Italia e il mondo

L’impatto a lungo termine del conflitto in Ucraina e la crescente importanza della parte civile della guerra, di Anthony H. Cordesman

Qui sotto due importanti articoli. Il primo edito dal CSIS, un importante centro studi direttamente collegato agli ambienti governativi di Washington; il secondo edito dal sito italiano Arianna Editrice e ripreso dal sito francese reseauinternational.net. Entrambi importanti non solo per individuare le possibili implicazioni e la funzione di catalizzatore del conflitto ucraino nelle dinamiche geopolitiche e nella caduta definitiva della rappresentazione lirica dei processi di globalizzazione; temi ormai ampiamente trattati su questo sito. Quanto soprattutto per decifrare le capacità interpretative e le conseguenti strategie dei centri decisori implicati. Buona lettura, Giuseppe Germinario

6 giugno 2022

Il conflitto in Ucraina sta già fornendo una vasta gamma di lezioni sul ruolo delle moderne forze militari nella guerra moderna, ma fornisce anche lezioni altrettanto importanti sul futuro della parte civile della guerra. A parte alcuni enormi cambiamenti politici in Russia, il conflitto è un avvertimento che la parte civile della guerra sta diventando molto più pericolosa. Inoltre, è un altro esempio del fatto che il tipo di conflitti e crisi civili emersi dalla guerra Iran-Iraq, dalle guerre civili siriana e yemenita e dalle guerre che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno combattuto contro gli estremisti in Iraq e Afghanistan sono ora la regola e non l’eccezione.

È anche chiaro che, anche se la guerra può concludersi con una sorta di compromesso, accordo o cessate il fuoco – ma qualsiasi conclusione decisiva dei combattimenti ora sembra incerta – è probabile che sia un importante catalizzatore nel plasmare uno scontro civile duraturo tra la Russia e NATO, UE e Stati Uniti.

La guerra quasi certamente assicurerà che la Russia sia un fulcro strategico per gli Stati Uniti tanto quanto la Cina, e la concorrenza statunitense ed europea con la Russia rimarrà molto più vicina allo scontro di quanto fosse probabile che si verificasse prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. È probabile che la guerra spinga anche la Russia ad allinearsi più strettamente e visibilmente alla Cina, e potrebbe incoraggiare la Russia a trovare modi politici ed economici per sfruttare ogni tensione e opportunità in Asia, Africa e America Latina, oltre a cercare nuove basi e opportunità per ottenere l’influenza militare.

Gli impatti civili della guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina è diventata una guerra di logoramento militare che ha portato a un massiccio sostegno militare statunitense ed europeo all’Ucraina. Questa, tuttavia, è solo una parte della storia. La guerra si è anche evoluta in un grande conflitto politico ed economico tra l’Occidente e la Russia, che alla fine potrebbe avere un impatto molto maggiore sulla stabilità globale e sulla strategia statunitense ed europea rispetto ai combattimenti effettivi.

I combattimenti sembrano essersi limitati all’Ucraina orientale ed è diventata una lotta militare per il controllo del Donbass e del trasporto marittimo globale. Allo stesso tempo, ha portato a un’escalation costante degli attacchi russi all’intera economia civile e alla popolazione civile dell’Ucraina, e ha guidato gli sforzi russi per convertire efficacemente il cuore industriale dell’Ucraina in parti della Russia sia a livello politico che economico. In risposta, la NATO, l’UE e gli Stati Uniti sono andati ben oltre la fornitura di aiuti militari all’Ucraina. Stanno conducendo una “guerra delle sanzioni” in costante escalation contro la Russia, mentre la Russia ha risposto cercando di trovare i propri modi per esercitare pressioni politiche ed economiche sull’Europa e utilizzare una combinazione di forza e pressione politica per condurre una guerra economica contro il grano ucraino esportazioni e commercio marittimo.

Il risultato finale è che l’aspetto civile della guerra ora si estende ben oltre le aree mostrate nella prima mappa in cui si sono verificati conflitti militari e attacchi alle città ucraine durante le prime fasi della guerra. La guerra ha ora rimodellato i costi energetici internazionali su base globale, ha contribuito a creare una massiccia carenza di cibo a livello mondiale, ha gravemente danneggiato l’intera economia russa e ha contribuito a innescare un massiccio aumento del tasso di inflazione a livello globale.

Mappa uno: Mappa del Ministero della Difesa britannico della parte militare della guerra in Ucraina

L’impatto militare completo rimane poco chiaro. La Finlandia e la Svezia hanno presentato domanda per entrare a far parte della NATO e la NATO ha reagito collettivamente pianificando importanti aumenti delle sue capacità militari, ma non ci sono ancora piani chiari che abbiano mostrato quali saranno effettivamente le 30 nazioni della NATO, e forse le 32 nel prossimo futuro nel tempo, come rimodelleranno e modernizzeranno le loro capacità di combattimento, come miglioreranno la loro prontezza e interoperabilità e come ridefiniranno la loro capacità di colpire la Russia e fornire una deterrenza estesa.

Al contrario, l’UE ha già dimostrato che potrebbe non essere il forum ideale per un’azione militare collettiva, in particolare rispetto alla NATO, ma può essere un forum efficace per condurre guerre economiche e politiche, può cooperare strettamente con gli Stati Uniti e uno che può intensificarsi a livello politico ed economico con molti meno rischi rispetto all’uso della forza militare direttamente contro la Russia.

Allo stesso tempo, un corpo in costante crescita di video diretti e immagini satellitari mostra che la Russia ha costantemente intensificato il suo uso di moderne armi militari contro obiettivi civili ucraini e in modi che hanno un enorme impatto sulla sua economia e popolazione. La risposta russa alla guerra urbana è diventata un assedio combattuto con missili e artiglieria moderni che sono stati lanciati contro una gamma sempre più ampia di obiettivi civili, distruggendo gran parte dell’economia, delle infrastrutture, delle strutture civili e degli alloggi nell’Ucraina orientale.

Il risultato finale è stato anche quello di creare l’equivalente di ostaggi civili, prigioni politiche, rifugiati e sfollati interni (IDP). Solo una piccola parte di questi attacchi alla Russia si qualifica per quelli che sono formalmente definiti “crimini di guerra”, ma l’effetto netto – come è avvenuto nella seconda guerra mondiale – è l’equivalente di bombardamenti strategici di obiettivi civili con molta più letalità e capacità di concentrarsi sugli obiettivi politici ed economici più critici.

I combattimenti ora includono guerre politiche ed economiche indipendenti e nuovi modelli di azione militare che hanno un impatto diretto sulla popolazione civile e riducono le “leggi di guerra” a qualcosa che si avvicina a gesti vuoti. Avvertono che la dimensione nucleare – e la distruzione reciproca assicurata – sono solo un aspetto di una rivoluzione negli affari militari che può arrecare danni enormi alla popolazione civile e all’economia.

La Russia ha fornito una serie di dimostrazioni tangibili che avvertono che i moderni missili armati convenzionalmente di attacco di precisione, le capacità di guerra informatica, l’analisi dell’intelligence dei sistemi civili e degli obiettivi e un’ampia gamma di altre capacità di attacco militare in evoluzione possono causare immensi danni potenziali a livello locale e regionale obiettivi e capacità civili.

A differenza delle armi di distruzione di massa, queste forme avanzate di attacco non nucleare possono essere usate in combinazione con armi politiche ed economiche, e possono essere usate con notevole flessibilità e molto meno rischio delle armi nucleari che forniscono un certo grado di distruzione reciproca assicurata. Se non altro, il possesso reciproco di armi nucleari da parte della Russia e della NATO tende a scoraggiarne l’uso da entrambe le parti, creando al contempo una situazione in cui entrambe le parti possono ora utilizzare un’ampia gamma di armi armate convenzionalmente e nuove tecnologie per aumentare il loro livello di conflitto civile.

Una guerra che pone fine a tutta la pace civile?

Il crescente impatto civile della guerra mostra anche che sta diventando sempre più difficile porre fine a un conflitto in modi che possano creare una pace duratura. Ora sembra fin troppo possibile che l’Ucraina non riconquisti il ​​suo territorio a est, non otterrà i livelli di aiuto di cui ha bisogno per ricostruire rapidamente, dovrà affrontare continue minacce dalla Russia a est che limiteranno la sua capacità di ricreare un’area industrializzata, e dovrà affrontare gravi problemi in termini di commercio marittimo. Sembra anche fin troppo probabile che qualsiasi pace o cessate il fuoco lascerà un’eredità di rabbia e odio che impiegherà un decennio o più per finire, e un’acuta tensione politica sarà la norma tra la Russia e la maggior parte dell’Europa, così come tra ucraini e russi.

La fine dei combattimenti non porrà fine ai suoi impatti umani economici e civili. L’Ucraina ha già perso gran parte della sua base economica e urbana, delle sue infrastrutture e del suo governo locale e regionale funzionante. Funzionari ucraini hanno parlato di 500 miliardi di dollari da recuperare e ricostruire, ma tali numeri sono nella migliore delle ipotesi, e presumono che la guerra finirà con una pace politica ed economica significativa e stabile che garantisca all’Ucraina almeno il territorio che aveva quando è iniziato il conflitto e consente alla sua economia di funzionare su una base simile al suo livello prebellico.

Inoltre, il continuo livello di tensione politica tra Russia e NATO/UE/Stati Uniti limiterà il commercio, gli investimenti, gli scambi tecnologici e culturali degli Stati Uniti e dell’Europa fintanto che la Russia avrà il suo attuale regime. Sembra più che possibile che la Russia non sarà in grado di ricostruire i suoi livelli passati di commercio di energia e i suoi più ampi legami economici con l’Europa e l’Occidente, e sceglierà di rivolgersi alla Cina e ad altri stati dell’Asia e dell’Africa.

Anche la NATO e la Russia sembrano probabilmente coinvolte in importanti potenziamenti militari per mezzo decennio o più che aumenteranno le loro spese militari di diversi punti percentuali del PIL e che avranno un impatto aggiuntivo sulle loro economie creando al contempo una massiccia corsa agli armamenti ciò amplierà notevolmente la loro capacità di minacciare la popolazione e l’economia dell’altra parte. L’effetto netto della guerra in Ucraina potrebbe essere quello di portare avanti le armi ipersoniche e altre armi d’attacco avanzate, creare armi cibernetiche e spaziali del mondo reale e creare l’equivalente dei piani operativi strategici integrati convenzionalio SIOP. Tali piani di emergenza comporteranno diversi livelli di escalation, ma saranno resi possibili dalla capacità continua delle forze nucleari strategiche statunitensi e russe di creare livelli molto più dannosi di distruzione reciproca assicurata.

La guerra in Ucraina potrebbe anche bloccare seri sforzi per modernizzare e rafforzare qualsiasi forma di controllo degli armamenti nucleari o convenzionali. Potrebbe spingere Putin a schierare tutti i sistemi avanzati di armi nucleari che ha pubblicizzato, indurre gli Stati Uniti a creare missili da crociera nucleari a basso rendimento e altri sistemi teatrali e indurre Gran Bretagna e Francia a ristrutturare le loro strutture di forza nucleare per concentrarsi sulla Russia.

Dall’Ucraina alla Cina e al mondo

Nessuno di questi sviluppi può essere disaccoppiato dall’attenzione che gli Stati Uniti, gli stati europei e i loro partner strategici in Asia stavano ponendo sulla Cina prima che la Russia invadesse l’Ucraina. È fin troppo possibile che un risultato della guerra in Ucraina possa essere quello di spingere la Russia costantemente più vicina alla Cina in un momento in cui la strategia statunitense si sta ancora concentrando tanto sulla Cina quanto sul riemergere della Russia.

In pratica, la “competizione” di grande potere sta diventando “confronto” di grande potere. Inoltre, la Cina ha le risorse economiche e militari per competere direttamente con gli Stati Uniti e per sfidare altre potenze asiatiche in termini militari, nonché la capacità degli Stati Uniti e dell’Europa di proiettare potere in Asia.

La Cina sta già sfidando gli Stati Uniti e partner strategici come Australia, Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Come minimo, reagirà alla guerra in Ucraina sviluppando ogni capacità possibile per contrastare qualsiasi tentativo degli Stati Uniti al tipo di guerra politica ed economica contro la Cina che ora sta usando contro la Russia. Anche la Cina, tuttavia, potrebbe ora vedere la Russia come un potenziale partner la cui economia debole, base tecnologica in declino e alienazione dall’Europa la rendono molto più dipendente dalla Cina.

Più in generale, la guerra in Ucraina – e le reazioni a lungo termine di USA, NATO, UE e Russia – influenzerà i piani e le azioni di Corea del Nord, Pakistan e India, Iran e Stati arabi, Turchia e altri importanti potenze militari come Israele e l’Egitto. Il confronto de facto tra la Russia e gli Stati Uniti e l’Europa è quasi certo che si svolgerà tanto nel terzo mondo quanto in Europa, sia in termini di trasferimenti di armi, assistenza alla sicurezza, basi militari, investimenti economici, accordi commerciali e sostegno politico. Ciò sarà particolarmente vero se si verifica un aumento dell’azione combinata o coordinata di Russia e Cina.

A un certo livello, poiché il ruolo decisivo dei droni nei combattimenti tra Armenia e Azerbaigian ha già mostrato come i progressi selettivi nella tecnologia militare possano cambiare radicalmente i risultati politici ed economici. Ad un altro livello, la “guerra delle sanzioni” guidata dagli Stati Uniti contro l’Iran e altri stati ha dimostrato che il lato civile della guerra può influenzare i ruoli delle superpotenze nel trattare con le potenze minori, e le attività di investimento cinesi negli stati con porti chiave ed esportazioni strategiche hanno dimostrato che non vi è alcuna distinzione pratica in alcuni casi tra l’acquisizione di basi militari e il controllo o l’influenza economica.

Questi aspetti dello “spillover” della guerra in Ucraina si verificheranno anche in un ambiente globale vulnerabile. Almeno a breve termine, l’impatto combinato di Covid-19, cambiamento climatico, inflazione globale, pressione demografica e un elenco quasi infinito di tensioni settarie, etniche e tribali – insieme alle ambizioni di molti leader e al fallimento del governo – offrire opportunità dopo opportunità a Russia e Cina.

La vera natura del “globalismo”

Non c’è ancora modo di determinare quanti di questi modelli emergeranno e in quale forma. È, tuttavia, pericoloso per gli Stati Uniti, la NATO, l’UE e la più ampia gamma di partner strategici americani concentrarsi sulle dimensioni militari della guerra in Ucraina e fallire nel concentrarsi sui suoi modelli civili e politici in evoluzione e sulla quasi certezza di uno scontro duraturo almeno con la Russia e con una combinazione di Russia e Cina.

La guerra in Ucraina non è la causa principale di queste tendenze, ma è molto probabile che sia un importante catalizzatore nel peggiorarle. Sembra anche fin troppo probabile che l’ottimismo che ha plasmato l’approccio al globalismo fosse basato più su illustrazioni confortanti che sulla realtà.

Questo commento intitolato The Longer-Term Impact of the Ukraine Conflict and the Growing Importance of the Civil Side of War è disponibile per il download all’indirizzo https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/publication /220606_Cordesman_Long_Impact.pdf?LayS4B8jE2cZw6OEJETgPq4fQvnf2bye

Anthony H. Cordesman detiene la cattedra emerita in Strategia presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, DC. Ha scritto e diretto numerosi libri e studi per il CSIS; è stato insignito della medaglia per il servizio distinto del Dipartimento della Difesa; e ha ricoperto posizioni di rilievo nel Consiglio di sicurezza nazionale, nel Dipartimento di Stato, nell’Ufficio del Segretario alla Difesa, nel Dipartimento dell’Energia e nel personale del Senato degli Stati Uniti.

Il commento  è prodotto dal Center for Strategic and International Studies (CSIS),

L’Europa, dunque, è la grande perdente

di Daniele Perra – 18/06/2022

L'Europa, dunque, è la grande perdente

Fonte: Daniele Perra

Ai primi di giugno, il Center for Strategic and International Studies di Washington (Think Tank assai vicino al Dipartimento della Difesa USA ed all’industria statunitense degli armamenti dal quale viene copiosamente finanziato) ha pubblicato un articolo, a firma Antony H. Cordesman e dal titolo “The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war”, che ben descrive il nuovo approccio nordamericano al conflitto nell’Europa orientale.
In esso si legge: “sembra ora possibile che l’Ucraina non riconquisterà i suoi territori nell’est e che non otterrà rapidamente gli aiuti di cui ha bisogno per la ricostruzione”. Aiuti che sarebbero stati stimati, molto ottimisticamente, in 500 miliardi di dollari (cifra che non tiene in considerazione la perdita territoriale della sua regione più ricca). Inoltre, l’Ucraina dovrà fare i conti con una continua minaccia russa che limiterà la sua capacità di ricostruzione delle aree industrializzate e che, soprattutto in considerazione delle suddette perdite territoriali, comporterà non pochi problemi in termini di commercio marittimo (il rischio che la Russia, una volta terminate le operazioni in Donbass, possa dirigersi verso Odessa escludendo completamente Kiev dal Mar Nero rimane reale).
L’articolo riporta anche come il conflitto abbia evidenziato, da parte russa, un utilizzo coordinato ed assai flessibile di mezzi militari, politici ed economici al confronto del quale, il mero ricorso alla guerra di propaganda ed al regime sanzionatorio da parte occidentale è sembrato sostanzialmente inefficace. Fattore che, in un modo o nell’altro, ridisegnerà il sistema globale visto che l’eventuale fine dei combattimenti non significherà la fine dei suoi impatti economici e geopolitici di lungo periodo. Senza considerare che Russia e Cina stanno sviluppando una notevole capacità di attirare verso il proprio lato i Paesi africani ed asiatici (il caso recente del Mali che ha optato per l’espulsione dei contingenti francese ed italiano, in questo senso, è emblematico).
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla propaganda occidentale fino ad oggi, Cordesman afferma che solo una “minuscola porzione” (tiny portion) delle azioni russe in Ucraina possono essere formalmente definite come “crimini di guerra” nonostante il loro impatto sulla popolazione civile.
Ora, a prescindere dalle considerazioni dell’Emeritus Chief in Strategy del Think Tank nordamericano (con le quali si può essere in accordo o meno), ciò che appare evidente è il cambio di paradigma nel racconto del conflitto da parte del centro di comando dell’Occidente.
Gli Stati Uniti (quelli che, secondo Kissinger, hanno solo interessi e non alleati) non sono nuovi a simili operazioni di abbandono dell’“amico” quando hanno raggiunto il loro scopo o non lo ritengono più utile (dal Vietnam all’Afghanistan, passando per Panama  e Iraq, la storia è piena di esempi simili). Resta da valutare se gli Stati Uniti abbiano realmente raggiunto i loro obiettivi per ciò che concerne il conflitto in Ucraina o se questo cambio di paradigma possa essere interpretato come una “ritirata strategica”.
In precedenza si è sottolineato come il conflitto in Ucraina stia portando a cambiamenti profondi nella struttura economica, finanziaria e geopolitica esistente a livello mondiale. Si può parlare di evoluzione verso un sistema multipolare? La rispostà è sì, anche se gli stessi Stati Uniti stanno cercando di rallentarla. Come? Oggi sono tre (in futuro potrebbero essere quattro con l’India) le principali potenze globali: Stati Uniti, Russia e Cina (considerate come potenze revisioniste del sistema unipolare). Tuttavia, il principale concorrente del dollaro sul piano globale è l’euro. Ergo, l’obiettivo nordamericano, per guadagnare tempo nella parabola discendente dell’impero nordamericano, è il suo costante indebolimento. Oltre l’Ucraina, chi è la grande sconfitta del conflitto in corso nell’Europa orientale? L’Unione Europea. L’obiettivo USA, almeno dal 1999 in poi, è quello di rendere artificialmente competitiva la propria industria distruggendo quella europea mantendo, al contempo, il Vecchio Continente in una condizione di cattività geopolitica. Questo l’élite politica europea lo sa bene ma è troppo impegnata a seguire i suoi interessi di portafoglio.
Si prenda ad esempio il caso limite dell’Italia la cui strategia energetica di lungo periodo è andata a farsi benedire con l’aggressione NATO alla Libia. Da quel momento in poi, i governi Monti, Letta e Renzi sono stati i principali responsabili della quasi totale subordinazione della politica energetica italiana al gas russo. Oggi, gli stessi Partiti che hanno sostenuto prima la necessità dell’intervento in Libia e poi i governi successivi a quello Berlusconi (responsabile del tradimento nei confronti di Tripoli) sono gli stessi che chiedono e plaudono all’embargo alle importazioni di idrocarburi dalla Russia, ancora una volta in totale spregio dell’interesse nazionale italiano. In questo contesto, l’unica soluzione per l’Italia non può che essere quella di liberarsi il prima possibile dal draghismo.
L’Europa, dunque, è la grande perdente sul piano economico e geopolitico. L’eventualità di una crisi alimentare in Africa e nel Vicino Oriente a causa del protrarsi del conflitto e, di conseguenza, della riduzione delle esportazioni di grano russe ed ucraine in queste regioni potrebbe causare nuove ondate migratorie che investiranno direttamente un’Europa in cui il problema delle forniture energetiche determinerà un’inflazione sempre più alta, una crisi economica strutturale ed un relativo abbassamento della qualità generale della vita.
Da non sottovalutare, infine, il fatto che l’àncora di salvezza per l’Europa (almeno nel breve periodo, visto che la diversificazione via Africa e Israele appare assai lontana nel tempo) sarebbe dovuto essere il gas naturale liquefatto nordamericano. Bene, una strana esplosione ha recentemente messo fuori uso l’HUB della Freeport LNG in Texas da dove partono le navi che portano il gas in Europa. L’infrastruttura sarà nuovamente operativa a partire dalla fine del 2022. Il tutto mentre Gazprom taglia le sue esportazioni in Europa come rappresaglia nei confronti dell’approvazione dell’ennesimo pacchetto suicida di sanzioni.

Si veda:
The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war, www.csis.org.
L’utopia di chi spera nel GNL di USA, Africa e Israele, www.ilsussidiario.net.
L’UE ed il suo settore energetico, www.eurasia-rivista.com

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-europa-dunque-e-la-grande-perdente

https://www.csis.org/analysis/longer-term-impact-ukraine-conflict-and-growing-importance-civil-side-war

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 1a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la prima di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi, è disponibile a partire da pagina 10 con i richiami e da pag 130 con il testo. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

INTRODUZIONE
««Sapete quanto odi, detesti e non possa sopportare la
menzogna, non perché sia più onesto degli altri, ma
semplicemente perché mi spaventa. C’è un alito letale, un
sapore di mortalità nelle menzogne – ed è esattamente ciò che
odio e detesto al mondo – ciò che voglio dimenticare. Mi
avvilisce e mi nausea, come se addentassi qualcosa di marcio.
Temperamento, suppongo. Be’, mi ci avvicinai abbastanza
lasciando credere a quel giovane sciocco tutto quello che gli
piaceva immaginare della mia influenza in Europa. In un
istante divenni una finzione quanto il resto dei pellegrini
stregati. Questo semplicemente perché mi pareva che in
qualche modo avrei potuto essere d’aiuto a quel Kurtz che al
momento non vedevo – capite. Per me era soltanto una parola.
Non vedevo l’uomo in quel nome, più di quanto lo vediate voi.
Lo vedete? Vedete la storia? Vedete qualcosa? Per me è come
se stessi cercando di raccontarvi un sogno – un tentativo
inutile perché non c’è modo di comunicare a parole la
sensazione del sogno, quel miscuglio di assurdità, sorpresa e
stupore in un fremito di lotta e ribellione, la consapevolezza di
essere preda dell’incredibile, che è l’essenza stessa dei
sogni…». Per un po’ restò in silenzio. … No, è impossibile; è
impossibile comunicare la sensazione di vita di qualsiasi fase
della propria esistenza – ciò che ne costituisce la verità, il
significato – l’essenza sottile e penetrante. È impossibile. Si
vive come si sogna – soli…». Fece un’altra pausa come di
riflessione, poi aggiunse: «Naturalmente in questo voialtri
vedete più di quanto potessi vedere io allora. Voi vedete me,
che conoscete…». Si era fatto buio così pesto che noi
ascoltatori riuscivamo a malapena a scorgerci. Da tempo lui,
seduto in disparte, non era altro che una voce per noi. Nessuno
pronunciò parola. Poteva darsi che gli altri dormissero, ma io
ero sveglio. Ascoltavo, ascoltavo, attendendo all’erta la frase,
la parola che mi avrebbe permesso di comprendere
l’indefinibile disagio ispirato da quel racconto che sembrava
prendere forma senza il bisogno di labbra umane nell’aria
greve della notte sul fiume.».
Nell’introdurre i lettori dell’ “Italia e il Mondo” a
Massimo Morigi, Lo stato delle cose della geopolitica.
Presentazione di quaranta, trenta, vent’anni dopo a le relazioni
fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista: nascita
estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivostrategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico
originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del
Portogallo, scritto a sua volta introduttivo, come si evince dal
titolo, delle Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il
periodo fascista, elaborato sempre da Massimo Morigi una
ventina di anni orsono e che verrà pubblicato in undici
puntate sul nostro blog, quello che ho inteso sottolineare con la
citazione iniziale tratta da Cuore di tenebra di Joseph Conrad
è che questa odierna presentazione di Massimo Morigi ad una
sua vecchia fatica può essere sì considerata, come
effettivamente lo è, un proseguimento nella costruzione di una
inedita teoresi geopolitica e delle scienze storico-sociali che
abbatta l’artificioso discrimine fra le c.d. scienze della natura
e le c.d. scienze dell’uomo e che ha trovato il suo punto
culminante in Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi
evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa e
fantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo,
glosse al Dialectical Biologist di Richard Levins e Richard
Lewontin, su Lynn Margulis, su Donna Haraway e materiali di
studio strategici per la teoria della filosofia della prassi olisticodialettica-espressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico sempre pubblicata dall’ “Italia
e il Mondo”, ma un approfondimento che, al contrario di
Epigenetica, Teoria endosimbiotica etc. non ricorre ad un
tecnica citazionistica per creare un livello comunicativo col
lettore che sia conforme al paradigma olistico-dialetticoespressivo-strategico-conflittuale che per Morigi vale ed è esplicativo di tutta la realtà ma, nel caso di questo ultimo
lavoro, ricorre alla tecnica letteraria dell’embedded narrative
di cui non solo Cuore di tenebra di Joseph Conrad è stato uno
dei più fulgidi risultati in epoca moderna ma la cui citazione
che ho prodotto ad inizio di queste mie parole penso
rappresenti esattamente la problematica comunicativa che egli
ha dovuto e voluto affrontare con questo lavoro.
E sottolineo che non a caso parlo di problematica
comunicativa e non di tecnica comunicativa e che non a caso
per parlare di questo lavoro e della sua embedded narrative
sono ricorso a Cuore di Tenebra di Joseph Conrad e non
magari a Tlon, Uqbar, Orbis Tertius o a El Sur di Jorge Luis
Borges, l’altro grandissimo scrittore che nella nostra
modernità letteraria è ricorso, con la massima maestria, alla
tecnica letteraria summenzionata ma con la non trascurabile
differenza, rispetto a Conrad e al suo Cuore di tenebra, che per
Borges l’embedded narrative, cioè un racconto che narra di un
racconto, è volta a creare una sorta di ghirigoro espressivo
barocco dimostrativo dell’inesistenza della verità e/o
dell’impossibilità di raccontarla, mentre nel Cuore di tenebra
di Conrad l’embedded narrative, nonostante le difficoltà
interpretative che pone sia ai personaggi del romanzo che ai
lettori dello stesso, è l’unico sistema per venire a contatto con
questa verità e poterla apprezzare nella sua integrale,
ancorché sfuggente, mutevole e contraddittoria, pienezza.
Questo, infatti è lo scopo che si prefigge Morigi tramite
l’odierna presentazione del suo lavoro nato vent’anni prima.
Anche se egli ritiene che il lavoro di vent’anni orsono presenti
dei pregi che hanno resistito al tempo (ed anch’io sono di
questo avviso) e quindi pensa, a buon ragione, che valga la
pena di presentarlo oggi ai lettori dell’ “Italia e il Mondo”, egli
è ancora più convinto che valga la pena di narrare la sua
interiore dinamica intellettuale che lo ha portato ad elaborare
il paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategicoconflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico e di cui le
Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista
costituiscono una tappa, ancorché immatura, ma una tappa
immatura di un percorso iniziato non solo con le suggestioni
culturali e politiche di un paese, il Portogallo, delle cui
suggestioni lo scritto di vent’anni fa, per ammissione stessa del
suo autore, era in fondo un frutto ancora non completamente
maturo ma anzidetto paradigma che è stato generato a livello
inizialmente subliminale, come ci spiega espressamente
Morigi, dalla rappresentazione che di questo paese ha dato il
regista tedesco Wim Wenders tramite i due magistrali Lo stato
delle cose e Lisbon Story, due film che hanno per sfondo non
solo il Portogallo ma anche le storie che i loro personaggi
dentro questo scenario riescono o non riescono a narrare e/o a
portare a termine.
Narrandoci del Portogallo e di queste due embedded
narrative cinematografiche su questo paese, così Morigi crea a
sua volta una sua propria personale embedded narrative che
accoglie sia la storia di quel paese (e quindi quella di quel suo
scritto di vent’anni prima) che quella delle due embedded
narrative raccontate nelle due rappresentazioni
cinematografiche che hanno dato vita, come ci narra Morigi,
alla dinamica psico-intellettuale che lo portò poi alla creazione
del paradigma olistico-dialettico-strategico-conflittuale del
Repubblicanesimo Geopolitico. Siamo quindi in presenza di
una ‘embedded narrative geopolitica’? A mio parere non più
di quanto in Epigenetica, Teoria endosimbiotica etc. non
fossimo in presenza, in virtù della sua tecnica comunicativa
tramite una costellazione di citazioni, di una ‘Benjamin
geopolitica’. Quella che qui come allora si presenta, è una
geopolitica integralmente dialettica per la quale valgono sia
nell’uno come nell’altro caso le considerazioni dell’ascoltatore
delle parole del narratore Marlow che abbiamo letto all’inizio
di questa presentazione: «Si era fatto buio così pesto che noi
ascoltatori riuscivamo a malapena a scorgerci. Da tempo lui,
seduto in disparte, non era altro che una voce per noi. Nessuno
pronunciò parola. Poteva darsi che gli altri dormissero, ma io
ero sveglio. Ascoltavo, ascoltavo, attendendo all’erta la frase,
la parola che mi avrebbe permesso di comprendere
l’indefinibile disagio ispirato da quel racconto che sembrava
prendere forma senza il bisogno di labbra umane nell’aria
greve della notte sul fiume.».
Certamente Lo stato delle cose della geopolitica, non è solo
la narrazione di una personale dinamica intellettuale in cui è
protagonista una concezione dialettica totale ma è anche la
narrazione di un futuro programma di pedagogia geopolitica e
culturale tout court che ha veramente poco da spartire con le
attuali pornografie massmediatiche “geopolitiche” e/o
“politico-culturali”, verso le quali, per esprimere il nostro
sentimento ricorriamo, sempre da Cuore di tenebra, alle ultime
parole dette da Kurtz prima di morire al narratore Marlow
così come ce le consegna il narratore anonimo del racconto di
Marlow: «Che orrore. Che orrore!». Ecco, Lo stato delle cose
della geopolitica, oltre ad essere una necessaria presentazione
ad uno scritto, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il
periodo fascista, che nonostante la parziale palinodia fattane
dall’autore stesso, mantiene a tutt’oggi una sua validità come
ricerca storica, è innanzitutto, una sorta di reazione a questo
orrore.
Per questo la sua embedded narrative che non fornisce le
facili risposte ready-made e stupidamente deterministiche
dell’attuale geopolitica da talk show ma che ci dona una
processo formativo in cui la teoria ambisce a formare anche
con sottili passaggi e processi di tipo letterario-filosofico, come
il ricorso al tropo dell’eterotopia e a quello degli specchi che
riflettono all’infinito la loro stessa immagine,
1
una geopolitica
ed una azione politica che possano abbattere le
deterministiche, falsamente scientifiche, pornografiche
manifestazioni dell’attuale “geopolitica” fintamente obiettiva
la cui retorica è quella greve da bar sport (vedi l’attuale
guerra russo-ucraina e l’attuale orribile perfomance dei nostri
più accreditati geopolitici nazionali sospesa fra la brutta
figura per le previsioni completamente sballate ed il successivo
totale pubblico asservimento alla voce del padrone atlantico,
ma ricordiamo che più o meno esplicita che fosse prima di
questa guerra, questa condizione di totale asservimento è
comunque sempre stata la stessa), deve essere considerata
veramente un potentissimo farmaco contro questo orrore.

E per aspettare che questo farmaco faccia il suo effetto,
con tutte le sue embedded narrative e tutte le conseguenti
interconnesse eterotopie storico-culturali portoghesi e
cinematografiche wendersiane, consigliamo veramente il
lettore, oltre ovviamente alla lettura del saggio sulla storia
delle Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo
fascista che pubblichiamo in undici puntate, di fare come il
narratore della narrazione di Marlow, di ascoltare e ascoltare,
attendendo quello spunto che gli apra la sua personalissima ed
intima chiave per uscire dall’attuale orrore. Un ascolto, che
come ci suggerisce l’‘embedded narrative geopolitica’ dello
Stato delle cose della geopolitica, dovrà durare più delle undici
puntate in cui, tramite il testo presentato da questo scritto,
anche esso stesso verrà undici volte riproposto ma, bensì,
tutta una vita; un ascolto che se ovviamente dovrà ad un certo
punto avere termine anche per Lo stato delle cose della
geopolitica, non dovrà mai cessare per tutte le embedded story
che ci offre non solo la geopolitica ma, soprattutto, la vita
dell’uomo che queste storie genera ma, come nell’eterotopica
fuga all’infinito dell’immagine dei due specchi che
vicendevolmente si riflettono e si moltiplicano senza mai
fermarsi, senza le quali e senza la cui creazione l’uomo non
sarebbe nemmeno nel mondo.

1 Nell’‘embedded narrative geopolitica’ dello Stato delle cose della geopolitica trova
largo e densissimamente significante il tropo dell’ eterotopia, il concetto foucaultiano
di un luogo realmente esistente ma al tempo stesso isolato dagli altri più comuni
luoghi della vita dell’uomo e, strettamente collegato a questo, il tropo dei due specchi
che riflettono all’infinito l’uno l’immagine dell’altro, una forma particolare di
eterotopia quest’ultima che, come ci vuole suggerire Morigi, è rappresentazione della
dialettica dell’ Epifania Strategica del Repubblicanesimo Geopolitico, oltre ad essere,
come altresì ci mostra Morigi, una immagine retorica ricorrente nella filmografia
wendersiana. E potremmo anche continuare parlando della funzione tutta particolare
che la saudade portoghese riveste nell’economia dell’embedded narrative dello Stato
delle cose della geopolitica, ma per aver contezza di cosa possa significare per un
rinnovata geopolitica contrassegnata dall’eterotopia della Epifania Strategica il
saudosistico triste ma al contempo felice sentimento delle cose che passano e muoiono
ma che proprio nel loro ricordo rivivono ancora più splendenti di quando erano nel
mondo, oltre a rinviare alle interpretazioni già date da Morigi alle Tesi di filosofia della
storia di Walter Benjamin e alla filosofia della prassi dove, specialmente nel
Repubblicanesimo Geopolitico, soggetto ed oggetto costituiscono un unicum dialettico,
pensiamo sia doveroso rinviare direttamente il lettore alla narrazione che ne troviamo
nello Stato delle cose della geopolitica e non fornire ulteriori spiegazioni…
Buona lettura
Giuseppe Germinario

PRIMA PUNTATA STATO DELLE COSE

Il mondo rovesciato, di Alessandro Visalli

Il mondo rovesciato

Fino a ieri, sicuri che il ‘dolce commercio[1] avrebbe portato con sé attraverso la spinta interna del consumo l’allineamento del mondo agli standard dell’occidente e garantito quindi il relativo dominio di fatto, erano i paesi guida anglosassoni (e gli Usa in primis) a spingere sull’interconnessione. L’idea era anche di considerare la “modernizzazione”[2] compiuta storicamente, ed in innumerevoli conflitti, dalle società europee nel torno di anni tra il XV ed il XIX secolo come una “tappa”[3], storicamente necessaria, dei “progressi”[4] della “Ragione”[5] che porta con sé il necessario -biunivocamente connesso- sviluppo delle forze produttive. Nessuno sviluppo autentico è possibile, né civile e morale, né produttivo autosostenuto, senza che si aderisca a questo movimento ineluttabile e progressivo, irreversibile, scritto nella “Storia”[6], e del quale l’Occidente rappresenta il modello e l’alfiere. Questa costellazione di idee, nelle quali è incorporata la mente di ogni “buon” cittadino occidentale, democratico e progressista, sicuro della propria superiorità e del destino manifesto che aspetta il mondo intero quando lo riconosca, è sfidata dalla direzione che stanno prendendo i fatti.

Le ultime tre presidenze statunitensi hanno progressivamente invertito di fatto le prescrizioni di questa visione, accorgendosi crescentemente che non accadeva quanto previsto dagli scheletrici modelli ideologici settecenteschi (per certi versi cinque-seicenteschi) inconsapevolmente attardati nella mente collettiva delle élite. Ed allora hanno virato sul confronto diretto, ideologico (la lotta “democrazia/autocrazia”[7]) ed economico (sanzioni e reshoring delle produzioni critiche[8]), ora anche militare[9] (che nella tradizione occidentale è sempre stata la prima istanza).

 

Ciò che accadeva era, invece, che sistemi economici a guida pubblica[10] resistevano alla gramsciana proiezione di egemonia intellettuale, morale e politica “liberale”. Ovvero alla proiezione dell’iniziativa individuale, ‘molecolare’ e ‘privata’ in ‘direzione intellettuale e morale’ che è la precondizione per prendere il ‘dominio’ nelle proprie mani da parte delle borghesie liberali[11]. La delusione derivante dalle molte controprove (ad esempio il trattamento di Bo Xilai[12], o di Jack Ma[13] in Cina, o di diversi ‘oligarchi’ o ‘imprenditori’ – la formula cambia a seconda siano amici o meno – in Russia) ha condotto a cambiare spalla al fucile.

Di qui la disconnessione e la ‘fine della mondializzazione’ di cui parlano ormai apertamente molti intellettuali e media occidentali.

 

 

La bandiera fatta cadere a terra viene raccolta sempre più coscientemente e decisamente da Xi Jimping. Mentre l’esercito cerca di mettersi in pari con la forza occidentale (varando una portaerei e due grandi incrociatori in un anno) il premier cinese partecipa alla sessione plenaria del Forum economico internazionale di San Pietroburgo pronunciando un deciso discorso[14].

Richiamando ‘l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile’[15], Xi ha sottolineato nel discorso che un autentico multilateralismo significa “rispettare e sostenere tutti i paesi nell’intraprendere un percorso di sviluppo adatto alle loro condizioni nazionali” (qui una diretta polemica con le politiche a taglia unica -occidentale- del FMI). E’ questo che crea un “ambiente favorevole allo sviluppo” di tutti e aiuta a “costruire un’economia mondiale aperta”. Per farlo Xi propone, riecheggiando i toni che Zhou Enlai nel 1955 propose a Bandung[16], di “rafforzare la rappresentanza e la voce dei paesi dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo nella governance economica mondiale” (ovvero sostituire al G7 un modello di cooperazione alternativo) e promuovere “equilibrio, sviluppo coordinato e inclusivo”. Il concetto di “sviluppo coordinato” (促进全球平衡) è uno dei due concetti chiave del discorso (in quanto dal contesto si comprende trattarsi di sviluppo orizzontale e sul piano di complementarietà ed equilibrio).

Quindi si tratta di rafforzare la cooperazione Nord-Sud, e sud-sud, mettere in comune le risorse in cooperazione, garantire reti e piattaforme per lo sviluppo, aumentare l’assistenza allo sviluppo, formare sinergie e colmare i divari.

In terzo luogo, promuovere la globalizzazione economica (推动经济全球化进程), ma attraverso la “connessione morbida” (l’altro concetto-chiave, Ruǎn lián 软 联) delle politiche di sviluppo; quindi di regole e standard internazionali (lo strumento principe del dominio occidentale, grazie al fermo controllo degli organismi di standardizzazione); abbandonare il disaccoppiamento, i tagli all’offerta, le sanzioni unilaterali, le barriere e pressioni; mantenere la stabilità delle catene industriali (la cui interruzione provoca una crescente inflazione in occidente, ma non in Cina), e lavorare insieme per la crisi alimentare ed energetica. Infine, aderire all’innovazione guidata, sfruttare il potenziale dell’innovazione e della crescita, approfondire gli scambi scientifici, condividere i risultati.

La Cina, ha concluso Xi, è disposta su queste basi a collaborare con i paesi di tutto il mondo, inclusa la Russia, per creare insieme prospettive di sviluppo, condividere opportunità di crescita e dare contributi all’approfondimento della cooperazione allo sviluppo globale ed alla promozione di quella che chiama “una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”. Attraverso questi toni la Cina, ma in linea con una lunga tradizione del ‘paese di mezzo’ (chung-kuo), cerca di qualificarsi come centro immobile del mondo, come difensore e costruttore dell’ordine internazionale (concepito implicitamente nella forma della relazione con il ‘cielo’). Per essa aderire al multilateralismo significa mantenere una “stabilità strategica globale”, e fornire attivamente beni pubblici internazionali[17].

Ciò che rende per noi difficile comprendere questo modo di dire, e ce lo fa interpretare come inautenticità e retorica vuota, è la forma di universalismo astratto che è profondamente connotata nella nostra tradizione (o in alcune nostre tradizioni, se non in tutte). La civiltà cinese è universalista in altro modo. È il Tianxia (la “via del cielo” o il “tutti sotto il cielo”) che connota più profondamente lo spirito del pensiero filosofico, religioso e geopolitico cinese. La formula “futuro condiviso per l’intera umanità” non è altro che questo segno (non già concetto, che la lingua cinese non supporta). Non si tratta di una “finalità”, quanto di un orientarsi “nella direzione della luce” (Ér guāngmíng suǒ xiàng), di dirigersi verso la propensione della situazione che produce, se accolta, un “vantaggio” (li). Ma bisogna notare che per un cinese, essendo derivante dalla situazione, e non da un piano, il “li” è sempre morale ed è sempre per tutti. La questione è di individuare, scoprire, nella situazione i fattori favorevoli e farli crescere, adattandosi ad essi ed adattandoli ad un tempo. Ovviamente, far crescere i fattori favorevoli e far decrescere, o disattivare, quelli favorevoli all’avversario.

Si tratta di fare in modo che l’avversario sia trascinato, senza azione, dalla situazione stessa, progressivamente e inavvertitamente nella destrutturazione. In modo che perda il proprio potenziale.

 

L’esatto contrario della propensione alla guerra di un paese che, di fatto, è sempre stato in qualche avventura militare grande o piccola da quando è stato fondato, o di un continente, l’Europa, che è stato in pace straordinariamente (e neppure completamente) due sole volte negli ultimi cinque secoli.

 

Non combattere è la regola fondamentale della Grande Strategia cinese (e non è il caso di riferirsi a Sun Tzu). O meglio “non agire” (wu wei), tuttavia, ed allo stesso tempo, in modo che alla fine “niente non sia fatto” (er wu bu wei). I cinesi non combatteranno mai per dominare il mondo (ma forse lo faranno), lasceranno che tutto, per la sua propensione, si trasformi (hua).

 

L’idea è semplicissima, e sta avvenendo davanti ai nostri occhi. Senza agire davvero, al più difendendosi (che la lezione delle Guerre dell’Oppio è ben ricordata), fa perdere contegno all’occidente.  Se alla fine la Cina non si vedrà agire, se sembrerà del tutto immobile, la perfezione sarà stata raggiunta. Perfezione che ha a che fare con il concetto di “cielo”, una alternanza regolata che si rinnova sempre senza esaurirsi mai. L’opposto, in un certo senso, della nozione assolutamente occidentale di ‘progresso’.

Per concludere. È proprio il concetto di egemonia solitaria ad essere estraneo alla civiltà cinese.

 

La settima prossima a Pechino la Cina ospiterà il Summit dei Brics, la cui agenda è “fornire una piattaforma per le nazioni in via di sviluppo, per creare consenso sull’affrontare le sfide acute dello sviluppo” (come ricorda Global Times). Il discorso programmatico di Xi è previsto per il 22 giugno. Alla presenza di 1.000 delegati sarà lanciata una BRICS Business Beijing Initiative. Sono previsti, oltre a Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, paesi come l’Argentina, l’Indonesia, oltre a diversi paesi in via di sviluppo.

Si discuterà anche del migliore modo per giungere ad un ‘cessate il fuoco’ in Ucraina e ad un accordo di pace che rispetti le legittime preoccupazioni di tutte le parti. Quindi delle questioni energetiche globali e di sicurezza alimentare. Infine, dell’allargamento della cooperazione con adesione di nuovi membri (tra cui l’Argentina).

 

Contemporaneamente Biden presiederà una riunione G7 nella quale lancerà una “iniziativa infrastrutturale globale” (in particolare digitale) diretta a contrastare le ambizioni internazionali della Cina.

 

 

Nel Forum internazionale di San Pietroburgo è, insomma, andato in scena un canovaccio che vedremo sempre più spesso: parallelamente alla rete di relazioni che l’occidente intrattiene con il mondo ‘secondo’ o ‘terzo’ (dal suo punto di vista di autoattribuito ‘centro’) e che chiama “comunità internazionale”, cresce una rete di relazioni non necessariamente incompatibile, ma dichiaratamente ‘diversa’. Questa rete vede al G7 affiancarsi una sorta di G8-9 (o “Brics+”) formato sostanzialmente tra Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa (i Brics) oltre Iran, Indonesia, Turchia, Messico. Molti di questi paesi intrattengono relazioni bilaterali intense (come, del resto, fecero i paesi di Bandung), ma insieme rappresentano un Pil aggregato, se calcolato per la capacità di acquistare beni e servizi -PPA- già superiore a quello del G7.

Alcuni di questi paesi sono considerati “non democratici”, secondo i ristretti ed etnicamente radicati principi della liberal-democrazia in stile anglosassone[18]. Ma, come scrive giustamente il Ministero degli Esteri cinese in un suo documento[19], “la democrazia è storica, concreta e in via di sviluppo. La democrazia in ogni paese è radicata nelle proprie tradizioni storiche e culturali e cresce dall’esplorazione pratica e dalla creazione di saggezza del proprio popolo”. Ne consegue che “la Cina insiste nel rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi, non interferire negli affari interni degli altri paesi e rispettare i percorsi di sviluppo e i sistemi sociali scelti indipendentemente dalle persone di tutti i paesi. La Cina non ha intenzione di impegnarsi in una competizione istituzionale e in un confronto ideologico con gli Stati Uniti. La Cina non esporta mai ideologia, non interferisce mai negli affari interni di altri paesi e non cerca mai di cambiare il sistema statunitense [o nessun altro]”.

Tutto si sta rovesciando.

[1] – Il termine è messo in giro nel XVIII secolo e rappresenta la condensazione di una idea contemporaneamente semplicissima e straordinariamente sottile: il fatto di far passare le relazioni umane attraverso il vincolo morbido dello scambio per puro interesse (il “dolce commercio”) le trasformerà e civilizzerà. L’uomo stesso diventerà meno ferino, meno orientato a perseguire motivazioni irrazionali (come “l’onore”), e la società diventerà meno separata in enclave, in clan in lotta reciproca; sarà meno attraversata da inimicizie radicali (ad esempio religiose). Ma questa non è, a ben vedere e come viene di solito presentata, l’idea di una condizione ‘naturale’ dell’uomo che si tratta solo di far emergere. Implica una antropologia minimalista, ma la produce, nel senso che è un progetto. Il progetto di un “uomo nuovo” che viene prodotto dalla estensione del commercio e dalla struttura legale e governativa che lo impone. Cfr., ad esempio, Jean-Claude Michéa, “L’impero del male”, Libri Scheiwiller, 2008 (ed. or. 2007).

[2] – Altro termine chiave della costellazione liberale: si tratta del superamento del mondo tradizionale, con tutte le sue strutture relazionali ed antropologiche, i sistemi di potere, i vincoli costitutivi, i valori (ad esempio l’onore, la responsabilità concreta, la reciprocità nel sistema del dono, l’ordine presunto naturale, …).

[3] – L’idea di un procedere per “tappe” della “storia” è un’altra tipica idea illuminista, fattasi strada tra il XVII ed il XVIII secolo, viene articolata sia nell’ambiente napoletano (Gianbattista Vico, 1668-1744) sia in quello scozzese (Adam Ferguson, 1723-1816), ovviamente ciò porta a ritenere che l’uomo proceda, generazione dopo generazione, ad apprendere sempre meglio il proprio modo di essere nel mondo e quindi progredisca.

[4] – “Progresso” è probabilmente il termine più inevitabile della costellazione liberale-moderna. Il concetto è legato ad una duplice radice: da una parte è un’interpretazione-ricostruzione dell’esperienza storica della tecnica e della scienza nella fioritura cinque-seicentesca e nella estensione sette-ottocentesca, dall’altra è ancora un progetto di rottura delle relazioni tradizionali e di liberazione delle forze del lavoro e dell’industria dai vincoli storici. Si tratta di un progetto negativo, che conosce ciò che non vuole, ma non ciò verso cui tende. Un programma intrinsecamente “illimitato”, e quindi anche, e necessariamente, in-umano e carico di hybris. Per questa lettura del liberalesimo come “progetto negativo”, si può leggere Andrea Zhok, “Critica della ragione liberale”, Meltemi, 2020.

[5] – “Ragione”, rigorosamente al singolare, è quindi il coronamento di questo giro di concetti e del progetto ad essi connesso. Si tratta dell’idea che si deve imporre una unica via, perché aderente all’autentica natura umana (o, per meglio dire, alla natura umana che deve diventare unica).

[6] – La “Storia” è quindi orientata, ha carattere unitario, conoscibile nel suo senso, normativamente connotata.

[7] – Si veda “Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione. Note sulla svolta di Biden”, Tempofertile 5 aprile 2022.

[8] – Mi riferisco ai tentativi, compiuti dalle ultime amministrazioni, ma più esplicitamente da quella Trump, di convincere o costringere parte delle filiere produttive occidentali a ritornare entro il perimetro più controllabile della sfera di influenza e uscire dall’ecosistema cinese. Tentativi che hanno prodotto modesti risultati, ma che hanno anche – per effetto degli strumenti adoperati, come le sanzioni e le barriere regolative e tariffarie, indotto ad un fattore inflattivo che inizia a mordere l’occidente stesso.

[9] – Mi riferisco, ovviamente, alle guerre condotte, direttamente o per procura, dall’Occidente stesso, la cui ultima e più clamorosa è la guerra ucraina. Per una lettura autorevole ed eretica, ma americana, della crisi si veda, ad esempio, “Circa l’intervista a John Mearshmeier sulla guerra ucraina”, Tempofertile, 12 marzo 2022.

[10] – Scelgo di chiamare in questo modo, con questa etichetta generica, tutti quei sistemi economici e sociali moderni (tecnologicamente e industrialmente avanzati, anche di frontiera) che, tuttavia, non si lasciano guidare solo dal “dolce commercio” (con il suo correlato di norme, pratiche di pressione e controllo, inibizioni, sistemi di repressione), ma anche da una funzione intenzionale di direzione non decentrata, che qui si descrive con l’etichetta “pubblica”. La Cina è un esempio idealtipico, ma anche Singapore, per certi versi la Corea (anche del Sud)

[11] – Nei “Quaderni dal Carcere”, Vol III, 19, $ 24, Antonio Gramsci scrive “il criterio metodologico su cui occorre fondare il proprio esame è questo: che la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come ‘dominio’ e come ‘direzione intellettuale e morale’. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a ‘liquidare’ o a sottomettere anche con la forza ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare anche ad essere ‘dirigente’.” Dunque, la condizione perché un gruppo sociale acceda al potere è che eserciti una forza egemonica. Ma i gruppi sociali “liberali”, o, con altro termine “borghesi”, esercitano la propria egemonia e sviluppano “direzione”, come continua “In forme e con mezzi che si possono chiamare ‘liberali’, cioè attraverso l’iniziativa individuale, ‘molecolare’, ‘privata’ (cioè non per un programma di partito elaborato e costituito secondo un piano precedentemente all’azione pratica e organizzativa). D’altronde, ciò è ‘normale’, date la struttura e la funzione dei gruppi sociali rappresentati dai moderati, dei quali i moderati sono il ceto dirigente, gli intellettuali in senso organico”. Il punto è che attori sociali, come il successivamente citato Yack Ma, sono “in senso organico” (ovvero non programmato, pienamente consapevole o progettato) gli “intellettuali ‘condensati’” dei gruppi sociali liberali, ne costituiscono la ‘avanguardia reale’ e sono naturalmente organici ad essi. Esercitano per questo motivo, e, si noti, al di là della loro propria individuale intenzione, o cognizione, una potente attrazione, essa stessa ‘spontanea’ verso altri intellettuali in senso gramsciano (ovvero potenziali dirigenti del senso comune), presenti diffusamente. Ciò significa che individualmente, ovvero una interazione per una, una relazione dopo l’altra, una dichiarazione insieme alla successiva, essi “molecolarmente” estendono l’egemonia, creando le condizioni del dominio.

[12] – Ex membro del Politburo cinese e figlio di Bo Yibo, Ministro delle Finanze nei primi anni della rivoluzione, si è fatto campione della “nuova sinistra cinese” nei primi anni dieci, promuovendo valori egualitari con un approccio fortemente anti-liberista e social-democratico (o maoista), Bo aveva tentato di ‘forzare’ le procedure di promozione/cooptazione del sistema centralizzato e meritocratico cinese (legato ad una millenaria tradizione) autocandidandosi alla carica di “membro permanente del massimo organo politico grazie ad una strategia di tipo “populista”. Ovvero attraverso una sbandierata campagna anti-corruzione e criminalità organizzata e rilanciando gli slogan della “cultura rossa”. Questa sfida ‘da sinistra’ alla leadership collettiva del Partito (che non è affatto autocratico, se mai troppo collettivo e conservatore) è stata respinta non appena un suo collaboratore chiave è stato arrestato in una vicenda poco chiara di corruzione ed omicidio che ha coinvolto anche la moglie. Il punto rilevante è che la vicenda, con la durezza del trattamento sfociata in una condanna all’ergastolo, mostra come il sistema economico e sociale, quindi politico, cinese non è scalabile da singoli individui con modalità ‘imprenditoriali’.

[13] – Il caso di Jack Ma è simmetricamente opposto e notevolmente più recente. Nel 2009 Ma fu scelto come uno dei 100 uomini più influenti al mondo da Times, Presidente di Alibaba, e coproprietario di Alipay uno dei cinque uomini più ricchi della Cina, entra nella bufera per l’estensione della sua influenza ed alcune critiche alla direzione del Partito. Ma ha un profilo imprenditoriale posto esattamente alla confluenza del sistema delle grandi compagnie statali (la China International Electronic Commerce Center, che lo lancia) e il credito bancario e finanziario occidentale (Goldman Sachs, la giapponese SoftBank e la multinazionale bostoniana Fidelity Investments), senza dimenticare le collaborazioni con Yahoo! e la IPO a New York da 25 miliardi di dollari del 2014. Il 9 gennaio 2017, Ma, si è incontrato con il Presidente americano Donald Trump (che stava mettendo sotto pressione la Cina), per ipotizzare investimenti di AliBaba negli Usa. Poco dopo si è dimesso, su probabili pressioni del governo, dalle sue cariche aziendali al contempo dichiarando la sua iscrizione al Partito Comunista Cinese.

[14]http://www.legaldaily.com.cn/index_article/content/2022-06/18/content_8735917.htm

[15] – Si veda “Obiettivi per lo sviluppo sostenibile”.

[16] – La Conferenza di Bandung è il punto intermedio di un lungo processo che parte con il Congresso dei popoli dell’oriente a Baku, nel 1920, del quale parleremo in seguito, e il successivo Congresso dei popoli oppressi di Bruxelles nel 1927, oltre che la Asian Relations Conference convocata da Nehru nel 1947 nella quale fu deciso di dotarsi di una organizzazione permanente. Nell’aprile del 1954 i capi di governo di Ceylon, India, Pakistan, Birmania, Indonesia si riunirono a Colombo (Ceylon) per organizzare una grande conferenza afroasiatica. Conferenza che fu convocata appunto a Bandung, invitando venticinque Stati con l’esclusione dei movimenti di liberazione, con qualche anomalia (come i due Vietnam e l’esclusione delle due Coree, oltre il mancato invito ai paesi latino-americani e soprattutto dell’Unione Sovietica). Parteciparono paesi socialisti, come la Cina, e filoccidentali, come il Giappone, o neutralisti. Con qualche compromesso, mediato da Chou En-Lai da una parte e da Nehru dall’altra si arrivò a una dichiarazione di condanna del solo colonialismo “tradizionale” (mentre alcuni paesi volevano condannare anche quello sovietico). Bandung è l’anello di congiunzione tra la sconfitta di Dien Bien Phu e l’evento di Suez. Tutti e tre insieme fecero precipitare il colonialismo europeo.

[17] – Per questi temi si veda, ad esempio, “Dal Grande Gioco triangolare alla polarizzazione. Circa la posizione diplomatica e strategica cinese: Qin Gang e Yongnian Zheng”, tempofertile 19 aprile 2022.

[18] – E’ difficile convincere qualcuno che è nato in un posto del fatto che le sue convinzioni, acquisite durante il percorso di crescita, sono connesse con questo e non sono valide ovunque e per tutti. Tuttavia, è semplicemente un fatto. Un esempio di ricostruzione del percorso storico di creazione della democrazia “dei moderni” (occidentali), è presente nel libro di Bernard Manin, “Principi del governo rappresentativo”, Il Mulino, 1997.

[19]https://www.guancha.cn/WaiJiaoBu/2022_06_19_645369.shtml

 

https://tempofertile.blogspot.com/2022/06/il-mondo-rovesciato.html?fbclid=IwAR3gW6b2Jfkt3nJrbQ-2dbL6zS1N9O1Vuc2jXpbPiiaTLdVzNhSsMckoCpo

Usa e GB ordinano più armi e militari in Europa: il “signorsì” di Scholz e Draghi, di Marco Giuliani

Usa e GB ordinano più armi e militari in Europa: il signorsì di Scholz e Draghi

E mentre si inasprisce lo scontro tra Mosca e il fronte antirusso, i media filogovernativi europei “normalizzano” la questione

Come annunciato tramite il messaggio di Biden al vertice Nato di Madrid, «gli Stati Uniti intendono rinforzare le loro posizioni militari in Europa in modo che la Nato possa rispondere a minacce da ogni direzione e da tutti i domini: mare, terra, aria». Sembra la teoria degli elementi, ma non lo è. Purtroppo, a formularla è l’anziano leader statunitense e non il genio di Aristotele. Non sono buone notizie quelle che arrivano dalla tre giorni spagnola di fine giugno, che ha visto riunirsi i membri dell’Alleanza Atlantica; l’incontro, infatti, è valso più a ratificare le posizioni anti-Putin anziché pianificare un pacchetto di strategie geopolitiche future su scala globale. Si tratta di un summit che decreta l’ulteriore indebolimento del raggio d’azione e dell’autonomia della UE, la quale, secondo i suoi membri più affermati – Francia, Germania, Italia e Spagna – si rimette alla linea anglo-americana come l’unica da seguire per fronteggiare una condizione di guerra sempre più tesa e pericolosa.

Ma quanto è auspicabile il tentativo di abbassare il livello dello scontro mostrando i denti e alimentando una contrapposizione che assume in modo crescente dimensioni bipolari? Quanto paga questo atteggiamento nella speranza (assai remota) che Putin ritorni sui propri passi? In tale contesto, appare sempre più chiaro che gli obiettivi della Casa Bianca, seguita a ruota da quelle che mai come oggi sembrano essere le sue “succursali”, non si riferiscono più alla salvaguardia dell’integrità del territorio e della popolazione ucraina (Crimea e Donbass sono sotto il controllo russo da settimane), bensì all’indebolimento esclusivo di Putin e dell’economia russa. La decisione di Washington di rafforzare la presenza militare atlantica in Europa, non ultima in Italia, in cui sono già presenti 120 basi statunitensi (alcune presso località segrete munite di testate nucleari), non ha fatto riscontrare uno straccio di obiezione da parte di Draghi, tantomeno il progetto di una risoluzione da portare in Parlamento per metterla ai voti. Stesso discorso vale per la Germania, che per bocca di Scholz ha annunciato al contrario l’invio di nuove armi a Kiev, e sempre più potenti.

Lo svilimento del ruolo dell’Europa in questa brutta faccenda, aggravata dalla volontà dichiarata del premier britannico Johnson (ci voleva anche lui, che non avrà neanche una maggioranza alle prossime politiche) di spostare la presenza militare occidentale ancora più a Est – cosa che ha fatto imbestialire il Cremlino – è pressoché totale. Lo si evince dalla penuria di iniziative da parte dei suoi leaders più in vista, come lo stesso Draghi, Macron o l’irrecuperabile Von der Leyen, che hanno assunto il ruolo di semplici ratificatori di decisioni prese dall’alto. Tutto questo ha un costo enorme, ma per Bruxelles in primo luogo e meno per gli Usa, che pure stanno sborsando fior di miliardi pur di mettere all’angolo Mosca. D’altronde, le gravi difficoltà nell’approvvigionamento dei carburanti e di alcuni generi alimentari mostrate dai paesi membri, con un conseguente aumento del costo del potere d’acquisto che varia dal 10% al 20%, non lasciano più spazio a dubbi. Oggi, come hanno capito anche i bambini di quinta elementare, il motto imperante è sì vis pacem para bellum; ergo: armarsi sino al collo, utilizzare l’Ucraina nel conflitto e sacrificare il welfare state per allinearsi a Washington e a Londra. Ma intanto, nella zona euro, l’inflazione galoppa verso il 9% su base annua. Un’enormità.

L’eccezionalità del momento, tra l’altro, sembra quasi non toccare più la stampa europea, ivi compresa quella italiana vicina a Palazzo Chigi, che di fatto minimizza la questione sanzioni, “normalizza” l’invio di armi a Kiev e teatralizza lo scontro tra la Russia e la comunità occidentale fedele agli Usa. Così, tra una censura e un’altra, qualche ridicola lista di proscrizione e una serie di campagne di propaganda che affossano qualsiasi tipo di soluzione o proposta alternativa alla prosecuzione del conflitto, la comunicazione mainstream filogovernativa (a pari passo con i suoi social network) continua a parlare di una “possibile vittoria di Zelensky” omettendo la rappresentazione realistica dei fatti avvenuti sul campo. E se sopra l’Italia indebitata (ma, si badi bene, solo sul paese reale) sta piovendo sul bagnato, a Parigi, Madrid e Berlino è probabile che stiano smettendo di ridere.

 

           MARCO GIULIANI

 

 

 

 

FONTI, BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Avvenire del 29 giugno 2022 –

Eurostat (rilievi), dati raccolti il 17 giugno 2022 –

Televideo Rai del 29/06/2022, pp.150-180 –

www.agenparl.eu, pagina del 31 maggio 2022 –

www.agi.it, pagina del 28 giugno 2022 –

www.ilpost.it, pagina del 17 marzo 2022 –

 

1 4 5 6