È possibile sapere chi si ammala?, di Giuseppe Imbalzano
Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi.
È possibile sapere chi si ammala?
Non il mio vicino di casa, ma quali siano i luoghi e i flussi di chi continua ad ammalarsi?
Quali siano e da dove si infettano i nuovi pazienti, quale sia il percorso e chi determina i nuovi casi nella nostra comunità?
Se non specifichiamo i meccanismi e i flussi, i determinanti e tracciamo i percorsi delle infezioni e continuiamo a sparare nel mucchio, avremo numeri grossolani e casuali.
È come, per altro, sapere quanti incidenti stradali abbiamo ma non sappiamo se siano di notte o di giorno e dove, per evitare di esserne coinvolti.
E così per le infezioni.
Da dove derivano, dalle attività mantenute attive che hanno forti interazioni o dai runner e dai padroni dei cani che girano intorno al proprio palazzo o dalle fonti che hanno causato questa esplosione di casi in un tempo che dire breve è poco?
Abbiamo interrotto i flussi delle infezioni o abbiamo mantenuto i problemi di aree che hanno determinato questa situazione in poco più di 30 giorni?
Tutti guardano i numeri in più o in meno e le curve ma il perché nessuno, il dove nessuno, il chi nessuno.
E allora, chi, avendone responsabilità, riprenda la retta via delle analisi dei casi e delle loro origini, delle situazioni che ne hanno causato l’esplosione, dei percorsi, della indagine sui singoli casi e dei relativi flussi generali, delle gabbie da cui fuggono i virus, e che hanno causato così tanti casi in poco tempo?
Ad errore si rischia di sovrapporre errore e si persegue lo stesso errore. Non siamo di fronte ad una patologia cronico degenerativa, ma di fronte ad una infezione. E come tale va affrontata e risolta.
È chiaro che questa epidemia, in Lombardia in particolare, è esplosa per la moltiplicazione dei focolai con la distribuzione in tutti gli ospedali dei malati, in ambienti non sempre idonei per accoglierli.
E da lì, diffusa.
Gli oltre 6000 sanitari positivi in Italia (per non parlare di coloro che non sono stati identificati precocemente) non hanno trasmesso a nessuno l’infezione? Vittime di una organizzazione inadeguata e priva di attenzioni minime per la sicurezza dei lavoratori?
Non sappiamo quanti siano stati i malati già ricoverati infettati in seguito a questi trasferimenti, e anche loro a quante altre persone abbiano trasmesso il virus.
E quanti siano stati poi i familiari e parenti che abbiano avuto il dispiacere di esserne affetti.
E quanti invece si siano ammalati per i contatti, inconsapevoli, che hanno avuto con il personale sanitario in genere o per aver solo frequentato gli ospedali.
Forse è stato sottovalutato questo movimento e non abbiamo perseguito le linee corrette per debellare una infezione che è esplosa così velocemente.
Solo per contatti diretti ed indiretti è verosimile, ma bisogna recuperare le informazioni, che il personale sanitario abbia determinato almeno 25 mila casi, compresi parenti e amici oltre a pazienti, che poi, nella interazione dei propri territori abbiano creato le ulteriori infezioni.
E oggi?
Abbiamo la certezza che questo flusso, queste infezioni siano cessate o abbiamo ancora movimenti che provengono dalle strutture sanitarie e che negli ultimi giorni hanno avuto una rinnovata attività dalle strutture socio sanitarie, con un numero di infetti e di decessi che è del tutto innaturale?
Anche lì, cosa è accaduto? Mancata attenzione rigorosa al problema o cosa?
Sono stati predisposti protocolli rigorosi e azioni di limitazioni del rischio o perchè è accaduto?
Le domande sono tante, ma in realtà è una sola, cosa sta accadendo e come impedire che questa infezione faccia ulteriori danni e mieta ulteriori, del tutto ingiustificate, vittime.
Gli ospedali misti, come abbiamo avuto modo di dire più volte, non sono la soluzione a questo problema, comunque.
Ci chiediamo, nel contempo, cosa sia stato fatto per evitare ulteriori infezioni al personale e ai cittadini ed evitare altri possibili focolai sia comunitari che nella gestione domiciliare dei casi.
Vorremmo anche sapere cosa sia accaduto ai cittadini, sia in quarantena che per la gestione delle patologie (e se familiari siano stati successivamente infetti) e anche quali siano stati i modelli di sicurezza adottati nelle Rsa, per protocolli previsti o meno dalle Regioni ed adottati in modo organico dalle strutture assistenziali.
E cosa sia accaduto al personale sanitario, costretto a lavorare anche se abbia avuto contatti con malati infetti e quanti poi siano diventati positivi nel corso dei giorni successivi.
Non vorremmo che questo filone di infezioni sia diventato terra di nessuno e privo delle necessarie valutazioni, e azioni di mitigazione della infezione, che non è, come ci attendevamo, stata adeguatamente frenata dalla lunga chiusura in quarantena della comunità.
Giuseppe Imbalzano- medico
Lettera alla professoressa Capua, del dr. Giuseppe Imbalzano