Biagio De Giovanni, Libertà e vitalità_Una recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Biagio De Giovanni, Libertà e vitalità. Benedetto Croce e la crisi della coscienza europea, Il Mulino, Bologna 2018, € 14,00, pp. 140.

Il perché di questo saggio è esposto dall’autore nelle prime pagine “La ragione è sotto i nostri occhi, il nostro è un tempo scisso, diviso, incerto, carico di alternative e di nuove inquietudini, di conflitti…Hegel, che, più di tutti, ha rappresentato l’immagine della coscienza europea moderna….aveva argomentato, nei suoi primi scritti, l’idea che i tempi di scissione richiamano la necessità della filosofia, che scissione immanente nella realtà e filosofia sono l’una la controfaccia dell’altra, che dunque la filosofia ritrova le sue ragioni più profonde non in tempo di conciliazione e di bonaccia, ma di crisi e di conflitto…Croce, da questo punto di vista, non la pensa diversamente”.

Per Croce, interpretato prevalentemente come pensatore “irenico e erasmiano”, da questo punto di vista “la filosofia è il momento della malattia”, necessario “quando il mondo si è stancato di camminare nella continuità, e dal suo fondo emerge il negativo, la realtà scissa. Ed emerge anche la necessità di trovare il punto dell’unione in cui gli opposti plachino la loro conflittualità che, non pensata, appare senza fondo e senza risposta all’interno di una traccia che il nichilismo ha posto al centro della crisi moderna. La potenza del negativo impedisce ogni irenismo”.

Quando emerge non si tratta di trovare la conciliazione definitiva “il che in Croce non è affatto possibile che avvenga”. Infatti sarebbe “la fine della storia”; ed “il filosofo napoletano essendo meno sistematico e ‘teutonico’ di quel sommo filosofo della storia che fu Hegel, e assai aspro critico di quella dimensione epifanica che lui giudicava invadente e addirittura anacronistica nel filosofo di Stoccarda”.

Così negli anni tempestosi della prima metà del secolo passato “Croce rivela il punto cruciale: la necessità di una teoria ‘speculativa’ della libertà, ossia del ritorno della filosofia”. Sul finire degli anni ’30 “Croce parla di “vitale o utile” quasi a voler affermare, del vitale, il carattere categoriale, ma la parola sfugge da ogni parte, si colloca tra abisso della libertà costituente e soglia indistinta tra vita e storia…La vitalità, lo dicevo, è frangiata nei suoi confini, si sporge oltre, sformata; in embrione è l’irrompere disordinato della libertà che deve prender forma, mentre l’utile è da sempre già ‘formato’, già chiuso nella sua logica”. Così l’autore ritiene che la concezione crociana della vitalità non è altro che il costituirsi della libertà “se la vitalità è tutta interna alla dialettica della libertà, come non vedere che dentro di essa c’è il soffio dell’eterno?”.

Conclude l’autore che oggi il dibattito su Croce si svolge “alla luce di una ripresa viva dei problemi che egli pose alla coscienza del mondo”.

In particolare occorre sottolineare “che la produttività filosofica dell’Europa finiva con l’esaltarsi nella crisi, … La crisi faceva parte della produttività geofilosofica dell’Europa”. Nella crisi odierna sarebbe necessario un’analoga purezza di pensiero “nei tempi della nuova scissione che il mondo attraversa e che l’Europa vive sulla pelle del proprio progetto di unificazione” e dare risposte  agli impellenti interrogativi “quale è, e sarà, la fisionomia del rapporto Europa-mondo dopo la fine dei centri del mondo e soprattutto dell’Europa centro del mondo?.. quale ruolo si può riservare a un pensiero che ha avuto nell’universalismo il suo tratto dominante?”,

Alle risposte la filosofia può contribuire “con l’urgenza che indicano i tempi di una ‘malattia’, la quale sembra chiedere lo sforzo della speculazione, anzi dello ‘speculativo’”.

Teodoro Klitsche de la Grange