Le Périple du Pont-Euxin. Un doppio pensiero sull’opposizione terra/mare di Olivier Battistini

Di solito, la terra si protegge dall’attacco del mare. Ma nel suo Periodo del Ponto Eusino, l’autore greco Arriano descrive una situazione inversa, in cui è il mare a proteggersi da un attacco da terra. È una strategia rara, ma che si è ripetuta nel corso della storia, come l’attacco alla flotta francese a Tolone (1942) e quello alla flotta russa nel Mar Nero. O quando i classici fanno luce sulla contemporaneità.

Olivier Battistini, ellenista, membro del comitato scientifico di Conflits, autore in particolare di Platone. Le philosophe-roi (Ellipses, 2024).

 La dominazione degli Ateniesi si instaura in cinquant’anni, metodicamente, tra le guerre mediane e la guerra del Peloponneso, la Pentékontaétie.

Questa è la storia di una confederazione, la Lega di Delo, ricca di potere simbolico, conseguenza dell’energia politica, della forza di un logos, di una scelta strategica.

Questa è la storia della comprensione e dell’appropriazione singolare di uno spazio, di una dimensione.

È la storia di una diversa visione del mondo, di una diversa geopolitica, rivelata dal ritmo binario di un confronto con Sparta. Complicità e antagonismi essenziali, terra contro mare.

Avvicinarsi a questa presa di posizione ateniese significa dimenticare la scena terrestre e il punto di vista continentale, cercando di leggere, nei loro termini politici e nelle loro concezioni belliche, la talassocrazia degli Ateniesi, il loro nomos[1]. Un ordine dal mare.

Molto più tardi, un’altra dialettica terra/mare.

Guardare oltre il confine

Arriano era stato incaricato da Adriano di ispezionare le difese e gli avamposti ai confini dell’impero, dove le truppe erano stanziate da Trebisonda a Dioscurias. I Barbari erano vicini, così come gli Alani, i Parti e i Sanniti ribelli.

Nel Periplo del Pont-Euxin, Arriano si ispirò alla circumnavigazione di Menippo di Pergamo, di cui sopravvivono solo alcuni frammenti nell’abbreviazione prodotta da Marciano di Iraclia. Egli riprodusse interi passaggi, tranne la parte corrispondente al viaggio che egli stesso compì da Trebisonda a Dioscurias.

Arriano, che ha trascorso del tempo sulle coste di questo mare sempre sballottato da venti tumultuosi, ” inospitale ” prima di diventare euxine, cioè greco, è certamente interessato al passato, ai dettagli storici e ai racconti mitologici, ma soprattutto al presente, alla sua missione, che è militare e geografica. Il piano della narrazione sorprende : ” Arriano inizia la sua descrizione a Trebisonda  da Trebisonda segue la costa fino a Sebastopoli o Dioscurias  da Dioscurias si sposta fino all’imbocco del Pont-Euxin, e percorre la costa asiatica fino a Trebisonda ; da Trebisonda ritorna con un nuovo cambio, altrettanto brusco del primo, a Dioscurias, e da questo terzo punto di partenza descrive tutte le coste settentrionali del Mar Nero, e arriva a Bisanzio[2]..

Cataloga le caratteristiche della costa, descrive le coste rocciose, i ripari e i porti, individua i fiumi navigabili e quelli non navigabili, indica la salinità delle acque e precisa la direzione dei venti, elenca le città, osserva e studia i popoli vicini, le tribù di predoni che dovevano essere combattute o distrutte, visita i re che avevano ricevuto la corona da Adriano e la cui fedeltà doveva essere confermata. Non si trattava del tradizionale limes terrestre, perché le fortezze erano costiere e troppo distanti tra loro. Ma sono punti di appoggio per la Classis Pontica che naviga a sud del Pont-Euxin. Si tratta di un sistema di sorveglianza in cui il pensiero della guerra a terra si combina con quello della guerra in mare. L’obiettivo era quello di impedire l’accesso al mare della flotta, poiché il pericolo proveniva dall’entroterra, e di proteggere la base di Trebisonda. Un duplice approccio all’opposizione tra terra e mare. Flavio Arrien è ateniese in virtù della sua paideia. Conosce quindi il nomos del mare e concepisce una metapolitica che ritroviamo nella sua analisi della scelta di Alessandro di congedare la flotta a Mileto.

Ad Apsaros, dove erano di stanza cinque coorti, Arriano ispezionò i bastioni, i fossati, i negozi di armi e di cibo. Non lontano dalla Fase, il cui colore è quello dell’acqua immersa nel piombo o nello stagno, ecco un forte dove stazionano 400 soldati d’élite difesi dalla sua situazione naturale e dal fatto di trovarsi nel luogo più appropriato per  garantire la sicurezza di chi naviga  : I fossati proteggono le torri e un muro di mattoni cotti dove sono conservate le macchine da guerra. Aumentò le difese. A Dioscurias, il punto più lontano dell’impero, ai piedi del Caucaso, c’era una guarnigione che, nonostante la lontananza, aveva ricevuto i benefici di Adriano, poiché il Senato e il popolo lo chiamavano il loro benefattore. Arriano continuò lì la sua ispezione militare, interessandosi di tutto, senza dimenticare i malati. Secondo Michel Reddé,  è chiaro, tuttavia, che si trattava di un sistema molto particolare, apparentemente unico nel mondo romano, in cui la presenza navale giocava un ruolo considerevole .

Presenza navale.

La portata di questa flotta, creata al momento dell’annessione del regno del Ponto di Polemone II nel 64, si estendeva a sud-est, non lontano dal Caucaso, a sud, lungo le coste settentrionali dell’Asia Minore, e a sud-ovest, verso le Propontidi. Il suo ruolo di controllo delle coste e di mantenimento dell’ordine marittimo, nonché di copertura e sicurezza per le operazioni militari terrestri in Oriente, era essenziale in un’epoca in cui il Pont-Euxin rappresentava un’importante via marittima ai confini dell’impero. Venuto a conoscenza della morte di Cotys, re del Bosforo cimmerio, e ritenendo che il suo principe potesse esercitare un’utile influenza, Arriano si recò a Panticapaea, dove fece sfoggio della sua flotta e confermò questo popolo nell’alleanza romana. Durante la ricognizione della rotta che portava al Bosforo, raccolse informazioni sulle varie tappe, che annotò dopo averle ascoltate, in modo che se l’imperatore avesse avuto dei progetti per il Bosforo, avrebbe potuto prendere una decisione senza ignorare la rotta. Descrive quindi la costa da Dioscurias al Bosforo cimmerio e dal Bosforo cimmerio al Bosforo tracio. Questo completa il viaggio nel Mar Nero.

Il viaggio di Arriano comprende un momento sorprendente.

Dopo molte traversate, raggiunge Atene, un luogo così chiamato, non lontano da Zagatis e Prytanis, prima di Apsaros – dove sono acquartierate cinque coorti – e della Fase. Lì  un tempio greco di Atena da cui questo luogo, a [suo]avviso, prende il nome[3] “.

Lì si trova una fortezza abbandonata. Questo ancoraggio, su una costa rocciosa che offre rari ripari naturali, può ospitare un piccolo numero di navi e offrire loro un rifugio dai Noto e persino dagli Euro; può inoltre proteggere le imbarcazioni alla fonda dal Boreas, ma non certo dall’Aparkias, né dal vento noto come Thraskias nel Ponto o Skiron in Grecia. Tuttavia, al calar della notte, si scatenò una tempesta, il vento si spostò dal Notos al Libs e le navi non furono più al sicuro. Le Liburns dovettero essere tirate a secco su una spiaggia vicina, mentre la triremi di Arriano rimase all’ancora, al riparo dietro una roccia. I viaggiatori che hanno perso un’imbarcazione che un’onda ha portato a galla mentre attraccava sono rimasti bloccati per due giorni ad Atene :  Così non avremmo dovuto passare Atene, sia essa sul Ponto, come se fosse un ancoraggio deserto e anonimo[4].In Arrien l’Ateniese, il nome stesso di Atene trasforma questa fortezza perduta in un luogo sacro, in una terra mitica. È generalmente accettato che i Romani, come gli Spartani, fossero guerrieri di terra, poiché l’antichità ha conosciuto solo due vere talassocrazie, quella degli Ateniesi e quella dei Cartaginesi, quest’ultima – e questo è raccontato e meditato in chiave metapolitica da Tucidide e Polibio – alla fine sconfitta da potenze di terra che per prevalere dovevano necessariamente diventare padrone del mare.

Per Starr, le battaglie decisive si sarebbero sempre svolte sulla terra[5] : Plataea dopo Salamina, Alessandria dopo Azio.

” Non si può negare che Roma, a differenza di Atene e delle moderne talassocrazie come l’Inghilterra o meglio ancora Venezia o l’Olanda, non conquistò il suo impero dal mare, ma attraverso una graduale appropriazione delle coste del Mediterraneo. La visione che aveva del suo dominio sul oikoumene non poteva quindi essere la stessa dei veri “popoli marittimi”. C’è stato, tuttavia, almeno un momento nella storia di Roma in cui gli abitanti dell’Urbsnon potevano non essere consapevoli che il loro futuro si giocava sul mare : Questo avvenne durante la Prima Guerra Punica, quando le loro flotte, alle prime armi e inesperte, si affrontarono in battaglie decisive contro quei maestri della guerra navale che erano allora i Cartaginesi. I moderni hanno spesso giudicato paradossale l’inaspettata vittoria, al largo delle isole Egadi, di questi Romani tanto astuti da trasformare il combattimento in mare in battaglia terrestre, grazie al corvus[6] : una scandalosa mancanza di “fair play” che avvantaggia i più fortunati ma non dovrebbe mettere in discussione le reputazioni più consolidate. Tuttavia, tali giudizi non dimostrano forse una profonda ignoranza delle realtà nautiche dell’antichità[7] ? “?

Il testo della Perifania del Ponte Euxino e lo scopo della missione affidata ad Arrien indicano che i Romani, il cui imperialismo, fino alle guerre puniche, era continentale, sapevano che la marina che era diventata necessaria per loro aveva bisogno di un supporto terrestre, e che la loro potenza navale progrediva in armonia con la conquista delle terre. La lettera di Arrien ad Adriano espone, certo, la dialettica terra/mare, ma afferma anche e soprattutto la duplice azione di terra e mare, e rivela un impero di terra e di mare, un imperium terra marique, κατά τε γῆν καὶ θάλασσαν…

[1]. Si veda la ricca etimologia del sostantivo greco nomos esplorata da Carl Schmitt, Terra e mare, 1985, p. 63. All’inizio della quarta parte dell’antologia di articoli di Schmitt pubblicata dalla casa editrice berlinese Duncker & Humblot con prefazione e commento di Günter Maschke, CS, Staat, Großraum, Nomos – Arbeiten aus den Jahren 1916-1969, si trova anche una definizione di nomos : ” Stiamo parlando di un nomos della Terra. Il che significa : vedo la Terra – l’asteroide su cui viviamo – come un Tutto, come un globo, e cerco un ordine globale e una condivisione per esso. La parola greca nomos, che uso per designare questa condivisione e questo ordine fondamentali, deriva dalla stessa etimologia della parola tedesca nehmen (prendere). Nomos significa quindi, in primo luogo, prendere. In secondo luogo, significa la condivisione e la distribuzione del pescato. In terzo luogo, significa lo sfruttamento e l’uso di ciò che è stato ricevuto come risultato della condivisione, cioè la produzione e il consumo. Prendere, condividere, pascolare sono gli atti primari e fondamentali della storia umana, sono i tre atti della tragedia delle origini”Per Émile Benveniste, Noms d’agent et noms d’action en indo-européen, 1948, pag.79, il significato originale è ” assegnare, distribuire secondo l’uso o la convenienza, fare una ripartizione regolare “. Pierre Chantraine, nel Dizionario Etimologico della Lingua Greca, 1980, sottolinea la nozione di correttezza e regola (si pensi a ciò che è conforme alla regola, all’uso, alle leggi scritte, al famoso dibattito Creonte/Antigone), e specifica vari sviluppi come ” profiter, habiter ”  e i significati di ” avoir pour sa part, habiter, diriger ” sono da lui attestati secondo l’ambiguità del étymon. Infine, sono indicati due significati specialistici  ” pascolare ” e, al centro, in relazione al fuoco o a un’ulcera : ” nutrire, divorare “.

[2]. Introduzione al Périple de la mer Noire tradotto da Henry Chotard, 1860.

[3]. Arrien, Periodo del Pont-Euxinus, 4, 1, trans. A. Silberman.

[4]. Arrien, Periodo del Ponte Euxino, 5, 3, trans. A. Silberman.

[5]. C.G. Starr, The Influence of Sea Power on Ancient History, New York, Oxford, 1989.

[6]. Cfr. Polibio, 1. 20-23. Il ” corbeau “, una sorta di ponte a bascula che permette di passare sopra il ponte nemico, implica una logica che favorisce la potenza di fuoco e l’abbordaggio a scapito della manovra.

[7]. M. Reddé, ” Rome et l’empire de la mer “, in Regards sur la MéditerranéeCahiers de la villa Kerylos, 7, 1997.

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