I CALCOLI (SBAGLIATI) DI ISRAELE E STATI UNITI, di Roberto Di Giuseppe

I CALCOLI (SBAGLIATI) DI ISRAELE E STATI UNITI

E’ davvero difficile immaginare che l’attacco di Hamas al muro eretto dagli israeliani lungo il confine con la Striscia di Gaza, possa essere avvenuto senza che nessuno si sia accorto di nulla, che avamposti militari abbiano potuto essere conquistati quasi senza colpo ferire, che addirittura un rave party ad un passo dal confine con la Striscia e quindi a tiro di razzi, sia stato consentito, senza oltretutto un minimo di sorveglianza.

E’ anche più difficile credere che un simile colpo non sia stato rilevato neanche per una minima parte dai servizi di intelligenza tanto israeliani quanto statunitensi.

Come è stato detto da qualcuno, a mio avviso correttamente, tutto questo puzza tanto di 11 settembre 2001.

La mia idea è che questo attacco da parte di Hamas sia stato un “invito” da parte israeliana e statunitense.

Infatti, se ciò che credo risultasse anche vero, sarebbe stato impossibile per Israele contare su un così tempestivo sostegno a stelle e strisce senza che vi fosse stato un pieno accordo tra le due parti.

Questo significherebbe che i dirigenti di Hamas siano degli utili idioti, o peggio ancora, dei complici?

Niente affatto. Hamas ha chiarissima la strategia di fondo di Israele: la pulizia etnica della Striscia di Gaza, attraverso la progressiva espansione degli insediamenti coloniali e lo strangolamento economico-sociale dei palestinesi residenti in quel territorio.

Questa strategia, già ben nota tanto al regime nazista nella fase pre soluzione finale, quanto ai governi nord-americani nell’opera di genocidio dei pellerossa, ha tuttavia il suo tallone di Achille nel numero di persone da evacuare. Se per gli statunitensi si è trattato di un compito relativamente semplice (e che è tuttavia durata più di un trentennio), sia per i nazisti negli anni ’30-’40 che per gli israeliani ai giorni nostri, l’ostacolo posto dal numero si è rivelato un ostacolo troppo difficile da sormontare, anche in relazione alla ristrettezza del tempo a disposizione per portare a termine l’opera.

A ciò si aggiunga che mentre i nazisti hanno potuto contare sulla sostanziale arrendevolezza delle loro vittime, del tutto impreparate anche solo a concepire la determinazione e l’odio dei loro persecutori, Israele si trova invece ad affrontare un popolo determinato, combattivo e resistente, sostanzialmente inestirpabile con i mezzi ordinari di una comune politica di pulizia etnica, per quanto condotta con estrema durezza.

Questo ha comportato la necessità da parte israeliana di un decisa accelerazione.

Israele sta attraversando una fase piuttosto critica della sua storia. La sua popolazione è incerta sul suo futuro e profondamente divisa al suo interno e queste divisioni vanno sempre più polarizzandosi.

Esattamente lo stesso processo che si sta sviluppando negli Stati Uniti. USA e Israele sono, loro malgrado, indissolubilmente legati l’uno all’altro ed entrambi vedono con crescente ansia una progressiva erosione della loro influenza e della loro potenza.

Hamas e non solo Hamas vede tutto questo. Vede l’arroganza e la forza di Israele farsi sempre più intensa ed invasiva in modo inversamente proporzionale al venir meno delle sue sicurezze e non può fare altro che stare al gioco. Un gioco al massacro.

In estrema sintesi questo gioco prevede che Hamas attacchi Israele in forme finora completamente inedite e che Israele, o meglio il suo attuale governo iper-sionista, finga di essere stato colto di sorpresa. Ognuno fa i suoi calcoli. Israele forte dell’appoggio, dato per scontato, dell’Occidente collettivo, pensa di poter cogliere l’occasione per un’occupazione definitiva, manu militari, della Striscia di Gaza, dopo aver costretto la popolazione a espatriare in Egitto a forza di bombardamenti. Hamas pensa di usare questa stessa popolazione ed il suo ingente numero, per costringere il resto del mondo a prendere atto della vera natura della politica espansionistica di Israele. E’ innegabile che entrambe le parti abbiamo le mani sporche, molto sporche di sangue. A questo punto la vera partita si gioca sull’invasione di terra. Israele sa di non poter continuare all’infinito con i bombardamenti, efficaci peraltro solo sui civili. Già da più parti si levano degli altolà sempre più chiari e decisi. Inoltre le reiterate risoluzioni dell’Onu (per quanto l’Onu sia ormai poco più che un simulacro di se stesso) parlano chiaramente di una soluzione “Due popoli, due Stati”. Israele dunque, per portare avanti il suo disegno strategico, che è lo ripeto, l’espulsione totale e definitiva di tutti i palestinesi dalla Palestina, deve necessariamente invadere Gaza. Ma qui io credo, si innesti un grave errore di calcolo, dettato secondo me, dalla fretta di ricomporre un’artificiosa unità interna dinnanzi al pericolo imminente e dalla preoccupazione per i continui default del principale alleato e protettore, gli Stati Uniti. Una fretta che ha portato Israele, ovvero, lo ripeto, il suo attuale governo iper-sionista, a sottovalutare l’aumento del potenziale bellico di Hamas, sia sotto il profilo degli armamenti che sotto quello dell’addestramento del personale e del coordinamento di comando. Un attacco a Gaza comporterà inevitabilmente un bagno di sangue da entrambe le parti ed un probabilissimo allargamento del conflitto, con conseguenze del tutto imprevedibili sul futuro di Israele e forse anche del nostro.

E’ qui che si innesta la tematica dell’intervento nord-americano. A guardare le apparenze, sembra che la risposta degli Usa all’attacco di Hamas sia stata più rapida e pronta di quella dello stesso Israele. Immediato l’invio di una squadra portaerei con l’annuncio del rapido invio di una seconda, come “deterrente” verso possibili attori esterni. A mio avviso si è trattato di un’operazione concordata. Hamas, praticamente “costretto” ad attaccare, Israele che apparentemente si “lascia sorprendere” e gli Stelle a Strisce che prontamente intervengono a protezione dell’alleato proditoriamente aggredito, con l’oramai immancabile codazzo di camerieri e cameriere targati Unione Europea, opportunamente istruiti.

Il fatto è, secondo me, che gli Stati Uniti debbono cercare un diversivo per sganciarsi dalla trappola ucraina, dove stanno subendo una sconfitta storica, cento volte peggiore della ignobile fuga dall’Afganistan e in prospettiva, ancora più grave della storica sconfitta in Vietnam. Questa nuova debacle, deve essere mitigata da una decisa prova muscolare in uno settore altrettanto nevralgico dello scacchiere geopolitico, che ribadisca ad alleati ed avversari, la forza politica e militare della potenza nord-americana e allo stesso tempo sappia riportare un minimo di coesione interna messa così a dura prova dalla conduzione disastrosa del conflitto con la Russia.

Ma come spesso accade, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. La forza dell’attacco di Hamas si è dimostrata, volutamente o meno, fin troppo dirompente. L’opinione pubblica israeliana ne è rimasta profondamente scioccata ed intimorita. Al posto di una molto probabilmente auspicata e prevista, sollevazione interna anti-palestinese, sembra emergere piuttosto un certo disorientamento ed una crescente critica verso l’incapacità del governo Netanyahu nel non aver saputo prevenire un simile colpo. Da qui la necessità di questo stesso governo, di agire in fretta, senza la necessaria ponderazione. Il pesantissimo attacco aereo contro la Striscia di Gaza, va configurandosi sempre di più come un vero e proprio crimine di guerra. L’obiettivo originario di indurre la popolazione palestinese ad abbandonare il proprio territorio sotto l’effetto delle bombe, è divenuto un intento smaccato dal chiaro sapore di pulizia etnica, suscitando, come sarebbe stato facilmente prevedibile con un minimo di maggior lucidità, la reazione sempre più decisa dei paesi arabi.

La questione palestinese è notoriamente indigesta a gran parte del mondo arabo, ma tanto più per questa ragione, la pretesa israeliana di scaricare sull’Egitto il peso gravosissimo di gestire più di due milioni di palestinesi scacciati dalle loro case a colpi di bombe e di stragi di civili inermi, bambini compresi, appare semplicemente cervellotica. Più adatta semmai a spingere pericolosamente l’Egitto verso la china di una contrapposizione diretta con lo stesso Israele.

A meno che la preparazione militare di Hamas non risulti un clamoroso bluff, cosa che a me pare non molto probabile, l’attacco di terra, ancorché a mio parere inevitabile, proprio per la strategia di fondo sottesa alla politica di Israele, comporterà perdite notevolissime da entrambe le parti, che non mancheranno di avere il loro peso nel sistema delle relazioni internazionali. La forza dissuasiva della presenza militare statunitense, così ardimentosamente sbandierata, non credo sarebbe sufficiente ad impedire il coinvolgimento di altri attori esterni, proprio a causa della troppo pesante reazione aerea israeliana e di iniziative come il taglio delle forniture d’acqua e di energia elettrica, che hanno avuto il doppio effetto di apparire come una crudele quanto ingiusta punizione della popolazione civile ed allo stesso hanno mostrato al mondo come la Striscia di Gaza e la sua popolazione siano ostaggio della repressione e della prepotenza israeliana anche per i bisogni più essenziali come in una sorta di gigantesco campo di concentramento.

L’intervento diretto nord-americano quand’anche effettuato contro attori esterni come ad esempio Hezbollah, aprirebbe pur sempre uno scenario quanto mai pericoloso e denso di incognite e finirebbe comunque per compromettere in maniera definitiva la residua capacità contrattuale degli Usa rispetto al mondo arabo, già ora fortemente compromessa. Credo sia per questo tipo di considerazioni che il presidente Usa si sia espresso contro un intervento di terra da parte israeliana. Ma la rinuncia a questo intervento implicherebbe da parte di Israele l’ammissione di uno smacco politico-militare senza precedenti con conseguenze anche qui non pienamente ponderabili, ma certamente negative per lo stato sionista.

In tutto ciò, il pagliaccio di Kiev, come un vecchio saltimbanco sul viale del tramonto, riceve l’ennesimo schiaffo in faccia proprio dagli stessi israeliani che giudicano “non opportuna” la sua richiesta di visita “di solidarietà”.

Un pagliaccio che purtroppo è costato e costerà ancora centinaia di migliaia di morti tra il suo stesso popolo ed al quale la promessa di un esilio dorato in Canada per “servizi resi” potrebbe alla fin fine, non essere mantenuta.