Il rotto della cuffia. Note del Criticone, di Roberto Buffagni

Il rotto della cuffia. Note del Criticone.

 

Per il rotto della cuffia abbiamo evitato una Beslan 2, cinquantuno ragazzini bruciati vivi. Il rotto della cuffia è stato: maldestra improvvisazione, fortuna, abilità dei carabinieri. Ousseynou Sy ha maldestramente improvvisato la strage. Per fortuna alcuni ragazzini sono riusciti a nascondere il cellulare e a chiamare la polizia. I carabinieri sono intervenuti rapidamente ed efficacemente. Insomma: è andata bene, pericolo scampato.

Non è andato bene, invece, il resto: non sono andate bene le reazioni dei responsabili politici e soprattutto dei media, che subito, ancora trafelati, si sono messi a rammendare il rotto della cuffia. Il giorno dell’attentato il Criticone ha curiosato spesso sui siti dei giornali e delle televisioni, e ha visto le Rammendatrici all’opera “in tempo reale”, come s’usa dire in TV.

Sono state rapidissime, le Rammendatrici. Appena scesi dal bus, i ragazzi sono stati intervistati, e dal rotto della cuffia è scappata l’intervista a un biondo ragazzino italiano DOC, Riccardo, che ha recuperato un telefonino e chiamato la polizia.

Ma per fortuna, ecco che saltano fuori altri due ragazzini che nascondendo il telefonino hanno contribuito ad avvisare la polizia:  Ramy ,di famiglia egiziana, e Samir, marocchina. Il filo più pregiato per il rammendo l’ha fornito Ramy, che non ha ancora la cittadinanza italiana.

Ecco il rammendo: “Ramy e Samir e gli altri, i ragazzi eroi che hanno salvato i compagni dal bus in fiamme” (“gli altri” sono poi Riccardo, il filo bianco e biondo che stona nel rammendo della cuffia, forse anche Nicolò che si è offerto come ostaggio). Lieve sbavatura nel commento del padre egiziano di Ramy, che chiede la pena di morte per l’attentatore, ma si sa: è la sua cultura, e chi siamo noi per giudicare?  Farà di meglio Ramy, che dopo il conferimento della cittadinanza-premio auspicherà senz’altro la rieducazione dell’attentatore.

(Nota in calce del Criticone: se chiamiamo “eroe” chi agisce con coraggio e prontezza per salvarsi la vita, come chiameremo chi la sua vita mette a rischio o sacrifica per salvarne altre o per una buona causa? Il vocabolario ha risorse limitate…)

Altro rammendo: all’autista era stata sospesa la patente per guida in stato di ebbrezza, come poteva guidare uno scuolabus? E giù tante gugliate di chiacchiere sulle regole che in Italia non si rispettano, sui controlli che in Italia non si fanno, etc. Il Criticone obietta che Ousseynou Sy ha chiarissimamente detto di voler compiere una strage in ritorsione contro le politiche migratorie del governo in carica, anzi contro “Salvini e Di Maio”, additati per cognome, secondo lui responsabili delle morti in mare degli immigrati. Critica il Criticone: certo, guidare uno scuolabus è più pratico, se si vogliono bruciare vivi cinquantuno ragazzini; ma con un piccolo sforzo in più, l’attentatore poteva incendiare una scuola media in orario di lezione, un cinema che proietta un film per famiglie, etc.

Naturalmente, il rammendo più efficace lo ha fornito la buona sorte con l’ausilio dell’abilità dei carabinieri. Niente di meglio, per rammendare il rotto della cuffia, del lieto fine: tutto è bene quel che finisce bene.

Il Criticone però ribatte che qui non c’è qualcosa che finisce: qui c’è qualcosa che comincia. Dal crescente attrito tra popolazioni profondamente diverse in coabitazione forzata sullo stesso territorio cominciano a levarsi le prime scintille. Qualcuna dà fuoco a un bosco, come a Christchurch; qualcuna, come questa lombarda, cade sul selciato e si spegne senza far danni.

Il Criticone rileva poi un dato preoccupante. Tanto l’attentatore di Christchurch quanto l’attentatore di Crema – che non sono “pazzi”: spostati, esasperati, ideologizzati e marginali sì, ma non “pazzi” – prendono immediatamente di mira dei bambini.

Branton spara sulle famiglie mussulmane in preghiera, certo di colpire anche bambini. Ousseynou Sy pianifica di uccidere una cinquantina di bambini. Per uccidere dei bambini, e non da lontano ma faccia a faccia, bisogna superare una fortissima inibizione. Né Branton né Ousseynou Sy erano induriti dall’esperienza. A quanto risulta, nessuno dei due aveva mai ucciso, prima; e tantomeno ucciso dei civili innocenti, o addirittura dei bambini. Entrambi sembrano aver superato senza troppe difficoltà l’inibizione a uccidere bambini. Ousseynou Sy, inoltre, ha progettato di uccidere bambini che conosceva di vista, che più volte aveva trasportato e dunque gli era più difficile disumanizzare, ridurre ad allegoria di un nemico senza volto, a fantasma, a cosa: a rifiuti da ardere.

Ci sono due situazioni in cui è facile superare l’inibizione, in cui diventa “normale” uccidere bambini.  Quando li uccidi senza vederli: occhio che non vede, cuore che non duole. “Normale” uccidere bambini con l’artiglieria o dal cielo, con aerei, missili, droni ( o con l’aborto, certo). “Normale” uccidere bambini faccia a faccia nelle guerre civili, specie se combattute su base etnica e/o tribale: perché in questi casi, nell’uccisore agisce una possente pulsione a cancellare persino la radice del nemico, e la radice del nemico è la sua stirpe.

Le manifestazioni visibili e dunque attaccabili della stirpe sono due: i simboli della sua ascendenza, del suo protendersi nel passato: per esempio i luoghi di culto e i sacerdoti. Branton ha attaccato una moschea, e si moltiplicano gli attacchi a chiese e sacerdoti cristiani in Occidente e in Levante. E i simboli viventi, i tramiti in carne ed ossa del suo protendersi nel futuro: i figli. Se li uccidi da bambini, prima che a loro volta diventino padri o madri, in loro uccidi la stirpe, tagli la radice della malapianta (nel suo manifesto, che si trova facilmente in rete, Branton lo dice a chiare lettere: “i bambini poi crescono”).

Le Rammendatrici dicono che per riparare il rotto della cuffia ci vuole la “gestione dell’immigrazione”, ci vuole “l’integrazione sociale”. E’ vero. Gestione dell’immigrazione e integrazione sociale – posti di lavoro decenti, istruzione, welfare per gli immigrati – sono indispensabili per ridurre l’attrito tra popoli profondamente diversi in coabitazione forzata sullo stesso territorio; anche se non va scordato che in particolare oggi la disoccupazione dilaga, il welfare si riduce, e dunque posti di lavoro e welfare diventano posta di un conflitto crescente tra immigrati e autoctoni.

Ma al Criticone preme sottolineare un aspetto della questione che gli pare cruciale, e gravemente sottovalutato nonostante i quotidiani, insistenti, persino stucchevoli richiami alla comune umanità diffusi da tutte le Rammendatrici laiche ed ecclesiastiche: che immigrati e autoctoni sono esseri umani.

Nel bene e nel male, gli esseri umani sono molto più complicati degli animali: per esempio delle mucche. Agli esseri umani non basta dare fieno nella mangiatoia e stalla a riparo dalla neve perché tutto sia OK. Non è facile neppure “meticciarli” con la fecondazione artificiale come la razza Jersey e la razza Chianina. Gli esseri umani ricordano il passato, progettano il futuro, sanno di dover morire e dunque hanno a cuore la sopravvivenza, non solo materiale, della propria stirpe. Se a torto o a ragione la sentono in pericolo, reagiscono, reagiscono con forza. Se credono, a torto o a ragione, che a minacciare la sopravvivenza non solo materiale della propria stirpe sia un’altra stirpe, la designano come nemico assoluto e ne progettano la distruzione ab imo, alla radice.

E’ già avvenuto molte volte nella storia: anche di recente, ai confini orientali d’Italia; dove altrimenti innocue casalinghe hanno castrato centinaia di nemici prigionieri, con mezzi di fortuna quali i coperchi delle scatolette di fagioli o pomodori pelati; sferrando così un attacco preventivo radicale alla continuazione della stirpe nemica. Impedire che i bambini siano concepiti è ancor più efficace che ucciderli.

Megafonare su tutti i giornali e le TV che non c’è da preoccuparsi, che l’integrazione, la buona volontà, l’educazione civica, la misericordia cristiana e i lumi della ragione l’avranno vinta sulle tenebre della follia, del razzismo e dell’oscurantismo, come fanno le Rammendatrici, secondo il Criticone non basta. Anzi. Secondo lui, si fa peggio. Al rotto delle cuffia si mette una toppa che è peggio del buco, perché la negazione ostinata e organizzata di un problema grave, profondo, ominoso, che ha radice non soltanto sociale ma culturale e psichica, annidato com’è nell’intersezione crepuscolare e misteriosa di corpo e anima, passato e futuro, vita e morte, singolo e stirpe e comunità, non può che ingigantirlo, anzitutto nei pensieri e nelle immaginazioni; sinché l’ombra o l’Ombra che esso proietta non oscurerà le lampadine a basso consumo energetico, gli schermi televisivi al plasma, persino la comune luce del sole, del sole evangelico che, come lo sguardo tragico, continua a splendere sui giusti e sugli ingiusti.

Ma si sa, il Criticone è un criticone.