Sociologia della povertà, autori e teorie, di Francesco Caliò
Sociologia della povertà, autori e teorie
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16 Ottobre 2025
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Oggi più che mai la povertà assume drammaticamente una valenza pervasiva, e nonostante lo sviluppo tecnico tumultuoso a cui si assiste, essa non arretra minimamente, anzi proprio grazie a quella che viene identificata come iper-tecnica della società post moderna, che essa si moltiplica in una modalità incontrollata. Il tutto ovviamente reso possibile da un neoliberismo sfrenato e da un totale cedimento politico verso oligarchie finanziarie, le quali generano sia nel presente che in prospettiva, un nuovo modello sociale, ristretto e per pochi. Cosa è la povertà? Chi sono i poveri? Come reagisce e come interagisce la società con il fenomeno? Questi sono solo alcuni aspetti studiati da quella particolare disciplina conosciuta come sociologia della povertà, che tenta anche portandosi dietro non poche antipatie, di dare risposte, spesso mal accette dal potere.
Difatti, la povertà è sempre esistita, ma è con la rivoluzione industriale che essa assurge a fenomeno sociale, una vera questione sociale derivante dalle relazioni tra il capitalismo e lo sfruttamento sociale, meritevole di indagini sociologiche e di attenzioni politiche, quest’ultime in realtà purtroppo contenute soltanto in movimenti che hanno sempre avuto al centro del loro interesse la strutturazione di uno stato sociale. Insomma, la lotta alla povertà non è un primato per tutti, ma sconta senza dubbio l’agire reazionario di quella parte di potere che si riconosce in quelle posizioni di Thatcheriana memoria, non esiste la società, non esistono le classi sociali, esiste solo l’uomo.
Indice
- La sociologia della povertà in Marx
- La sociologia della povertà in Simmel e Foucault
- La sociologia della povertà in Bourdieu e Bauman
- La povertà come processo di degradazione sociale
- Essere poveri è una colpa? sociologia di un mitema
- Le forme dell’orientamento punitivo verso la povertà
- I dati non mentono, i media….
- Qualche nozione importante di povertà
- Riferimenti
La sociologia della povertà in Marx
Tra i classici del pensiero che è utile mensionare per gli studi di sociologia della povertà si può annoverare senza dubbio Karl Marx (come ci ricorda lucidamente Umberto Galimberti nel suo I miti di oggi) che nelle sue previsioni sulla deriva capitalistica ha errato solo per difetto. E se per decenni persino nel mondo accademico era relegato a mero ornamento obsoleto, in questi tempi torna, anzi ritorna prepotentemente attuale, non è un caso che in alcuni ambienti quando riecheggia il suo nome, sembra che aleggino gli spettri.
Marx inquadra la povertà come prodotto delle diseguaglianze economiche e sociali. Il capitalismo infatti nel suo sviluppo non può non avere come effetto diretto e antagonista l’impoverimento delle masse e la contestuale centralizzazione della ricchezza nelle mani di pochi. Fotografia che non è affatto distante dal quadro economico e geopolitico a cui assistiamo oggi. La globalizzazione ha smarcato lo sfruttamento pseudolegale della forza lavoro (esattamente come una catena di montaggio che aliena gli operatori ad essa addetti), cosi il fenomeno ha reso ininfluenti le opinioni dei lavoratori anche se organizzati in movimenti o sindacati.
La deflagrazione lavoristica e sociale

La frammentazione stessa del lavoro e la relativa perdita di d’identità del lavoratore ha sancito quella che viene chiamata deflagrazione lavoristica e sociale. Ora, per quanto non tutto quello che Marx ha teorizzato si è verificato, non c’è dubbio che l’esplosione delle diseguaglianze sociali siano da collegare direttamente e indiscutibilmente al vero volto del capitalismo, senza maschera e privo di ogni forma di eticità politica, sociale e culturale. Manca totalmente quel principio tanto caro a Hans Jonas, la responsabilità come guida etica, in quest’ottica in problema non è il capitalismo bensì l’etica che dovrebbe guidarlo, indirizzarlo. Un esempio storico mai dimenticato fu quello di Adriano Olivetti, sintesi perfetta di un capitalismo a misura collettiva, lavoristica, urbana e di welfare.
La sociologia della povertà in Simmel e Foucault
Georg Simmel da parte sua, ha posto l’attenzione invece sulla relazione sociale, dove il povero non è posto al di fuori della società, bensì ne è parte integrante in una relazione di dipendenza, positiva o negativa. In un certo senso è un fuori nel dentro il contesto sociale. Il povero è identificato come uomo marginale, non è un caso che lo studioso lo tratta insieme al migrante e allo straniero. Gli studi sull’uomo marginale saranno oggetto di analisi da parte della scuola di Chicago nei primi anni 20 del novecento.
Michel Foucault è utile per la sociologia della povertà poiché si concentra sia sulle politiche assistenziali utilizzate per combattere la povertà, ma anche sulla relazione di potere, essa è una costruzione sociale, un meccanismo che determina chi è incluso e chi è escluso dalla società. La povertà è dunque un fattore che genera fastidio, un fastidio aggiunge lo studioso, spesso voluto, provocato, esposto agli occhi sociali della cd società del benessere, sta lì fisso come un faro, una presenza costante quasi a ricordarci che la povertà è volutamente prodotta non dal povero ma dal sistema. Una delle sue opere, La follia nell’età classica, affonda l’analisi su come veniva vista la follia, e in particolare ne viene descritto il processo di segregazione e criminalizzazione del fenomeno, che trova purtroppo profondità proprio in contesti di alta povertà e miseria.
La sociologia della povertà in Bourdieu e Bauman
Pierre Bourdieu invece, focalizza l’attenzione sulla miseria di posizione, invero, la stessa distinzione tra povertà e miseria assume dei contorni stratificati, di esclusione all’accesso di tutte quelle potenziali opportunità che si collocano all’interno delle relazioni sociali. L’analisi è quindi orientata verso i ceti popolari, che sono depotenziati proprio nella loro dignità umana, nella perdita del rispetto del se e della propria autonomia individuale. L’immiserimento nasce da una serie di variabili, lavoristici, smantellamento del welfare, esclusione sociale, classismo della scuola e abbandono da parte delle istituzioni delle periferie urbane.
Anche Zigmunt Bauman ha contribuito alla sociologia della povertà. Il teorico della società liquida infatti, intravede il senso della povertà legata alla società del consumo, laddove essa non si palesa soltanto con la mancanza di mezzi di sostentamento, bensì è proprio l’impossibilità a partecipare al consumo stesso. In questa prospettiva, è’ il consumo che formatta la società, la soddisfazione dei bisogni e la relativa non soddisfazione degli stessi, non sono scelte in capo all’individuo, che ha perso la propria soggettività, ma in capo al sistema, che sceglie, impone, decide persino che cosa è l’essere umano stesso, tanto che, la povertà è stabilita dai livelli di consumo.
Il sistema così strutturato decide chi è povero, riuscendo a far evaporare e banalizzare le criticità di intere filiere dello Stato apparato, lo sfacelo della sanità per esempio è illuminante, se paghi ti curi altrimenti muori, se non è questa una prova dell’esistenza delle classi sociali e di come persino le istituzioni vengono curvate per interessi privatistici è quanto meno plausibile che il fenomeno sia assiomatico, e paradossalmente, anche il malaffare si fa liquido e dilagante.
La povertà come processo di degradazione sociale
Il fenomeno di cui si sta discutendo è da molti studiosi di sociologia della povertà inquadrato come un vero e proprio processo, essa infatti ne è l’output, il risultato finale, che risulta essere composito e complesso. Deve essere chiarito che la povertà oltre ad essere un risultato è anche un catalizzatore di degrado, i due fattori infatti sono interconnessi e osmotici. Storicamente si può fare riferimento proprio al caso inglese, esso infatti rappresenta un vero e proprio laboratorio sociale, essendo stata l’Inghilterra la culla della rivoluzione industriale, essa fotografa il passaggio della povertà tra pauperismo e proletarizzazione, difatti il venir meno del lavoro contadino e il riversamento di masse di uomini nelle città provocò la devastazione delle campagne e paradossalmente la perdita d’identità degli stessi contadini.

La classe povera divenne sempre più povera e sfruttata con il risultato che moltissimi di loro passarono dal lavoro agricolo al vagabondaggio e alla delinquenza da strada, tanto che, furono emanate delle normative dirette a colpire proprio coloro i quali facevano esperienza di tale portata, quasi a voler sancire che l’essere povero era un atto volontario e consapevole, doloso insomma, un’idea presente anche oggi. In non pochi territori dell’Europa continentale fu persino vietata la raccolta della legna caduta e secca, rimane storica la metafora di Marx a riguardo, paragonando la legna secca alla pelle morta del serpente circa il suo basso valore, contrapponendola alla vegetazione viva, il paragone si indirizza nella identificazione tra la classe povera e quella ricca. Era un modo per sancire che i poveri in quanto dediti alla criminalità, non erano meritevoli nemmeno di quello che la natura poteva concedergli come semplici raccoglitori.
Essere poveri è una colpa? sociologia di un mitema
Il passaggio, dall’essere poveri veicolati da cause esterne ed estranee, a quello di status colpevolmente acquisito, raggiunge il suo apice nelle politiche neoliberiste, e in quella particolare visione che non solo non esiste la società, ma nemmeno le classi sociali. Questa tipizzazione nefasta purtroppo è imperante proprio nei nostri tempi, con un ritorno a passate e oscure idee, nazionaliste, sovraniste, di disconoscimento delle differenze etniche e culturali, e le guerre in corso ne rappresentano l’emblema (non è un caso che si bruciano immense risorse pubbliche in armi a scapito delle politiche sociali), il sigillo.
Il mutamento dell’atteggiamento sociale verso i poveri è una vera e propria politica, oggetto d’indagine particolare della sociologia della povertà, che sembra pervada anche una parte del tessuto sociale o almeno di quella parte di elettorato che si identifica con quelle visioni politiche che si traducono in pratiche governative negazioniste tanto in voga oggi, e non solo in Italia. E’ cosi, nel mentre si nega che i salari sono statici con relativa perdita del potere d’acquisto, allo stesso tempo si assiste a proclami comunicativi unidirezionali, che fotografano realtà produttive e indici di benessere inesistenti. Si palesa un vero e proprio orientamento punitivo verso i poveri e verso la povertà, un processo questo che si attiva attraverso tre forme.
Le forme dell’orientamento punitivo verso la povertà
- Una prima forma è legata all’espansione delle politiche pubbliche di sicurezza sociale, intese non come politiche sociali in senso stretto ma come mantenimento dell’ordine pubblico. Paradossalmente nel venir meno del welfare, cresce l’orientamento securitario con slogan tanto miseri quanto utopici (tipo tolleranza zero o similari).
- Vi è poi quello che viene definito il populismo penale, ovvero la tendenza ad enfatizzare l’azione penale verso la micro criminalità o verso reati a spinta di sopravvivenza, mentre contestualmente si decriminalizza il comportamento criminoso politico-burocratico che fu a fine anni 70 ben inquadrato da Massimo Severo Giannini (Il Rapporto sulle disfunzioni della pubblica amministrazione presentato alle camere nel 1979 qualificò il mostruoso connubio tra politica e amministrazione).
- Il cerchio viene chiuso con la soggettivizzazione delle norme penali, per cui lo status di deviante viene ascritto a coloro i quali appartengono o determinate categorie (rom, migranti, poveri, senzatetto), e non a coloro i quali compiono il reato, ciò in aperto contrasto con il dettame costituzionale, per cui si viene puniti, identificati, per quello che si è ma non per quello che si è commesso.
Il parlamento italiano stesso è oggi composto da decine di soggetti che a vario titolo hanno a loro carico o inchieste in corso o persino precedenti penali, come dire, se sei povero hai la certezza della pena, se non lo sei può godere dei privilegi d’ancien regime. In una recente intervento Nicola Gratteri (“Cultura della legalità e partenariato tra pubblico e privato per l’inclusione sociale dei detenuti: la provincia di Caserta come nuovo modello di sviluppo internazionale”), ha palesato proprio il fatto che le carceri sono pieni di soggetti che appartengono proprio alle categorie sopra citate, quelli che commettono piccoli reati (trasgressori comuni) creando il sovraffollamento, il più alto d’Europa.
I dati non mentono, i media….
L’Istat ci restituisce ad oggi un quadro desolante, e per quanto si possano negare e mascherare le informazioni reali sull’economia e su come il tessuto socio economico sopravvive, alcuni fondamentali dati non lasciano dubbi. Circa 11 milioni di persone sono a rischio povertà, 5,7 milioni versano in condizioni di povertà assoluta, dati che riflettono la cruda realtà. E se è pur vero che vi è stato un incremento dei contratti di lavoro, e altrettanto vero che si tratta in massima parte di lavori precari (somministrati, determinati, collaborazioni coordinate e continuative, partite iva, etc.). Nel 2024 circa 6 milioni di individui hanno rinunciato alle cure (esami diagnostici, visite specialistiche), vuoi per i tempi di attesa improponibili (salvo recarsi in strutture private a pagamento o in strutture pubbliche in regime intramoenia), vuoi per costi elevati da sopportare.

Persino il settore della cultura risulta sotto attacco, con una proiezione spinta verso istituzioni universitari privati a danno di quelli pubblici e con una tendenza a voler restringere il diritto allo studio in senso reazionario. Ogni ambito sociale registra un impoverimento di risorse ad esso assegnate, mentre al contrario l’unico settore che esplode di profitti è quello bellico, ma si sa, i morti non votano e i poveri e le classi meno abbienti non hanno voce e la narcotizzazione sociale rappresenta lo strumento ideale del potere.
Qualche nozione importante di povertà
Ci si immagina il povero come una persona in condizioni di estrema indigenza, che non è in grado nemmeno di procacciarsi i beni di prima necessità, avulso da ogni legame produttivo e non in grado di avere un’esistenza dignitosa. Questa è quella che i sociologici chiamano la povertà assoluta (mancanza delle risorse utili e necessarie per soddisfare i bisogni umani fondamentali). Vi è anche una povertà relativa, che è quella che si rapporta all’ambiente sociale in cui si vive. In sostanza, il povero, in questa prospettiva è colui che pur potendo soddisfare i bisogni primari non è in grado di raggiungere quelle condizioni di soglia che sono tipiche della società di appartenenza (si parla infatti di soglia di povertà). L’indice utilizzato è definito ISPL (International Standard of Poverty Line), in sostanza, viene classificato povero una persona il cui reddito non supera la metà di quello nazionale procapite.
Nel tempo di oggi, con una società frammentata, liquida, con pochissime certezze sociali e lavoristiche, emerge anche il concetto di povertà fluttuante. Si tratta di persone che pur conducendo una vita dignitosa, tuttavia non riescono a raggiungere il tenore di vita medio della società di appartenenza (salari bassi, occupazione precaria, residenza in territori economicamente asfittici, rendono impraticabile la soddisfazione di bisogni superiori). Sin qui, una visione della povertà mono dimensionale, ma oggi ci si indirizza anche verso un modello di analisi multidimensionale. In sostanza, non pesa solo il reddito, l’aspetto economico, bensì l’intero parametro della qualità globale della vita, e l’uso che viene fatto dei beni e le scelte possibili. In questa diagonale contano anche la mancanza di salute, di libertà politica e di istruzione. Quindi al peggioramento di questi fattori viene legata in causa ed effetto la povertà.
Francesco Caliò
Riferimenti
- C. Barnao, Sopravvivere in strada, Franco Angeli, 2009.
- Z. Bauman, Le nuove povertà, Castelvecchi, 2018.
- D. Benassi, I molti volti della povertà, Feltrinelli, 2022.
- G. Iorio, La povertà, Analisi storico sociologica dei processi di deprivazione, Armando Editore, 2001.
- E. Morlicchio, Sociologia della povertà, Il Mulino, 2020.
- C. Saraceno, Il lavoro non basta, La povertà in Europa negli anni della crisi, Feltrinelli, 2015.