Su Hegel e la virtù, di Teodoro Klitsche de la Grange

POST – FAZIONE su Hegel e la virtù

Nello scrivere il suesteso articolo sulla virtù e lo Stato moderno http://italiaeilmondo.com/2018/05/01/virtu-e-stato-moderno-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/ , avevo omesso di considerare ciò che Hegel sosteneva, in particolare nella “Fenomenologia dello spirito” sulla virtù e su come diversamente considerata dagli antichi e dai moderni.

In effetti il filosofo nota due cose, spesso ripetute nei secoli successivi; la prima che la virtù esternata dai moderni è per lo più “Pomposo discorrere del sacrificio per il bene e dell’abuso delle doti; simili essenze e fini ideali si accasciano come parole vuote che rendono elevato il cuore e vuota la ragione; simili elevate essenze edificano, ma non costruiscono, sono declamazioni che con qualche determinatezza esprimono soltanto questo contenuto: che l’individuo il quale dà ad intendere d’agire per tali nobili fini e ha sulla bocca tali frasi eccellenti, vale di fronte a se stesso come un’eccellente essenza, ma è invece una forzatura che fa grossa la testa propria e quella degli altri, la fa grossa di vento…Ma la virtù da noi considerata è fuori della sostanza, è priva di essenza, è una virtù soltanto della rappresentazione, virtù di parole prive di qualunque contenuto…La nullità di quella chiacchiera sembra essere divenuta certa anche per la cultura del nostro tempo, sebbene in modo inconsapevole; giacchè dall’intera massa di quelle frasi e dal vezzo di farsene belli è dileguato ogni interesse, il che trova la sua espressione nel fatto ch’esse producono soltanto noia”.

Il secondo è che, di converso “La virtù antica aveva il suo significato preciso e sicuro, perché possedeva un suo fondamento pieno di contenuto nella sostanza del popolo e si proponeva come fine un bene effettuale già esistente; e perciò non era rivolta contro l’effettualità (intesa) come una universale inversione, nè contro un corso del mondo”[1].

Nel Grundilinien das philosophie des recht Hegel confermava che « Il discorso su la virtù, però, sconfina facilmente nella vuota declamazione, perché se ne parla solo come di un’entità astratta e indeterminata, e, analogamente, un tale discorrere, con le sue ragioni ed esposizioni, si rivolge all’individuo come a un arbitrio e capriccio soggettivo”[2], l’etico è unità di sostanzialità e soggettività “La vigenza di questo diritto consiste nel fatto che, nella sostanzialità etica, sono dileguate ogni caparbietà e ogni Coscienza singolare che, in quanto essente-per-sé, si opporrebbe appunto alla sostanzialità”[3].

La concretezza della virtù degli antichi, indirizzato alla “sostanza del popolo” e al “bene effettuale già esistente” è particolarmente evidente nel racconto di Plutarco sul discorso di Volumnia, la madre di Coriolano, al figlio per persuaderlo a non combattere contro Roma. Volumnia parla come madre (fisica), ma le sue parole sono anche (e soprattutto) quelle della madre politica: infatti è consapevole che se Coriolano ne seguirà l’esortazione, sarà ucciso. Ma nella decisione tra la patria e la vita del figlio (ossia tra pubblico e privato) non ha esitazioni né dubbi: sacrifica i sentimenti privati alla salvezza di Roma: ed esorta il figlio a fare altrettanto: “Perché taci o figlio? Forse che è nobile abbandonarsi completamente all’ira e al rancore mentre è disonorevole cedere alla madre che ti rivolge una così grave preghiera?… E a nessuno come te si converrebbe di osservare i doveri della riconoscenza, a te che così duramente ti vendichi dell’ingratitudine. Eppure, benché ti sia ampiamente vendicato della patria, a tua madre non hai mostrato alcun segno di riconoscenza”[4]. Coriolano così compì la scelta perorata dalla madre: salvò Roma e venne ucciso dai Volsci.

L’opposto di Coriolano era Polinice, il figlio di Edipo morto combattendo contro la propria patria per affermare il proprio diritto alla successione al trono del padre e al rispetto del relativo patto con il fratello Eteocle: ovvero per un diritto (soggettivo) appartenente a se medesimo.

Se l’aspetto soggettivo è comune a Polinice ed ai pomposi banditori “del bene supremo dell’umanità e dell’oppressione di questa” diverso ne è il bene protetto. Nell’eroe antico è la concreta spettanza di un diritto; nei moderni è, come scriveva Hegel, privo di sostanza, pura rappresentazione ideale: “virtù di parole prive di qualunque contenuto”. Ossia buone intenzioni (e, spesso, derivazioni paretiane).

Hegel torna ancora sulla virtù dei moderni nelle “Lezioni sulla filosofia della storia” in particolare sulla concezione della virtù da parte dei rivoluzionari giacobini “Dominano ormai i principi astratti della libertà e della sua manifestazione nella volontà soggettiva, la virtù. La virtù deve ancora governare i molti che, con la loro corruzione e con i loro vecchi interessi, o anche per gli eccessi della libertà e delle passioni, le sono infedeli. Il principio della virtù fu posto come principio supremo da Robespierre, e si può dire che quest’uomo la prese veramente sul serio. La virtù è qui un principio semplice, e distingue solo quelli che hanno un convincimento da quelli che non l’hanno. Ma il convincimento non può essere conosciuto e giudicato che dal convincimento. Domina perciò il sospetto: ma la virtù, appena diviene sospetta, è già condannata”. La virtù astratta governa col sospetto e col terrore: “Dominano così, ora, la virtù e il terrore: infatti questa virtù soggettiva, che governa solo in base al convincimento, porta con sé la più terribile tirannia. Essa esercita il suo potere senza forme legali, e la pena che infligge è egualmente semplice: la morte”. I principi rivoluzionari, sosteneva Hegel, trovavano terreno fecondo nelle nazioni cattoliche[5]. Il liberalismo ha dominato tutte le nazioni romaniche, “cioè tutto il mondo cattolico-romano, la Francia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo. Ma dappertutto ha fatto bancarotta … In tutte queste rivoluzioni va messo in rilievo il fatto che esse sono esclusivamente politiche, senza mutamento di religione. In questa specie della libertà dello spirito, la religione non prosperò né decadde. Ma senza mutamento religioso non può avvenire una rivoluzione politica. La libertà dello spirito, come è stata espressa nella nazioni romaniche, i principi stessi di questa libertà, sono solamente principi astratti”[6].

In sostanza la virtù, in senso politico, è questione pubblica ed essenzialmente comunitaria che nella difesa della comunità e del suo modo d’esistenza ha la propria funzione e la propria oggettività. La lezione del grande filosofo è tuttora attuale.

[1] V. Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, Firenze 1973 pp. 323-324.

[2] V. Op. cit. ult. prgrf.150 trad. It. Di V. Cicero, Milano; “L’Etico, in quanto è il modo d’agire universale degli individui stessi appare come ethos, costume. L’Etico è qui la consuetudine dell’ethos, è come una seconda natura messa al posto della prima volontà meramente naturale”

[3] Op. ult. cit. prgrf. 152 e prosegue Colui che ha un carattere etico, infatti, ma come proprio fine motore l’universale immobile, il quale però nelle sue determinazioni, si è dischiuso a razionalità reale. Chi ha un carattere etico conosce la propria dignità e ogni sussistenza dei fini particolari come fondate in questo universale, e qui le ha realmente”; riporta questo aneddoto per illustrare il connotato peculiare dell’eticità antica “Alla domanda di un padre sulla maniera migliore di educare il proprio figlio, un pitagorico diede la seguente risposta (che viene messa anche in bocca ad altri) fallo cittadino di uno Stato con buone leggiop. ult. cit. prgrf. 153, la sostanza etica è ”lo Spirito reale  di una famiglia e di un popolo” op. ult. cit. prgrf. 156.

[4] V. Plutarco, Vite parallele. Coriolano, trad. it. di L. M. Raffaelli, Milano 1992 p. 241.

[5] Tuttavia è bene ricordare che nelle nazioni cattoliche trovarono le più determinate opposizioni che presero forma nelle guerre partigiane: dal cardinale Ruffo a Empecinado ad Hofer.

[6] V. LFS Firenze 1963, vol. IV, p. 209 ss.