo politico sulle nazioni indebitate.

Venti secondi, a cura di Gianfranco Campa

Venti secondi che valgono più di venti articoli. Rivelano le tensioni che percorrono lo staff della Casa Bianca. Siamo lontani dallo stucchevole teatrino della politica italiana che purtroppo coinvolge la quasi totalità dei protagonisti e delle (s)comparse. Da quelle parti lo scontro è drammaticamente reale e non si perita ormai più di celarsi dietro le fumisterie e i rituali  dei tempi ordinari. Qui sotto un breve resoconto e la traduzione della breve conversazione in pubblico tra Mattis e Bolton. Segue il filmato. Prossimamente un articolo più ampio di riflessione.

Il Segretario alla Difesa Mattis incontra Bolton per la prima volta al Pentagono, i due non si conoscono; le parole di Mattis sono dense di significato.

Traduzione: Mattis ai giornalisti ”almeno è una bella giornata, guardate al lato positivo della cosa

Mattis stringe la mano a Bolton: Bolton “grazie per l’invito” Mattis “grazie per essere venuto, il piacere è tutto mio

Mattis e Bolton salgono insieme le scale: Mattis: ” è un piacere finalmente conoscerla; ho sentito dire che lei è il diavolo incarnato e volevo quindi accertarmi di persona”. Bolton ride nervosamente mentre i due entrano nel Pentagono.

Qui sotto il link

 

CAMBIO DI GUARDIA: L’ASCESA DEI MASTINI-SI PREPARA LO SCONTRO FINALE, di Gianfranco Campa

CAMBIO DI GUARDIA: L’ASCESA DEI MASTINI-SI PREPARA LO SCONTRO FINALE

 

Il Consigliere alla Sicurezza Nazionale, generale H.R. McMaster  è stato rimpiazzato dall’ex ambasciatore alle Nazioni Unite John Bolton. Il cambio di guardia avverrà ufficialmente il 9 aprile. Bolton è il terzo consigliere nazionale a servire l’Amministrazione Trump.

La notizia è considerata positiva da molti sostenitori del Presidente, visto che McMaster viene identificato come un globalista, era stato raccomandato da John Mccain e messo vicino a Trump come portavoce dell’establishment repubblicano. McMaster aveva rimpiazzato il tanto compianto Generale Michael Flynn. Nè McMaster, nè John Bolton, posseggono la mite e prudente personalità di Flynn. Flynn era una colomba, McMaster un falco e Bolton un’aquila, pericolossisima!

La caccia alle streghe orchestrata dallo stato ombra e l’avvicinamento delle elezioni di medio termine, a novembre, con i sondaggi che danno i Democratici vittoriosi nel riprendersi il controllo almeno della Camera, forse anche del Senato, aprono la strada alla concreta possibilità che un impeachment del presidente diventi più che probabile. In questo contesto ormai di pura sopravvivenza, Trump sta accelerando i tempi nel liberarsi di infiltrati, traditori, tiepidi sostenitori. L’intensificazione degli attacchi  a Trump e alla sua famiglia non lascia scelta al Presidente; il tempo stringe, si deve circondare di personaggi assolutamente fedeli e affidabili.

Per questo Tillerson è stato rimpiazzato con Pompeo, politicamente un mastino, geopoliticamente un falco. Per chi non lo sapesse anche il capo del servizio legale di Trump, John Dowd, ieri si è dimesso, causa l’attrito con il Presidente per l’assunzione, nel team di legali di Trump, di Joseph diGenova. DiGenova è un altro mastino non da ridere, un forte critico del russiagate; ha attaccato, pubblicamente, più volte sia  l’FBI che il Dipartimento di Giustizia. Dowd, in qualità di principale avvocato, rappresentava Trump nelle indagini del Consigliere Speciale Robert Mueller. Dowd negli ultimi nove mesi, aveva suggerito a Trump di collaborare con le indagini. L’uscita di Dowd e l’arrivo di Joseph diGenova segna una chiusura totale a Muller e apre la fase successiva del Russiagate, cioè la preclusione di ogni collaborazione di Trump con Muller e l’inasprimento dello scontro.

Torniamo alle dimissioni di McMaster. Il rapporto fra McMaster e Trump non è mai stato idilliaco. Si sono scontrati molte volte su questioni geopolitiche e di sicurezza nazionale. Nonostante le smentite, voci affidabili di corridoio, indicano che McMaster era anche un traditore e sarebbe stato lui a far trapelare, segretamente, i tabulati della telefonata Putin-Trump al Washington Post. Provo una sensazione di rigetto nel dover difendere un neo-conservatore, falco, portaborse dell’establishment; ma l’uscita di scena di McMaster e l’arrivo di Bolton non è una buona notizia in termini di rapporti con la Russia, con l’Europa e nello scacchiere medio orientale. McMaster era sì un neocon, ma nonostante le critiche alla Russia, non aveva alzato la voce più di tanto; era soprattutto uno dei pochi nel circolo di Trump che voleva tenere in piedi, insieme a Tillerson, l’accordo con l’Iran o perlomeno modificarlo senza comprometterlo del tutto.

Sia Pompeo, sia Bolton sono sempre stati fedeli a Trump, addirittura prima ancora che diventasse presidente. Molteplici sono state le uscite televisive pro-Trump di Bolton durante le presidenziali. Bolton è un caso a sé. Ha servito nell’amministrazione Bush, è un falco dalla testa ai piedi, un personaggio pericoloso; in paragone fa sembrare Mccain una colomba timida. Nonostante questo Bolton con l’establishment non è mai andato d’accordo. Considerarlo un neocon sarebbe infatti sbagliato. Bolton è un uomo che viaggia per suo conto, su un binario personale e separato. Troppo irrequieto per identificarsi in un gruppo piuttosto che in un altro. Bolton è il capitano della propria nave; solo che la nave di Bolton è piena di esplosivo. Basta leggere i suoi tweet per rendersi conti dell’inflessibilità politica del personaggio. Suggerisco ai lettori di andare a leggersi i tweet di Bolton contro la Russia, la Corea del Nord, l’Iran e via dicendo. Tra l’altro Bolton qualche mese fa aveva scritto un articolo sul Wall Street Journal dove auspicava una attacco preventivo, nucleare, contro la Corea del Nord. Anche l’Europa dovrà stare attenta a come si muove.

Joseph diGenova, John Bolton, Mike Pompeo, sono i mastini di cui Trump si sta circondando. La fase sperimentale di dialogo, compromesso con l’establishment, con lo stato ombra e i poteri forti è finita. Questi tre personaggi sono stati scelti in base alla loro dura tempra, alla incondizionata e provata fedeltà a Trump, senza tenere in considerazione le loro ideologie politiche e geopolitiche.  Una squadra assemblata con un unico scopo in mente: Guerra totale, sia essa giuridica contro Muller con diGenova, sia essa militare con Bolton, sia essa di spionaggio e geopolitica con Pompeo. Questo è un consiglio di guerra, non di pace. A questi tre personaggi , ne sono convinto, ne seguiranno altri, Non mi sorprenderei se anche Jeff Sessions pagasse di persona questa controffensiva Trumpiana in atto ormai su tutti i fronti. Trump ha deciso! Se e` destinato a cadere, non lo farà in silenzio ma si porterà con sé molte teste. Quando un uomo viene messo con le spalle al muro, qualsiasi reazione e possibile. Quale sara` il prezzo da pagare per noi comuni mortali è ancora tutto da vedere; se dovesse però succedere qualcosa di brutto, sappiamo chi ringraziare per aver istigato questo ambiente così tossico, cominciando dai mass-media.

 

i soliti attori, la solita musica di Gianfranco Campa

 I SOLITI ATTORI

 

La storia del Cambridge Analytica, va inserita, in chiave più generale, nello scontro tra stato ombra e Trump. Se il Russiagate tarda a dare i risultati sperati, se il pettegolezzo dell’attrice porno tarda a decollare ed infiammare le platee mediatiche, ecco che lo “scandalo” della Cambridge Analytica dovrebbe in teoria risultare finalmente deleterio per Trump. Dovrebbe intaccare la credibilità del presidente americano e aizzare le folle che navigano sulle piattaforme social contro Trump stesso, mettendolo in rotta di collisione con milioni di utenti inferociti per la manipolazione della loro privacy. L’aspettativa è che le orde barbariche invadano le piazze pubbliche con forconi e torce invocando la testa di Donald Trump. Così a due giorni dall’annuncio del licenziamento di McCabe, a un giorno dalle elezioni di Putin in Russia, cioè dopo l’ennesimo colpo pesante inflitto allo stato ombra, per puro caso, senza alcuna intenzione, accidentalmente, casualmente, fortuitamente, senza nessuna pianificazione, per una semplice concomitanza, senza nessun nesso, scoppia lo scandalo del Facebook-Gate. Da quattro giorni di fila i titoloni sullo scandalo Cambridge Analytica/ Facebook catturano le prime pagine dei maggiori quotidiani italiani e stranieri; neanche Neil Armstrong buonanima, con la sua passeggiata lunare riuscì a catturare i principali titoli dei quotidiani per tanti giorni consecutivi.

In modo drammatico, i titoloni dei giornali, ci rivelano come i collaboratori di Trump avrebbero manipolato Facebook, accedendo ai dati privati dei suoi utenti in modo da favorire Trump e consegnandogli la tanto sospirata vittoria presidenziale. Secondo le “scioccanti” rivelazioni degli strilloni mediatici, Facebook avrebbe ottenuto informazioni personali di un largo numero dei propri utenti tramite un quiz sulla personalità, usando una Applicazione (App) creata da Aleksandr Kogan, di conseguenza Cambridge Analytica si sarebbe impossessata di questi dati per esaminarli e metterli a disposizione di Steve Bannon, allora direttore della campagna presidenziale di Trump. Tutto questo per aiutare Trump a vincere le elezioni. I dati sarebbero stati usati per studiare i comportamenti delle persone individuate per meglio identificarle e bersagliarle con post mirati a influenzarli politicamente. Una grave interferenza nella vita privata dei cittadini i quali, ignari ,si sarebbero poi recati, come zombi, ai seggi per votare Trump anziché la pura, innocente, incorruttibile, pacifica, signora Hillary Clinton. La democrazia è minacciata da Steve Bannon, da Facebook, da Cambridge Analytica.  Mi aspetto da un momento all’altro la richiesta a gran voce di un nuovo procuratore speciale il quale, spento il Russiagate, possa indagare ora sul “Facebook-Gate.”  Tra l’altro non poteva mancare neanche la connessione diabolica con la Russia, visto che Aleksandr Kogan, il creatore dell’app, è nato in Russia, vive negli Stati Uniti e all’epoca dei fatti lavorara per l’Università di San Pietroburgo. Sicuramente il nostro emerito procuratore speciale, Robert Muller, si metterà subito a disposizione per trovare il nesso con il Russiagate. Niente di più orgasmico, per lo stato ombra; trovare una ragione per alimentare questa farsa delle collusioni Trump-Russia.

La denuncia di queste attività illegali, sarebbe arrivata grazie a un ex lavoratore, contrattualmente indipendente, del Cambridge Analytica: Christopher Wylie. Oppresso dal senso di colpa Mister Wylie si trasforma nell’eroe che ha denunciato queste losche attività, essendo proprio colui che aveva la responsabilità di analizzare i dati provenienti da facebook generati tramite l’app sulla personalità. Lo scandalo è stato alimentato anche da un video segreto registrato e trasmesso dal canale televisivo Britannico Channel 4 nel quale si sente e si vede l’amministratore delegato della Cambridge Analytica, Alexander Nix , ammettere di aver interferito in più di trenta elezioni sparse per il mondo. Cosi`ai nostri eroi della Channel 4 vanno accreditati i meriti di questa nuova crociata per la purificazione del mondo digitale dalle cimici social-trumpiane.

Alla fine però, scavi e scavi, trovi il nostro caro eroe George Soros, sempre presente in questi impeti rivoluzionari, siano essi digitali, armati, oppure colorati. Quando qualche settimana fa Soros fu attaccato dal Guardian per il suo coinvolgimento finanziario nel movimento anti-brexit, il Channel 4 pubblicò un’intervista, una serie di articoli e di video tesi a riabilitare la figura di Soros.

https://www.channel4.com/news/factcheck/why-the-conspiracy-theories-about-george-soros-dont-stack-up

Si scopre che Channel 4 ha un interesse diretto a screditare facebook poiché, come riferisce il link postato sotto, secondo l’articolo del The Guardian, Channel 4 ha aderito ad un’alleanza tra le più grandi emittenti europee (c’è anche Mediaset) per pubblicare annunci pubblicitari sui loro servizi di video-on-demand (VOD), nel tentativo di contrastare Google e il dominio di Facebook nella pubblicità online. Una cosa non necessariamente negativa per l’Europa, ma che dimostra la totale mancanza di onestà ideologica di Channel 4. Agli amministratori di Channel 4 non interessa per niente la protezione della privacy degli utenti Facebook; lo scandalo offre loro semplicemente una possibilità di assestare un colpo a Facebook, diretta concorrente, per indebolirla.

https://www.theguardian.com/media/2017/nov/13/channel-4-tv-ad-alliance-google-facebook

Per finire, Channel 4 sarebbe stato uno dei canali principali di supporto agli elmetti bianchi e ai “moderati” ribelli Siriani. Channel 4 è recidiva. Il canale 4 britannico è stato uno strumento di promozione della narrazione inerente la “rivoluzione” in Siria. La Russia, in particolare, è stata demonizzata dal Channel 4. I signori di Canale 4 si prestano alla perfezione alla narrazione Sorosiana anti-Trump e anti-Russa.

http://21stcenturywire.com/2016/10/09/channel-4-joins-cnn-in-normalising-terrorism-then-removes-video/

http://21stcenturywire.com/2018/02/01/white-helmets-channel-4-bbc-guardian-architects-war/

Naturalmente ci sono due pesi e due misure quando si parla dei mass media allineati con i poteri forti. La campagna presidenziale di Obama nel 2012 fece lo stesso uso di dati personali estrapolati dai siti digitali e fu grazie a quella mossa che Obama sconfisse Mitt Romney quando gli stessi sondaggi alla vigilia delle elezioni lo davano per sconfitto. Obama condusse una campagna all’avanguardia, da ventunesimo secolo, mentre quella di Romney era ancora ancorata a tecniche tradizionali. Tra le altre cose, mentre nel caso di Cambridge Analytics, l’applicazione usata per estrarre i dati era stata sviluppata e apparteneva a una terza entità, quella sviluppata per attingere a milioni di dati personali, principalmente numeri di telefono di utenti, fu sviluppata personalmente dal team presidenziale di Obama, direttamente dall’allora quartiere generale della sua campagna presidenziale a Chicago. Ma mentre la violazione della privacy, avvenuta estrapolando dai dati di facebook i numeri di telefono, non generò nessuna indignazione, quella del team di Trump ha provocato il terremoto politico-mediatico. Sotto potete osservare due titoli: uno del Washington Post che nel 2013 riportava la notizia di come l’accesso dei dati avesse portato alla vittoria Obama; l’altro, quello del New York Times, relativo alla storia di Cambridge Analytica. Il titolo del Post è celebrativo, mentre quello del New York Times è di condanna, denunciando la strumentalizzazione fatta dai collaboratori di Trump. Qualcuno di voi rammenta l’indignazione e la trepidazione di questa gentaglia sulla violazione della privacy e la manipolazione dei dati personali nel 2012? Neanche io. La differenza sta tutta qua, nella interpretazione e manipolazione delle notizie distribuite dai mass media; due titoli due misure insomma. Quando lo faceva Barack era considerata puro genio, quando lo ha fatto Trump si sono strappati le vesti.

L’aspetto beffardo è che la gente è talmente ingenua da credere che facendo un test della personalità su facebook e quindi consegnando di fatto i propri più intimi dati, questi stessi dati personali siano poi in qualche modo protetti. Ci prestiamo a divulgare ogni tipo di informazioni personali nel cyberspace, incluso i selfie fatti dal cesso; poi ci meravigliamo se i nostri dati sono a disposizione di entità estranee.

Siamo quindi, come al solito, di fronte alla già consolidata tattica usata per screditare Trump.  Giustificare la sconfitta della Clinton attribuendola a interferenze di fantomatici blogger Russi, governi stranieri, torbide manovre mediatiche, insanità mentali, turpitudini morali; il tutto nel tentativo di delegittimare Trump. Ecco che allora una entità come Facebook, da sempre nelle grazie e nelle tasche di politici e politiche liberal-progressisti, viene ora usata e sacrificata come strumento di attacco a Trump. Sulla inclinazione pro-liberale di facebook non ci sono dubbi, visto che da ormai almeno tre anni, Facebook conduce una campagna anti-conservatrice. Voglio solo ricordare i molteplici episodi di aperta militanza pro-Hillary Clinton durante le ultime elezioni presidenziali da parte di Facebook. Basta per esempio leggere le emails, hackerate e pubblicate da Wikileaks, dell’amministratore delegato di Facebook, Cheryl Sandberg. Nelle emails fra Sandberg e John Podesta, il manager della campagna elettorale di Clinton dichiarava a Podesta che lei, con entusiasmo, guardava a una collaborazione per far eleggere la prima donna presidente, Hillary Clinton.

La prima a gioire per le disgrazie di Facebook è quindi la destra americana, da sempre ostacolata, oscurata ideologicamente da Facebook. L’attacco a Facebook rientra nel classico caso del cane che si morde la coda; la sinistra che soffre di una malattia autoimmunitaria, una punizione inflitta a se stessi. La disperazione delle élite-liberali, l’odio verso Trump li sta consumando dal di dentro, portandoli ora a mangiarsi i loro stessi figli, cioè i Mark Zuckerberg, gli Cheryl Sandberg, ect . Dubito che questa storia del Cambridge Analytica distruggerà Facebook, certamente se dovesse accadere non saranno i sostenitori di Trump a versare lacrime di dolore.

 

 

 

BUFALE E BUFALOTTI, di Gianfranco Campa

BUFALE e BUFALOTTI

 

I mass media Italiani, compiacenti portavoci dello stato ombra americano, hanno inondato i canali digitali e terresti, rilanciando e riportando le bufale d’oltreoceano costruite ad arte per screditare Trump. Un lavoro metodico, un meccanismo ben oliato che si attiva puntualmente ogni volta che lo stato ombra viene colpito da una torpedine. Nella fattispecie è stato il licenziamento di Andrew McCabe.

L’accusa dei media è la seguente: il licenziamento di McCabe è un attacco alla FBI e alla figura, al ruolo del procuratore speciale sul Russiagate Robert Muller. Inoltre McCabe avrebbe mantenuto un pro-memoria sugli incontri con Trump e queste note sarebbero state ora consegnate a Muller. L’impressione conseguente è che Trump abbia fatto licenziare McCabe per il timore legato al suo ruolo sul Russiagate.

Il vicedirettore dell’FBI Andrew McCabe è stato licenziato, venerdì notte, dal procuratore generale Jeff Sessions, due giorni prima del pensionamento. Il licenziamento gli preclude l’accesso alla pensione. McCabe però non ne avrà bisogno, perché tra lui e la moglie, il patrimonio in comune è stimato in milioni di dollari. Per chi non avesse ascoltato i nostri podcast su Italia Il Mondo, McCabe era già stato sospeso dall’FBI alla fine di Gennaio per le vicende riguardanti il suo coinvolgimento nelle fughe di notizie riservate, rilasciate furtivamente ai mass media e dopo essere stato scoperto; nell’aver mentito, sotto giuramento, agli investigatori dell’ispettore generale Michael Horowitz (nominato da Obama) sul suo ruolo in questi cosidetti leaks (fughe). Questa vicenda fa parte in generale delle manovre condotte dallo stato ombra nel tentativo di screditare e neutralizzare Donald Trump. Lo stato ombra, l’establishment, il potere delle stanze di Washington, che con il licenziamento di McCabe si vedono minacciati direttamente nella loro propria esistenza; ecco quindi il motivo della reazione  negativamente viscerale a questa decisione presa da Jeff Sessions.

Quello che non si dice quindi nei media è la verità  sul licenziamento di McCabe. Come ho detto, Mccabe si è reso responsabile di un serio crimine, di essere accusato di fughe di notizie secretate. Le indagini di Horowitz hanno anche scoperto il potenziale ruolo da co-cospiratore degli agenti Peter Strzok and Lisa Page nel fabbricare le infondate accuse contro il generale  Michael Flynn. Non è stato nè Trump, nè Jess Sessions a consigliare il licenziamento di McCabe, bensì  l’ufficio della Responsabilità Professionale dell’FBI, l’ente del FBI che si occupa delle violazioni etiche all’interno dell’agenzia stessa, sempre che nell’ambiente sia rimasto qualcosa che assomigli alla parola etica.  In altre parole sono stati gli stessi colleghi dell’Agenzia a raccomandare il licenziamento di McCabe. Ci sono voci che sussurrano che molti dei cosiddetti “rank and file”, cioè i dipendenti dell’FBI non amministrativi, sono contenti di questo licenziamento. James Kallstrom, ex vice direttore dell’FBI, 27 anni di servizio, ora in pensione, ha dichiarato durante un’intervista, che molti semplici agenti tirano un sospiro di sollievo ed esprimono la loro silenziosa approvazione al licenziamento di McCabe. Si sentono quindi vendicati dal fatto che un ramo all’interno dell’FBI stesso abbia raccomandato il licenziamento di questo corrotto personaggio.

Ci sono molti altri punti oscuri nella losca figura di McCabe; andrebbero studiati, analizzati in dettaglio, per esempio, il suo ruolo nelle indagini sullo scandalo delle emails di Hillary Clinton, la quale poi fu esonerata da ogni colpa. Se, per sua dichiarazione, McCabe ha tenuto un registro delle conversazioni con Trump, dov’è di conseguenza quello contenente le sue conversazioni con Clinton? Come mai contestalmente alle indagini su Hillary Clinton, la moglie di McCabe, Jill McCabe era in corsa in qualità di rappresentate del partito democratico alle elezioni al Senato della Virginia ? Jill McCabe avrebbe ricevuto 700.000 dollari dall’ufficio politico di Clinton e dal partito democratico.

McCabe era sotto inchiesta dell’ufficio etico dell’FBI per altri tre specifici accertamenti; il suo  coinvolgimento in discriminazioni sessuali, in improprie attività politiche e nella violazione della Hatch Act. Altro che licenziamento, McCabe dovrebbe essere sotto processo e pronto per una bella cella con vista sbarre di ferro.

Quello che realmente colpisce è stata la viscerale reazione al licenziamento di McCabe da parte di molti repubblicani dell’Establishment, dei democratici e dei rappresentanti dello stato ombra, i quali come scarafaggi sotto l’acqua sono usciti allo scoperto. Su Twitter molti di loro si sono addirittura permessi di minacciare direttamente il Presidente. Eric Holder, James Comey, Samantha Powers, John Brennan e via dicendo hanno usato parole forti e minacciose contro Trump; segno che un certo panico sta cominciando a insinuarsi fra questi personaggi. In particolare Brennan ha dichiarato su Twitter: “Quando si scoprirà l’estensione della tua venalità, della tua turpitudine morale e della corruzione politica, prenderai il tuo giusto posto  come demagogo caduto nella spazzatura della storia. Hai trovato come capro espiatorio Andy McCabe, ma non distruggerai l’America … l’America trionferà su di te. “ . Samantha Powers ha rincarato la dose spalleggiando Brennan: “Donald, non e` una buona idea far arrabbiare Brennan.” Una minaccia non di poco conto visto il carattere pericoloso di Brennan. Consiglio tutti di andarsi ad ascoltare il mio podcast su la morte del giornalista Michael Hasting per capire chi sia realmente questo personaggio. Ricordo anche che Brennan nel 2014 è stato accusato, come capo della CIA, di aver mentito al Senato Americano sui programmi di assassinio con droni , tortura e spionaggio illegale. Brennan fu costretto a scusarsi con i senatori americani per le sue menzogne.  Il giornale britannico The Guardian nel 2014 scriveva su Brennan che “Le scuse private non sono sufficienti ad assolvere un difensore della tortura, l’architetto del programma di droni americani e il bugiardo più talentuoso di Washington. La top spia della nazione deve dimettersi” Che Brennan ora si permetti di pontificare sulla ”Turpitudine morale e sulla corruzione politica” di Trump è a dir poco paradossale.

https://www.theguardian.com/commentisfree/2014/jul/31/cia-director-john-brennan-lied-senate

PODCAST nr 9_ ACCELERAZIONI INSPIEGABILI. LO SCATTO IMPROVVISO DI MICHAEL HASTINGS VERSO LA MORTE 2a parte, di Gianfranco Campa

PODCAST nr 8_ ACCELERAZIONI INSPIEGABILI. LO SCATTO IMPROVVISO DI MICHAEL HASTINGS VERSO LA MORTE 1a parte, di Gianfranco Campa

E così ora ci ritroviamo ad assistere  l’ignobile spettacolo dei media intenti a prostrarsi nella venerazione di queste potenze oscure, di queste pericolosissime entità; tutto per un odio viscerale verso Trump che annebbia loro il cervello e consuma quel poco che è rimasto di onesta`e professionalità giornalistica. Tutto ciò però impallidisce di fronte alla sfacciata arroganza dello Stato Ombra finalmente uscito quasi del tutto allo scoperto. La loro reazione equivale all’attraversamento del Rubicone; dovessero continuare su questa strada il punto di non ritorno sarebbe la rimozione di Trump. In quel momento si innescherebbe un meccanismo che difficilmente potranno controllare o fermare. Saranno le stanze del potere ad innescare la seconda guerra civile americana; a porne fine saranno però i patrioti armati fino ai denti che popolano il vasto spazio dell’America di mezzo. Di questo argomento parlerò nei miei prossimi podcast ed articoli;  i tempi purtroppo sono ormai maturi…

 

Podcast n°21 (Parte Seconda) Chi per primo chiuderà il cerchio? di Gianfranco Campa

Gianfranco Campa in questa seconda parte pone finalmente la domanda fondamentale riguardante l’esito del caso Russiagate. Sembra sul punto di offrirci una volta per tutte la soluzione dell’enigma. Alla fine, però, si ritrae.

Il motivo è semplice.

Il Russiagate non è un caso giudiziario, vincolato quindi all’accertamento della verità. E’ un terreno di scontro prettamente politico ma dai connotati di una violenza inaudita e inusuale anche per un palcoscenico così spregiudicato come quello americano. Saranno quindi le prossime scadenze politiche a segnare il finale di questa “novelas”. Quanto più lo scontro diventa violento, tanto più esso assume  le caratteristiche di una lotta tra il bene e il male. Quale sarà il bene lo determineranno come sempre i vincitori. Il suo inevitabile trionfo richiederà il sacrificio definitivo dei perdenti. Il vorticoso valzer di nomine e rimozioni tra lo staff presidenziale rappresenta un ulteriore indizio dell’approssimarsi di questo momento.

Nel frattempo non ci resta che la curiosità di veder scorrere la pletora di personaggi minori intenti ad assecondare nell’ombra queste trame; loro malgrado, di tanto in tanto vengono attraversati dalle luci della ribalta, così segnandone almeno temporaneamente il destino. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

qui il link della 1a parte

http://italiaeilmondo.com/2018/03/12/podcast-n21_chi-per-primo-chiudera-il-cerchio_-di-gianfranco-campa/

qui sotto il podcast

Podcast n°21 (Parte Prima) Chi per primo chiuderà il cerchio? di Gianfranco Campa

Le trame ormai si accavallano e si intrecciano. Nelle intenzioni dei tessitori il Russiagate avrebbe dovuto compiersi in poche settimane e colpire o almeno paralizzare il Presidente Trump isolandolo dallo staff a lui più vicino. L’inconsistenza della costruzione accusatoria e il protrarsi a tempo indefinito delle indagini contribuiscono a minare pesantemente la credibilità dei protagonisti impegnati nell’opera di demolizione. Poco alla volta emergono gli elementi di una vera e propria macchinazione messa in opera e i nomi delle personalità più compromesse. Non è più la caccia senza storia del gatto intento a giocherellare con il topo prima di annichilirlo; il roditore si sta trasformando in un contendente in grado di impensierire seriamente il felino. Gianfranco Campa, passo dopo passo, podcast dopo podcast, sta dipanando pazientemente la trama; i vari burattini abituati ad agire nell’ombra sono man mano ormai allo scoperto. I fili conducono apparentemente ad una sola burattinaia; non è escluso che alla fine possano emergere anche insospettabili convitati di pietra, tuttora dalle grandi ambizioni politiche. Sarebbe lo sconvolgimento completo dell’attuale quadro politico americano già particolarmente instabile. Dietro le rivalità, i complotti e le macchinazioni si nascondono le rivalità personali, ma soprattutto punti di vista divergenti sulla conduzione della politica interna ed estera. Gli altri attori dello scacchiere geopolitico internazionale sembrano averlo compreso ben presto, pur con qualche eccezione sconfortante tutta concentrata nella nostra Casa Europa. Nascondere è forse un termine inadeguato. Si potrebbe dire, piuttosto, che attraverso quelli si realizzano questi ultimi. Il confronto è ancora aperto, anche se non alla pari. Le elezioni di medio termine nell’autunno prossimo potrebbero rivelarsi il punto di svolta decisivo non solo per gli Stati Uniti. L’unica costante dell’intera vicenda rimane la vergognosa connivenza ed omertà del sistema mediatico americano e dei portatori di veline locali sparsi nella periferia. Buon ascolto_Germinario Giuseppe

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-21-1

I DETENTORI DELLA VERITA’ di Gianfranco Campa

 

LA NUOVA CENSURA NEL VENTRE DELLA BESTIA FUTURISTICA

 

Il nostro mondo, quello in cui viviamo quotidianamente è ormai costellato, segnato, manipolato dall’universo dell’alta tecnologia. Un mondo che ci ha dato le piattaforme tecnologiche e i social media che dominano la nostra vita, quella di tutti i giorni, che ci consegna qualsiasi cosa desideriamo, a volte con un solo tocco di dito. Dall’informazione, alla comunicazione, allo shopping, ai rapporti sociali fino a finire alla educazione, le nostre vite sono segnati dal tempo speso su Google,  Facebook, Twitter, Youtube, Amazon, Ebay e così via. Consciamente o inconsciamente, molti di noi dipendono dalla correttezza di queste entità nell’attività di comunicare, comprare, vendere, visionare e perché no, anche monetizzare.

C’è però  un aspetto molto losco, sgradevole in questo nuovo che avanza. Il centro di questo mondo, di questo universo, che sempre di più detta i passi, scandisce l’orologio della nostre vite è la Silicon Valley. Nell’ultimo decennio, questo pezzo di terra nella baia di San Francisco, si è erta non solo a guida ma anche ad arbitro, giudice, tribunale e se necessario, a cecchino delle idee e delle opinioni pubbliche, politiche e sociali. A grandi falcate le industrie della Silicon Valley, forti del loro potere mediatico persuasivo, si  sono erette ed autoelette come paladine , guardiane di una cultura progressiva-liberale-globalizzata che pervade ormai tutti gli aspetti, anche quelli più insignificanti della nostra società e come tale non accetta nessun compromesso, ma semplicemente detta le leggi, le regole delle “diversità” ideologiche. Ciò che è meglio per noi, ciò che è più salutare, piu` igienico per il bene comune viene deciso, letteralmente parlando, da un Mark Zuckerberg o un Sundar Pichai.

Negli ultimi due anni, da quando cioè Donald Trump è entrato in politica, scardinando quei dogma che ormai erano considerati radicati è venuta fuori la vera parte torbida della Silicon Valley. Involontariamente, senza accorgersene, con il suo politicamente scorretto, con il suo pomposo modo di fare, Trump ha esorcizzato il mondo della Silicon Valley, facendone uscire appunto la parte più tenebrosa, spogliandolo della sua aura di finta santità.  Così due anni fa sono cominciati i problemi, sono venute fuori le insofferenze, le intolleranze, l’odio di chi predica libertà di espressione, di comportamenti e di credenze. La Silicon Valley spalleggiata dall’apparato composto da mass media, stato ombra, società segrete, forze di intelligence, sistemi bancari, finanziari e via dicendo, ha mostrato il suo volto reale.

Da quando la Brexit ha scosso le certezze elitiste, da quando Trump è apparso sulla scena, da quando il “populismo” ha cominciato a dominare il discorso politico è immediatamente partita la controffensiva delle classi progressiste-liberali-globalizzate tesa a mettere a tacere qualsiasi voce contraria, dando così inizio alle persecuzioni.  Con il pretesto delle storie di Fake News, siti, blog, canali, voci conservatrici non allineate, si sono ritrovati bloccati, tagliati fuori dai motori di ricerca di Google, bannati da twitter, cancellati da Facebook, sospesi da youtube, hackerati dalle orde barbariche. Impiegati di google si sono ritrovati licenziati dal giorno alla notte solo per aver espresso un idea non conforme al resto dell’universo google. Siti e piattaforme digitali informative di “destra” sono stati costretti a cessare le loro attività.

Alcuni esempi: il 13 di Gennaio il sito web Right Wing News ha cessato le operazioni. Era un sito popolarissimo nell’ambito degli attivisti di destra. Nato nel 2001, era  diventato mastodontico grazie alle condivisioni e ai passaparola su Facebook. Nel luglio del 2015 la pagina Facebook di Right Wing News aveva raggiunto 133 milioni di persone. Il Right Wing News aveva quasi 3,6 milioni di “mi piace” su Facebook . Era, in termini di numeri, in diretta competizione  con i giganti giornalistici americani generando la stessa quantità di traffico web di alcuni dei più grandi giornali americani. Con la scusa delle Fake News e delle ingerenze Russe nelle elezioni presidenziali, Facebook ha cominciato a bloccare, oscurare i contenuti del sito, facendolo gradualmente, per non destare sospetti e quindi l’ira dei lettori. Un lavoro paziente, sistematico, metodico, portato a compimento nel lungo termine. Se Facebook avesse oscurato ogni pagina conservatrice da un giorno all’altro, ci sarebbe stata un’enorme protesta. Ironia della sorte, molti siti sono cresciuti grazie a Facebook e sono morti grazie a Facebook, in altre parole ciò che Facebook dà, Facebook può portare via. Senza una entità capace di sostenere con milioni di dollari un progetto mediatico serio, la monetizzazione proveniente da google, facebook, youtube e twitter non poggia su solide fondamenta poiché e`alla mercé dei furori umorali e ideologici della Silicon Valley.

C’è poi anche la storia della tattica del “Shadow Banning” usato da twitter. Storia-denuncia, portata alla luce dall’attivista conservatore James O’Keefe, direttore del Project Veritas, organizzazione che segretamente registra con audio e video incontri in incognito con figure e lavoratori di organizzazioni accademiche, governative, private e statali, di lucro e non, che esprimono o descrivono pregiudizi ai danni di persone, entità, organizzazioni conservatrici. Project Veritas ha esposto qualche tempo fa`, registrando segretamente, impiegati di Twitter che hanno ammesso come Twitter applichi lo “Shadow Banning” contro simpatizzanti e organizzazioni conservatrici di destra. Shadow Banning è anche noto come “Stealth Banning” oppure “Hell Banning” e viene usato per bloccare siti o utenti “indesiderati”. Per esempio viene comunemente usato anche da altri gestori di servizi online per bloccare i contenuti pubblicati dagli spammer. Twitter, in questo caso, invece di mettere al bando direttamente un utente, classifica i suoi contenuti come spam; il malcapitato viene quindi semplicemente “nascosto” alla vista pubblica. In molti casi i proprietari dei siti  “bannati” non si rendono nemmeno conto di essere stati oscurati.

Un altro esempio è quello del Prager University, una organizzazione mediatica conservatrice che genera video a scopo educativo. La piattaforma mediatica di Prager University è enormemente  popolare. I video di Prager sono visti da milioni di persone. Il canale youtube di Prager annovera più di 1, 2 milioni di iscritti. Alcuni video hanno generato milioni di visitatori, fino a 6,3 milioni di visioni per l’esattezza. Eppure anche Prager è rimasta vittima degli insofferenti cervelloni della silicon valley. Youtube per ridurre la monetizzazione al fine di minare l’esistenza di Prager  ha catalogato alcuni video di Prager inserendoli nella lista restrittiva; i video di Prager cioè non sono visibili nelle scuole, nelle biblioteche e in qualsiasi casa dove ci sia un filtro antipornografico, nonostante che Prager sia un sito assolutamente pulito. Prager ha risposto facendo causa a Google del quale youtube e una sussidiaria. La battaglia legale si preannuncia interessante e infuocata.  Un caso che verrà seguito da moltissime persone, entità e organizzazioni che hanno un interesse personale in questa vicenda. Youtube è una compagnia privata e quindi non legata agli obblighi costituzionali della libertà di parola. Gli avvocati di Prager cercheranno di argomentare che la piattaforma dei social media è l’equivalente di una nuova piazza pubblica; un posto in cui vai quando vuoi partecipare ad un evento pubblico; di conseguenza le disparità di trattamento sono da considerarsi discriminatorie. Sarà interessante vedere se gli avvocati di Prager riusciranno a convincere i giudici della logica di questo argomento.

E così mentre nella Silicon Valley sale in cattedra la censura, il lento, inesorabile, esodo di quei già pochi imprenditori e lavoratori che si definiscono di destra è cominciato. Quelli che rimangono lo fanno a loro esclusivo rischio; nel più benevolo dei casi di essere emarginati, nel peggiore di perdere il posto, licenziati senza se e senza ma.

Uno dei leggendari imprenditori della Silicon Valley, il fondatore di Paypal, membro del Consiglio di Amministrazione di Facebook, Peter Thiel è stato forse l’unico che ha sostenuto Trump durante le elezioni presidenziali. Thiel non è il tipico esempio della Destra dura e pura americana, composta da patrioti armati fino a denti i quali si ritrovano nel weekend col fuoristrada nei boschi a sparare, cacciare e bere birra. Thiel fa parte piuttosto di un crescente numero di nuovi arrivati al movimento conservatore che mostra un aspetto più variegato rispetto agli stereotipi del conservatore tradizionale. Peter Thiel, come molti altri che si sono accostati al movimento di Trump, è un gay dichiarato, non interventista, di definizione nazionalista. Rigetta il concetto di neoconservatorismo e si distacca dalle componenti dell’establishment, pronto quindi a mettere a frutto la sua conoscenza informatica/imprenditoriale per la causa Trumpiana. L’investitore miliardario ha catturato i titoli dei media quando nel 2016  fu il primo relatore della storia, dichiarato gay, a salire sul palco della Convention Nazionale Repubblicana. All’epoca dichiarò che “ogni americano ha un’identità unica. Sono orgoglioso di essere gay. Sono anche orgoglioso di essere un repubblicano, ma soprattutto sono orgoglioso di essere un americano.

Per questo suo sostegno a Trump, Thiel ha pagato un prezzo altissimo, marginalizzato dalla Silicon Valley, condannato dai suoi stessi “amici”, si è ritrovato nella terra di mezzo, pagando in prima persona il suo anticonformismo.  Il sostegno di Peter Thiel a Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane del 2016, nonostante le smentite, non solo ha danneggiato la sua relazione e la lunga amicizia con l’amministratore delegato e fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, ma ha convinto l’imprenditore Thiel a lasciare del tutto la Silicon Valley. Il sostegno di Thiel al presidente Trump lo ha emarginato nelle stanze del potere della Silicon Valley, irritando tra l’altro il resto del consiglio di amministrazione di Facebook dove ricopriva un ruolo da direttore sin dal lontano 2005. Anche l’amministratore delegato di Netflix, Reed Hastings, avrebbe direttamente criticato Thiel per il suo sostegno a Trump, mettendo in discussione le capacità di giudizio di Thiel.

Thiel è stato uno dei primi investitori di Facebook, uno che se ne intende di piattaforme social e media.  Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, Peter Thiel ha deciso di trasferirsi lasciando San Francisco. Dopo aver trascorso quattro decenni nel nord della California, Thiel sta spostando la sua residenza e le sue società di investimento a Los Angeles. Sempre secondo il Wall Street Journal, il cinquantenne ha una villa di 650 metri quadri che si affaccia sulla Sunset Strip. Si prevede che anche i 50 dipendenti di Thiel Capital e Thiel Foundation si trasferiranno nella città degli Angeli. Thiel avrebbe qualche tempo fa, durante un incontro alla Stanford University, dichiarato che “La Silicon Valley è uno stato monopartitico

In apparenza Thiel si trasferisce dalle fogne liberal-progressiste della silicon valley a quelle liberal-progressiste di hollywood. Ma in realtà l’area di Los Angeles è diversa da quella di San Francisco. Pur essendo ampiamente democratica, a Los Angeles si sono ritagliati uno spazio e hanno sede le grandi, medie e piccole entità mediatiche che si identificano con la Destra Americana. L’area di Los Angeles e` diventata il bunker dove i sopravvissuti all’olocausto Repubblicano in California hanno trovato rifugio. Il conglomerato mediatico conservatore è ancora poco rilevante rispetto ai giganti liberali; eppure qualcosa sta cambiando. A Los Angeles hanno sede istituzioni mediatiche di Destra come Breitbart, Prager University, The Daily Wire, The Drudge Report e molti altri. E quindi entrano in gioco altre ipotesi e cioè che Peter Thiel si stia preparando con altri partner a creare un gigante dell’informazione destra-nazionalista. Secondo voci da confermare Peter Thiel e Rebekah Mercer sarebbero in trattativa per formare un’organizzazione mediatica. In questi ultimi anni, molti soldi dei due miliardari sono finiti tra i contributi finanziari elargiti al partito Repubblicano; rispetto però ad altri filantropi tradizionali “conservatori”, come per esempio i fratelli Koch, Thiel e Mercer non sono entusiasti del partito Repubblicano così come attualmente configurato. I due imprenditori hanno mostrato in tante occasioni insofferenza verso l’Establishment del Partito Repubblicano.

Thiel è in simbiosi con Trump; odia l’Establishment, ritiene certi concetti ideologici del centro destra superati, come per esempio il neo-conservatorismo e comprende che la battaglia presente e futura si giocherà su una revisione del conservatorismo stesso. Più polarizzata su un nazionalismo identitario piuttosto che su una visione globale del concetto conservatore.  In questo contesto Thiel e Mercer sanno benissimo che senza uno strumento mediatico importante di supporto a una nuova destra americana, il concetto di un nuovo movimento conservatore è destinato a fallire; durerà una stagione, quella di Trump, per poi essere relegato negli annali della Storia Americana.

La battaglia è appena cominciata, la montagna da scalare enorme, le forze oscurantiste potenti, ma se c’è un personaggio che può addomesticare il Dragone della Silicon Valley, inceneritore di idee alternative e forza di appiattimento culturale è proprio Peter Thiel. Partorito dal ventre della bestia della Silicon Valley, Thiel ne conosce le forze e le debolezze. La guerra è appena iniziata.

 

 

EPILOGO DI UNA FARSA?_ di Gianfranco Campa

Mueller ha reso pubblici i capi di accusa contro tredici cittadini russi accusati di intrusione nelle elezioni presidenziali americane. Ciò che colpisce però non sono questi capi di accusa contro fantomatici agenti russi; sono piuttosto le parole, i concetti espressi durante la conferenza stampa da Rod Rosenstein,  il vice di Jeff Sessions al Dipartimento di Giustizia. Se si seguono  attentamente le  parole di Rosenstein  la vera notizia, il  titolo più adeguato è che la presunta collusione Trump-Russia non sembra per il momento esistere. Questo è abbastanza chiaro leggendo i documenti di accusa. I cittadini russi accusati dal procuratore speciale Muller sono: MIKHAIL IVANOVICH BYSTROV, MIKHAIL LEONIDOVICH BURCHIK, ALEKSANDRA YURYEVNA KRYLOVA, ANNA VLADISLAVOVNA BOGACHEVA, SERGEY PAVLOVICH POLOZOV, MARIA ANATOLYEVNA BOVDA, ROBERT SERGEYEVICH BOVDA, DZHEYKHUN NASIMI OGLY ASLANOV, VADIM VLADIMIROVICH PODKOPAEV, GLEB IGOREVICH VASILCHENKO, IRINA VIKTOROVNA KAVERZINA, e VLADIMIR VENKOV . Nessuno di questi personaggi risiede negli Stati Uniti e di conseguenza nessuno di loro vedrà mai le pareti di una cella americana. Aspettiamo ora la reazione di Putin e le decisioni che i Russi prenderanno in conseguenza di queste nuove accuse degli americani. Qui trovate il testo completo delle imputazioni formulate da Robert Muller: https://www.justice.gov/file/1035477/download

 

Come detto sopra, l’atto d’accusa riguarda  13 cittadini russi e tre organizzazioni (entità) russe le quali, a detta di Muller, hanno condotto una “guerra dell’informazione” durante il ciclo elettorale presidenziale. Secondo gli atti di accusa, queste persone; “supportavano la campagna presidenziale dell’allora candidato Donald J. Trump e hanno lavorato a denigrare Hillary Clinton.” Ma dopo l’elezione di Trump, sempre secondo la stessa accusa, “i convenuti e il loro co-ispiratori hanno usato personaggi sotto falso nome negli Stati Uniti per organizzare e coordinare ulteriori personaggi sotto mentite spoglie per organizzare e coordinare raduni politici statunitensi di protesta contro i risultati delle elezioni presidenziali del 2016. Una di quelle manifestazioni, tenutasi il 12 novembre 2016, adottava lo slogan. Trump NON è il mio presidente. No non è` uno scherzo! Siamo di fronte a pura follia russofobica mischiata a una totale confusione ideologica e politica.

 

Che dire poi del fantomatico coordinamento elettorale tra i Russi e la campagna Trump? Secondo l’accusa, “alcuni imputati, presentandosi come persone statunitensi e senza rivelare la loro origine russa, hanno comunicato con individui inconsapevoli impegnati nella Campagna di Trump e con altri attivisti politici per cercare di coordinare le attività politiche“. Non è collusione, a meno che la campagna di Trump sapesse che stava lavorando con fonti russe. La collusione, per definizione, si compie solo se hai sollecitato e ricevuto aiuto, consapevolmente, da fonti straniere. Fino ad ora nessuno dei personaggi coinvolti nella campagna di Trump è stato implicato in atti di collusione. Ricordo che lo stesso Michael Flynn è accusato di aver mentito all’FBI, non di aver collaborato con i Russi. Questa mancanza di collegamenti diretti tra Trump e i Russi crea un buco piuttosto grande nella teoria secondo la quale i russi stavano lavorando a braccetto con i funzionari della campagna di Trump. Dopo 10 mesi e  milioni di dollari spesi dai contribuenti, le indagini di Muller e dei suoi compagni di merende non sono riusciti a produrre un solo straccio di prova della collusione diretta fra Trump e i Russi. Questa linea di attacco contro Trump sembra sempre meno logica. Rod Rosenstein durante la conferenza stampa afferma categoricamente che : “Non vi è alcuna prova in questi capi di accusa che cittadini americani fossero partecipi e consapevoli in questa attività illegale. Non vi è alcuna prova che attesti che la condotta degli accusati abbia modificato l’esito delle elezioni.”  A questo punto la domanda logica da farsi è la seguente: Quanto ancora durerà il teatrino di questo Russiagate? https://www.youtube.com/watch?v=5rAxiX8Tiu0

 

Secondo i capi di accusa questi “guerrieri” russi dell’informazione avrebbero usato le piattaforme dei social media per influenzare le elezioni americane, principalmente twitter e Facebook. Anche se questo fosse vero, a mio parere, nessuno di queste interferenze ha spostato l’ago della bilancia elettorale di una virgola durante le presidenziali, soprattutto negli stati del Rust Belt. Gli elettori del Wisconsin sono andati a votare a favore di Trump contro Hillary perché erano stufi dello status quo politico non perché qualche oscuro blogger Russo chiamato “army of jesus” li ha convinti a cambiare voto da democratico a repubblicano. Per il resto se vogliamo realmente parlare di influenze straniere in elezioni terze, basta guardare a quello che fecero gli americani durante gli anni novanta quando l’amministrazione Clinton influenzò pesantemente le elezioni russe a favore di Boris Yeltsin . Stendo qui un velo pietoso su questa meschina caccia alle streghe che Mueller e i suoi co-cospiratori hanno intrapreso ai danni di chiunque abbia avuto rapporti con entità russe. Ormai siamo oltre anche alla fobìa del Maccartismo; nemmeno all’epoca di caccia alle streghe Sovietiche si era arrivati così a fondo. Poi, parliamoci chiaro: se i russi hanno interferito nelle elezioni americani quanti capi di accusa si meriterebbe il personaggio che per decenni a colluso e tramato nel minare governi e elezioni in almeno mezzo mondo? Parlo di George Soros… e delle sue entità ormai quasi misteriose.

20° PODCAST_GLI AMANTI (DEI) SEGRETI, di Gianfranco Campa

Negli Stati Uniti continua lo scontro politico innescato dalle recenti elezioni presidenziali. Quella che sembrava una caccia con una muta di cani pronta ad avventarsi senza scampo sulla preda, impegnata al massimo a schivare i colpi più letali si sta trasformando lentamente in un inseguimento che rischia di sfiancare i predatori. Pensavano i baldanzosi, probabilmente, di infilzare una lepre, al massimo una volpe; rischiano, invece, di stuzzicare pericolosamente la rabbia di un orso. La spedizione punitiva si sta lentamente trasformando in un duello durante il quale la vittima designata riesce ad organizzare le forze e inizia a restituire qualche colpo pesante. Gianfranco Campa non riesce a completare la sua egregia opera di informazione che nuove notizie continuano ad accavallarsi. In una conferenza stampa appena conclusasi il Vicesegretario alla Giustizia Rosenstein ha annunciato che l’inchiesta condotta dal procuratore Mueller ha portato all’incriminazione di tredici cittadini russi impegnati in attività di condizionamento della vita politica americana. Lo stesso ha categoricamente smentito ogni collusione o complicità di funzionari e personaggi politici americani. Una dichiarazione che lascia intravedere la ricerca disperata di una via di uscita che in qualche maniera consenta di salvare la faccia e le carriere dei protagonisti di una vera e propria caccia alle streghe sino ad ora inconcludente e in futuro probabilmente controproducente per gli stessi artefici. Secondo le conclusioni l’operazione di influenza avrebbe riguardato non solo le elezioni presidenziali, ma anche le primarie del Partito Repubblicano e curiosamente anche di quello Democratico a discapito esclusivo della candidata Hillary Clinton e a favore del suo contendente Sanders, sconfitto quest’ultimo, come ormai accertato, con velenosi colpi bassi. Vedremo se anche questa volta la stampa americana e di riflesso quella italiana riusciranno a distorcere platealmente le dichiarazioni e il corso degli eventi. Gianfranco Campa sembra ventilare la possibilità che cotanto furore persecutorio possa ritorcersi contro alfieri e paladini. Il curioso coinvolgimento di Sanders nell’inchiesta potrebbe essere l’indizio che i protagonisti più spietati delle ritorsioni potrebbero alla fine annidarsi addirittura in casa democratica piuttosto che nell’entourage del Presidente Trump. Qui sotto il link del podcast.

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-20

 

 

 

1 17 18 19 20 21 23