LA FASE STANCA, di Pierluigi Fagan

LA FASE STANCA. Una ricerca pubblicata su Nature e relativa 45 milioni di articoli scientifici e 4 milioni di brevetti, negli ultimi decenni, ha indagato gli andamenti di un indice sintetizzato dai ricercatori, chiamato CD ovvero Consolidamento-Distruzione. I lavori di consolidamento sono le code lunghe di processi già avviati, i lavori di distruzione aprono a cambi di paradigma a salto ed innovano strutturalmente.
Come riportano sinteticamente due grafici, inesorabile la caduta dell’indice CD a partire dal dopoguerra; quindi, l’intera impresa scientifica sembra entrata in una “fase stanca” in cui non si inventa più nulla di decisivo. Ammesse le premesse ovvero la bontà e precisione della definizione e dello studio e considerando la scienza (con premesse e conseguenze tecniche) come una parte, se non “la” parte più importante della complessiva impresa di conoscenza umana quantomeno in Occidente, vediamo cosa sembra dirci la lettura di questo fenomeno.
La prima e forse più importante cosa è una considerazione a me cara, tratta dagli studi di uno storico dell’economia, tale Robert j Gordon. Dato il testo “The Rise and Fall of American Growth” (2016) che è un inavvicinabile mattone per i non specializzati e dato che le analisi e predizioni in esso contenute erano troppo innovative e pessimistiche, ha avuto una limitata risonanza. Da Paul Krugman in giù, l’atteggiamento è stato del tipo “mah, sembra avere davvero ragione, vedremo…”. Incontrovertibile sui fatti, sulle conseguenze speriamo si sbagli. Ma se i fatti sono incontrovertibili, tracciare le deduzioni dovrebbe esser altrettanto logico e se non, che qualcuno provi ad introdurre altra metrica piuttosto che rifugiarsi nelle incertezze emotive del pessimismo o ottimismo.
Cosa sosteneva Gordon? Semplicemente che “Nel secolo successivo alla Guerra Civile, una rivoluzione economica migliorò il tenore di vita americano in modi prima inimmaginabili. L’illuminazione elettrica, gli impianti idraulici interni, gli elettrodomestici, i veicoli a motore, i viaggi aerei, l’aria condizionata e la televisione hanno trasformato le famiglie e i luoghi di lavoro. Con i progressi della medicina, l’aspettativa di vita tra il 1870 e il 1970 crebbe da quarantacinque a settantadue anni”. Quell’era di crescita senza precedenti è giunta al termine? Secondo Gordon l’unica “rivoluzione” post anni ’70 è stata quella info-digitale ma anche accordandogli ricadute sul bio-medicale, complessivamente (a numero-peso-misura e non a fallace sensazione) non c’è partita, il meglio è passato, per sempre. Il tutto misurato secondo l’indice di produttività di tutti i fattori che conferma analisi e diagnosi: non possiamo più aspettarci crescita economica significativa e costante.
Insomma, la tesi di Gordon rivela una struttura storica dei processi di invenzione ed innovazione, molto ricchi, esplosivi ed ampiamente generativi all’inizio, poi normali, poi destinati a lunghe code di valore decrescente.
Ripeto, non si tratterebbe di caratteristiche interne del fenomeno specifico, del chi, come e perché inventa o innova, ma intrinseche e più generali di ogni fenomeno conoscitivo. Un po’ come quando rovistiamo nella raccolta dei filosofi Presocratici di Diels e Kranz e poi In Platone o Aristotele. Vennero per primi e lì c’è più o meno tutto (a livello dei “fondamentali”), il resto o è nota a margine o è qualche residuo impensato portato alla consapevolezza come coda del processo o pensiero attualizzato a nuovi tempi. Non che sia inutile, ma complessivamente il peso e valore dell’impresa conoscitiva tra le due fasi è non parametrabile.
Questo non dice che è finita del tutto per sempre, non c’è più niente di importante da pensare o cercare o inventare o innovare. Dice però che dentro una forma di sistema generale è così, almeno fino a che sarà proprio il sistema generale (un certo tipo di mondo umano di stare al mondo) a fare un salto di configurazione. Chessò, in un mondo sociale in cui lavoriamo tutti tre ore al giorno per corvè necessaria, la vita umana individuale e sociale, i suoi rapporti interni ed esterni tra culture a con la Natura, offrirebbe tutto un altro sistema generale che chiamerebbe cose, forme e processi nuovi e nuovi modi di inventare ed innovare.
La tesi di Gordon implica che: a) la crescita economica tende di natura ad appiattirsi; 2) l’economia a ristagnare; 3) se la società non cambia assetto, i minori tornaconti verranno sequestrati in alto ed il basso se la passerà sempre peggio il che attiverà un ciclo di feedback negativo tendente al catastrofico. Questo per le economie ipermature. Lo studio di Nature, sembra confermare che per lo più l’impresa conoscitiva tecno-scientifica va sui comodi binari del consolidamento e perde ogni possibilità di scartare ed aprire al radicalmente nuovo (disruptive).
Su questo andamento generale ci sono poi dei peggiorativi.
Il primo è che molta invenzione ed innovazione di più di un secolo fa era alla portata di singoli individui, oggi se non si agisce dentro imponenti istituzioni non si hanno letteralmente i mezzi. Provate a farvi dare un turno di ricerca per qualche bizzarra ipotesi al CERN, è impossibile. Eppure, è proprio dal ciarpame per lo più bizzarro che qualche volta si trova la scintilla del radicalmente nuovo. L’intera evoluzione della “vita” si basa su sbagli compiuti nella copiatura del DNA che chiamiamo “errori”.
Secondo, oggi la ricerca -dato che costa sempre di più- è strettamente finalizzata ai risultati attesi. Ma le grandi innovazioni sono nate per caso, cercando altro, se uno sapesse prima che novità cercare non sarebbe una novità. Da cui il noto fenomeno dell’eccesso di pubblicazione e inter-citazione, sterile a formare immagini di mondo dominanti altrettanto conformistiche e sterili.
Terzo, il complesso di ricerca teorica è sempre troppo legata all’aspetto tecnico per cui se la tecnica non offre la possibilità materiale, è impossibile tentare una certa indagine. Ma lo sviluppo tecnico costa e quindi ricade nelle dinamiche conservative conformi il sistema in atto. Da qui anche l’espansione verso l’iperspecializzazione, ma va da sé che aggiungere virgole a discorsi fatti a monte non porta certo a nuovi discorsi.
I tre punti convergono verso la questione economica e finanziaria condizionante e condizionata dalla politica e dalla dimensione degli stati. Il tutto crea anche un condizionamento restrittivo di tipo culturale o state nel complesso culturale (accademico e non) anglosassone o non avete speranza. Questo complesso culturale è aperto certo a contributi di africani, indiani, pakistani, europei e chi altro volete, ma in genere, previa anglo-sassonizzazione. Si riduce cioè la diversità culturale e per regola, se riducete la diversità i processi vanno verso l’auto-estinzione.
A sua volta, questo complesso culturale soffre dell’invadenza di strambe teorie economiche che vedono utile solo l’attività di impresa (parametro dell’efficienza) a mai quella di Stato, ma dato che le imprese hanno finalità strette e fondi limitati, non è certo dal loro ambito che può nascere ricerca del radicalmente nuovo. Insomma, c’è una correlazione attiva tra efficienza e deficienza. Il che genera quell’altro noto fenomeno per cui c’è ipertrofia nella ricerca applicata a scapito di quella di base.
Un biologo Nobel 2002 ebbe a dire “siamo affogati dai dati ma siamo assetati di conoscenza”, a dire che ci mancano sempre più complessi di idee e il diluvio di informazioni non serve a nulla. Eppure, è proprio sul diluvio di dati che sviluppiamo le nuove imprese conoscitive e produttive, fino a dar rilievo a quella dichiarazione di distillato pensiero magico di un noto impasticcato informatico secondo il quale a furia di produrre diluvio di dati, ad un certo punto, “magicamente” sarebbe emersa la macchina auto-cosciente, la “singolarità” (termine in genere pronunciato cadendo in una tranche estatica tendente al mistico tipo “ho visto la luce” con una vena di compiaciuto terrore).
Per carità, la stupidità fa parte dell’umanità (Cipolla), tuttavia è sintomatico quanto rilievo sociale, economico e culturale sia dato ad una affermazione per la quale, oltretutto, non si capisce perché un informatico strologhi di auto-coscienza in un regime di regole per le quali si dovrebbe controllare e premiare la competenza. Un informatico è competente di informatica e con l’informatica si fanno soldi, quindi è competente, peccato lo sia in un campo che con l’auto-coscienza non ha alcuna parentela. Tra l’altro, è in parte anche questo esubero della capacità di calcolo che fuorvia dando l’impressione che la qualità sia un epifenomeno della quantità quando semmai ne è una condizione tra le altre.
Ma sebbene questo secondo capitolo di “sociologia delle conoscenza” sia attraente da indagare e pieno di nodi, credo che il problema principale sia il primo. Le nostre società si riflettono su sistemi di conoscenza conformi che hanno fatto bene il loro lavoro che però ora vanno verso la coda lunga. Sarebbe allora il caso di cominciare a pensare a quale salto di configurazione sociale dedicarsi poiché è lì che si richiede la novità radicale da cui poi discendono nuovi e più ampi alberi di condizioni di possibilità per lo sviluppo di nuovi sistemi di idee, nuove idee, nuove forme di vita associata, nuove stagioni di invenzione e reale innovazione, futuro.
La stessa auto-coscienza scientifica dovrebbe sapere che dipendenza ebbe dalla profonda trasformazione della società medioevale in moderna.
Guai a far trattare il problema futuro al sistema che ha finito il suo ciclo di esistenza, guai ad aspettarsi nuove effervescenze da mentalità stanche. Così, tra qualche mese, assisteremo alla tenzone per il potere del sistema dominante (USA) tra due ottantenni coi pannoloni, è chiaro che idea di società, culture e conoscenza vadano di conseguenza nel più tipico, surreale e beckettiano “Finale di partita”.
> L’articolo del il Post che segnalava quello di Nature: https://www.ilpost.it/…/scoperte-scientifiche…/…
> Semmai di interesse, la recensione di Krugman al libro di Gordon: https://www.nytimes.com/…/review/the-powers-that-were.html
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