#iran #geopolitica #Pezeshkian #multipolarismo #Kameney #mediooriente La transizione e l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ha determinato una accelerazione delle dinamiche geopolitiche specie in Medio Oriente. Nessuno è uscito sonoramente sconfitto dal conflitto in corso, con la notevole eccezione della Siria. Rimane l’evidenza di un importante cambiamento degli equilibri in corso. Israele pare aver guadagnato terreno, ma allo stesso tempo sembra assumere un ruolo minore nei disegni della nuova amministrazione. L’Iran, al contrario, a causa dei colpi ricevuti, grazie alla capacità di deterrenza dimostrata, ai traumatici avvicendamenti nella dirigenza sembra promettere profonde trasformazioni ed adattamenti dei propri orientamenti geopolitici. Il recente accordo con la Russia e i primi abboccamenti con la amministrazione statunitense rappresentano il prodromo di nuovi assetti interni ed esterni. Ne parliamo in questo video registrato ormai una settimana fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Un’ondata di token DeepSeek fraudolenti ha recentemente catturato l’attenzione della comunità delle criptovalute: questi token affermano falsamente di essere affiliati al popolare protocollo di intelligenza artificiale cinese.
Questi token contraffatti hanno accumulato una capitalizzazione di mercato totale superiore a 60 milioni di dollari , con un token falso, Seek , che ha raggiunto brevemente una capitalizzazione di mercato di 48 milioni di dollari prima di crollare.
Questo incidente riflette una tendenza crescente di truffe che emergono in risposta alla crescente popolarità di DeepSeek.
I truffatori stanno sfruttando il clamore che circonda le tecnologie di intelligenza artificiale e personaggi di spicco come Donald Trump , attirando nelle loro trappole gli investitori ignari.
Il team ufficiale di DeepSeek ha chiarito di non aver mai emesso una criptovaluta , sottolineando che esiste un solo account Twitter ufficiale per il progetto.
Nonostante questi avvertimenti, molti investitori continuano a investire denaro in questi token fraudolenti, rivelando una preoccupante mancanza di consapevolezza riguardo ai rischi connessi.
Nel più ampio settore delle criptovalute, le truffe sono diventate un problema allarmante. Secondo alcuni report, oltre 857 milioni di $ sono stati rubati tramite schemi fraudolenti collegati a token correlati a Trump (CRYPTO:TRUMP) .
Molti nuovi investitori, spinti dalla ricerca di rapide opportunità di profitto, cadono vittime di queste truffe a causa della loro scarsa esperienza e mancanza di comprensione nel distinguere i progetti legittimi dalle frodi ben orchestrate.
Qui in Europa, fino a pochi giorni fa, c’era un allineamento completo con la narrazione cinese e il suo CEO del tutto improbabile, un personaggio che sembrava uscito direttamente da un ruolo da cattivo di un film di serie B mal interpretato. L’entusiasmo attorno a DeepSeek era così surreale che chiunque osasse sollevare dubbi veniva etichettato come pessimista o, peggio, “fuori dal mondo” . Oggi, è esilarante vedere tutti fare marcia indietro, minimizzare la situazione, trovare scuse e riscrivere la storia come se non avessero mai elogiato tutta questa operazione . Nessuno, ovviamente, ricorda le grandi proclamazioni su come DeepSeek avrebbe “cambiato le regole del gioco” e “portato la rivoluzione dell’intelligenza artificiale alle masse”.
E poi arriva la diapositiva della truffa da 60 milioni di dollari , il colpo di scena che chiunque con due neuroni funzionanti aveva previsto. Un’ondata di token falsi, capitalizzazioni di mercato ridicole gonfiate dal nulla, persone che perdono tutto mentre le menti di questo circo svaniscono con le tasche piene. E tuttavia, come previsto, nessuno si assume la responsabilità . Il copione classico: esaltare l’illusione, quindi cercare disperatamente di negare l’ovvio e, quando tutto crolla, passare dolcemente a “non avevamo abbastanza dati per valutare i rischi”.
Ora fingono tutti di essere cauti, come se la loro credibilità non fosse già stata ridotta in polvere, insieme ai portafogli degli investitori creduloni che ci sono cascati.
Allo stesso tempo, mentre tutti gli altri urlano ciecamente “miracolo” , alcuni di noi stanno effettivamente facendo il loro lavoro : scavando più a fondo, ponendo le domande giuste e svelando la vera storia. Non si tratta solo di clamore sull’IA; si tratta di manipolazione finanziaria, scappatoie normative e strategie geopolitiche nascoste sotto la superficie.
Oltre all’analisi di AI e tecnologia , avremmo coinvolto anche consulenti economici e legali , assicurandoci che l’indagine regga all’esame su tutti i fronti . Il caso DeepSeek non è solo una storia, è un punto di svolta nel panorama globale di AI e finanza.
DeepDick l’intelligenza artificiale che pensavano di essere Rocco ma invece era Jackie Chen.
La più grande invenzione della Cina dopo l’oppio .
La vecchia guardia “demo-neocon” (Boeing, Lockheed Martin) è bloccata in una palude di ritardi colossali, ma non è esattamente una condizione esclusiva in questa epoca squilibrata. Singole linee temporali per mantenere la latenza della batteria: questa è l’epoca in cui stiamo lottando per sopravvivere. Bisogna armonizzare il presente moderando i propri istinti più bassi, un’eredità borghese intrisa di saggezza. Dopotutto, affermare la propria superiorità olistica supera di gran lunga l’impulso primitivo di banchettare con il sangue degli altri. Sfortunatamente, lo stile non può essere acquistato rovistando tra reliquie sovietiche profumate di naftalina in un mercatino delle pulci. Convincersi che il futuro della tecnologia risieda in una startup cinese open source è già ridicolo di per sé. In tutta onestà, non provo il minimo senso di trionfo nell’aver vinto ancora una volta una scommessa prevedibile. DeepDick: l’intelligenza artificiale che pensava di essere Rocco, ma si è rivelata essere Jackie Chan. Quando hai costruito la tua personalità collezionando schiaffi dentro uno spogliatoio, parti con un chiaro vantaggio: nel momento in cui la fortuna ti risparmia, è facile scambiare una semplice esercitazione di allenamento per la tua personale guerra del Vietnam. Ma non può piovere per sempre. Alla fine, quando la Grande Muraglia delle scommesse superficiali crolla sotto il suo stesso peso, i fanboy finiscono per combattere una guerra senza pugili, ma con le pale. Possiamo perdonare le scarse capacità di scrittura, tutti migliorano con il tempo. Ma non possiamo applicare la stessa cortesia a una glorificata brochure di marketing, piena di vittorie prestabilite, ipotesi contorte e affermazioni di tesi scolpite non nel marmo, ma nel granito stesso. Un’azienda cinese di intelligenza artificiale come nuovo baluardo della libertà orizzontale? L’unica cosa “aperta” qui è abbastanza facile da immaginare. Mentre i mercati, odiosamente maestosi, abbracciano l’idea che se sei veramente competitivo, meriti risultati, a meno che tu non sia un idiota assoluto. Per decenni, il vecchio sistema ha prosperato con contratti da miliardi di dollari, teatralità di lobbying e budget gonfiati. Ma ora, con i tassi di interesse in aumento e i cosiddetti “TechBros” che entrano nella mischia, le idee fresche hanno costi inferiori. E ora, non riesco a nascondere la mia eccitazione, il momento di cui parlava Roosevelt è arrivato: questi dinosauri dell’era della Guerra Fredda, a uno sguardo più attento, sembrano reliquie in attesa del loro meteorite. La Boeing, un tempo l’epitome dell’eccellenza aerospaziale, sta vivendo una crisi di identità tra la capsula Starliner bloccata in un’eterna inefficienza (ancora in ritardo nei test) e i contratti militari che, a meno che non stiate scommettendo contro di me, faranno fatica a fornire i risultati attesi. La Lockheed Martin, nel frattempo, sta navigando nella tempesta in cui l’F-35, spesso deriso per i suoi infiniti aggiornamenti software e guasti di sistema, si sta trasformando in un progetto beta perpetuo, un videogioco volante con note di patch. In questo quadro caotico, troviamo il Progetto Artemis: una missione della NASA in cui gli Stati Uniti pianificano di tornare sulla Luna con grandiosità, in uno scenario in cui nulla può essere lasciato al caso e il fallimento passerà alla storia. Nel frattempo, l’ironia fa la sua parte, mentre SpaceX prepara Starship, un programma che con una frazione del costo sta già dando risultati tangibili e sta fissando lo standard a circa 2,5 miliardi di dollari a lancio (o anche meno, grazie alla riutilizzabilità). Il paragone è spietato: mentre la NASA è bloccata nella gestione di un razzo SLS troppo costoso e troppo complicato, SpaceX costruisce razzi con una filosofia di prototipazione rapida, riducendo gli sprechi e mantenendo un livello accettabile di scherno mediatico. Alcuni osservatori cinici sospettano che Artemis sia solo un’altra operazione di bilancio nero autogenerante, un meccanismo perfetto per far circolare miliardi di dollari pubblici all’interno dei soliti circoli del Pentagono, un loop di proporzioni cheneyiane. Guardando i numeri, i contratti e i ritardi, ci si deve chiedere se ci sia più sostanza che spettacolo in un progetto che dovrebbe far rivivere la gloria dell’Apollo 11. A proposito dell’Apollo 11, l’indiscusso conquistatore delle fasce di Van Allen, una cabina telefonica in alluminio degli anni ’60 che, oh cielo, era indistruttibile! “Non le fanno più come una volta”, giusto? Le leggende parlano di tecnologie “perdute e irriproducibili”, di registrazioni di telemetria mancanti, eppure è incredibile che decenni dopo l’umanità faccia ancora fatica a mandare le persone oltre l’orbita terrestre bassa. La casa delle bugie sta crollando o è solo una naturale correzione di rotta? Persino Socrate ha abbandonato il mondo delle cattive idee. Nel frattempo, i nuovi giocatori della Silicon Valley, i TechBros, stanno prendendo il controllo dei contratti di difesa, lanciando droni autonomi e creando valore tangibile in tempi record con sprechi minimi. NVIDIA, regina del mercato GPU, sta ora affrontando una tempesta perfetta: rallentamento della domanda di IA, concorrenza cinese che le respira sul collo, produzione esternalizzata a TSMC e alti tassi di interesse che strangolano la speculazione. Se si approfondiscono i dati, emergono inquietanti somiglianze con il crollo delle dotcom dei primi anni 2000, quando le valutazioni di mercato erano gonfiate da illusioni di crescita infinita. Gli stessi analisti che lanciarono l’allarme allora, ignorati da tutti, ora affermano che il problema è ancora più strutturale questa volta. Le proiezioni NVIDIA pre-crollo, che prevedevano un mercato dell’IA in crescita esponenziale con valutazioni alle stelle, si sono sgretolate sotto la realtà, trascinando verso il basso non solo NVIDIA ma una grossa fetta del settore tecnologico. La lezione? Quando un gigante brucia, può far crollare l’intera capitalizzazione di mercato di un’intera borsa in 30 minuti. E la ciliegina sulla torta? Il CEO, che solo pochi mesi fa si atteggiava a cowboy high-tech, ostentando GPU rivoluzionarie e la superiorità tecnologica americana, ora si sta affannando per spiegare ai mercati perché l’azienda ha perso miliardi da un giorno all’altro. Inutile dire che il suo status di golden boy ora sembra molto meno brillante. Qui in Europa, fino a pochi giorni fa, c’era un allineamento completo con la narrazione cinese e il suo CEO del tutto improbabile, un personaggio che sembrava uscito da un ruolo da cattivo di un film di serie B mal interpretato. L’entusiasmo attorno a DeepSeek era così surreale che chiunque osasse sollevare dubbi veniva etichettato come pessimista o, peggio, “fuori dal mondo”. Oggi è esilarante vedere tutti tornare sui propri passi, minimizzare la situazione, trovare scuse e riscrivere la storia come se non avessero mai elogiato l’intera operazione. Nessuno, ovviamente, ricorda le grandi proclamazioni su come DeepSeek avrebbe “cambiato le regole del gioco” e “portato la rivoluzione dell’intelligenza artificiale alle masse”. E poi arriva la truffa da 60 milioni di dollari, il colpo di scena che chiunque con due neuroni funzionanti aveva previsto. Un’ondata di token falsi, capitalizzazioni di mercato ridicole gonfiate dal nulla, persone che perdono tutto mentre le menti di questo circo spariscono con le tasche piene. Eppure, come previsto, nessuno si assume la responsabilità. Il copione classico: esaltare l’illusione, quindi cercare disperatamente di negare l’ovvio e, quando tutto crolla, passare dolcemente a “non avevamo abbastanza dati per valutare i rischi”. Ora, fingono tutti di essere cauti, come se la loro credibilità non fosse già stata ridotta in polvere, insieme ai portafogli degli investitori creduloni che ci sono cascati. Se OpenAI decidesse di salire a bordo come co-produttore del documentario (puntiamo a un formato massimo di 40 minuti), il loro coinvolgimento come consulente interessato genererebbe senza dubbio un clamore enorme. Avere l’esperienza tecnica di OpenAI che analizza il caso DeepSeek darebbe a questo progetto un livello di credibilità e profondità senza pari. Oltre all’analisi di IA e tecnologia, avremmo coinvolto anche consulenti economici e legali, assicurandoci che l’indagine regga all’esame su tutti i fronti. Il caso DeepSeek non è solo una storia, è un punto di svolta nel panorama globale dell’IA e della finanza. Mentre tutti sono impegnati a gridare “miracolo”, alcuni di noi stanno effettivamente facendo il loro lavoro, perché in un mare di opportunisti, c’è ancora chi crede nel giornalismo corretto
( vedi i grafici )
Fonti
[1] “The Fall of Legacy Defense Giants,” Bloomberg Analysis, 2024.
[2] “Pentagon Reports on F-35 Delays and Overruns,” WSJ Defense Briefing,
2023.
[3] “SLS vs Starship: Cost Comparison,” NASA Audit Office, 2025.
[4] “Cheneyloop: The Endless Defense Budget Cycle,” Pentagon Watchdog,
2023.
[5] “Apollo Archives: Missing Telemetry and Lost Tapes,” Smithsonian Institute
Interviews, 2019.
[6] “Tech Bros vs Old Contractors,” Silicon Valley Insider, 2024.
[8] “DeepSeek Dossier: Origins and Funding,” Slovak Cyberintel Forum, 2025.
[9] “China’s Digital Currency Strategy,” Crypto Analysis Monthly, 2024.
[10] “Deep State vs Trump: Economic Warfare via AI?” Eastern Monitor, 2025.
[11] “Ponzi-Stanislaky: The Hidden Scheme of Defense Contracts,” Investigative
Weekly, 2023.
[12] “Dotcom Crash Revisited: Market Parallels in Tech Valuations,” Nasdaq
Historical Review, 2025.
[13] “NVIDIA Meltdown and Big Tech Panic,” Financial Times Exclusive, 2025
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Negli Stati Uniti siamo in presenza di un tentativo potente di rinnovamento che porterà all’emersione di una nuova classe dirigente e ad un adattamento ad esso di parte della vecchia. L’immagine offerta dalla cerimonia di insediamento di Trump parla da sola; gli atti susseguenti tracciano la direzione verso la quale gli Stati Uniti vorrebbero andare. Sino ad ora la nuova amministrazione, per altro ancora in fase di insediamento e di un consolidamento ancora dall’esito incerto, ha potuto contare sull’effetto sorpresa e sulla relativa debolezza degli attori protagonisti delle prime attenzioni. La circospezione con la quale i protagonisti principali dello scenario geopolitico si stanno avvicinando alla nuova amministrazione lasciano presagire una fase di studio e di relativa pacificazione delle relazioni, al netto degli imprevisti e delle prevedibili azioni di disturbo. Con qualche avvertimento precauzionale, però: sono stati tagliati i cavi sottomarini di collegamento tra Taiwan e un piccolo arcipelago vicino, sede di una grande base militare. La tendenza è ad una circoscrizione degli obbiettivi, soprattutto interni agli Stati Uniti e delle aree geografiche nelle quali concentrare il confronto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Trump torna alla Casa Bianca, e con lui torna quel mix esplosivo di retorica, show e il famigerato “Art of the Deal”, versione geopolitica. Questa volta, l’attenzione è tutta per l’Ucraina e il suo “Project Ukraine”, un conflitto che, tra una dichiarazione e l’altra, sembrava aver stregato il neo-presidente. Ma cosa sta combinando Trump? E soprattutto, ha un piano reale o sta semplicemente improvvisando? Spoiler: potrebbe essere entrambe le cose. La zona pericolosa dove non si dovrebbe finire nel notoriamente delicato stadio iniziale della presidenza è proprio questa, una melma di sabbie mobili dove mettere alla prova il tallone di Achille di questa amministrazione entrante: la politica estera. Nei primi giorni del suo mandato, Trump sembrava più interessato a firmare ordini esecutivi e a ribadire quanto amasse il popolo russo. Ma il circo mediatico, spinto forse da qualche stratega ombra, lo ha trascinato in quella che sembra essere diventata la sua nuova ossessione: l’Ucraina. I giornalisti lo martellano con domande su come intenda affrontare il conflitto, e Trump, fedele al suo stile, ha deciso di “prendersi il progetto”. Come? Minacciando la Russia con sanzioni, tariffe e persino con il crollo del prezzo del petrolio. E tutto, ovviamente, condito dal suo amore per il popolo russo (“I love the Russian people, but I’m going to destroy your economy”). Ironia della sorte, durante il suo discorso inaugurale Trump non ha nemmeno menzionato l’Ucraina. Forse era distratto, o forse non aveva ancora capito che i media non lo avrebbero lasciato in pace. Mi piace pensare che questa sia la tattica di avvicinamento. Fatico a credere stia cadendo nella trappola che Steve Bannon e altri (incluso il buon senso) gli avevano consigliato di evitare: diventare l’utile volto del conflitto. Trump ha adottato un approccio decisamente autoritario nella sua comunicazione: “Accetta le mie condizioni o ti distruggo. Ma ti voglio bene, eh”. Una strategia che forse funziona nelle trattative immobiliari, ma che si scontra con la realtà diplomatica russa che, come sappiamo, non vende tappeti. Ha anche sparato numeri completamente a caso, come i “60 milioni di morti russi nella Seconda Guerra Mondiale” (dove li ha presi, nessuno lo sa) o il milione di soldati russi caduti in Ucraina. Putin e il Cremlino non hanno gradito, soprattutto quando Trump ha suggerito che la Russia avesse combattuto la guerra mondiale per aiutare gli USA. Non proprio uno dei migliori 26 milioni di modi per iniziare una trattativa. Una delle idee di Trump è quella di abbassare il prezzo del petrolio, convincendo il principe saudita Mohammed bin Salman a inondare il mercato di oro nero. L’obiettivo? Schiacciare l’economia russa. Peccato che ci siano almeno tre problemi fondamentali: il principe saudita sta finanziando massicci progetti di sviluppo, e un crollo del prezzo del petrolio destabilizzerebbe l’economia saudita prima ancora di toccare quella russa. La narrativa che i sauditi abbiano distrutto l’URSS negli anni ’80 è un mito. L’URSS era già in crisi a causa delle sue riforme interne, e il crollo dei prezzi del petrolio di allora era dovuto a una sovrapproduzione globale, non a una strategia orchestrata dagli USA. La Russia produce petrolio a costi bassissimi e ha un’economia diversificata. Se il prezzo del petrolio scende, il Cremlino semplicemente svaluta il rublo e continua a fare affari con chiunque e in special modo con le cancellerie di mezza Europa, che con una mano firmano sanzioni e con l’altra tessono triangolazioni per importare le materie prime dello sterminato territorio russo. Trump sogna anche di convincere Cina e India a voltare le spalle alla Russia ; anche qui solo un gonzo che comprava le autoradio nelle piazzole autostradali del Casertano potrebbe credere che si tratti di una seria programmazione economica . Sarebbe come scartare il mattone che avrebbe voluto essere autoradio ( molto woke ) , infilarlo ( vi giuro non è voluto) nell’alloggiamento a martellate cantando ” Vamos a la playa ” o meglio l’azzeccatissimo ” Battito Animale ” . Su le mani : genitore 1 , genitore 2 . Infatti la Cina starebbe costruendo relazioni sempre più strette con Mosca (vedi il gasdotto Power of Siberia 2) e l’India avrebbe già approntato, aggirando le sanzioni occidentali , un piano continuativo per l’acquisto di petrolio russo e adiritura di raffinati a bassa efficenza . Perché mai dovrebbero tradire un partner affidabile come la Russia accettando in ribasso le “offerte” del presidente USA che, finora, non ha nemmeno menzionato qualcosa in cambio? A meno che Trump non stia pianificando di regalare Taiwan alla Cina o il Kashmir all’India (non ci sorprenderemmo, visto il suo stile), facendo ordine nella frenetica saturazione resa volutamente confusionaria delle dichiarazioni incrociate degli stessi player in competizione , possiamo tranquillamente resettare certi algoritmi di lettura della realtà , tuffandoci di testa sugli scogli della frastagliata ma inesorabile ragion di stato trasversale. Le prese di posizioni proprio di oggi che come un eruzione di lava stanno raggiungendo le truppe in ritirata della fallita rivoluzione woke-green ,fanno presagire che è iniziata la notte dei lunghi coltelli made in Usa ; Musk definisce Sam Altman ” OpenAI’s Sam Altman As A Deep State Op ” e Trump con una discreta soddisfazione ci tiene a ricordare a Bolton e Fauci che ” non si sentirà responsabile se accadrà loro qualcosa “. Insomma, nessuna correlazione oltre c’è l’armageddon . A questo punto, viene da chiedersi se Trump sta giocando a scacchi 5D o sta improvvisando.
Alcuni suggeriscono che le sue dichiarazioni pubbliche siano solo una distrazione, mentre dietro le quinte starebbe lavorando a un accordo segreto con Putin.
Le vocine nel cervello, sebbene potrebbe sembrare il contrario, continuano a farmi propendere per questa interpretazione, proprio perché mi sono convinto che le dure lezioni , pagate care , durante la sua scorsa presidenza , mi sembra siano state metabolizzate tanto da scorgere le contromisure preparate per non evitare di ricadere nell’errore cronico . Tuttavia, le prove scarseggiano, e i russi stessi sostengono di non avere ancora avuto contatti seri con l’amministrazione Trump. Il telefono rosso non suona mai o l’amore è saldo ma altresì clandestino? L’unica cosa chiara è che Trump vuole un accordo per mettere fine alla guerra in Ucraina. Il problema? Non sembra avere idea di cosa la Russia chieda o forse, per i suoi progetti, sulle prime potrebbe essere conveniente farci non esserci. Putin non accetterebbe mai un semplice “cessate il fuoco” o un’offerta al ribasso, e Trump lo sa bene. La sorpresa sarebbe decisamente spiacevole per tutti. Come hanno detto molti analisti, il tempo per un accordo sta scadendo, l’Ucraina è vicina al collasso come un Mc Gregor stramazzato al suolo dopo una rissa su Instagram . Quindi , artisticamente parlando, urlare nelle dichiarazioni pubbliche , accordandosi nascosti nelle retrovie della diplomazia , forse è quello che potremmo aspettarci . Trump ha ereditato una guerra che avrebbe potuto comodamente etichettare come “quella di Sleepy”, ma ha scelto di farla sua come quel mantello sgargiante che periodicamente ama indossare. Quindi mi sovviene che abbia calcolato il rischio, avendo inoltre avuto un periodo lungo nel quale organizzare e adottare una strategia adeguata. Se riuscirà a evitare la trappola e a negoziare un accordo reale con la Russia, potrebbe persino uscirne vincitore. Ma il rischio di trasformarsi in un altro Nixon è alto , o forse è quello al quale vorrebbero far credere al fronte interno , quello che ci ha intrattenuto con una grande profondità analitica del reale , che per limiti o manifesto pregiudizio continua vivere in un versione 4k arcobaleno della presidenza del 2016 .
Per ora, tutto ciò che possiamo fare è goderci lo spettacolo osservando tutto con il distacco di chi vive nell’inutile , ininfluente e vagamente inadeguata Europa .
Il trucco è farlo consci dell’artificio .
Per un attimo leggendo sui social come i profughi dell’incendio di Hollywood trovassero le energie di postare cose come ” emigro è arrivata prima l’orda Trumpiana e poi il fuoco ” ho provato
paura , sono sincero , adrenalina che poi si è fatta terrore .
Ora mi spiego .
Ho temuto di ritrovarmi in 3 2 1 l’esule Saviano , che subito ospite fisso di Formigli in una trasmissione combo B2B con Propaganda Live , potesse racontare in uno specialone prime time , la sua fuga rocambolesca dal 4 Reich dominato dal “predatore sessuale mafioso ” Donald.
La tv del dolore – il nostro .
Abbando-Nato l’attico e portando in valigia la destrezza delle sue lunghe pause che di prosa si fan dialettica e poi è poesia , finalmente Itaca , finalmente democrazia (l’unica del medio oriente che ama).
Scusate non volevo farvi passare l’appetito , probabilmente anche quello sessuale .
Passiamoci quindi i popcorn dolci come fossimo “Goodfellas”, quelli stucchevoli al caramello ,così che possiamo celebrare la nostra weltanschauung gastronomica , tra l’altro l’unica “Supremazia indiscutibile” che ci è rimasta. Quella cosa con cui ,come diciamo a Genova , possiamo portarcelo in giro , già menato da casa.
L’unica propaganda identitaria reale , il “primato” del quale non abbiamo facoltà di vergognarci .
Pavoneggiamoci così , in una sfilata densa di “eccellenza italiana” , disinvolti e pregni dell’ Ubris di fasti passati donando ai posteri un momento altissimo che solo Giotto , Cannavacciulo , l’eternità , forse Eat Italy , educatamente senza Sgarbi .
Mentre Pelù, Vauro e Guccini abbandonano X , risalendo l’ Aventino della presupposta superiorità , noi ferventi disillusi passiamo senza curarci di loro sperando di non beccarci il covid e stringiamoci a coorte per innalzar quel cencio del qual abbiam deciso di far utilitaristica bandiera .
Un tovagliolo sporco di sugo ,quello buono , cotto almeno due ore e mezza rigorosamente a fuoco lentissimo. Urrah , grazie Giorgia , Grazie Presidente .
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Un Trump che ne ha per tutti, per poter raccogliere da tutti. L’ottimismo a prescindere di chi vuol apparire come l’unico vero giocatore in campo. La realtà è ben diversa. Può contare sul fatto che da un rivolgimento incontrollato tutti hanno da perdere. Il suo destino dipenderà dall’entità del divario tra proclami, aspettative e risultati conseguiti. La sua tattica consisterà nel trattenere dal ventre molle del sistema di relazioni edificato in questi quaranta anni. Il paradosso è che il ventre molle sia costituito proprio dai suoi alleati più stretti con il risultato di indebolire il tessuto della propria sfera di influenza. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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E così, il regime di Bashar al-Assad è caduto, e con lui, la Siria ha visto il collasso di un ordine geopolitico che sembrava immutabile o che molti speravano potesse rimanere per sempre tale.
Siamo passati da una Siria che ha cercato di difendere l’indifendibile durante la guerra civile, a un teatro smembrato, come quel puzzle di Natale geopolitico, frettolosamente abbandonato alla fine delle feste in vista del capodanno. O forse era l’orribile “Mikado”.
La magia non è riuscita e nuove configurazioni, decisamente meno stabili, danno l’impressione che potrebbero rivoltarsi contro chi troppo prematuramente pensava di aver già fatto il colpaccio.
Il risultato è un panorama regionale che lascia più domande che risposte.
La rinnovata proiezione Francese ne è prova, come lo sono gli ulteriori 22 Mirage nelle basi avanzate di Parigi nell’area e l’apparente comunanza di obiettivi nelle operazioni aeree tra i due paesi (ma è solo un caso come lo fu la joint venture nucleare tra Parigi e Tel Aviv).
Infatti non si tratta di un risultato, è frantumazione apparente in moto autorigenerativo, la quiete prima dell’ennesima tempesta, il limbo che precede il “Kali Yuga”, un nuovo inizio che porta alle prime pagine del ciclo successivo, dove nulla pare radicalmente mutato.
Stavo usando “finale” come se la situazione non fosse già secolarizzata e crepuscolare.
Too Much.
In Bocca al Loop
La situazione a Gaza complica ulteriormente, nel senso che pare interessi solo a chi senza non saprebbe di cosa altro occuparsi e a quello sparuto drappello che non ha mai smesso di farsene onere senza onore fin dall’inizio.
Con l’Asse della Resistenza indebolito, la Palestina diventa, ancora una volta, una carta che per quanto tragica nessuno ha il coraggio di dire che non vorrebbe più giocare.
Un teatro destinato a divenire ancor più complesso e la speranza si infrange ancora nella vergognosa idea dei due stati che, non so voi, ma sembra sempre più solo l’alibi che gli alfieri del politicamente corretto sfoderano per auto assolvere il loro suprematismo moderato, cortocircuito camuffato da borghese progressismo da salotto.
Oggi sono entrati i primi camion degli aiuti umanitari che da tanti mesi vediamo incolonnati al valico di Rafah, simbolo anch’essi del cauto immobilismo dei paesi arabi “amici”, ricattati dallo spauracchio dell’accoglienza dei profughi, in un balletto perpetuo nel quale l’imperativo è sia non perdere la faccia nei confronti dell’opinione pubblica Medio orientale e allo stesso tempo conservare i propri interessi economici e geopolitici vista la delicata situazione dei loro bilanci interni.
Su questo punto sarebbe saggio soffermarsi prima di proseguire.
Quei cancelli aperti per la prima volta segnano il punto in una cronologia temporale estenuante e vorticosa iniziata proprio il 7 ottobre.
Singolare è constatare come la sceneggiatura, le accelerazioni e poi le pause, procedano parallelamente all’agenda occidentale e dell’impero. La complessità diventa religione ma l’arbitro in cielo e in terra, nel bene e soprattutto nel male, sembra rimanere sempre lo stesso.
Netanyahu ha definito l’evento come una “storica vittoria”, Israele si sta preparando a dominare con grande disinvoltura e naturalezza un’area già in completa instabilità.
Pare abbia detto giunto all’apice del monte Hermon: “Vedi figliolo, quello che vedi è il mio futuro politico ”
Opterei nel ritenere questo come il vero Jackpot: la costruzione dell’infinita divisione geopolitica.
Non trovo plausibile che improvvisamente una situazione di questa inenarrabile complessità e interessi specifici di difficile lettura, improvvisamente si trasformi dove le conclusioni terminano con il punto esclamativo.
La tregua , scommetto una girella al cioccolato, è appena uscita dal forno ma la fragranza è simile ai pop corn misto Marshmallow piuttosto che allo stucchevole flavor del Baklava al miele e applicando le attenuanti generiche a codesti dolci notoriamente sinonimi naturali della Corazzata Potemkin , sovviene quel velato presentimento che tutto ciò possa essere funzionale a dinamiche decisamente poco esotiche .
La musica che suona in sottofondo assomiglia alla soundtrack di Braveheart piuttosto che un successo del Ramazzotti medio orientale Ragheb Alama.
Inoltre se la Pnl è pseudoscienza quanto il distanziamento sociale , possiamo azzardare impersonando un aruspice Steineriano che il linguaggio del corpo e il tono di Benjamin Netanyahu convincono pochino quanto l’avallo del moderato seguace del rabbi Kahane alla tregua , qual Ben Gvir ministro della sicurezza interna di Israele che abbiamo imparato a conoscere per le sue posizioni inclusive nei confronti di qualsiasi cosa non parli un ebraico fluently . Bezalel Smotrich ritira l’appoggio e assicura l’appoggio esterno riservandosi di ritiralo qualora la tregua si prolunghi per troppo tempo .
Fate Vobis
La Pax Donaldi è iniziata e stavo giusto ascoltando il discorso di insediamento , godendomi Sleepy Joe e Kabala in pole ascoltare il discorso di Trump . Mi hanno ricordato la sorte toccata a quel monello di Alex , alias Malcolm McDowell di “Arancia Meccanica ” , costretto a guardare la famosa tv con gli spilli ficcati in mezzo alle palpebre . Conferma è il fatto che Biden non si sia assopito e la Harris sia sempre rimasta seria e non abbia ballato durante la colonna sonora antecedente al discorso .
Le stringenti regole del cessate il fuoco sembrano costruite per giustificarne la violazione arbitraria da parte di Israele e fatta salva la road map dei primi due mesi orientata alla distribuzione degli aiuti e alla ricollocazione Sud-Nord degli sfollati ammassati intorno a Khan Yunis , preoccupa la stabilità della fase successiva per una conservazione di una tregua duratura .
Tutti pazzi per Al-J
Gaza, Libano, Palestina, Siria, corpi si ammucchiano, esistenze si spezzano , intanto la passionaria della libertà Baerbock , voce della mirabolante diplomazia socialdemocratica Ue nei confronti della Russia , fa capolino alla corte di Al, seguita a ruota dalle preoccupazioni disinteressate dei Norvegesi, rappresentate, con glaciale. saggezza nordica dal ministro Espen Barth Eide.
Niente da dire prova mirabolante dimostrazione di come si può navigare in scioltezza tra le dune dell’ipocrisia prima di un saldo approdo all’oasi di Al-Sahara . Kaia Kalas sono sicuro la vedremo a breve .
Anche qui sempre casualmente giungono aiuti Ue per la Siria per 300 milioni.
Le potenze arabe, come l’Egitto e la Giordania, continuano a muoversi in ordine sparso, mentre gli attacchi israeliani alla Striscia di Gaza mettono in ginocchio il già fragile sistema sanitario locale.
Il Cairo è preoccupantemente nel pieno di una congiuntura economica aggravata da una bolla immobiliare e come se non bastasse Abdel Fattah El-Sisi percepisce come reale la pressione di quei “Fratelli Mussulmani” rinvigoriti dai successi desiderosi di presentare il conto, memori della repressione post rivoluzione Araba.
Prendendosi molti rischi la Turchia si rivela come il vero gambler geopolitico della regione. Probabilmente, la strategia di Recep Tayyip Erdoğan, abile a cavalcare il Demone del caos, potremmo timidamente identificarla come efficace ma non priva di controindicazioni, paradossalmente già a brevissimo termine.
La consueta abilità dimostrata nello cavalcare l’onda perfetta, in questo “Point Break” dei propri interessi egemonici, accresce allo stesso tempo il peso della Turchia nell’area e allo stesso tempo proietta verso il futuro la sua figura di statista.
Mi domando se Ataturk, da lassù annuisca soddisfatto o biasimi l’eccessiva spregiudicatezza di colui che senza farne troppo mistero vorrebbe eguagliare le gesta.
Dettagli, ma nemmeno troppo
Allearsi con la Russia per discutere di energia e sistemi missilistici, tornando il giorno dopo a parlare con Washington, senza precludersi di sfruttare il piano imperialista di Israele, alla lunga, potrebbe rivelarsi un tormentone pericoloso, che se portato troppo avanti, ridurrebbe le alternative strategiche non parliamo di tattiche.
Se parliamo di Israele, non c’è nulla di sorprendente nell’analizzare come Tel Aviv abbia capitalizzato l’immediato vuoto di potere lasciato dalla caduta di Assad. L’Idf ha intensificato i suoi raid aerei, dichiarando di aver distrutto buona parte delle risorse strategiche siriane, mirando alle scorte di armi avanzate facendo credere che la ragione risieda nel fatto di non farle cadere nelle mani di Hezbollah, delle milizie Sciite e del fantomatico Stato Islamico.
Sfortunatamente non ci crederebbe nemmeno uno Jacoboni qualunque, imboccato dal nostro agente molto poco segreto per il Medio Oriente “Gigino”.
La Turchia, sta giocando una partita difficile, alcuni analisti dipingono Erdogan come un “uomo forte” capace di navigare tra le acque agitate, ma la verità è che la sua posizione sta diventando sempre più precaria considerando anche che gli eventi rendono molto plausibile che una stabilizzazione preceduta da una inevitabile resa dei conti interna a questo dedalo di alleanze sui generis, diventerà urgente e non procrastinabile.
Gli interessi contrastanti tra Stati Uniti e Russia stanno creando una ragnatela difficile da districare, e la Turchia potrebbe trovarsi a giocare un ruolo che non le permette più di essere al centro della scena.
Proprio per questo “alcuni” non trovano così irragionevole un “biscotto” in arrivo all’orizzonte, proprio con quelle entità che mai e poi mai.
E invece chissà, ma dai.
Nel cuore di tutto ciò, la Siria sembra aver abbandonato definitivamente l’idea di un “futuro unitario”.
I combattimenti tra Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) e le fazioni dell’ex Esercito Siriano Libero (FSA) non sono altro che un microcosmo di un conflitto che non si fermerà, dove ogni fazione combatte per il proprio angolo di futuro. La Siria post-Assad sembra destinata a una frammentazione irreversibile, con gli attori locali che si combattono per il controllo delle risorse e delle aree strategiche, ma con pochi sforzi concreti per raggiungere una stabilizzazione, quella grande assente da troppo tempo. Ormai in ogni dove si parla latino:
si divide, si impera e io speriamo che me la cavo.
HTS, che una volta si definiva il “liberatore della Siria”, è ormai il simbolo di un’opportunismo “casereccio” degno di un “B” Movie con Chuck Norris dove un ex cattivo, il noto Abu Mohammad al-Julani, si fa “statista”. Una visione che non può portare altro dominio tribale instabile e la prospettiva di vendette e desiderio di egemonia che a stento potranno essere mitigate dall’abile, ma di corto respiro, maquillage mediatico. Competenze e pieni voti guadagnati durante la permanenza universitaria a “Camp Bucca”.
Conferma del Prestigio sono tutti i laureati partoriti da quel prestigioso “collegio”:
come si dice a Milano, i ragazzi, hanno “spaccato” ovunque siano andati.
Ma sapete, il perdono si concede con leggiadria venendo da Ovest, soprattutto se si tratta del “figliol prodigio” redento.
Tranquilli, ora arriva la Russia, che ha sempre supportato Assad, fino a quando non ha dovuto supportarlo per davvero (vi ricorda qualcuno? Gli esempi si sprecano, ma ne parleremo la “proxy” volta). Anzi no .
Sarebbe doveroso farlo nel riportare le dichiarazioni del generale iraniano Behrouz Esbati, che ha criticato Mosca per la sua ambiguità, sottolineando che non avrebbe nemmeno provato a interdire i raid israeliani contro obiettivi iraniani in Siria, rifiutando di fornire supporto logistico a Teheran per favorire l’invio di truppe di rinforzo a Damasco.
I casi sono due: o è una strategia mediatica concordata da entrambe le parti per salvarsi la faccia, o qualcosa di parzialmente vero potrebbe anche esserci.
L’Iran ha pagato un prezzo elevato e la sua guida iconica nel “Fronte della Resistenza” sembra essere diventata più un’eredità da seppellire in fretta, unica strategia possibile per una ricostruzione futura lontano dai radar.
Teheran, il Paese degli Ayatollah, ha visto infrangersi i corridoi logistici vitali per Hezbollah e ha visto la propria posizione indebolirsi nel Levante. La denuncia di Syed Abbas Araghchi, ministro degli Esteri iraniano, riguardo alla “distruzione” delle infrastrutture in Siria da parte di Israele ha solo aggiunto un ulteriore strato alla già complessa realtà regionale.
Eppure, dietro le parole pare occultarsi la vera centralità strategica futura: l’Iran non ha saputo costruire un piano B o era questo il piano principale?
La risposta è forse troppo scomoda da pronunciare: l’Iran ha sempre visto la Siria come una pedina necessaria, mai come una solida alleanza geopolitica. E ora che quella pedina è caduta, l’altro alleato che si pensava cruciale realizza che il futuro potrebbe riservargli una sorte simile.
L’Iran si trova ora a fronteggiare una marea di alleanze, mentre i suoi nemici regionali, come Israele, si guardano intorno sorpresi, stupefatti come un rapinatore che trova la porta della gioielleria aperta.
La Turchia e il Qatar, Fratelloni spalla a spalla, stanno a grandi passi realizzando indisturbati la terza via del sultanato mussulmano e osservando superficialmente, il ruolo dell’Iran potrebbe apparire indecifrabile.
O forse azzardano alcuni, che non è escluso possa essere l’outsider abilmente impegnato in quel gioco raffinato strutturato fin dall’inizio della fine di Ebrahim Raisi e del Ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian.
Le spedite implementazioni di un’alleanza militare con Russia, scavando senza fermarsi alla superficie del conveniente, risultano ancora troppo simili alla densa foschia. Quella zona impervia sorvolata dai droni Turchi impegnati nella missione di ricerca e soccorso del Bell 212, sparito nella nebbia di comunicati fumosi al confine con l’Azerbaijan.
Mosca si trova ora a dover rivedere le sue posizioni, sostengono alcuni cercando gli unicorni alla falde dell’arcobaleno . “La giustificazione per la sua presenza in Siria diventa sempre più debole, poiché la fine del regime siriano mina le basi legali su cui si era costruita la sua influenza nella regione, bla bla.”
Ma la Russia, come vagamente sospettavo quando osservavo le sue colonne gironzolare indisturbate verso le due basi principali durante l’invasione da nord di HTS e SFA, non ha mai pensato di sloggiare. Il Cremlino sta cercando di mantenere la sua presenza in Siria, riducendo dispersione di risorse, guadagnando con una brillante operazione di distrazione uno step up in Libia, forse ancora più ghiotto, avvicinandosi all’area del Sahel e all’alleato Algerino, guadagnando un ambito “posto al sole” .
Sarebbe stato controproducente e operativamente improponibile un impegno reale nell’area, non avrebbe avuto molto da offrire in un momento in cui la Siria veniva scarnificata e smembrata in un contesto più ampio e complesso di scontro e riassestamento tra potenze regionali.
La caduta di Assad ha, dunque, segnato non solo la fine di un regime, ma l’inizio di una nuova radiosa era di incertezze per una Siria arricchita da un clima instabile, rigoglioso di rivalità interne, giochi geopolitici dove apparentemente tutti fottono tutti, o per volere del cielo o per fini molto più terreni.
Con grande umiltà, penso serva cautela nell’analizzare le proiezioni geopolitiche specialmente in questo presente che assomiglia sempre di più all “Aereo più pazzo del mondo”.
Le analisi dualistiche impreziosite da una narrazione da “Mulino che vorrei”, oltre a non spostare una virgola,trasfigurano il servizio dell’informazione .
Una mattina ti svegli utilizzando il linguaggio tipico “del nemico”, quando ormai il mezzo che utilizzi già possiede la tua anima da tempo .
Fonti:
1.Reuters – “Iran’s Abbas Araghchi condemns Israeliairstrikes on Syria” [Link]
2.The Guardian – “Israeli Airstrikes Intensify on Syrian Targets After Assad’s Fall” [Link]
4.The Times of Israel – “Netanyahu Declares Victory After Assad’s Regime Collapse” [Link]
5.Russian Ministry of Defence – “Russia’s Strategy in Syria Post-Assad” [Link]
6.Al Monitor – “Turkey’s Dilemma in the Syrian Conflict” [Link]
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La rappresentazione, sia pure parziale, di una fase cruciale del conflitto sociale, quella degli anni ’60/’70, offerta da questa conversazione, cerca di superare i limiti di una narrazione il più delle volte centrata sulla contrapposizione tra le virtù e la genuinità della base operaia, espressa dal movimento dei consigli di fabbrica e la reazione conservatrice della vecchia guardia sindacale emersa negli anni ’50. Il conflitto di questa natura era senza dubbio presente, ma esprimeva, comunque, l’esigenza più o meno latente di formazione di una nuova classe dirigente politico-sindacale e, in maniera ancora più latente, di una nuova visione capace di includere la miriade di rivendicazioni che emergevano nella società e nei luoghi di lavoro. Quella esigenza fu raccolta solo in parte e per un breve momento. Evidenziò, piuttosto, che il confronto più acceso e sostanziale avvenne tra una pulsione più spontaneista e rivendicazionista che portò a ridurre progressivamente le differenze e l’articolazione sociale alla visione a all’appiattimento verso un segmento particolare, quello dell’operaio-massa, e una ambizione prospettica, un “nuovo modello di sviluppo” si proclamava allora, che era, in realtà, il tentativo di reintegrazione progressiva nel quadro delle compatibilità sistemiche delle pulsioni più radicali. Un movimento che prometteva di esprimere le esigenze ed una visione di vasti ed inediti strati della società si è alla fine risolto nella creazione di un ceto sindacale tutto rivolto alla legittimazione verso le controparti e le istituzioni pubbliche, aspetto per altro importante ma parziale dell’azione politico-sindacale, contrapposto ad una radicalità residua dal carattere sempre più corporativo e settoriale ben poco unificante. Una tara pesante, il segno evidente di uno dei limiti fondamentali della gestione del conflitto sociale e della specifica aspirazione di emancipazione, in quell’epoca e, ancor più, nell’attuale: quello di non inserirli pienamente in un contesto di piena sovranità dello stato, di indipendenza di un paese e di costruzione di una comunità e di una formazione sociale in grado di sostenere questa ambizione e rappresentare un interesse nazionale. Allora, quanto meno, aleggiavano qua è là proclami sul merito, per quanto fumosi e distorti, oggi del tutto assenti. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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A due giorni dalla registrazione di questo video Cecilia Sala è stata scarcerata ed è appena giunta in Italia, oggi 8 gennaio. A meno di qualche sorpresa riguardante la figura dell’ingegnere iraniano, trattenuto in Italia su mandato degli Stati Uniti, sembrano più chiari i termini del compromesso che ha portato al ritorno in Italia della giornalista. In collaborazione con Tracce di Classe abbiamo discusso dell’argomento con Antonello Sacchetti. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Conflitti insanabili o tentativi di raggiungere una sintesi tra pensiero conservatore e futuro tecnologico che consenta alla prossima amministrazione di Trump un percorso più lineare e praticabile in grado di far convivere le varie anime del movimento. Il risultato finale positivo non è scontato, ma non bisogna precludere a priori l’eventualità pur di non mettere in discussione i propri stereotipi. Come in un domino, le prime pedine cominciano ad innescare nella caduta l’intero sistema quando la nuova amministrazione statunitense deve ancora insediarsi. Vanno colte le profonde novità che iniziano ad emergere anche in Italia. Al momento sembrano l’indizio di un percorso di nuove forme di subordinazione in nome dello sganciamento dalla dipendenza franco-tedesca, piuttosto che azioni propedeutiche a scelte più autonome. L’amministrazione di Trump lascerà, probabilmente, maggiori spazi di azione a condizione che si affermino leadership in grado di occuparli. Il dramma, esattamente, che si troverà a vivere l’Europa e l’Italia. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Il 2024, un anno convulso e turbolento. Raccoglie il seme del nuovo mondo che si annuncia. Il confronto verterà tra chi vuole occupare tutti i posti a tavola e chi punta a condividerli. Il tentativo, arduo e l’auspicio di parte dei contendenti è di pervenire ad un epilogo consensuale. Il luogo decisivo nel quale si decideranno le modalità sono gli Stati Uniti. La virulenza dello scontro politico lì in atto lo sta certificando. Molto dipenderà, però, dall’atteggiamento delle leadership emergenti nello scacchiere mondiali e da quelle vetuste e spossate europee. Proprio l’Europa rischia di rimanere la mosca cocchiera delle posizioni più oltranziste e di rimanere relegata definitivamente ai margini. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Roberto Iannuzzi è autore, tra i vari testi, di “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas…” e di “Geopolitica del collasso….”. E’ ricercatore a UNIMED.
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