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Il carnevale della “transazione” raggiunge il culmine mentre gli euro nervosi competono per ottenere rilevanza_di Simplicius

Il carnevale della “transazione” raggiunge il culmine mentre gli euro nervosi competono per ottenere rilevanza

SimpliciusNov 26
 
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Le manovre per il “patto di pace” continuano la loro discesa verso la farsa kabuki. Il tira e molla tra piani “a 28 punti” e piani “a 19 punti” e tutto ciò che sta in mezzo sta raggiungendo il livello farsesco di uno sketch dei Monty Python.

La Russia – ieri tramite Lavrov e Peskov – continua a sostenere che non è stato ancora presentato alcun piano concreto alla parte russa e che tutti gli obiettivi militari dell’operazione militare speciale devono essere raggiunti. Qual è quindi il senso, esattamente, di questo folle botta e risposta, che sta raggiungendo livelli assurdi?

Ogni parte ha i propri interessi da perseguire: per gli europei non si tratta solo di salvare l’Ucraina e la guerra della cricca contro la Russia, ma anche di salvare la propria pelle, la propria carriera politica, ecc. L’intera UE sta ora puntando sull’Ucraina come unica questione predominante: se qui si verificasse un fallimento catastrofico, una tempesta di fuoco potrebbe spazzare via praticamente tutti i burattini odiati come Macron, Merz, Starmer e compagni.

In breve, si tratta di una corsa frenetica per salvare il progetto ucraino-occidentale quasi centenario ormai in fase di disgregazione. Per le élite politiche ucraine, l’obiettivo ora è quello di riempirsi le tasche prima del crollo, assicurandosi al contempo protezione nella tempesta che ne seguirà.

Ecco il WSJ che spiega come l’Ucraina abbia modificato il cosiddetto “piano in 28 punti” per concedere alle sue élite l’amnistia totale per la loro corruzione sfrenata dopo la fine della guerra:

Ora, Bloomberg ha divulgato quella che si sostiene essere una trascrizione della conversazione tra Steve Witkoff e Ushakov, consigliere di punta di Putin. Si tratta di un disperato tentativo dell’ultimo minuto senza alcuna attribuzione, nemmeno la solita scusa delle “fonti anonime”. La motivazione è chiara: gettare rapidamente un bastone tra le ruote e mandare all’aria i piani del team di Trump di trasformare l’Ucraina in un capro espiatorio allo scopo di riavvicinarsi alla Russia. Se la fuga di notizie è vera, lo scandalo ben più grave è quello descritto da Glenn Greenwald:

Kirill, da parte sua, era categorico nell’affermare che si trattava di un falso totale:

Nel frattempo, Putin ha continuato a trasmettere lo stesso messaggio risoluto.

Putin afferma che gli Stati Uniti non hanno mostrato a Mosca il testo completo del nuovo piano perché Washington “non è in grado di garantire l’approvazione dell’Ucraina”

Kiev e l’UE continuano ad aggrapparsi alla fantasia di una “sconfitta strategica della Russia”

Avverte che queste illusioni porteranno a conseguenze che non riescono nemmeno a comprendere

La dichiarazione molto più diretta di Putin è stata che la Russia sta già raggiungendo tutti i suoi obiettivi militari, sottintendendo che i colloqui di pace non sono necessari, anche se la Russia rimane aperta a essi a condizione che vengano condotte discussioni dettagliate su tutte le richieste principali:

“Gli obiettivi russi sono già STATI RAGGIUNTI sul campo di battaglia, ma siamo pronti per i negoziati di pace.”

La risoluzione pacifica del conflitto richiede discussioni approfondite.”

Il messaggio, come sempre, è chiaro: la Russia ha tutte le carte in mano e non si lascerà intimidire o costringere a cessare le ostilità semplicemente “per il gusto di farlo”. Tutti sanno già esattamente cosa comporterebbe una cosa del genere, come ha spiegato Macron proprio oggi – ascoltate al minuto 0:35:

«Dobbiamo inviare truppe francesi e britanniche a Kiev e Odessa…»

In breve, la cricca europea è disposta a tutto pur di costringere la Russia a un cessate il fuoco sfavorevole, in modo da poter inviare immediatamente le truppe della NATO e “congelare” il conflitto per tutto il tempo necessario a riarmare e rigenerare le forze armate ucraine in vista del secondo round di questo scontro esistenziale tra civiltà.

La stampa aziendale non è ottimista:

Come ultima nota, questo post di Trump è assolutamente da leggere: una vera e propria lezione magistrale sulla fase isterica di declino post-imperialista dell’impero statunitense:

“GLI STATI UNITI CONTINUANO A VENDERE ENORMI QUANTITÀ (sic) DI ARMI ALLA NATO, PER LA DISTRIBUZIONE ALL’UCRAINA… DIO BENEDICA TUTTE LE [milioni di] VITE CHE SONO STATE PERSE IN QUESTA CATASTROFE UMANITARIA!”

Sì, Dio benedica i milioni di persone che hanno perso la vita, ma benedica ancora di più il MIC.

Il crollo del fronte ucraino continua ad accelerare.

In direzione di Gulyaipole, le truppe russe hanno avanzato rapidamente fino al fiume Haichur, dopo aver ripulito tutto lo Yanchur, conquistando diversi insediamenti:

In particolare, noterete che non solo Gulyaipole è stata parzialmente circondata, ma le truppe russe hanno anche sfondato le difese e hanno già iniziato a combattere all’interno della città stessa, segnando la possibilità che Gulyaipole possa diventare una delle roccaforti principali cadute più rapidamente dell’intera guerra:

Da un importante organo di stampa ucraino: lamentele sul fatto che la mancanza di dispositivi di comunicazione ha messo in pericolo il fronte:

Maksim Zhorin, vicecomandante del Corpo Azov, lamenta con amarezza lo stato delle linee del fronte:

Nel frattempo, Pokrovsk è stata completamente conquistata e Mirnograd, secondo i nostri migliori cartografi, è ora completamente circondata da un calderone chiuso, al contrario delle “zone grigie” o del semplice “controllo del fuoco” dei droni sulle ultime vie di rifornimento, ecc. La mappa è autoesplicativa:

Sono anche emerse immagini di quelli che sarebbero stati prigionieri condotti fuori dalla zona di Mirnograd, riprese da motociclisti dell’esercito russo di passaggio:

Una galleria fotografica della RIA Novosti che mostra come sono le vie di approvvigionamento russe nell’agglomerato urbano:

Da un analista ucraino:

Questo è uno dei momenti più difficili della nostra storia. La pressione sull’Ucraina è ora più forte che mai. L’Ucraina potrebbe trovarsi di fronte a una scelta molto difficile: perdere la propria dignità o rischiare di perdere un partner fondamentale. O i difficili 28 punti, o un inverno estremamente rigido, il più rigido di sempre, e ulteriori rischi. Una vita senza libertà, senza dignità, senza giustizia, e per noi credere in chi ci ha già attaccato due volte. Si aspetteranno una risposta da parte nostra.

E un altro, che descrive l’intensificarsi delle operazioni russe:

Allo stesso tempo, si assiste alla distruzione sistematica dei nostri depositi di munizioni, punti di rifornimento e siti di accumulo, al fine di isolare le manovre e rendere ogni mossa costosa. Non si tratta di un’azione caotica, ma di un piano ben definito: prima bloccare, poi interrompere la logistica e infine premere con la fanteria. Non c’è nulla di segreto in tutto questo, noi lo comprendiamo, il nemico lo comprende ed è tutto visibile nelle riprese.

Nel complesso, le operazioni di combattimento in tutto il settore continuano senza sosta. La situazione non sta migliorando; al contrario, la pressione, la densità degli attacchi e il ritmo dei tentativi nemici di infiltrarsi nelle nostre linee aumentano ogni giorno!

A proposito, ieri Zelensky ha fatto un discorso urgente che è stata la prima volta in assoluto che il leader ucraino ha quasi ammesso che la guerra è quasi persa: è un must-listen appropriato per chiudere lo spettacolo:

«Stanno aspettando una risposta da parte nostra, ma io l’ho già data il 20 maggio 2019, quando ho promesso di difendere la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina».

«Non abbiamo tradito l’Ucraina il 24 febbraio e non la tradiremo adesso».

“Mi rivolgo a tutti, cittadini e politici, affinché si uniscano per porre fine a questo caos”.

“Siamo fatti di acciaio, ma anche il metallo più resistente può rompersi a un certo punto.”

Infine, concludiamo con questa riduzione colorita e appropriata del processo di “insediamento” e delle sue numerose “garanzie” assurde, tratta da corrispondente di guerra russo Vlad Zizdok:

La volpe promette di non essere furba. Il vicino promette di non fare rumore. Il cane giura di non rubare cibo in presenza del padrone. L’elefante promette di comportarsi con cautela nel negozio di porcellane. Il ladro promette di non rubare il portafoglio. Il lupo giura di non indossare la pelle di pecora. Il funzionario promette di agire. Il gatto giura di non mangiare pesce. Il fiume promette di non straripare. Il cachi sicuramente non lavora a maglia. E io prometto di non bere mai più.

L’accordo è giuridicamente vincolante.

Violazioni – sanzioni.”

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Sempre i soliti, di Teodoro Klitsche de la Grange

SEMPRE I SOLITI

Le ultime occasioni di dibattito pubblico interno e cioè quella sulla patrimoniale e l’altra sulle esternazioni a tavola dall’on. Garofani hanno un carattere comune: di manifestare le costanti di comportamento del centrosinistra italiano. Di guisa da renderle verosimili, anche se non fosse stata (quella sulla necessità d’impedire la vittoria della Meloni alle prossime elezioni politiche) confermata dall’esternatore.

Cos’ha detto l’on. Garofani? A quanto si legge sui giornali che, a distanza di meno di due anni dalle elezioni non c’è tempo per trovare un candidato-premier idoneo, onde per battere la Meloni servirebbe “un provvidenziale scossone”.

Prospettiva preoccupante perché negli ultimi anni gli scossoni sono stati non dipendenti dalla volontà degli italiani e delle forze politiche nazionali, ma ricordano i quattro cavalieri dell’Apocalisse: la peste (il Covid); le guerre (Ucraina e Gaza), e queste due guerre ci hanno riportato la morte. Manca la fame, ma non è escluso che, con gli auspici dell’on. Garofani, non si rifaccia viva, per propiziare la fuoriuscita della Meloni. In fondo cos’è una piccola carestia, a fronte di un risultato così provvidenziale (per il centrosinistra)?

Che buona parte dei dirigenti pubblici nominati dai governi precedenti cerchino di sdebitarsi, remando contro il governo, e diventando così dei partisan (senza la bi) è evidente, ma conoscendo il dettato dell’art. 97 della Costituzione, cercano di farlo sotto traccia, senza chiacchiere da bar o da salotto.

Ai tempo della Riforma, si chiamava nicodemismo. Invece Garofani ha contraddetto questa prassi e il consiglio di Machiavelli di parere (e non di essere) buono, devoto, legale, legittimo, ma soprattutto imparziale come prescrive l’art. 97 della Costituzione.

Una delle conferme che può quindi trarsi da questa vicenda, del tutto in linea con i precedenti (i ribaltoni anti-Berlusconi del 1994 e del 2011) è che, come scriveva Pareto, le classi dirigenti in decadenza si servono più dell’astuzia che della forza: manovre di corridoio, inciuci, finti scandali e vere calunnie sono gli espedienti preferiti per mantenersi al potere. Ciò per compensare la riduzione del potere (e dell’esercizio della forza) conseguente allo scemante consenso dei governati.

In questo Garofani ha perfettamente ragione: una legge elettorale, abilmente sfruttata, può capovolgere i risultati di una votazione persa o dubbia. Come avvenuto nel 1996 e nel 2006.

Anche l’altro tormentone mediatico sulla patrimoniale è in linea col pensiero del P.D. e non solo, come detto, con quello comunista. Se così fosse, ci sarebbe meno da preoccuparsi, perché finito il comunismo non resterebbe che aspettare la fine delle conseguenze.

Ma purtroppo non è così, confermato dalle recenti vicende italiane e dal sistema fiscale la cui maggior imposta patrimoniale, cioè l’IMU, è stata decisa dal governo Monti, non comunista, anzi tutt’altro, “tecnico” e non “politico”. I cui mediocri risultati e le politiche che li hanno causati sono stati continuati dai governi di centro sinistra che li hanno fatti propri. Come ritenuto dal pensiero politico economico realista (e liberale) dell’ultimo secolo (abbondante) la finanza pubblica può essere predatoria, parassitaria o anche mutualistica.

Di tali tipi non ripeto i criteri distintivi, resta comunque la stretta vicinanza tra assetto predatorio e imposta patrimoniale accomunati dal fatto che come in quello lo sfruttamento dei governati è tale da intaccare la capacità contributiva in misura superiore al reddito ricavabile (e così peggiora la situazione economica dei sudditi); nella seconda, proprio perché rapportata al patrimonio e non al reddito la suddetta conseguenza è del tutto irrilevante sul gettito ricavato.

Quindi per le classi dirigenti una rendita assicurata che la sinistra giubilante associa alle solite belle parole come sempre proclamate perché nascondono pessimi comportamenti.

E proprio questa è la novità del caso Garofani (almeno): che pratiche del genere sono tenute rigorosamente riservate, e se possibile segrete. Mentre il consigliere del Quirinale le ha tranquillamente esternate in allegra compagnia: per un congiurato (lo si sarebbe chiamato, in altri tempi) atteggiamento quanto mai imprudente.

Teodoro Klitsche de la Grange

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MATTARELLA BIS_di Michele Rallo

MATTARELLA BIS

una ricostruzione sulle orme di Poirot

di MICHELE RALLO

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Michele Rallo, già edito nel marzo 2022

Perché una seconda ondata di Mattarella? E, per giunta, quando ancóra a palazzo Chigi imperversa il virus Draghi? Semplice: perché Draghi non puó lasciare la guida del governo, se no quei pasticcioni di piddini e cinquestelle (con leghisti giorgettiani e forzisti brunettiani al séguito) sbagliano tutto e il PNRR va a farsi benedire. E, con il PNRR, anche le “riforme” e le “transizioni” che tanto a cuore stanno all’Unione Europea e a Wall Street.

Senza contare che – se finisse il governo Draghi – ci sarebbe il rischio concreto di interruzione della legislatura e di elezioni anticipate. E, questo, senza neanche il tempo di tentare la riforma del sistema elettorale, con il risultato di vedere a breve scadenza Giorgia Meloni alla Presidenza del Consiglio.

Il pericolo Giorgia é quello che i poteri fortissimi dei “mercati” devono assolutamente sventare. Pena il rischio concreto che l’Italia rifiuti di lasciarsi incaprettare senza opporre resistenza.

Ma, procediamo con ordine. Dunque, si era al muro contro muro. Un centro-destra apparentemente unito aveva le sue ottime carte da giocare (prima con la candidatura di Silvio Berlusconi, poi con quella della Presidente del Senato e con le altre). Ed un centro-sinistra apparentemente unito respingeva sistematicamente uno dopo l’altro tutti i nomi fatti dal centro-destra, accusati di essere “divisivi”. In mezzo Renzi (che cercava di approfittare del bailamme per piazzare il “suo” Casini) e tutta una pletora di minuscole aggregazioni piú o meno centriste.

Tutti sapevano che la situazione si sarebbe sbloccata quando la palude centrista fosse stata costretta a schierarsi di lá o di qua; o quando – al limite – fosse riuscita ad imporre ad uno degli altri schieramenti un terzo uomo, tipo Casini.

Un primo mutamento di questo schema si produceva quasi súbito, immediatamente dopo il ritiro della candidatura Berlusconi. L’unitá apparente del centro-destra andava in frantumi, e venivano fuori almeno cinque diverse linee. E cioé, le tre linee delle forze principali (leghisti, fratellini e forzisti, rigorosamente separati), una quarta rappresentata dall’ala ministeriale (georgettiani e brunettiani), ed una quinta che annoverava la componente centrista del centro-destra (a sua volta divisa al proprio interno tra i vari gruppuscoli che la compongono).

Seguiva la prevedibile melina: votazioni-bidone, partecipazioni, non partecipazioni, astensioni, schede bianche, candidature di bandiera. E, naturalmente, fuoco-di-fila di franchi tiratori centrodestristi. Con una novitá: questa volta i franchi tiratori non si nascondevano nel segreto dell’urna, ma uscivano allo scoperto, firmando quasi le schede infedeli con cospicui pacchetti di voti per Bossi, per Giorgetti, per Tajani, per Berlusconi, oltre che per vari nomi piú o meno centristi dell’altro versante.

Intanto, filtrava la voce che Draghi si sarebbe probabilmente dimesso se alla presidenza fosse stato eletta persona diversa da Mattarella o, in subordine, da Giuliano Amato, altro elemento amatissimo dai “mercati”. Naturalmente, la notizia non trovava conferma. Draghi continuava a mantenere un profilo basso. Ma cresceva l’inquietudine di cinquestelle e “responsabili” assortiti.

Poi, quella che sembrava la svolta: il summit Letta-Salvini-Conte e la decisione di far votare una candidatura by partisan nella persona di Elisabetta Belloni, una figura indipendente, una donna assai apprezzata da tutti, con alle spalle una lusinghiera carriera diplomatica e, in atto, direttore generale del DIS, l’organismo di coordinamento dei nostri servizi segreti.

Tutti contenti, tutti soddisfatti. Salvini correva a riferire al coordinamento dei partiti del centro-destra, ottenendo il via-libera anche di Fratelli d’Italia. La “quadra” era stata trovata: salvaguardata sia l’unitá del governo (che tanto a cuore stava ai peones timorosi di una crisi che avrebbe potuto sfociare in elezioni anticipate), sia quella delle due coalizioni. Trovata la soluzione, sbloccata l’impasse, scongiurato il muro-contro-muro, e – cose di cui quasi tutti si preoccupavano al massimo – assicurata la perfetta agibilitá del governo in carica, il PNRR, le riforme “che l’Europa ci chiede” e le “transizioni” che, insieme all’Europa, ci vengono chieste anche dai piú grossi affaristi del globo terraqueo.

Sir Drake poteva dormire sonni tranquilli. Invece, soffriva evidentemente d’insonnia, perché si precipitava da Mattarella, gli diceva che si rischiava la paralisi (proprio quando la situazione si stava sbloccando) e lo invitava a fare il “sacrificio” di un secondo mandato che, a quel punto, non stava né in cielo né in terra.

Piú o meno contemporaneamente, il Cavaliere – dal suo letto d’ospedale – alzava il telefono e chiamava il fido Braccobaldo Tajani, ordinandogli di fare una inversione a U e di schierarsi con Sergio II. A Salvini non c’era bisogno di fare alcuna telefonata, perché in Lega comanda ormai Giorgetti, e quello che una volta era il Capitano é ormai soltanto un caporale di giornata.

Fin qui, la cronaca. Una cronaca talmente inconcepibile – peró – da lasciar credere che dietro certi comportamenti allucinanti possa esserci altro, molto altro, moltissimo altro. Certo, nessuno potrá mai avere delle prove concrete, ma molti ormai si pongono delle domande e – come direbbe Marzullo – si danno delle risposte.

Anche io – nel mio piccolo – avrei elaborato un “dietro le quinte”. Beninteso, si tratta di opinioni personali, personalissime, non di fatti oggettivi, provati. E, tuttavia, la mia vecchia passione per i romanzi gialli mi induce ad abbozzare una pur fantasiosa ricostruzione. Dunque, ipotizziamo che i famosi “poteri forti” siano andati nel panico di fronte alla prospettiva che le prossime elezioni possano partorire un governo Meloni, e che tale governo possa adottare misure che disturbino i piani di Bruxelles e di Wall Street. A quel punto, Draghi viene accantonato nella corsa del Quirinale, e si opta per Mattarella, che ha l’esperienza politica e la preparazione giuridica necessarie per mettere i bastoni tra le ruote al governo. Si ricordi come fu bravo a impedire la nomina di Savona a Ministro.

Sennonché, una rielezione del Presidente della Repubblica é sia pur implicitamente esclusa dalla Costituzione. Occorre allora forzare la mano, disegnando l’immagine di un Presidente talmente amato dal popolo che sarebbe un peccato non rieleggere, talmente capace che da solo puó garantire la sopravvivenza del governo in carica, talmente prezioso da indurre tutti quanti a rieleggerlo con rulli di tamburo e squilli di tromba.

Ecco allora – é sempre la mia ricostruzione fantastica – iniziare la pretattica. Mentre il Presidente ripete in pubblico fino alla nausea che la Costituzione esclude ogni ipotesi di reincarico, si moltiplicano le occasioni ufficiali in cui il soggetto é esposto a favore di telecamera un giorno si e l’altro pure, magari con applausi scroscianti per piú e piú minuti (come se fossero stati provocati da qualche clac dislocata strategicamente), si fanno trapelare sulla stampa notizie di case affittate per un onorevole pensionamento, si fanno pubblicare le fotografie di un anticipo di trasloco, con un materasso in bella vista e con gli scatoloni giá pronti, che un solerte collaboratore mostra sui social con scarsa considerazione per la privacy del suo principale.

Poi inizia la liturgia dei vertici fra partiti e delle prime fumate nere in aula. Il centrodestra dá sfogo a tutta la sua fantasia per proporre nomi ineccepibili da sottoporre all’altra coalizione, e il centrosinistra li boccia uno ad uno, con motivazioni non proprio brillanti.

E quando, alla fine, il PD non riesce piú a trovare argomenti per bloccare una proposta by partisan e ci si avvia verso una soluzione che salverebbe capra e cavoli, ecco allora che il Presidente del Consiglio si precipita da Mattarella e lo scongiura di accattare una rielezione che ormai, anche con la migliore buona volontá, non puó essere considerata indispensabile.

E il buon Sergio, compunto, dimentica di colpo tutte le dotte argomentazioni di segno contrario, e si offre impavido al supremo sacrificio della rielezione. Intanto, per fugare le ultime resistenze di Lega e Forza Italia (che fino a 10 minuti prima avevano sparato a zero contro l’ipotesi di un Mattarella bis), ecco che il cavalier Berlusconi prende il telefono e detta i nuovi ordini di scuderia: contrordine, compagni – avrebbe detto il buon Guareschi – si vota Mattarella.

Ciliegina sulla torta: mentre fino ad ieri si ipotizzava soltanto una eventuale rielezione a tempo di Mattarella (che avrebbe dovuto dimettersi dopo un anno per consentire al nuovo parlamento di eleggere un Presidente della Repubblica con piena legittimazione), adesso di questa cosa non se ne parla proprio piú, dando per scontato che si tratti di una rielezione piena, tale da produrre i suoi effetti per l’intero settennato. Tale – cioé – da andare ad incidere sul governo che scaturirá dalle elezioni del 2023.

Fine della ricostruzione. Una ricostruzione fantasiosa, da giallofilo impenitente quale io sono, sulle orme di Poirot e di Nero Wolfe. E senza neanche scomodare personaggi meno letterari, come il Divo Giulio, il quale – si ricorderá – amava ripetere che a pensar male si fa peccato, ma…

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