L’insostenibilità della svolta green (e i reattori autofertilizzanti russi), di Massimiliano Bonavoglia

L’insostenibilità della svolta green (e i reattori autofertilizzanti russi)

di Massimiliano Bonavoglia – docente di Geopolitica e Diritto.

Tenteremo di rispondere alle seguenti domande: Quanto è sostenibile la Transizione Green? La produzione dell’energia pulita rispetta l’ambiente? Rispetta i diritti umani, quelli dei lavoratori e quelli dei minori? Lo stoccaggio e lo smaltimento delle batterie in aumento iperbolico, costituisce un problema? La svolta ecologica aiuta l’agricoltura, l’allevamento e l’occupazione nell’eurozona? Trasformare la dieta tradizionale in insettivora, è sano ed è a qualche impatto occupazionale? Quali Paesi avvantaggia la transizione ecologica per il settore auto? Il decreto green migliora il mercato immobiliare nazionale, o lo mortifica? Lanceremo poi alcuni brevissimi spunti di riflessione.

La transizione verso un futuro energetico più verde è presentata dall’establishment come una necessità ineludibile, per affrontare le sfide del cambiamento climatico. Tuttavia, mentre ci impegniamo in questa trasformazione, è cruciale che esaminiamo attentamente le conseguenze ambientali, sociali etiche e morali legate alla produzione e allo smaltimento delle tecnologie verdi. Per di più, dovremmo riflettere non solo sull’impatto ambientale e sociale di queste, ma anche su come le regolamentazioni green stiano trasformando radicalmente l’agricoltura tradizionale, gli allevamenti e l’uso delle terre fertili in Europa. Il progetto di cui parliamo, coinvolge al massimo 450 milioni di persone, su un pianeta di più di otto miliardi di abitanti. Quindi una soluzione per tutti, adottata da una esigua minoranza.

La produzione di batterie e materiali per l’energia rinnovabile, sarebbe essenziale per ridurre le emissioni di carbonio, ma sta generando gravi conseguenze ambientali nei Paesi dove avviene l’estrazione delle materie prime. Appare come un paradosso: per inquinare meno nelle aree metropolitane del mondo più ricco, si deteriora l’ambiente di quello più povero, che in una logica globalista e in un’ottica olistica, risulta in ultima istanza controproducente. Altro paradosso. Per produrre batterie elettriche e la loro componentistica, si usano i combustibili fossili: nella grande maggioranza dei casi le imprese che estraggono sono alimentate a carbone[1], in una prima contraddizione, che fa solo da capofila ad una lunga serie. In secondo luogo, si disboscano irreparabilmente territori grandi quanto interi Stati. Nelle Filippine e in Indonesia, l’estrazione del nickel sta causando deforestazione, erosione del suolo e inquinamento delle risorse idriche, emissioni di CO2[2] in enormi quantità per i metodi estrattivi adottati, nonché sterilizzazione del suolo fertile, disboscamento, distruzione della biodiversità[3] e inquinamento delle coste[4] come è denunciato da anni invano da CRI e l’AI Research Climate Initiative presso l’Università della California, Berkeley[5]. Allo stesso modo, in Cile e Argentina, la produzione mediante l’estrazione del litio è non solo inquinante, ma necessita di ingenti risorse idriche: “La produzione di litio tramite bacini di evaporazione utilizza molta acqua, circa 21 milioni di litri al giorno. Per produrre una tonnellata di litio sono necessari circa 2,2 milioni di litri d’acqua”[6]. Il tutto in regioni spesso aride, compromettendo ecosistemi fragili e la sopravvivenza delle comunità locali, le cui proteste non fanno notizia nel mondo, perché mettono in dubbio la “nuova religione” della transizione ecologica occidentale[7].

Questi aspetti tutt’altro che green, non sono limitati ai territori di estrazione. L’inquinamento delle acque e del suolo causato dall’estrazione di metalli pesanti come il cobalto in Congo e la grafite in Cina, hanno conseguenze a lungo termine per la salute umana e per l’ambiente, contribuendo alla contaminazione delle catene alimentari e alla perdita di biodiversità globale[8].

Non possiamo ignorare il costo ambientale e umano nascosto dietro le tecnologie verdi. In Paesi come la Repubblica Democratica del Congo il cobalto, essenziale per le batterie al litio, è spesso estratto attraverso il lavoro minorile: “Lo ha ripetutamente denunciato anche Amnesty International che, dopo un primo rapporto nel 2016, ne ha pubblicato un secondo l’anno scorso, lanciando anche un appello internazionale per mettere fine allo sfruttamento del lavoro minorile. “- Questi bambini – vi si legge – lavorano in condizioni estreme, alcuni di loro più di dodici ore al giorno, senza alcuna protezione e percependo salari da fame. Si ammalano prima e più dei loro coetanei. Rischiano ogni giorno incidenti sul lavoro, a causa di carichi troppo pesanti fino alla morte per i frequenti crolli nelle grotte artigianali. Spesso sono picchiati e maltrattati dalle guardie della sicurezza –”[9]. Minori persino nell’età della prima infanzia, che dovrebbero essere a scuola o giocare in ambienti protetti, sono costretti a lavorare in condizioni pericolose e altamente logoranti, con rischi altissimi per la loro salute e il loro futuro, senza alcuna tutela. Questo scempio è eticamente inaccettabile e contraddice i valori di equità e giustizia che dovrebbero guidare la nostra transizione energetica, oltre che rivelare un controsenso generale se l’obiettivo è ridurre l’inquinamento planetario: “Quando si visita questa zona della Repubblica Democratica del Congo – ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma Imprese, sicurezza e diritti umani di Amnesty International – si è immediatamente colpiti dal forte inquinamento e dalla mancanza di azione da parte del governo e delle aziende dell’industria estrattiva per evitarlo e per proteggere le persone che lì vivono e lavorano e che non hanno alcun modo di sfuggire alle polveri. Le preoccupanti scoperte di questo rapporto – ha aggiunto – indicano che il danno fatto, potrebbe avere effetti a lungo termine -”[10].

L’estrazione di altri materiali, come la mica in Madagascar[11], segue un percorso simile, con minori anche molto piccoli, impiegati in condizioni precarie e pericolose ed esposti a intossicazioni frequenti. Questa realtà dovrebbe farci riflettere sul vero costo umano delle nostre scelte tecnologiche.

Oltre alla produzione, la fine vita delle batterie e dei pannelli solari rappresenta un altro problema urgente. Questi prodotti contengono materiali tossici che, se non gestiti correttamente, possono contaminare il suolo e le acque, ponendo rischi significativi per l’ambiente e la salute pubblica. Le attuali tecnologie di riciclo sono insufficienti[12], con una bassa efficienza nel recupero dei materiali e processi che spesso generano ulteriori rifiuti pericolosi.

In molti Paesi, le infrastrutture per gestire questi rifiuti sono carenti, portando a un accumulo di materiali pericolosi o alla loro esportazione verso nazioni con regolamentazioni ambientali meno stringenti, che molto spesso sono i medesimi in cui viene estratto, con una moltiplicazione dei danneggiamenti al territorio e suoi abitanti. Questo trasferimento del problema non risolve la questione, ma semplicemente la sposta, creando nuove aree di crisi ambientale e sociale. I Paesi ricchi impongono ai loro cittadini l’uso di batterie elettriche, che vengono prodotte con grave danno per i Paesi poveri, che poi devono anche stoccarne le scorie da smaltimento.

Le politiche green stanno creando pressioni immense su settori chiave dell’economia europea come l’agricoltura e l’allevamento, al punto che c’è da chiedersi se il legislatore sia in buona fede. Regolamentazioni sempre più stringenti sui metodi di coltivazione e sulle emissioni provenienti dagli allevamenti, stanno mettendo in ginocchio decine di migliaia di imprese agricole europee. Molti agricoltori e allevatori, non potendo sostenere i costi associati alle nuove normative, sono costretti a chiudere o a ridurre drasticamente la loro produzione, quando non subiscono un esproprio in piena regola dei propri terreni, per far posto alla installazione di impianti fotovoltaici o gigantesche pale eoliche[13]. Ennesimo paradosso, leggiamo da ricerche come quelle di: “(…) due studiosi di Harvard, Lee Miller e David Keith, che nel 2018 hanno cercato di capire quale sarebbe l’impatto sul clima se un terzo degli Stati Uniti fosse coperto da pale eoliche. Secondo i loro modelli scientifici, è emerso che la temperatura locale aumenterebbe di circa 0,24° C”[14]. Meno terreni agricoli, meno cibo prodotto. Dunque in una prima fase, il reperimento degli elementi necessari per produrre batterie elettriche, motori elettrici e impianti di accumulo di energia solare richiedono deforestazione, disboscamento e distruzione della flora e della fauna di territori sempre più ampi, causando la riduzione di ossigeno e l’assorbimento dell’anidride carbonica. In una seconda, più realizzativa, la destinazione di altri territori agli impianti green solari o eolici, sottrae altra terra alla produzione di cibo e alla occupazione.

Questa crisi non si limita a una riduzione della produzione alimentare. Secondo alcune stime, le nuove regolamentazioni potrebbero portare a una perdita di posti di lavoro a 4 o 5 zeri in tutta Europa, aggravando il problema della disoccupazione e creando un esercito di nuovi disoccupati. Un esempio significativo è l’impatto delle direttive europee sugli allevamenti, che potrebbero ridurre il numero di occupati nel settore almeno del 30% nei prossimi anni.

Dunque, la conseguenza non secondaria è l’inevitabile diminuzione della disponibilità di cibo tradizionale, minacciando la sicurezza alimentare e la biodiversità agricola dell’Europa. Il fenomeno non si estende solamente alle terre fertili, ma assistiamo alla confisca di lagune destinate all’allevamento di molluschi e frutti di mare, per installare impianti fotovoltaici galleggianti, con un ulteriore attacco alla capacità di produzione alimentare[15].

Una delle conseguenze più inquietanti di queste politiche è la promozione del consumo di farine di insetti come alternativa alle proteine tradizionali. Sebbene presentata come una soluzione sostenibile, ci sono preoccupazioni crescenti sulla sicurezza[16] di questi alimenti. Alcuni studi suggeriscono che i componenti di molti insetti potrebbero essere tossici[17] per l’organismo umano, causando reazioni allergiche o accumuli di sostanze nocive nel tempo, con effetti sulla salute del tutto sconosciuti.

Questa tendenza, se non valutata attentamente, potrebbe portarci a una situazione in cui le nostre diete vengono radicalmente trasformate, senza un’adeguata comprensione delle conseguenze a lungo termine, di cui noi consumatori saremmo gli assuntori sperimentali, per non dire cavie.

Il problema della distribuzione delle risorse

Nel PNRR non v’è traccia alcuna di tutto quanto detto sin qui, tantomeno se ne fa menzione nell’Agenda 2030 tanto declamata dall’ex-presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, alfiere dei piani europei dai tempi in cui era governatore della BCE. In campo ci sono appunto la svolta green, con tutte le sue nefaste ricadute sui popoli europei e mondiali, e la digitalizzazione, ossia il passaggio ad una moneta digitale centralizzata che coinvolga l’identità digitale di ogni cittadino. Tanta elettricità in più, insomma, che inquina come abbiamo visto, anziché tutelare l’ambiente.

Investigando presso lo U.S. Geological Survey (USGS), dell’International Energy Agency (IEA), si scopre che i componenti delle batterie elettriche per l’automotive del futuro non sono presenti in Europa:

Elemento Paesi Produttori
Nichel Indonesia, Filippine, Russia, Nuova Caledonia, Australia, Canada, Brasile
Litio Australia, Cile, Cina, Argentina, Zimbabwe, Portogallo, Brasile
Cobalto Repubblica Democratica del Congo, Russia, Australia, Filippine, Cuba, Madagascar, Canada
Grafite Cina, Mozambico, Brasile, India, Canada, Madagascar, Ucraina
Terre Rare Cina, Stati Uniti, Myanmar, Australia, Thailandia, India, Brasile
Manganese Sudafrica, Australia, Gabon, Brasile, Cina, Ghana, India
Rame Cile, Perù, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Stati Uniti, Australia, Zambia

O meglio, geograficamente in verità sì, l’unico Paese menzionabile è la Russia, che inspiegabilmente l’Europa ha deciso spingere politicamente, socialmente, economicamente, militarmente e, non ultimo, dal punto di vista dell’energia, sempre più verso l’Asia.

Anche ad un primo sguardo sull’Automotive continentale e intercontinentale

Fine modulo

spicca l’inarrestabile ascesa della Cina nel settore automobilistico elettrico con implicazioni pesanti per l’industria automobilistica europea. La Cina sta diventando rapidamente il leader globale nella produzione di veicoli elettrici, grazie a una combinazione di politiche di sostegno, investimenti massicci e una strategia industriale ben pianificata. I numeri parlano chiaro[18]: nel 2023, la Cina ha prodotto oltre 7 milioni di veicoli elettrici, pari a circa il 60% della produzione mondiale totale. Questa cifra è di gran lunga superiore alla produzione combinata di veicoli elettrici in Europa e Stati Uniti. Le case automobilistiche cinesi, come BYD e NIO, stanno conquistando quote di mercato globali con tassi di crescita esponenziali. BYD, ad esempio, ha visto le sue vendite di veicoli elettrici crescere del 150% nel 2023, superando i principali produttori europei e americani. La Cina è leader mondiale nella produzione di batterie per veicoli elettrici. Il 70% delle batterie al litio-ionico globali proviene da produttori cinesi come CATL e BYD. Questo conferisce alla Cina un vantaggio significativo nel controllo della catena di approvvigionamento delle materie prime e nella tecnologia delle batterie.

Per contro, il settore automobilistico europeo, storicamente un faro di innovazione e qualità, sta affrontando sfide senza precedenti a causa della crescente competitività cinese: le case automobilistiche cinesi riescono a produrre veicoli elettrici a costi significativamente più bassi rispetto ai concorrenti europei. Ad esempio, il prezzo medio di un veicolo elettrico cinese è circa il 30% inferiore rispetto a un veicolo elettrico europeo equivalente, rendendo questi ultimi meno competitivi nei mercati globali. I marchi automobilistici europei, come Fiat e Opel, sono stati acquisiti da aziende cinesi negli ultimi anni. La Fiat, ad esempio, è ora controllata dal gruppo Stellantis, di cui un’importante partecipazione è detenuta da aziende cinesi. Questi eventi riflettono un trend preoccupante, per cui l’industria automobilistica europea perde il controllo sui suoi marchi storici e sulla sua produzione. Geely, un grande conglomerato cinese nel settore automobilistico, ha acquisito una partecipazione significativa in Daimler AG, il gruppo che possiede il marchio Mercedes-Benz. Nel 2018, Geely, attraverso la sua controllata Zhejiang Geely Holding Group, ha acquisito una partecipazione del 9,69% in Daimler AG, diventando uno dei principali azionisti dell’azienda. BMW ha stretto accordi con il gigante cinese delle batterie CATL (Contemporary Amperex Technology Co. Limited) per fornire batterie agli ioni di litio per i suoi veicoli elettrici. Questo accordo è parte della strategia di BMW per garantire un approvvigionamento stabile di batterie per i suoi modelli elettrici, inclusi quelli della serie i.

Alcuni analisti e osservatori del mercato hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla crescente influenza cinese sui marchi automobilistici europei, suggerendo che la cessione di quote significative possa influenzare le decisioni strategiche e operative delle aziende europee. La concorrenza dei produttori cinesi potrebbe portare alla chiusura di impianti di produzione europei e alla perdita di migliaia di posti di lavoro. Le previsioni suggeriscono che l’industria automobilistica europea potrebbe perdere fino a 100.000 posti di lavoro nei prossimi cinque anni se non si trova una risposta competitiva.

Imporre la riqualificazione energetica, implica una svalutazione immobiliare?

In meno di dieci anni, il comparto immobiliare continentale dovrà diventare ecosostenibile. Impianti fotovoltaici sul tetto, pompa di calore al posto della caldaia a condensazione, che costa il triplo e occupa gran parte del terrazzo (per chi ce l’ha), cappotto isolante che avvolge le quattro facciate esterne (di polistirolo, ovvero un derivato del petrolio) che un giorno andrà smaltito con inevitabili problemi di inquinamento per stoccaggio e smaltimento. Gli immobili in classe F e G, le ultime due classi energetiche, con alto grado di dispersione termica secondo i parametri fissati, se entro sei e nove anni non verranno efficientati con costi paragonabili all’acquisto dell’immobile stesso, non potranno più essere venduti o affittati in locazione abitativa. In Italia abbiamo due problemi: mancano i soldi e mancano le imprese edili per efficientare 7 – 8 milioni di edifici sul territorio nazionale, che necessitano di incrementare la propria classe energetica se non si vuol vederne azzerato il valore.

Fino a marzo 2024, il Superbonus ha permesso di riqualificare energeticamente 494.406 edifici. Questo risultato è stato ottenuto grazie all’impegno di molteplici imprese, il cui numero è cresciuto significativamente proprio grazie all’introduzione di questa agevolazione. Infatti, tra il 2019 e il 2021, si è registrato un aumento di circa 30.000 imprese edili nel settore, attribuito principalmente agli incentivi fiscali come il Superbonus. Secondo le stime, l’effetto cumulato del Superbonus sul debito pubblico italiano ha raggiunto oltre 122 miliardi di euro[19] in termini di detrazioni fiscali riconosciute fino a marzo 2024​. Questa cifra rappresenta una spesa diretta per lo Stato, che ha incrementato il debito pubblico in modo sostanziale, in particolare considerando che queste detrazioni devono essere finanziate attraverso il bilancio pubblico. Contando che dovrebbero esistere circa 500.000 imprese nel 2024, diventa evidente che è impossibile raggiungere gli obiettivi fissati dal decreto nei tempi fissati (in media da sei mesi a due anni per edificio). Quindi sono stati presi impegni irrealizzabili dai vari capi di governo che si sono susseguiti, per obbedire alle imposizioni europee. I mercati lo sanno, soprattutto le banche. La prima conseguenza è l’incremento degli interessi che le banche chiedono ai mutuatari che desiderano acquistare casa in classi energetiche non più di moda. I prestiti per mutuo bancario mediamente prevedono vent’anni di rate, la banca si trova a fronteggiare un rischio insolvenza che potrebbe non esser recuperabile nella seconda metà della durata. Quindi interessi più alti. Se il denaro costa di più, l’oggetto per cui viene prestato, il mattone, perde valore. A ciò si aggiunga l’aumento dell’offerta di immobili in classi energetiche basse, a causa dei costi di trasformazione che ultimamente sono saliti anche per effetto dell’inflazione oltre che per la pessima normazione del superbonus, e la contemporanea diminuzione della domanda per quella categoria immobiliare, perché l’aumento degli interessi bancari riduce l’accesso al credito e dunque, circolarmente, la domanda. Ma la domanda di chi? E’ importante porsi questa domanda, perché l’investitore di medie o grandi dimensioni, acquisterà con interessi bancari relativamente bassi abitazioni di piccole dimensioni, in classi energet5iche alte, affittabili ad alti o altissimi prezzi di locazione, cui difficilmente le classi meno abbienti, e le giovani coppie che progettano9 di avere figli potranno raggiungere. Queste categorie sociali, che fino a pochi anni fa acquistavano in periferia immobili meno termo-isolati e coibentati ma con ampiezze sufficienti per una famiglia, oggi sono esclusi da questo mercato e fanno impennare la domanda nelle locazioni abitative, con un effetto turbo sui prezzi. Quindi dobbiamo chiederci anche che tipo di tessuto demografico si stia incentivando negli agglomerati urbani: affitti brevi per massimizzare i ricavi e pagarsi le riqualificazioni, carissimi e inarrivabili per le famiglie, quando da decenni si parla (e solo quello) della insufficiente natalità in Italia.

Attraverso queste dinamiche interconnesse, le regolamentazioni green causano un abbattimento del valore degli immobili soprattutto in classi energetiche basse, distribuite numericamente maggiormente nel sud dell’Europa, quindi Portogallo, Italia, Grecia, Spagna. Paesi in cui il clima richiede meno efficienza energetica piuttosto che alle latitudini tipicamente più rigide dei Paesi del nord Europa. Effettivamente i PIIGS (con l’Irlanda) erano proprio i Paesi messi nel mirino delle direttive della BCE e del MES per la ristrutturazione del proprio debito. Si diceva che vivessero al di sopra delle proprie possibilità. L’Irlanda ne è uscita come sappiamo. Gli altri hanno scontato dmuping fiscale ([concorrenza fiscale] proprio da Irlanda e Olanda) ed hanno provato a evitare il MES [Meccanismo Europeo di Stabilità, costituito da un fondo privato che specula sul debito dei Paesi che vi si rivolgono]. Oggi soprattutto quelli del sud devono affrontare ristrutturazioni immobiliari in Italia impossibili anche solo sulla carta: lo ripetiamo, mancano le imprese (e i soldi) per efficientare circa 7 – 8 milioni di edifici residenziali (senza contare quelli con altra destinazione urbanistica) ovvero circa il 60% del comparto immobiliare residenziale nazionale[20]. Interessante è notare che l’Italia, è ritenuta tra i più indebitati e fragili degli Stati europei. A ben guardare tuttavia, si posiziona tra quelli che contano il maggior numero di proprietari immobiliari, a differenza di Francia, Paesi Bassi, Germania, dove la tendenza è rimanere in affitto per i privati cittadini, e lasciare la proprietà nelle mani di grandi fondi, come Vonovia in Germania che ne conta centinaia di migliaia, o Landsec nel Regno Unito (che pure non è più in Unione Europea). L’abbattimento dei valori immobiliari nazionali, l’eccessiva onerosità per la loro riqualificazione, combinati con altri fattori quali il rialzo dei tassi di interesse delle politiche monetarie della BCE nello scorso anno, il conseguente aumento delle rate dei mutui variabili contratti negli ultimi 5 o 10 anni,  e la crescente offerta in presenza di una contrazione della domanda, potrebbero rappresentare l’occasione ideale per grandi fondi speculativi, che approfittano esattamente di queste condizioni di mercato per fare shopping su grandi numeri a prezzi frazionati. Questa catena di conseguenze e vantaggi per alcuni è frutto delle politiche europee tutt’altro che rivolte ai benefici dei popoli europei.

…e la guerra in Ucraina?

Colpisce che le stesse personalità politiche, istituzionali e massmediatiche che fano propaganda alla agognata svolta green europea, siano iperbelliciste sul fronte guerra in Ucraina. Un Paese non europeo e non appartenente alla NATO che è in conflitto contro il Paese che ha più armi atomiche al mondo, la Russia, deve assolutamente ricevere armamenti molto costosi per volontà americana (continente oltreoceano), nonché elargizioni finanziarie in misura di centinaia di miliardi di dollari, con danni ambientali che nessuno vuole calcolare. Se non fosse per un desiderio di pace, che poi è stato il fondamento numero uno della costruzione dell’UE, almeno per coerenza verso la tutela dell’ambiente, per la quale abbiamo appena richiamato quanti sacrifici e rinunce devono fare i popoli europei, perché nessuno parla di pace green?

E’ forse ambientalista la guerra? E’ assodato che le esplosioni in corso, con armi sempre più potenti, da entrambi i fronti, siano tutt’altro che ecosostenibili. Per il versante ucraino, come sappiamo, siamo noi occidentali i responsabili. Per non pensare alle movimentazioni di veicoli bellici ed armamenti, dall’elmetto della prima ora agli F-16 appena inviati, sicuramente non con motori elettrici. Per non calcolare le esercitazioni della NATO, in corso da decenni in tutta Europa ma ultimamente molto più attive in grande stile, come quelle nei Paesi Baltici, in Norvegia (per segnalare alla Russia le proprie attività), ma anche in Polonia, in Germania, nel Regno Unito, in Portogallo e naturalmente in Italia. Pensiamo anche solamente alla sindrome di Quirra,[21] Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ). Queste attività hanno portato a procedimenti penali[22] per danni gravissimi e decessi non solo tra i militari interessati, ma anche le popolazioni circostanti per accertati casi di leucemia, linfoma e altri disturbi, collegati all’esposizione a sostanze tossiche, compresi metalli pesanti e sostanze chimiche usate nelle munizioni.

L’ambiente e la salute vanno preservati a costo di cambiare tipo di abitazione, auto, lavoro, persino ridursi a ingerire insetti, ma la guerra per confini che non sono europei, va finanziata senza indugi e le spese per inviare armi all’Ucraina, non devono essere centellinate. Pochi possono permettersi un’auto elettrica, quindi dobbiamo imparare a usare i mezzi pubblici e rispolverare i velocipedi tradizionali (bicicletta et similia) e moderni (monopattini elettrici) rinunciando all’automobile di proprietà. Ecco perché si prevedono le città a 15 minuti, ossia ghetti nelle metropoli, con tornelli per varcare la soglia del proprio quartiere, solo a certe condizioni. Cosa sono queste, se non limitazioni nella libertà di movimento individuale, o più semplicemente della libertà personale (articolo 13 della Costituzione italiana)?

Quello che viene considerato in occidente un terribile dittatore, il presidente della Bielorussia Aleksander Lukashenko, allorché l’OMS gli offrì 92 milioni di dollari per adottare il lockdown nel 2020, si rifiutò di accettare misure che avrebbero ristretto la libertà dei propri cittadini e danneggiato l’economia del proprio Paese[23]. L’Oms allora rilanciò a 940 milioni di dollari con la garanzia del FMI (Fondo monetario internazionale) e Lukashenko non solo rifiutò, ma denunciò pubblicamente la cosa, lasciando intendere che gli altri Paesi che vi si erano allineati, come l’Italia, fossero invece stati corrotti. Stiamo parlando di un Paese ex-sovietico, povero rispetto per esempio al nostro, che difende l’economia locale e la libertà dei propri cittadini, dinnanzi alle sperimentazioni della tecnologia della sorveglianza auspicata da Klaus Schwab nel suo libro Il grande Reset, e la negazione di libertà individuali di massa con pretesti sanitari tutti da dimostrare. Per inciso, 940 milioni di dollari hanno un potere d’acquisto ben maggiore in Bielorussia, che in un qualsiasi Paese del G7. “Dopo questa coraggiosa presa di posizione – scrive Nicola Bizzi [storico e scrittore] – Lukashenko è stato demonizzato dalla comunità internazionale ed accusato di brogli elettorali: l’operazione rivoluzione colorata, tesa a rovesciare Lukashenko, sarebbe stata finanziata dal Fondo monetario internazionale”[24].

Abbiamo detto delle abitazioni: cosa farà chi non avrà la disponibilità economica per efficientare la propria casa, di cui magari sta pagando le rate del mutuo, se non cederne la proprietà? Senza auto, senza abitazione di proprietà, il cittadino europeo del futuro sarà come lo descrisse un video di propaganda del WEF (World Economic Forum) del 2016[25] intitolato “8 previsioni per il mondo nel 2030” il cui incipit è rimasto paradigmatico ed oggi viene attribuita ad una visione complottista di ciò che ci aspetta: “Non possiederai nulla e sarai felice”. Il fatto che si parli all’utente senza usare la prima persona plurale, lascia il dubbio che non ci si riferisca alla totalità dell’umanità, ma ad una larga parte di cui fa parte appunto l’ascoltatore, evidentemente però non chi l’ha formulata, altrimenti avrebbe inserito se stesso nella forma verbale dicendo “non possiederemo”.  Anche il prosieguo è molto significativo, ne vediamo alcune:

“Qualsiasi cosa tu voglia, la noleggerai e sarà consegnata da un drone [quindi non un postino in bicicletta, ovvero un essere umano che lavora e non emette CO2, ma un oggetto che costa quattrini, toglie lavoro agli esseri umani e necessita di energia per funzionare]”;

“Gli Stati Uniti non saranno la prima potenza mondiale, una manciata di Paesi saranno al comando [quali Paesi? Con quale criterio verranno selezionati, e, soprattutto, da chi?]”;

“Non morirai aspettando un donatore di organi, non trapianteremo organi, ne stamperemo invece [quindi dovremo trovare il modo di stampare organi biocompatibili, o trasformare il nostro organismo in modo tale da poter ricevere e integrare organi stampati?]”;

“Mangerai molta meno carne, un piacere occasionale, non un’abitudine, per il bene dell’ambiente e della nostra salute [quindi la carne diventerà un lusso per pochi?]”;

“Un miliardo di persone sarà sfollato a causa del cambiamento climatico [quindi non parliamo nemmeno di migranti che volontariamente si avventurano verso nuove terre correndo enormi rischi, ma di evacuazioni forzate?]”; si parla persino di alieni: “Gli scienziati avranno capito come mantenervi in salute nello spazio. L’inizio di un viaggio alla ricerca della vita aliena? [quindi di nuovo, rivolto all’ascoltatore, non si parla in prima persona plurale… dobbiamo supporre che saremo spediti nel cosmo?]”. Che futuro hanno disegnato per noi i più ricchi del mondo?

Come produrre energia senza inquinare?

Siccome è sempre più semplice indicare le criticità di certe politiche, piuttosto che trovare soluzioni percorribili, osserviamo che Paesi come la Russia, hanno deciso di fronteggiare il problema dell’energia a basso impatto ambientale con Reattori Autofertilizzanti: Questi reattori, come i BN-600 e BN-800, sono progettati per utilizzare neutroni veloci e possono produrre più materiale fissile (come il plutonio) di quanto ne consumino. Sono in grado di riciclare parte del loro combustibile, riducendo la necessità di nuovo combustibile e producendo meno rifiuti a lunga vita. La Russia è leader mondiale nella tecnologia dei reattori autofertilizzanti. La centrale di Belojarsk ospita sia il BN-600 (in funzione dal 1980) che il BN-800 (in funzione dal 2016), e sono reattori veloci raffreddati a sodio.

La Russia sta sviluppando il reattore BN-1200, che mira a essere un passo avanti verso la commercializzazione su larga scala di questa tecnologia. Adottare reattori nucleari autofertilizzanti, come i reattori di Belojarsk, offre diversi vantaggi significativi rispetto ai reattori nucleari convenzionali. I reattori autofertilizzanti sono progettati per produrre più combustibile di quanto ne consumino, attraverso un processo in cui i neutroni in eccesso prodotti durante la reazione nucleare convertono il materiale fertile (come l’uranio-238 o il torio) in materiale fissile (come il plutonio-239). Questo significa che il combustibile può essere riciclato e riutilizzato, riducendo la necessità di estrarre nuovo uranio. Con il riciclo del combustibile e l’efficienza nel consumo di uranio, i reattori autofertilizzanti possono ridurre la domanda di uranio naturale, preservando le riserve esistenti e limitando l’impatto ambientale dell’estrazione mineraria. Non solo, ma i reattori veloci autofertilizzanti sono in grado di bruciare alcuni dei rifiuti radioattivi a lunga vita prodotti dai reattori convenzionali, come gli attinidi minori (americio, curio, nettunio). Questo aspetto non secondario riduce sia la quantità totale di rifiuti prodotti, sia la pericolosità e la durata della radioattività dei rifiuti stessi. Grazie alla capacità di riciclare il combustibile e utilizzare il plutonio generato in situ, i reattori autofertilizzanti possono estendere significativamente la durata delle riserve di uranio e torio, rendendo l’energia nucleare una risorsa più sostenibile a lungo termine. I reattori autofertilizzanti possono utilizzare plutonio proveniente da rifiuti nucleari esistenti o da arsenali militari smantellati, contribuendo alla riduzione del plutonio disponibile per la produzione di armi nucleari e aumentando la sicurezza globale. Cina e India sono interessate ad acquistare e adottare questa tecnologia. Ha senso tagliare i ponti con la Russia? Domande che dovrebbe porsi il legislatore europeo, se fosse libero nel momento decisionale, e soprattutto, non corrotto. Per fare un solo esempio sulla poca credibilità di equilibrio, disinteresse personale e fedeltà al perseguimento di interessi nazionali ed europei, che il legislatore merita, pensiamo alla assoluta sottomissione a politiche atlantiste del tutto dannose per l’economia, la fornitura di energia, la tutela della pace nel continente, durante la guerra in corso in Ucraina.

Le posizioni iperbelliciste assunte dall’Unione Europea, espongono gli Stati che la compongono a diverse ripercussioni riguardanti l’energia e l’economia, ma ciò non ha scalfito la politica estera nemmeno con le nuove elezioni, che per altro, hanno visto mantenere la stessa carica della presidente della Commissione. La medesima persona che per i quattro anni precedenti aveva sventolato i cambi al vertice imposti dalle elezioni democratiche, come la dimostrazione della superiorità rispetto alle autocrazie perenni del resto del mondo, nella sua chiamata ai sacrifici dei popoli per sostenere l’Ucraina contro la Russia. Il parlamento europeo si è allineato alla posizione del presidente della commissione ed ha votato non per la negoziazione della pace, bensì per il finanziamento della guerra, sino alla riconquista della Crimea da parte Ucraina, ancora nel 2024[26], quando oramai è evidente che pur con 200 miliardi di dollari ricevuti per lo più in armamenti, l’Ucraina non è in grado di riprendersi le quattro regioni perse nei due anni trascorsi, figuriamoci la Crimea diventata russa nel 2014.

Questi esseri, non privi di ipocrisia, impongono svolte epocali, senza porsi troppe domande. Ma il cittadino consapevole, mentre acceleriamo verso una transizione energetica verde, dovrebbe chiedersi: a quale costo? La velocità con cui stiamo cercando di trasformare il mondo occidentale, potrebbe portare a conseguenze infauste, che sono in netto contrasto con gli obiettivi di sostenibilità ed equità. Possiamo permettere che la corsa verso un futuro più verde si traduca in devastazione ambientale, sfruttamento umano, impoverimento delle risorse alimentari tradizionali e rischi per la salute pubblica? È essenziale che la transizione sia bilanciata, considerando non solo i benefici ambientali a breve termine, ma anche le conseguenze ambientali, sociali etiche e morali a lungo termine.

Urgono riflessioni critiche

La soluzione potrebbe non consistere nel tuffarsi nella transizione verde, ma riflettere su come possiamo realizzare un qualsiasi progetto in modo responsabile, tale che il piano europeo Fit for 55, ovvero la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in Europa del 55% per il 2030, non si trasformi in una maledizione sia per i Paesi che ne devono pagare le spese produttive in termini ambientali, sia per le economie e il tessuto sociale dei popoli europei che le devono adottare. È possibile investire in tecnologie di riciclo avanzate, promuovere pratiche di estrazione mineraria etica e sostenibile, e garantire che i diritti umani siano rispettati in tutta la catena di approvvigionamento? Sembra che nessuno se lo sia ancora chiesto tra i fanatici del green. Allo stesso tempo, è possibile proteggere la nostra agricoltura tradizionale, i nostri allevamenti e la nostra sicurezza alimentare, evitando soluzioni rapide potenzialmente pericolose come il consumo di insetti? Solo adottando un approccio olistico e responsabile, possiamo costruire un futuro veramente sostenibile, che protegga il pianeta garantendo dignità e giustizia per tutte le persone coinvolte. Forse, in questo modo si può fare della sostenibilità non solo un obiettivo tecnologico, ma un imperativo etico e di responsabilità, che guidi ogni nostra decisione. Questo approccio, come abbiamo cercato di mostrare, manca totalmente ai vertici dell’UE. Nonostante le rumorose proteste di alcune categorie quali gli agricoltori, i pescatori, i balneari, i tassisti nel continente, e le popolazioni del cosiddetto terzo mondo, non risulta adottata alcuna modifica alla direzione delle politiche sull’energia e quella della politica estera, che genererà un quadriennio in cui i nodi verranno al pettine e i popoli europei dovranno affrontarne le conseguenze. Forse perché ancora oggi, troppi cittadini credono che il nemico sia al di fuori dei confini europei…


[1] https://kr-asia.com/the-hidden-environmental-costs-of-indonesias-clean-battery-production

[2] Cfr.: “(…) 40/90 tonnellate di CO2 per tonnellata di Nickel” https://blog.ui.torino.it/2021/08/04/nickel-un-protagonista-della-transizione-elettrica/

[3] https://www.salviamolaforesta.org/petizione/1182/le-auto-elettriche-sacrificano-le-foreste

[4] “A settembre 2023 l’area delle operazioni del nichel in Indonesia ha raggiunto quasi un milione di ettari – dice Arie Rompas, di Greenpeace Indonesia -, con ben 362 licenze. Per le riserve di nichel ancora da esplorare. Abbiamo scoperto che verranno disboscati altri 600mila ettari di foresta vergine, una cifra spaventosa. Significa che la lavorazione del nichel, oltre a produrre emissioni molto elevate, distruggerà anche la biodiversità della regione”  cfr.: https://www.startmag.it/energia/estrazione-nichel-economia-indonesia/

[5] Cfr.: https://news.mongabay.com/2024/02/indonesian-nickel-project-harms-environment-and-human-rights-report-says/

[6] https://www.euronews.com/green/2022/02/01/south-america-s-lithium-fields-reveal-the-dark-side-of-our-electric-future

[7] https://www.wired.it/article/litio-miniere-argentina-manifestanti/; si veda anche https://www.nationalgeographic.it/batterie-al-litio-quanto-ne-sappiamo-davvero; e https://www.geopop.it/laltro-lato-dei-veicoli-elettrici-le-conseguenze-ambientali-dellestrazione-del-litio/ e https://lavialibera.it/it-schede-334-batterie_al_litio_i_danni_ambientali_dietro_al_simbolo_green

[8] https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/terra_poli/2024/04/04/dal-litio-al-rame-le-miniere-in-africa-minacciano-lambiente_a577a70a-4359-4075-94fe-4ea7ba7b0005.html

[9] https://ilmanifesto.it/la-febbre-del-litio-corrompe-lafrica; si veda anche sul lavoro minorile nelle miniere di cobalto: https://www.mondoemissione.it/aprile-2021/la-maledizione-del-cobalto/

[10] Ibidem.

[11] https://ilmanifesto.it/la-luce-sinistra-delle-miche-sui-bambini-minatori

[12] “Per estrarre una tonnellata di litio, ad esempio, sono necessari circa 500.000 litri d’acqua e una serie di passaggi che determinano un grande consumo di CO2: si stima che, per ogni chilo di idrossido di litio, vengano emessi dai 5 ai 16 chili di anidride carbonica. C’è poi la fase dello smaltimento: alla fine del loro ciclo di vita, le batterie al litio devono seguire una procedura precisa per evitare danni all’uomo e all’ambiente.” https://www.alternativasostenibile.it/articolo/auto-elettriche-perch%C3%A8-le-batterie-restano-un-serio-problema-ambientale

[13]https://www.carteinregola.it/index.php/pnrr-via-libera-agli-espropri-per-gli-impianti-su-aree-agricole-per-impianti-di-produzione-energetica/; si veda anche: https://alleanzacattolica.org/esproprio-green/;  e: https://www.carteinregola.it/index.php/pnrr-via-libera-agli-espropri-per-gli-impianti-su-aree-agricole-per-impianti-di-produzione-energetica/

[14] https://www.thesocialpost.it/2024/08/16/pale-eoliche-causano-riscaldamento-lo-studio/

[15] https://ledicoladelsud.it/news/taranto-un-impianto-fotovoltaico-offshore-i-mitilicoltori-giu-le-mani-dal-mar-piccolo/

[16] https://www.affaritaliani.it/cronache/farine-di-insetti-non-sicure-dal-punto-di-vista-nutrizionale-ecco-i-rischi-840393.html

[17]https://www.repubblica.it/il-gusto/2023/03/25/news/farine_di_insetti_allergie_e_disturbi_ecco_chi_non_puo_mangiarle-393616550/ , “ (…) tra questi vi sono ad esempio alcuni scarafaggi che contengono testosterone, e il cui consumo prolungato nel tempo può provocare, tra gli altri, problemi di fertilità e cancro al fegato”, https://www.focus.it/scienza/salute/insetti-nel-piatto-ci-sono-rischi-per-la-salute

[18] https://insideevs.it/news/707510/auto-plug-in-cina-previsioni/

[19] https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-post-mortem-per-il-superbonus-extra-deficit-extra-debito-e-rallentamento-in-atto

[20] https://ance.it/wp-content/uploads/allegati/20230725_Il_futuro_del_superbonus.pdf

[21] https://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/sindrome-del-salto-di-quirra

[22] https://ilgiornaledellambiente.it/veleni-di-quirra-le-fasi-finali-del-processo-contro-la-base-militare/

[23] https://opinione.it/economia/2020/09/15/ruggiero-capone_oms-fmi-onu-lockdown-autora-bizza-francia-italia-germania-nigeria-brasile-marx-l-opinione-bielorussia-operazione-corona/

[24] Ibidem.

[25] https://www.youtube.com/watch?v=B-48pRqwmBw.

[26] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/02/29/il-parlamento-ue-non-vota-per-i-negoziati-ma-per-riconquistare-anche-la-crimea-allucraina-missili-a-lungo-raggio-e-caccia-fino-alla-vittoria/7463634/#:~:text=Zonaeuro-,Il%20Parlamento%20Ue%20non%20vota%20per%20i%20negoziati%2C%20ma%20per,e%20caccia%20fino%20alla%20vittoria%E2%80%9D&text=Il%20Parlamento%20europeo%20sposa%20la,territori%20occupati%2C%20compresa%20la%20Crimea.

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Sapelli: la crisi energetica è un colossale fallimento manageriale e del green “forzato” dalla Ue

Si contempla il traguardo, ma non la strada da percorrere_Giuseppe Germinario

Sapelli: la crisi energetica è un colossale fallimento manageriale e del green “forzato” dalla Ue. Se ne esce rallentando la corsa alla transizione forzata e inverando l’economia circolare

di Marco de’ Francesco ♦︎ Intervista allo storico ed economista sull’enorme aumento dei prezzi dell’energia, che danneggerà seriamente molte industrie (automotive, plastica, chimica, acciaio…). «Il diesel, alla fine dei conti, era assai più verde dell’elettrico. Ma non c’è dubbio che una certa narrazione sia prevalente»

«La crisi energetica? Un colossale fallimento manageriale da parte degli strateghi e dei responsabili degli acquisti delle società energetiche europee». I primi hanno smesso di investire nelle ricerche minerarie, i secondi non hanno capito che il just in time, con l’interruzione delle filiere in corso di pandemia non funzionava più, e che bisognava far scorte di idrocarburi. E ora il Vecchio Continente è in guai seri, perché il prezzo del Brent viaggia a quota 80 dollari, e il gas naturale è passato in un anno da 2,5 dollari al metro cubo a circa 6 dollari, e anche il carbone ha rialzato la testa, da 50 a circa 220 dollari a tonnellata. E i livelli di stoccaggio sono paurosamente bassi. Ci aspettano momenti terribili, con possibili gravi ripercussioni sull’automotive, il vero motore dell’industria continentale, «che si sta smantellando da sola». Lo pensa Giulio Sapelli, economista, storico e accademico torinese (ma con cattedra a Milano), uno dei pochi ad avere sempre un punto di vista originale sulle vicende industriali ed economiche in Italia.

C’è di più. Secondo Sapelli, la dabbenaggine non c’entra. Non si tratta, cioè di errori di valutazione dovuti al fato o all’incompetenza. Il fatto è che i manager sanno bene che la Borsa premia il green. La Finanza sovvenziona l’ideologia verde con denari a palate: secondo Morningstar, sui 139,2 miliardi di dollari che nel secondo trimestre di quest’anno sono affluiti sulle società che producono energia rinnovabile o che investono nella transizione energetica, l’81%, e cioè 112,4 miliardi, provengono dal Vecchio Continente. Il mondo green valeva a giugno 2.243 miliardi di dollari, più del Pil dell’Italia; di questi soldi, l’82% era in mano all’Europa. È oggettivamente difficile, per qualsiasi manager, non tenere conto di queste dinamiche. D’altra parte, le scelte green degli amministratori, dice Sapelli, sono “ricompensate” dalle società di appartenenza con laute concessioni di stock option.

Tutto ciò si fa perché Strasburgo ha posto in essere un proprio piano sulle politiche energetiche (ma anche climatiche e dei trasporti), il Green Deal, che si fonda largamente sul ricorso alle fonti rinnovabili e sulla compressione di quelle fossili. Ma secondo l’economista non è chiaro se sia stata l’Unione Europea a condizionare la finanza, o il contrario, visto che la seconda «ha un piede nell’Unione Europea». Come se ne esce? Da una parte l’Unione Europea dovrebbe per lo meno rallentare la corsa alla transizione forzata, dall’altra il governo Draghi dovrebbe «inverare l’economia circolare», che riduce la produzione di emissioni senza annientare l’industria. Secondo me questa è una strada credibile, e realizzabile. È già in parte operativa: si tratterebbe soltanto di estendere il sistema. Tutto questo secondo Sapelli, che abbiamo intervistato.

 

D: Con il Covid la domanda di energia era calata, e pure i prezzi. Si era detto che era un calo strutturale e non casuale. Oggi questi discorsi sembrano destituiti di qualsiasi fondamento: abbiamo ancora bisogno di petrolio e gas?

Giulio Sapelli, economista e accademico

R: Sì, non c’era nulla di strutturale nella riduzione dei prezzi durante il Covid-19. Il calo era momentaneo, ed era legato al blocco delle attività produttive, al alla disarticolazione delle filiere e alla difficoltà degli approvvigionamenti. Molto si era fermato, e quindi c’era meno bisogno di energia. Poi, quanto sta accadendo da qualche mese, è invece frutto di un insieme di fattori. Anzitutto l’aumento è legato ad una transizione green troppo rapida, guidata dall’alto, e cioè dalle politiche europee sull’energia e sui trasporti, che sono frutto della tecnocrazia di Strasburgo, sempre più lontana dalla realtà dell’industria. Inoltre stanno pesando anche le condizioni climatiche, l’inverno freddo e l’estate calda, e soprattutto il default manageriale delle imprese energetiche del Vecchio Continente.

 

D: Quale default manageriale?

R: Ciò che si osserva è anche un colossale fallimento manageriale: i responsabili degli acquisti delle società energetiche europee avrebbero dovuto capire che centinaia di navi alla rada (cariche di idrocarburi) avrebbero creato colli di bottiglia. Avrebbero dovuto comprendere che il just in time che aveva regolato il loro mondo negli ultimi anni non avrebbe più funzionato e che bisognava fare scorte. Invece, gli esperti che si occupavano di strategia avrebbero dovuto continuare a fare investimenti nel fossile, nella ricerca mineraria. Non c’è niente da fare: senza queste attività si resta a secco. Comunque sia, ora ci troviamo senza riserve.

La missione 2 del Pnrr: la transizione ecologica

D: In effetti nel 2014 si investivano 800 miliardi nella mineraria, quest’anno di stima sui 250 miliardi. E i livelli di stoccaggio sono tra i più bassi mai registrati. Ma come mai i manager delle aziende energetiche non hanno interpretato correttamente la situazione?

R: Diversi fattori hanno inciso sul comportamento dei manager. La Borsa premia il green, che le stock option vengono assegnate a chi fa operazioni verdi: si assiste ad una discrasia sempre più profonda tra la finanza e la realtà. E le scelte dei manager sembrano guidate dalla logica dei bonus.

Gas naturale. L’incremento dei prezzi delle materie prime non è di certo una novità, ma piuttosto un fenomeno che ciclicamente coinvolge l’economia mondiale. Ma questa volta, alle dinamiche fisiologiche si sono sommate quelle straordinarie dettate dalla pandemia, su tutte le politiche di stimolo messe in campo dai governi

D: Non è che l’Europa, con il Green Deal, ha fatto il passo più lungo della gamba?

R: Ha imposto dall’alto una politica sull’energia e sui trasporti largamente fondata sulle rinnovabili, caratterizzate da una produzione intermittente e insostenibile dal punto di vista industriale. Bisogna tornare alla raffinazione del petrolio. È essenziale in termini energetici; e con i suoi derivati non si fa soltanto la plastica, il cui prezzo è peraltro raddoppiato in un anno, ma anche i prodotti farmaceutici, che sono basati sull’urea. Vorrei sapere come avremmo fatto a sviluppare i vaccini, altrimenti. L’aspetto grottesco del momento attuale è che, dopo tutta questa guerra ai combustibili fossili, alcuni Paesi paladini di questa ideologia (come il Regno Unito) stanno riattivando le centrali a carbone – che è senz’altro la fonte più inquinante.

Brent petrolio. Dopo un calo dei prezzi di materie prime come rame, petrolio e acciaio a cavallo di Ferragosto, ora si assiste a una nuova inversione di tendenza. Anche gli analisti si trovano in difficoltà: è difficile stabilire se si tratti di una normalizzazione della curva o di una nuova ondata di incrementi.

D: Quali settori industriali rischiano di più? E quanto rischiano?

Linea di produzione nella fabbrica Fca di Torino

R: La crisi energetica sta colpendo duramente le industrie ad alto consumo di elettricità, e quindi la siderurgia, la chimica, la ceramica, le cartiere. Ma non trascurerei l’automotive, che è centrale per il sistema Paese. Al di là dei componentisti, molti settori dipendono dalla domanda dei carmaker: si pensi alle materie prime: plastica, vetro, metallo, compositi. Ora, l’automotive è di nuovo sotto scacco, perché, dopo i guai e l’indebitamento per la transizione all’elettrico, si trova a fronteggiare sia la crisi energetica che quella dell’aumento dei costi e della difficoltà di reperire componenti essenziali, come i micro-chip, che dei raw material. Come si è arrivati a tutto questo? Si torna al discorso di prima: la colpa è dei tecnocrati di Bruxelles e Strasburgo, che subiscono le pressioni delle lobby ambientaliste, che a loro volta hanno un piede nella finanza. Quello che sta accadendo è strano e forse non è mai successo: l’industria europea si sta smantellando da sola.

 

D: L’Opec e la Russia non sembrano avere alcun interesse ad aumentare l’offerta. Anzi, pare che Gazprom abbia diminuito le forniture.

R: L’Opec e la Russia fanno i loro interessi. Per quale motivo dovrebbero agire per diminuire i prezzi, dopo un periodo, quello della pandemia, in cui questi sono diminuiti? Fa parte della dialettica fra gli Stati. L’Opec in particolare è sempre stata molto attenta a gestire la dinamica dei costi del petrolio. Questo si sapeva già. La colpa è dell’Europa, che si è cacciata nei guai da sola, e che ora non sa esattamente cosa fare.

Dopo un calo dei prezzi di materie prime come rame, petrolio e acciaio a cavallo di Ferragosto, ora si assiste a una nuova inversione di tendenza. Anche gli analisti si trovano in difficoltà: è difficile stabilire se si tratti di una normalizzazione della curva o di una nuova ondata di incrementi

D: Come si esce da questa situazione?

Maire Tecnimont Impianto di trattamento Oil & Gas Tempa Rossa

R: Ritornando alla ragione, e quindi abbandonando le sirene e i cantori della transizione forzata. Certo, bisogna agire anzitutto in Europa, per porre i tecnocrati di fronte alla realtà: non è mai stato inventato un sistema per contrastare l’emissione di Co2. Il green sposta il problema altrove, ma si vive sotto lo stesso cielo, nella stessa atmosfera. Se movimento e tratto in Cina centinaia di tonnellate di terra per ottenere un centimetro cubo di materiali da inserire in una batteria o nel fotovoltaico, qual è il vantaggio? Il diesel, alla fine dei conti, era assai più verde dell’elettrico. Ma non c’è dubbio che una certa narrazione sia prevalente. Poi c’è il governo. Se fossi Draghi, cercherei di inverare l’economia circolare, che riduce la produzione di emissioni senza annientare l’industria. Secondo me questa è una strada credibile, e realizzabile. È già in parte operativa: si tratterebbe soltanto di estendere il sistema. Quanto a Confindustria, non so neanche cosa dire. All’interno, non è difficile scorgere una lotta di potere, dove la politica ha un peso importante. D’altra parte, gran parte del finanziamento all’associazione dipende dalle imprese pubbliche. Questo influisce molto sulle dinamiche di Viale dell’Astronomia.

https://www.industriaitaliana.it/sapelli-crisi-energia-economia-circolare-industria-gas-petrolio/

Che cosa penso delle tesi di Rutelli su Pnrr e rinnovabili. Parla Sapelli

Draghi Sapelli

Lo storico ed economista, Giulio Sapelli, commenta in una conversazione con Start Magazine le tesi di Francesco Rutelli che a Draghi sulla transizione energetica ha consigliato di…

“Draghi ha ottenuto la fiducia sulla promessa di una “rivoluzione verde”, ma l’attuale agenda è inadeguata. Se ci faremo trovare impreparati, il Paese perderà anche competitività: compreremo dalla Cina le batterie e dalla Germania gli elettrolizzatori”. Non usa mezzi termini l’ex ministro dell’Ambiente Francesco Rutelli, ora presidente della fondazione Centro per un futuro sostenibile e presidente di Anica, associazione delle industrie cinematografiche, audiovisive e multimediali, in una intervista a Repubblica chiede che il dossier sul clima passi a Draghi.

Per Giulio Sapelli, economista, però il Pnrr più che essere fuori strada sul clima lo è sulla politica industriale. “Gli obiettivi climatici al 2030 non dovrebbero esistere”, dice Sapelli, sentito da Start Magazine.

Andiamo per gradi.

RUTELLI: SUL CLIMA SIAMO FUORI STRADA

Partiamo dalle tesi di Francesco Rutelli.

“Sul clima siamo completamente fuori strada”, afferma l’ex Ssndaco di Roma, che negli ultimi anni è uscito dalla scena politica in una intervista a Repubblica. “L’agenda politica italiana è totalmente inadeguata ad affrontare l’emergenza. Ma una soluzione c’è e si chiama lavoro”.

SPROPORZIONE TRA IMPEGNI E FATTI

“C’è una colossale sproporzione tra quello che ci siamo impegnati a fare e quello che stiamo realizzando davvero. La comunità internazionale, quindi anche l’Europa e l’Italia, è concorde nel dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 e azzerarle entro il 2050”, ha aggiunto Rutelli.

IL DOSSIER PASSI A DRAGHI, DICE RUTELLI

Per il presidente di Anica, a prendere in mano il dossier dovrebbe essere direttamente il Premier: “Draghi ha ottenuto la fiducia sulla promessa di una “rivoluzione verde”, ma l’attuale agenda è totalmente inadeguata. Non basta cambiare nome a un ministero e affidarlo a un persona competente come Cingolani, di cui mi fido e che stimo, ma che è l’ottavo ministro del governo in termini gerarchici. Se ne deve far carico il premier in prima persona”, aggiunge Rutelli.

A RISCHIO COMPETITIVITA’ PAESE

Per l’ex sindaco di Roma, in gioco c’è il futuro imprenditoriale del Paese. Bisognerebbe, spiega Rutelli, riscrivere “totalmente l’agenda politica del Paese”, mettendo “al centro la lotta all’emergenza climatica. Se ci faremo trovare impreparati, il Paese perderà anche competitività: compreremo dalla Cina le batterie e dalla Germania gli elettrolizzatori (i dispositivi che estraggono idrogeno dall’acqua, ndr)”.

OBIETTIVO: CREARE LAVORO

Ma come convincere la popolazione che la strada verso il green sia quella giusta?

“L’unica chiave per convincere le persone a sposare la transizione ecologica – spiega Rutelli – è il lavoro. Vanno coinvolti tutti gli attori pubblici perché gli investimenti green siano finalizzati alla creazione di nuova occupazione. Chi perderà il lavoro per il passaggio dai fossili alle rinnovabili dovrà poter contare su una struttura di formazione permanente che lo prepari alle nuove professioni. E ai ragazzi va prospettata una filiera di formazione e occupazione compatibile con la transizione verde. È il solo argomento convincente nel breve termine per avere il consenso delle persone”.

SAPELLI: LA TRANSIZIONE E’ SOCIALE E A LUNGO TERMINE

Ma davvero, come dice l’ex ministro dell’Ambiente, nella lotta al cambiamento climatico siamo fuori strada? “L’affermazione di Francesco Rutelli è apolitica. Il problema sollevato è giusto, ma non possiamo trovare soluzioni solo superficiali. Bisogna capire cosa e come si interpreta la lotta al cambiamento climatico”, afferma Giulio Sapelli, storico ed economista, a Start Magazine.

“Per controbilanciare, realmente, la devastazione fatta negli anni passati del clima, della natura e della Terra, è necessaria una transizione di lungo termine. Guardiamo al passato e al tempo che è stato necessario per passare dal feudalesimo al capitalismo”.

CON MODELLO CAPITALISTA LA TRANSIZIONE ENERGETICA E’ LONTANA

E proprio il capitalismo, per Sapelli, è un impedimento alla lotta al cambiamento climatico. “Sarà difficile risolvere il problema climatico all’interno del nostro sistema capitalista, serve prima una transizione sociale ed economica. La necessità di presentare i conti economici ogni tre mesi dirotterà le politiche aziendali alla creazione di plus valore”.

OBIETTIVI 2030? MODELLO SBAGLIATO

Anche la modalità dell’imposizione degli obiettivi, per Sapelli, è fallibile. “Il problema non è essere in linea o meno con gli obiettivi al 2030, come sostiene Rutelli, il problema è l’imposizione di quelli obiettivi. Questa politica risponde ad un modello sovietico, già fallito”, spiega l’economista: “Con il Pnrr abbiamo resuscitato il modello URSS”.

SAPELLI SU RUTELLI

E allora qual è la strada che il governo Draghi dovrebbe perseguire? “Quella che dovremmo seguire tutti: puntare al risparmio energetico, nel senso di non accendere luci non necessarie, per esempio, e a nuovi modelli di estrazione delle risorse naturali. Mi spiego: l’acqua dovrebbe essere amministrata dalla comunità, come bene comune di cui prendere consapevolezza. Un altro esempio? La pesca: il fermo pesca non dovrebbe essere imposto dall’alto, ma deciso da una cooperativa di pescatori. É la società che si deve anche fare carico dell’economia”.

PNRR: NON RISPECCHIA STRUTTURA INDUSTRIALE

E quindi il Pnrr, così come impostato, potrebbe avere effetti controproducenti per la struttura imprenditoriale italiana? “Sì”, secondo Sapelli, ma non per gli stessi motivi di Rutelli. Secondo l’economista, infatti, “il Piano non è modulato sulla struttura industriale italiana, che è composta principalmente da piccole e medie imprese. Noi siamo una potenza grazie a queste: se guardiamo alla siderurgia, oltre all’Ilva, noi siamo leader grazie alle imprese medie e piccole di settore”.

UN PNRR TROPPO BUROCRATICO

Ma Sapelli che cosa rimprovera a questo Pnrr? “E’ troppo burocratico e centralizzato. Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza è un elenco di spese, una teoria. Sembra essere l’ultimo tentativo sovietico. I neoliberisti vogliono fare i liberisti con lo Stato. Il Pnrr manca di una visione industriale per il nostro Paese, è frutto delle idee dei 10.000 burocrati di Bruxelles”.

IL FOSSILE TORNERA’ DI MODA

Ma burocrati ed ideologie momentanee a parte, per Sapelli i fossili non passeranno mai di moda. “Del fossile ce ne sarà sempre bisogno. Ci accorgeremo presto che con le rinnovabili produrremo più anidride carbonica di quanto immaginiamo. L’idrogeno, invece, richiede l’utilizzo di materiali cancerogeni. Il litio non riusciamo a smaltirlo. Quanto prima torneremo alle fossili e al gas, soprattutto”, secondo lo storico ed economista.

“Rutelli è mosso da pensieri positivi, ma bisogna conoscere bene la materia. Io ho anche letto il libro “Tutte le strade portano a Roma”, è molto bello, ma consiglio a Rutelli di leggere quanto è accaduto in Texas, dove sono stati senza luce per il crollo del sistema elettrico, che si regge sulle sole rinnovabili. Ci sono già elementi che valorizzano la mia tesi”.

https://www.startmag.it/energia/che-cosa-penso-delle-tesi-di-rutelli-su-pnrr-e-rinnovabili-parla-sapelli/