LA DEMOCRAZIA VALE SE SI VOTA GIUSTO; Intervista ad un veterano della Repubblica Popolare di Donetsk, a cura di Max Bonelli

Questa volta ci troviamo in Donbass (Ucraina), grazie al prezioso contributo di Max Bonelli. Il Donbass è uno dei tanti focolai di guerra pronti a riesplodere in funzione delle strategie conflittuali ai danni della Russia. Ha la peculiarità di essere a poche centinaia di chilometri da Mosca. L’occasione del conflitto scatta con il colpo di mano in Ucraina di quattro anni fa con il quale si è voluto spostare quel paese da una condizione di neutralità e di forte legame con la Russia ad una di vera e propria sudditanza occidentale e nel contempo si è proceduto ad una politica di forte discriminazione della popolazione russa e russofona, ancora più accentuata e violenta di quella dei paesi baltici. Sull’Ucraina si sono concentrate, oltre a quelle strategiche e più prosaiche americane, anche le ambizioni egemoniche dei paesi europei centrali e nordorientali sino a creare un guazzabuglio dal quale è scaturito un regime fantoccio nemmeno in grado di attingere dal proprio paese i componenti del governo. Su tutto ha brillato l’Unione Europea, pronta ad accettare nel proprio seno, un paese in piena guerra civile contrariamente alla prassi ultradecennale. La massima aspirazione possibile, al momento, risulta un congelamento delle posizioni acquisite_ Germinario Giuseppe

Intervista ad un veterano della Repubblica Popolare di Donetsk.

 

Mi trovo al museo della Grande Guerra Patriottica di Donetsk, appena di fianco all’enorme stadio dello Shakhtar Donetsk, che doveva ospitare i successi della squadra del miliardario Rinat Akhmetov. L’uomo che più di tutti in Donbass aveva saputo sfruttare la rottamazione dell’URSS e che in venti anni aveva costruito un impero finanziario con capitale Donetsk. Accanto a questo simbolo oggi nazionalizzato dalla Repubblica, lavora Vladimir Vladimirovic Savelov veterano dell’Afganistan e dell’ultima guerra in Est ucraina. Un età indefinita tra i 50 ed i 60 bruno dal volto affilato, la tradizionale maglietta a righe dei fanti di marina, si intona con un busto sorprendentemente atletico per la sua età.

Un uomo simbolo che aveva  perduto una patria, ideali in quella rottamazione ma che nella ribellione del 2014 ha ridato corpo ad una speranza di un ritorno alla Russia ed ad una società più giusta.

 

D: Prima della guerra in Donbass, che attività lavorativa svolgevi?

 

R:Ho iniziato a servire il mio paese in Afganistan, ho ancora in ricordo parecchie schegge in entrambe le gambe, ero giovane al ritorno ho fatto tanti lavori. Minatore, metalmeccanico, prima della fine dell’Urss ero responsabile dell’educazione ideologica dei giovani di un grande quartiere Kievski di Donetsk. Poi dopo la caduta dell’Unione Sovietica è caduto tutto un mondo ed anche qui a Donetsk i dollari hanno comprato l’anima della gente.

 

D:Quindi la sua collocazione politica era ben chiara prima della guerra?

 

R: Si certo, ero membro del partito.

 

D: L’unione delle repubbliche sovietiche è caduta con uno strano voto democratico, possiamo dire che la prima votazione veramente democratica in Unione sovietica (il referendum del 1991), vede la volontà popolare della maggioranza dei cittadini esprimersi a favore dell’unione ed invece i vertici politici (Eltsin, Kravciuk) decidono di non rispettare questa volontà popolare e lo stato si divide in tante repubbliche, il Donbass a maggioranza russa finisce sotto l’Ucraina. Come ha vissuto personalmente questi 20 anni di indipendenza ucraina?

 

R:

Vorrei fare una premessa partendo dalla fine della guerra patriottica. L’Urss con tutti i paesi con cui collaborava od aveva alleanze non si comportava come un alleato che depredava le nazioni ma anzi le aiutava in maniera tangibile. Faccio l’esempio di Cuba e del Vietnam che hanno avuto più volte i loro debiti condonati. A differenza degli Usa che  ha saccheggiato con le sue multinazionali ed i governi fantoccio l’Africa ed il Medio Oriente. Questa e’ stata una delle concause della cattiva situazione economica dell’URSS negli anni anni 80. Inoltre sono stati sempre fomentati e foraggiati i nazionalismi all’interno dell’Urss dai servizi segreti occidentali per mettere in atto un processo di disgregazione.

Nonostante questo  votammo a favore per tenere l’URSS unita oltre il 60% complessivo della popolazione, ma i dirigenti politici se ne fregarono ed preferirono seguire i desideri delle minoranze nazionalistiche dividendo la Russia dalla Ucraina. Riscontrammo con i fatti che proprio le persone che sventolavano la bandiera della democrazia erano i primi ad ignorarla quando non gli faceva comodo.

Una manovra che ebbe sicuramente come regia la CIA e l’ambasciata americana. Io come  tutto l’Est ucraina da Karkov ad Odessa che aveva votato per rimanere uniti mi ritrovai in uno stato non mio sotto una bandiera che non mi apparteneva.

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D: Trovo molto interessante questa tua riflessione. Nello specifico il Donbass vede la sua volontà democratica violentata non solo in quella occasione, ma anche con il golpe a Maidan. Yanukovych era stato eletto nel 2012 con la stragrande maggioranza dei voti della Crimea e del Donbass. Cosi come non venne rispettato il voto  dei Crimeani per annettersi alla Russia e quello interno dell’11 maggio 2014 a Donetsk e Lugansk con lo stesso proposito.

Concorda con questa mia analisi?

 

R: Certo la volontà del popolo di Donetsk è stata calpestata sistematicamente, con il golpe di maidan dove un legittimo governo è stato rovesciato e l’11 maggio 2014 quando  volevamo rispondere con un atto democratico al golpe pagato dagli americani.  Ma la SBU i servizi speciali ucraini fecero male i loro calcoli quando attuarono il massacro del 2 maggio 2014 ad  Odessa e quello del 9 maggio a Mariupoli dove nel giorno della vittoria spararono alla gente che manifestava pacificamente. Cinquanta morti ad Odessa e venti a Mariupoli. La faccia della democrazia americana venne allo scoperto per tutti e l’11 maggio l’80% voto per l’annessione alla Russia.

Eravamo gente che non aveva votato giusto, da reprimere con la violenza più brutale esattamente come facevano i nazisti tedeschi. Per questo in questo museo abbiamo aperto una sezione dedicata agli eroi morti nella guerra in Donbass Givi, Motorola e tanti altra gente nata qui, russi da tutte le Russie ma anche ucraini che non si riconoscevano nel nazismo di Kiev. In tanti sono morti in questa ribellione. Non potevamo fare altro che ribellarci al sistematico sopruso della nostra volontà.

 

D:Parliamo dell’inizio della guerra civile, possiamo dire che è partita da Slaviansk?

 

R: No,tutto è partito dalla strage di Odessa e Mariupoli, intendo la mobilitazione generale. Io penso che questi processi storici avvengono come una reazione a catena. Il golpe a maidan è stato preparato con un lavoro di anni, sia  e livello di addestramento che sul piano della propaganda antirussa. Poi i servizi Nato-ucraini preparano le stragi Odessa e Mariupoli, stragi che soprattutto ad Odessa possono essere sfuggite di mano anche a loro e che si sono presentate in una brutalità imbarazzante.

Tutto ciò ha portato ad una reazione ancora più forte e da li la guerra civile.

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D: Nel mio libro Antimaidan riporto un video apparso su You

Tube dove cittadini di Donetsk che vivevano al confine con l’aeroporto vedevano arrivare un centinaio di soldati con uniformi ed equipaggiamento non ucraino. Parliamo di marzo, aprile 2014

Cosa ricordi dei combattimenti a cui hai partecipato nel 2014?

Hai avuto la sensazione che l’aeroporto a Donetsk fosse

tenuto da militari non ucraini, intendo uomini di paesi Nato nella primavera di quell’anno?

 

R: Ho partecipato al primo attacco all’aeroporto il 26 maggio eravamo divisi in tre gruppi. Due coprivano dai grandi magazzini Metro e dall’edificio Volvo ed il terzo penetrò nel nuovo terminale. Li e sul perimetro trovammo una resistenza ben organizzata, erano professionisti non sembravano ucraini, certo la sicurezza al 100% non la ho.

Erano ben vestiti ed addestrati, interagivano bene con gli elicotteri di attacco che fecero il grosso delle nostre vittime.

Noi invece eravamo armati di AK con tre  caricatori a testa una autonomia di cinque minuti di fuoco, qualche mitragliatrice e qualche RPG7. Nulla avevamo contro gli elicotteri, abbiamo avuto molti morti al nuovo terminale, una settantina almeno. Mi ricordo che arrivò un cittadino, un camionista, che aveva sentito dei combattimenti con tanti morti e feriti e venne in pantofole con il suo camion ad evacuare i feriti ed i corpi dei morti, sotto il fuoco degli elicotteri. Noi che coprivamo provammo ad attirare il fuoco degli avversari su di noi. Ma alla fine anche dopo l’evacuazione del nuovo terminale la situazione era difficile anche per i gruppi di copertura. Arrivò un anziano, forse accompagnato con la macchina non so, gli mancava una parte di gamba era un veterano della Guerra Patriottica. Ci disse “andate, vi copro io con la mitragliatrice”, non ci fu verso di levargli la mitragliatrice e noi andammo. Fu trovato il giorno dopo morto accanto alla mitragliatrice. Ecco questo ho visto dei combattimenti a maggio. Eravamo quasi tutti di Donetsk, qualche volontario russo ma non erano professionisti, gente normale.

 

Il momento è umanamente pesante, cade il silenzio, mi viene in mente che alla prima tregua quella fatta per le feste natalizie del dicembre 2014, si affrettarono gli ucraini ad avvicendare gli uomini. Ufficialmente il motivo era che non avevano equipaggiamento adatto all’inverno ma tanti osservatori ritenevano che l’avvicendamento riguardava mercenari stranieri sostituiti da reparti scelti ucraini, quelli che persero l’aeroporto nel febbraio del 2015. Chiudo l’intervista con una domanda più leggera.

 

D: Come vedi da cittadino della Repubblica, lo sviluppo economico dell’ultimo anno? La gente ritorna , si riaprono attività produttive, le strade vengono riparate, qual’è la tua opinione?

 

R: Tutto sta andando per il meglio, Zakarchenko il nostro presidente, lavora bene, incomincia la gente a tornare. A fine 2014 questa era una città fantasma abitata da 200.000 persone ma adesso stanno tornando, si parla di 600.000 che risiedono stabilmente, si arriva a 900.000 compresi quelli che  fanno lavori negli altri paesi. I cannoni sparano raramente e la gente  torna alle proprie attività, non possiamo condannare la paura della gente. In guerra tutti hanno paura, non credere a chi dice il contrario.

 

Saluto Vladimir con una stretta di mano ed il dono del mio libro Antimaidan al museo con una piccola dedica. Capisce che il libro è stato scritto per amore di verità, ed oggi in questo momento storico basta raccontare i semplici fatti per essere considerato un amico della Repubblica Popolare di Donetsk.

 

 

Max Bonelli

 

Donetsk una città che combatte per la pace, di Max Bonelli

A due anni dal mio ultimo viaggio in Donbass per la

presentazione del libro Antimaidan. La pace sembra

prendere il sopravvento su venti di guerra.

FChBfKMYlukOrmai è già passata una settimana dal mio arrivo a Donetsk ed il rombo del cannone l’ho appena sentito la prima notte per una manciata di secondi molto in lontananza verso sud, dalle parti di Makeevka. Ho passato la settimana, passeggiando per una città che mi ha sorpreso per la vivacità della vita civile. Gli spazi pubblici sono ben curati, le strade ben asfaltate e se non fosse per qualche rara finestra che con i suoi fogli di carta stagnola lascia intravedere i ricordi di bombardamenti passati, non si potrebbe certo dire di vivere in una città che ha la linea di fronte a 10 km dalla sua periferia. Contava oltre un milione di abitanti prima della guerra, adesso siamo probabilmente a 2 terzi di questa cifra, ma la gente che passeggia per le strade si presenta ordinata, curata ed indirizzata alle sue attività professionali.

Parlo di questo in un piacevole caffè letterario dal nome italiano “barista” con il Professore Vlaceslav Terkulov capocattreda di lingua russa.

0-JmZWTlcwoD: Non le sembra che la Donetsk di prima della guerra è diversa da quella odierna. Si è passati da un atmosfera dove fare i soldi(dela dinghi) era il credo generale ad un generalizzato senso civico di attaccamento al proprio lavoro?

R: Ti voglio rispondere con un episodio di vita universitaria. Era nell’inverno 2014-2015 facevo lezione agli studenti quando è caduto il missile balistico a corto raggio Tocka U con testata convenzionale. Una esplosione che si è sentita in tutta Donetsk, i vetri vanno in frantumi

e gli studenti presi dal panico vanno alle finestre. Io urlo “che fate” e loro tornano ai loro banchi a scrivere. In realtà intendevo “che fate non sporgetevi alle finestre è pericoloso” i giovani con tanti loro coetanei che morivano con il fucile in mano in quei giorni lo intesero come un richiamo al senso del dovere.

D:Ho visto un servizio comunale che lavora molto professionalmente, molto di più che prima della guerra, giardini puliti, la strada dal confine russo alla città perfetta. Come si spiega questo impegno nel proprio lavoro?

R: I lavoratori comunali e della Repubblica in generale sono gli eroi di questa guerra. L’acqua è mancata un paio di giorni non di più in questi quasi 3 anni di conflitto. Il gas non è mai venuto a mancare. L’elettricità forse un giorno. Lavorano rischiano la vita come accade per i lavoratori che riparano quasi quotidianamente la stazione di filtraggio dell’acqua che è situata sulla terra di nessuno al confine tra i due schieramenti. Gli ucraini sparano sapendo che sono i servizi comunali e non soldati.

La breve intervista viene conclusa con una performance musicale, il professore è un cantautore conosciuto nella russia del sud, era stato invitato a Pavia per una serie di concerti ma ha dovuto rinunciare, il passaporto internazionale poteva essere concesso solo tramite viaggio a Kiev e di questi tempi non è salutare per un abitante di Donetsk intraprendere un simile viaggio.

https://www.youtube.com/watch?v=T7EPV1EkmFg&feature=youtu.be

Non è l’unico segno del blocco internazionale sulla repubblica. Già parecchi chilometri dentro il confine la mia sim italiana era senza copertura.

Nella giornata successiva all’intervista vado alle iniziative per la festa della città che in prima giornata coincide con il giorno dei minatori.

QCl2FOeMr38Una fiera dei prodotti della Repubblica di Donetsk colpisce la mia attenzione. Il (Sdelano Donetsk=Fatto in Donetsk) comprende una variegata offerta di prodotti che va dalla produzione agricola, in forte espansione, a causa del blocco ucraino, alla produzione di macchinari industriali, come pompe idrauliche, generatori elettrici industriali, una grande varietà di profilati di acciaio e tubi di acciaio, materiali per l’edilizia, gomme industriali. Saranno stati una trentina di padiglioni di medie imprese incentrate sul territorio della Repubblica. Considerando che tutta la loro attività è incentrata sulle esigenze interne ed eventualmente del mercato russo, si può immaginare lo sforzo imprenditoriale e la dedizione al lavoro che ci sono voluti per tenere le aziende in vita in un paese in guerra.

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MAMMA NON C’E’ PIU’

La giornata la concludo con una lunga passeggiata in questi parchi ben tenuti al centro della città. Tanti giovani, coppie con bambini piccoli che godono della bella giornata di sole. M’imbatto in una mostra di disegni di bambini delle elementari, per tema la pace ,tenuta dall’associazione (Дети рисуют МИР! bambini disegnano il mondo). Sui loro ricordi la pace è una speranza, la guerra una presenza difficile da evadere, toccherebbe mandarli al premio della pace Obama che ha sponsorizzato questa guerra, alla nostra presidente della camera Boldrini che stringe la mano a dirigenti ucraini con non nascoste simpatie neonaziste. L’innocenza e la sofferenza di questi piccoli quadri sarà un macigno sulla vostra ipocrisia..

Max Bonelli

Ringrazio della collaborazione l’associazione:

Дети рисуют МИР!

IL TEATRO DELL’OLOCAUSTO, di Max Bonelli

Cronaca di una serata culturale, dove il genocidio degli ebrei viene usato come strumento per produrre consenso per una pseudo sinistra liberista e mondialista.

 

Mi trovavo a trascorrere un paio di giorni presso il luogo di origine della mia famiglia. Un tipico paese dell’appennino laziale, per sua fortuna non toccato dalle tristi vicende dei continui terremoti. Una parente, dopo una piacevole chiacchierata, m’invita a seguirla ad un evento culturale locale tenuto da un politico del luogo esponente della sinistra mondialista  e docente in un  liceo, conosciuto per ricorrenti iniziative culturali su temi di attualità. Il tutto sponsorizzato dalla municipalità  che pur avendo un colore politico teoricamente opposto acconsente alla sponsorizzazione di questi eventi in nome di una apartiticità della cultura.

La serata è la seconda di un ciclo di due che ha per tema l’Olocausto, con relatore un giovane professore universitario di filosofia che solo casualmente ha il cognome coincidente con quello di un ministro della repubblica di uno dei primi governi Berlusconi.

Il giovane intellettuale presenta il suo libro sul genocidio ebraico e ne illustra i suoi punti salienti, partendo dall’assioma  che il genocidio degli ebrei perpetrato dal nazismo sia fenomeno unico nel corso della storia per dei motivi che il bravo professore partenopeo si dimentica simpaticamente di dimostrare.

Gli spettatori della riunione pur essendo in media di cultura superiore non riescono onestamente ad afferrare perché il 27 gennaio, in tutto il mondo dobbiamo ricordare il genocidio degli ebrei e non quello degli zingari che morirono nello stesso modo e negli stessi luoghi. In silenzio non assertivo afferrano il concetto che questa ricorrenza è unica per la coniugazione di un movimento politico che dopo la presa al potere di Hitler nel 1933 pianifica a tavolino la pulizia etnica dell’area geografica a predominanza culturale tedesca. Dopo di che è un continuo di immagini verbali e mediatiche di atti di violenza bestiale e testimonianze toccanti che non possono che scuotere la coscienza umana dell’ascoltatore.

Ma la mia coscienza critica è in rivolta. Come si può affermare impunemente l’unicità di questo genocidio rispetto agli altri genocidi che la storia con ricorrenza cadenzata ci vomita addosso?

Cosa differenzia sul piano della componente razziale, l’olocausto ebraico rispetto al genocidio degli indiani di America perpetrato dai coloni americani i quali affermavano con franchezza tutta anglosassone che: “l’unico indiano buono era quello morto”? Cosa differenzia in metodicità la distribuzione delle coperte infettate di vaiolo, rispetto ai tentativi sperimentali teutonici di genocidio tramite le camere a gas?

Dove si distingue l’efferatezza del genocidio degli ebrei polacchi e russi da quello messo in pratica dalle milizie turche e curde nei confronti degli armeni?

Pecca di capacità tecnologica il monito di genocidio dato al Giappone ormai inerme con le due bombe di Hiroshima e Nagasaki rispetto ai forni crematori dei campi di concentramento?

Mi sovviene il sospetto che l’unicità dell’olocausto è che per un caso raro nella storia dei genocidi, il colpevole ha perso la guerra e viene processato dal vincitore.

 

Sono certo che il giovane professore il quale per sicuro merito ha occupato una prestigiosa cattedra con il corrispondente buon stipendio saprà illuminare il mio innato spirito critico. D’altronde come potrà mancare una sessione interattiva di domande e robuste risposte in una serata culturale patrocinata da locali esponenti di partiti con salde tradizioni democratiche?

Ma i miei interrogativi rimarranno tali e irrisolti da un frettoloso “Tutti a casa” prontamente lanciato dal rampante esponente politico globalista dal look da moderno sessantottino. La perplessità nella platea è visibile negli occhi delle persone e questa può generare inopportune domande; d’altronde lo scopo d’informazione è raggiunto, l’impegno culturale è compiuto, la ricaduta politica per futuri impegni elettorali conseguita, l’amicizia con il giovane professore universitario consolidata e con essa la rete di sue conoscenze ed influenze.

La mia rabbia cresce per questo teatrino umano che uccide per la seconda volta quegli uomini, donne, bambini vittime di una pazzia razziale collettiva che ebbe luogo nei campi di concentramento. Il loro sacrificio viene usato per il fine di una grande lobby finanziaria che deve nascondere un altro genocidio che si potrebbe fermare oggi, quello dei palestinesi rinchiusi nella striscia di Gaza. Il grande ghetto palestinese con i bambini denutriti che crescono in un esasperante vita se non quando deturpati ed uccisi dalle pallottole israeliane. La memoria degli ebrei di Treblinka, Auschwitz usata come velo per oscurare gli odierni genocidi, dimostrazione giornaliera che non esistono popoli eletti e razze superiori, bensì un animale a due gambe capace di qualsiasi ferocia chiamato uomo.

Ma i peggiori sono loro; quelli che si pensano giusti, portatori di verità che in realtà usano per i loro fini, piccoli uomini senza etica.

L’etica suggerirebbe: stabiliamo il giorno della memoria per tutti i genocidi, grandi e piccoli che sono avvenuti, tutti paritetici nella dimostrazione della pazzia umana.

 

 

Max Bonelli

 

Autore del libro

Antimaidan

(le ragioni del genocidio del popolo dell’Est Ucraina)

Esperto di Scandinavia ed Ucraina

Vittoria Trump: in Scandinavia e Ucraina si sente odore di marcio, di Max Bonelli

Vittoria Trump: in Scandinavia e Ucraina si sente odore di marcio, di Max Bonelli
tratto da https://dnipress.com/it/posts/vittoria-trump-in-scandinavia-e-ucraina-si-sente-odore-di-marcio/
21 Nov 2016

Con Trump la politica occidentale in Nord Europa potrebbe cambiare radicalmente e da quelle parti lo hanno già capito bene.

Con la presidenza di Trump alla Casa Bianca aleggia una preoccupazione politica che è stata dipinta da un tipo raffinato come Lyasko, capo dei nazionalisti radicali nella Rada ucraina, con la seguente frase: “si sente un forte tanfo a Kiev dopo l’elezione di Trump”. Poi questa voce è stata corretta dicendo “tutti i discorsi di Trump in campagna elettorale non sono altro che retorica”.

In effetti Petro Poroshenko e i suoi accoliti non hanno molto da essere allegri con questa elezione, il nuovo presidente americano ha dichiarato chiaramente che non vuole avere un così alto livello di conflitto con la Russia come quello perseguito dall’amministrazione Obama. Inoltre ha rifiutato di incontrare il leader ucraino quando è venuto in visita a New York in modo tale che un deputato del partito di Poroshenko, Mustafa Nayyem si è lanciato addirittura in un parallelo tra Yanukovich e Donald Trump.

Difficile pensare che ci saranno delle inversioni a 360 gradi nella politica estera americana ma degli aggiustamenti significativi se li aspettano tutti e già un semplice restringimento dei flussi di dollari che tengono in vita il governo fantoccio di Kiev possono risultare fatali per un paese già in bancarotta dichiarata.

Lo stesso “tanto” investe tutti i paesi scandinavi che avevano rotto le loro linee guida di neutralità di fronte ai due candidati presidenziali ed avevano fatto tifo da curva per la Clinton con i media arruolati come se fossero elezioni in casa propria.

Sicuramente nei due mandati alla Casa Bianca del nobel della pace Obama con 7 guerre in 8 anni di mandato, gli scandinavi avevano ottenuto molto in termini di relazioni economiche e supporto nella loro politica espansionistica commerciale. Espansione che li ha visti sostituire la Russia come partner commerciale prima nei paesi baltici e poi dopo Maidan con pesanti investimenti in Ucraina insieme al supporto militare di Kiev (sono infatti secondi solo ai polacchi nelle operazioni in Donbass). Il caso dello sniper svedese Mikael Skilt che si vantava di aver ucciso 150 russi sul nostro Corriere della Sera è solo la punta di un iceberg composto di contractors scandinavi e polacchi, che sostenuti da Washington si sono aggirati nella steppa dell’Est Ucraina.

Basta leggere i giornali svedesi, danesi, norvegesi del 9 novembre per trovare dichiarazioni dove la flemma scandinava è “svampata” e tutti si lasciano andare a commenti che vanno dal premier svedese Löfven, che dice apertamente che avrebbe preferito la Clinton ma che farà comunque gli auguri a Trump, per passare a un preoccupato segretario della Nato, Jens Stoltenberg, che cercava di rassicurare i membri dell’Alleanza che in ogni caso verranno difesi, anche se non avranno raggiunto la cifra del 2% del PIL investita nella difesa. A tal proposito Trump aveva dichiarato che gli USA non si possono accollare la gran parte degli oneri finanziari di questa elefantiaca organizzazione che si chiama Nato e che ormai in Ucraina come piuttosto in Siria ha dimostrato di essere oltremodo aggressiva nei confronti del tranquillo (almeno fino al golpe di Kiev del 2014) orso russo. Ma queste sono le reazioni più equilibrate, la maggior parte degli articoli sui giornali rasentano l’isteria.

Commentatori di politica estera come Jonas Gummesson sullo Svenska Dagbladet vedono una minaccia per la sicurezza nazionale svedese in questo possibile non dico abbraccio ma affievolimento delle tensioni tra le due superpotenze. La Svezia solo formalmente è un paese neutrale ed ultimamente ha apertamente partecipato ed ospitato esercitazioni Nato sul suo territorio. Idem per la Finlandia che all’inizio di Maidan aveva un comportamento abbastanza neutrale, ma che ultimamente aveva firmato un trattato di cooperazione militare con gli Usa, certo facendo cosa poco gradita a Mosca.

Per quanto riguarda gli svedesi c’è un problema in più e si chiama Julian Assange. Sono loro che per compiacere l’amministrazione Obama hanno ordito la tela per incastrarlo e consegnarlo agli americani. Adesso si ritrovano con un presidente americano che ha un debito di riconoscenza nei confronti del fondatore di Wikileaks. Assange ha inondato internet di migliaia di email di Clinton e dei suoi più stretti collaboratori, la stessa FBI ha dovuto incominciare ad indagare, ma al di là dei risultati dell’indagine il volto cinico e senza scrupoli della Clinton era stato messo a nudo, il danno d’immagine non poco ha contribuito a questa sconfitta elettorale. Infatti Trump disse in un comizio “I love Wikileaks”.

Per la Svezia pare proprio che saranno tempi di grandi imbarazzi ed incertezze politiche. Nessuno per adesso nella leadership scandinava ha iniziato un sano “mea culpa”, sembra che la capacita di autocritica da quelle parti segni stabile sotto zero.

Ma il tanfo si sente e se anche il biondo miliardario mantenesse la metà delle sue promesse elettorali in politica estera, lì nel Nord Europa l’aria politica sarà irrespirabile, mentre a Kiev gireranno con la maschera antigas.

Max Bonelli, l’Opinione Pubblica

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