E’ difficile se non impossibile eseguire un’esaustiva analisi geopolitica sugli eventi recenti. Di Claudio Martinotti Doria

E’ difficile se non impossibile eseguire un’esaustiva analisi geopolitica sugli eventi recenti.

Di Claudio Martinotti Doria

In questi giorni concitati in cui avviene di tutto nel mondo, in particolare nel Vicino Oriente (Medio Oriente per gli anglosassoni) è naturale che i vari conduttori di canali e blog di informazione libera cerchino di informare tempestivamente il loro pubblico di quanto avviene, fornendo loro un quadro descrittivo basato su quanto sono venuti a conoscenza fino a quel momento.

Il problema è che è impossibile essere informati esaurientemente, neppure se si è in pensione o ci si dedica professionalmente a gestire i propri canali di informazione, perché non si riesce oggettivamente ad attingere a tutte le fonti disponibili in rete, oltre naturalmente al fatto che molti fatti vengono taciuti o mistificati e quindi si possono solo intuire, dedurre o sospettare. E dopo aver acquisito le informazioni occorre ancora elaborarle per poterle proporre al pubblico in modo articolato e razionale.

Con specifico riferimento agli eventi siriani, che credo sia emblematico di quanto sopra premesso, personalmente mi sono dedicato a decine di canali e ho letto altrettanti articoli, e ognuno mi ha fornito un tassello in più per formarmi un quadro d’insieme della situazione, ma nonostante questo mio impegno sfuggono ancora troppi elementi di valutazione per potermi permettere di scrivere un articolo con pretese di esaustività.

Eppure alcuni prematuramente si sono permessi di dichiarare che si trattava di una chiara rivincita anglosassone sulla Russia, riducendo il tutto a una contesa duale. Alcuni escludevano persino il coinvolgimento come attore primario della Turchia oppure dedicavano la maggiore responsabilità e conseguente successo a Israele.

Ma col tempo si dovrebbe aver capito che le cose non stanno esattamente così, che i meriti degli anglosassoni e dei sionisti sono assai modesti, semmai opportunistici ma non di pianificatori e sceneggiatori a tutto tondo.

Le recenti dichiarazioni di Erdogan, che al mondo esistono solo due grandi leader politici, sottendendo che uno è lui e l’altro è Putin, dovrebbe chiarire chi è stato lo stratega primario di quanto avvenuto in Siria.

Soprattutto sapendo che Bashar al-Assad negli ultimi anni ha commesso alcuni gravi e grossolani errori di valutazione e scelte politico strategiche, avversando Erdogan e amareggiando i russi, ponendosi in una posizione che alla lunga era divenuta indifendibile, alimentando defezioni e tradimenti, soprattutto non avendo voluto riconoscere e interagire coi numerosi capi tribù del suo paese. Anziché stabilizzare e consolidare il suo potere ne ha minato le fondamenta indebolendosi sempre di più. Ha peccato di scarsissima lungimiranza e capacità di prevenzione.

Erdogan ha agito da sultano con un notevole controllo degli attori in gioco, probabilmente accordandosi preventivamente con Putin, infatti sia l’ambasciata russa che le due basi militari (aerea e navale) che sono in Siria non sono state neppure sfiorate dai terroristi che hanno invaso il paese (sempre di terroristi si tratta, anche se i media li hanno trasformati in “ribelli moderati”, dimenticandosi che sono tagliagole).

Allo stato dell’arte risulta ormai ovvio che è stato tutto pianificato fin nei minimi dettagli da diversi mesi, soprattutto corrompendo l’entourage di Bashar al-Assad necessario per conseguire gli obiettivi finali, e probabilmente hanno anche già stabilito le fasi successive di quale assetto fornire al paese, come eventualmente spartirlo e/o federarlo.

I veri perdenti sono i curdi che si troveranno a malpartito essendo la Turchia a condurre i giochi, e se confideranno ancora sul sostegno USA commetteranno l’ennesimo errore di valutazione nel riporre fiducia su soggetti inaffidabili e pericolosi.

In situazioni così complesse la prudenza è d’obbligo, per cui è consigliabile non attribuire a caldo meriti, responsabilità e successi a chicchessia finché i giochi non si saranno svelati ed emergerà chiaramente la risposta alla nota locuzione latina cui prodest?

Concludendo direi che è meglio tardare a pubblicare i video o gli articoli finché non si avranno notizie sufficienti a compiere valutazioni esaustive, e per essere tempestivi nell’aggiornare il pubblico occorrerebbe limitarsi alla sola realtà fattuale disponibile al momento.

 Mike Adams, docente di fisica e ricercatore scientifico

 

Fino ad ora, quasi nessuno in occidente capisce cosa sia il sistema d’arma Oreshnik (https://t.me/LombardiaRussiaGeN/28739), appena dimostrato dalla Russia

 

Tanto di cappello a Theodore Postol, Scott Ritter e Brian Berletic, le uniche tre persone che ho trovato che lo capiscono

 

Ho calcolato l’energia cinetica delle submunizioni (usando stime di massa) e ho esaminato ciò che è attualmente noto su queste armi

 

La mia conclusione? La NATO è finita. L’occidente non ha idea di cosa si trova ad affrontare

 

Il sistema d’arma russo Oreshnik è scacco matto per la NATO e gli Stati Uniti

 

Tutte le portaerei americane potrebbero essere distrutte in pochi minuti. Tutte le basi militari statunitensi, tutti i bunker sotterranei, tutti i siti di lancio di missili balistici intercontinentali, i cantieri navali, ecc… possono essere distrutti da questi missili usando l’energia cinetica non nucleare

 

Non esistono trattati esistenti (per quanto ne so) che vietino questo sistema d’arma, e non distrugge le infrastrutture circostanti o le popolazioni civili di massa. È un’arma chirurgica distruttiva e inarrestabile che essenzialmente lancia fulmini metallici dal cielo, proprio come il martello di Thor o le comete di Dio

 

Nessuno ha protezione contro di essa, e la portata di queste armi, montate su veicoli di lancio intercontinentali, è globale

 

Ora l’occidente deve ritirarsi o ricorrere al nucleare. Molto probabilmente sceglieranno le armi nucleari per disperazione, fai attenzione

 

La Russia ha appena cambiato le sorti della guerra e ha raggiunto il dominio globale

 

Nessuno nella stampa occidentale se ne è nemmeno accorto. Sono troppo stupidi, troppo presuntuosi o troppo arroganti per capire cosa è appena successo. È come giocare a scacchi con Putin e pensare di poter competere, quando all’improvviso la regina di Putin spara un lanciafiamme sulla scacchiera e frigge tutti i tuoi pezzi, dando loro fuoco

 

Pensavi di giocare a “scacchi”, ma Putin stava giocando a un altro gioco chiamato “lanciafiamme”

 

Questo è ciò che è accaduto

 

La cosa drammatica è che ha ragione… I lobotomizzati che ci governano non hanno minimamente capito cos’è successo con la messa in campo del sistema Oreshnik

 

Noi abbiamo mentecatti come Tajani che dicono che sono missili sovietici rimodernati (https://t.me/LombardiaRussiaGeN/28776)

 

E quando hai al governo simili lobotomizzati, le cose non possono che finire malissimo per noi…

Contare in morti in guerra non è un morboso esercizio di necrofilia. Di Claudio Martinotti Doria

Il fatto che io abbia insistito negli ultimi articoli dedicati alla guerra in Ucraina sull’effettivo numero di morti dell’esercito ucraino (rapportandolo a quelli russi) non è frutto di malcelata necrofilia, nulla di morboso, ma è perché tecnicamente sapere quanti siano i caduti offre un quadro preciso delle prospettive belliche del paese, correlandolo ai dati demografici e socioeconomici.

Gli ultimi dati forniti dagli stessi funzionari USA, che probabilmente nel cambio di narrativa attualmente in corso sono stati autorizzati a farlo, riferiscono di circa mezzo milione di caduti, intendendo morti e feriti gravi non più in grado di combattere (ad esempio i mutilati). Vi è stata addirittura una fonte interna all’Ucraina (un’istituzione filogovernativa) che ha riferito di 350mila morti, in netto contrasto con il regime nazista di Kiev che con ostentata patetica protervia insiste a riferire da parecchi mesi che sono solo 13mila, come circa un anno fa quando corresse la von del Leyen che affermò essere 100mila. Per il regime di Kiev nell’ultimo anno non è morto nessun soldato ucraino.

Personalmente avevo riferito pressappoco gli stessi numeri dei funzionari USA parecchi mesi fa, molto prima della cosiddetta e impropriamente definita “controffensiva”, durante la quale si stima vi siano stati altri 40/50 mila morti.

Sui feriti non sono d’accordo con le fonti occidentali, come scrissi già in passato. I feriti in una guerra convezione ad alta intensità, come è ormai divenuto il conflitto in Ucraina, sono mediamente il triplo dei morti, e di questi almeno il 25% riporta ferite gravi, invalidanti, cioè rimangono mutilati e/o non più in grado di combattere. Ma non è il caso del conflitto in Ucraina, perché è caratterizzato da un uso intensivo dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei e missilistici da parte russa, in un rapporto di 10 a 1 rispetto all’Ucraina. Questo significa che la stragrande maggioranza, forse anche il 90% dei feriti ucraini, non sono stati colpiti da armi da fuoco ma da esplosioni, quindi da onde d’urto e schegge. Sono cioè stati fatti letteralmente a pezzi. Ecco perché sono definiti “carne da cannone”.

Le ferite da artiglieria sono molto più gravi e laceranti di quelle da armi da fuoco, devastano il corpo e gli organi interni e le articolazioni. Molti feriti non sopravvivono, soprattutto considerando che i tempi medi di soccorso da parte ucraina sono dieci fino a venti volte superiori a quelli russi, che vengono praticamente soccorsi nei minuti successivi. Per i soldati ucraini passano ore prima che riescano a trasportarli in un ospedale per essere assistiti e curati alla meno peggio, quando gli va bene che non siano abbandonati a morire di una lenta agonia. Questa è la triste, cruda e spietata realtà dei fatti, come testimoniato dagli stessi soldati ucraini.

Questo significa che i feriti a distanza di tempo muoiono o rimangono gravemente invalidi per non aver ricevuto tempestiva assistenza sul campo. Quindi a mio avviso la cifra di 50mila mutilati tra i soldati ucraini, fornita dalle fonti occidentali (quelle serie) non corrispondono a mio avviso alla realtà, sono molti di più. Dalle fonti cui attingo abitualmente, che analizzando scrupolosamente i video, documenti e testimonianze dirette sul campo, mi sono fatto l’idea che i morti siano ormai ben oltre i 500mila e i feriti gravi non meno di 250mila. In sostanza il regime nazista di Kiev ha perso 750mila uomini. Ecco perché da diversi mesi ha scatenato migliaia di commissari per l’arruolamento forzato di reclute e in rete hanno circolato migliaia di video (nonostante i divieti e i rischi) che denunciavano i metodi brutali di arruolamento, che applicavano sistematicamente il sequestro in strada o nelle proprie abitazioni di tutti gli uomini in età per combattere.

Siccome molti commissari erano corrotti e in cambio di denaro o beni preziosi rinunciavano ad arruolare chi li pagava, il regime di Kiev li ha sostituiti con altri ferocemente nazisti, privi di scrupoli, obbligati ad ottenere un risultato certo, pena gravi conseguenze per loro, ecco perché ultimamente il sistema di reclutamento si è intensificato e divenuto ancora più brutale, solo che non hanno tenuto conto della reazione popolare, ormai satura e non più disposta a sopportare repressioni e violenze.

Così sta succedendo che ogni tanto trovano un commissario massacrato di botte e/o giustiziato con armi da fuoco (di cui moti cittadini ucraini sono dotati). E quando le autorità indagano non trovano un solo testimone disposto a parlare. L’omertà e quindi la complicità popolare è assoluta.

Un grosso problema per il regime di Kiev, a corto di carne da cannone. Se insistono rischiano una sorta di guerra civile, cioè si ammazzeranno tra di loro. Fare il commissario arruolatore è divenuto rischioso come andare a combattere al fronte.

Ora cercherò di spiegare il perché di questa situazione, ricorrendo ai dati demografici e anagrafici.

La popolazione ucraina era ai tempi dell’indipendenza dall’Unione Sovietica di circa 50milioni di persone.

Fin dalle prime rivoluzioni colorate filooccidentali dei primi anni del nuovo millennio e negli anni fino al colpo di stato del 2014 orchestrato dagli USA, la popolazione ucraina era già calata di una decina di milioni, emigrati in tutta Europa e Russia in cerca di migliori condizioni di vita, per poi mantenere la famiglia rimasta in patria con le rimesse, non essendoci lavoro nel proprio paese.

Dopo il colpo di stato del 2014 divenne evidente per gli ucraini filorussi e russofoni, che per loro tirava una brutta aria di stampo nazionalista e perfino nazista e russofoba, quindi ne emigrarono in alcuni anni alcuni milioni e circa 5 milioni non fecero più parte dell’Ucraina in quanto residenti nelle regioni secessioniste autoproclamatisi indipendenti del Donbass. In totale all’incirca altri 10milioni di ucraini si sono sottratti al dominio del regime nazista di Kiev.

Poi allo scoppio del conflitto con la Russia nel febbraio 2021 ci fu un altro fuggi-fuggi generale per sottrarsi alla guerra, oltre tre milioni di russofoni si rifugiarono in Russia (che ormai ne ospita, secondo le stime dai 5 ai 7 milioni) e altrettanti emigrarono in Europa, pagando tangenti varie alle guardie di frontiera oppure sono riusciti a fuggire di nascosto. Nel frattempo altre regioni ucraine del Sud e quasi l’intero Donbass furono acquisite e poi annesse alla Russia sottraendo altri milioni di ucraini al controllo del regime di Kiev.

Quindi ad essere ottimisti il regime di Kiev allo stato attuale controlla (si fa per dire, meglio sarebbe dire “minaccia e opprime”) solo 17-18 milioni di ucraini rimasti in patria, perlopiù a occidente del grande fiume Dnepr. E di questi la stragrande maggioranza sono donne, anziani e giovani non maggiorenni. Ecco perché il regime è alla disperazione non disponendo più di carne da cannone da inviare al fronte. I pochi rimasti piuttosto che farsi quasi certamente ammazzare al fronte e morire per un regime corrotto e odioso, preferirebbero affrontare armati i commissari arruolatori oppure simulare di voler combattere per poi arrendersi alla prima occasione (come avviene sempre più spesso), sempre che riescano a evitare di farsi sparare alla schiena dai loro ufficiali, ma anche questi alla lunga potrebbero finire come i commissari arruolatori.

Una situazione irrisolvibile per il regime di Kiev, che non potrà nascondere a lungo ai partner occidentali, certamente non ai servizi di intelligence USA e UK e polacchi, vista la loro pervasiva presenza sul suolo ucraino. Soprattutto i polacchi lo sanno benissimo.

La Polonia ha già perso oltre 10mila soldati inviati come mercenari per combattere a fianco degli ucraini, e anche loro hanno subito la stessa sorte degli ucraini in termini di feriti, un enorme tributo di sangue per il quale la Polonia vuole delle importanti contropartite. Sapendo la grave debolezza in cui versa il regime di Kiev la Polonia approfitterà certamente di tale vulnerabilità, non appena l’esercito ucraino collasserà e le forze russe avanzeranno fino al fiume Dnepr e occuperanno la regione di Odessa dominando l’accesso al mare.

A mio avviso l’enorme investimento della Polonia per rafforzare il suo esercito non ha solo lo scopo di affrontare la Russia in una guerra che sanno costerebbe loro lacrime e sangue, ma per occupare l’Ucraina Occidentale e annetterla sotto forma di protettorato polacco per poi difenderla dai russi.

Anche se a leggere i resoconti dei media occidentali sembrerebbe che l’esercito polacco sia fortissimo, in realtà ai ritmi di armamento e reclutamento attuali, occorreranno comunque due o tre anni per essere operativo, quindi non sono in grado attualmente di scendere in guerra contro la Russia, ma potranno soltanto contenerla al confine naturale rappresentato dal grande fiume Dnepr.

Una cospicua parte dell’esercito polacco dovrà rimanere schierato al confine con la Bielorussia, non potendo escludere, dal loro punto di vista, una possibile aggressione russa da quella parte, nel momento in cui la Polonia ufficialmente facesse entrare sul suolo ucraino le sue forze armate, perché sarebbe un atto di guerra.

Quindi, anche se è vero che i polacchi sono russofobi, non credo siano totalmente pazzi e suicidi, forse parte del governo ma non la maggioranza della popolazione, per cui non credo che affronteranno la Russia direttamente sostituendosi agli ucraini, per compiacere gli USA-UK, ma si limiteranno a cercare (non significa riuscirci) di portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo, approfittando della debolezza altrui.

Per concludere la conta dei morti e feriti anche da parte russa, riferisco per semplificare che la maggioranza degli analisti occidentali seri e indipendenti (non propagandisti NATO) stima in 1 a 8 il rapporto morti e feriti tra russi e ucraini (personalmente propenderei per 1 a 10), quindi le conclusioni traetele voi, tenendo conto di quanto ho riferito

In precedenza, cioè che l’artiglieria ucraina è ridotta a un decimo di quella russa, quindi i feriti russi da artiglieria sono infinitamente meno in proporzione, e l’assistenza e le cure ai soldati russi feriti è praticamente immediata e di elevatissima qualità, per cui il numero di invalidi e mutilati è ridottissimo.

Appare evidente a chiunque abbia avuto la pazienza di leggere questo mio modesto articolo, che le prospettive belliche dell’Ucraina sono ridotti al lumicino. Nonostante i loro sforzi non sono riusciti neppure ad avvicinarsi alla prima linea difensiva russa, e dopo ve ne sono altre due.

Finora tutti i numerosi attacchi ucraini sono stati fermati solo dagli avamposti difensivi russi, dai campi minati, dall’artiglieria mobile e delle retrovie e dall’aviazione leggera (perlopiù elicotteri e droni), che è riuscita in questi mesi a distruggere il 50% delle loro armi pesanti, soprattutto i mezzi corazzati, forniti dall’Occidente (quelli che avrebbero dovuto cambiare le sorti della guerra) e a uccidere tra i 40 e i 50mila soldati ucraini mandati all’attacco senza adeguata copertura aerea, come carne da cannone.

E nonostante queste evidenze oggettive, l’Occidente continua ancora a fornirli di armi, rendendosi moralmente responsabile della loro inutile morte e della sofferenza dei pochi sopravvissuti. Un’ignominia.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

Ecoansia e altre amenità _ Di Claudio Martinotti Doria

Ecoansia e altre amenità

Di Claudio Martinotti Doria

Quante volte ho avuto la tentazione di scrivere un articolo durante i mesi trascorsi, ma poi mi sono sempre detto che in fondo l’argomento l’avevo già affrontato, in genere prevedendolo nei suoi sviluppi con discreta approssimazione, e mi sarei dovuto limitare a brevi aggiornamenti, pertanto rinunciavo, complice anche la vista sempre più indebolita dai 40 anni trascorsi davanti a uno monitor del pc.

Solo ora mi sono deciso a scrivere qualche nota, anche per mettere alla prova la mia vista sempre più sfocata e la conseguente concentrazione, necessaria per scrivere con un minimo di grano salis.

A motivarmi a scrivere è stato in primo luogo l’incredibile e paradossale riscontro che a rifiutarsi di fare la fine di solito riservata a fine ciclo, dei vassalli servili e utili idioti delle élite anglosassoni e affini, sono stati gli africani. Oltre alle sacrosante motivazioni ostili al neocolonialismo, parassitismo, saccheggio, e altre amenità comportamentali tipiche degli imperi neocoloniali (USA in primis), credo gli stati e alcuni popoli africani, si siano accorti di quali pessime e tragiche fini erano destinate le nazioni e popolazioni che si erano fidate degli americani e loro vassalli europei. E tale riscontro stride fortemente con il fatto che le nazioni e le supponenti popolazioni europee, pare non essersene ancora accorte, nonostante siano le principali vittime delle politiche estere, economiche e militari, anglosassoni. L’hanno capita gli africani e gli europei invece no, almeno apparentemente, poi in realtà per molti governi si tratta solo di sottomissione dovuta a corruzione o illusione di carriera, inettitudine e costrizione (ricatti, minacce,  azioni di stampo mafioso, sono ordinaria amministrazione per gli anglosassoni, così come gli omicidi camuffati da suicidi, incidenti domestici, stradali o durante le vacanze).

In breve stanno danneggiando gravemente la loro principale colonia, l’intero continente europeo (con qualche eccezione) per potersi mantenere ancora in vita qualche anno, mantenendo il loro tenore di vita molto elevato, mi riferisco ovviamente alle élite della società anglosassone, non certo al cento medio e medio basso, ormai distrutto anch’esso come in Europa. Perché più che una lotta tra imperi, stati e nazioni, è un conflitto ibrido a tutto campo tra classi sociali, siamo tornati alla lotta di classe, solo che non se ne è accorto quasi nessuno.

Per prolungare l’egemonia ormai al tramonto, gli imperi anglosassoni stanno realizzando una sorta di neofeudalesimo, come scrissi per la prima volta già parecchi anni fa, nel quale i signori feudali in conflitto tra di loro e con alleanze mutevoli, fanno combattere truppe mercenarie e fanno confliggere i servi della gleba dei vari feudi, perché il potere si esercita meglio se la popolazione è ridotta alla lotta per la sopravvivenza e vive nella confusione e paura permanente.

In Europa la più colpita pare essere la Germania, con circa un 25% in più di aziende fallite e una delocalizzazione in atto delle principali industrie tecnologiche e innovative tedesche, che si trasferiscono negli STATI UNITI, dove l’energia costa molto meno, approfittando delle generose agevolazioni create ad hoc dall’amministrazione Biden, proprio mirando a questo scopo: sottrarre le aziende migliori all’UE (il sabotaggio del North Stream aveva questo scopo oltre che quello di separare la Germania alla Russia) e anche di Taiwan.

In realtà la più colpita è l’Italia, solo che i media distolgono l’attenzione dell’opinione pubblica con il trucchetto del diversivo, puntando l’attenzione su quel Paese che sembra messo peggio, a scopo consolatorio e distrattivo.

L’Italia sono almeno una quarantina di anni che intendono spogliarla di tutte le sue ricchezze, ma per riuscirci hanno dovuto procedere per gradi, prima separando il Ministero del Tesoro dalla Banca d’Italia che non fu più obbligata a comprare i titoli di stato emessi ma furono immessi nel fatidico e fantomatico “mercato”, così il debito pubblico inizio a impennarsi. Poi ci fu il famoso incontro del ‘92 sul panfilo Britannia con tutto quelle che ne è conseguito, sul quale non sto ad attardarmi perché hanno scritto decine di libri e centinaia di articoli sull’argomento, è ovvio che per portare avanti un’operazione così complessa e ambiziosa, hanno corrotto e infiltrato migliaia di personaggi nei posti chiave delle istituzioni.

Stiamo parlando di sottrarre agli italiani circa 5000 miliardi di euro di risparmi accumulati (ricchezza privata) e il maggior patrimonio artistico, architettonico, storico, archeologico, immobiliare, naturalistico, ecc.. esistente al mondo, concentrato in una striscia di territorio di appena 300mila kmq in una sorta di “portaerei in mezzo al Mediterraneo” come viene considerata dagli anglosassoni.

Una localizzazione geopolitica strategica che ne ha decretato la sorte.

Noi italiani siamo tendenzialmente esterofili e critici verso noi stessi ma non possiamo negare l’evidenza e sforzandoci di essere realistici dovremmo riconoscere che siamo (nonostante la peggiore classe politica che ci assilla da sempre) il paese più ricco, bello e geniale del mondo, in termini di concentrazione in uno spazio ristretto di tutto quello che possediamo e disponiamo, comprese le migliori menti creative (almeno quelle non ancora emigrate all’Estero m che potrebbero anche tornare se le condizioni lo consentissero). E’ comprensibile che vogliano sottrarcelo. E per farlo le hanno inventate e provate tutte, soprattutto negli ultimi anni, colpendoci a livello sanitario e soprattutto neurologico, perché se la popolazione diventa depressa e confusa sarà più facile ingannarla e farle credere una cosa per un’altra, dire che si sta facendo qualcosa per il loro bene mentre sono messi a 90 gradi per fare ginnastica.

I metodi di inganno e dominio sono gli stessi da millenni, ma modificandone le forme e applicazioni: il ricorso alla paura fino al terrore e al panico è un classico, ma con la psicopandemenza hanno sfiorato la genialità, poi il solito divide et impera che funziona sempre e trova infinite forme di applicazione anche autoalimentate.

Si sono persino inventati l’ecoansia, ingaggiando un’attricetta in cerca di visibilità e carriera, per inscenare la parte e sdoganare il concetto, che adesso, anche se accolto dalla maggioranza ridicolizzandolo, circola come una pubblicità di successo. Un motivetto o tormentone estivo: soffro di ecoansia. Ho cercato di contrastare questo espediente propagandistico di successo con una contromossa ironica da me elaborata subitaneamente, ma ho potuto diffonderla solo a livello minimalistico, nella cerchia di amici e conoscenti, non certo nel sistema mediatico (che disprezzo ed evito) e non arrivando pertanto al grande pubblico, sperando semmai nel passaparola.

La mia contromossa è stata questa: io soffro incontrovertibilmente di ANOANSIA, nel senso che ho la continua ossessiva sensazione che vogliano mettermelo nel culo, in ogni circostanza e contesto sociale, istituzionale, politico, economico, finanziario, previdenziale, ecc., e per placare tale tensione, infiammazione e bruciore perineale, hai voglia ad applicare gel di aloe vera o presunta …. Non dubito che i sondaggi fatti circolare nelle settimane precedenti, sulla diffusione dell’ecoansia siano fasulli, come tutto ciò che viene pubblicato e trasmesso dai media mainstream, ma al contrario sono quasi certo che se facessero un sondaggio serio tra gli italiani sull’ANOANSIA, spiegandola bene, si avrebbe conferma che questa esiste veramente, solo che gli italiani non ne sono ancora consapevoli e non sanno etichettarla. Per farla conoscere agli italiani rendendoli consapevoli di soffrirne ci vorrebbe un comico cabarettista di capacità e notorietà che la declami valorizzandone il concetto, esattamente o ancora meglio dell’attricetta che ha recitato con falsa commozione il concetto di ecoansia.

Dovremmo imparare e reagire sempre, mai subire passivamente una situazione che sappiamo essere per noi nociva. Invece ci limitiamo quasi sempre a parlarne tra di noi, sempre gli stessi.

Concludo con un accenno all’argomento cardine di quasi tutti i miei articoli precedenti, evitando che qualcuno mi rimproveri per averlo trascurato: il conflitto in Ucraina. Se facessi un’estrapolazione dei passi salienti dei miei articoli precedenti potrei comporne uno apparentemente nuovo che sembrerebbe pure aggiornato e attualizzato, salvo alcuni particolari, in quanto sta avvenendo quanto era prevedibile. Gli ucraini stanno facendo la fine degli utili idioti dell’impero anglosassone, carne da cannone che non solo non hanno scalfito neppure la prima delle tre linee difensive russe, ma sono finiti nel tritacarne e tritatutto che avevano predisposto per loro. In tal modo i russi continuano a dimostrarsi estremamente corretti e galantuomini nel condurre il conflitto limitandosi a colpire obiettivi militari e ad uso militare, al contrario del regime nazista di Kiev che colpisce i civili e compie qualsiasi nefandezza e aberrazione criminale per trarre profitto dalla guerra e per sfogare la loro frustrazione da fallimento e per cercare di avere l’approvazione e i finanziamenti occidentali, essendo ormai un regime parassitario che vive esclusivamente di economia di guerra, finanziata da terzi.

La NATO è ormai agli sgoccioli e rischia la stessa sopravvivenza, per cui dovrà alzare l’asticella dell’escalation fino a provocare l’intervento dei pazzi russofobi della cosiddetta Nuova Europa, cioè i paesi dell’Est, le nuove colonie anglosassoni, Polonia e Paesi Baltici, che però se anche si unissero a quello che rimane dell’Ucraina Occidentale, non potrebbero mai trionfare sulla Russia che nel frattempo si è consolidata, accumulando una straordinaria esperienza di guerra sul campo, perfezionando e soprattutto sperimentando nuove armi sempre più efficaci e sofisticate, producendole a ritmi che in Occidente possono solo sognare. Come ho affermato varie volta, questo significa che il tempo lavora a favore della Russia, che continuerà a rispettare e valorizzare la vita umana risparmiando inutili perdite e sofferenze al loro esercito attendendo il momento propizio per sferrare i loro contrattacchi, man mano che l’esercito ucraino collasserà sui vari fronti. Non esiste alcuna arma in dotazione alla NATO che possa impedire che questo avvenga, nessuna arma che possa cambiare le sorti dell’Ucraina, nessuna provocazione o atto terroristico che possa far cambiare strategia alla Russia, perché la leadership russa ha una visione lungimirante mentre le nostre sono penosamente limitate e asservite a loschi interessi di nicchia.

Gli psicopatici russofobi neocons anglosassoni sarebbero anche disposti a ricorrere alle armi nucleari, ma glielo impediscono le altre élite che compartecipano al potere, perché sanno benissimo che basterebbero pochi missili ipersonici SARMAT e droni subacquei POSEIDON per spazzare via completamente l’intera Gran Bretagna e le coste americane dell’Atlantico e del Pacifico, e con i moderni missili antinave in dotazione alla Russia tutte le flotte USA-NATO farebbero la stessa fine ovunque si trovino, e tutto questo avverrebbe pochi minuti dopo aver fatto esplodere un solo ordigno nucleare contro la Russia.

Quindi se vogliamo ragionare seriamente, dobbiamo renderci conto che non ci sarà nessun negoziato, perché la Russia non ritiene credibili e degni di fiducia gli attuali interlocutori, ne gli ucraini, ne la NATO ne l’UE, quindi non rimane loro che portare a termine l’operazione bellica, che come hanno sempre rivelato fin dall’inizio, prevede la completa demilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina. Nessuno potrà impedirlo perché i russi sono persone serie e dotate di una cultura e coesione che noi purtroppo abbiamo perso da diverse generazioni. Noi in Occidente dobbiamo solo nutrire due speranze; che i russi continuino a dimostrarsi moderati e compassionevoli, e che gli attuali leader occidentali scompaiano magari per uno strano fenomeno di abduction collettivo. He sarebbe come dire “non ci resta che sperare negli alieni più evoluti”.

Articolo riproducibile citando la fonte.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

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L’occidente collettivo si è talmente crogiolato nella presunzione della propria superiorità che alla prova dei fatti in Ucraina è crollato come un bluff, a cura di Claudio Martinotti Doria

L’occidente collettivo si è talmente crogiolato nella presunzione della propria superiorità che alla prova dei fatti in Ucraina è crollato come un bluff

L’autore di Giubbe Rosse News riporta nel testo sottostante esattamente quanto avevo argomentato nei miei articoli dei mesi precedenti, in particolare il concetto fondamentale, che gli occidentali (europei in particolare) dovrebbero tenere ben presente, cioè che dovremmo essere grati a Putin per la sua moderazione e pazienza oltre che lungimiranza.

Esattamente il contrario di come i media mainstream lo descrivono (falsamente, mentendo sapendo di mentire). Lo dobbiamo considerare un amico dell’Occidente, dell’Europa in particolare, in quanto rappresenta il senso comune di appartenenza culturale e antropologica del popolo russo occidentale (Russia Europea) alla comunità europea, intesa come comunità di popoli, non certo politica e istituzionale. Con qualche eccezione, ovviamente, mi riferisco ai popoli dell’Europa dell’Est, piuttosto russofobi.

Questo suo atteggiamento di mediazione e moderazione strategica spiega il fatto che non abbia ancora infierito militarmente sull’Europa, nonostante tutte le gravissime provocazioni subite ripetutamente, bel oltre qualsiasi linea rossa. E’ anche vero che le élite europee sono talmente demenziali, essendo composte da minus habens, che si stanno suicidando da sole e quindi sarebbe inutile e crudele infierire su di esse, anche perché sarebbero i popoli a subirne le conseguenze, che sarebbero ancora più gravi di quelle attualmente già pesanti e debilitanti, e Putin, lo ripeto per l’ennesima volta, non vuole colpire i popoli ma i loro governanti e servitori.

Putin sta mantenendo una sorta di guerra fredda impedendo che diventi calda, nonostante le élite occidentali (in particolare quelli anglofoni) facciano di tutto per renderla calda, anzi caldissima. In particolare gli USA sperano che la guerra rimanga in Europa e non colpisca mai il territorio americano, anche se iniziano a nutrire qualche dubbio, sapendo di quali armi apocalittiche dispone la Russia, in grado di radere al suolo in pochi minuti tutte e due le coste del paese, Atlantico e Pacifico, non avrebbero neppure il tempo di accorgersi di cosa gli sta venendo addosso.

Con la potenza bellica di cui dispone la Russia, nettamente superiore a quella occidentale, il fatto che i russi si limitino a una guerra convenzionale, nonostante l’aberrante e criminale comportamento nazi-ucraino, rende un fatto accertato che Putin e il suo entourage non intende infierire sull’Europa, ma è la sua leadership che sta infierendo masochisticamente su se stessa per un’autolesionista pusillanime sottomissione alle politiche USA-NATO.

Putin deve solo attendere che l’Occidente si danneggi da solo con le sue ottuse e deleterie scelte strategiche, fino a che non collasserà o imploderà. Che senso avrebbe bombardare un territorio se sai già che presto sarà colpito da un terremoto? Quando un popolo o più popoli, come nel caso europeo, sono governati da stupidi, occorre attendere che gli stupidi abbiano esaurito il loro entourage composto da altri stupidi,  fino a che si siano distrutti a vicenda e inizino a comparire persone meno stupide. Intendiamoci, gli stupidi non si estingueranno mai, ma occasionalmente e temporaneamente potrebbero esaurirsi le scorte …

Claudio Martinotti Doria

Di qua e di là del fronte

Enrico Tomaselli 23 Luglio 2023 – GIUBBE ROSSE NEWS

https://giubberosse.news/2023/07/23/di-qua-e-di-la-del-fronte/

Mentre sulla linea di combattimento emergono, in tutta la loro evidenza, i limiti tattici e strategici della NATO, preludio ad una sconfitta che è già nei fatti, ed a cui manca solo la sanzione formale e finale, all’interno della Federazione Russa si gioca un’altra partita, non meno importante, soprattutto per gli europei; ed a cui proprio gli europei dovrebbero prestare attenzione, giacché da lì dipende il futuro del vecchio continente nei decenni a venire.

Sulla linea di combattimento

Come era facilmente prevedibile – ed infatti previsto – il tentativo di passare ad una postura offensiva, da parte delle forze armate ucraine, cercando di replicare i successi della scorsa estate, non solo non ha dato i risultati sperati, ma si è trasformato in un vertiginoso incremento delle perdite.
Se infatti l’offensiva dell’estate 2022 consentì a Kiev di riprendere Kharkiv (profittando del fatto che i russi avessero lasciato quel settore quasi sguarnito) e la parte di Kherson sulla riva destra del Dniepr (da cui però i russi decisero di ritirarsi senza neanche combattere, per una scelta strategica del Generale Surovikin), stavolta per l’esercito ucraino si è trattato di andare all’attacco di forze considerevoli, ben fortificate, e largamente superiori in alcuni ambiti fondamentali – artiglieria, aviazione d’attacco, guerra elettronica.

Il risultato di sei settimane di controffensiva è semplicemente devastante, per Kiev. Tanto che ormai in occidente si comincia (sia pur malvolentieri) ad archiviare questa storia, e tutte le aspettative ad essa connesse. Dopo il sanguinoso tritacarne dell’ostinata resistenza a Bakhmut, contro ogni logica militare, il salasso di sangue pagato in queste ultime settimane rende le cose davvero complicate, per il regime ukronazi. Ormai le perdite viaggiano sull’ordine dei 400.000 KIA, una cifra enorme rispetto ai numeri delle forze impiegate.
Tra l’altro, la capacità di mobilitazione diventa sempre più difficoltosa; benché vi sia potenzialmente un bacino ancora ampio cui attingere (1), non si può certo dire che l’Ucraina sia percorsa da un fremito patriottico, che spinge ad arruolarsi volontariamente. Ovviamente, la consapevolezza che ci sono elevatissime probabilità di restare uccisi è la prima ragione che raffredda l’afflato nazionalistico; ma anche la dilagante corruzione degli ufficiali, spesso più preoccupati di lucrare in ogni modo possibile che di combattere, fa la sua parte.

Del resto, ormai sono centinaia, se non migliaia, le testimonianze video dei reclutamenti forzati, veri e propri rastrellamenti. Da ultimo, il governo di Kiev ha stretto accordi con vari paesi europei affinché questi si incarichino a loro volta di rimandare in Ucraina gli uomini delle classi richiamate, e precedentemente rifugiatisi all’estero allo scoppio dell’Operazione Speciale Militare. Tutti segnali, appunto, di una difficoltà di reclutamento. Ciò nonostante, secondo l’attuale Ministro degli affari dei veterani ucraino, alla fine della guerra “la nostra previsione è che ce ne saranno almeno 4 milioni” (2). Secondo i media ucraini, “la cifra è abbastanza spaventosa, perché è più di quattro volte l’attuale forza delle forze armate ucraine”.
Ovviamente questa stima ha un suo senso nella previsione che il conflitto si protragga ancora a lungo, non meno di altri due anni. Per arrivare a quei livelli di mobilitazione, stante la situazione precedentemente descritta, e che tende ad aggravarsi, è infatti necessario un tempo abbastanza lungo; peraltro, ammesso che non venga meno il fattore tempo, benché il regime zelenskyano si sia dimostrato disponibilissimo a fornire carne da cannone alla proxy war della NATO, resta comunque l’esigenza di addestrare ed armare questa eventuale massa di mobilitati. Cosa che, allo stato, appare sempre più complicata, viste le crescenti difficoltà della NATO stessa.

Uno degli esiti della fallimentare strategia ukro-NATO, infatti, è il consumo quasi completo delle disponibilità di armamenti da parte dei 33 paesi membri dell’Alleanza. Il che ha mostrato, tra l’altro, non solo l’impreparazione strategica nell’affrontare un conflitto ostinatamente voluto e provocato, ma anche gli enormi limiti del potenziale militare della NATO stessa. Tutte le potenti tecnologie belliche fornite a Kiev, spesso spacciate per decisivi game changer, si sono alla fine dimostrate estremamente sopravvalutate. E non si tratta semplicemente di un cattivo uso da parte degli ucraini, come pure qualcuno vorrebbe far credere, a cui semmai si deve rimproverare l’aver seguito le direttive tattiche impartite dagli addestratori e dai comandi NATO; né tanto meno di una mera questione d’insufficienza quantitativa.
Il problema, e qui sarebbe necessario aprire ben altro capitolo, è strutturale, quasi ideologico. L’occidente collettivo si è talmente a lungo crogiolato nella presunzione della propria superiorità (morale, politica e tecnologica, mettendo quest’ultima alla prova prevalentemente contro forze infinitamente inferiori sotto ogni profilo), da aver messo a punto un modello – strategico, tattico, e quindi anche iper-tecnologico – che discende direttamente da questa idea di superiorità. Il giardino borrelliano non può che vincere, contro la giungla.

La realtà della guerra guerreggiata, si è incaricata di spazzare via questa illusione. Disporre di strumenti altamente tecnologici, costosissimi e quindi disponibili in quantità limitate, non serve quando si deve fronteggiare un esercito di pari livello, che dispone di strumenti un po’ meno sofisticati, ma in grandissima quantità.
Inoltre, c’è una questione rilevantissima, che incredibilmente i comandi NATO sembrano aver sottovalutato. Il modello strategico occidentale è basato interamente sulla coordinazione terra-aria, e richiede quindi l’impiego massiccio di una forza aerea predominante. Senza di questa, il modello semplicemente non funziona, e si traduce in un tritacarne (ed un tritacarri).
Non è per un caso che la NATO, se ancora può disporre – almeno teoricamente – di un vantaggio strategico (nei confronti di Russia-Cina-Iran) è proprio nel campo dell’aviazione, sulla quale ha investito moltissimo. E si tratta appunto, anche qui, di un vantaggio teorico, in quanto mai verificato sul campo.
E comunque il dato quantitativo non è privo d’importanza. È infatti ben chiaro che fornire i caccia-bombardieri F-16 a Kiev resta strategicamente insignificante, non solo perché la Russia dispone di migliaia di velivoli equivalenti o migliori, ma perché i sistemi di difesa aerea russi ne farebbero strame.

Sul fronte interno

Ha di recente fatto un po’ di scalpore la notizia dell’arresto, da parte delle forze di sicurezza russe, di Igor Girkin ‘Strelkov’. Famoso combattente del Donbass durante la guerra civile, Strelkov è poi diventato un esponente di punta di quel mondo iper-nazionalista russo, estremamente critico nei confronti delle scelte strategiche del Cremlino, verso cui non ha risparmiato critiche ferocissime.
Questo arresto va a mio avviso inquadrato in un contesto più ampio, che serve a meglio comprendere cosa sta accadendo dietro la prima linea.
In questo quadro, vanno collocati sia il fallito putsch di Prigozhin, sia il ridislocamento della Wagner in Bielorussia, sia l’incontro di Putin con i blogger di guerra lo scorso giugno. Per restare ovviamente ai fatti più noti.

Anche se lo storytelling occidentale ama dipingere la Russia come un’autocrazia orientale ed un po’ barbara, la realtà è alquanto diversa. Fondamentalmente, la Federazione Russa è una democrazia rappresentativa presidenziale, come può esserlo la Francia e gli stessi Stati Uniti, anche se ovviamente – per ragioni storiche e culturali – vi sono delle differenze, formali e sostanziali. Ma soprattutto, la Russia (la sua parte più popolosa ed importante) è e si sente europea.
Ne consegue che la società russa contemporanea non è poi molto dissimile da quella di qualunque altro paese europeo, ed al suo interno – fermo restando il larghissimo consenso di cui dispone Putin, anche da prima del conflitto (3) – si muovono diverse correnti di pensiero politico, le cui diversità si riflettono poi anche sulle questioni di merito relative al conflitto in Ucraina.
C’è una componente liberal, cosmopolita, che guarda all’occidente, composta prevalentemente – ma non solo – dall’oligarchia economica, che nei rapporti con l’ovest ha ulteriormente sviluppato il proprio successo economico, così come c’è una variegata componente nazionalista, che rivendica con forza la rottura, culturale e politica, con questo occidente.

La posizione di Putin, e del suo gruppo dirigente, che deve comunque fare i conti con queste realtà presenti all’interno della nazione, è in un certo qual senso mediana. C’è ovviamente piena consapevolezza che – quella che stiamo attraversando – è una fase di rottura nei rapporti est-ovest, e che non si tratta di una questione di breve durata. Con un orizzonte, a voler essere ottimisti, di nuova guerra fredda, è chiaro che la Federazione deve essere in qualche modo ridislocata strategicamente, non solo sotto il profilo economico e militare, ma in senso più ampio anche geopoliticamente; il che comporta un lavoro anche culturale. Ma, al tempo stesso, c’è consapevolezza che il ruolo storico della Russia è quello di fare da ponte tra Europa ed Asia, di essere lo snodo centrale di una prospettiva euroasiatica. Senza questo ruolo, se l’asse geopolitico venisse spostato completamente verso l’Asia, la Russia sarebbe destinata ad essere fagocitata politicamente dalla Cina. Si tratta quindi di giocare una partita di grande equilibrio, che per un verso deve fare i conti con l’esigenza di pendere tatticamente ad est, ma senza mai perdere di vista l’esigenza – altrettanto importante – di non disperdere il sentiment di appartenenza europea.

Per questo diventa necessario segare sul nascere quelle forme di opposizione troppo radicali, e che si spingono troppo oltre nella critica; del resto, si tratta pur sempre di un paese in guerra. In quel presunto tempio della democrazia che sta dall’altra parte del fronte, accade quotidianamente molto ma molto di peggio.
Ugualmente, diventa necessario spiegare ai corrispondenti dal fronte indipendenti che la questione non è meramente tattico-strategica, ma che ha una dimensione (ed una prospettiva) assai più ampia, e che pertanto è necessario tenerla presente anche quando – legittimamente – si muovono critiche al modus operandi delle forze armate.
C’è infine da tener presente, anche a fronte di un (sia pur maldestro) sollevamento come quello della Wagner, non solo della popolarità acquisita dalla PMC, ma anche del ruolo che questa svolge e può svolgere, sullo scacchiere internazionale.

La soluzione di compromesso adottata per risolvere la crisi innescata da Prigozhin, quindi, al di là di come possa apparire, va letta ed inquadrata ancora una volta in un contesto strategico più ampio. Il fatto che Prigozhin stesso sia stato graziato per la sollevazione, non toglie che sia sempre sotto scopa in Russia, dove si trovano le sue altre imprese ed i suoi beni. È chiaro che il suo ruolo sarà sempre più ridimensionato, anche mediaticamente, mentre tornerà ad essere centrale la figura di Urkin, il capo militare e fondatore della PMC. In fondo, la compagnia è nata da e per conto dei servizi di sicurezza militari. Il suo ruolo in Africa è strategicamente importante, e non può essere facilmente sostituito.
Ma soprattutto è chiaro che il trasferimento in Bielorussia risponde ad un preciso disegno strategico. Che non è certamente quello di farne una base offensiva verso ovest, come pure racconta la narrazione NATO style.

Dal punto di vista russo, la Bielorussia è assai più che un paese amico; sostanzialmente, è quasi una marca ad ovest, ma al tempo stesso è anche un po’ un ventre molle. Mosca, più che altro, teme che possa essere oggetto di una manovra aggirante della NATO, combinando tentativi insurrezionali interni ed attacchi esterni. Tenendo presente questo punto di vista, si spiegano meglio una serie di mosse. Che sono anche concatenate tra loro.
Dispiegare lì i missili nucleari tattici non ha solo un valore dissuasivo verso la NATO, e di riequilibrio dopo l’adesione della Finlandia, ma significa indicare in modo forte e chiaro come Mosca guarda a Minsk. Cosa poi ribadita ancor più esplicitamente da Putin, quando ha affermato che un attacco contro la Bielorussia sarebbe considerato equivalente ad un attacco contro la Russia stessa.
A sua volta, dispiegare lì anche la Wagner significa aggiungere un dissuasore importante, rispetto ai temuti piani NATO, nonché una protezione per le armi nucleari che vi sono state portate. Last but not least, può rappresentare sia un modo per riportare in Russia parte delle truppe che si trovano attualmente in territorio bielorusso, sia per togliere dal territorio russo un possibile interlocutore per quelle forze iper-nazionaliste di cui si è detto.

Insomma, quella che stanno giocando Putin e i suoi è una partita a scacchi, che vede per scacchiera il mondo intero. Già solo per questo, per la portata delle questioni in ballo, sarebbe bene che gli europei tifassero Putin a più non posso; la sua posizione equilibrata, infatti, è la miglior garanzia non solo per prevenire tremende escalation, ma soprattutto per assicurare una possibilità ad un dopo più ragionevole. E ciò a prescindere dal fatto che si possa essere o meno d’accordo con la sua politica.
Il 24 marzo 2024, mesi prima che in USA, in Russia si voterà per le presidenziali. L’ultima dichiarazione in merito di Putin era che non intendesse ricandidarsi, ma è ragionevole credere che non si sottrarrà a questa responsabilità proprio mentre il paese, sotto la sua guida, si trova a metà del guado. Di certo, diversamente da quel che accade in Ucraina, non cancellerà il voto col pretesto della guerra. Un prevedibile successo plebiscitario darebbe alla Russia la forza per superare di slancio la crisi, e portare a compimento un disegno che la vede – ora e sempre – parte della famiglia europea.

1 – Cfr. “Una lunga estate calda”Giubbe Rosse News
2 – Interessante notare che questa cifra corrisponde esattamente a quella che stimavo raggiungibile con una mobilitazione totale. Cfr. “Una lunga estate calda”, ibidem
3 – Fondamentalmente, il sostegno a Putin va attribuito alla sua capacità di risollevare la Russia dal disastro post-sovietico in cui l’avevano precipitata Gorbaciov prima, e Eltsin poi. Ma vi hanno contribuito sia la capacità di stroncare il terrorismo islamista (le due guerre cecene), sia la scelta di intensificare i rapporti con l’Europa.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

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Il 23 agosto l’UE renderà esplicito il suo regime autoritario di censura e di soppressione del dissenso, a cura di Claudio Martinotti Doria

Il 23 agosto l’UE renderà esplicito il suo regime autoritario di censura e di soppressione del dissenso. Il progetto è globale, non si limita al nostro continente.

L’articolo che vi propongo è tra i più esaustivi disponibili in rete, tratto da IL MIGLIO VERDE https://www.miglioverde.eu/23-agosto-2023-in-inizia-il-regime-di-censura-di-massa-dellue-diventera-globale/ cui sono abbonato, pubblicazione del Movimento Libertario Italiano di cui sono componente da oltre vent’anni. E’ una lettura indispensabile. Claudio

Da: Leonardofaccoeditore [mailto:leonardofaccoeditore@gmail.com]
Inviato: lunedì 24 luglio 2023 19.05
A: Claudio
Oggetto: Re: per favore inviami questo articolo completo, ciao

di NICK CORBISHLEY

La censura governativa della libera espressione online nelle democrazie occidentali apparentemente liberali è stata finora in gran parte occulta, come rivelato dai Twitter Files. Ma grazie al Digital Services Act dell’UE, sta per diventare palese.

Il mese prossimo si verificherà un evento poco conosciuto che potrebbe avere enormi ripercussioni sulla natura del “discorso pubblico” su Internet in tutto il pianeta. Il 25 agosto 2023 è la data entro la quale le grandi piattaforme di social media dovranno iniziare a conformarsi completamente al Digital Services Act (DSA) dell’Unione Europea. Il DSA, tra le tante cose, obbliga tutte le “Very Large Online Platforms” (VLOP – Piattaforme online di grandi dimensioni) a rimuovere rapidamente dalle loro piattaforme i contenuti illegali, i discorsi di odio e la cosiddetta disinformazione. In caso contrario, rischiano multe fino al 6% del loro fatturato globale annuo.

La Commissione ha finora compilato un elenco di 19 VLOP e VLOSE (Very Large Online Search Engines – Motori di ricerca online molto grandi), la maggior parte dei quali statunitensi, che dovranno iniziare a conformarsi alla DSA entro 50 giorni:

  • Alibaba AliExpress
  • Amazon Store
  • Apple AppStore
  • com
  • Facebook
  • Google Play
  • Google Maps
  • Google Shopping
  • Instagram
  • LinkedIn
  • Pinterest
  • Snapchat
  • TikTok
  • Twitter
  • Wikipedia
  • YouTube
  • Zalando

Very Large Online Search Engines (VLOSEs):

  • Bing
  • Google Search

Le piattaforme più piccole dovranno iniziare ad affrontare i contenuti illegali, i discorsi d’odio e la disinformazione a partire dal 2024, sempre che la legislazione sia efficace.

Come riporta Robert Kogon per Brownstone.org, il DSA “include un «meccanismo di risposta alle crisi» (art. 36) che è chiaramente modellato sulla risposta inizialmente data ad hoc della Commissione europea al conflitto in Ucraina e che richiede alle piattaforme di adottare misure per mitigare la «disinformazione» legata alle crisi”.

In un discorso tenuto all’inizio di giugno, la vicepresidente dell’UE per i Valori e la Trasparenza, Věra Jourová, ha chiarito in modo inequivocabile quale sia il Paese attualmente bersaglio principale dell’agenda di censura dell’UE (non ci sono punti per chi indovina):

  • La cooperazione tra i firmatari e l’elevato numero di nuove organizzazioni disposte a firmare il nuovo Codice di condotta dimostrano che esso è diventato uno strumento efficace e dinamico per combattere la disinformazione. Tuttavia, i progressi rimangono troppo lenti su aspetti cruciali, soprattutto quando si tratta di affrontare la propaganda di guerra pro-Cremlino o l’accesso indipendente ai dati…
  • Mentre ci prepariamo alle elezioni europee del 2024, invito le piattaforme ad aumentare i loro sforzi nella lotta alla disinformazione e ad affrontare la manipolazione dell’informazione russa, e questo in tutti gli Stati membri e in tutte le lingue, grandi o piccoli che siano.

Ecco a voi l’Enforcer

L’UE sta offrendo alle aziende tecnologiche poco spazio di manovra. Quando a fine maggio Twitter si è ritirato dal Codice di condotta dell’UE sulla disinformazione, il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, ha emesso un’aspra reprimenda e una minaccia non velata, proprio su Twitter:

Jourová ha anche attaccato Twitter, affermando che la piattaforma ha scelto erroneamente la strada dello “scontro”.

Giorni dopo, Breton ha annunciato che avrebbe visitato la Silicon Valley per “sottoporre a stress test” i giganti tecnologici statunitensi, tra cui Twitter, per verificare la loro preparazione al lancio del Digital Services Act il 25 agosto. Definendosi “enforcer”, cioè “esecutore”, al servizio della “volontà dello Stato e del popolo” (come se le due cose fossero la stessa cosa), Breton ha ricordato alle piattaforme tecnologiche che il DSA dell’UE avrebbe trasformato il suo codice di pratiche sulla disinformazione in un vero codice di condotta. Si legge su Politico:

  • “Ci stiamo arrivando, ma non voglio essere esplicito prima perché non voglio parlare troppo. Ma noi offriamo questo e sono felice che alcune piattaforme abbiano accolto la nostra proposta”, ha detto Breton a proposito dei controlli di conformità non vincolanti. “Io sono l’esecutore. Rappresento la legge, che è la volontà dello Stato e del popolo”.
  • “È su base volontaria, quindi non obblighiamo nessuno ad aderire al codice di condotta sulla disinformazione”, ha detto Breton. “Ho solo ricordato (a Musk e Twitter) che entro il 25 agosto diventerà un obbligo legale combattere la disinformazione”.

Sebbene Twitter abbia abbandonato il codice di condotta volontario dell’UE, molte altre sue azioni suggeriscono che si stia conformando alle nuove regole dell’UE sulla disinformazione, piuttosto che sfidarle. Dopo tutto, molte altre piattaforme tra le Big Tech non hanno firmato il codice di condotta, tra cui Amazon, Apple e Wikipedia, ma saranno soggette ai requisiti obbligatori del DSA, se vorranno continuare a operare in Europa. Inoltre, come documenta Kogon, la recente programmazione dell’algoritmo di Twitter include “etichette di sicurezza” per limitare la visibilità della presunta “disinformazione”:

  • Le categorie generali di “disinformazione” utilizzate rispecchiano esattamente le principali aree di preoccupazione prese di mira dall’UE nei suoi sforzi per “regolamentare” il discorso online: “disinformazione medica” nel contesto della pandemia covid, “disinformazione civica” nel contesto delle questioni dell’integrità elettorale e “disinformazione di crisi” nel contesto della guerra in Ucraina. Nel documento presentato a gennaio all’UE (si veda l’archivio dei rapporti qui), nella sezione dedicata proprio ai suoi sforzi per combattere la “disinformazione” legata alla guerra in Ucraina, Twitter scrive (pagg. 70-71):
  • “Utilizziamo una combinazione di tecnologia e revisione umana per identificare in modo proattivo le informazioni fuorvianti. Oltre il 65% dei contenuti in violazione viene rilevato dai nostri sistemi automatici, mentre la maggior parte dei contenuti rimanenti che applichiamo viene rilevata attraverso il regolare monitoraggio dei nostri team interni e la collaborazione con partner fidati”.
  • Inoltre, alcuni utenti di Twitter hanno recentemente ricevuto un avviso che li informava di non essere idonei a partecipare a Twitter Ads perché il loro account è stato etichettato come “disinformazione organica”. Come chiede Kogon: “Perché mai Twitter dovrebbe respingere le attività pubblicitarie?”

La risposta è semplice e diretta: perché lo richiede nientemeno che il Codice di condotta dell’UE sulla disinformazione, in relazione alla cosiddetta “demonetizzazione della disinformazione”.

In definitiva, osserva Kogon, una volta che il DSA entrerà pienamente in vigore, tra un mese, se Elon Musk rimarrà fedele alla sua parola sulla libertà di espressione e sceglierà di sfidare la “task force permanente sulla disinformazione” dell’UE, la Commissione mobiliterà l’intero arsenale di misure punitive a sua disposizione, in particolare la minaccia o l’applicazione di multe pari al 6% del fatturato globale dell’azienda. In altre parole, l’unico modo per Twitter di sfidare effettivamente l’UE è quello di lasciare l’UE.

È una cosa che la maggior parte delle piattaforme tecnologiche può fare, ma che non farà, a causa dell’enorme impatto che avrebbe sui loro profitti. Una possibile eccezione a questa regola sembra essere la piattaforma di streaming Rumble, con sede a Toronto, che a novembre ha disabilitato l’accesso ai suoi servizi in Francia dopo che il governo francese aveva chiesto alla multinazionale di rimuovere le fonti di notizie russe dalla sua piattaforma.

Commissione UE: Giudice e giuria

Quindi, a chi spetta nell’UE definire cosa costituisce effettivamente disinformazione o misinformazione?

Sicuramente sarà compito di un regolatore indipendente o di un’autorità giudiziaria con parametri procedurali chiari e senza o con pochi conflitti di interesse. Almeno questo è ciò che uno spererebbe. Ma… no. A decidere cosa si intende per mal-informazione o dis-informazione, possibilmente non solo nell’UE ma anche in più giurisdizioni del mondo (e su questo punto torneremo più avanti), sarà la Commissione europea. Esatto, il ramo esecutivo dell’UE guidato dalla Von der Leyen, assetato di potere e pieno di conflitti d’interesse. La stessa istituzione che sta distruggendo il futuro economico dell’UE con le sue infinite sanzioni contro la Russia e che è impantanata nel Pfizergate, uno dei più grandi scandali di corruzione dei suoi 64 anni di esistenza. Ora la Commissione vuole portare la censura di massa a livelli mai visti in Europa almeno dagli ultimi giorni della Guerra Fredda.

In questo compito la Commissione avrà, secondo le sue stesse parole, “poteri di applicazione simili a quelli di cui dispone nell’ambito dei procedimenti antitrust”, aggiungendo che “sarà istituito un meccanismo di cooperazione a livello europeo tra le autorità di regolamentazione nazionali e la Commissione”.

La Electronic Frontier Foundation (EFF) sostiene ampiamente molti aspetti del DSA, tra cui le protezioni che fornisce sui diritti alla privacy degli utenti, vietando alle piattaforme di intraprendere pubblicità mirate basate su informazioni sensibili degli utenti, come l’orientamento sessuale o l’etnia. “Più in generale, la DSA aumenta la trasparenza degli annunci che gli utenti vedono nei loro feed, poiché le piattaforme devono apporre un’etichetta chiara su ogni annuncio, con informazioni sull’acquirente dell’annuncio e altri dettagli”. Inoltre, “mette un freno ai poteri delle Big Tech” costringendole a “rispettare obblighi di ampia portata e ad affrontare responsabilmente i rischi sistemici e gli abusi sulle loro piattaforme”.

Ma anche l’EFF avverte che la nuova legge “prevede una procedura rapida per le autorità di polizia per assumere il ruolo di ‘segnalatori di fiducia’ e scoprire dati su oratori anonimi e rimuovere contenuti presumibilmente illegali – che le piattaforme diventano obbligate a rimuovere rapidamente”. L’EFF solleva anche preoccupazioni sui pericoli posti dal ruolo di protagonista della Commissione in tutto questo:

La libertà di parola e la libertà di stampa sono le pietre miliari di ogni autentica democrazia liberale, come osserva l’American Civil Liberties Union (ACLU):

  • Il Primo Emendamento protegge la nostra libertà di parlare, riunirci e associarci ad altri. Questi diritti sono essenziali per il nostro sistema di governo democratico. La Corte Suprema ha scritto che la libertà di espressione è “il contesto, la condizione indispensabile di quasi tutte le altre forme di libertà”. Senza di essa, altri diritti fondamentali, come il diritto di voto, cesserebbero di esistere. Sin dalla sua fondazione, l’ACLU ha sostenuto un’ampia protezione dei diritti del Primo Emendamento in tempo di guerra e di pace, per garantire che il mercato delle idee rimanga vigoroso e senza restrizioni.

Una “lista dei desideri” transatlantica

Il DSA e la proposta del RESTRICT Act sostenuto dall’amministrazione Biden (che Yves ha analizzato ad aprile) sono stati tra gli argomenti discussi durante la recente intervista di Russell Brand a Matt Taibbi. Entrambe le proposte di legge, ha detto Taibbi, sono essenzialmente una “lista dei desideri che è stata fatta circolare” dall’élite transatlantica “per qualche tempo”, anche in occasione di un incontro del 2021 all’Aspen Institute:

I governi vogliono un accesso assoluto, pieno e completo a tutti i dati forniti da queste piattaforme. E poi vogliono un paio di altre cose molto importanti. Vogliono avere l’autorità di intervenire e moderare o almeno di far parte del processo di moderazione. Vogliono inoltre che anche le persone chiamate “segnalatori” di fiducia – così sono descritte nella legge europea – abbiano accesso a queste piattaforme. Si tratta di agenzie esterne quasi governative che dicano a queste piattaforme cosa possono o non possono pubblicare su argomenti come la sicurezza dei vaccini.

In altre parole, l’ambiente legale per la libertà di parola è destinato a diventare ancora più ostile in Europa. E forse non solo in Europa. Come ha scritto Norman Lewis per il sito britannico di notizie online Spiked, il DSA non solo imporrà la regolamentazione dei contenuti su Internet, ma potrebbe anche diventare uno standard globale, non solo europeo:

Negli ultimi anni, l’UE ha ampiamente realizzato la sua ambizione di diventare una superpotenza normativa globale. L’UE è in grado di dettare come comportarsi a qualsiasi azienda a livello mondiale che voglia operare in Europa, il secondo mercato più grande del mondo. Di conseguenza, i suoi rigorosi standard normativi finiscono spesso per essere adottati in tutto il mondo sia dalle aziende che dalle altre autorità di regolamentazione, in quello che è noto come “effetto Bruxelles”. Si pensi al Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), una legge sulla privacy entrata in vigore nel maggio 2018. Tra le tante cose, richiede che le persone diano un consenso esplicito prima che i loro dati possano essere trattati. Questi regolamenti dell’UE sono diventati lo standard globale e lo stesso potrebbe accadere ora per la DSA.

Il GDPR non è l’unico regolamento dell’UE ad essere diventato globale. Qualche settimana fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che adotterà il passaporto digitale per i vaccini dell’UE, in scadenza, come standard globale, come avevamo avvertito più di un anno fa.

 Naturalmente, per quanto riguarda la censura digitale di massa, Washington sta seguendo un percorso simile a quello dell’UE (anche se di fronte a una maggiore resistenza pubblica e giudiziaria). Lo stesso vale per il governo del Regno Unito, che di recente è stato classificato nella terza fascia dell’Indice sulla censura, dietro a Paesi come Cile, Giamaica, Israele e praticamente tutti gli altri Stati dell’Europa occidentale, a causa dell'”effetto agghiacciante” delle politiche governative e della polizia, dell’intimidazione e, nel caso di Julian Assange, dell’incarcerazione dei giornalisti.

Se approvato dalla Camera dei Lord, il disegno di legge sulla sicurezza online darà all’ente regolatore delle telecomunicazioni Ofcom il potere di obbligare i produttori di app di chat e i social media a monitorare le conversazioni e i post prima che vengano inviati per verificare cosa sia lecito dire e inviare e cosa no. In sostanza, porrà fine alla crittografia end-to-end, che consente solo ai mittenti e ai destinatari di un messaggio di accedere alla forma leggibile del contenuto.

  • “È un precedente che permetterà ai regimi autoritari di guardare al Regno Unito per indicare una democrazia liberale che sia stata la prima a espandere la sorveglianza”, ha dichiarato a Channel 4 News Meredith Whittaker, presidente dell’app di messaggistica Signal. “Nei termini del commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, questa è una sorveglianza senza precedenti che cambia il paradigma. E non in senso positivo”.
  • “Usciremmo assolutamente da qualsiasi Paese se la scelta fosse tra rimanere nel Paese e minare le rigorose promesse sulla privacy che facciamo alle persone che si affidano a noi”, ha dichiarato Meredith Whittaker, CEO di Signal, ad Ars Technica. “Il Regno Unito non fa eccezione”.

Tutto questo è tanto esasperante quanto ironico. Dopo tutto, una delle principali giustificazioni per l’atteggiamento sempre più aggressivo dell’Occidente in altre parti del mondo – la cosiddetta Giungla, come la chiama il capo diplomatico dell’UE Josep Borrell – è quella di arginare la deriva verso l’autoritarismo guidata da Cina, Russia, Iran e altri rivali strategici che stanno invadendo il territorio economico dell’Occidente. Eppure, in patria (o, come direbbe Borrell, nel Giardino), l’Occidente collettivo sta semmai andando più velocemente di loro in quella direzione, grazie all’abbraccio incondizionato della censura, della sorveglianza e del controllo digitali.

QUI IL Link all’originale – TRADUZIONE DI PIETRO AGRIESTI

 

https://www.miglioverde.eu/23-agosto-2023-in-inizia-il-regime-di-censura-di-massa-dellue-diventera-globale/

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

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I fatti sono ormai evidenti: contestualmente alla demilitarizzazione dell’Ucraina sta avvenendo quella dell’Alleanza Atlantica, di

I fatti sono ormai evidenti: contestualmente alla demilitarizzazione dell’Ucraina sta avvenendo quella dell’Alleanza Atlantica.

Il resto è propaganda

La Russia deve solo proseguire imperterrita nella sua strategia bellica, indebolire sempre più le forze armate ucraine e NATO fino alla loro implosione che a sua volta potrebbe far collassare l’UE e la NATO. Non deve mai credere a eventuali negoziati, essendo gli interlocutori totalmente inaffidabili, falsi e traditori, ma deve proseguire fino al conseguimento finale dell’obiettivo, la totale demilitarizzazione dell’Ucraina e di conseguenza della NATO all’interno del paese.

Se per disgrazia e scelta demenziale dovessero scendere in campo direttamente anche i polacchi e paesi baltici e altri folli russofobi, verranno trattati allo stesso modo degli ucraini, finiranno nel tritacarne e tritatutto. I confini alla fine saranno quelli naturali, forniti dal grande fiume Dnepr a ovest e dalle Regioni di Odessa e Mykolaïv (incorporate alla Russia) a sud. Che è quanto riportai già in un mio articolo di fine febbraio 2022 quando valutai i probabili obiettivi dell’offensiva russa in Ucraina, e siccome il tempo lavora a favore della Russia, quest’ultima non ha alcun interesse ad accelerare i tempi provocando un maggior numero di vittime che sarebbe assurdo sacrificare. Gli avanzamenti sul terreno la Russia li eseguirà non tramite classiche offensive che richiederebbero troppe perdite umane, ma quando le forze armate ucraine e NATO avranno dei cedimenti strutturali talmente gravi da non poter più difendere quei territori e doverli abbandonare, è solo questione di tempo, quando si è senza mezzi e munizioni non ti rimane molto altro da fare se non ritirarti.

La NATO  se esisterà ancora a quel punto si dovrà rassegnare a non poter mai più valicare quei confini, e semmai se vorrà continuare a giocare a Risiko per sentirsi ancora vitale, potrà spostare le sue forse in Scandinavia e cercare di punzecchiare la Russia nel Circolo Polare Artico, presso l’enclave russo di Kaliningrad e al confine con la Carelia, in fondo il coinvolgimento della Finlandia nella NATO aveva prevalentemente questo scopo.

Sarebbero solo giochi di guerra simulata, perché per quanto siano pazzi guerrafondai i neocons angloamericani, nessuno di loro è veramente disposto a provare sulla propria pelle il vero arsenale russo che finora è stato usato col contagocce e in modalità ridotta e convenzionale, mi riferisco ad esempio ai missili ipersonici Kinzhal – Iskander – Zircon – Avangard – Sarmat – Burevestnik e ai droni sottomarini ultraveloci Poseidon, di cui la NATO può solo sognare di intercettare o imitare, dotati di una tale potenza distruttiva se impiegati a pieno regime che se si sapesse provocherebbe un panico dilagante in tutto il mondo occidentale.

Quando si è in evidenti condizioni di inferiorità bellica e strategica si può solo bluffare ed esagerare con la propaganda, che è quello che la NATO sta facendo da mesi in maniera ormai patetica e francamente noiosa. Uno spettacolo veicolato dai media asserviti e riservato agli stolti e stupidi, la maggioranza dei quali è domiciliata purtroppo in Occidente, mentre le migliori  intelligenze sono in Russia, anzi azzarderei a dire che sono nel BRICS+ (che presto conterà una quarantina di paesi) e il tempo rivelerà quanto avessi ragione. Speriamo che riservino qualche posto anche per i paesi occidentali che dovessero pentirsi della loro stupidità.

Claudio Martinotti Doria

Una lunga estate calda

Enrico Tomaselli 13 Luglio 2023 per Giubbe Rosse News

https://giubberosse.news/2023/07/13/una-lunga-estate-calda/

La NATO si riunisce a Vilnius, a ridosso dei confini russi, ma non può celebrare – come sperato – alcun successo ucraino; al contrario, l’incontro porta alla luce le reciproche diffidenze e divisioni, e produce un nulla di fatto. Perché è sì la politica a condurre la guerra, ma ciò che accade sul campo la determina. E da lì non viene alcuna buona notizia per l’Alleanza Atlantica. Al contrario della narrazione propagandistica, si avvertono i primi scricchiolii che ne minano la stabilità.

Uomini e munizioni

A 5 settimane dall’avvio della controffensiva ucraina, ed entrati ormai pienamente nell’estate, possiamo provare a tracciare se non un bilancio certamente un quadro dei trend principali.
Al netto delle solite sparate propagandistiche (“19 basi russe distrutte”“Bakhmut sotto controllo”…) la situazione sul campo non presenta mutamenti sostanziali, come era del resto prevedibile. In mancanza della supremazia aerea, qualunque offensiva è ovviamente un azzardo, ma per quanto riguarda gli ucraini ci sono da considerare altri due fattori non meno importanti; il primo, è il deficit di artiglieria, e segnatamente di munizionamento (1), il secondo è l’insufficiente rapporto numerico tra attaccanti (ucraini) e difensori (russi).
Normalmente si considera che – a parità delle altre condizioni – sia necessario un rapporto 4:1, in favore di chi attacca. Ma attualmente la situazione lungo la linea di combattimento è diversa.
Le forze russe dislocate nelle quattro regioni ex-ucraine contano circa 250/280.000 uomini – ovviamente non tutti schierati in prima linea – mentre le forze ucraine ne schierano circa 400.000. Complessivamente, lungo i quasi 1000 km di fronte, il rapporto effettivo è di 2:1, con punte di 3:1 (nel settore di Bakhmut-Artyomovsk).

Tutto ciò, unito ai summenzionati problemi strutturali, rende estremamente complesso sviluppare efficacemente un’offensiva. Ragion per cui questa, alla fin fine, si è di fatto trasformata in un aumento della pressione lungo la linea di contatto, con oscillazioni tattiche prevalentemente contenute nell’ambito della greyzone (l’area grigia tra le opposte linee difensive).
A tal proposito, vale la pena spendere qualche considerazione aggiuntiva sul tema, poiché anche qui circolano valutazioni imprecise e discutibili.
Allo stato attuale, oltre ai militari di alcune compagnie private (non c’è solo la Wagner), la Russia schiera i soldati della leva ordinaria, alcune unità di volontari, e gli uomini dell’unica mobilitazione sinora effettuata (300.000, tra i riservisti). Al contrario, l’Ucraina ha effettuato ben 11 mobilitazioni – anche se va tenuto presente che sono state prevalentemente mobilitazioni territoriali, a macchia di leopardo. Nonostante si dica che oggi Kiev ha un problema di manpower, questa è un’affermazione sostanzialmente errata.

Al momento dello scoppio del conflitto diretto con la Russia, la popolazione ucraina contava circa 35 milioni di abitanti, al netto della Crimea e delle due regioni separatiste (Donetsk e Lugansk). Di questi, circa 5 milioni (prevalentemente donne, bambini ed anziani) sono poi fuggiti all’estero, mentre circa un altro milione e mezzo è a sua volta passato sotto controllo russo (oblast di Kherson e Zaporizhzhia). Resterebbero quindi circa 28 milioni di abitanti. Ai quali ovviamente vanno sottratti quelli attualmente sotto le armi, i caduti (350.000 circa) ed i feriti (approssimativamente almeno un milione, alcuni dei quali rientrati in servizio, altri ancora ospedalizzati e/o inabili). In fin dei conti una platea di 26/27 milioni, dalla quale – con una mobilitazione generale, estesa all’intero territorio nazionale, un ampio range di classi d’età, ed eventualmente comprendente le donne delle classi 20-30 anni – si potrebbero trarre senza grandi difficoltà almeno altri quattro milioni di unità.
La questione quindi non è l’insufficienza numerica in sé, quanto la capacità di fornire il sufficiente addestramento (ed il necessario armamento) ai mobilitati.

A questo aspetto del problema Kiev cerca di far fronte ricorrendo nuovamente ai mercenari stranieri, cercando però stavolta di reclutarli soprattutto in Medio Oriente ed Asia Minore (iracheni, curdi, afghani, turcomanni…). Anche se la precedente ondata di mercenari (soprattutto occidentali) non ha dato in effetti alcun apporto decisivo, e si è poi assottigliata considerevolmente (2), si tratta pur sempre di carne da cannone, del cui reclutamento, inquadramento ed armamento (nonché emolumento…) si fanno carico gli alleati angloamericani, ed essendo essenzialmente composto da ex-militari non richiede neanche particolare addestramento.
Inoltre, agitare lo spauracchio dell’insufficienza numerica serve anche ad invocare – più o meno velatamente – l’intervento diretto di truppe NATO, giustificandolo come necessario per evitare la sconfitta ucraina (che equivarrebbe ad una sconfitta dell’Alleanza Atlantica).

Un tritatutto

Le forze armate ucraine, quindi, devono fare i conti con dei gap impossibili – o estremamente difficili – da colmare: forze aeree (aviazione d’attacco e missilistica a lungo raggio), artiglieria (e relativo munizionamento) e forza combattente (con sufficiente addestramento operativo). Di più, poiché anche la NATO sta esaurendo la sua capacità di alimentare il conflitto (3), la situazione è destinata ad aggravarsi sempre più. L’effetto tritacarne, di cui tanto si è parlato a proposito di Bakhmut, è in realtà estendibile all’intero conflitto – e non solo alle forze ucraine, ma all’intera NATO.
In effetti, anche se si sente spesso parlare di situazione di stallo – c’è chi addirittura fa paragoni con la Prima Guerra Mondiale – la scarsa mobilità della linea del fronte non attesta affatto una qualche equivalenza delle forze, ma corrisponde ad una precisa scelta strategica russa.

Nel guerra 1914/18, infatti, un sostanziale equilibrio degli eserciti contrapposti determinò una stabilizzazione del fronte, e considerevolissime perdite umane nel vano tentativo di sbloccarla. Nella guerra 1939/45, invece, caratterizzata dalla mobilità delle forze corazzate e dalla vastità dei fronti (europeo, nordafricano, atlantico, pacifico…), le perdite umane furono più bilanciate rispetto a quelle materiali, per quanto egualmente enormi.
Questo conflitto però si caratterizza per un elevatissimo consumo – di uomini e di armamenti – soprattutto in considerazione del suo essere relativamente circoscritto (un solo fronte, terrestre), e del relativamente contenuto numero di uomini coinvolti. In questo senso, sarebbe forse più corretto parlare, piuttosto che di tritacarne, di tritatutto.

Ora, se consideriamo gli obiettivi strategici russi – che si sono evoluti, nel corso del conflitto – possiamo anche decifrare il senso della sua strategia militare sul terreno.
Obiettivo primario, e sovrastante qualunque altro, è ovviamente la sicurezza della Russia. Se nella primissima fase della guerra Mosca immaginava di poterlo conseguire costringendo Kiev, gli europei – e quindi gli USA – ad una trattativa complessiva, dal momento in cui è apparso indiscutibilmente chiaro che tale ipotesi era impraticabile (stante la precisa volontà belligerante della NATO), si è reso necessario riorientare lo sforzo. Un risultato ottimale – e realisticamente conseguibile – sarebbe allontanare la possibilità di un ingresso dell’Ucraina nella NATO, frammentare il paese, distruggerne il potenziale bellico. Contrariamente a quanto ripetutamente affermato dai propagandisti NATO, non c’è mai stata l’intenzione (né l’interesse) di occupare l’intero paese. La stessa annessione dei quattro oblast, se pure ha delle motivazioni ulteriori (difesa delle genti russofone, spostamento ad ovest dei confini, acquisizione di territori produttivi e di popolazione…), ha fondamentalmente la sua ratio principale nella creazione di un’ampia fascia di sicurezza per la Crimea, il cui controllo è assolutamente strategico.

A ben vedere, quei risultati sono in corso di conseguimento, nessuno escluso.
Il vertice NATO di Vilnius, che era stato immaginato come la celebrazione dell’avanzata delle forze NATO-ucraine, e che si è trovato invece a fare i conti col disastro della controffensiva, è da questo punto di vista emblematico. L’Ucraina entrerà nella NATO se tutti i membri saranno d’accordo, se adempirà a tutte le condizioni, e se vincerà la guerra con la Russia. Un modo, neanche troppo elegante, per dire mai. Quel che forse otterrà, e neanche subito, è un qualche accordo bilaterale di assistenza, come quello USA-Israele; che però, è bene ricordarlo, non è (almeno de jure) un’alleanza, e non prevede un obbligo né un automatismo come quello del famoso art.5 del trattato Nord-Atlantico.
La frammentazione dell’Ucraina è nei fatti, privata già com’è delle regioni sud-orientali (le più ricche di risorse, e le più produttive industrialmente), ma potrebbe spingersi ancora più in là. Se ad un certo punto la struttura statuale dovesse in qualche modo collassare, o anche se – con le motivazioni più diverse – si dovesse arrivare ad un qualche intervento polacco, è assai probabile che lo spezzettamento diverrebbe completo (con polacchi, rumeni ed ungheresi che si riprendono pezzi di territorio).
Quanto alla distruzione del potenziale bellico ucraino, non serve aggiungere altro.

Sul piano politico strategico, quindi, si può dire che gli obiettivi principali Mosca li ha già conseguiti, o sta per conseguirli.
Di più, come conseguenza dello scontro politico diretto con l’occidente, e nonostante i trionfalismi di facciata, sia l’Unione Europea che la NATO stessa sono oggi attraversate da contrasti e divisioni più o meno carsiche, ma che sono comunque destinate ad indebolirne la coesione con l’incedere degli eventi. Per tacere poi del fatto che, contestualmente alla demilitarizzazione dell’Ucraina, si sta in effetti realizzando anche quella dell’Alleanza Atlantica.
Da un certo punto di vista, quindi, possiamo affermare che la guerra prolungata è assai più coincidente con gli interessi strategici russi, che non quelli USA-NATO. Non a caso, in occidente si anima il dibattito su quale possa essere un terreno accettabile per un negoziato, in grado quantomeno di congelare il conflitto, mentre da parte russa – a parte una generica disponibilità – non viene neanche ventilata una qualche ipotesi di stop.

Il proseguimento della guerra, infatti, non solo rinsalda il fronte interno, ed il rapporto strategico con la Cina (4), ma diventa (almeno sul breve-medio periodo) una occasione per incrementare il vantaggio russo nei confronti della NATO, soprattutto per quanto riguarda il complesso militare-industriale.
Di sicuro, mantenere attivo il tritatutto ha un ovvio, immediato risultato. Che non è semplicemente materiale-militare, ma ha delle altrettanto ovvie implicazioni politiche e strategiche. È, ancora una volta nella storia di questo paese, la riprova che la potenza russa è vincibile solo in un ambito spazio-temporale ristretto, ma che in una prospettiva più ampia rimane irriducibile.
Basti osservare la capacità reattiva del sistema. Nonostante la grande strategia statunitense punti da decenni allo scontro con la Russia, la realtà è che poi sia gli USA – che, più ampiamente, la NATO – sono arrivati al momento dello scontro con arsenali inadeguati, ed una produzione industriale bellica imparagonabile. Ancora adesso, di qua e di là dell’Atlantico si discute di come incrementarla, di come incentivarla, di come finalizzarla, mentre quella russa ha già moltiplicato la sua capacità produttiva, mediamente raddoppiandola rispetto ad un anno fa, ed in certi settori addirittura triplicandola e più. Per non parlare del fatto che l’esercito russo dispone di enormi arsenali sovietici, ed al tempo stesso può contare su una supremazia nucleare e persino tecnologica (su tutto: missili ipersonici e siluri nucleari).

Una ipotesi altra

Tornando alla questione del tritatutto (5), vale la pena considerare anche un diverso punto di vista, rispetto a quello che viene – più o meno unanimemente – considerato l’aspetto inspiegabile della condotta di guerra russa. Ovvero la mancata distruzione delle infrastrutture logistiche ucraine, con particolare riferimento alle vie di comunicazione (strade, ponti, ferrovie…). In un articolo apparso recentemente su DD Geopolitics (6), si avanza infatti una ipotesi che ne spiegherebbe il senso, attribuendovi anzi una lucida e precisa volontà strategica. In questa analisi si parla esplicitamente di tolleranza strategica della Russia, nei confronti della logistica ucraina, nella logica di “sfruttare i vantaggi a lungo termine rispetto alle vittorie a breve termine”. L’analisi considera che si tratti di un vero e proprio “posizionamento strategico della battaglia: l’approccio del Cremlino è quello di ingaggiare gli ucraini il più vicino possibile alla Russia, dove possono godere della superiorità aerea e del supporto dei locali amichevoli. Il grave svantaggio che questa vicinanza presenta all’Ucraina diventa un’arma potente nell’arsenale della Russia. Consentendo all’Ucraina di incanalare le sue risorse nella regione del Donbass, la Russia disegna effettivamente le linee di battaglia a condizioni favorevoli”.

Un altro punto considerato è lo “sfruttamento tattico delle capacità della NATO: consentendo alla NATO di esaurire le sue risorse in modo efficiente, la Russia influenza strategicamente le dinamiche di potere internazionali, con effetti a catena sulle relazioni chiave”. Ciò anche allo scopo di evitare le possibili conseguenze di un subitaneo collasso ucraino, che potrebbe a sua volta determinare un cambio di passo“costringendo la NATO a cambiare tattica, rallentare e adottare un modus operandi più segreto. Un tale spostamento potrebbe istigare un conflitto di guerriglia prolungato in tutta l’Ucraina. La strategia della Russia, quindi, mira a confinare la guerra entro confini gestibili e alle sue condizioni”. Detto sinteticamente, si tratta di “una scelta strategica progettata per consentire all’Ucraina di commettere un ‘suicidio di massa’ altamente efficiente”.
“In sostanza, la grande strategia della Russia rappresenta un esercizio per vincere la guerra preservando strategicamente la sua ricchezza materiale e il suo capitale umano – una lezione magistrale nell’intricato balletto di geopolitica e strategia militare”.

Ovviamente, non avendo accesso alle segrete stanze del Cremlino, non c’è modo di sapere se questa chiave di lettura sia corretta, e quindi se e quanto corrisponda effettivamente al pensiero strategico russo. Certamente si presenta con una sua coerenza logica, e fornisce una spiegazione dotata di senso a ciò che ci appare quanto meno nebuloso. Di sicuro, se l’assumiamo quanto meno come probabile punto di vista, possiamo a sua volta trarne delle riflessioni degne di nota, e tre su tutte.
Come osservatori ed analisti occidentali, siamo così fortemente condizionati dal nostro modo di combattere (e di leggere quello altrui), che è poi quello effettivamente più diffuso – chi fa più guerre dell’occidente? – da avere appunto difficoltà nel cogliere il senso di una diversa condotta bellica.
È improbabile che assisteremo ad una qualche importante offensiva russa, di portata strategica, che implicherebbe gioco forza maggiori perdite, allungherebbe la filiera logistica, ed in ultima analisi offrirebbe all’Ucraina il vantaggio della difesa. Più probabili sono offensive tattiche, scaglionate nel tempo (Lyman, Kharkov, Kherson, Zaporizhzhia).
Una volta accettata la sfida lanciata dalla NATO, la Russia si sta dimostrando assai più determinata a portarla in fondo, ed assai più pronta a farlo. In termini pratici, ciò significa che la guerra cesserà quando sarà la NATO a chiedere la pace.

1 – La recente decisione USA di inviare a Kiev vecchie munizioni a grappolo (cluster bomb), ne è la conferma. Anche se l’attenzione mediatica si è soffermata sulla liceità morale di questa decisione, aspetto peraltro discutibile, posto che gli Stati Uniti, l’Ucraina (e la Russia…) non hanno mai sottoscritto il bando di questo tipo di munizionamento, la questione è piuttosto un’altra. Innanzi tutto, va detto che Kiev le ha già usate (quelle sovietiche che aveva in arsenale); ma soprattutto il punto è che tali munizioni vengono inviate perché Washington ha esaurito il munizionamento standard per i grossi calibri, e che a sua volta l’Ucraina ne è priva. Non si tratta quindi di una misura – l’ennesima – da spacciare come game changer, ma di un vero e proprio ripiego; per di più al ribasso, poiché le cluster bomb sono eventualmente utili in fase difensiva, saturando il terreno su cui avanza il nemico, ma di certo non in fase offensiva, quando ad avanzare deve essere l’esercito che dovrebbe utilizzarle…
2 – Si calcola che durante il primo anno di guerra siano arrivati in Ucraina oltre 11.000 mercenari, soprattutto polacchi, canadesi, britannici, rumeni, statunitensi, colombiani…, dei quali circa 4.000 sono caduti in combattimento, e altrettanti sono poi fuggiti via allo scadere dei contratti. Attualmente sarebbero in azione circa 2.000 mercenari.
3 – Gli arsenali militari dei paesi NATO, soprattutto europei, sono stati svuotati pressoché completamente, ed alcuni paesi hanno largamente intaccato persino i pochi reparti operativi. Si stima che – al netto degli ulteriori aiuti all’Ucraina – saranno necessari dai 5 ai 10 anni, per ripristinare le scorte della NATO.
4 – Un aspetto che si tende spesso a sottovalutare, sotto questo profilo, è che – dal momento che Pechino si sente costretta a considerare la possibilità dello scontro armato per Taiwan – l’esperienza bellica russa diventa un fattore strategico. La Cina, infatti, ha praticamente combattuto la sua ultima guerra in Corea, settant’anni fa.
5 – Sulla efficacia di questa strategia, che punta chiaramente alla distruzione sistematica delle forze nemiche, assai più che al loro cedimento, è interessante notare quanto affermato da Larry Johnson, un ex analista della CIA, intervistato nella trasmissione Judging Freedom; secondo lui, gli Stati Uniti non saranno in grado di aumentare il ritmo della produzione di munizioni nella quantità di cui Kiev ha bisogno, e per questo motivo l’Ucraina dovrà affrontare la sconfitta in inverno.
6 – “The Art of War: Unraveling Ukraine’s Failed Counter-Offensive and Russia’s Tactical Logistic Leniency”DD Geopolitics

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

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Non siate troppo severi con lui ora che è triste e solo …, di Claudio Martinotti Doria

Non siate troppo severi con lui ora che è triste e soffre di solitudine, solo perché non vi ha portato qualche vittoria quando vi faceva comodo. Non vi rammentate più quando lo acclamavate e lo facevate intervenire a ritmi ossessivi in qualsiasi evento, trasmissione tv e nei parlamenti con inevitabile standing ovation? Dalle Stelle alle Stalle in così breve tempo? Siete proprio così impietosi, cinici e spietati? In fondo lui ha eseguito gli ordini ricevuti e sta continuando a farlo, combatte la guerra contro la Russia fino all’Ultimo ucraino, almeno tra quelli rimasti in patria, circa la metà, e tranne quelli che si sono defilati e nascosti. Li sta cercando, scovando ovunque siano rintanati e li invia al fronte. Cosa potete volere di più? Lui per amore vostro ha distrutto la sua nazione in pochi mesi, come nessun altro sarebbe riuscito, ha pure sempre indossato indumenti da straccione, come un homeless, mentre sua moglie faceva shopping nelle boutique di Parigi. Ha tatto tutto quello che volevate come un bravo utile idiota, molto ben remunerato certo, ma per godersele le ricchezze accumulate occorre rimanere in vita e riuscire a gestirle, e allo stato attuale non so quali brokers punterebbero su di lui e a quanto lo darebbero.

Vi invito pertanto a riciclarlo quando avrà finito il suo servizio di utile idiota, dopo potrà finalmente dedicarsi solo a fare l’idiota, presenziando alle feste cui lo inviterete (da presidente a presenzialista, in fondo non è molta la differenza, almeno in Occidente) , anche se dubito ci sia ancora qualcosa che possa essere festeggiato, quando arriveremo alla conclusione di questa storia demenziale, che forse chi l’ha scritta era solo psicopatico, ma chi l’ha eseguita era certamente demente, a tutti i livelli istituzionali occidentali.

claudio

 

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Temo che la guerra in Europa durerà a lungo e si estenderà. Di Claudio Martinotti Doria

Sono mesi che non scrivo più nulla sulla guerra in Ucraina e sulla situazione geopolitica generale, perché non sono un grafomane e non amo ripetermi e annoiare.

Altri autori e analisti hanno scritto quanto avrei riportato io stesso e quindi non intendevo sovrappormi vanamente. Inoltre c’è il pericolo ascrivibile alla scarsa memoria degli italiani, anche tra i miei lettori vi saranno quelli che non ricordano certamente quanto scritto in precedenza e rischierei di far la figura di chi arriva in ritardo a rilevare certi fatti, quando in realtà li avevo previsti e/o anticipati.

Mi riferisco ad esempio al numero dei soldati ucraini morti dall’inizio del conflitto.

Diverse fonti autorevoli occidentali da qualche giorno ammettono che potrebbero essere oltre 350mila, e per loro, asserviti alla propaganda istituzionale NATO-USA, simili affermazioni sono gravi e importanti, perché fino a poco prima era vietato affermare che fossero anche solo 100mila, i media mainstream si regolavano in base alle colossali menzogne della propaganda ucraina, che ne ammettevano poche decine di migliaia.

Qualche ottuso commentatore anche nei media cosiddetti indipendenti insiste ancora su cifre dimezzate rispetto a queste ultime, per significare come siano quasi tutti indottrinati e poco “indipendenti”, quantomeno nei ragionamenti.

Personalmente queste cifre le avevo fornite nei miei ultimi scritti di alcuni mesi fa, andrebbero ovviamente riviste al rialzo, considerando che solo negli ultimi giorni, con la fantomatica “controffensiva” ucraina, che tale non è, ma è tecnicamente un’offensiva e nei risultati è una farsa, un fallimento totale, le vittime sono tornate a essere un migliaio al giorno, tra morti e feriti gravi. Quanti morti vi sono stati tra gli ucraini non lo sapremo mai, anche perché le autorità naziste vietano di occuparsene e di parlarne, vietano l’accesso ai luoghi dove si potrebbero raccogliere dati, vietano le riprese video, distribuiscono i funerali in tutti i cimiteri del vastissimo paese, moltissimi cadaveri li hanno abbandonati al fronte facendoli seppellire ai russi, ecc.. Quando dico “vietano” intendo dire che finisci in galera (o peggio) se violi le regole imposte dal regime nazista di Kiev.

Inoltre pare assai verosimile che in due settimane le forze armate abbiano perso centinaia di mezzi corazzati, alcuni analisti occidentali (non russi) stimano queste perdite nel 30% di quanto disponevano gli ucraini per affrontare i russi e ricacciarli, come da loro velleitariamente dichiarato.

Allo stato dell’arte tutto quanto si poteva facilmente prevedere, se dotati di capacità neuronali di analisi e ragionamento (i nostri leader politici europei sono pertanto esonerati), si sta avverando. Non basta dotare di mezzi un esercito se questo non è fortemente motivato, sufficientemente addestrato, guidato da leader credibili, comandato da ufficiali minimamente carismatici, empatici e capaci, ecc.. L’esercito ucraino è allo sbando da parecchi mesi, e insistere su questa fantomatica offensiva serviva solo politicamente per la propaganda, per guadagnare tempo, si sapeva o si doveva prevederne l’esito, ed era sicuramente meglio evitare questo ennesimo fallimento, che era inevitabile.

I russi si erano preparati da mesi all’offensiva ucraina e hanno pure cambiato tattiche, creando difese mobili e dinamiche, che sono queste che hanno inferto duri colpi ai tentativi di avanzata dei reparti d’assalto ucraini.

Questi ultimi non sono mai arrivati neppure alle prime linee difensive russe, e dopo ve ne sono altre due da affrontare, quindi figuriamoci riuscire ad arrivare al Mare d’Azov e alla Crimea, pura illusione letale da minorati psichici.

Anche il comando supremo ucraino ha cambiato alcune tattiche, dopo le prime batoste subite e la perdita di centinaia di mezzi corazzati, anche quelli famosi che avrebbero dovuto cambiare le sorti della guerra, secondo la narrazione occidentale. Adesso combattono come si faceva oltre un secolo fa: mandano all’attacco solo la fanteria, coperta dai fumogeni. Ma vi rendete conto? Ma lo sanno i loro comandati (leggasi USA-NATO) CHE I RUSSI HANNO IN DOTAZIONE MEZZI DI RILEVAMENTO TERMICO, INFRAROSSI, DRONI CON SISTEMI OTTICI ULTRAMODERNI, satelliti militari che inquadrano anche un singolo metro quadrato? Solo per citare qualcosa di cui dispongono, tra le miriadi d’innovazioni tecnologiche militari in loro possesso e/o che presto disporranno perché in fase avanzata di progettazione e collaudo. Perché la Russia è un ciclopico paese dove la cultura è di casa, possiede da secoli le migliori accademie del mondo dove si formano centinaia di migliaia di giovani. Alcuni dei quali diverranno dei geni nel loro settore di competenza. Ecco perché hanno anticipato gli USA e non solo, con i missili ipersonici e tante altre armi avveniristiche e dalla potenza distruttiva mirata e apocalittica, non intercettabili, neppure immaginabili in Occidente nella loro concezione progettuale.

Tornando alle modalità primitive di combattere dell’esercito ucraino, a parte le mine che vengono ormai facilmente collocate dai droni, basterebbe un proiettile di artiglieria per uccidere decine di soldati, anche se sparpagliati, a causa delle schegge provocate dall’esplosione, e in aperta campagna non ci sono ripari, i cespugli e arbusti nascondono alla vista ma non evitano i proiettili.

Stanno pertanto mandano al massacro migliaia di soldati come fossero carne da macello. Che lo facciano gli USA-NATO non ci sorprende, lo hanno fatto capire fin dall’inizio del conflitto che gli ucraini erano solo utili idioti e che la guerra ai russi sarebbe durata fino all’ultimo ucraino, ma gli ucraini sono tutti d’accordo a prestarsi e a fare questa fine? Li hanno forse drogati e ipnotizzati?

Pare di no, perché sempre più reparti schierati al fronte si stanno arrendendo ai russi, magari dopo la morte del loro ufficiale (non mi stupirei fosse stata indotta), e non perché circondati e senza munizioni ma per scelta deliberata.

Sono chiari segnali che i soldati ucraini non intendono più combattere per favorire gli interessi stranieri e delle loro corrotte oligarchie. Dovranno combattere fino alla fine solo i soldati nazisti, perché sanno che sono nella lista nera dei russi, ma i nazisti nella loro maggioranza sono stati finora utilizzati per “catturare” i renitenti al servizio militare, quelli che si nascondevano ai richiami, numerosi e disertati in massa, alla faccia di Zelensky che mentiva spudoratamente parlando di file interminabili di volontari che volevano combattere. Ma quando mai?

Ci sono centinaia di video on line di testimonianze di civili che filmano vere e proprie aggressioni, sequestri di persona, arresti, violenze eseguite da nazisti su giovani per strada o padri di famiglia nelle loro case, per obbligarli ad arruolarsi e andare a combattere. E spesso tali persone si difendono, anche se poi vengono sopraffatte, tranne rari casi in cui intervengono anche i vicini per solidarietà e cacciano i nazisti.

Queste situazioni rivelano un’Ucraina in pieno conflitto sociale, nel caos più assoluto, prossima all’implosione, non certo in grado di affrontare un altro inverno di guerra.

La NATO a questo punto starà sicuramente ordendo qualche piano insidioso e perverso, ai limiti dell’aberrazione (fino a spingersi a una III Guerra Mondiale), per provocare un casus belli da attribuire ai russi (eseguito dagli ucraini o loro agenti infiltrati) che giustifichi un intervento se non diretto quantomeno indiretto, di qualche paese limitrofo (i cosiddetti “volenterosi”).

Dovendo scegliere, “a caso” direi la Polonia, che si sta preparando da parecchio a tale ipotesi, portando al 4% del PIL la spesa militare e raddoppiando gli effettivi dell’esercito (da 150 a 300mila), essendosi inoltre nel frattempo nazificata al suo interno a livello istituzionale e militare, divenendo profondamente russo-fobica e velleitaria verso la Galizia ucraina che vorrebbe annettersi, e in cambio della partecipazione alla guerra contro la Russia che potrebbe negargliela?

Ma questi polacchi, sono veramente convinti di poter sconfiggere i russi? Come lo erano 85 anni fa nei confronti dei tedeschi? Perché la Storia, quella con la esse maiuscola, non si apprende nei libri di scuola ma dai pochi storici seri e indipendenti, solo da loro, leggendo i loro libri, si viene a sapere che la Polonia a fine anni ‘30 non era affatto una vittima sacrificale debole e indifesa preda dei tedeschi espansionisti, ma era dominata dagli alti ranghi dell’esercito, fieri e autoritari, guerrafondai convinti di essere invincibili come nella migliore tradizione militare del paese.

Fino all’ultimo si sarebbe potuto evitare il II conflitto mondiale, se non fosse che la perfida Albione che voleva la guerra (non certo Chamberlain, ma Churchill si, lui e coloro i cui interessi rappresentava), aveva convinto l’élite militare che dominava la Polonia, che sarebbe stata protetta tempestivamente dall’Impero Britannico e dalla Francia, mentre poi l’abbandonò al suo destino, usandola solo come casus belli.

Potrebbe avvenire di nuovo, come sapete la Storia si ripete, perché gli uomini non apprendono da essa, anzi spesso non la conoscono proprio, la ripudiano. Dopo l’Ucraina la seconda vittima della cinica e spietata egemonia USA potrebbe essere la Polonia, consumata l’Ucraina potrebbe toccare alla Polonia, che di nuovo si sovrastima nelle sue capacità, perché lascia prevalere i sentimenti ostili all’intelligenza, prevale il desiderio di annettersi la Galizia e forse Kaliningrad per espandere e uniformare il territorio nazionale nella GRANDE POLONIA, con il beneplacito degli USA-NATO. Forse addirittura a scapito della Bielorussia, nei cui confronti sta organizzando milizie armate da infiltrare nel paese confinante per provocare conflitti civili interni, una sorta di golpe su emulazione degli USA. come fu l’Euromaidan in Ucraina nel 2014,

Le manie di grandezza della Polonia causeranno molte sofferenze all’Europa, le stanno già causando, perché sono loro i peggiori fomentatori di odio e conflitti bellici su incarico angloamericano, sono loro a portare la discordia, a sabotare, a fornire mercenari, a compiere le operazioni sporche, ecc.. Si stanno rivelando una vera e propria disgrazia per l’UE, ed è un paradosso tragico, perché è il popolo che ha maggiormente sofferto a causa della II Guerra Mondiale, in proporzione ancora di più dei russi, avendo perso oltre un quarto della popolazione durante i sei anni di conflitto.

Altra disgrazia per l’UE è stato il riconoscimento del Kosovo sottratto alla Serbia con la violenza per volontà americana, una regione servita agli USA come colonia per insediare la loro base militare più grande del continente, addestrare mercenari islamici per le loro operazioni sporche, organizzare traffici criminali di ogni tipo e crudeltà, per attizzare il fuoco della guerra nei Balcani in qualsiasi momento, contro la Serbia ovviamente, l’ultimo paese europeo rimasto fedele alla Russia. E purtroppo noi italiani avremo di nuovo modo di vergognarci in caso di conflitto, perché useranno di nuovo le nostre basi militari per aggredire la Serbia.

Mi dispiace ma non ci sarà una chiosa traboccante di speranza, ancor meno di ottimismo, non ci sono le condizioni, aspettatevi che la guerra si estenda (forse vicino ai nostri confini) e che duri a lungo, con tutto quello che ne consegue.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

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GITA AL LAGO Maggiore, di Claudio Martinotti Doria

Prima che i “complottisti” si scatenino sull’evento del naufragio dell’imbarcazione sul lago Maggiore, intervengo esponendovi informazioni riservate di cui sono venuto in possesso per pura coincidenza.

Una ventina di amici italo-israeliani, che si erano conosciuti tramite un social network per cuori solitari, hanno deciso di incontrarsi in un albergo nell’hinterland milanese e superati brillantemente i preliminare e primi approcci, hanno poi scelto di recarsi tutti quanti al Lago Maggiore per una gita nautica, noleggiando un’imbarcazione di 16 metri vecchia di 40 anni con navigatore umano incorporato. Annoiandosi, non essendo pescatori e neppure sportivi, a un certo punto a bordo si sono divisi in due gruppi. Uno ha iniziato a fare esperimenti magico-esoterici pronunciano formule per evocare gli spiriti elementali dell’acqua, e il secondo ha avviato un gioco di società a distanza con un gruppo d’imprenditori e oligarchi russi che erano presenti in una villa sulla costa presso cui stavano navigando, mettendosi in collegamento con loro tramite cellulari. Si conoscevano tra loro perché in molti erano iscritti a un gioco di società on line nel quale i partecipanti assumono ruoli da protagonisti in una complessa spy-story a più livelli di difficoltà, molto realistica, divisi per nazione e agenzia, competenze e gerarchie.

Mentre il primo gruppo stava evocando con successo le Ondine del Lago Maggiore, che vegliano sulle sue acque da tempo immemore, il secondo gruppo al contrario stava perdendo al gioco di società intrapreso coi russi sulla costa. Le Ondine del Lago Maggiore sentendo l’esito finale del gioco di società e prendendolo troppo sul serio come fosse reale, sono intervenute provocando una tromba d’aria limitatamente al luogo esatto dove era posizionata l’imbarcazione, questo spiegherebbe come mai il fenomeno meteo non ha colpito la costa e non è stato visto da nessuno. Dimenticavo di segnalarvi che il gioco di società era la “battaglia navale” e al momento del pronunciamento finale di “affondata”, le Ondine hanno preso sul serio l’affermazione udita ed hanno provveduto all’affondamento dell’imbarcazione. I russi dalla costa non si sono neppure accorti della tragedia, pur essendo inquieti per l’improvvisa interruzione delle comunicazioni.

Se tale versione dei fatti vi sembra inverosimile provate a leggere nei prossimi giorni sui media quello che verrà scritto o fatto intendere sulla tragedia.

claudio

 

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La balla del 97%. Colpe umane sul clima?_di Federico Punzi

L’affermazione del 97% degli scienziati a favore dell’origine umana del riscaldamento climatico è una clamorosa bufala frutto di manipolazione

La balla del 97%. Colpe umane sul clima? “Consenso” scientifico allo 0,3

Il prof. Battaglia c’è andato leggero. Altro che 32,6%, molti meno gli studi esaminati dall’articolo-bufala che indicavano le attività umane come causa principale

di Federico Punzi 31 Maggio 2023

https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/aq-politica/la-balla-del-97-colpe-umane-sul-clima-consenso-scientifico-allo-03/

Ogni volta, in qualsiasi sede si discuta di clima, non manca mai chi prova a zittire gli interlocutori ammonendo che ormai il “caso è chiuso”, c’è consenso scientifico sull’origine antropica del cambiamento climatico. Il 97 per cento degli scienziati – se non il 99 per cento, azzarda qualcuno – concorda che l’aumento delle temperature è dovuto alla Co2 emessa dalle attività umane.

Un espediente dialettico per delegittimare chiunque – anche scienziati di chiara fama – osi obiettare, o anche solo dubitare. Se lo afferma quasi il 100 per cento degli scienziati, chiunque lo neghi è “contro la Scienza” e fa disinformazione.

All’origine della bufala

Ma da dove arriva questo 97 per cento? La scorsa settimana, su La Verità, il prof. Franco Battaglia è voluto andare all’origine di questa narrazione, risalendo allo studio da cui ha preso vita e arrivando alla conclusione che si tratta di una bufala. Lo studio è quello pubblicato nel 2013 da John Cook e altri otto autori, che hanno preso in esame 11.944 articoli scientifici sul cambiamento climatico o il riscaldamento globale pubblicati tra il 1991 e il 2011.

In effetti, come ammettono gli autori stessi nell’abstract, nel 66,4 per cento di essi non si parla nemmeno di “riscaldamento globale antropogenico”. Il 32,6 per cento degli articoli sostiene l’origine antropica, lo 0,7 la nega e lo 0,3 per cento è incerto. È tra questi ultimi articoli, che esprimono una posizione sul “riscaldamento globale antropogenico”, dunque, che si ottiene il numero magico del 97,1 per cento.

Ma come osserva correttamente il prof. Battaglia, è il 97,1 per cento del 33,6 per cento, quindi in realtà solo un 32,6 per cento degli 11.944 articoli esaminati prende esplicitamente posizione a favore della teoria dell’origine antropica del riscaldamento globale o cambiamento climatico.

In realtà, il prof. Battaglia è stato fin troppo cauto e generoso. Ad un ulteriore approfondimento, infatti, la bufala risulta essere ancora più clamorosa.

Il “consenso” scientifico

Innanzitutto, una premessa molto importante. Dobbiamo sempre tenere a mente che la scienza non avanza attraverso il consenso, a colpi di maggioranza. Ovviamente il consenso della comunità scientifica va preso sul serio e considerato, ma non può esaurire il dibattito scientifico. Sarà banale ricordarlo, ma ai tempi di Galileo Galilei, il “97 per cento” degli scienziati (non solo bigotti e superstiziosi) credeva fermamente che fossero il sole e gli altri pianeti a girare intorno alla Terra.

Se poi coloro i quali sostengono la causa umana del cambiamento climatico si aggrappano ad un consenso immaginario, basato su una falsa rappresentazione del dibattito scientifico in corso, ciò è ovviamente degno di nota.

Dobbiamo inoltre far notare che l’articolo di Cook, come scrivono gli stessi autori, “è stato concepito come un progetto di citizen science da volontari che contribuiscono al sito web Skeptical Science“, un sito che si occupa di contrastare lo scetticismo e la disinformazione sul riscaldamento globale antropogenico.

Lo 0,3 per cento

Entriamo ora nel merito. Ciò che emerge è che non solo l’articolo esclude arbitrariamente dal conteggio 7.930 studi che non prendono alcuna posizione sull’argomento. C’è di più: quel cosiddetto “97 per cento”, che abbiamo visto in realtà essere un 32,6 per cento, include tre diversi gradi di consenso alla teoria dell’origine antropica del cambiamento climatico (Figura 1).

Fig. 1 – I tre livelli di sostegno alla tesi del riscaldamento globale antropogenico (Cook, 2013)

Solo gli studi che rientrano nella prima categoria sostengono esplicitamente che le attività umane sono la causa principale del riscaldamento. Nella seconda e nella terza categoria, che guarda caso includono la maggior parte dei lavori, rientrano quegli studi che riconoscono che le attività umane giocano un ruolo nel riscaldamento globale o cambiamento climatico, ma senza quantificarlo, o che le emissioni di gas serra sono responsabili del riscaldamento, senza tuttavia affermare esplicitamente che le attività umane ne siano la causa.

Un successivo studio del 2015, a firma David Legates e altri due autori, ha revisionato gli stessi 11.944 articoli scientifici esaminati da Cook, scoprendo che solo uno 0,3 per cento di essi (1,6 per cento escludendo i lavori che non si esprimono sull’argomento) sostiene la teoria delle attività umane come causa principale del riscaldamento globale, spacciata invece per verità scientifica al 97 per cento nel dibattito pubblico.

Sorprendentemente, rileva questo studio, Cook e i suoi collaboratori avevano essi stessi contrassegnato solo 64 articoli (lo 0,5 per cento degli 11.944 esaminati) a sostegno di questa tesi (Figura 2). Nessun articolo a sostegno della catastrofe imminente.

Fig. 2

Consenso immaginario

Dunque, l’articolo di Cook e soci, da cui trae origine la pretesa dei Verdi e degli attivisti, ha alimentato una falsa rappresentazione del consenso scientifico sulle cause del riscaldamento globale o cambiamento climatico. Il 97 per cento è un numero senza alcun fondamento. La stragrande maggioranza degli studi esaminati o non si esprime, o non ritiene le attività umane la causa principale, ma al più una concausa.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

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