– SONDERWEG – Alle radici del cosmo russo : cicli della storia. FINE [cap.4]_di Daniele Lanza

COSA è la Russia ? Cosa NON è ?
Quello che chiamiamo “Russia” e che identifichiamo con i confini politico amministrativi tratteggiati sulle carte non è quanto pensiamo o meglio, lo è solo in parte. La Russia – l’entità unitaria panrussa emersa nella prima età moderna, sopravvissuta sino ad oggi traverso innumerevoli mutazioni – sebbene ovviamente detenga lo status legale di stato, non lo è nella stessa accezione in cui lo sono i suoi analoghi europei ad occidente e questo per ragioni di fondo che a loro volta sollevano quesiti ultimi, come la natura e il significato dello stato stesso – in generale – e il suo rapporto con la società.
Per rimarcare la distanza tra il modello russo e gli stati europei si cita normalmente la dimensione geografica non comparabile naturalmente (che la Russia non sia uno stato nazionale in senso europeo è lapalissiano), ma nel fare questo si sorvola un elemento che ha più a che fare con la metafisica che con il materiale : l’analisi filosofica ha suggerito che altro non si tratti che di Costantinopoli, metafisicamente eiettata dal Bosforo e riemersa oltre 1000 km a nord nel cuore della pianura slavo orientale, entro i piccoli confini di un principato russo : a quest’ultimo, inizialmente minuscolo depositario simbolico della tradizione greca, le circostanze storiche permettono però di ingigantirsi all’inverosimile riproponendo l’impero bizantino (o quello ellenistico di Alessandro addirittura, per essere visionari all’iperbole) idealmente traslato su differenti coordinate geografiche.
Benchè le circostanze e quindi le strutture materiali mutino con l’andare del tempo, il substrato concettuale “universale” (che è il proprio SONDERWEG e al tempo stesso eccezionalità) tende a persistere, ridipingendosi di era in era a seconda del caso (con le tendenze o ideologie del momento) : l’andamento imponderabile degli eventi porta lo stato russo ad allontanarsi e scollarsi talvolta dalla propria “unicità” o “eccezionalità” per poi tornarvi inevitabilmente come per una legge della fisica, allorchè questa distanza dal sonderweg diventi intollerabile. Abbiamo dunque a che fare con un fenomeno analizzabile col metro della storia di lunghissimo corso : l’andamento ciclico di una civilizzazione. L’andamento ciclico della storia russa si percepisce alla luce dei passaggi che si sono visti nei capitoli precedenti : la Terza Roma si affievolisce si secolarizza (non riesce a far fronte alla secolarizzazione che investe tutto l’emisfero europeo) lasciando sul terreno un già grande aggregato territoriale che però è troppo fragile per affrontare le sfide dell’era nuova. Serve pertanto un nuovo “credo secolare” che Pietro il grande fornisce al paese trasformando il vecchio zarato in IMPERO RUSSO : Pietro Romanov che probabilmente realizzava la vulnerabilità del vecchio stato, bene memore del quasi annullamento agli inizi del secolo stesso per opera dei polacchi, decide dunque per un ritorno al concetto di “eccezionale” che si stava perdendo, tramite la sua idea di stato. Recuperare l’eccezionalità è una zona di passaggio TRAUMATICA, dal momento che per alterare l’andamento storico in corso occorrono misure radicali : così come quasi due secoli avanti Ivan il terribile carica con ideali messianici il proprio giovane zarato lanciandolo in imprese per l’epoca titaniche, Pietro il grande a sua volta sfigura il volto della società russa del suo tempo, ne attua una metamorfosi di prima grandezza consegnandola temporaneamente all’occidente.
Quando l’impero è oramai decadente e non può più servire allo scopo di difendere la sacralità dello spazio russo da interferenze esterne (ma anzi si va verso il collasso e lo smembramento territoriale) allora tutto si rimette in moto : in questo frangente una forza si interpone per impedirne la fine e questa è rappresentata dai bolscevichi stessi che invertono dalle fondamenta il moto di decomposizione dello stato russo (bramato dai suoi rivali). Nel riportare la capitale da San Pietroburgo a MOSCA, simbolicamente pongono fine non solo alla parentesi imperiale, ma anche alla parentesi OCCIDENTALE del paese, recuperando in un solo colpo non soltanto un’ideale universale (nell’ideologia socialista) , ma anche recuperando il destino distaccato dall’occidente della civilizzazione russa : il sonderweg, il cammino separato (in questo caso nei confronti dell’occidente) è recuperato nella cortina di ferro che cala attorno al primo stato socialista al mondo (perlomeno in prospettiva nazionalista e “autoctonista” si può interpretare così la dinamica).
Il processo rivoluzionario con quanto consegue, è il cataclisma che si abbatte sulla società russa della prima metà del 900, eppure anche questo in un’ottica patriottica è un male necessario : polverizzare i muri del presente, tramite una purificazione militare – per quanto traumatico – onde evitare che la sua decadenza trascini nel baratro finale (pathos dell’avvicendarsi di crepuscolo e rinascita).
Questo cammino ci porta i nostri giorni : l’era sovietica che per buona parte del secolo puntella il paese, si dissolve aprendo la strada allo spettro della disintegrazione territoriale impedita 70 anni prima. Non solo è in gioco la Russia “estesa” ovvero il suo hinterland di repubbliche post-sovietiche, ma ora lo stesso HEARTLAND è a rischio : a rischio di smarrire sé stesso, come ebbro di idee estranee alla propria tradizione ancestrale nell’era della comunicazione di massa, della globalizzazione, che agiscono come veicoli formidabili della dominanza occidentale sulla cultura planetaria con tempistiche di rapidità sconosciuta al passato.
Ancora una volta la storia si ripete dunque ! Come al tempo di Ivan IV, come al tempo di Pietro il Grande, come al tempo della rivoluzione d’ottobre, assistiamo ad un momento di grave crisi non solo dello stato russo, ma della stessa IDEA RUSSA ovvero in quanto civilizzazione a sé stante. La tragedia del decennio Ieltsiniano seguita da un “salvatore” nel ventennio a seguire non è dunque strana, ma al contrario segue perfettamente la logica di riassestamento del “destino” : varcata la soglia critica……si mette in moto qualcosa che si muove in direzione opposta per salvaguardare il “nucleo” della civiltà.
Vladimir Putin risulta quindi essere una di quelle enigmatiche (o tragiche) figure, quali statisti o sovrani che loro malgrado si trovano in fasi di passaggio : di coloro che trovano dietro sé macerie e dinnanzi a sé l’ignoto, dovendo farvi fronte con i mezzi che hanno. Se una spiegazione (non giustificazione) si può trovare per l’attuale presidente di Russia si potrebbe dire che è una persona ordinaria in circostanze (per il proprio paese) NON ordinarie : e disgraziatamente non si può far fronte a circostanze straordinarie con mezzi ordinari. In ottica russa nazionalista e considerato il contesto altro non sarebbe che uno strumento della storia, cui è affidato l’arduo compito di restaurare il giusto sentiero per la propria civiltà rimettendone in sesto la struttura materiale che si chiama stato.
La “creatura” in questione – al di là della formalità giuridica – NON è uno stato nazionale e nemmeno uno stato multietnico (come si vantano d’essere i più moderni stati d’occidente) : è uno stato sovranazionale ovvero sé stesso ed al tempo medesimo più di questo, definendosi proprio in quella che per noi è una contraddizione in termini (ma la stessa tradizione cristiana non vede forse tre entità in una sola ??). Si può evitare di sprofondare nella trappola semantica semplicemente superandola ed arrivando alla comprensione che quella russa è una forma di civilizzazione indipendente, a sé stante. Quella cui abbiamo assistito in questo ultimo mese tra Russia e Ucraina NON è una guerra tra due stati, ma una guerra CIVILE (interna alla “sovranazionalità” russa) e l’attrito trasformatosi in seconda guerra fredda tra paesi dell’occidente e Mosca NON è un conflitto tra stati (come la storia della diplomazia ci direbbe) bensì un confronto di civiltà : quella occidentale di stampo latino e germanico – immensa e frammentata in una moltitudine di stati e lingue diverse , mentre dall’altro quella russa di stampo bizantino, entità più limitata demograficamente ed economicamente, ma altrettanto grande geograficamente, unificata politicamente e linguisticamente e non priva di risorse naturali ed alleati (soprattutto). Questo il corretto modo – benchè troppo astratto per molti – di leggere le cose.
Il presidente legale (Vladimir Putin) dello spazio territoriale coincidente con tale civilizzazione ha come deciso – consapevolmente o meno – di assumersi un complesso ruolo storico che lo inserisce nel solco dei predecessori in quell’andamento ciclico che abbiamo tentato di descrivere. Una sfida molto ambiziosa considerato il grado di permeabilità del mondo odierno rispetto a secoli ed anche solo generazioni passate : COME ritornare al proprio sonderweg nel 21° secolo ? L’unica cosa certa, osservando l’andamento ciclico è che produrre il riavvicinamento comporta fiumi di sangue o in ogni caso un sacrificio collettivo di entità non calcolabile.
Il Sonderweg è in buona parte idea : reggerà la società russa al prezzo richiesto per tornare all’”idea” rinunciando al bene materiale che la generazione di apertura al mondo esterno ha portato? Non occorre perdersi in una diatriba “idea-materia” degna di Platone e Aristotele per carità (!), basti riflettere più concretamente sulla determinazione che caratterizza ogni suo passo a partire dall’inizio del conflitto : l’indifferenza riguardo lo scollegamento della Russia da molti benefit offerti dalla civiltà del consumo e della rete internet (dai fast food ai social network) è prova lampante di un atteggiamento particolare….non si odia l’occidente, ma se ne può fare a meno. Forse si invita a farne a meno : non si negano le comodità occidentali al proprio popolo, ma si ottiene che sia l’occidente a toglierle ottenendo così un doppio vantaggio : l’influenza materiale occidentale si attenua e non si potrà incolpare (direttamente) lo stato russo per questo (dall’esterno si dirà che è la Russia ad aver iniziato il conflitto, meritandosi la risposta, ma da una prospettiva interna non è così : la popolazione , che in generale supporta il proprio stato, se non il governo, attribuirà la colpa alla negatività occidentale contro i russi. Si incolperà il mondo esterno e non la Russia in sé). In sintesi efficace e dura come la pietra : nemmeno la minaccia di uno scollegamento totale dall’internet globale pare aver sortito un effetto significativo, nei giorni peggiori.
Concludiamo.
Riguardo il presidente concluderemmo che oramai – prossimo alla pensione – si è addossato un ruolo che va ben oltre la vita mortale di alcuno, fuori misura. Ha rinunciato ad un comune successore preferendo invece prendere una decisione storica che avrà obbligatoriamente riflessi su qualsiasi successore avrà mai : ha rimesso in moto la catena degli eventi, ha prodotto un’alterazione nello scorrimento temporale (per parlare come in fantascienza) della storia per il secolo in questione………questa la sua eredità a prescindere da come vada.
Vladimir Putin è un uomo profondamente solo, non compreso né dai nemici e nemmeno dagli amici, da coloro che ne sostengono le cause per pura fedeltà, dalla folla urlante che pure lo applaude per fisiologico trasporto patriottico, ma senza capire l’essenza intima delle sue ragioni. Un uomo che lascia ai suoi successori un enigmatico vuoto : COME farà la Russia a difendere il proprio nucleo vitale e il binario prestabilito (sonderweg) nel contesto globalizzato del 21° secolo ? Quale energia si utilizzerà per rendere coesa la società ? Ideologia ? Fede dinastica ? Fede religiosa ? Tutte sono esaurite storicamente e nulla di nuovo è stato proposto : il VUOTO è il peggiore nemico della Russia (non gli USA o la Nato), la più macroscopica lacuna che nemmeno l’uomo “del destino” ha potuto per ora modificare : l’assenza di un verbo materiale traverso il quale l’idea russa possa reincarnarsi come nei secoli passati, di volta in volta. Nessun nuovo anello dell’andamento ciclico è stato forgiato per questa fase di passaggio : possiamo quindi concludere che Putin nel scegliere uno “stato di cose” (o ritorno al sonderweg) anziché un successore in carne ed ossa ha optato per una variante grandiosa nell’uscire di scena…solo che al momento è monca. Come un regista che ha una grande sceneggiatura, ma di fatto scarso budget per realizzarlo sullo schermo (per metterla così).
I cicli passati sono analizzabili, ma quelli futuri sono imponderabili. Il 21° secolo vedrà.

 

SONDERWEG – Alle radici del cosmo russo : 1721-1921 (dai vascelli di Pietro alla corrente elettrica di Lenin [cap.3], di Daniele Lanza

3
Il nostro “spazio sacro” pian piano sbiadisce con l’avanzare dell’età di mezzo della storia europea.
Ecco quindi un secondo momento, ancor più stravolgente che ritroviamo al momento di passaggio col secolo ancora seguente (XVIII) : la riforma epocale orchestrata da Pietro il grande (primo ¼ del 18° secolo), sembrerebbe violare il canone di fondo del cosmo russo in quanto comparto geoculturale caratterizzato distinto da quello dell’occidente. In effetti l’identità pienamente europea scelta dal nuovo zar è qualcosa di emblematico che contrasta radicalmente col concetto di Russia vigente al suo tempo, con la sua immagine prestabilita, che esce fuori dalla storia (nel senso di uscire fuori del proprio destino naturale).
La questione ontologica che le riforme petrine schiudono è oggetto di riflessione sia nel momento in cui vengono messe in atto, sia nelle fasi storiche a venire quando diverranno oggetti di studio, nonché – tra i circoli intellettuali – quesito accademico ai massimi sistemi in merito all’identità russa. Le stesse correnti conservatrici e patriottiche contemporanee possono avere qualche frizione in merito : i più tradizionalisti sostenitori dell’idea eurasista sottolineano l’acuta contraddizione, lo strappo con una tradizione di autoctonia rispetto all’occidente, che si ricuce simbolicamente col ritorno della capitale in Mosca, sprofondati nello heartland russo, all’indomani della rivoluzione d’ottobre, mentre gli oppositori viceversa sostengono la scelta di Pietro il grande in favore della patria più forte che generò con le sue scelte. Nota oltremodo agli specialisti di filologia slava e filosofi la cesura morale mai sanata tra “occidentalisti” e “slavofili” che incendia il discorso culturale del XIX nell’impero zarista : i primi sono favorevoli ad un’apertura nei confronti del mondo esterno, mentre i secondi mostrano invece un atteggiamento strenuamente conservatore in merito al nucleo di civilizzazione russa da preservare dalla minaccia di idee aliene ad esso. Per proporre un’analogia efficace che renda l’entità del contrasto si può affermare che mentre in occidente nell’impero kaiseriano contemporaneo infuriava la kulturkampf tra l’identità prussiana sostenuta da Bismark e l’influenza ecclesiastica cattolica, nel contesto russo imperiale tale battaglia di cultura concerneva il rapporto tra occidente e Russia ossia il tema esistenziale in merito all’identità russa
Ad essere sinceri tale diatriba perde senso se si adotta un criterio d’analisi di corso ancor più lungo – cioè se si considera la bisecolare parentesi imperiale russa in un più grande continuum che copre il mezzo millennio che arriva ai giorni nostri – e considerando una straordinaria elasticità mentale tipica degli antichi imperi : la Russia imperiale occidentalizzata di Pietro il grande, per quanto in antitesi con la tradizione autoctona è anch’essa a modo suo una estesissima e particolare fase di transizione del cosmo slavo orientale adottata al fine di SOPRAVVIVERE alle sfide della modernità, che un sovrano molto acuto già intuiva. Pietro il grande viaggiò fuori del suo paese, la Russia profonda, più di altri, rendendosi conto – assai più dei suoi predecessori – di quanto fosse inadeguato il paese alla sfida che si sarebbe posta nel secolo entrante (1700) : si optò pertanto per una soluzione estrema, simile ad una terapia d’urto come adattare forzatamente il paese ai metodi e alle consuetudini dei suoi rivali d’occidente (che già allora si percepiva avrebbero presto controllato il globo). Diventare simili al proprio nemico, imparare da lui ed assumerne le armi proprio per evitare di esserne travolti un giorno : farlo meglio e il più presto possibile prima che sia troppo tardi (la stessa cosa che il Giappone imperiale tentò di fare a metà 800 per difendersi da europei e americani che bussavano alle porte ! La Cina lo ha fatto a partire dal 900. La Russia semplicemente decise di farlo 1-2 secoli prima).
Una vera contraddizione in termini ne nasce….una Russia che accetta l’estremo sacrificio di trasformarsi dalle fondamenta al fine di sopravvivere e rimanere sé stessa (perlomeno mantenere un suo nucleo inalterato. L’identità russa come è consegnata al mondo dalle riforme petrine, cela un dilemma : l’operazione di occidentalizzazione ha successo e la Russia recupera in qualche modo un’ideale imperiale (più standardizzato e razionalizzato) anche se al prezzo estremo di allontanarsi dal suo alveo d’origine. La Russia si innova e si fortifica sebbene a costo di prendere a modello gli stati europei la cui civilizzazione è rivale a quella slavo orientale : il paradosso di una sopravvivenza assicurata assumendo la forma e le abitudini dell’avversario il cui modello si vuole evitare. Contraddizione eliminata, spazzata via quando ancora altri 2 secoli più tardi un’onda sismica bussa alla porta (nel 1917).
Si entra quindi nel secolo veloce (900) : il paese, malgrado le centinaia d’anni d’espansione territoriale è nuovamente in situazione di drammatica inadeguatezza rispetto al mondo circostante che incalza e in particolare rispetto a quel “golden standard” che è l’occidente europeo (ed americano ora). La Russia imperiale agli inizi del XX secolo sta annegando infatti : prima nazione bianca ad essere sconfitta sul campo da un paese asiatico emergente (Giappone, 1904), percorso da disordini, che infine si lancia nella mischia di quella grande guerra globale in gestazione da quasi 50 anni in Europa (la chiamiamo prima guerra mondiale). Il conflitto che è la tomba della società liberale europea, per quanto riguarda la Russia significa la potenziale disgregazione di quanto si era costruito nelle centinaia di anni passati : il rapido disfacimento totale e la potenziale liquefazione della patria (in un contesto moderno di penetrazione sempre più rapida del pensiero occidentale) a rischio di perdersi definitivamente.
Eppure no : guarda caso anche in tale frangente disperato accade qualcosa (accade sempre “qualcosa” come in base ad un indecifrabile equilibrio della storia). La Russia profonda si solleva, abbraccia la rivoluzione popolare (1917), scagliandosi con vigore mai visto contro tutti i suoi nemici, interni ed esterni : le antiche nobiltà di stampo germanico – che costellavano l’aristocrazia imperiale – scompaiono…..la dinastia imperiale muore, la capitale lascia le sponde del Baltico per tornare ad essere un punto nel cuore della Russia centrale. In generale cala una cortina di separazione tra il cosmo russo e il resto d’Europa che sembrava esser stata superata alle soglie dell’era contemporanea, quando si pensava (probabilmente) che più nulla oramai poteva tener separati i popoli in impermeabile isolamento.
Come se la parte più profonda del paese (il popolo slavo essenzialmente), dopo secoli di torpore, si fosse decisa a rovesciare tutto e tutti, liberandosi di quella sovrastruttura imperiale che un tempo era stata la sorgente di forza del paese……ma che ora ne era al contrario una catena che ne intralciava lo sviluppo relegandolo allo stato di arretratezza che ne sanciva la sconfitta, come la grande guerra aveva insegnato. Tempo dunque di tornare a quell’autonomia di pensiero, quell’autosufficienza che esisteva in un tempo remoto ormai dimenticato…sotto l’egida efficace e dinamica del verbo socialista : insolita, ma efficace l’affinità tra l’ideologia socialista e l’antica mentalità slava (poco prona al mercantilismo e capitalismo anglosassoni) e in parole semplici il marxismo-leninismo poteva ben rappresentare la nuova e più appropriata veste di quel nucleo di civilizzazione autonoma ed esprimerne il messaggio alternativo con il linguaggio e l’energia adatta ai tempi correnti.
Anche in questo caso – come al tempo di Pietro il grande – a casi estremi, estremi rimedi : la frattura tra passato e presente è totale….la faglia di divisione con l’anacronistico passato è profonda. Come vorranno i teorici della rivoluzione d’ottobre (di ieri e di oggi), essa costituisce un evento che “esce fuori della storia” ovvero fuori della rutine convenzionale del destino che aveva accompagnato la storia dell’umanità fino a quel momento, per inaugurare una nuova umanità……
Perlomeno questo avrebbe voluto la retorica comunista. La rivoluzione socialista dei bolscevichi “esce” dalla storia esattamente come ne “esce” la rivoluzione imperiale di Pietro il grande tanto tempo prima : la ragione e le circostanze sono le medesime del resto. Si tratta di SALVARE il grande paese e il suo cuore dal potere delle forze esterne ad esso, rafforzandolo, modernizzandolo con misure draconiane, anche a costo del consenso……modernizzare il corpo della nazione anche contro la sua volontà per il suo stesso bene (con la speranza che un giorno ringrazierà, come un giovanotto inesperto che dopo grida ed urla un giorno riconoscerà la saggezza del proprio educatore di un tempo). Prodigiosi saranno gli effetti del 1917, riportando una civilizzazione russa in decadenza di nuovo nel novero delle potenze planetarie del secolo XX. Tanto si potrebbe dire sulla rivoluzione socialista che la Russia fa propria, ma più di ogni cosa questo : nell’invertire il trend di decadenza dell’impero recupera quell’eccezionalità perduta, che era la fede ortodossa dei primi tsar dal XVI sec in avanti, sacrificata in nome di un più moderno, ma secolarizzato spirito imperiale da Pietro il grande nel XVIII. L’era socialista (almeno nelle premesse) non soltanto si sbarazza di un vestito ormai anacronistico come l’impero, ma addirittura lo supera tornando In UN CERTO SENSO alla carica universale della cristianità di Bisanzio (debitrice alla lontana dell’ellenismo stesso) in quel faro dei popoli che era l’entità sovietica, provvista di ineguagliabile ideale di giustizia sociale ed internazionalismo (…). L’Unione Sovietica torna ad incarnare una “patria dello spirito” come era quella di secoli addietro, anche se in differente ed inimmaginabile guisa : i bolscevichi in tale prospettiva (eterodossa per i più) i veri ed autentici salvatori della patria che ne ristabiliscono il destino naturale sotto la guida di Lenin, mentre i bianchi si ritrovano nello sgradito ruolo di falsi nazionalisti, combattenti a sostegno di una Russia (occidentalizzata) che non è quella reale, che deraglia dalla sua prerogativa “autoctona”.
Lungi dall’essere eterno il faro dei popoli tuttavia.
L’esperimento socialista sovietico si arena all’improvviso dopo 7 decadi, riportando nuovamente al disfacimento della patria come 70 anni prima : si rimette in moto quel moto di disgregazione che lo stato nato dalla rivoluzione bolscevica aveva arrestato per buona parte del secolo XX.
Tempo di perestroika, Gorbachev e quindi Eltsin (si sa pressochè tutto) e quel tragitto che ci porta sino a noi oggi.
Mi sono addossato la responsabilità di dare al lettore una visione globale delle cose (obiettivo arrogante più che ambizioso, eppure le circostanze autorizzano un tentativo almeno). Cerchiamo di andare al punto della situazione e concludere questo fiume di parole che ormai può confondere chi lo legge. Torniamo idealmente all’incipit di questa serie di capitoli, con il prossimo e conclusivo…

 

– SONDERWEG – Alle radici del cosmo russo – Terza Roma [cap.2]_di Daniele Lanza

Forti degli “strumenti di navigazione” fin qui acquisiti (cap.1) possiamo iniziare ad analizzare.
Esiste un fattore banale che immancabilmente confonde lo spettatore.
La sembianza fisica, la sagoma geografica fuori scala dello stato russo quasi sempre distrae l’occhio dell’osservatore inesperto rendendo meno scontato di quanto sembri capire COSA sta osservando, decrittarne la natura. Un po come se il nucleo storico/spirituale del paese risultasse come annegato nella massa territoriale cucita attorno a sé in questi secoli : occorre far sbiadire il contorno di quel lunghissimo confine che dalla Polonia va fino alla Cina e regredire sino a qualcosa di assai più minuscolo che tuttavia ne contiene il DNA. Bisanzio, rifondata in terra slava e capitanata da un suo principe – superstite tra i RUS – è per l’appunto la cellula che stiamo cercando. Si tratta quindi di analizzarla con gli strumenti che abbiamo pazientemente assimilato fin qui.
La genesi dunque, quella Mosca tardo medievale (1450-1500) che, metaforicamente, si illumina come una fiaccola della cristianità nel vuoto di una landa remota punteggiata di torme turcomanne a cavallo, sulle macerie di quanto svariati secoli prima era stata la RUS – passato arcadico e irraggiungibile, età d’oro perduta – , ora da lungo tempo smembrata, sfigurata sotto la duplice pressione di scimitarre tatare ad est o spade teutoniche e polacche da ovest…..solo nemici – ad ogni punto cardinale – insidie in ogni angolo o, in alternativa, il nulla. Nessun alleato : troppo lontani i principi russi, troppo distanti dall’umanità (in ottica eurocentrica), nessuna convenienza a spingersi fino a quelle contrade sconosciute, nemmeno i pontefici della santa madre chiesa a Roma hanno volontà di intervenire e se lo fanno, peggio ancora, autorizzando crociate verso il nord, finiscono col favorire la penetrazione germanica dell’ordine teutonico nel cui mirino, dopo i pagani del Baltico, finiscono i russi stessi (!) a momenti bersaglio e vittima della crociata anziché soggetto da salvare.
Questa il genere di cornice entro la quale scocca la scintilla. La gravità del contesto oltrepassa la soglia oltre la quale si innesca il meccanismo di difesa che porta all’estremo opposto : Mosca allora non è più semplicemente un elemento qualsiasi della cristianità, ma ne è il suo fulcro ! Costantinopoli spiritualmente, abbandona la sua base terrena sul Bosforo – occupata dall’Islam dal 1454 – e si reincarna a questa nuova latitudine. Il concetto di TERZA ROMA è uno dei pilastri ideologici (diremmo con mentalità odierna) dell’aggregazione politica pan-russa attorno ai sovrani moscoviti tra il 15° e il 16° secolo : al cuore del mito fondativo dello stato unificato degli slavi orientali che verrà (che conosciamo col nome di zarato di Russia). Singolare notare l’ampiezza del disegno rispetto alla materia di cui si dispone nel momento in cui lo si tratteggia : nell’Anno Domini 1492, quando per la prima volta viene espressa formalmente l’idea dal metropolita di Mosca che parla del sovrano in carica (Ivan III°) come il “nuovo Costantino”, uno stato unificato ancora nemmeno esiste sebbene se ne intraveda la rapida formazione. In pratica ancora non c’è un regno sul terreno, che già si adotta la mitologia di un IMPERO, trionfo dell’idea sulla materia : la prima precede di molto la seconda in questo caso, ne prepara il terreno, la costringe ad assumere le sembianze di una visione. Farebbe quasi sorridere – quanto un gattino che si vede leone, riflesso in uno specchio – non fosse che conosciamo già l’esito storico di lungo corso.
Sogni, visioni, mitologie, idee, Bisanzio e Roma, pontefici e imperatori……..cribbio con COSA mai abbiamo a che fare ?! Con qualcosa di “eccezionale”, nella misura in cui non risponde e si adegua ai normali meccanismi e regole degli altri stati (non completamente) : entità eletta dal cielo che si muove al di fuori dei ritmi e degli spazi della realtà materiale. La santa chiesa di Roma si disinteressa di cosa accade ai cristiani slavi lasciati al destino ? Non c’è problema : lo stato moscovita non ha bisogno di Roma, “diventa” esso stesso Roma (pardon, Bisanzio) e su tale fondamento messianico la crociata se la fanno da soli da quel momento in poi, facendo capitolare uno ad uno inesorabilmente tutti i potentati turco tatari adiacenti, dai più prossimi fino ai più distanti. Lo zarato di Mosca (ora “di Russia”) nello spazio di mezzo secolo – la vita di Ivan il Terribile – diventa un titano fagocitando più terra di quanta ne abbia l’Europa messa assieme e non si ferma alle barriere geografiche convenzionali : varca la soglia degli Urali dando inizio al processo di conquista dell’Asia boreale che si snoderà per i 3 secoli a venire.
La Russia delle età a venire vedrà cambiare più volte forma, colori e parole d’ordine a seconda del momento, ma la sostanza alla base rimane il principato moscovita delle origini : rivestito di volta in volta, eppure sempre il medesimo. Spogliato di tutti i dettagli, orpelli estetici e superstizioni della propria era remota, ridotto ad un’essenza che tuttavia mantiene e che si mantiene distinta dalla comunità di regni – grandi e piccoli – del resto d’Europa. Un grande e misterioso vicino alle porte orientali dl nostro continente, i cui abitanti sono nell’aspetto simili agli europei eppure non lo saranno considerati mai (non del tutto).
L’identità messianica e ultraterrena del regno di IVAN IV – lo zarato di Russia che irradia la propria cristianità bizantina ad ovest e ad est di Mosca, ponendo le basi per l’impero territoriale che si vedrà in seguito – si ridimensiona, si standardizza nel corso del secolo seguente. Il 600 in effetti vede una successione di eventi chiave : la conclusione storica della dinastia rurikide (che governava sin dall’era RUS) che segna la definitiva cesura con l’era medievale e che tuttavia determina a sua volta un drammatico vuoto di potere alla base del collasso politico del regno agli inizi del secolo. I 15 anni di assenza di un vero monarca (squarciata la Russia dal conflitto dinastico) causano uno stato di debolezza tale da facilitare un’invasione polacca su larga scala che metterà a rischio l’esistenza stessa di uno stato russo (gli eventi del 1612, uno dei frangenti più critici per la nazione, parte integrante del discorso patriottico ancora oggi). Più avanti, verso la metà del secolo 40 anni dopo, si decide per lo strappo, il “raskol” che ridisegna la chiesa ortodossa russa riportandola su un binario di ordinarietà e compatibilità con la comunità delle altre chiese ortodosse, omologandola ad esse in un momento in cui era necessaria una vera comunità con esse in vista di espansioni territoriali e legami politici con altri popoli ortodossi (…). In parole altre l’edificio spirituale/statale dello zarato tardomedievale si aggiorna ai tempi, perdendo formalmente parte della propria eccezionalità : si tratta solo di un’impressione dal momento che siamo invece di fronte al primo esempio (un primo momento) di adattamento fisiologico dello stato al differente contesto in cui si viene a trovare….l’esteriorità si evolve, ed anche vistosamente a costo di affrontare perdite di consenso in modo da non danneggiare con eventuali rigidità gli interessi dell’intera macchina.
Ricapitolando : lo stato russo si genera in circostanze uniche e drammatiche di isolamento sin dall’era remota, per necessità autonomo da qualsiasi forza esterna a sé stesso : isolamento sacralizzato dall’elemento della fede che fa dello stato una vera e propria patria dello spirito ancor prima che della materia : uno “spazio dello spirito” dotato nel tempo di sagoma geografica ciclopica che pare corrispondere fisicamente alle ambizioni millenaristiche dell’ortodossia (a sua volta debitrice – come una capsula temporale – di quell’universalismo ellenistico inaugurato da Alessandro il macedone, che è il contraltare dell’universalismo latino che permea la chiesa cattolico romana). Ragionando in termini assolutamente astratti, come vuole la filosofia della storia, si potrebbe intravedere un grandioso e tragico filo conduttore che dagli abissi dell’antichità macedone vede l’affermarsi del concetto di impero universale di taglio greco come embrione……che sopravvive alla latinità (la quale vi si sovrappone senza poter cancellare il substrato) trasfigurato da questa fino a “riformularsi” sotto le sembianze di impero romano d’oriente, liquefatto il quale – sotto la spinta degli eventi storici – si ricompone, come già detto, più a settentrione tra gli slavi allora ancora circondati da entità tatare. L’imprevisto della storia sta nel fatto che quello che era allora un modesto regno di ambizioni regionali (zarato moscovita), vede invece un successo di conquiste territoriali che ne demoltiplica la prospettiva fino alla scala transcontinentale : in pratica quella che sul momento poteva sembrare una eccentrica sopravvivenza dell’ideale imperiale bizantino (in contesto decisamente improbabile) diventa invece una realtà per i secoli a venire, rimettendo per così dire tutto in gioco , quando da una prospettiva occidentale e romana un’idea di potenza ortodossa poteva sembrare storicamente concluso e per sempre. La bizantinità sopravvive infiltrandosi nel dna statale russo che sopravvive a tutt’oggi malgrado centinaia di anni di intemperie.

 

SONDERWEG – Alle radici del cosmo russo : strumenti di navigazione [cap.1]_di Daniele Lanza

Salute a tutti….sono di nuovo in azione, dopo giorni di meditazione.
Preannuncio a tutti un genere di intervento più impegnativo (dire “intellettuale” è troppo) di natura storico/filosofica : serie di riflessioni incentrate sul PIANETA RUSSIA , articolato in 4 capitoli che pubblico tra oggi e domani sotto il nome di “SONDERWEG”
In campana, mi è costato abbastanza riflessioni…consigliato per chi vorrebbe una prospettiva di analisi un po più ampia rispetto al bollettino di guerra usuale.
Noi non capiamo loro. Loro non capiscono noi. Cose tanto piccole da sfuggire o viceversa tanto immense da non poter essere inquadrate, per la ragione opposta.
Troppo lontani e troppo vicini, irrecuperabile la giusta distanza per stabilire qualcosa di nitido nel campo visivo (nella comprensione cioè) : le linee si confondono, tutto diventa indistinto e in quella nebbia…..ognuno, traverso il proprio prisma, vede solo la superficie di quanto viene mostrato, o peggio gli si materializza cosa desidera. Siamo come in mezzo al mare, privi degli strumenti per stabilire coordinate di quanto si vede o decrittare correttamente i messaggi che ci pervengono dal mondo esterno : la mancanza di questi strumenti di navigazione ci rende ciechi (convinti di vedere) e pertanto è da qui che occorre partire. Prima di partire vorrei quindi proporne due : “SONDERWEG” e “EXCEPTIONALISM”, rispettivamente A – B.
A – “Sentiero speciale” o sonderweg : è il significato della parola scelta per titolo.
Può rendersi in tanti altri modi (“cammino separato”, “via distinta”, etc.), ma in generale è finalizzata ad esprimere il concetto di un percorso storico a parte per un determinato popolo. L’espressione si riferisce a un modo di pensare che attecchisce nel corso del secolo XIX nella cornice del nascente stato pan tedesco, soprattutto tra le sue elite aristocratiche e borghesi, diventando parte centrale del discorso politico conservatore e tedesco in generale di un’epoca : l’idea terrà banco, come si dice, per oltre un secolo, accompagnando il paese per una lunga finestra di tempo a cavallo tra il XIX e XX secolo cioè da prima della sua unità nazionale legale, per arrivare al suo apogeo nazionalistico e quindi declino a seguito dei conflitti mondiali che ne determinano il disfacimento. In realtà anche dopo il ridimensionamento dello stato tedesco post bellico che ne vede la scomparsa dall’arena del gioco delle grandi potenze, il concetto viene ancora una volta ripreso nella sfera intellettuale – inquadrato a posteriori sotto il termine “Sonderweg” – , stavolta finalizzato a intense riflessioni sul passato dello stato germanico, suo presente e futuro.
Cosa si intende per percorso separato o cammino speciale ? Una traiettoria storica di sviluppo che non ha a che fare con il mainstream delle altre nazionalità circostanti (che nel caso tedesco significa l’ensemble degli stati europei occidentali, cui si aggiungerà il nord America anglosassone il quale poi a sua volta ne diverrà l’epicentro nell’ultimo secolo trascorso : “occidente” come lo si intende oggi). Lo stato tedesco delle origini – non la democrazia liberale odierna, ma la Germania prussiana estintasi con l’ultimo conflitto mondiale – malgrado per potenza e prestigio si collocasse allo zenit del vecchio continente, recava in sé la singolare tendenza a non omologarsi completamente con l’occidente di cui nominalmente faceva indubitabilmente parte : l’evoluzione sociopolitica prussiana – cuore della statalità germanica – tanto si distanziava dall’oriente slavo (quest’ultimo sì ritenuto estraneo agli occidentali) quanto dall’occidente atlantico e coloniale. C’è senz’altro del vero in questo considerando come veniva definito lo stato prussiano del tempo (“Non uno stato dotato di un esercito, bensì esercito dotato di uno stato”) : la Prussia, forte della propria tradizione storica e dilatata territorialmente sino a formare uno stato imperiale pan germanico, si lancia alla conquista del mondo , senza potere (né tantomeno volere) risolvere l’intima anomalia di non appartenere del tutto a nessuna delle due dimensioni politiche e morali (OVEST-EST) riconosciute dal pensiero politico/filosofico coevo.
Una TERZA VIA si dirà, sempre a ragione, imprevedibile ed irripetibile, unica nel suo genere : la parabola storica tedesca nel tempo si rivelerà, come ben sappiamo, oltremodo infelice. Il concetto di fondo tuttavia resta attuale poiché a prescindere dal suo contesto di origine, esso è potenzialmente universale, potendo teoricamente applicarsi a qualsiasi altro stato, etnia, o gruppo umano o società (o persino al singolo individuo, su scala atomistica) il quale riconosca sé stesso come separato e distinto rispetto al proprio ambiente di teorica appartenenza. NON necessariamente un sonderweg comporta l’aggressione nei confronti di stati vicini, precisiamo : sebbene il concetto abbia costituito l’essenza del nazionalismo germanico, ogni contesto nazionale è un caso a parte, non esattamente comparabile. Un cammino speciale può intendersi anche come volontà conservativa e quindi DIFENSIVA di una specificità senza necessariamente passare all’aggessione (benchè in fin dei conti il concetto di difesa e quanto possa estendersi sia un’enigma)
Dovrebbe riguardarci questo verboso prologo di filosofia politica ? Purtroppo sì, perché in fondo è tutto. Il codice d’accesso all’enigma cui Vladimir Putin pone il mondo intero, si colloca nell’inafferrabile spazio che il “sentiero distinto” spiana di fronte a sé. L’unica chiave di lettura che possa condurci a una visione globale del fenomeno.
B – “Exceptionalism” ossia “eccezionalismo” : termine coniato dalla politologia contemporanea per indicare il credo nel fondamento non ordinario di un determinato stato nazionale che è espressione diretta di identità. Il concetto in sé può applicarsi anche a molte altre forme di aggregazione umana (qualsiasi in teoria), ma è nella sfera politologica che trova il suo utilizzo più diffuso e la ragione è naturale : maggiore è l’ampiezza e la profondità di un patto tra persone, maggiore sarà la solennità, che vi si vorrà attribuire. Essendo lo STATO, la massima forma di unione tra persone – riunite in tale alveo sotto denominazione giuridica di “cittadini” – è dunque il soggetto più idoneo a processi di sacralizzazione : altrimenti non può essere, considerato la potestà legale che vanta nei confronti del proprio contraenti (cioè la propria cittadinanza sulla quale esercita autorità giudiziaria e conseguente monopolio della forza), un potere che va giustificato con accorto ausilio di logica e psicologia. La questione della legittimità e del prestigio è fondamentale tanto nella politica interna, quanto in quella esterna ovvero agli occhi di popoli e governanti stranieri.
La civiltà giuridica ha visto dall’antichità fino all’ultimo secolo un trend costante, quello della “sfida intellettuale” tra gli stati – in primis quelli più grandi e potenti – finalizzata a darsi un maggiore spessore morale nell’arena geopolitica, ancor prima di venire alle armi sul campo : formule, rituali, appellativi e titoli magniloquenti, sfarzo, araldica e tutto quello di cui ci hanno informato i manuali sin dai banchi di scuola.
La necessità di fondamento morale è direttamente proporzionale all’ambizione della macchina (stato) in questione. Chi pretende di agire al di fuori degli schemi e dei limiti nel gruppo dei pari ha bisogno di motivazioni di ordine superiore : solo questo può conferire un diritto superiore che autorizzi forza ed affermazione.
Nell’età premoderna l’elemento della fede (monoteismi abramitici per Europa e vicino oriente) è poderoso, sebbene tenda poi a ridimensionarsi gradualmente dalla prima età moderna in avanti – con l’affermarsi degli stati centralizzati e quindi una nazionalizzazione del principio di legittimità – fino ai prodromi di quella contemporanea che coincide con la rivoluzione francese. Tralasciando l’analisi di ere remote e difficilmente comparabili e focalizzandoci invece sulla finestra cronologica bisecolare (1800-2000) che genera le strutture della società come la conosciamo oggi, possiamo individuare nella FRANCIA del 1789 il primo grande esempio di eccezionalismo : il vulcano di furore rivoluzionario della repubblica e i suoi ideali per la società a venire è la SORGENTE prima del fenomeno di cui parliamo. La Germania nazista è un altro esempio più prossimo e noi e fin troppo noto, tanto quanto l’esperimento socialista nella Russia bolscevica.
Gli STATI UNITI D’AMERICA costituiscono il maggiore modello tuttora esistente : del tutto analogo al caso francese (le due rivoluzioni nazionali sono cronologicamente molto vicine nell’ultimo ¼ del XVIII sec.), ne condivide in sostanza la carica messianica e universale di fede nel progresso e nella libertà (il proprio modello del concetto), ma pervasa di uno spirito protestante/puritano di fondo che rimedia alla frattura con la fede dei rivoluzionari francesi. Forse non ci si rende del tutto conto che lo stato a stelle e strisce è costituzionalmente il medesimo di allora, malgrado secoli di rivoluzione materiale e progresso sociale : a differenza dello stato francese, il cui status “eccezionale” verrà materialmente e psicologicamente ridimensionato da innumerevoli guerre contro i potenti vicini europei (la Francia degli ultimi 100 anni è sì una potenza, ma non più una superpotenza ), quello statunitense nel suo isolamento transoceanico non conosce sconfitta militare o umiliazione e ha continuato la propria evoluzione per conto proprio senza subire nessun reale trauma o confronto diretto (invasioni) che lo relativizzi. Questo è un elemento importante che si prega ti tenere a mente.
Significa in parole semplici che mentre l’ideale universale francese è oramai storia dei manuali (un vulcano spento), quello americano è arrivato al XXI secolo ancora attivo.
In ultima istanza l’eccezionalismo è strettamente correlato al Sonderweg : ne è la linfa vitale la ragione d’essere. Maggiore è la dose di eccezionalità che uno stato si convince di avere, maggiore sarà fondata l’esistenza di un cammino separato che lo caratterizzi dagli altri.
Ha senso questo lungo excursus sulla dimensione morale degli stati per capire la situazione attuale ? Assolutamente.
Entrambe le coordinate descritte sono parte indelebile della civilizzazione russa che andremo ad analizzare per coglierne il senso di fondo.

 

ETHNOS E STATO (2 di 2), di Daniele Lanza

Proseguiamo con l’interessante analisi di Daniele Lanza sulle radici del nazionalismo in Europa Orientale. Il testo offre anche un pretesto per riproporre un tema già affrontato anni fa riguardante le ripercussioni dell’ingresso repentino dei paesi dell’Europa Orientale nell’Unione Europea a partire dagli anni ’90. A suo tempo pubblicammo due studi depositati nei polverosi archivi della UE, a nome dello storico Francziseck Draus, nei quali si esponevano tutti i limiti e i problemi che sarebbero scaturiti con l’ingresso di paesi tutt’altro che pervasi dallo spirito europeista che ha caratterizzato l’adesione dei dodici paesi originari in opposizione all’ideologia e ai regimi del blocco sovietico. Le richieste di adesione erano determinate soprattutto dalle aspettative economiche generate e dal desiderio di una parte della classe dirigente di quei paesi, alla fine risultata vincitrice grazie al determinante sostegno occidentale, di adesione soprattutto alla NATO e in particolare direttamente all’apporto militare degli Stati Uniti. Quel tipo particolare di nazionalismo è stato quindi il veicolo, ben alimentato ed incoraggiato, per orientare progressivamente in maniera sempre più aperta contro la Russia le ragioni dell’Alleanza Atlantica. Buona lettura, Giuseppe Germinario
ETHNOS E STATO (2 di 2)
(Termina qui, ma è la premessa per un capitolo sull’etnonazionalismo ucraino più contemporaneo)
(alle radici degli etnonazionalismi d’Europa orientale, con attenzione al caso ucraino)
[formulare è stato complicato : LEGGERE con pazienza ]
——–
Abbiamo descritto in linea di massima e con una certa libertà interpretativa la divergente genesi del nazionalismo per quadranti d’Europa (EST-OVEST), cercando di spiegare come e perché gli etnonazionalismi tendono a manifestarsi maggiormente verso est (…).
Si è concluso ricordando come anche il caso ucraino rientri in questa fattispecie, con l’unica differenza delle dimensioni territoriali e demografiche : vediamo ora di approfondire e andare al cuore del problema…
In molti altri interventi si è cercato di fare quasi l’impossibile ovvero tracciare un quadro chiaro di cosa sia l’identità ucraina : questa – al pari di quella bielorussa – nasce dal medesimo brodo primordiale di TUTTI gli slavi orientali….I RUTENI. La popolazione nativa della RUS medievale, il cui disfacimento nel XIII secolo determina faglie di divisione tra quello che un tempo era un unico grande popolo : da quel momento i differenti tronconi della popolazione rutena sarà sottoposta a differenti processi di acculturazione che vedono ad oriente trasformarsi pian piano in “russi” sotto lo scettro dello ZARATO di Mosca (venivano infatti chiamati moscoviti, identificandoli col potere centrale del proprio stato). Lo zarato, come sappiamo, appena raggiunta la propria unità pan-russa, si lancia alla conquista delle aree geografiche circostanti in tutti punti cardinali incassando una serie di successi nel corso del tempo che ampliano enormemente la propria superficie geografica rispetto a massima parte degli stati coevi : questo si rivela in un certo qual modo più fattibile verso oriente, data la scarsa densità demografica e lo stato d’arretratezza dell’opponente (potentati tatari di varia entità) che non ad occidente, dove si afferma un protagonista di forza allora equivalente, come il regno di Polonia/Lituania.
Il problema – già descritto – è dunque questo : sebbene lo zarato di Mosca (di Russia dal 1547) si presenti, sia considerato, come più legittimo successore dell’antica RUS, tale successione è in realtà asimmetrica. Lo zarato riunisce solo una parte della Rus ossia tutti i territori ex tributari dei khan tatari i quali poi ne saranno fatalmente rovesciati (da Kazan ad Astrakhan) : in parole altre la RUS “rinasce” sì, ma indefinibilmente trasfigurata concettualmente rispetto a prima sul piano della collocazione su un asse OCCIDENTE-ORIENTE. Lo stato di IVAN IV è una creatura il cui baricentro è più spostato ad oriente rispetto alla Rus di svariati secoli prima : la fase di dominazione tatara costituisce un tassello di portata non calcolabile in questa trasformazione culturale che porta all’emergere dei “russi” che si affacciano alla prima età moderna. Lo stesso non avviene in quella fascia di territorio RUS rimasta illesa dalle incursioni mongole, ma al contrario sottoposta a una lenta colonizzazione culturale di parte polacca.
Il punto è semplice nella sua complessità : mentre i ruteni d’oriente diventano “russi” nella loro lunga riconquista medievale contro il nemico tataro, quelli d’occidente non si evolvono in tale direzione essendo sottoposti a un differente genere di ombrello culturale. Una massa autoctona che – sotto dominazione feudale polacca – continua portare l’antico appellativo di RUTENI (si potrebbe mettere nel seguente modo : mentre ad oriente i ruteni vivono un esteso processo sociopolitico di crescita ed affermazione – in opposizione alla grande orda – intriso di tragedia e gloria, tale da determinare una metamorfosi anche sul piano terminologico (“russi”) i propri analoghi ad ovest non passando traverso il medesimo crogiolo – quanto sotto il più blando e stabile feudalesimo europeo di matrice polacca – risulta in un certo senso sospeso temporalmente alla beata calma della defunta RUS, conservando addirittura inalterato l’etnonimo ruteno di centinaia di anni prima (…).
In definitiva i RUSSI sono ruteni la cui identità si è evoluta in funzione delle circostanze storiche che li vede lottare contro l’avversario tataro sotto i vessilli della Moscovia ; la moltitudine di ruteni che popolava i territori corrispondenti alle attuali Bielorussia e Ucraina altro non era che LO STESSO popolo (cui si sottrae la drammatica esperienza storica del primo).
Occorre attendere il 17° secolo per vedere una scintilla che alteri la staticità del quadro : si parla della sollevazione capitanata da Khlemintskij (1654), ma notiamo che anche in questo caso non la si descrive col nome “rivolta ucraina”, quanto di “rivolta cosacca” (i cosacchi non rappresentano che una frazione di tutta la popolazione rutena esistente all’epoca e deteneva un’identità/status distinto), per quanto a posteriori, retroattivamente, le si attribuirà un carattere nazionale ucraino.
La frattura del dominio polacco lungo le rive del Dnpr è efficacemente sfruttata – come la storia ci insegna – dallo zarato di Mosca (dinastia Romanov all’opera) che sfruttano a proprio vantaggio l’evento per erodere dalle fondamenta l’areale d’influenza dei monarchi di Polonia, creando un temporaneo stato cosacco che sarà quindi inglobato nello zarato (fin qui ci siamo già, penso). Occorre aspettare un altro secolo perché anche la zona ad ovest del Dnpr venga inglobata dall’impero russo al tempo della spartizione della Polonia (1772).
Il quadro – su un piano identitario – è quantomai ambiguo a questo punto : tanto i russi quanto i ruteni (futuri bielorussi/ucraini) sono lo stesso popolo, abbiamo detto, benchè evolutosi secondo percorsi diversi. Ora, entro la tarda età moderna (16/17° sec.) i ruteni rientrano sotto l’egida politica di Mosca, prima zarato e poi impero : non è la soluzione ideale ? Popoli di comune ceppo che si ritrovano anche sotto lo stesso scettro ? Per una volta ETHNOS e STATO coincidono……e possono crescere assieme.
Eppure, anche così non è così semplice. Malgrado il comune ceppo etnico, malgrado un potere politico unico, non si cancellano 4/500 anni di divisione così densi di avvenimenti : quello che prende vita non è una perfetta omogenizzazione, ma piuttosto un’unità nella differenza. Prestare attenzione : l’ultima espressione può essere fuorviante, nel senso che può essere utilizzata per descrivere un unico ombrello politico per popoli assai diversi tra loro (tedeschi-italiani oppure anglosassoni-afroamericani), ma in questo caso si tratta di una diversità di grado minore, quella che intercorre tra civilizzazioni gemelle. Occorrerebbe implementare l’espressione facendola suonare “Unità in ARMONICA diversità”….perchè di diversità armonica, compatibile che si sta parlando.
Storicamente lo stato russo NON riesce a russificare in modo totale questi suoi ruteni, malgrado parrebbe cosa facile considerato l’alto grado di somiglianza culturale : li integra pienamente di certo, ma non fino allo stadio di far loro dimenticare che sono stati qualcosa di diverso rispetto alla Russia di Mosca un tempo (gli strati della psiche collettiva e i suoi insondabili labirinti sono la vera chiave qui). Essi sono sudditi dell’impero e slavi come i russi, sono quasi russi (quasi) : qualcosa però li fa sentire più ad ovest che il russo standard. Da questo sentire inizierà il risveglio del secolo XIX analogo a tanti altri popoli del continente europeo. Viene il tempo di Taras Shevchenko (uno dei padri spirituali della nazione ucraina) e il termine “Ucraina” – già esistente da tempo – inizia ad assumere un significato assai più forte che in passato : inizia a indicare una precisa identità nazionale in opposizione alle altre circostanti (il “sé” si definisce sempre in opposizione a ciò che non è “sé”).
Anche questo percorso tuttavia NON è semplice ! Sì, perché definire il “sé” in opposizione a cosa non lo sia è più lineare quando i popoli che ti circondano sono decisamente differenti da noi : nel caso ucraino/russo(e bielorusso) il popolo che vuole distinguersi dai suoi vicini, ha a che fare con vicini che sono assai simili a sé ! Costruire una linea di divisione può essere complesso quando lo straniero è quasi come te….come e dove porre il confine ? (territoriale, ma soprattutto psicologico). Tra tutti i popoli di cui era composto l’impero zarista, il comparto Bielorussia/Ucraina è quello che da meno problemi (comparativamente a casi come la Finlandia o Polonia o Caucaso) : occorre aspettare l’onda sismica del 1917 per vedere emergere una realtà nuova…..e assieme ad essa il germe che vediamo ancora oggi (siamo all’etnonazionalismo cui ho fatto cenno).
Cogliere la vera natura del caso russo/ucraino è quindi complicato e si sbaglia nel valutarlo cadendo in opposti estremismi. Due sono i soggetti che sbagliano….
1- sbaglia l’oltranzismo zarista (chiamiamo così l’atteggiamento più reazionario del nazionalismo russo) che nega con ingenuità ed arroganza l’esistenza di un’identità a parte per questa parte di slavi orientali un tempo “ruteni” e oggi ucraini e bielorussi. Non si vuole capacitare che mezzo millennio di divisione – malgrado la profonda comunanza – abbiano lasciato dei segni delle conseguenze nel più totale processo di etnogenesi.
2- Sbaglia l’”oltranzismo della giustizia” oggi capitanato dal mondo occidentale che interpreta in modo riduttivo l’insorgenza ucraina alla stregua di un qualsiasi conflitto coloniale (dei tanti) che vede contrapposti un dominatore e una vittima, sorvolando completamente (e follemente) il grado di parentela che in questo caso intercorre tra le due entità….fattore questo che nulla può cancellare.
In conclusione (nella prospettiva del sottoscritto) : non si può – a onore di coscienza – affermare che le forze russe facciano una passeggiata di diritto nel proprio giardino, ma al tempo medesimo non si può neppure paragonare il tutto ad un residuo di imperialismo da parte russa. La verità, se si riesce ad intrepretare la storia col metro del lunghissimo termine, è che il processo in corso sotto gli occhi di tutti, ha le sembianze di una grande GUERRA CIVILE non in seno ad un singolo stato, ma entro la cornice di un cosmo culturale -quello slavo orientale – approdato al secolo XXI nuovamente frastagliato. Una guerra civile che non riguarda una singola nazione (come l’espressione pretenderebbe), ma più di una : una “guerra civile sovranazionale”. Labirinti della semantica.
(Termina qui, ma è la premessa per un capitolo sull’etnonazionalismo ucraino più contemporaneo)

ETHNOS E STATO, di Daniele Lanza

ETHNOS E STATO (1 di 2)
(alle radici degli etnonazionalismi d’Europa orientale, con attenzione al caso ucraino) [da LEGGERE, può essere illuminante]
——–
Introduzione
Nodo di Gordio (diciamo). Le difficoltà nel tormentato processo di negoziazione nella crisi in corso hanno molteplici cause : una di esse – direi quella cardine, ma che stenta ad imporsi nella narrativa d’occidente – si colloca nella più intima sfera della società ucraina ed è qualcosa che inibisce dal comunicare propriamente col vicino russo.
Si potrebbe quasi affermare che l’attuale classe politica di questo paese – al potere da oramai molti anni – è quasi ontologicamente inadatta (per sua stessa natura cioè), inadeguata al dialogo con Mosca. Questo si deve ad un genoma ideologico del tutto anomalo rispetto all’Europa di cui vorrebbe – paradossalmente – fare parte, denso di elementi identitari le cui origini variano a seconda di luogo e tempo, ma che prese tutte assieme vanno a comporre l’agglomerato che chiameremmo “nazionalismo ucraino”.
L’espressione ultima è evocata continuamente in questi giorni (intensità massima da parte russa e minima da parte occidentale) tanto da risultarne quasi banalizzata…….cerchiamo di fare un minimo di chiarezza sulla questione ora.
Premessa :
A beneficio di chi legge e ad onore della verità – a prescindere da come ci si rapporti al nazionalismo ucraino nello specifico – occorre innanzitutto ricordare un dato essenziale che concerne il contesto più ampio : si intende dire che l’intera Europa orientale, presa nella sua totalità, vede una maggiore frequenza di tali fenomeni nazionalistici ed identitari rispetto alla zona più occidentale dell’Europa. L’elenco di sigle e correnti (parlamentari e non) distribuite su tutto l’arco di paesi dell’ex patto di Varsavia sarebbe lungo : si inizia dalle provincie dell’ex Germania orientale coi suoi rigurgiti neonazisti, ai nazional-cattolici polacchi, per poi dirigersi a nord tra i paesi baltici che commemorano le proprie formazioni SS durante l’ultimo conflitto mondiale e invece a sud, nei Balcani, lo strabiliante particolarismo etno nazionalista emerso sin dalla conclusione del sistema socialista nei primissimi anni 90. L’Ucraina non fa eccezione, ma anzi rientra in tutto nella media di un quadro molto più vasto….di un brodo di coltura comune, potremmo anche dire.
Le ragioni autentiche di questo brodo di coltura – volessimo indagarne le radici ultime – sono antiche e vanno ben oltre gli slogan e i gesti ispirati ai regimi totalitari del XX secolo che tutti conosciamo : il fatto centrale è che il quadrante più orientale d’Europa vede un percorso di sviluppo sociopolitico differente rispetto al suo analogo occidentale già a partire dalla tarda età moderna e per tutta quella contemporanea (gli ultimi 250 anni). Mentre l’Europa occidentale, affacciata all’oceano si lancia nella sua conquista del mondo forgiando imperi oltremare di dimensioni continentali che vanno ad investire giocoforza altri contesti geografici e culturali (e venendone a sua volta influenzati), viceversa gli stati e le società dell’oriente europeo, fisicamente limitati in questo senso ovvero sprofondati in un loro isolamento continentale, mantengono e sviluppano una visione più autoctona del mondo. Per esprimerla in altre parole, l’est Europa percorre un sentiero divergente rispetto al processo di globalizzazione capitanato dal fulcro anglo/franco/ispanico che già prende forma nei secoli dell’età moderna (il cui prodromo sono le scoperte geografiche che mettono fine al medioevo, per andare ancora più indietro).
Individuiamo quindi in questo primo momento – che si dispiega nel corso di secoli – il primo tassello di una differenza evolutiva profonda nella sfera psicosociologica di est e ovest europeo : se è vero che i nazionalismi emergono tanto ad occidente quanto ad oriente è utile notare che il carattere più duro e premoderno lo mantengono quelli d’oriente, meno abituati al confronto col cosmopolitismo che avviene nel corso del tempo per chi si affaccia all’oceano nella sua conquista coloniale planetaria (considerazione che sfiora l’elementare eppure trascurata).
A questo macro fattore si assomma inoltre una divergenza sostanziale data dall’imperfetta sintonia tra evoluzione delle strutture politiche e della psiche collettiva (comparativamente). Proviamo a spiegarci più chiaramente : la diversità di fondo di cui si è parlato si mantiene anche entrando nell’età contemporanea e anzi si accentua proprio in concomitanza con gli eventi cardine che inaugurano il XIX secolo, quando il fenomeno della grande rivoluzione (“Rivoluzione francese” sui nostri manuali) ridefinisce il concetto di nazionalità nella cultura europea, donandogli un carattere civile, che combaci col concetto legale di stato. Tale “nazionalismo civico” posteriore al 1789 si diffonde al di fuori della Francia durante l’era napoleonica lasciando la propria eredità in tutto il continente, non priva tuttavia di un’asimmetria profonda che emergerà nel secolo a seguire : nel contesto occidentale il vibrante risveglio delle identità nazionali riesce in qualche modo ad svilupparsi e ramificarsi in sinergia con le strutture dello stato contemporaneo (parlamentare, via via democraticizzato col passare delle generazioni) mentre ad oriente il risveglio identitario in questione è un fenomeno che si manifesta al di fuori di un forte e condiviso contesto statale, essenzialmente indipendente dall’idea di statalità : questo è naturale se si considera la parcellizzata natura degli imperi multinazionali nell’Europa centro-orientale del XIX secolo. Al reazionario paternalismo di questi ultimi – contestato dai più, prima e dopo – va a sostituirsi la tempesta imprevedibile dell’etnia quindi.
Un nazionalismo popolare, scisso (o non ben amalgamato) dal più secolarizzato e organizzato concetto di istituzioni, che vede il primato dell’ETHNOS rispetto allo STATO : un arcaico diritto del sangue che prescinde/pervade quello civile (…).
Questo è quanto oggi chiamiamo ETNONAZIONALISMO, nel gergo comune.
Non è un caso se si usa tale parola per riferirsi preferibilmente ai fenomeni identitari nell’Europa orientale contemporanea : espressione pressochè assente nel frasario abituale fino ai conflitti balcanici dei primissimi anni 90 vivi ancora nella memoria di tutti (anche se in realtà lo si può usare retroattivamente per tutti i frangenti storici che vedono insorgenze etniche negli ultimi secoli). Rispetto al “nazionalismo civico” che tende a promuovere un patriottismo istituzionale basato sulla ricerca dell’unità, l’etnonazionalismo si definisce al contrario nel conflitto contro il diverso da sé, contro la “tribù differente” che ci è vicina.
Il caso UCRAINO non è diverso da altri (fatta eccezione per le dimensioni dell’areale in questione rispetto ad altri più piccoli nei Balcani)

 

Ucraina_RIFLESSIONE GENERALE / 10 MARZO, di Daniele Lanza

Dunque. A 15 giorni dallo start va consolidandosi una divergenza sempre più marcata di interpretazione della situazione, a seconda del punto di osservazione :
A – Per la prospettiva occidentale si va configurando una stagnazione che denota un sostanziale fallimento delle operazioni in corso per una serie di fattori (sottovalutazione dell’opponente, impreparazione), che impediscono l’ “operazione lampo” che sin dal principio ci si era aspettato da parte russa. Come già sottolineato innumerevoli volte questa interpretazione manca continuamente il vero punto delle cose : ovvero che le forze russe questo “lampo” non l’hanno mai cercato nè voluto. Che il fatto di non avventarsi in forze sui centri abitati, bensì incapsularli faceva parte della tattica sin dal principio.
B- Per la prospettiva del Cremlino l’operazione è quasi completata, data l’eliminazione delle forze missilistiche, aeronautiche e navali ucraine e di fatto prosegue quasi per forza d’inerzia, unicamente per la protratta presenza di forze terrestri che tecnicamente non si arrendono. Le posizioni che al momento attuale le forze russe detengono nel paese hanno assunto al forma di una grande tenaglia (o mandibola) che può serrarsi più o meno velocemente, solo che manca una chiara volontà di farla serrare a piena forza, inghiottendo il paese…….il che crea giocoforza una stagnazione (anche se di natura diversa rispetto a quella ipotizzata da parte occidentale).
In conclusione, per andare al sodo : aspettarsi grandi cambiamenti della linea di fronte non ha senso in quanto non li si desidera da parte russa. Il presidente Putin NON intende serrare le mandibole colorate in rosso della mappa qui sotto o perlomeno non vorrebbe (è questo il punto) : sta semplicemente aspettando che il contendente si stanchi e getti la spugna per esaurimento. L’obiettivo è che Zelenskij stesso – compreso che nessuno verrà a salvarlo – si decida a trattare : è fondamentale che sia proprio Zelenskij e il suo governo a trattare poichè nessuno stato d’occidente riconoscerà mai un governo diverso dal suo. Dovessero i russi andare fino in fondo e arrivare sin nel cuore di Kiev (destituendo de facto il governo in carica) prenderebbe forma una situazione difficilissima nel senso che si renderebbe necessaria l’istituzione di un nuovo governo che sarebbe unanimamente definito di “occupazione” o “artificiale” dalla comunità internazionale schierata contro la Russia (gran parte delle nazioni unite), prospettando una virtualmente impossibile normalizzazione dei rapporti tra Cremlino e occidente per un lasso di tempo veramente indefinibile.
L’unica chance di normalizzazione diplomatica può venire dal governo ucraino riconosciuto e ancora in carica……tutto dipende da Zelenskij : lo si vuole vivo e vegeto e nel pieno della propria potestà (per quanto possa suonare strana l’ultima parola nel contesto presente). L’attuale presidente d’Ucraina è assolutamente necessario alla Russia, ora più che mai (non gliene serve uno diverso) ed è per questo che non si serra la tenaglia sulla capitale (limitandosi a spostamenti di forze ben pubblicizzati a scopo intimidatorio).
L’occidente non riconoscerà altro presidente legittimo al di fuori di Zelenski : quindi la Russia è con LUI che vuole trattare (ecco perchè Kiev non è ancora investita)
Tutto ciò tuttavia ci riporta al dilemma già aperto giorni fa : un governo MODERATO a questo punto tratterebbe sì, ma uno massimalista invece ha difficoltà ad afferrare il concetto di “gettare la spugna” (confidando poi sempre in aiuti esterni).
La classe politica selezionata negli ultimi 8 anni è di questo stampo disgraziatamente e assolve benissimo (anche troppo forse) il compito che da Washington ci si aspettava, impersonando un teatrale analogo della cancelleria di Berlino nel 1945 disposta a battersi fino all’apparire dell’unità sovietiche a 500 mt. dal bunker (…). Da parte russa forse non ci si aspettava questo livello di tenacia (difficile fare valutazioni precise).
La situazione tuttavia non può oggettivamente protrarsi in questo modo a tempo indeterminato per i costi che un’operazione come questa impone per le forze russe : l’equilibrio può venir meno da un momento all’altro.
L’unica è che il governo ucraino in carica tratti finchè ancora può farlo capendo un concetto elementare : una resa condizionata può essere umiliante, ma una incondizionata è l’annullamento.

 

Invasioni e migrazioni_di Giuseppe Germinario

Le considerazioni di Daniele Lanza, riprese in calce e il breve scritto di George Friedman toccano un punto dolente e drammatico delle vicende belliche e postbelliche che solitamente è ignorato nei manuali di storia ma che provocano veri e propri sconvolgimenti delle formazioni sociali e immani tragedie collettive che si trascinano ben oltre la fase bellica: quello delle migrazioni. Un fenomeno che nel nostro immaginario rudimentale e privo di memoria viene collocato in lontani periodi storici e in formazioni sociali premoderne; i barbari ai tempi dell’impero romano, le orde dei mongoli dall’Asia Centrale.

Non è purtroppo così. Riguarda ogni tempo, compreso il nostro; ogni formazione sociale, da quelle cosiddette democratiche-liberali a quelle “diversamente” totalitarie; ogni angolo abitato della superficie terrestre nei vari tempi storici.

Da circa una settimana siamo bombardati mediaticamente da una esplosione di commozione e compassione riguardo alle centinaia di migliaia di profughi ucraini in fuga dalla guerra verso l’accogliente Europa con annesso corollario dell’invito alla accoglienza e alla solidarietà.

Di tragedia certamente si tratta; basterebbe incrociare uno sguardo appena distratto sui volti dei fuggitivi per confermarlo.

L’Europa ha già conosciuto almeno tre grandi episodi di esodi biblici negli ultimi cento anni: il più importante durante e dopo la seconda guerra mondiale con quindici milioni di tedeschi, tre dei quali deceduti lungo il percorso, rientrati in quel che restava della grande Germania e altri milioni peregrinanti qua e là per il continente; tra essi la popolazione italiana dell’Istria e Dalmazia. Il più recente, ma non ancora esaurito, quello legato all’implosione della Jugoslavia grazie allo “aiutino” determinante della NATO.

Situazioni nelle quali il frullatore di calcolo politico, risentimento esacerbato e spirito di vendetta produce un amalgama esplosivo nel calderone del quale finiscono inesorabilmente individui e parti di popolazioni conniventi con le scelte tragiche, ma anche componenti indifferenti o estranee, quando pure settori di popolazioni contrarie alle sopraffazioni.

La predominanza assoluta dell’aspetto emotivo nell’affrontare e presentare il fenomeno induce facilmente alla manipolazione e alla strumentalizzazione sino a diventare un formidabile veicolo propagandistico, di annichilimento di ogni punto di vista critico, di demonizzazione definitiva del nemico, specie quando può godere della totale accondiscendenza e complicità del sistema mediatico.

È esattamente quanto sta accadendo con l’ondata di profughi dall’Ucraina in fiamme.

Il primo impulso spingerebbe a contrapporre il clamore e l’attenzione riservata a questo esodo con il silenzio e l’omertà riservata a quello indirizzato in direzione opposta negli anni recenti dalla popolazione di origine russa e russofona, discriminata, annichilita e spesso perseguitata e trucidata, a cominciare dalla strage di Odessa nel 2014 sino a spingere al separatismo di alcune regioni e al silenziamento delle sue voci nel resto del paese.

Una reazione del genere lascerebbe intuire uno dei motivi, in una sorta di legge del contrappasso, ma non a spiegare la complessità delle ragioni dell’evento, tanto meno a giustificarlo.

Ad uno sguardo più attento sono altre le ragioni di fondo e contingenti.

  • Intanto l’Ucraina è diventata terra di esodo grazie al dissesto economico dovuto al passaggio da area centrale e strategica dell’Unione Sovietica ad area periferica, pur ricca di risorse, della Unione Europea; soprattutto però al saccheggio di oligarchie locali, specie nel momento in cui si sono asservite e sono state formate dal mondo occidentale, in particolare statunitense. Una sorta di terra di nessuno nella quale ha ripreso piede una forma esasperata di nazionalismo straccione, sino alle sue estreme consistenti propaggini naziste, radicato nella parte centroccidentale del paese, con la sua ragione d’essere nella russofobia e nella molestia delle popolazioni russofile, con la sua forza derivante soprattutto dal sostegno interessato e determinante degli USA, lato liberal-neocon e quindi della Germania e della pletora di paesi dalla Svezia, alla Polonia. È la vittoria definitiva, ma probabilmente crepuscolare, di quei centri decisori americani in un confronto iniziato in Germania con la morte sospetta di Herrhausen e di Rohwedder ed estesosi nel continente a tutta l’Europa Orientale e alla Russia stessa. Quelle morti nel 1991 segnarono la trasformazione definitiva rispettivamente della Deutsch Bank in una banca di investimento in tutto dedita al trattamento dei titoli speculativi integrata totalmente nel circuito finanziario americano, della Treuhandanstalt, la società di ristrutturazione e liquidazione del patrimonio industriale pubblico della ex RDT in una agenzia di mera liquidazione e colonizzazione della grande industria tedesca orientale con residui margini di iniziativa autonoma nelle piccole attività locali. Una scelta che favorì nella fase di transizione il ricambio rapido delle élites dominanti in Europa Orientale molto più legate e subordinate ai centri decisori politici e imprenditoriali stranieri grazie alle relazioni intessute con essi nel regime cosiddetto “socialista” in una sorta di economia separata. Ne fecero pesantemente le spese la parte di classe dirigente più legata alle attività locali e alle organizzazioni comunitarie. L’Ucraina è arrivata buon ultima al compimento di questo processo traendone il peggio sia come qualità della peggiore classe dirigente compradora, che in termini di saccheggio di risorse e di degrado delle strutture civili ed industriali.

  • A determinare le caratteristiche peculiari dell’attuale esodo che riguarda esclusivamente la parte occidentale e parzialmente quella centrale è l’origine di quelle popolazioni, il relativo sostegno che esse garantiscono all’attuale regime e di conseguenza la permeabilità di queste alla propaganda e all’allarmismo russofobo montati dal regime.

  • Al contrario l’esodo della popolazione sembra essersi arrestato nella zona orientale, nelle zone liberate/occupate (secondo i punti di vista) ed anche nelle città contese del fronte. In quest’ultimo caso vittima del carattere terroristico dell’attività di resistenza delle frange più radicali dell’esercito ucraino piuttosto che partecipe della resistenza.

Dinamiche che evidenziano drammaticamente il vicolo cieco nel quale hanno cacciato il paese una élites ottusa ed avventurista che fonda il proprio potere letteralmente sul sostegno esterno e sulla lacerazione di una popolazione la cui convivenza pacifica e il cui assetto statuale unitario può reggersi solo su una condizione di neutralità militare e di pari dignità delle diverse componenti della popolazione.

Al contrario, per una ovvia legge del contrappasso, il predominio precario della attuale élite ottenuto con un colpo di stato sanguinoso ed eterodiretto, con il separatismo nella sua parte orientale e con l’esodo iniziale di parte della popolazione russofila rischia di ritorcersi nel suo contrario con l’attuale esodo e con l’intervento militare russo.

L’ottusità con la quale l’attuale élite rimuove questa strada non farà che rendere ancora più drammatica la tragedia sino a far diventare l’Ucraina e l’Europa stessa una terra di nessuno dove soddisfare gli appetiti altrui. Dopo l’Ucraina, in Europa attendiamoci qualche altra novità in Bosnia e Serbia. Ne abbiamo accennato più volte nei mesi passati.

Congiunzioni astrali funeste alle quali beotamente si stanno allineando i vari satelliti europei. In prima fila, con il grigiore di un burocrate, il nostro salvatore della patria Mario Draghi.

ENIGMA, di Daniele Lanza
Mi fa impressione dirlo, ma la mappa sotto ricorda in tutto le mappe di ricollocazione di popolazioni e gruppi etnici nell’Europa del 1945-46 (quando i tedeschi cessarono di esistere in Prussia, etc. etc.). Anche questo aspetto – grafici di spostamenti di popolazione – ci riporta al 900 quindi, ai conflitti mondiali e quello freddo successivo (…)
I primi a scappare, sono coloro che meno possono accettare un cambio di direzione, di orbita del proprio paese sotto Mosca, i più timorosi….e lo hanno fatto in massa. Le prime ondate sono forti, le altre che seguiranno lo saranno gradualmente di meno, ma anche così si può stimare per il futuro un numero finale di 2/3 milioni di persone fuori dei confini ucraini.
La fascia più occidentale dell’Ucraina – presumo – è stata risparmiata finora da qualunque operazione non soltanto perchè non considerata russofona e nevralgica, ma anche per offrire un campo libero, un vero e proprio corridoio sicuro e calmo (una regione franca) per permettere alla popolazione civile che volesse spostarsi e lasciare il paese, di farlo in sicurezza.
Ragionando con freddo calcolo : da un punto di vista russo è quasi una perdita accettabile in quanto il flusso migratorio, contribuisce a spurgare la società ucraina di elementi che sarebbero in opposizione ad un corso politico in unità con Mosca : permettono di andarsene a tutta quella fascia di persone che costituirebbe una RESISTENZA silenziosa negli anni a venire (meglio lasciarli volare via dal paese in massa se vogliono).
D’altro canto…..il Cremlino non si rende conto dell’effetto che avranno nell’opinione pubblica europea quei milioni di sfollati. Un giornale nei giorni scorsi ha paragonato – in modo del tutto infelice – questi profughi europei a quelli non europei di altre guerre sottolineandone la maggiore impressione emotiva che suscitano. Esiste del vero (anche se espresso MALE dal giornalista in questione) in questo : la verità è che non si parla di lontani paesi di quello che per noi è il 3° mondo……..non è Afghanistan o Namibia, no. Abbiamo a che fare con un paese europeo le cui città sono in tutto e per tutto uguali alle nostre e i cui abitanti hanno lo stesso colere delle pelle e degli occhi : sarà RAZZISTA come discorso ma E’ così. Questa gente fa e farà decisamente più impressione che non altre ondate di profughi.
Per farla breve, considerando anche questo aspetto, analizzando la situazione nella sua totalità, vien sempre più arduo capire come andrà a finire a questo punto : sia quale sia l’esito delle trattative, il FATTO è avvenuto…..l’ordine europeo (materialmente e psicologicamente) è sovvertito.
Bisogna adattarsi a una nuova era. La seconda guerra fredda.

Gli ucraini prendono il volo

I ministri dell’Interno dell’UE hanno recentemente concordato di attuare misure che garantiranno ai rifugiati ucraini protezione e diritto a muoversi e lavorare nel territorio del blocco

Apri come PDF

Destinazioni per i rifugiati ucraini

clicca per ingrandire )

La guerra in Ucraina ha creato un esodo attraverso il confine occidentale del Paese. In parte ciò è dovuto al fatto che la maggior parte dei combattimenti si sta svolgendo a est e in parte perché i paesi a ovest sono solidali con la causa dell’Ucraina. (Alcuni rifugiati, tuttavia, sono fuggiti in Russia, per ricordare che i legami familiari, culturali e religiosi tra Russia e Ucraina sono stati ancora interrotti.) In effetti, i ministri degli interni dell’UE hanno recentemente concordato di attuare misure che, contrariamente alle normali procedure, garantiranno all’Ucraina protezione dei rifugiati e diritto a muoversi e lavorare nel territorio del blocco. Questo è un po’ una partenza per l’UE. Negli anni precedenti, la migrazione di massa da luoghi come il Nord Africa, la Siria e l’Afghanistan tendeva a creare tensioni nei paesi membri.

Nel frattempo, la guerra ha anche rinnovato il dibattito sull’espansione della NATO. Per anni Ucraina, Bosnia-Erzegovina e Georgia hanno espresso interesse ad aderire alla NATO, ma la loro adesione è sempre stata improbabile: Ucraina e Georgia, ad esempio, sono bloccate hanno perso territorio a favore della Russia, quindi ammetterle nell’alleanza sarebbe quasi una garanzia militare conflitto con la Russia in futuro, qualcosa che la NATO desidera evitare. In Bosnia ed Erzegovina, l’adesione alla NATO è un sentimento condiviso solo da una parte del Paese; la Repulika Srpska spingerebbe probabilmente a separarsi dal resto del Paese ea ricevere il sostegno russo. Ciò destabilizzerebbe solo la regione.

https://geopoliticalfutures.com/ukrainians-take-flight/?tpa=YjRjZTc0Nzg2MTYwZjc2YzE2NTAxMTE2NDc1MzEyOTVmNDM3NGE&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/ukrainians-take-flight/?tpa=YjRjZTc0Nzg2MTYwZjc2YzE2NTAxMTE2NDc1MzEyOTVmNDM3NGE&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

 

PRESIDENTIAL SPEECH – RIFLESSIONI SUL PIANETA RUSSIA (2022) /Cap.4 _di Daniele Lanza

PRESIDENTIAL SPEECH – RRIFLESSIONI SUL PIANETA RUSSIA (2022) /Cap.4 (DA LEGGERE….con un po di pazienza)
Per comodità, qui sotto il link con l’intervento di Putin tradotto
CONCLUSIONE – (presenza e assenza)
Vladimir Vladimirovič Putin molto prima di diventare un politico è stato un militare, ai massimi livelli. Tutti i militari, di ogni grado e ruolo, prendono e danno ordini naturalmente : quelli del suo rango tuttavia, evadono di un singolo passo questa soglia elementare, accostandosi a quel qualcosa che si chiama missione. “Missione” è qualcosa di più che un ordine : ha accezione concreta che consiste per l’appunto in un obiettivo imposto dall’alto, ma al tempo medesimo ne ha anche un’altra più profonda che la precede, la supera in ampiezza……sottintendendo un’identità morale da parte dell’attore che agisce. Rappresenta in altre parole l’ordine che va oltre la mera esecuzione, ma presuppone la finalità, la presenza di una scala di valori in ultima istanza.
L’attuale presidente di Russia apparteneva a quella razza di individui che non vestiva l’uniforme per salario a fine mese o un posto assicurato (non si arriva alla posizione che deteneva con tale mentalità) bensì con visioni – condivisibili o meno – che poi trasferirà alla successiva carriera politica. Uno di quegli elementi – di quelli altamente intelligenti chiaramente, non il nazionalista con paraocchi – che non hanno mai accettato la disintegrazione della casa sovietica o meglio della “Russia-potenza” che per essi erano sinonimi.
Vladimir Vladimirovič Putin ha essenzialmente ESAURITO tale carriera – oltre 20 anni ai vertici – sebbene rimarrà ancora in carica per parecchio tempo presumibilmente : il grosso del suo tempo terreno a disposizione è andato e lui ne è consapevole (sbaglia chi dice che non lo sia). Questo apre uno struggente dilemma sul destino della “missione”…..sì, perchè la sostanza fisica può deperire squagliarsi, ma il senso mistico della “missione” resta inalterato. Che fare ? Come comportarsi ? Di regola gli uomini politici si scelgono con cura un successore, “delfino” : lo si cerca, seleziona in mezzo a molti, lo si coltiva e fa crescere con molto tempo e pazienza, sperando non vi siano imprevisti o sorprese. Non è noto se il presidente di Russia l’abbia fatto (sembra davvero di no) e a prescindere da questo poi quali garanzie vi sarebbero che l’erede al trono si comporti davvero come dovrebbe ? Che sia all’altezza del compito sul campo quanto lo era sulla carta ?
No, niente delfini…..o perlomeno, serve qualcosa di più risolutivo, di permanente che una persona di carne ed ossa potrebbe non poter assicurare. Il pensiero, l’idea che si pone è la seguente : forse che proprio la decisione da tempo maturata, e proclamata dal suo lungo discorso…….può considerarsi di per sé stessa come una forma di successione.
Anziché affidare ad un più giovane rampollo la propria eredità, Vladimir Putin ha preso una “decisione irrevocabile” per l’intero paese : una grave azione che – anche a fronte di grandi rischi economici e militari – ne forzi letteralmente le rotaie al di fuori del binario storico venutosi a creare nei 20/30 anni successivi al 1991, proiettandola nuovamente – costi quel che costi – nella perduta dimensione di potenza. QUALSIASI siano i presidenti che a lui seguiranno (affidabili o meno che siano), essi dovranno giocoforza adeguarsi al contesto globale che Putin lascia loro, ad un campo da gioco da lui stabilito secondo la sua visione.
E’ questa probabilmente un’interpretazione della realtà troppo astratta, troppo filosofica e priva di base scientifica eppure un’impressione resta : appare come se l’attuale presidente in carica anziché industriarsi a scegliere un leader ideale per la Russia, abbia invece scelto una “impostazione di gioco” alternativa per la Russia (Come una specie di ingegnere informatico che anziché limitarsi ad assumere un pilota/giocatore a gestire una nave virtuale – per dirne una – faccia in modo di operare su un livello più profondo di programmazione, ottenendo una differente struttura o posizionamento della nave medesima che ne faciliti il moto in una determinata direzione, a prescindere dal timoniere, almeno entro un certo limite. L’analogia è del tutto immaginaria, del tutto inverosimile che in modo pienamente consapevolmente Putin abbia escogitato tutto questo : perché se così fosse allora sfiorerebbe il genio o il diabolico).
Insomma, un’eredità che consiste non tanto nella scelta di un altro uomo dopo di sè, ma piuttosto in uno STATO DI COSE che lascia dietro di sé : il discorso di ieri nella sua totalità, simboleggia e riflette anche questo.
Eppure manca sempre qualcosa. Putin parla a lungo dice molte cose, più o meno condivisibili, parla del proprio paese e della sua storia secolare cui si rifà : nel farlo parla soprattutto dei suoi nemici, dei suoi rivali, delle minacce nascoste, aperte. Si sofferma di meno su quanto invece unisce a prescindere dalla supposta minaccia, sorvolando come uno stato sul modello russo (per di più allargato ad altri satelliti della galassia ex sovietica) non può sopravvivere esclusivamente in funzione di una “contrapposizione al mondo esterno”. Che la madre Russia abbia come alleati “solo esercito e marina” (cit.) non era abbastanza nemmeno al tempo di Alessandro III (1890), figuriamoci nel 2022. Ad una premessa ambiziosa come quelle di ieri sera, occorreva accompagnare un altrettanto grandioso progetto unitario in teoria (come l’unione doganale in parte realizzata, chiamata “Unione euroasiatica” ad esempio) che tuttavia non ho sentito.
Siamo dunque di fronte ad una mancanza, una ASSENZA. Essa è un problema talvolta ancor più difficile da risolvere che non una “presenza” (non desiderata) : quest’ultima può essere cancellata, ma invece colmare la prima…..è più arduo. La ricerca dell’UNO, di quell’elemento unitario, come proseguirà ? Un tempo c’erano gli tsar con le loro dinastie investite dal cielo. Poi venne il tempo del partito unico investito del popolo. Adesso….cosa ci sarà ?
Questo l’enigma futuro del pianeta Russia, che nemmeno il testamento del suo ultimo presidente ha al momento sciolto.

PRESIDENTIAL SPEECH – RIFLESSIONI SUL PIANETA RUSSIA (2022) /Cap.3_di Daniele Lanza

PRESIDENTIAL SPEECH – RIFLESSIONI SUL PIANETA RUSSIA (2022) /Cap.3 (DA LEGGERE….con un po di pazienza)
Per comodità, qui sotto il link con l’intervento di Putin tradotto
due VLADIMIR (Ilic e Vladimirovic….ovvero da Lenin a Putin /parte seconda)
Chi ha creduto con tutta l’anima nella rivoluzione d’ottobre, l’ha voluta e considerata “fuori della storia” ovvero come movimento tellurico che modificasse il corso del destino dell’umanità, quale era sempre stato, per indirizzarlo verso qualcosa di diverso. E’ stato davvero così ? Sì…e anche no.
La rivoluzione “universale” – come la si vuole in prospettiva comunista ortodossa – è stata in realtà anche e soprattutto una rivoluzione “russa” , come la si vuole invece in ottica nazionalistica : in una prevale un più visionario carattere messianico e cosmopolita, nell’altra affiora una più grezza autoctonia patriottica di matrice grande russa. Appiattirsi acriticamente su una delle due prospettive mortifica la realtà nella sua totalità.
Mi fermo obbligatoriamente qui senza varcare una soglia che non mi è concessa : il vero dibattito sulla questione a ben veder ci porterebbe all’immemore dicotomia politico-filosofica tra Stalin e Trotskiy (che per la galassia comunista del XX secolo può ricordare quanto a intensità e problematicità la contrapposizione tra Platone ed Aristotele nel pensiero antico ! Impropria iperbole, non prendetemi alla lettera per cortesia) ed è cosa che non si può affrontare qui né in molto altri luoghi. Eppure quale è allora il punto di questa serie di puntualizzazioni che a questo punto annoiano il lettore ? Anziché riversare un mare di parole inutili faccio lo sforzo di andare a toccare il nervo vitale.
Umanamente, storicamente comprensibile la diatriba che vede di tanto in tanto i partigiani di opposti schieramenti bianchi e rossi, scontrarsi sulla questione dell’eredità della storia russa. La Russia zarista e l’URSS sono distinti segmenti…….di un sentiero che è il medesimo se lo si osserva con logiche di lunghissimo corso, solo collocati in diverse sezioni temporali di un medesimo continuum : entrambe servono il cosmo slavo orientale in un certo senso. I preparatissimi, coltissimi (o meno) pasdaran delle mostrine zariste o della bandiera rossa sono prigionieri concettualmente dei limiti dell’età moderna in un certo senso : non riescono a cogliere quanto entrambe le loro preziose dimensioni di autoidentificazione siano relative rispetto ad un quadro assai più vasto di lungo termine.
Ora, per essere onesti, L’URSS non è semplicisticamente (come gli antirussi urlano) il mero proseguimento – sotto differente guisa – di quella che era la potenza precedente dall’aquila a due teste, e malgrado tutto a questa è sì strettamente legata anche se in modo più indiretto, semanticamente più complicato : la grande casa sovietica è un avvicendamento violento, tumultuoso, ricco di novità per quanto imperfetto…..ma sempre secondo un canone eonico della storia russa che la prescinde tanto quanto prescinde lo zarismo stesso. Quest’ultimo in stato di pietosa decadenza, di micidiale inadeguatezza fu necessariamente esautorato dalle leggi della storia. La dimensione culturale occidentale cui lo zarismo era coeso sin dal tempo di Pietro il grande – cui va il merito di un’epopea di sviluppo che traversa i secoli – si era arenata alle soglie dell’età industriale ed il liberalismo oramai imboccato dall’intero occidente risultava ora inadatto ai bisogni del cosmo russo che ora necessitava di un sentiero alternativo che in un certo senso tornava a dilatare la faglia di divisione tra Russia ed occidente riportandola ad un’era anteriore rispetto al bicentenario imperiale inaugurato dalle riforme petrine. Che questo sentiero alternativo si chiamasse “socialismo” ha un’importanza relativa : esso era ciò di cui il paese reale aveva profondamente bisogno. Non si intende qui relativizzare e svilire esclusivamente il socialismo ! Anzi, in realtà scegliendo una prospettiva di analisi ancor più estesa cronologicamente si potrebbe dire che lo zarismo imperiale stesso (chi Putin si ispira) è anch’esso relativo a suo modo, in quanto non presente prima dell’avvento di Pietro il grande……utile sì, ma anche artificiale, imposto in tanti sensi : un occidentalismo di comodo di facciata, che celava molto altro e che aveva deviato la rotta della civilizzazione slavo orientale al di fuori del proprio seminato per due secoli prima di ritrovarla (forse) sotto il socialismo che pur di provenienza esterna poteva essere adattato al contesto russo (?), consentendo di rivalorizzare concetti comunitari dell’arcaica cultura slava andati perduti (?). Sposando tale anomala interpretazione, lo studioso eccentrico ed eterodosso potrebbe addirittura affermare che il socialismo fu un ritorno alle origini (?!) ripristinando sotto insolite spoglie moderne qualcosa che era prima della parentesi Romanov ?!?
Il lettore noterà dall’abbondare di punteggiatura esclamativa e interrogativa che caratterizza le ultime righe la chiara natura speculativa e fantasiosa dei punti che si lasciano cadere lungo la via : provocazione voluta e variopinta, non ancorata alla realtà….non degna di nota nella scienza storica, quanto piuttosto nelle astruse costruzioni che la filosofia della storia di tanto in tanto ci offre (ma è un’altra materia).
Quel che è certo è che nella sua incarnazione sovietica socialista, la Russia recupera QUALCOSA. Cosa esattamente ? Probabilmente un’eccezionalità perduta. Un “sonderweg” (cammino speciale) del tutto particolare che si distingue dalle obsolete ed effimere pretese di grandezza degli imperi europei coevi : il filosofo Berdjaev in uno dei suoi passaggi più visionari, paragona la terza internazionale controllata da Mosca alla TERZA ROMA di quasi mezzo millennio prima (…). Non vado a immischiarmi con le elucubrazioni di un filosofo (!), ma è chiaro che qualcosa di vero affiora dall’iperbole menzionata : nel socialismo, Mosca recupera il monopolio su una dottrina universale quanto poteva esserlo il messaggio messianico ispirato a Costantinopoli di tanti secoli prima. Qualcosa di spirituale, un’ideale che superi le superfici della materia, non più impersonato credibilmente dalle chiese esistenti, corrotte e decadute (agli occhi poi di una società sempre più secolarizzata) : ecco quindi che il verbo marxista leninista assolve una funzione unica, insostituibile.
Grazie al socialismo Mosca recupera – per metterla in questi termini – lo slancio verso la grandezza non solo territoriale, ma concettuale : può mettere credibilmente in campo un nazionalismo nuovo che supera l’accezione ristretta e ostica che il termine di per sé avrebbe, vale a dire un sovra-nazionalismo al di sopra della singola nazionalità (tantopiù del più grezzo etnonazionalismo). Qualcosa di comparabile al patriottismo civico della Francia rivoluzonaria di oltre 1 secolo prima, ma con la differenza che si dovevano gestire una moltitudine di nazioni. In ultimissima istanza, volendo analizzare e dare una definizione che vada sino in fondo, il “patriottismo civico” della costruzione sovietica era un nazionalismo che supera sé stesso (non nel senso di “ultranazionalismo” quanto in forza al di sopra delle altre, che in contesto non secolarizzato ricorderebbe le prerogative papali o – per l’appunto – quelle bizantine o romane, da impero premoderno).
Signore e signori : i lunghi capitoli cui ho obbligato chi abbia avuto la pazienza di seguirmi sono la premessa…..alla PREMESSA che Vladimir Putin ha scelto come introduzione del suo manifesto del destino di ieri sera. La verità, a mio personalissimo avviso (mi prendo responsabilità di una interpretazione di eventi talmente complicati) è assai più articolata di come il presidente la mette, benchè colga alcuni punti. Mi spiego…
Sì, fu LENIN a volere imporre la struttura politico-amministrativa in nazionalità per il nascente stato rivoluzionario (che alla fine dell’era sovietica erano 15). Lenin certamente NON desiderava la disintegrazione territoriale dell’ex impero zarista (una parte critica dell’opinione pubblica grande russa – indispensabile per vincere la rivoluzione in quegli anni drammatici – l’avrebbe percepita come un tradimento della patria dopotutto) e in linea di massima era fermamente intenzionato a garantirne la tenuta. Ma come ? Garantito il diritto di autodeterminazione ad ogni singola nazionalità come si poteva evitare un eventuale deriva di scissioni ??
Semplice (ma non troppo) : con un geniale escamotage concettuale e pratico/amministrativo. Nella logica rivoluzionaria bolscevica il PARTITO doveva comandare sulla vita del paese (le cui istituzioni ne erano un riflesso) e il partico era UNICO : tante filiali e ramificazioni diverse, quanto era eterogeneo l’ex impero, ma una sola testa, un solo comando. Le repubbliche erano legalmente 15, certo e tutte libere…….ma la medesima costituzione che garantiva tale diritto era la stessa che contemplava il Partito comunista sovietico come unica e assoluta forza vigente (sorgente del sistema) : forza politica che comandava dall’interno ognuna delle repubbliche costituenti l’unione.
In parole altre vi erano 15 entità – formalmente libere di andarsene – ma un unico encefalo per tutte (il PCUS : e questo stava a Mosca e non concepiva altro che l’unità). Secondo tale modello di ingegneria costituzionale si trattava quindi non di 15 corpi differenti, quanto 15 teste di un unico corpo. Questo fu come si riuscì a trovare l’unità nella diversità. Il lettore tenga in considerazione – prego – che qui non si critica né si avalla il sistema descritto, ma lo si osserva semplicemente, aggiungendo per onestà intellettuale da parte di chi scrive nei confronti di chi legge l’opinione personale che malgrado il carattere non esattamente democratico dell’ingranaggio descritto, esso garantiva una stabilità fondamentale e una sicurezza come non ve ne erano né prima né dopo (questo è un punto di vista privato). Che se ne possa pensare e giudicare, anche questa contraddizione contribuisce a rafforzare la natura “chimerica” della costruzione sovietica, nel bene o nel male.
Il punto debole della sovra-unità della grande casa sovietica era quindi proprio questo : che essa, considerata la concessione della facoltà di autodeterminazione alle repubbliche garantita da Lenin, si basava sull’esistenza del partito. Il PCUS stesso era il garante dell’unità dei popoli dell’unione, tanto quanto lo TSAR lo era nella compagine imperiale dell’era precedente. Come a dire, parafrasando :“si rimarrà uniti fintanto che esisterà il partito e saremo socialisti ! ”. Lenin ha affidato l’avvenire e l’integrità geografica di una galassia culturale come quella russa ex imperiale ad un fondamento ideologico (precario al pari di ogni costruzione umana) come se esso fosse eterno ! In questo egli ha oggettivamente commesso un errore, con tutte le sue buone intenzioni. O forse lui stesso non intendeva dovesse essere “eterno” ? Nessuno potrà saperlo perché dopo di lui le cose si assestarono e cristallizzarono come si sa.
Il collasso della grande casa nel 1991 fu definito da Putin come “la più grande catastrofe del XX secolo” per la Russia (citazione nota) : questo, ragionando a mente più lucida porterebbe a ritenere come forse il presidente non abbia fino in fondo espresso il suo reale pensiero : l’impostazione di netto rifiuto del comunismo che emerge dal discorso – e che ha provocato lo sdegno di tutta l’utenza comunista che ho il piacere di seguire da anni – è forse (oserei osservare) stata una necessità di forza maggiore : può essere che a scanso di un suo reale sentimento in materia (che deve essere più sfaccettato rispetto alla dichiarazione pubblica) abbia deciso più politicamente di “scegliere” per potersi mostrare compatto e comprensibile di fronte all’opinione pubblica del proprio paese in un momento critico. Nello scegliere definitivamente a quel patriottismo rifarsi….ha dovuto tagliare un ramo, sacrificare un pezzo importante di “patria” (quella della pluridecennale memoria sovietica) al fine di poter presentare una narrazione più lineare, organica e non contraddittoria : per evitare le accuse di comunismo (che all’estero infuriano) e presentarsi in modo più “fresco” (non dimentichiamo che spesso il rifarsi alla tradizione sovietica sa di “vecchio e ammuffito” per una fascia piuttosto alta dell’opinione pubblica interna).
Il presidente di Russia ha per così dire fatto una scelta importante nella memoria condivisa da impostare come narrazione patriottica istituzionale….e lo ha fatto a spese di una parte che forse avrebbe dovuto preservare di più.
A mio avviso tuttavia non è nemmeno questo la parte più critica del discorso : ce n’è ancora un’altra, che le sovrasta tutte e consiste nell’ASSENZA (spiego nel prossimo e conclusivo).
(CONTINUA)
NB_tratto da facebook
1 2 3 4 5