IL COMPITO PRINCIPALE, di Teodoro Klitsche de la Grange

Nota

Qualche mese dopo l’insediamento del governo Berlusconi, la rivista
“Palomar” pubblicava un numero tematico su “La destra oggi”, con le
risposte di molti collaboratori, abituali e non.

Si ripropone il contributo, tenuto conto della persistenza delle simili
“sfide” al governo Meloni

IL COMPITO PRINCIPALE

  1. Tra le molte cose che il centrodestra deve realizzare la principale – e ovviamente più difficile – è ricostruire lo Stato, intendendo per tale non solo gli apparati pubblici, ridotti per lo più, ad un insieme di burocrazie quasi sempre inefficienti e spesso rissose, ma l’ “idea” (e il concetto) di quello, che va smarrendosi anche e soprattutto per l’identificazione che, nella coscienza collettiva, se ne fa con il rovinoso spettacolo offerto dalle amministrazioni pubbliche. Dato il quale, il problema che si pone è, nello specifico, individuare quale ne sia – tra i molti – l’aspetto più importante, anche al limitato fine di non fare di questo intervento un trattato, di volume proporzionale all’entità dei disastri ereditati. Questo è, senza dubbio, la separazione che il tramonto della Repubblica ha in parte subito, ma in altra, prevalente, incentivato, tra governati e governanti e di cui fanno fede la crescente disaffezione elettorale e i referendum disertati, per citare solo gli indicatori più verificabili, e forse più importanti. Ed è evidente che tale disaffezione è stata coltivata alacremente, non solo per interesse, ma anche per mentalità, dalla sinistra. Ciò per più ragioni: il leninismo, è stato, nel XX secolo, la più compiuta e coerente espressione di una mentalità oligarchica, con un partito d’illuminati destinato a guidare le masse, inconsapevoli o poco consapevoli, alla costruzione della società senza classi; peraltro a una certa tecnocrazia di sinistra è naturale credere che la soluzione dei problemi politici, sociali ed economici sia attingibile con strumenti tecnici (mentre talvolta, spesso, è così, e talaltra no: in genere più sono realmente decisivi, meno si prestano a soluzioni “tecniche”); altro errore ricorrente è ragionare in termini di potere e poteri, facendo di tutto o questioni di amministrazione (più in basso), o di governo (più in alto), quando l’importanza di questi è relativa rispetto alle categorie “essenziali” della politica, come l’autorità, la legittimità, l’integrazione: ossia quelle che fondano un potere legittimo, consentito, e proprio per questo, più facilmente obbedito. Quest’ultimo errore è stato mutuato da un liberalismo decadente, e spesso inconsapevole dei propri presupposti: in effetti ragionare di poteri, prescindendo da ciò che li fonda, equivale a vagheggiare un potere autoreferenziale, che si sostiene da sé, senza l’ausilio di principi di legittimità, teocratico o democratico che siano; e così, non sollevato dall’alto, né sostenuto dal basso, si regge come il barone di Münchausen che si afferrava il codino per non sprofondare nella palude. Ma è certo che, se quel sistema è idoneo nelle favole, nel mondo reale il tonfo è assicurato. Ed è già avvenuto il 13 maggio: l’immensa concentrazione di potere che negli anni ’96-’98 ha denotato il regime dell’Ulivo è stata prima erosa a livello locale, poi ribaltata a livello nazionale. A conferma che un potere non sostenuto dal consenso “profondo”, è “una tigre di carta” di maoista memoria: rotocalchi, RAI, quotidiani, Parlamento, Procure, enti locali e sindacati, par condicio e soprattutto la federazione di burocrazie che si riconoscono nell’Ulivo non è riuscita ad evitare il rigetto dello stesso da parte della comunità nazionale.

Il primo servizio che il centrodestra può rendere alla nazione (ed a se medesimo, avendo un consenso molto superiore alla parte avversa), è di rimettere le cose a posto, garantendo che, d’ora in poi, chi governa abbia autorità e legittimità; che la legalità non sia uno slogan e un’arma selettivamente puntata contro gli oppositori, ma concretamente, e generalmente, applicata; che i funzionari dello Stato siano dei civil servants, e non un misto tra efori spartani  e monarcomachi (ugonotti o gesuiti). Ricostruire il tessuto di uno Stato-comunità, in cui alla separazione tra governanti e governati, si sostituisca la distinzione tra chi comanda e chi obbedisce; ricondurre così ad unità (e riconciliare) i termini essenziali dell’unità politica, che come scriveva Proudhon, non possono “mai né essere assorbiti l’uno dall’altro, né escludersi”[1], è il compito principale.

  1. Agli albori del costituzionalismo moderno, dello Stato liberal-democratico borghese, era sottolineato il carattere di stabilità della legge, ed ancor di più della Costituzione; ciò rispondeva non solo all’esigenza di un diritto stabile, di applicazione prevedibile e “misurabile”, ma anche all’aspirazione ad un assetto istituzionale “ideale” e perfetto, razionale nello scopo di offrire un mezzo di soluzione ad ogni contingenza storica e ad ogni conflitto. Tale elemento, necessario, tendeva a porre in ombra l’altro aspetto – e funzione – della costituzione: di essere il “principio dinamico dell’unità politica” ovvero di dover coniugare stabilità e divenire, movimento e durata, consenso e potere, esistenza ed azione politica. Questo secondo profilo è stato evidenziato e posto in luce da pensatori politici, giuristi e filosofi, in particolare dallo scorcio del XIX secolo in poi. Renan, Hauriou, Schmitt, Smend, Gentile vi hanno contribuito: dalla definizione di Renan della Nazione come “un plebiscito di tutti i giorni”, alla concezione dell’istituzione di Hauriou[2]; dalla costituzione quale “principio del divenire dinamico dell’unità politica” di Schmitt [3], al giudizio di Gentile: “lo Stato – malgrado il suo nome – non è nulla di statico. E’ un processo. La sua volontà è una sintesi risolutrice di ogni immediatezza” [4]; fino alla tesi di Smend [5]. Ed è a Smend che dobbiamo la più approfondita e concreta teoria dell’integrazione come momento centrale dell’unità politica e della coesione comunitaria. Scriveva Smend che: “Se la realtà della vita dello Stato si presenta come la produzione continua della sua realtà in quanto unione sovrana di volontà, la sua realtà consisterà nel suo sistema di integrazione. E questo, cioè la realtà dello Stato in generale, è compreso correttamente solo se concepito come l’effetto unitario di tutti i fattori di integrazione che, conformemente alla legislatività dello spirito rispetto al valore, si congiungono sempre di nuovo e automaticamente in un effetto d’insieme unitario” [6], e in un altro passo sostiene che: “La comunità, il gruppo, lo Stato non devono essere intesi come un Io collettivo riposante su se stesso, ma come la struttura unitaria della vita individuale, come dialettica che realizza e trasforma dinamicamente l’essenza del singolo e dell’intero” [7], e quindi “Esso, cioè, non è un intero immobile emanante singole espressioni di vita, leggi, atti diplomatici, sentenze, atti amministrativi, ma piuttosto esiste come tale solo in queste singole espressioni di vita, in quanto attivazioni di una connessione spirituale complessiva, e nelle ancora più importanti innovazioni e trasformazioni che hanno come oggetto esclusivo questa stessa connessione. Lo Stato vive ed esiste solo in questo processo di rinnovamento costante, di rigenerazione continua del vissuto” [8]
  2. Nel tramonto della “prima Repubblica”, e soprattutto nella sua fase terminale, cioè il regime dell’Ulivo, è stato fatto proprio l’inverso: si è prodotto e ricercato non “l’unione spirituale di volontà” ma la distribuzione del potere tra le oligarchie organizzate.

Basta dare i poteri necessari alle persone morali e competenti ri-sintetizzano gli idola del centro-sinistra, e le cose andranno a posto. Ma tale ragionamento non sta in piedi: non solo perché – e ciò è la ragione minore – il problema diviene in tal caso quali sono i poteri necessari e chi sceglie le persone morali e competenti. E con ciò ci si avvicina al nodo essenziale: ovvero del chi decide su necessità, moralità e competenza. Se è il “popolo”, il “potere maggioritario” di Hauriou, consenso ed integrazione si accrescono: se invece è un qualche sinedrio partitocratico-istituzionale, la cui maggiore sollecitudine è di escludere e rovesciare le scelte popolari, con i vari mezzi noti, dai ribaltoni in giù, l’uno e l’altro si riducono. Ma, più ancora, un tale ragionamento è concettualmente errato: a costituite una comunità, un’unità politica, necessari sono il governo e i governati, e il rapporto che s’instaura tra l’uno e gli altri. Lo Stato, questo ente dalle tante definizioni, prima di essere Stato-apparato, è Stato-comunità, e prima ancora un’idea, che vive nel (e del) rapporto tra i cittadini e tra questi e i governanti. Il problema dei poteri è importante, ma secondario rispetto a quelli: se assetto e distribuzione di questi fossero decisivi, sarebbero sufficienti a garantire l’unità ed effettività del comando. La storia mostra che non è così: sono legittimità ed autorità a garantire che l’assetto dei poteri vigente sarà accettato dai “sudditi”, e non l’inverso, che sia un “buon” assetto di poteri  ad assicurare e sostenere un’autorità legittima.

Per il consenso popolare, così sottovalutato, si è pensato invece che bastassero articolesse, interviste al Tg, o nei casi più importanti, i dibattiti nei vari Sciuscià e simili. I governati, in tale visione, avevano la funzione dello spettatore distaccato, dell’osservatore che plaude o dissente, ma, per carità, senza agire; l’essenziale non era la partecipazione ma che non disturbassero i manovratori (e la manovra). Una rappresentazione del popolo molto politically correct. Un esempio chiaro e sintetico ce l’ha dato l’on. Rutelli, in occasione del referendum del 7 ottobre 2001 (sulla riforma federale della Costituzione, fatta dall’Ulivo sul piede di partenza del governo) disertato da circa due terzi del corpo elettorale a conferma della solenne indifferenza verso le “realizzazioni” del centro-sinistra. Diceva, tutto contento, il (soi-disant? ) capo dell’opposizione “Ottimo il risultato del referendum, una prova di maturità e serietà” (Libero 9 ottobre 2001)” (il corsivo è nostro).

In altre parole il coinvolgimento dei governati è un plus, un “optional”, irrilevante; l’essenziale è osservare le forme di procedimenti legalmente validi: con ciò si pensa all’impossibile, quanto perseguita surrogazione della legalità alla legittimità. Che il problema reale  – e decisivo –   non sia quello dell’osservanza delle forme, ma del far osservare i comandi, e che questo è tanto più facile quanto più i destinatari dei medesimi lo fanno spontaneamente e generalmente; che, come scriveva Hauriou vi sia una “sovranità di sudditanza” che si esercita non solo all’intervenire ogni tanto con rivoluzioni, sommosse e così via, ma, assai più frequentemente, col non obbedire, è cosa che non rientra nella Weltanschauung – per così dire – ulivista.

La quale, di converso, dev’essere la (prima) preoccupazione del centro destra. Non che ne manchino delle altre, d’indubbia importanza: ma questa è decisiva, ed osservarla costituisce, in se, un fatto positivo e determinante, perché realmente costitutivo dell’unità politica . Certo, avere un governo stabile e in condizione di governare; un’amministrazione efficiente, fornitrice di servizi e non consumatrice di risorse; una giustizia che non sia come la rana di Galvani, generalmente nell’immobilità della morte ma, ogni tanto agitantesi per la “scossa” del “caso sociale” (o del nemico politico), è determinante per il futuro dell’Italia: ma ricostituire l’integrazione della comunità lo è di più. Senza la quale i due “estremi” necessari e indefettibili dell’unità politica, stanno o in opposizione espressa  – con pericolo grave e pressante per la comunità – o in una evidente indifferenza, foriera di decadenza, spesso lunga, ma ancor più, priva di sbocchi.

In mezzo, tra governanti e governati, si trova l’ampia gamma dei poteri “forti”, comprese le “cupole” delle varie corporazioni, la cui reazione – aperta ed espressa, o più spesso occulta e indiretta – è, ed ancor più sarà, dura, proporzionale al ridimensionamento (se non alla “detronizzazione”) di questi che una maggiore integrazione tra governanti e governati comporta. Ma è un rischio che bisogna correre. Non foss’altro perché una delle lezioni più evidenti dell’ultimo quinquennio è che, ormai, non vale più la regola dell’on. Andreotti che “il potere logora chi non ce l’ha”: all’Ulivo l’overdose di potere – pari, se non superiore a quella della DC (e alleati) negli anni cinquanta nel ’96- 2001 non ha portato (o mantenuto) un voto in più. Voto che forse avrebbero potuto ottenere, ove avessero governato meglio, il che avrebbe significato scontentare (almeno) alcune corporazioni forti: avendo preferito il consenso delle quali, non hanno guadagnato quello del corpo elettorale. E questo dev’essere di conforto – e monito – al centro destra, ad onorare il patto col popolo, anche a scapito della tregua con le corporazioni.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] P.J. Proudhon Contradictions politiques. Théorie du mouvement constitutionnel au XX siècle. Paris 1952, p. 215.

[2] V. M. Hauriou Précis de droit constitutionnel, laddove scrive “dell’organizzazione formale dell’ordine sociale concepito come un sistema animato d’un movimento lento ed uniforme”, op. cit., p. 71 ss.

[3] Verfassungslehre, trad. it., p. 18, Milano 1983, cui si rimanda

[4] Genesi e Struttura della società, ed. Firenze 1987, p. 103

[5] “Elezioni, dibattiti parlamentari, formazioni di gabinetto, referendum popolari: sono tutte funzioni integrative. In altre parole, non trovano la loro giustificazione, come insegna – per la sua origine giuridica – la teoria dominante degli organi e delle funzioni dello Stato, soltanto nel fatto che i rappresentanti dello Stato e del popolo in quanto intero vengono insediati” ma piuttosto “esse integrano, cioè creano di volta in volta, per parte loro, l’individualità politica del popolo nel suo insieme e perciò producono il presupposto del suo attivarsi in modo comprensibile sotto l’aspetto giuridico e materialmente positivo o negativo sotto quello materiale”; e prosegue “il diritto elettorale deve condurre in primo luogo alla formazione di partiti e quindi alla produzione di maggioranze, e non semplicemente di singoli deputati. Nello Stato parlamentare il popolo non è già in sé politicamente presente e viene poi ulteriormente qualificato, di elezione in elezione, in una particolare direzione politica: e da una formazione di gabinetto all’altra, esso ha invece una sua esistenza come popolo politico, come unione sovrana di volontà, principalmente in virtù di una sintesi politica specifica in cui soltanto giunge sempre di nuovo ad esistere in generale come realtà statale”, v. Rudolf Smend, Verfassung und Verfassungsrecht, trad. it., Milano 1988, p. 93-95.

[6] Op. cit. p. 111

[7] Op. cit. p. 272

[8] Op. cit. p. 272

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Guerra russo-ucraina: La pompa di sangue mondiale, di Big Serge

Guerra russo-ucraina: La pompa di sangue mondiale

A poco a poco, e poi improvvisamente

Ferro, Cenere e Sangue

Dalla decisione a sorpresa della Russia di ritirarsi volontariamente dalla sponda occidentale di Kherson nella prima settimana di novembre, ci sono stati pochi cambiamenti drammatici nelle linee del fronte in Ucraina. In parte, ciò riflette il prevedibile clima del tardo autunno nell’Europa orientale, che lascia i campi di battaglia impregnati d’acqua e intasati di fango e inibisce notevolmente la mobilità. Per centinaia di anni, novembre è stato un brutto mese per tentare di spostare gli eserciti su qualsiasi distanza significativa, e come un orologio abbiamo iniziato a vedere video di veicoli bloccati nel fango in Ucraina.

Il ritorno della guerra posizionale statica, tuttavia, riflette anche l’effetto sinergico dell’aumento dell’esaurimento ucraino insieme all’impegno russo a logorare e privare pazientemente la restante capacità di combattimento dell’Ucraina. Hanno trovato un luogo ideale per raggiungere questo obiettivo nel Donbas.

Nel romanzo di Ernest Hemingway, The Sun Also Rises , a un personaggio un tempo ricco, ora sfortunato, viene chiesto come sia andato in bancarotta. “Due modi”, risponde, “gradualmente e poi all’improvviso”. Un giorno potremmo chiedere come l’Ucraina ha perso la guerra e ricevere più o meno la stessa risposta.

Verdun Redux

È lecito affermare che i media del regime occidentale hanno fissato uno standard molto basso per i reportage sulla guerra in Ucraina, data la misura in cui la narrativa mainstream è disconnessa dalla realtà. Nonostante questi standard bassi, il modo in cui la battaglia in corso a Bakhmut viene presentata alla popolazione è davvero ridicolo. L’asse Bakhmut viene presentato al pubblico occidentale come una perfetta sintesi di tutti i tropi del fallimento russo: in poche parole, la Russia sta subendo perdite orribili mentre lotta per catturare una piccola città con un’importanza operativa trascurabile. I funzionari britannici, in particolare, sono stati molto espliciti nelle ultime settimane insistendo sul fatto che Bakhmut ha poco o nessun valore operativo .

La verità è letteralmente l’opposto di questa storia: Bakhmut è una posizione chiave di volta operativamente critica nella difesa ucraina, e la Russia l’ha trasformata in una fossa mortale che costringe gli ucraini a sacrificare un numero esorbitante di uomini per mantenere la posizione fino a quando possibile. In effetti, l’insistenza sul fatto che Bakhmut non sia operativamente significativo è leggermente offensivo per il pubblico, sia perché una rapida occhiata a una mappa lo mostra chiaramente nel cuore della rete stradale regionale, sia perché l’Ucraina ha gettato un numero enorme di unità nel lì davanti.

Facciamo un passo indietro e consideriamo Bakhmut nel contesto della posizione complessiva dell’Ucraina a est. L’Ucraina ha iniziato la guerra con quattro linee difensive operabili nel Donbass, costruite negli ultimi 8 anni sia come parte integrante della guerra in ebollizione con LNR e DNR, ma anche in preparazione di una potenziale guerra con la Russia. Queste linee sono strutturate attorno ad agglomerati urbani con collegamenti stradali e ferroviari tra loro e possono essere approssimativamente enumerate come segue:

Linee difensive dell’Ucraina a est (mappa da me)

Il Donbas è un luogo particolarmente adatto per costruire formidabili difese. È altamente urbanizzata e industriale (Donetsk era l’oblast più urbano dell’Ucraina prima del 2014, con oltre il 90% della popolazione che viveva nelle aree urbane), con città e paesi dominati dai tipici robusti edifici sovietici, insieme a prolifici complessi industriali. L’Ucraina ha trascorso gran parte dell’ultimo decennio a migliorare queste posizioni e gli insediamenti in prima linea sono pieni di trincee e postazioni di fuoco chiaramente visibili nelle immagini satellitari. Un recente video dall’asse Avdiivka dimostra l’estensione delle fortificazioni ucraine.

Quindi, rivediamo lo stato di queste cinture difensive. La prima cintura, che correva all’incirca da Severodonetsk e Lysychansk a Popasna, è stata spezzata in estate dalle forze russe. La Russia ha ottenuto un importante passo avanti a Popasna ed è stata in grado di iniziare il rollup completo di questa linea, con la caduta di Lysychansk all’inizio di luglio.

A questo punto, la linea del fronte si trova direttamente su quella che ho etichettato come la 2a e la 3a cintura difensiva ucraina, ed entrambe queste cinture ora sanguinano pesantemente.

La cattura di Soledar da parte delle forze di Wagner ha interrotto il collegamento tra Bakhmut e Siversk, mentre intorno a Donetsk, il sobborgo fortemente fortificato di Marinka è stato quasi completamente ripulito dalle truppe ucraine, e la famigerata posizione chiave di volta ucraina ad Avdiivka (il luogo da cui bombardano la popolazione civile della città di Donetsk) viene fiancheggiata da entrambe le direzioni.

La linea del fronte intorno ad Avdiivka (mappa per gentile concessione di MilitaryLand)

Queste posizioni sono assolutamente fondamentali per l’Ucraina. La perdita di Bakhmut significherà il crollo dell’ultima linea difensiva che ostacola Slavyansk e Kramatorsk, il che significa che la posizione orientale dell’Ucraina si contrarrà rapidamente fino alla sua quarta (e più debole) cintura difensiva.

L’agglomerato di Slavyansk è una posizione di gran lunga peggiore da difendere per l’Ucraina rispetto alle altre cinture, per diversi motivi. Innanzitutto, essendo la cintura più a ovest (e quindi la più lontana dalle linee di partenza di febbraio 2022), è la meno migliorata e meno fortificata delle cinture. In secondo luogo, molte delle “cose ​​buone” intorno a Slavyansk si trovano a est della città, comprese sia le alture dominanti che le principali autostrade.

Tutto questo per dire che l’Ucraina è stata molto ansiosa di mantenere la linea Bakhmut, poiché questa è una posizione di gran lunga preferibile da mantenere, e di conseguenza ha riversato unità nel settore. I livelli assurdi dell’impegno delle forze ucraine in quest’area sono stati ben notati, ma proprio come un rapido ripasso, fonti ucraine pubblicamente disponibili individuano almeno 34 brigate o unità equivalenti che sono state schierate nell’area di Bakhmut. Molti di questi sono stati schierati mesi fa e sono già distrutti, ma per l’intero arco della battaglia in corso questo rappresenta un impegno sorprendente.

Unità ucraine intorno a Bakhmut (mappa per gentile concessione di MilitaryLand)

Le forze russe, principalmente le unità Wagner PMC e LNR, stanno lentamente ma inesorabilmente facendo crollare questa roccaforte ucraina facendo un uso liberale dell’artiglieria. A novembre, l’ex consigliere di Zelensky Oleksiy Arestovych ha ammesso che l’artiglieria russa sull’asse Bakhmut godeva di un vantaggio di circa 9 a 1 sul tubo, il che sta trasformando Bakhmut in una fossa mortale.

La battaglia viene presentata in occidente come quella in cui i russi – solitamente stereotipati come soldati detenuti impiegati da Wagner – lanciano assalti frontali alle difese ucraine e subiscono perdite orribili nel tentativo di sopraffare la difesa con numeri puri. Il contrario è molto più vicino alla verità. La Russia si sta muovendo lentamente perché appiana le difese ucraine con l’artiglieria, poi si spinge avanti con cautela in queste difese polverizzate.

L’Ucraina, nel frattempo, continua a incanalare unità per riempire più o meno le trincee con nuovi difensori. Un pezzo del Wall Street Journal sulla battaglia, mentre cercava di presentare una storia di incompetenza russa, includeva accidentalmente un’ammissione di un comandante ucraino sul campo che diceva: “Finora, il tasso di cambio delle nostre vite per le loro favorisce i russi. Se continua così, potremmo esaurirci”.

I paragoni sono stati fatti liberamente (e non posso prendermene il merito) con una delle battaglie più infami della prima guerra mondiale: la sanguinosa catastrofe di Verdun. Sebbene non sia il caso di esagerare il valore predittivo della storia militare (nel senso che una conoscenza approfondita della prima guerra mondiale non consente di prevedere gli eventi in Ucraina), sono comunque un grande appassionato di storia come analogia, e lo schema tedesco di Verdun è un’utile analogia per ciò che sta accadendo a Bakhmut.

La battaglia di Verdun fu concepita dall’alto comando tedesco come un modo per paralizzare l’esercito francese attirandolo in un tritacarne preconfigurato. L’idea era di attaccare e conquistare un’altura difensiva cruciale, un terreno così importante che la Francia sarebbe stata costretta a contrattaccare e tentare di riconquistarla. I tedeschi speravano che la Francia impegnasse le proprie riserve strategiche in questo contrattacco in modo che potessero essere distrutte. Sebbene Verdun non sia riuscito a indebolire completamente la potenza di combattimento francese, è diventata una delle battaglie più sanguinose della storia del mondo. Una moneta tedesca che commemorava la battaglia raffigurava uno scheletro che pompava sangue dalla terra: una metafora visiva agghiacciante ma appropriata.

“The World Blood Pump” – commemora il tritacarne a Verdun

Qualcosa di simile si è effettivamente verificato a Bakhmut, nel senso che la Russia sta premendo su uno dei punti più sensibili della linea del fronte, attirando unità ucraine da uccidere. Pochi mesi fa, sulla scia del ritiro della Russia dalla Cisgiordania Kherson, gli ucraini hanno parlato con entusiasmo di continuare i loro sforzi offensivi con un attacco a sud in Zaparozhia per tagliare il ponte di terra verso la Crimea, insieme ai continui sforzi per sfondare nel nord di Lugansk. Invece, le forze di entrambi questi assi sono state reindirizzate a Bakhmut, al punto che questo asse sta prosciugando attivamente la forza di combattimento ucraina in altre aree. Fonti ucraine, precedentemente piene di ottimismo, ora concordano inequivocabilmente sul fatto che non ci saranno offensive ucraine nel prossimo futuro. Mentre parliamo,L’Ucraina continua a incanalare forze nell’asse Bakhmut .

Al momento, la posizione dell’Ucraina intorno a Bakhmut si è gravemente deteriorata, con le forze russe (in gran parte fanteria Wagner supportata dall’artiglieria dell’esercito russo) che stanno facendo progressi sostanziali su entrambi i fianchi della città. Sul fianco settentrionale, la cattura di Soledar ha spinto le linee russe a una distanza ravvicinata dalle autostrade nord-sud, mentre la cattura quasi simultanea di Klishchiivka sul fianco meridionale ha spinto le linee del fronte alle porte di Chasiv Yar (saldamente nella retroguardia operativa di Bakhmut ).

La linea di contatto attorno a Bakhmut, 20 gennaio 2023 (Mappa da me)

Gli ucraini non sono attualmente accerchiati, ma è facilmente distinguibile il continuo strisciare delle posizioni russe sempre più vicine alle rimanenti autostrade. Attualmente, le forze russe hanno posizioni entro due miglia da tutte le restanti autostrade. Ancora più importante, la Russia ora controlla le alture sia a nord che a sud di Bakhmut (la città stessa si trova in una depressione circondata da colline) dando alla Russia il controllo del fuoco su gran parte dello spazio di battaglia.

Attualmente sto anticipando che la Russia libererà la linea difensiva Bakhmut-Siversk entro la fine di marzo. Nel frattempo, la messa a nudo delle forze ucraine su altri assi aumenta la prospettiva di decisive offensive russe altrove.

Al momento, il fronte è costituito grosso modo da quattro assi principali (il plurale di asse, non l’attrezzo a lama), con consistenti agglomerati di truppe ucraine. Questi consistono, da sud a nord, degli assi Zaporozhia, Donetsk, Bakhmut e Svatove (vedi mappa sotto). Lo sforzo per rafforzare il settore Bakhmut ha notevolmente diluito la forza ucraina su questi altri settori. Sul fronte Zaporozhia, ad esempio, al momento ci sono potenzialmente solo cinque brigate ucraine in linea.

Al momento, la maggior parte della potenza di combattimento russa è disponibile, e sia le fonti occidentali che quelle ucraine sono (in ritardo) sempre più allarmate per la prospettiva di un’offensiva russa nelle prossime settimane. Attualmente, l’intera posizione ucraina a est è vulnerabile perché è, in effetti, un enorme saliente, vulnerabile agli attacchi da tre direzioni.

Due obiettivi di profondità operativa in particolare hanno il potenziale per distruggere la logistica e il sostegno ucraini. Questi sono, rispettivamente, Izyum nel nord e Pavlograd nel sud. Una spinta russa lungo la sponda occidentale del fiume Oskil verso Izyum minaccerebbe contemporaneamente di tagliare e distruggere il raggruppamento ucraino sull’asse Svatove (S sulla mappa) e recidere la vitale autostrada M03 da Kharkov. Raggiungere Pavlograd, d’altra parte, isolerebbe completamente le forze ucraine intorno a Donetsk e interromperebbe gran parte del transito dell’Ucraina attraverso il Dneiper.

Il piano Big Serge (mappa mia)

Sia Izyum che Pavlograd si trovano a circa 70 miglia dalle linee di partenza di una potenziale offensiva russa, e offrono quindi una combinazione molto allettante, essendo sia operativamente significative che relativamente gestibili. A partire da ieri, abbiamo iniziato a vedere progressi russi sull’asse Zaporozhia. Mentre questi consistono, al momento, principalmente in ricognizioni in forze che spingono nella “zona grigia” (quell’ambiguo fronte interstiziale), RUMoD ha rivendicato diversi insediamenti presi, che potrebbero presagire una vera spinta offensiva in questa direzione. Il indizio chiave sarebbe un assalto russo a Orikhiv, che è una grande città con una vera guarnigione ucraina. Un attacco russo qui indicherebbe che è in corso qualcosa di più di un attacco di indagine.

A volte è difficile analizzare la differenza tra ciò che prevediamo accadrà e ciò che vogliamo che accada. Questo, certamente, è ciò che sceglierei se fossi responsabile della pianificazione russa: un viaggio verso sud lungo la riva occidentale del fiume Oskil sull’asse Kupyansk-Izyum e un attacco simultaneo verso nord oltre Zaporozhia verso Pavlograd. In questo caso, credo che limitarsi a schermare Zaporozhia a breve termine sia preferibile piuttosto che impantanarsi in una battaglia urbana lì.

Non sappiamo se la Russia tenterà davvero di farlo. La sicurezza operativa russa è molto migliore di quella dell’Ucraina o delle sue forze per procura (Wagner e la milizia LNR/DNR), quindi sappiamo molto meno sugli schieramenti della Russia che su quelli dell’Ucraina. Indipendentemente da ciò, sappiamo che la Russia gode di una forte preponderanza della potenza di combattimento, lo sappiamo bene, e ci sono succosi obiettivi operativi a portata di mano.

Per favore, signore, ne voglio ancora

La vista a volo d’uccello di questo conflitto rivela un’affascinante meta-struttura della guerra. Nella sezione precedente, sostengo una visione del fronte strutturato attorno alla Russia che sfonda progressivamente le cinture difensive ucraine in sequenza. Penso che un simile tipo di struttura narrativa progressiva si applichi all’aspetto della generazione della forza di questa guerra, con la Russia che distrugge una sequenza di eserciti ucraini.

Permettetemi di essere un po’ più concreto. Sebbene l’esercito ucraino esista almeno in parte come un’istituzione continua, il suo potere di combattimento è stato distrutto e ricostruito più volte a questo punto attraverso l’assistenza occidentale. Molteplici fasi – cicli di vita, se vuoi – possono essere identificate:

  • Nei primi mesi della guerra, l’esercito ucraino esistente fu per lo più spazzato via. I russi hanno distrutto gran parte delle forniture indigene di armi pesanti dell’Ucraina e hanno distrutto molti quadri al centro dell’esercito professionale ucraino.
  • Sulla scia di questa prima frantumazione, la forza di combattimento ucraina è stata rafforzata trasferendo praticamente tutte le armi d’epoca sovietiche nelle scorte dei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Questo ha trasferito veicoli e munizioni sovietici, compatibili con le capacità ucraine esistenti, da paesi come la Polonia e la Repubblica Ceca, ed è stato per lo più completato entro la fine della primavera del 2022. All’inizio di giugno, ad esempio, fonti occidentali hanno ammesso che le scorte sovietiche erano state prosciugate .
  • Con l’esaurimento delle scorte del Patto di Varsavia, la NATO ha iniziato a sostituire le capacità ucraine distrutte con equivalenti occidentali in un processo iniziato durante l’estate. Di particolare rilievo erano gli obici come l’americano M777 e il francese Caesar.

La Russia ha essenzialmente combattuto molteplici iterazioni dell’esercito ucraino – distruggendo la forza prebellica nei primi mesi, poi combattendo unità che sono state rifornite dalle scorte del Patto di Varsavia, e ora sta degradando una forza che dipende in gran parte dai sistemi occidentali.

Ciò ha portato all’ormai famosa intervista del generale Zaluzhny con l’economista in cui ha chiesto molte centinaia di carri armati principali, veicoli da combattimento di fanteria e pezzi di artiglieria. In effetti, ha chiesto un altro esercito, dato che i russi sembrano continuare a distruggere quelli che ha.

Voglio sottolineare alcune aree particolari in cui le capacità dell’Ucraina sono chiaramente degradate oltre i livelli accettabili, e osservare come ciò si colleghi allo sforzo della NATO per sostenere lo sforzo bellico ucraino.

Primo, artiglieria.

La Russia ha dato la priorità all’azione di controbatteria ormai da molte settimane e sembra avere un grande successo nel cacciare e distruggere l’artiglieria ucraina.

Sembra che ciò coincida in parte con il dispiegamento di nuovi sistemi di rilevamento della controbatteria “penicillin” . Questo è un nuovo strumento piuttosto pulito nell’arsenale russo. La guerra di controbatteria consiste generalmente in un pericoloso tango di pistole e sistemi radar. Il radar di controbatteria ha il compito di rilevare e localizzare le armi del nemico, in modo che possano essere distrutte dai propri tubi – il gioco è più o meno analogo a squadre nemiche di cecchini (l’artiglieria) e osservatori (il radar) che tentano di darsi la caccia a vicenda – e di ovviamente, ha senso sparare anche ai sistemi radar dell’altra parte, per accecarli, per così dire.

Il sistema Penicillin offre nuove potenti capacità alla campagna di controbatteria della Russia perché rileva le batterie di artiglieria nemiche non con il radar, ma con la localizzazione acustica. Emette un boom di ascolto che, in coordinamento con alcuni componenti del terreno, è in grado di localizzare i cannoni nemici attraverso il rilevamento sismico e acustico. Il vantaggio di questo sistema è che, a differenza di un radar a controbatteria, che emette onde radio che rivelano la sua posizione, il sistema Penicillin è passivo: sta semplicemente fermo e ascolta, il che significa che non offre al nemico un modo semplice per localizzarlo. esso. Di conseguenza, nella guerra di controbatteria, l’Ucraina attualmente non dispone di un buon modo per accecare (o meglio, assordare) i russi. Inoltre, le capacità di controbatteria russe sono state potenziate grazie all’aumento dell’uso del drone Lancet contro le armi pesanti.

Il boom acustico della penicillina ascolta il suono delle pistole nemiche

Tutto questo per dire che ultimamente la Russia ha distrutto un bel po’ di artiglieria ucraina. il Ministero della Difesa russo ha sottolineato il successo della controbatteria. Ora, so che a questo punto stai pensando: “perché dovresti fidarti del Ministero della Difesa russo?” Abbastanza giusto: fidiamoci ma verifichiamo.

Il 20 gennaio, la NATO ha convocato una riunione presso la base aerea di Ramstein in Germania, sullo sfondo di un nuovo massiccio pacchetto di aiuti messo insieme per l’Ucraina. Questo pacchetto di aiuti contiene, guarda caso, un’enorme quantità di pezzi di artiglieria. Secondo i miei calcoli, gli aiuti annunciati questa settimana includono quasi 200 tubi di artiglieria. Diversi paesi, tra cui Danimarca ed Estonia, stanno inviando all’Ucraina letteralmente tutti i loro obici . Chiamami pazzo, ma dubito seriamente che diversi paesi deciderebbero spontaneamente, esattamente nello stesso momento, di inviare all’Ucraina il loro intero inventario di pezzi di artiglieria se l’Ucraina non dovesse affrontare livelli di crisi di perdite di artiglieria.

Inoltre, gli Stati Uniti hanno adottato misure nuove e senza precedenti per fornire proiettili all’Ucraina. Proprio la scorsa settimana, hanno attinto alle sue scorte in Israele e Corea del Sud , tra i rapporti secondo cui le scorte americane sono così esaurite che ci vorrà più di un decennio per ricostituirsi .

Rivediamo le prove qui e vediamo se possiamo trarre una conclusione ragionevole:

  1. I funzionari ucraini ammettono che la loro artiglieria è superata di 9 a 1 nei settori critici del fronte.
  2. La Russia schiera un sistema di controbatteria all’avanguardia e aumenta il numero di droni Lancet.
  3. Il Ministero della Difesa russo afferma di aver cacciato e distrutto in gran numero i sistemi di artiglieria ucraini.
  4. La NATO si è affrettata a mettere insieme un massiccio pacchetto di sistemi di artiglieria per l’Ucraina.
  5. Gli Stati Uniti stanno facendo irruzione nelle scorte critiche schierate in avanti per rifornire l’Ucraina di proiettili.

Personalmente ritengo ragionevole, alla luce di tutto ciò, presumere che il braccio di artiglieria dell’Ucraina sia stato in gran parte distrutto e che la NATO stia tentando di ricostruirlo ancora una volta.

Il mio regno per un carro armato

Il principale punto di discussione nelle ultime settimane è stato se la NATO fornirà o meno all’Ucraina i principali carri armati. Zaluzhny ha accennato a un parco di carri armati ucraini gravemente impoverito nella sua intervista con l’Economist, in cui ha chiesto centinaia di MBT. La NATO ha tentato di fornire una soluzione di ripiego fornendo all’Ucraina vari veicoli corazzati come il Bradley IFV e lo Stryker, che ripristinano una certa mobilità, ma dobbiamo dire inequivocabilmente che questi non sono in alcun modo sostituti degli MBT, e sono di gran lunga inferiori in entrambi protezione e potenza di fuoco. Il tentativo di utilizzare Bradley, ad esempio, nel ruolo di MBT non funzionerà.

Buongiorno

Finora, sembra che l’Ucraina riceverà una piccola manciata di carri armati Challenger dalla Gran Bretagna, ma si parla anche di donare Leopardi (di marca tedesca), Abrams (americani) e Leclercs (francesi). Come al solito, l’impatto sul campo di battaglia della ricezione dei carri armati da parte dell’Ucraina è stato ampiamente sopravvalutato (sia dagli scagnozzi ucraini che dai russi pessimisti) e minimizzato (dai trionfalisti russi). Suggerisco una via di mezzo.

Il numero di carri armati che può essere ragionevolmente fornito all’Ucraina è relativamente basso, semplicemente a causa dell’onere di addestramento e sostentamento. Tutti questi carri armati utilizzano munizioni diverse, parti speciali e richiedono un addestramento specializzato. Non sono il tipo di sistemi che possono essere semplicemente portati fuori dal lotto e direttamente in combattimento da un equipaggio non addestrato. La soluzione ideale per l’Ucraina sarebbe quella di ricevere solo Leopard A24, poiché questi potrebbero essere disponibili in quantità decenti (forse un paio di centinaia) e almeno sarebbero standardizzati.

Un leopardo turco bruciato in Siria

Dovremmo anche notare, ovviamente, che è improbabile che questi carri armati occidentali cambino le regole del gioco sul campo di battaglia. Il Leopard ha già mostrato i suoi limiti in Siria sotto operazione turca. Nota la seguente citazione da questo articolo del 2018:

“Dato che i carri armati sono ampiamente gestiti dai membri della NATO – tra cui Canada, Paesi Bassi, Danimarca, Grecia e Norvegia – è particolarmente imbarazzante vederli distrutti così facilmente dai terroristi siriani quando dovrebbero eguagliare l’esercito russo”.

In definitiva, il Leopard è un MBT abbastanza banale progettato negli anni ’70 surclassato dal russo T-90. Non è un terribile pezzo di equipaggiamento, ma non è certo un terrore da campo di battaglia. Subiranno perdite e saranno logorati proprio come lo era il parco carri armati dell’Ucraina prima della guerra. Tuttavia, ciò non cambia il fatto che un esercito ucraino con poche compagnie di leopardi sarà più potente di uno senza di loro.

Penso che sia giusto dire che le seguenti tre affermazioni sono tutte vere:

  1. Ricevere un miscuglio di carri armati occidentali creerà un difficile onere di addestramento, manutenzione e sostentamento per l’Ucraina.
  2. I carri armati occidentali come il Leopard hanno un valore di combattimento limitato e verranno distrutti come qualsiasi altro carro armato.
  3. I carri armati occidentali aumenteranno la potenza di combattimento dell’esercito ucraino fintanto che saranno sul campo.

Ora, detto questo, a questo punto non sembra che la NATO voglia dare all’Ucraina i principali carri armati. Inizialmente è stato suggerito che i carri armati dal deposito potessero essere rispolverati e consegnati a Kiev, ma il produttore ha dichiarato che questi veicoli non sono funzionanti e non saranno pronti per il combattimento fino al 2024 . Ciò lascia solo la possibilità di immergersi direttamente nei parchi carri armati della NATO, cosa che finora sono reticenti a fare.

Come mai? Il mio suggerimento sarebbe semplicemente che la NATO non crede nella vittoria ucraina. L’Ucraina non può nemmeno sognare di spostare la Russia dalla sua posizione senza un’adeguata forza di carri armati, e quindi la reticenza a consegnare i carri armati suggerisce che la NATO pensa che questo sia comunque solo un sogno. Invece, continuano a dare la priorità alle armi che sostengono la capacità dell’Ucraina di combattere una difesa statica (da qui le centinaia di pezzi di artiglieria) senza indulgere in voli di fantasia su una grande spinta corazzata ucraina in Crimea.

Tuttavia, data l’intensa febbre della guerra che si è accumulata in occidente, è possibile che lo slancio politico ci imponga la scelta. È possibile che abbiamo raggiunto il punto in cui la coda scodinzola, che la NATO sia intrappolata nella sua stessa retorica di sostegno inequivocabile fino a quando l’Ucraina non otterrà una vittoria totale, e potremmo ancora vedere i Leopard 2A4 bruciare nella steppa.

Sommario: La morte di uno Stato

L’esercito ucraino è estremamente degradato, avendo subito perdite esorbitanti sia di uomini che di armi pesanti. Credo che i KIA ucraini si stiano avvicinando a 150.000 a questo punto, ed è chiaro che le loro scorte di tubi di artiglieria, proiettili e veicoli corazzati sono in gran parte esaurite.

Mi aspetto che la linea difensiva Bakhmut-Siversk venga ripulita prima di aprile, dopodiché la Russia si spingerà verso l’ultima (e più debole) cintura difensiva intorno a Slavyansk. Nel frattempo, la Russia ha in riserva una notevole potenza di combattimento, che può essere utilizzata per riaprire il fronte settentrionale sulla riva occidentale dell’Oskil e riavviare le operazioni offensive a Zaporozhia, mettendo in grave pericolo la logistica ucraina.

Questa guerra sarà combattuta fino alla sua conclusione sul campo di battaglia e terminerà con una decisione favorevole per la Russia.

Coda: una nota sui colpi di stato

Sentiti libero di ignorare questo segmento, poiché è un po’ più nebuloso e non è concretamente correlato agli eventi in Ucraina o in Russia.

Abbiamo visto molte voci divertenti sui colpi di stato in entrambi i paesi: Putin ha il cancro al piede e il suo governo crollerà, Zelensky sta per essere sostituito con Zaluzhny, e così via. Patrioti in controllo e tutta quella roba buona.

In ogni caso, ho pensato di scrivere solo in generale sul perché i colpi di stato e le rivoluzioni non sembrano mai portare a regimi democratici carini e coccolosi, ma invece quasi sempre portano al passaggio del controllo politico ai servizi militari e di sicurezza.

La risposta, si potrebbe pensare, è semplicemente che questi uomini hanno le armi e il potere per accedere alle stanze importanti in cui vengono prese le decisioni, ma non è solo questo. Si riferisce anche a un concetto nella teoria dei giochi chiamato punti Schelling .

Un punto Schelling (dal nome del signore che ha introdotto il concetto, un economista di nome Thomas Schelling) si riferisce alla soluzione che le parti scelgono dato uno stato di incertezza e nessuna capacità di comunicare. Uno degli esempi classici per illustrare il concetto è un gioco di coordinazione. Supponiamo che a te e a un’altra persona vengano mostrati quattro quadrati ciascuno: tre sono blu e uno è rosso. A ciascuno di voi viene chiesto di scegliere un quadrato. Se scegliete entrambi la stessa casella, ricevete un premio in denaro, ma non potete parlarvi delle vostre scelte. Come scegli? Bene, la maggior parte delle persone sceglie razionalmente il quadrato rosso, semplicemente perché è ben visibile – risalta, e quindi presumi che anche il tuo partner sceglierà questo quadrato. Il quadrato rosso non è migliore, di per sé, è solo ovvio.

In uno stato di tumulto politico, o addirittura di anarchia, il sistema lavora verso i punti Schelling – figure e istituzioni ovvie che irradiano autorità, e sono quindi la scelta evidente per assumere il potere e impartire comandi.

I bolscevichi, ad esempio, lo capirono molto bene. Immediatamente dopo aver dichiarato il loro nuovo governo nel 1917, inviarono commissari nei vari edifici per uffici a San Pietroburgo dove avevano sede le burocrazie zariste. Trotsky notoriamente si presentò una mattina all’edificio del ministero degli Esteri e annunciò semplicemente di essere il nuovo ministro degli Esteri. I dipendenti lo deridevano: chi era? come ha fatto a presumere di essere al comando? – ma per Trotsky il punto era insinuarsi su un punto Schelling. Nello stato di anarchia che cominciava a diffondersi in Russia, le persone cercavano naturalmente qualche ovvio punto focale di autorità, ei bolscevichi si erano abilmente posizionati come tali rivendicando il controllo sulle cariche e sui titoli burocratici. Dall’altra parte del conflitto civile, l’opposizione politica ai bolscevichi si raggruppò attorno agli ufficiali dell’esercito zarista, perché anch’essi erano punti di Schelling, in quanto avevano già titoli e posizione all’interno di una gerarchia esistente.

Tutto questo per dire che in caso di colpo di stato o di collasso dello stato, praticamente non si formano mai nuovi governi sui generis, ma nascono sempre da istituzioni e gerarchie preesistenti. Perché, quando cadde l’Unione Sovietica, l’autorità politica passò alle Repubbliche? Perché queste Repubbliche erano punti Schelling, rami che si possono afferrare per mettersi al sicuro in un fiume caotico.

Lo dico semplicemente perché sono stanco di storie fantasmagoriche sulla liquidazione del regime in Russia e persino sulla dissoluzione territoriale. La caduta del governo di Putin non porterà e non può portare a un regime acquiescente, adiacente all’Occidente, perché non ci sono istituzioni di potere reale in Russia che siano così disposte. Il potere ricadrebbe sui servizi di sicurezza, perché sono punti Schelling, ed è lì che va il potere.

https://bigserge.substack.com/p/russo-ukrainian-war-the-world-blood

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Guardare e comprendere il multipolarismo_con Gianfranco La Grassa

Costruire uno strumento interpretativo adeguato a comprendere il contesto politico e geopolitico. Un impegno che non può prescindere dai tempi dettati dalla contingenza storica. Attardarsi, però, nella riproposizione pedissequa degli schemi interpretativi che hanno orientato le vicende politiche del secolo scorso porta sicuramente a posizioni fuorvianti e conclusioni sempre più paradossali. Ne parlo con Gianfranco La Grassa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v26e3zo-guardare-e-comprendere-il-multipolarismo-con-gianfranco-la-grassa.html

 

Massimo Morigi, Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo 1a parte

Massimo Morigi

LO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA ITALIANA: IL MAZZINIANESIMO

UNA RIFLESSIONE TRANSPOLITICA PER IL SUO LEGITTIMO EREDE: IL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO. PRESENTAZIONE DI TRENT’ANNI DOPO ALLA DIALETTICA OLISTICO-ESPRESSIVA-STRATEGICA-CONFLITTUALE DE ARNALDO GUERRINI. NOTE BIOGRAFICHE, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PER UNA STORIA DELL’ ANTIFASCISMO DEMOCRATICO ROMAGNOLO

INTRODUZIONE

Se accostiamo «Io sono una forza del Passato./Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese,/dalle pale d’altare, dai borghi/abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,/dove sono vissuti i fratelli.» che è la definizione della poetica e della Weltanschauung di Pier Paolo Pasolini con «Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca… Dimmi se sto tremando!» criptica, surreale ma al tempo stesso lancinante e terribilmente espressiva dichiarazione del disagio del personaggio di Giuliana, interpretata da Monica Vitti, nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni e citazioni entrambe impiegate in questo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo. Una riflessione transpolitica per il suo legittimo erede: il Repubblicanesimo Geopolitico. Presentazione di trent’anni dopo alla dialettica olistico-espressiva-strategica-conflittuale de Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, abbiamo immediatamente l’immagine del particolare metodo dialettico impiegato da Massimo Morigi e di cui si aveva avuto una prova anche nello Stato delle Cose della Geopolitica. Presentazione di Quaranta, Trenta, Vent’anni dopo a le Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista. Nascita estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del Portogallo, anche questo pubblicato a puntate sull’ “Italia e il Mondo”, che è, oltre ad essere un metodo dialettico che, come più occasioni ribadito da Morigi, oltre a non riconoscere alcuna validità gnoseologico-epistemologica alla suddivisione fra c.d. scienze della natura e scienze umane storico-sociali, entrambe unificate, secondo Morigi, nel paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, proprio in ragione del suo approccio olistico, non distingue nemmeno fra dato storico-sociale e fra il suo stesso dato biografico e cercando di capire, assieme ai destinatari dei suoi messaggi, come questo dato biografico lo abbia portato alle sue odierne elaborazioni teoriche. A questo punto si potrebbe obiettare che in Morigi prevale sull’analisi teorica una sorta di deteriore biografismo, dove il momento dell’analisi viene travolto da una non richiesto lirismo. Niente di più errato. Comunque si voglia giudicare il del tutto inedito paradigma dialettico del Nostro, e noi comunque lo giudichiamo come l’unico tentativo veramente serio compiuto dalla fine del grande idealismo italiano di Gentile e Croce di far rivivere in Italia e nel resto del mondo il metodo dialettico, la manifestazione lirica cui Morigi rende conto a sé stesso prima ancora che ai lettori non sono assolutamente le sue interiori ed intime inclinazioni che giustamente egli ritiene non debbano interessare a nessuno ma si tratta del rendere conto, anche pubblicamente, del suo culturale Bildungsroman, dove nello Stato delle Cose della Geopolitica veniva focalizzato nella cultura portoghese, nella saudade di questo paese e, infine nella filmografia di Wim Wenders, in specie in quella che aveva come sfondo il Portogallo, Lo Stato delle Cose e Lisbon Story, mentre ora, Nello Stato delle Cose dell’ultima religione politica: il Mazzinianesimo si tratta della filmografia d’autore degli anni Sessanta del secolo che ci ha lasciato, cioè di quella di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini. E se è vero, come è vero, che il ricorso a questo strumento per l’interpretazione della crisi politica non solo del movimento mazziniano e del partito che tuttora vuole presentarsi come la sua attuazione politica è stata anche indotta dal fatto che sulla crisi della religione politica del mazzinianesimo e del partito che ancora vuole esprimere ed intestarsi questa ideologia non è stato, in fondo, scritto praticamente alcunché di veramente interessante e significativo (e non è questa la sede per contestare questa definizione di identità politica del PRI ed anche Morigi, anche per una sorta di rispetto verso un partito politico in cui militò in un lontano passato – e di cui, fra l’altro, dimostra in questo saggio introduttivo di essere un profondissimo conoscitore e, quindi, inevitabilmente quasi un “appassionato”–, è tutt’altro che acido rispetto a questa autodefinizione identitaria) ma anche della crisi politico-sistemica più generale che ha investito il nostro paese è, sulla scorta della sua dialettica totalizzante del tutto giustificata e conseguente, a noi lettori appare chiaro – ma anche Morigi, ne siamo sicuri ne è pienamente consapevole – che la filmografia espressamente citata in questo scritto di Morigi è anch’essa una parte importante del romanzo di formazione culturale di Morigi che, proprio in virtù della particolare dialettica totalizzante da lui elaborata può essere impiegata per dare conto sia del suo metodo dialettico che della crisi politica del sistema politico Italia, filmografia italiana che, sottintende sempre è stato quindi anche decisiva, insieme alle suggestioni portoghesi e wendersiane, per la definizione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

Un’ultima notazione. Come da sottotitolo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo è l’introduzione del saggio di Massimo Morigi, Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, edito nel 1989 e che oltre ad essere la biografia dell’antifascista repubblicano e mazziniano Arnaldo Guerrini, già più di trent’anni fa esprimeva, come ci dice il suo autore e come potranno vedere i lettori dell’ “Italia e il Mondo” la consapevolezza della crisi del sistema politico italiano che sarebbe esplosa con Mani pulite. Questa biografia, assieme ovviamente al suo scritto introduttivo sullo Stato delle cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo, su espresso desiderio dell’autore viene pubblicata in quattro puntate a partire da questo mese di gennaio del 2023, in una sorta di augurio di buon anno nuovo per l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza politica per terminare con l’ultima puntata da pubblicarsi in occasione del IX Febbraio, data dell’anniversario della nascita della Repubblica Romana del 1849 e che per tutti i mazziniani, siano o no ancora facenti parte del Partito Repubblicano Italiano, è la ricorrenza più importante di tutto il calendario, ancora più importante, siano o no questi repubblicani credenti nelle varie denominazioni del cristianesimo, del Natale cristiano. Ci sarebbe così allora ancora molto da dire sulle religioni politiche e su come il Repubblicanesimo Geopolitico nel suo olismo dialettico, voglia essere, come dice espressamente Morigi, una prosecuzione ed evoluzione per i nostri tempi dei principi repubblicani di Giuseppe Mazzini…

Buona lettura

Giuseppe Germinario

Segue sul link sottostante a partire da pag 7

PRIMA PARTE DELLO STATO DELLE COSE DELL ULTIMA RELIGIONE POLITICA

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Il mutamento dell’equilibrio di potere dell’UE, di Adriano Bosone

Tra il 2020 e il 2022, tre eventi geopolitici fortemente dirompenti hanno alterato gli equilibri di potere all’interno dell’Unione Europea, aumentando l’influenza dei paesi del sud e dell’est del blocco a scapito dei paesi tradizionalmente più influenti del nord. Queste nuove dinamiche di potere non solo daranno forma alla politica interna ed estera dell’UE nei prossimi anni, ma probabilmente porteranno a un conflitto interno più in basso che metterà ancora una volta alla prova l’unità interna del blocco.

Tre anni turbolenti

Il primo dei tre eventi dirompenti è stata la Brexit. Il Regno Unito ha lasciato il blocco nel gennaio 2020 dopo anni di negoziati iniziati con il referendum del giugno 2016. La Gran Bretagna era stata in precedenza uno dei più forti sostenitori del blocco del libero scambio, della deregolamentazione e della limitata integrazione sociale, economica e politica nel continente. Per decenni, il Regno Unito è stato anche un alleato dei paesi dell’Europa settentrionale (e soprattutto nordica) che difendevano un’Europa aperta con un approccio pro-business agli affari economici ed erano scettici sulla federalizzazione dell’UE. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, quindi, ha creato un’opportunità per i paesi dell’Europa meridionale, che tendono a difendere un’UE più interventista che protegga le proprie economie dalla concorrenza esterna, mettendo insieme allo stesso tempo risorse finanziarie in tutto il continente per finanziare politiche a livello di blocco.

Subito dopo la Brexit è arrivata la pandemia di COVID-19, che ha provocato la prima ondata di blocchi in tutta l’UE nel marzo 2020. Il devastante impatto umano ed economico della pandemia ha consentito all’Unione europea di compiere passi senza precedenti, tra cui l’avvio di un massiccio Pacchetto di stimolo da 750 miliardi di euro nel luglio 2020 che includeva sovvenzioni e prestiti per i suoi membri, con Italia e Spagna che hanno ricevuto le maggiori somme di denaro. In particolare, i 27 Stati membri dell’UE hanno consentito alla Commissione europea di prendere in prestito nei mercati finanziari per loro conto per pagare il pacchetto, una politica che si era rivelata impossibile da attuare durante la crisi finanziaria solo un decennio prima a causa della ferma opposizione dei governi del nord Europa. In una certa misura, il nord ha sostenuto il pacchetto 2020 perché, a differenza della crisi dell’eurozona del 2009, i danni economici nell’Europa meridionale non è stato il risultato di politiche fiscali irresponsabili ma di eventi al di fuori del loro controllo. Tuttavia, sia in scala che soprattutto nel modo in cui è stato finanziato, il pacchetto di stimoli non ha precedenti nella storia europea recente ed è stato un segnale forte di un’Europa meridionale più influente. In quanto tale, ha stabilito un precedente per le future risposte alle crisi.

Il terzo evento geopolitico che ha alterato l’equilibrio di potere nell’Unione europea è stata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, che ha portato a un picco dell’inflazione in tutta Europa a causa di forniture energetiche più limitate e più costose. Le ricadute economiche della guerra e le conseguenti interruzioni delle esportazioni di energia russe hanno visto i governi europei (di nuovo) introdurre grandi pacchetti di stimolo, oltre a cercare disperatamente forniture alternative di gas naturale per evitare il razionamento del gas e i blackout. Anche le industrie ad alta intensità energetica in tutto il continente in settori che vanno dal cemento ai fertilizzanti sono state costrette a ridurre o interrompere le loro attività. La guerra rappresentava sia un rischio che un’opportunità per i paesi dell’Europa centrale e orientale, che per decenni avevano messo in guardia sulla minaccia della Russia alla pace nel continente, e avevano chiesto una maggiore presenza delle truppe della NATO nella regione e una posizione più aggressiva dell’UE nei confronti di Mosca . Sotto la pressione della Polonia e degli Stati baltici, l’Unione europea ha imposto sanzioni economiche e politiche alla Russia, aumentando gli aiuti finanziari, umanitari e militari all’Ucraina. In particolare, la guerra ha anche costretto la Germania a rompere con la sua politica decennale che cercava di mantenere separate le tensioni politiche tra la Russia e l’Occidente dalle massicce importazioni tedesche di gas naturale russo. Berlino’

Forse ancora più cruciale, la guerra ha anche dato alla NATO un rinnovato senso di intenti che era in linea con le opinioni dell’Europa centrale e orientale, meno di tre anni dopo che il presidente francese Emmanuel Macron aveva dichiarato l’alleanza militare “cerebralmente morta” e promosso alternative europee a cooperazione NATO. Il fatto che Svezia e Finlandia abbiano rotto la loro neutralità storica per aderire all’alleanza di sicurezza occidentale ha realizzato l’aspirazione di Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia di circondare completamente la Russia nella regione baltica e ha aperto la porta a una più profonda cooperazione di sicurezza baltico-nordica.

Infine, la guerra ha anche accresciuto l’importanza strategica dei paesi dell’Europa meridionale, che dall’oggi al domani sono diventati attori chiave nella spinta dell’Unione europea a diversificare le sue forniture di gas naturale lontano dalla Russia. I molteplici terminali GNL della Spagna e dell’Italia e le loro connessioni di gasdotti con il Nord Africa contrastare con l’elevata dipendenza della Germania dai gasdotti provenienti dalla Russia, e mettere Madrid e Roma al centro dei piani in corso per moltiplicare e diversificare i fornitori di energia dell’Unione Europea. Inoltre, i significativi investimenti dell’Europa meridionale nelle energie rinnovabili (compresa l’energia solare, che ha un enorme potenziale nei paesi baciati dal sole del Mediterraneo) amplieranno ulteriormente il suo ruolo nel mix energetico del blocco nei prossimi anni, soprattutto se il Nord Europa è disposto pagare le infrastrutture necessarie per distribuire l’energia in tutto il continente. Ironia della sorte, la crisi energetica dell’Europa ha anche portato Bruxelles a tollerare i paesi che utilizzano più carbone , che è stata una vittoria a breve termine per gli utenti di carbone pesante come la Polonia e altri paesi della regione.

L’impatto che va avanti

Gli effetti della Brexit, della pandemia di COVID-19 e della guerra in Ucraina sono stati visibili nel 2022, ma il loro impatto continuerà nel 2023 e oltre. Ora che il tabù del prestito congiunto dell’UE è stato infranto, i governi dell’Europa meridionale continueranno a spingere per prestiti congiunti per finanziare iniziative a livello continentale in aree che vanno dal cambiamento climatico alle infrastrutture energetiche. Nel frattempo, la Commissione europea (che nel 2020 ha sospeso le regole dell’UE sui limiti del debito sovrano e del deficit fiscale in modo che i paesi potessero spendere per uscire dalla pandemia) sta spingendo per una riprogettazione delle regole prima che vengano reintrodotte nel 2024. Sotto la pressione del sud, le nuove regole si concentreranno probabilmente su obiettivi più flessibili relativi alla crescita a lungo termine e alla sostenibilità del debito rispetto alle regole attuali, che sono più orientate verso il raggiungimento di obiettivi a breve termine, dimostrato quasi impossibile da raggiungere . Inoltre, l’Unione europea utilizzerà misure protezionistiche in Cina e negli Stati Uniti per giustificare il proprio aumento di aiuti di Stato , sovvenzioni e altre forme di assistenza a settori strategici della sua economia, il che è anche in linea con le opinioni dell’Europa meridionale su come il blocco dovrebbe funzionare.

I prossimi anni offriranno anche nuove opportunità all’Europa centrale e orientale per aumentare la loro capacità di guidare la direzione strategica dell’Unione europea. La Polonia e gli Stati baltici useranno la loro ritrovata influenza sulla politica estera dell’UE per garantire che le sanzioni contro la Russia siano mantenute e, se possibile, ampliate. Chiederanno inoltre (e contribuiranno a) una maggiore presenza di truppe NATO nella regione e spingeranno contro qualsiasi piano francese per attuare iniziative di difesa che potrebbero competere con l’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti. Un cessate il fuoco in Ucraina è improbabile nel 2023, il che significa che la Polonia ei suoi alleati baltici raggiungeranno probabilmente questi obiettivi a breve e medio termine. Ancora più importante, la Polonia sta emergendo come una delle principali potenze militari in Europa grazie ad anni di aumento delle spese per la difesa e di modernizzazione militare, una tendenza che l’invasione russa dell’Ucraina accelererà. Questo, combinato con il fatto che la Polonia è una delle economie più dinamiche dell’Unione Europea, significa che il peso di Varsavia negli affari europei è destinato ad aumentare solo nei prossimi anni.

Un cambiamento permanente?

Sebbene questi spostamenti di potere in Europa saranno visibili nel 2023, potrebbero non essere permanenti. Una volta che il senso di urgenza legato alla pandemia e alla guerra sarà svanito, i paesi del Nord Europa potrebbero decidere che la combinazione di regole fiscali più flessibili e massicce spese dell’UE sostenute dal debito congiunto non è una politica responsabile o sostenibile. Ciò potrebbe comportare un significativo respingimento contro queste misure alla fine di questo decennio a causa dei timori di una nuova crisi finanziaria nell’Unione europea.

Questo potenziale cambiamento di atteggiamento dipenderà in gran parte dalla Germania, perché molte delle attuali politiche dell’UE sono state rese possibili dal fatto che due dei tre membri del governo di coalizione tedesco sono economicamente progressisti. Privando Bruxelles della decisiva leadership tedesca, Berlino si concentrò maggiormente sugli affari interni nell’ultimo anno, in risposta alle crescenti crisi economiche ed energetiche, ha anche concesso ai governi dell’Europa meridionale spazio per elevare il proprio profilo nel blocco. Ma le prossime elezioni generali in Germania (previste per il 2025) potrebbero riportare al potere i conservatori e, con loro, posizioni più aggressive sull’integrazione fiscale dell’UE. Le prime ribellioni contro le politiche più lassiste del debito e del deficit dell’Unione Europea sono probabili anche in paesi come Paesi Bassi, Svezia, Austria e Danimarca se la ripresa economica del blocco dalle crisi attuali avverrà più velocemente del previsto. Anche senza un ritorno al conflitto nord-sud sulla politica fiscale, la volatilità dei mercati finanziari causata da significativi rialzi dei livelli del debito sovrano (soprattutto nei paesi meridionali come l’Italia) potrebbe essere un campanello d’allarme per l’Unione europea affinché cambi direzione.

L’influenza dei paesi dell’Europa centrale e orientale deve affrontare limiti propri. L’influenza della Polonia sulla politica dell’UE è cresciuta nel 2022, ma il paese è ancora sotto la minaccia di sanzioni da parte della Commissione europea a causa di controversie relative allo stato di diritto che potrebbero portare al congelamento di miliardi di euro di fondi dell’UE. E mentre la Polonia è una voce di spicco nella politica relativa alla Russia, i paesi pro-UE come Estonia, Lettonia e Lituania non condividono necessariamente le opinioni euroscettiche della Polonia sull’integrazione continentale, il che significa che potrebbero esserci divisioni tra i governi dell’Europa centrale e orientale che sono i principali falchi russi. Inoltre, la guerra in Ucraina ha isolato l’Ungheria, che è stato lasciato solo a opporsi ad alcune delle sanzioni contro la Russia. Ma Ungheria e Polonia sono ancora allineate e si sostengono a vicenda su questioni sociali, culturali, sullo stato di diritto e istituzionali che irritano la maggior parte degli Stati membri occidentali dell’UE e limitano la cooperazione con loro. I sondaggi di opinione suggeriscono che l’opposizione filoeuropea della Polonia ha buone possibilità di vincere le elezioni generali alla fine del 2023 (il che migliorerebbe le relazioni di Varsavia con Bruxelles). Tuttavia, i tempi di guerra tendono anche a favorire i governi in carica, il che significa che i leader euroscettici della Polonia potrebbero assicurarsi un altro mandato, che limiterebbe la sua influenza sulla politica dell’UE al di là delle questioni di sicurezza.

Finora, l’Unione europea è riuscita a rimanere unita nonostante i cambiamenti sismici avvenuti tra il 2020 e il 2022. Ma l’effetto di questi cambiamenti sulla politica dell’UE potrebbe svanire con il tempo. Le tendenze protezionistiche in Cina e, in misura minore, negli Stati Uniti daranno ai membri dell’UE che sostengono l’intervento statale una continua giustificazione per le loro opinioni, il che significa che tali politiche probabilmente persisteranno. Ma è improbabile che il Nord Europa rimanga passivo alle politiche fiscali promosse dal Sud Europa per paura di un aumento del rischio morale e il rischio di nuove crisi del debito nel Mezzogiorno. Inoltre, lo scetticismo di alcuni paesi dell’Europa orientale nei confronti di un’ulteriore integrazione politica ed economica dell’UE si scontrerà probabilmente con le opinioni più favorevoli all’integrazione dell’Europa occidentale. Dal punto di vista della sicurezza, l’ascesa militare della Cina non riunirà l’Unione europea nello stesso modo in cui l’ha fatto l’invasione russa dell’Ucraina, il che si tradurrà in dibattiti interni sul futuro sia della NATO che dell’integrazione della difesa in Europa. Ciò significa che mentre il cambiamento in corso nelle dinamiche di potere interne non rappresenta un’immediata minaccia esistenziale per l’Unione Europea, attualmente vengono piantati i semi per nuovi scontri che probabilmente giungeranno al culmine più avanti nel decennio – e quando lo faranno, il l’unità del blocco sarà ancora una volta messa alla prova.

https://worldview.stratfor.com/article/eus-shifting-balance-power

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IL BICCHIERE MEZZO PIENO, Teodoro Klitsche de la Grange

IL BICCHIERE MEZZO PIENO

Tra le innovazioni del decreto 150/2022, c’è l’estensione dei reati procedibili solo a querela dell’offeso, onde creare un barrage ai processi penali e così ridurne il numero. Il tutto, si sostiene, in linea con gli obiettivi di efficienza del processo e del sistema penale. Ancorché il tutto possa prestarsi ad un’inferiore deterrenza della prescrizione sanzionatoria (e così al di essa effetto dissuasorio) la rimessione alla parte lesa della facoltà di “far partire” il procedimento, ne facilita – a vantaggio della medesima – le condotte risarcitorie e riparatorie del reato, con soddisfazione – almeno parziale – dell’interesse della vittima.

Nello stato in cui versa la giustizia italiana, non possono che essere benvenute disposizioni che consentono una migliore soddisfazione dell’interesse privato, peraltro “alleggerendone” gli oneri per lo Stato. Tuttavia sono i presupposti di soluzioni come questa a dover essere criticati; vediamo perché.

Scriveva Hegel che lo “Stato è la realtà della libertà concreta”, in quanto, brevemente, coniuga gli interessi particolari con l’interesse della generalità così che né l’universale si compie senza l’interesse particolare, né che gli individui vivano solo per questo, senza che vogliano, in pari tempo, l’universale.

Più “tecnicamente”, da giurista, Jhering collegava l’interesse particolare al generale, attraverso i meccanismi giuridici, in particolare la sanzione, che, come Carnelutti avrebbe sottolineato, è un avvaloramento del precetto normativo con la quale si penalizza la condotta conforme o contraria a quella, sacrificando o soddisfacendo l’interesse particolare.

Anche per questo Jhering scrisse quel best seller giuridico che è La lotta per il diritto (Kampf ums Recht) ancora oggi, a circa un secolo e mezzo dalla pubblicazione, continuamente riedito. Nell’edizione Laterza degli anni ’30, con un’avvertenza preliminare di Croce che, sorprendentemente, ne sottolineava l’alto valore etico, scrivendo: “Può far maraviglia che questo elevamento della lotta pel diritto sopra le considerazioni utilitarie sia sostenuto da un pensatore che nella sua speciale trattazione filosofica dell’argomento, Der Zweck im Recht (1877-83), riportò il principio del diritto all’egoismo… Ma tant’è: nel Jhering il sentimento morale era più forte dei suoi presupposti e della sua logica filosofica” e proseguiva che a questa concezione “valse il forte rilievo dato agli individui e ai loro bisogni e ai fini che si propongono nel formare il diritto; se anche gli piacque interpretarli e chiamarli, poco felicemente, egoistici”.

La ragione per cui lottare (Kampf) per il proprio diritto soggettivo, al tempo stesso si risolve nel realizzare  quello oggettivo è che il diritto che non è applicato, per cui non si lotta, è un diritto… teorico. Cioè che nega la propria essenza di attività (ragione) pratica. Come le idee di Platone, confinato in un iperuranio normativo, senza un demiurgo che lo porti in terra.

Se la funzione del demiurgo è rivestita soltanto dalla vittima zelante probabilmente l’effettività dell’attuazione (cioè la soddisfazione dell’interesse pubblico all’ordine sociale) e così l’oggettivazione lascerà a desiderare.

Ciò premesso quel che più sorprende di questa soluzione è che se ne vuole misurare (almeno nella rappresentazione che ne danno molti mass-media) l’efficacia non dal calo dei reati commessi ma da quello dei processi che ne conseguono.

Di per se che non si celebri il processo dopo il reato perché manca la querela, non significa che il reato non sia avvenuto (né che il reo non lo reiteri), ma solo, per l’appunto, che manca la querela. Anzi, sbrigarsela con un risarcimento e non con la detenzione non fa calare le trasgressioni, ma aumentare le possibilità di “farla franca”. In particolare per i rei dotati di disponibilità finanziarie.

C’è da aggiungere che tale modo di ragionare, in particolare se presentato come “momento” decisivo delle riforme, è figlio di una visione burocratica del mondo; è l’universo visto dall’angolo visuale della scrivania, ma tale punto di osservazione non permette una percezione “a giro d’orizzonte” e prenderla per quella principale è frutto di una deformazione professionale, spesso ripetuta. Se invece di centomila processi da iniziare se ne hanno settantamila, onde la durata degli stessi dimezza, non vuol dire (neppure) che l’efficacia dell’amministrazione della giustizia penale è migliorata, ma solo che ha minore lavoro da sbrigare. Tuttavia la funzione della giustizia penale in ispecie, di assicurare l’ordine sociale non ci guadagna un gran che. Ciò non significa che la riforma sia disprezzabile, ma che non è il caso di intonare peana né confidare in grandi risultati da un bicchiere mezzo pieno.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Ucraina, 25a puntata_degenerazioni ed adattamenti di regime Con Stefano Orsi e Max Bonelli

Un conflitto prolungato mette a dura prova la tenuta di qualsiasi regime. Un vero e proprio test, fondato sul sangue e sul sacrificio della popolazione, che può portare alla degenerazione e al disfacimento di uno stato e del tessuto sociale, come ad una capacità di adattamento e di rinnovamento impensabili in tempi di ordinaria amministrazione. In questo conflitto stiamo assistendo ad una dinamica speculare, vedremo se irreversibile. Se da una parte, quella russa, si sta affermando, anche nel senso comune, la realtà di un confronto esistenziale con l’intero blocco occidentale, dall’altra il regime ucraino è aggrappato ad una disperata resistenza fondata sull’aiuto esterno pressoché esclusivo, con tutte le degenerazioni che questa comporta: quello di un regime e di una economia e società fondato sullo stato di guerra e sulla speculazione del più infimo livello. Più simile, quest’ultima ad una struttura per bande di fatto anomica e prive di regole per come le intendiamo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Emmanuel Todd: ‘La Terza Guerra Mondiale è iniziata’

Se guardiamo i voti dall’ONU, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che così appare piccolissimo. Vediamo che questo conflitto, descritto dai media come conflitto di valori politici, è un più profondo conflitto di valori antropologici.

Intervista a cura di Alexandre Devecchio a Emmanuel Todd su “Le Figaro”.

Grande intervista – Emmanuel Todd è antropologo, storico, saggista, prospettivista, autore di numerose opere. Molte di esse, come “La caduta finale”, “Illusione economica” o “Dopo l’impero”, sono diventati classici delle scienze sociali. Il suo ultimo lavoro, “La terza guerra mondiale”, è apparso nel 2022 in Giappone e ha venduto 100.000 copie.

Pensatore scandaloso per alcuni, intellettuale visionario per altri, “Rebelle Destroy” con le sue stesse parole, Emmanuel Todd non lascia indifferente. L’autore de “La caduta finale”, che ha previsto nel 1976 il crollo dell’Unione Sovietica, era rimasto discreto in Francia sulla questione della guerra in Ucraina. L’antropologo ha finora riservato la maggior parte dei suoi interventi al pubblico giapponese, perfino pubblicando nell’arcipelago un titolo provocatorio: “La terza guerra mondiale è già iniziata”. Per “Le Figaro”, descrive in dettaglio la sua tesi iconoclasta. […]

Oltre allo scontro militare tra Russia e Ucraina, l’antropologo insiste sulla dimensione ideologica e culturale di questa guerra e sull’opposizione tra l’Occidente liberale e il resto del mondo che ha acquisito una visione conservatrice e autoritaria. I più isolati non sono, secondo lui, quelli che sono ritenuti tali.

Le Figaro. – Perché pubblicare un libro sulla guerra in Ucraina in Giappone e non in Francia?

Emmanuel Todd. – I giapponesi sono altrettanto anti-russi quanto gli europei. Ma sono geograficamente lontani dal conflitto, quindi non c’è un vero senso di urgenza, non hanno la nostra relazione emotiva con l’Ucraina. E lì, non ho affatto lo stesso status. Qui, ho l’assurda reputazione di essere un ribelle iconoclasta, mentre in Giappone sono un antropologo, uno storico e geopolitico rispettato, che si esprime in tutti i grandi giornali e riviste e di cui tutti i libri sono pubblicati. Laggiù posso esprimermi in un’atmosfera serena, cosa che ho fatto dapprima su delle riviste, e poi pubblicando questo libro, che è una raccolta di interviste. Quest’opera si chiama “La terza guerra mondiale è già iniziata, con 100.000 copie vendute ad oggi.

È ovvio che il conflitto, nel passare da una limitata guerra territoriale a uno scontro economico globale, tra tutto l’Occidente da una parte e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altra parte, è divenuto una guerra mondiale.

Perché questo titolo?

Perché è la realtà, la Terza Guerra mondiale è iniziata. È vero che ha iniziato “in piccolo” e con due sorprese. Si è partiti in questa guerra con l’idea che l’esercito della Russia fosse molto potente e che la sua economia fosse molto debole. Si credeva che l’Ucraina sarebbe stata schiacciata militarmente e che la Russia sarebbe stata schiacciata economicamente dall’Occidente. Tuttavia, è accaduto il contrario. L’Ucraina non è stata schiacciata militarmente anche se ha perso il 16% del suo territorio ad oggi; La Russia non è stata schiacciata economicamente. Mentre le parlo, il rublo ha preso l’8% rispetto al dollaro e il 18% rispetto all’euro dalla vigilia dell’ingresso in guerra.

Quindi c’è stata una sorta di malinteso. Ma è ovvio che il conflitto, nel passare da una guerra territoriale limitata a uno scontro economico globale, tra l’intero Occidente da un lato e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altro, è diventato una guerra globale. Anche se le violenze militari sono più deboli rispetto a quelle delle precedenti guerre mondiali.

Non starà mica esagerando? L’Occidente non è direttamente impegnato militarmente …

Forniamo comunque armi. Uccidiamo i russi, anche se non ci esponiamo in prima persona. Ma resta il fatto che noi, europei, siamo principalmente impegnati economicamente. Sentiamo d’altronde sopraggiungere il nostro vero ingresso in guerra attraverso l’inflazione e le penurie.

Putin ha commesso un grosso errore all’inizio, che presenta un immenso interesse socio-storico. Coloro che lavoravano sull’Ucraina alla vigilia della guerra consideravano questo paese non tanto come una democrazia emergente, quanto come una società in decomposizione e uno “stato fallito” in divenire. Ci si chiedeva se l’Ucraina avesse perso 10 o 15 milioni di abitanti dalla sua indipendenza. Non possiamo decidere in proposito perché l’Ucraina non fa più censimenti dal 2001, classico segno di una società che ha paura della realtà. Penso che il calcolo del Cremlino fosse che questa società in decomposizione sarebbe crollata nel primo shock, o avrebbe addirittura detto “Benvenuta mamma” alla Santa Russia. Ma ciò che è stato scoperto, al contrario, è che una società in decomposizione, se è alimentata da risorse finanziarie e militari esterne, può trovare in guerra un nuovo tipo di equilibrio e persino un orizzonte, una speranza. I russi non potevano prevederlo. Nessuno poteva.

Ma non è che i russi hanno sottovalutato, nonostante lo stato di autentica decomposizione della società, la forza del sentimento nazionale ucraino, e persino la forza del sentimento europeo di sostegno verso l’Ucraina? E lei stesso non la sottovaluta?

Non lo so. Ci lavoro, ma lo faccio in veste di ricercatore, vale a dire ammettendo che ci sono cose che non si sanno. E per me, stranamente, uno dei campi su cui ho troppo poche informazioni per esprimermi è l’Ucraina. Potrei dirle, sulla fede degli antichi dati, che il sistema familiare della piccola Russia era nucleare, più individualistico del sistema Grande Russo, che era più comunitario, collettivista. Questo, posso dirglielo, ma che cosa sia diventata l’Ucraina, con enormi movimenti della popolazione, un’auto-selezione di alcuni tipi sociali attraverso il rimanere in loco o l’emigrare prima e durante la guerra, non posso dirglielo, non lo sappiamo per il momento.

Uno dei paradossi che devo affrontare è che la Russia non mi pone problemi di comprensione. È qui che sono più fuori passo rispetto al mio ambiente occidentale. Capisco l’emozione di tutti, è mi risulta doloroso parlare come uno storico freddo. Ma quando pensiamo a Giulio Cesare che cattura Vercingetorige ad Alesia, portandolo poi a Roma per celebrare il suo trionfo, non ci si chiede se i romani fossero cattivi o carenti di valori. Oggi, in emozione, in sintonia con il mio paese, posso vedere l’ingresso dell’esercito russo nel territorio ucraino, bombardamenti e morti, distruzione di infrastrutture energetiche, ucraini che crepano di freddo per tutto l’inverno. Ma per me, il comportamento di Putin e dei russi è leggibile altrimenti e vi dirò in che modo.

Tanto per cominciare, ammetto di essere stato preso alla sprovvista all’inizio della guerra, non ci credevo. Oggi condivido l’analisi del geopolitico “realista” americano John Mearsheimer. Quest’ultimo ha fatto la seguente osservazione: ci dicevano che l’Ucraina, il cui esercito era stato preso in mano dai soldati della NATO (americani, britannici e polacchi) almeno dal 2014, era quindi membro di fatto della NATO e che i russi avevano annunciato che non avrebbero mai tollerato un’Ucraina membro della NATO. Questi russi fanno quindi, (come Putin ci ha spiegato il giorno prima dell’attacco) una guerra che dal loro punto di vista è difensiva e preventiva. Mearsheimer ha aggiunto che non avremmo motivo di rallegrarci di qualsiasi difficoltà dei russi perché, poiché per loro si tratta una questione esistenziale, quanto più questa dovesse risultare dura, tanto più loro colpirebbero con forza. L’analisi sembra essersi verificata. Aggiungerei un complemento e una critica all’analisi di Mearsheimer.

Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Non più della Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare. Questo è il motivo per cui stiamo ormai dentro una guerra infinita, dentro uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro.

I quali?

Per il complemento: quando si dice che l’Ucraina era di fatto membro della NATO, non si va abbastanza lontano. La Germania e la Francia erano diventate da parte loro partner minori della NATO e non erano a conoscenza di ciò che si tramava in Ucraina a livello militare. Abbiamo criticato l’ingenuità francese e tedesca perché i nostri governi non credevano nella possibilità di un’invasione russa. Certo, ma perché non sapevano che americani, britannici e polacchi potevano consentire all’Ucraina di poter condurre una guerra allargata. L’asse fondamentale della NATO ora è Washington-Londra-Varsavia-Kiev.

Ora la critica: Mearsheimer, da buon americano, sopravvaluta il suo paese. Ritiene che, se per i russi la guerra ucraina è esistenziale, per gli americani è fondamentalmente solo un “gioco” di potere tra gli altri. Dopo il Vietnam, l’Iraq e l’Afghanistan, una disfatta in più o in meno…. Cosa importa? L’assioma di base della geopolitica americana è: “Possiamo fare quello che vogliamo perché siamo al sicuro, lontani, tra due oceani, non ci succederà mai nulla”. Niente sarebbe esistenziale per l’America. Analisi insufficiente che ora porta Biden a una fuga in avanti. L’America è fragile. La resistenza dell’economia russa spinge il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico” della NATO. Credo che i russi stessi non lo avessero anticipato.

Se l’economia russa resistesse alle sanzioni indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla. Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Così come la Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare. Questo è il motivo per cui ora siamo in una guerra infinita, in uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro. Cinesi, indiani e sauditi, tra gli altri, esultano.

Ma l’esercito russo sembra ancora in una brutta posizione. Alcuni arrivano perfino a prevedere il crollo del regime, lei non ci crede?

No, all’inizio sembra esserci stata, in Russia, un’esitazione, ovvero la sensazione di essere stati abusati, di non essere stati avvertiti. Ma lì, i russi sono installati nella guerra e Putin beneficia di qualcosa di cui non abbiamo idea, ossia che gli anni 2000, gli Anni Putin, sono stati per i russi gli anni del ritorno all’equilibrio, del ritorno a una vita normale. Penso che Macron rappresenterà per contro agli occhi dei francesi la scoperta di un mondo imprevedibile e pericoloso, il ricongiungimento con la paura. Gli anni ’90 furono un periodo incredibile di sofferenza per la Russia. Gli anni 2000 sono stati un ritorno alla normalità, e non solo in termini di livelli di vita: abbiamo visto crollare i tassi di suicidio e di omicidio e, soprattutto, aqbbiamo visto il mio indicatore preferito, il tasso di mortalità infantile, che precipitava e persino andava al di sotto del tasso americano.

Nello spirito dei russi, Putin incarna (nel senso forte, cristico), questa stabilità. E, fondamentalmente, i russi ordinari ritengono, come il loro presidente, di fare una guerra difensiva. Sono consapevoli di aver commesso errori all’inizio, ma la loro buona preparazione economica ha aumentato la loro fiducia, non in confronto all’Ucraina (la resistenza degli ucraini è per loro interpretabile, sono coraggiosi come dei russi, mai degli occidentali combatterebbero così bene!), bensì di fronte a quel che chiamano “L’Occidente Collettivo”, oppure “gli Stati Uniti e i loro vassalli”. La vera priorità del regime russo non è tanto la vittoria militare sul terreno, quanto non perdere la stabilità sociale acquisita negli ultimi 20 anni.

Pertanto, fanno questa guerra “in economia”, in particolare un’economia d’uomini. Perché la Russia mantiene il suo problema demografico, con una fertilità di 1,5 bambini per donna. Tra cinque anni avranno classi di età vuote. Secondo me, devono vincere la guerra in 5 anni o perderla. Una durata normale per una guerra mondiale. Pertanto fanno questa guerra in economia, ricostruendo un’economia di guerra parziale, ma volendo preservare gli uomini. Questo è il significato del ritiro di Kherson, dopo quelli nelle regioni di Kharkiv e Kiev. Noi contiamo i chilometri quadrati ripresi dagli ucraini, ma i russi da parte loro attendono la caduta delle economie europee. Noi siamo il loro fronte principale. Posso ovviamente sbagliarmi, ma vivo con l’idea che il comportamento dei russi sia leggibile, perché razionale e duro. Le incognite sono altrove.

Lei spiega che i russi percepiscono questo conflitto come “una guerra difensiva”, ma nessuno ha cercato di invadere la Russia e oggi, a causa della guerra, la NATO non ha mai avuto così tanta influenza ad Est con i paesi baltici che vi si vogliono integrare.

Per risponderle, le propongo un esercizio psico-geografico, che può essere fatto zoomando all’indietro. Se guardiamo la mappa dell’Ucraina, vediamo l’ingresso alle truppe russe da nord, est, sud … e lì, in effetti, abbiamo la visione di un’invasione russa, non c’è altra parola. Ma se facciamo un enorme zoom all’indietro, verso una percezione del mondo, poniamo fino Washington, vediamo che i cannoni e i missili della NATO convergono lontano verso il campo di battaglia, movimenti di armi che erano iniziati prima della guerra. Bakhmout si trova a 8.400 chilometri da Washington ma a 130 chilometri dal confine russo. Una semplice lettura della mappa del mondo consente di pensare, di considerare l’ipotesi che “sì, dal punto di vista russo, quella deve essere una guerra difensiva”.

Quando guardiamo i voti delle Nazioni Unite, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che a quel punto appare piccolissimo. Vediamo quindi che questo conflitto, descritto dai nostri media come un conflitto di valori politici, è a un livello più profondo un conflitto di valori antropologici.

Secondo lei, l’ingresso nella guerra dei russi è anche spiegato dal relativo declino degli Stati Uniti …

In ‘Dopo l’Impero’, pubblicato nel 2002, ho evocato il declino a lungo termine negli Stati Uniti e il ritorno del potere russo. Dal 2002, l’America ha una catena di sconfitte e ripiegamenti. Gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq, ma hanno lasciato l’Iran quale massimo attore del Medio Oriente. Sono fuggiti dall’Afghanistan. La satellizzazione dell’Ucraina da parte dell’Europa e degli Stati Uniti non ha rappresentato un ulteriore dinamismo occidentale, bensì l’esaurimento di un’onda lanciata intorno al 1990, rilanciata dal risentimento anti-russo dei polacchi e dei baltici. Tuttavia, è stato in questo contesto di riflusso americano che i russi hanno preso la decisione di mettere al passo l’Ucraina, perché avevano la sensazione di avere finalmente i mezzi tecnici per farlo.

Esco dalla lettura di un’opera di S. Jaishankar, ministro degli Affari Esteri dell’India (The India Way), pubblicata poco prima della guerra, che vede la debolezza americana, che sa che lo scontro tra Cina e Stati Uniti non avrà un vincitore ma darà spazio a un paese come l’India e molti altri. Aggiungo: ma non agli europei. Ovunque vediamo l’indebolimento degli Stati Uniti, ma non in Europa e in Giappone perché uno degli effetti del ritrarsi del sistema imperiale è che gli Stati Uniti rafforzano la loro presa sui suoi protettorati iniziali.

Se leggiamo Brzeziński (La grande scacchiera), vediamo che l’Impero americano è stato formato alla fine della seconda guerra mondiale dalla conquista della Germania e del Giappone, che sono ancora oggi protettorati. Mentre il sistema americano si ritrae, pesa sempre più pesantemente sulle élite locali dei protettorati (e includo qui tutta l’Europa). I primi a perdere tutta l’autonomia nazionale, saranno (o sono già) gli inglesi e gli australiani. Internet ha prodotto nell’Anglosfera un’interazione umana con gli Stati Uniti di tale intensità che le loro università, media e élite artistiche sono, per così dire, annesse. Sul continente europeo siamo un po’ protetti dalle nostre lingue nazionali, ma la caduta nella nostra autonomia è considerevole e rapida. Ricordiamoci della guerra in Iraq, quando Chirac, Schröder e Putin hanno fatto conferenze stampa comuni contro la guerra.

Molti osservatori sottolineano che la Russia ha il PIL della Spagna; non è che sopravvaluta la sua potenza economica e la sua capacità di resistenza?

La guerra diventa un test dell’economia politica, è il grande rivelatore. Il PIL della Russia e della Bielorussia rappresenta il 3,3% del PIL occidentale (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud), praticamente nulla. Ci si chiede come questo PIL insignificante possa affrontare e continuare a produrre missili. Il motivo è che il PIL è una misura fittizia della produzione. Se ti ritiriamo dal PIL americano metà delle sue spese sanitarie sovrafatturate, poi la “ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più affollate del mondo, poi da un’intera economia di servizi scarsamente definiti tra cui la “produzione” dei suoi 15-20.000 economisti con uno stipendio medio annuo di 120 mila dollari, ci rendiamo conto che una parte importante di questo PIL è solo vapore acqueo. La guerra ci riporta all’economia reale, rende possibile capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, la capacità produttiva e quindi la capacità di guerra. Se torniamo alle variabili materiali, vediamo l’economia russa. Nel 2014, abbiamo messo in atto le prime importanti sanzioni contro la Russia, ma essa ha da allora aumentato la sua produzione di grano, che va da 40 a 90 milioni di tonnellate nel 2020. Mentre, grazie al neoliberismo, la produzione americana di grano, tra il 1980 e 2020, è passata da 80 a 40 milioni di tonnellate. La Russia è anche diventata il primo esportatore di centrali nucleari. Nel 2007, gli americani hanno spiegato che il loro avversario strategico era in un tale stato di decadimento nucleare che presto gli Stati Uniti avrebbero avuto una capacità di primo colpo atomico su una Russia che non avrebbe potuto rispondere. Oggi i russi sono in superiorità nucleare con i loro missili ipersonici.

La Russia ha quindi un’autentica capacità di adattamento. Quando vuoi prendere in giro le economie centralizzate, sottolinei la loro rigidità, mentre quando fai l’apologia del capitalismo, ne vanti la flessibilità. Giusto. Affinché un’economia sia flessibile, prendi ovviamente il mercato dei meccanismi finanziari e monetari. Ma prima di tutto, hai bisogno di una popolazione attiva che sappia fare delle cose. Gli Stati Uniti hanno ora più del doppio della popolazione della Russia (2,2 volte nelle fasce di età degli studenti). Resta il fatto che con proporzioni da parte di coorti comparabili di giovani che fanno istruzione superiore, negli Stati Uniti, il 7% sta studiando ingegneria, mentre in Russia è il 25%. Ciò significa che con 2,2 volte meno persone che studiano, i russi formano il 30% di più ingegneri. Gli Stati Uniti colmano il buco con studenti stranieri, ma che sono principalmente indiani e ancora più cinesi. Questa risorsa di sostituzione non è sicura e già diminuisce. È il dilemma fondamentale dell’economia americana: può affrontare la concorrenza cinese solo importando forza lavoro qualificata cinese. Propongo qui il concetto di bilanciamento economico. L’economia russa, da parte sua, ha accettato le regole operative del mercato (è persino un’ossessione per Putin quella di preservarle), ma con un ruolo grandissimo dello stato. E si tiene anche la sua flessibilità della formazione di ingegneri che consentono gli adattamenti, sia industriali che militari.

Molti osservatori credono, al contrario, che Vladimir Putin abbia sfruttato la rendita delle materie prime senza aver saputo sviluppare la sua economia …

Se fosse così, questa guerra non avrebbe avuto luogo. Una delle cose sorprendenti in questo conflitto, e questo lo rende così incerto, è che pone (come qualsiasi guerra moderna) la questione dell’equilibrio tra tecnologie avanzate e produzione di massa. Non vi è dubbio che gli Stati Uniti abbiano alcune delle tecnologie militari più avanzate, che a volte sono state decisive per i successi militari ucraini. Ma quando si entra nella durata, in una guerra di logoramento, non solo dalla parte delle risorse umane, ma anche di quelle materiali, la capacità di continuare dipende dal settore della produzione di armi più basso. E troviamo, vedendolo ritornare dalla finestra, la questione della globalizzazione e il problema fondamentale degli occidentali: abbiamo trasferito una proporzione tale delle nostre attività industriali che non sappiamo se la nostra produzione di guerra può proseguire. Il problema viene ammesso. La CNN, il New York Times e il Pentagono si chiedono se l’America riuscirà a rilanciare le catene di produzione di questo o quel tipo di missile. Ma non sappiamo se i russi sono in grado di seguire il ritmo di un tale conflitto. Il risultato e la soluzione della guerra dipenderanno dalla capacità dei due sistemi di produrre armamenti.

Secondo lei questa guerra non è solo militare ed economica, ma anche ideologica e culturale …

Mi esprimo qui soprattutto come antropologo. In Russia, ci sono state strutture familiari più dense, comunitarie, di alcune delle quali certi valori sono sopravvissuti. C’è un sentimento patriottico russo che è qualcosa di cui qui da noi non abbiamo idea, nutrito dal subconscio di una nazione famiglia. La Russia aveva un’organizzazione familiare patrilineare, vale a dire in cui gli uomini sono centrali e non può aderire a tutte le innovazioni occidentali neo-femministe, LGBT, transgender … Quando vediamo la duma russa vota una legislazione ancora più repressiva sulla “propaganda LGBT”, noi ci sentiamo superiori. Posso sentirlo come un occidentale normale. Ma da un punto di vista geopolitico, se pensiamo in termini di soft power, questo è un errore. Presso il 75% del pianeta, l’organizzazione della parentela era patrilineare e si può sentire una forte comprensione degli atteggiamenti russi. Per il non-Occidente collettivo, la Russia afferma un rassicurante conservatorismo morale. L’America Latina, tuttavia, qui sta sul lato occidentale.

Quando si fa geopolitica, ci si interessa a più dominii: i rapporti di forza energetici, militari, produzione di armi (che rinvia ai rapporti di forza industriali). Ma c’è anche l’equilibrio ideologico e culturale del potere, che gli americani chiamano il “soft power”. L’URSS aveva una certa forma di soft power, il comunismo, che influenzava parte dell’Italia, dei cinesi, dei vietnamiti, dei serbi, dei lavoratori francesi … ma il comunismo faceva in fondo orrore al mondo musulmano per via del suo ateismo e non fu particolarmente di ispirazione in India, tranne che nel Bengala Occidentale e nel Kerala. Ora, attualmente, poiché la Russia si è riposizionata come archetipo di grande potenza, non solo anti -coloniale, ma anche patrilineare e conservatrice dei costumi tradizionali, può andare molto più in là con la seduzione. Gli americani si sentono traditi oggi dall’Arabia Saudita che rifiuta di aumentare la sua produzione di petrolio, nonostante la crisi energetica dovuta alla guerra, e che di fatto si schiera dalla parte dei russi: in parte, ovviamente, per interesse petrolifero. Ma è evidente che la Russia di Putin, che è diventata moralmente conservatrice, è diventata solidale con i sauditi, i quali sono sicuro che abbiano qualche problemino con i dibattiti americani sull’accesso delle donne transgender (definite come maschi al concepimento) ai servizi igienici delle donne.

I giornali occidentali sono tragicamente divertenti, mentre continuano a dire: “La Russia è isolata, la Russia è isolata”. Ma quando guardiamo i voti delle Nazioni Unite, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che a quel punto sembra molto piccolo. Se siamo antropologi, possiamo spiegare la mappa, da un lato i paesi catalogati come aventi un buon livello di democrazia nelle classifiche di The Economist (vale a dire l’anglosfera, l’Europa …), dall’altra parte i paesi autoritari, che si diffondono dall’Africa fino alla Cina attraverso il mondo arabo e la Russia. Per un antropologo, questa è una carta banale. Alla periferia “occidentale” troviamo paesi dalla struttura della famiglia nucleare con sistemi di parentela bilaterale, vale a dire dove parenti maschi e femmine sono equivalenti nella definizione dello stato sociale del bambino. E al centro, con la maggior parte della massa afro-europea-asiatica, troviamo le organizzazioni familiari comunitarie e patrilineari. Vediamo quindi che questo conflitto, descritto dai nostri media come un conflitto di valori politici, è a un livello più profondo un conflitto di valori antropologici. È questa incoscienza e questa profondità che rendono pericoloso lo scontro.

Fonte originale: https://www.lefigaro.fr/vox/monde/emmanuel-todd-la-troisieme-guerre-mondiale-a-commence-20230112.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

https://megachip.globalist.it/cronache-internazionali/2023/01/15/emmanuel-todd-la-terza-guerra-mondiale-e-iniziata/

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Venti verità sui legami pachistani-talebani alla luce delle loro ultime tensioni, di ANDREW KORYBKO

I legami tra pachistani e talebani sono molto più complicati di quanto presuma la maggior parte degli osservatori, soprattutto alla luce delle loro ultime tensioni. Hanno perso il controllo sul loro dilemma di sicurezza dopo che i loro partner americani e TTP, che avevano rispettivamente reclutato come leva sull’altro, li hanno sfruttati per perseguire i propri fini egoistici. Non è ancora troppo tardi per evitare una guerra pachistano-talebana, ma la prerogativa spetta solo al regime golpista post-moderno del primo citato, che ha ulteriori ragioni per lanciarne una.

” Il Pakistan potrebbe essere in procinto di lanciare una ‘operazione militare speciale’ in Afghanistan ” per autodifesa in risposta alle minacce terroristiche incontrollabili del TTP (“talebani pakistani”) provenienti da quel paese. Anche se il pericoloso dilemma sulla sicurezza pachistano-talebana non raggiunge il punto di rottura, tuttavia, rivela ancora molte scomode verità sui loro legami. Il presente pezzo aumenterà la consapevolezza di ciò che questi sono al fine di infondere nel lettore una comprensione più solida delle loro relazioni.

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1. I talebani non sono mai stati semplici burattini pakistani in primo luogo

I talebani afghani (chiamati semplicemente “i talebani”) non sono mai stati veramente i burattini pachistani che molti osservatori davano per scontati, poiché alla fine si sono rifiutati di tagliare i rapporti con il TTP anche dopo essere tornati al potere a Kabul in parte con il sostegno di Islamabad.

2. I legami pakistani-talebani dal 2001 sono stati un matrimonio di convenienza

Il Pakistan e i talebani si sono usati l’un l’altro per perseguire i propri interessi: il primo ha usato quel gruppo per ottenere una “profondità strategica” in Afghanistan nei confronti dell’India e degli Stati Uniti, mentre il secondo ha usato il Pakistan come protettore di stato non ufficiale per riconquistare il potere dopo l’invasione americana.

3. I leader talebani sospettavano che il Pakistan volesse dominare l’Afghanistan

L’influenza che le agenzie di intelligence pakistane hanno esercitato su molti talebani negli ultimi due decenni per perseguire i suoi interessi sopra menzionati ha portato i leader di quel gruppo a sospettare che Islamabad volesse dominare l’Afghanistan, il cui scenario andava contro le loro fervide convinzioni nazionaliste.

4. Il TTP è stato considerato dai talebani come un credibile strumento di deterrenza

Per scongiurare preventivamente questo scenario, i talebani hanno collaborato con il TTP nella speranza che le capacità di guerra asimmetrica di questo gruppo terroristico potessero dissuadere il Pakistan dal tentare di dominare l’Afghanistan all’indomani di quello che giustamente prevedevano sarebbe stato l’inevitabile ritiro dell’Occidente.

5. I talebani hanno perso il controllo del TTP sempre più indipendente

Analogamente a come i talebani non sono mai stati veramente burattini pakistani in primo luogo, né il TTP è mai stato dei talebani, e questo è diventato abbondantemente ovvio dopo che i leader de facto dell’Afghanistan non sono riusciti a mediare con successo i colloqui di pace tra i suoi alleati ideologici e Islamabad negli ultimi 18 mesi .

6. Il colpo di stato post-moderno del Pakistan ha cambiato le sue dinamiche con i talebani

Le tensioni tra pachistani e talebani sono rimaste per lo più gestibili fino al colpo di stato postmoderno orchestrato dagli Stati Uniti nel primo citato, che ha portato il suo governo importato a ribaltare in modo informale la politica dell’ex primo ministro Khan di mantenere l’America a debita distanza, esacerbando così i sospetti dei talebani sul Pakistan .

7. Il TTP è diventato una preziosa risorsa talebana dopo il cambio di regime del Pakistan

Nonostante i dubbi che i talebani avrebbero potuto avere sul TTP dopo che il gruppo aveva mostrato la sua indipendenza come spiegato in precedenza, è arrivato a considerare la loro partnership come una risorsa preziosa dopo che il cambio di regime del Pakistan ha aumentato il rischio che le forze armate statunitensi tornassero nella regione attraverso il loro nuovo delega.

8. L’attacco dei droni americani di agosto a Kabul è stata l’ultima goccia per i talebani

L’attacco di droni statunitensi a Kabul all’inizio di agosto contro il defunto capo di Al Qaeda è stato ampiamente considerato come facilitato passivamente dal regime golpista post-moderno del Pakistan che ha permesso al loro alleato tradizionale di usare il suo spazio aereo , il che ha confermato i peggiori timori dei talebani su quei due collaborando ancora una volta .

9. Dopo agosto, il TTP è diventato l’ibrido guerriero talebano anti-pakistano

I talebani poco dopo hanno strumentalizzato i loro partner TTP come guerrieri ibridi anti-pakistani per un’ingiusta disperazione per scoraggiare qualsiasi ulteriore rafforzamento della partnership militare pakistano-statunitense in rapido miglioramento, spiegando così la follia di attacchi terroristici del gruppo negli ultimi cinque mesi.

10. La carta TTP dei talebani si è ritorta contro costringendo il Pakistan a difendersi

Il terrorismo è terrorismo, indipendentemente dalla giustificazione o dall’intento strategico che c’è dietro, e il Pakistan ha tutto il diritto di difendersi da tali minacce provenienti dall’Afghanistan, il che significa che la carta TTP dei talebani si è ritorta contro di essa esacerbando ulteriormente le tensioni dopo che il precedente attacco degli Stati Uniti li aveva portati a intensificare questo estate.

11. Un ciclo autosufficiente di mutua destabilizzazione ora affligge le loro relazioni

Le tensioni tra pachistani e talebani sono diventate ingestibili dopo il cambio di regime dello scorso aprile nel primo e nel secondo in risposta all’alleanza militare successivamente ripristinata di Islamabad con Washington armando tacitamente il TTP contro di essa, con il loro dilemma sulla sicurezza che ora sta rapidamente sfuggendo al controllo.

12. I talebani e il Pakistan sono influenzati rispettivamente dal TTP e dagli Stati Uniti

A parte le ragioni politiche interne legate al “salvare la faccia” davanti alle loro popolazioni, i talebani e il Pakistan stanno entrambi lottando per ritirarsi dall’orlo del conflitto, in parte a causa dell’influenza che il TTP e gli Stati Uniti esercitano su di loro rispettivamente a causa dei loro ruoli in catalizzando quest’ultima crisi.

13. Nessuna delle due parti può soddisfare le richieste dell’altro senza perdere la faccia

I talebani non possono soddisfare la richiesta del Pakistan di abbandonare la sua partnership con il TTP sempre più indipendente per non essere accusato di svendere i suoi alleati ideologici, mentre il Pakistan non può soddisfare la richiesta implicita dei talebani di rompere con gli Stati Uniti poiché ora ha bisogno dell’America aiuto.

14. Il TTP e gli Stati Uniti stanno sfruttando rispettivamente i talebani e il Pakistan

I due punti precedenti dimostrano che le dinamiche di potere tra Pakistan-USA e Talebani-TTP sono distorte verso il secondo giocatore menzionato in ciascuna coppia poiché gli Stati Uniti sfruttano il Pakistan per riguadagnare la sua influenza regionale in declino mentre il TTP sfrutta i talebani per dichiarare guerra al Pakistan .

15. Il Pakistan e i talebani sono intrappolati in una trappola creata da loro stessi

Il Pakistan e i talebani sono ugualmente colpevoli di essersi intrappolati in una trappola creata da loro stessi facendo affidamento su terzi per ottenere influenza sull’altro, il che ha portato gli Stati Uniti e il TTP a esercitare un’influenza sproporzionata sui loro partner e successivamente a perpetuare la loro tensioni bilaterali.

16. Gli attori regionali a livello statale non hanno alcuna influenza su questo dilemma di sicurezza

Il dilemma sulla sicurezza tra pachistani e talebani esacerbato congiuntamente dal TTP e dagli Stati Uniti è al di là dell’influenza di attori regionali a livello statale come Russia, Cina e Iran, essendo anche il caso che le precedenti affermazioni di Islamabad sull’influenza indiana sul TTP siano irrilevanti per le ultime dinamiche

17. Una guerra pachistano-talebana probabilmente farebbe deragliare i piani di integrazione regionale

Lo scoppio di un conflitto pakistano-talebano convenzionale di qualsiasi durata e intensità rovinerebbe probabilmente le loro relazioni per anni e quindi impedirebbe all’Afghanistan di compiere il suo destino geostrategico di ponte tra l’Asia centrale e meridionale , facendo deragliare così gli ambiziosi piani di integrazione della regione più ampia.

18. Solo il TPP e gli Stati Uniti trarrebbero vantaggio da una guerra tra pachistani e talebani

Lo scenario di un conflitto pakistano-talebano convenzionale avvantaggia solo il TPP e gli Stati Uniti, il primo dei quali potrebbe fare affidamento indefinitamente sui talebani come loro protettori per condurre la propria guerra contro il Pakistan, mentre il secondo potrebbe sfruttare indefinitamente il Pakistan come suo delegato regionale su un pretesto antiterrorismo.

19. È prerogativa del Pakistan se scoppi o meno una guerra con i talebani

Il Pakistan può evitare la guerra con i talebani rafforzando la sicurezza delle sue frontiere per impedire l’infiltrazione del TTP parallelamente allo sradicamento delle cellule dormienti di quel gruppo invece di ricorrere drammaticamente a grandi attacchi transfrontalieri o altro, spostando così in modo decisivo i legami sulla traiettoria di una “guerra fredda” ” invece di uno caldo.

20. Il regime post-moderno del colpo di stato pakistano potrebbe ancora entrare in guerra per ulteriori motivi

Considerando l’intuizione di cui sopra su come il Pakistan può evitare la guerra con i talebani pur difendendosi dal TTP, qualsiasi decisione di andare ancora in guerra sarebbe probabilmente per ulteriori ragioni legate al radunare la popolazione attorno al suo regime impopolare e al rispetto delle richieste degli Stati Uniti in cambio per gli aiuti.

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Come il lettore ora sa, i legami pakistani-talebani sono molto più complicati di quanto suppongano la maggior parte degli osservatori, soprattutto alla luce delle loro ultime tensioni. Hanno perso il controllo sul loro dilemma di sicurezza dopo che i loro partner che hanno reclutato come leva sull’altro li hanno sfruttati per perseguire i propri fini egoistici. Non è ancora troppo tardi per evitare una guerra pachistano-talebana, ma la prerogativa spetta solo al regime golpista post-moderno del primo citato, che ha ulteriori ragioni per lanciarne una.

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Biden e la caccia al tesoro_con Gianfranco Campa

Biden ovvero la parabola discendente di una controfigura. Siamo al terzo ritrovamento di documenti riservati in casa Biden o dintorni. Non è più soltanto un avvertimento; si tratta di uno stillicidio destinato a mantenere alta la pressione e debilitare e compromettere definitivamente, sia pure in forma controllata, il personaggio, ormai patetico. Per il resto saranno le dinamiche ormai innescate al Congresso a completare l’opera. Una operazione parallela, ma anche un viatico al tentativo di estromettere Trump dall’agone politico e di sterilizzare il movimento cresciuto sotto le sue ali. Un movimento, per altro, che sta imparando sempre più a camminare sulle proprie gambe. L’amministrazione di Biden ha cercato in questo anno di cavalcare i temi sollevati dal suo acerrimo nemico. La sostanza, in realtà, a cominciare dal problema dei flussi migratori, dal contenuto degli accordi internazionali e dalle dinamiche geopolitiche sono in continuità con le passate politiche demo-neoconservatrici. Una fase comunque di transizione gravida di rischi dovuta alla mancanza di una gestione unitaria e controllata e, soprattutto, alla crescente divaricazione tra le ambizioni coltivate e i mezzi disponibili. Il conflitto in Ucraina, la situazione in Brasile, il recente accordo tripartito tra Messico, Canada e Stati Uniti sono solo la punta di un iceberg. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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