“L’Occidente e la storia universale: per una critica dell’universalismo astratto”, VINCENZO COSTA

Ottima riflessione di Vincenzo Costa.
Mi permetto, comunque, di fare due brevi osservazioni.
1) Forse oggi sarebbe meglio parlare di “occidentalizzazione” piuttosto che di europeizzazione, anche sotto l’aspetto geopolitico.
2) Il mito (quello “genuino” intendo, non quello “tecnicizzato” criticato pure da Thomas Mann e da Károly Kerényi) era anche “altro”, ossia originaria apertura al mondo, e in questo senso “esperienza” ancora significativa per “noi” – che pure siamo consapevoli della “differenza tra il nostro mondo e la verità” – e che quindi non necessariamente si deve considerare “incompatibile” con il logos._FF
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L’Occidente e la storia universale: per una critica dell’universalismo astratto”, VINCENZO COSTA
“Il liberalismo non è un possibile terreno d’incontro per tutte le culture, è l’espressione politica di un certo insieme di culture e appare del tutto incompatibile con altri insieme”. Così scriveva Charles Taylor, offrendo una lezione già dimenticata, e sulla quale vale la pena riflettere per capire che cosa sta accadendo.
1. Valori e potere: l’ipocrisia e la complicità
La conquista e lo sterminio degli indigeni americani dopo la scoperta dell’America fu giustificata dagli spagnoli sulla base dei valori, dei valori veri, come un atto di umanità, per eliminare quelle culture disumane, quei costumi aberranti. Un compito di civilizzazione.
Lo sterminio dei pellerossa in America del Nord fu giustificato con gli stessi motivi: selvaggi, tagliagole, incapaci di rispetto per le donne e per i bambini.
L’imperialismo e il colonialismo furono giustificati sempre sulla base dei valori, di una presunta missione civilizzatrice, per portare aiuto e conforto ai deboli e agli oppressi.
Poi, venne una critica demistrificatrice del colonialismo, che mostrò come dietro ai valori si nascondessero interessi feroci, ci fosse una lotta tra potenze imperialiste, una lotta geopolitica. Di questa consapevolezza non rimane oggi traccia nella cultura progressista: tutto cancellato con un colpo di spugna. Il colpo di spugna è sempre il solito: i valori universali, che ovviamente sono così poco universali che variano: i valori universali e assoluti che giustificavano lo sterminio degli indios non sono quelli che giustificarono il colonialismo e quelli che giustificano la propaganda di guerra oggi verso l’Afghanistan e, in realtà, verso la Cina e verso altri 5 miliardi di persone che non sono del tutto disposti a considerare universali i valori dell’Occidente.
Del resto, i valori vengono tirati fuori sempre e solo quando conviene: contro l’Afganistan, contro la Cina, contro la Russia. In Arabia saudita, invece, vi è un nuovo Rinascimento. I valori mostrano il dente d’oro, sono al traino dei dollari. Diventano non negoziabili a seconda del mercato e degli interessi. I valori sono un business per essere arruolati nella grande compagnia liberal-progressista, che promette ricompense a tutti i suoi propagatori.
2. Contro i talebani o contro il popolo afghano?
In questa nuova campagna da propaganda di guerra, che prelude a una campagna globale che finirà per coinvolgere Cina e Russia e ci porterà a romperci i denti, si sta enfatizzando una cosa: bisogna stare dalla parte del popolo afghano. E questo mi piace, mi piace molto, fa parte della mia cultura, che non è universale e non pretendo lo sia ma è la mia cultura: stare dalla parte dei popoli.
Ma che cosa voglia il popolo afghano è proprio ciò che non è chiaro, e molti analisti, quelli seri (non la Botteri o Saviano) indicano che i talebani godono del sostegno di una parte enorme del popolo afghano. Io non lo so, non so come effettivamente stiano le cose, ma almeno qualche domanda sarebbe necessario porsela:
a) La maggioranza del popolo afgano si sente oppressa da talebani o dagli occidentali?
b) Avverte come forza di occupazione i talebani o gli occidentali?
c) Considera la democrazia occidentale una forza di organizzazione del consenso o hanno altri modi di organizzare il consenso?
d) Avverte i valori occidentali come emancipazione o come oppressivi ed estranei?
e) Le donne afgane, o la maggiorana di esse, quelle che vivono fuori dalle grandi città, desiderano i diritti occidentali? Qualcuno ha chiesto loro che cosa desiderano, che cosa ritengono essere una vita dignitosa e desiderabile per loro?
f) Non è che, dando voce ad alcune donne, la si sta togliendo a tante, troppe altre donne? Certo, vi sono molte donne, moltissime, che avvertono quella dei talebani come oppressione e mutilazione dei loro diritti. Ma allora il conflitto non diviene tra queste donne e le altre donne? E perché queste ultime non hanno voce nei nostri giornali?
g) A queste donne, se vi fossero, si tratta di imporre i valori occidentali? Di “rieducarle”? La Botteri è il modello universale di donna?
Ma soprattutto: un regime potrebbe reggersi se avesse l’ostilità della stragrande maggioranza della popolazione?
3. L’Occidente è la Ragione che si dispiega nel mondo?
Vi fu un tempo in cui l’Occidente interpretò se stesso come una punta avanzata, un capo, un modello per l’umanità tutta. Interpretò se stesso come l’incarnazione della Ragione universale. Pretesa esorbitante: questa aveva scelto un luogo particolare in cui manifestarsi: l’Occidente. La Ragione Assoluta, con un rombo assordante, avrebbe scelto un particolare angolo della terra per prendere dimora. Di qui la sua legittima funzione guida, la sua responsabilità per “redimere” gli altri popoli dai loro errori, dalle loro superstizioni. I popoli non occidentali diventano di volta in volta omuncoli, selvaggi, degenerati, in ogni caso posti a un livello intermedio tra l’animale e l’uomo, che ovviamente era l’uomo razionale dell’Occidente.
Questo modello (massicciamente presente in Hegel, nel positivismo, nella teoria dei valori, nel neokantismo) fu nel corso del Novecento demolito dal punto di vista teorico. Levì-Strauss, tra molti altri, mostrò che non vi è LA storia, ma le storie, non vi è una direzione unitaria, un telos a cui tutte le culture devono mettere capo, ma un insieme di storie, ognuna con un proprio dinamismo, con un proprio schema evolutivo. Le altre culture non sono culture attardate, non sono “il medioevo” (come si è tornato a dire, con un poco di ignoranza massiccia), non sono un arresto dello sviluppo: sono un diverso processo di sviluppo, con un dinamismo proprio, che si tratta di comprendere se si vuole dialogare con essi.
E per farlo bisogna abbandonare l’idea che tutte le altre culture debbano solo assumere i nostri valori, abbandonare i loro e divenire europei.
Quello che adesso sta accadendo è il riproporsi, ingenuo e senza consistenza teorica, del vecchio modello teleologico: noi abbiamo i valori veri, universali, e generosamente li offriamo agli altri (e qualcuno sostiene ancora anche con i bombardamenti), i quali devono accoglierli con gratitudine. Questi valori sono i valori liberali, tutti devono diventare liberali, e chi non ama i valori liberali è arretrato, lontano dallo scopo ultimo.
E’ il ritorno di un armamentario teorico che molti di noi credevano oramai archiviato, e già altri pensieri si affacciavano, la necessità di guardare, per dirla con Patocka, la post-Europa. Invece no, bisogna fare i conti con quella gigantesca regressione culturale che è la cultura liberal-progressista, con la riproposizione della sua mitologia, della sua incomprensione per la storia. La nuova mitologia è quella dei valori universali: ogni cultura ha i suoi miti, i suoi altari, e la nostra epoca ha questa mitologia, i suoi altari e i suoi sacerdoti.
Ma è una mitologia che non ci mette in condizione di comprendere ciò che sta avvenendo. Una mera coltre ideologica che oscura il dinamismo del reale e produce azioni folli, inutili, destinate a produrre solo inutile sangue e morti.
4. Vi è un nucleo filosofico, che oggi torna potentemente alla ribalta: i valori occidentali sono i valori universali. È legittima questa pretesa? Da dove può trarre la propria legittimità?
Di fatto, i valori universali dell’Occidente sono non solo relativamente ma estremamente recenti. Sino a qualche anno fa non erano valori neanche in Occidente. Valori universali sono dunque quelli che ORA, proprio in questi anni, per noi da noi, si sono affermati come valori. Che, vorrei precisarlo, sono anche i miei valori, valori che difendo, in cui mi riconosco. Ma dovrei essere abbandonato da tutti gli dei per pensare che sono universali. Non lo sono per un fatto semplice: che non lo sono per circa 5 miliardi di persone.
5. Dobbiamo puntare su una europeizzazione del mondo?
L’unica via per salvare l’Universalità dei valori occidentali, dato che sono così recenti, è presuppore una teleologia della storia. E di fatto è questa impostazione che, in maniera oscuramente operante, sta alla base del modo di interpretare i fatti contemporanei e anche delle azioni che si sono concluse in manera così disastrosa: questi valori sono così belli che non possono che essere accolti con calore dagli altri popoli, possono essere esportati, basta distruggere i tagliagole e gli oscurantisti.
Un’idea che stava già alla base del tentativo di occidentalizzazione in Iran, che sappiamo come si concluse, e ora in Afganistan, e vedremo presto in Libia, Iraq etc.
Una pretesa enorme: L’OCCIDENTE PENSA LA STORIA UNIVERSALE COME UNA SORTA DI EUROPEIZZAZIONE DI TUTTA L’UMANITÀ. Gli altri popoli tendono ad europeizzarsi, mentre noi, se siamo consci di noi stessi, non desideriamo divenire indiani. Storia universale significa che gli altri popoli assumono la cultura e i valori occidentali, entrano nella storia universale. Un punto caratterizzava questa idea: l’Occidente è il depositario dei valori universali. L’Occidente, questa cultura particolare, è l’universalità.
Questo modello non può che produrre una serie generalizzata di conflitti, armati, violenti: non è un pensiero all’altezza della realtà storica.
Questo pensiero è il pensiero talebano dell’occidente. Esso ci porterà a entrare in conflitto con la Cina (sempre per i diritti universali) con la Russia, con L’india.
6. La storia universale inizia oggi
Quello che sta accadendo, con il declino economico e militare dell’Occidente, è una progressiva marginalizzazione dell’Occidente, che cessa di essere la punta avanzata per divenire una cultura tra le altre. Ciò che finisce è l’idea che la storia universale consista nell’europeizzazione dell’intera umanità, che il progresso sia lo sterminio delle differenze e delle culture non occidentali: queste resistono. A volte lo fanno in maniera pacifica, con sacrificio, come in nuova Zelanda, Australia, a volte cercando la propria strada, come in Cina, a volte reagendo in maniera violenta come nel mondo islamico. Ma il messaggio è chiaro:
I popoli entrano nella storia universale con la loro identità, senza accettare la cancellazione della loro differenza.
La storia universale che sta iniziando solo ora è un gioco di contaminazione, di rapporti tra differenze, non la riconduzione delle differenze all’unità e al modello occidentale.
Per iniziare a pensare tutto ciò bisogna sbarazzarsi di quel crampo intellettuale che è l’idea di universalità dei valori, quell follia che ci porta a considerare i nostri valori come se fossero i valori universali che tutti devono assumere. Ogni cultura e ogni epoca storica considera i propri particolari valori come se fossero quelli universali, perché entro un certo orizzonte storico certi valori appaiono ovvi, evidenti.
Ma l’evidenza acceca, nasconde i processi del divenire evidente: qualcosa diviene evidente rimuovendo i processi che lo fanno divenire evidenti. I talebani sono vittime di questo accecamento, come lo sono da noi i liberali.
L’idea dei valori universali è una ricaduta nel mito, perché il mito è l’incapacità di prendere distanza dal proprio punto di vista, di cogliere la differenza tra la nostra rappresentazione del mondo e la verità.
L’Occidente da riscoprire è – per dirla con Husserl – l’Occidente come coscienza della differenza tra il proprio mondo e la verità, la coscienza che la verità si sottrae, e che proprio perché si sottrae c’è storia. Dove questa coscienza della differenza si perde c’è solo la ricaduta nel mito: l’idea di Europa si perde. VINCENZO COSTA