guerra ibrida: professionisti ed apprendisti, di Piero Visani

“FINESSE” (ovvero Il Taccone peggiore del buco)

Salvini: “Non l’ho invitato io in Russia, Savoini. Non so che ci facesse a quel tavolo”.

Sondaggio d’opinione in diretta:
1) era il convitato di pietra?
2) il responsabile della comunicazione del ministro dell’Interno è un dilettante alla ricerca di una “catastrofe reputazionale”?
3) E’ Nanni Moretti, “Continuiamo così, facciamoci del male”?
4) E’ “Ludwig van” (così lo faceva chiamare Kubrick in “Arancia Meccanica”) che ha intonato la “Patetica”?”

PERSEVERO ET OBDURO…

Delegittimate, delegittimate, qualcosa resterà

tratto da https://derteufel50.blogspot.com/2019/07/delegittimate-delegittimate-qualcosa.html?fbclid=IwAR2eriUsbl_FesZ68AeKHQtsJo4VG0dtMYL-K6wtGBzPEFfwB-rfbmwm7R4
       Una delle peculiarità della guerra ibrida attualmente in corso è l’attenzione assurda che viene prestata ai suoi contenuti fattuali: nel caso della delegazione leghista a Mosca, nell’ottobre scorso, che cosa essa avrebbe tentato di fare.
       Un approccio del genere non ha alcun significato e tanto meno alcun valore in un contesto di componente mediatica di una “guerra ibrida”: ciò che interessa, infatti, non è quello che è accaduto (andare in giro a battere cassa lo fanno tutti i partiti e ci sono illustri precedenti al riguardo…), ma come la presentazione e la rappresentazione di determinate notizie possono condizionare l’agenda setting quotidiano dei media, vale a dire la notiziabilità o meno di quanto viene raccontato (e qui si innesta una formidabile componente di storytelling) al grande pubblico.
       Della notizia in sé, complessivamente alquanto irrilevante, non interessa ad alcuno, ma interessa moltissimo come essa possa essere strumentalizzata e a quali fini.
       Mi viene perciò molto da sorridere quando leggo contestazioni del tipo: “a battere cassa a Mosca ci andava anche il Pci”. Certo, verissimo, lo faceva con assoluta costanza e continuità, ma in uno scenario politico-strategico assai diverso dall’attuale e dove le intercettazioni erano assai meno agevoli di quelle attuali, anche perché il mondo era rigidamente diviso in blocchi, non era multipolare come adesso e, all’interno di quella bipolarità, non era in atto una “guerra di tutti contro tutti”, che va al di là degli schieramenti, si estende all’interno dei partiti, coinvolge interessi pubblici e altri privatissimi. Senza contare che il Pci dell’epoca poteva contare su un formidabile apparato metapolitico, riempito anche di persone colte e molto capaci, non di media strategist della Val Brembana (con tutto il rispetto per la medesima: la Valle, non la strategy…).
       In definitiva, il primo compito di questo conflitto ibrido/mediatico è l’assoluta delegittimazione dell’avversario e – ancor più – la volontà di sottrargli qualsiasi tipo di iniziativa politico-mediatica, costringendolo COSTANTEMENTE SULLA DIFENSIVA per mezzo di una serie di attacchi che possono anche essere semplici punture di spillo, ma sono costanti e ininterrotti, E LO OBBLIGANO A REAGIRE SEMPRE,  AD AGIRE MAI.
       Non mi sembra che tutto ciò sia nitidamente percepito. Vedo in azione, piuttosto, culture della politica e del conflitto assolutamente primitive, incapaci di cogliere la grande (e grandiosa…) COMPLESSITA’ DELLA REALTA’ ATTUALE E MENO ANCORA CAPACI DI COMPRENDERE CHE OGGI IL REALE E’ UNA DELLE DIMENSIONI MENO IMPORTANTI DEL VIRTUALE.
      SENZA QUESTA ACQUISIZIONE FONDAMENTALE, NELLA GUERRA IBRIDO-MEDIATICA NON SI VA DA ALCUNA PARTE, ma si fa il “punching ball” dell’avversario o, al massimo, gli si fa da “sparring partner“, cioè – per parafrasare Paolo Conte (non Giuseppe…) – si diventa al massimo “dei macachi senza storia”. Come si finisce per dimostrare ampiamente…

Una buona operazione di “guerra ibrida”

       Quando si è oggetto di una buona operazione di “guerra ibrida” – come è stato il caso del governo italiano nella vicenda della nave “Seawatch” e della capitano Rakete – ha poco senso e ancora minore utilità lasciarsi andare a esplosioni di collera o all’invocazione di provvedimenti impossibili, come l’espulsione. Sarebbe decisamente preferibile, semmai, analizzare a fondo l’operazione dall’inizio alla fine, individuarne le regolarità e le specificità, e prepararsi ad affrontarne altre, che certo non mancheranno.
      La “guerra ibrida” (hybrid warfare) è un sistema complesso, ricco di sfumature, le cui componenti travalicano nei campi più diversi. Per fronteggiarla in modo adeguato, non serve arrabbiarsi, ma serve analizzarne ogni singolo aspetto, per sviscerarlo nei dettagli, scomporlo e predisporre le adeguate contromisure. Se tutto questo non verrà fatto (e temiamo che non lo sarà…), le operazioni di “guerra ibrida” di cui sarà oggetto l’attuale esecutivo diventeranno sempre più complesse, visto che si tratta di un versante su cui è scoperto e vulnerabilissimo (anche per la nota predisposizione di gran parte del centrodestra italiano all’analisi e allo studio…).
La preparazione
       Questa fase si è svolta a vari livelli. Non abbiamo qui lo spazio per trattarne in dettaglio, ma è chiaro che occorre disporre della materia prima (i migranti), della possibilità di raccoglierli e caricarli a bordo di una nave dedita al traffico umanitario (chiediamo scusa se questo tipo di linguaggio urta le “anime belle”, ma chi scrive si occupa di guerre e varie forme di conflittualità, dunque è solito chiamare le cose con il loro nome; con lui, i giochetti mediatici sono un pochino più difficili…) e di attendere il segnale del momento più opportuno per l’avvio dell’operazione.
La realizzazione
       Quando questo segnale c’è stato, una prima fase ha richiesto di protrarre la vicenda il più a lungo possibile, per caricarla di contenuti “umanitari”; poi, quando la misura è parsa colma, si è passati alla fase 2, vale a dire il forzamento di un porto. E’ ovvio che, in molte parti del mondo, il tentativo di forzare un porto da parte di una nave straniera sarebbe finito malissimo e con possibile spargimento di sangue, ma – si sa – Italians do it better, per cui – da noi – alti lai, geremiadi, banalità e naturalmente nessun gesto concreto, non sia mai…
Le componenti collaterali
       In un’operazione di “guerra ibrida”, le componenti collaterali sono più importanti di quelle principali: dunque preliminare ripulitura di eventuali dati relativi al comandante presenti sui social, in modo da rendere difficile ricostruirne identità e pregressi; attivazione di tutti i supporti politici, culturali e mediatici a proprio favore che fosse stato possibile individuare. Riservato a sé (Seawatch e Rakete) il ruolo di hostes (in senso schmittiano, “nemici esterni”) del governo italiano, individuare, tra le file italiane, coloro i quali potessero fungere da eventuali inimici (cioè “nemici interni”, sempre in senso schmittiano) dell’attuale esecutivo, vale a dire tutti coloro che, in un modo o nell’altro (politici, magistrati, giornalisti, etc.) potessero fungere da casse di risonanza e moltiplicatori di forza dell’operazione in corso, operando dall’interno e non dall’esterno.
L’operazione è andata bene e si è conclusa meglio per chi l’ha avviata, e la reazione, al di là delle rodomontate da bar del ministro dell’Interno (che paiono il suo riferimento culturale più elevato), segna un innegabile successo per chi sa usare – bene – la “guerra ibrida” per fare politica. Se non si reagisce a quel preciso livello, la guerra è già persa in partenza.
        Nell’area mediterranea, specialisti di “guerra ibrida” non schierati sul fronte mainstream sono gli Hezbollah libanesi, formazione politico-militar-culturale assai rispettata dai propri nemici, che infatti lanciano contro di essi un assai minor numero di attacchi di quanto non facciano contro il ministro dell’Interno italiano, il quale – a conferma della sua assoluta chiarezza di idee – è solito definire gli Hezbollah “terroristi”…