Avete finito di linciare il povero Elkann?_di Marcello Veneziani

Della serie: il blasone, il potere; ma sotto il vestito niente. Avulsi dal mondo, dopo aver plagiato e salassato l’Italia tra le odi e la piaggeria. Giuseppe Germinario
Avete finito di linciare il povero Elkann?
I@C In qualità di esperto e decano della tratta ferroviaria Roma-Foggia, con l’aggravante di oltrepassare Foggia e spingermi fin dentro il cuore di tenebra pugliese, mi è stato chiesto da più lettori un referto postumo sul caso Alain Elkann che ha tenuto banco per giorni sui media, i siti e i social. Quando lessi l’articolo di Alain sulle pagine culturali de la Repubblica, in cui esprimeva il suo disagio di viaggiare in treno in deplorevole promiscuità, pensai di non commentare. Troppo facile e ingeneroso inveire e coglionare. Mi parve anzi commovente il suo candore elitario e tenero il suo disagio di classe in treno; epica e struggente la sua estraneità a quei luoghi infernali – Caserta, Benevento, fino addirittura a lambire Candela e Incoronata – e a quel popolo di viaggiatori che ancora si accoppia con gente dell’altro sesso, e parla apertamente di donne e di calcio, spudoratamente, profanando la cartellina di cuoio in cui lo Scrittore custodiva quotidiani finanziari stranieri; e disturbando la sua lettura di Marcel Proust (e i maestrini pedanti subito a far notare che ha sbagliato citazione e volume).
Davanti agli attacchi che subiva da giorni ho avuto l’impulso a costituire un comitato di solidarietà e sostegno al povero Alain trattato come un alieno, un radical-chic, un intellettuale con la puzza sotto il naso. Posso assicurarvi che non è niente di tutto questo, avrà pure la puzza sotto il naso, il povero Alain, ma intellettuale non è, non lo mortificate con questi appellativi ingiuriosi e impropri, sarà chic ma non è nemmeno radical. Alain è stato un bel giovane, attraente ed elegante e ora è un bell’anziano di settantatré anni, un po’ insofferente verso i giovani, che compie missioni impossibili, come quella di andare addirittura in treno, nientemeno che a Foggia, con un gesto eroico di sfida nei giorni in cui c’erano 43 gradi in terra di Capitanata.
Voi lo considerate baciato dalla fortuna, io invece lo considero uno sfortunato, con una vita difficile. Alain è figlio del banchiere e rabbino Jean-Paul Elkann e nipote del banchiere Ettore Ovazza (un tempo fascista, poi vittima dei nazisti). Poi diventò il marito di Margherita Agnelli. Infine è diventato il padre di John Elkann, oltre che del leggendario Lapo.
Insomma, il povero Alain non è mai stato se stesso, è sempre stato il figlio, il nipote, il cognato, il marito, il genero, il padre di qualcuno. Più che una persona è una sinapsi, una cerniera, un crocevia parentale, un favoloso inseminatore che ha dato un futuro alla sfortunata dinastia degli Agnelli e alla Fiat, che oggi viaggia sotto falso nome e altra bandiera.
Anche nella vita letteraria, Alain ha fatto da “spalla” ad Alberto Moravia e poi in tv a Indro Montanelli. Portatore sano di cultura e letteratura, Alain è stato un elegante indossatore di opere e talenti altrui. E’ stato pure il sotto-sottosegretario alla cultura, ma il suo principale era Vittorio Sgarbi, non so se mi spiego. Un martire. Cosa gli rinfacciate, che male ha fatto in vita sua? Innocente, innocuo, lieve e discreto, con una sua altera gentilezza. Non è mai stato egocentrico ma centrifugo. Si, gli hanno dato presidenze e incarichi, soprattutto non operativi, però lui ha sempre tenuto un profilo non alto né basso, ma evanescente. Ha scritto decine di libri, romanzi, interviste e altro, ma non ha mai fatto nulla per lasciare una traccia o lanciare un’idea. Che discrezione. Ha vissuto all’ombra del suo bel nome, della sua bella figura, dei suoi bei vestiti, del suo bel parentado, senza mai prendersi la scena.
Ora lo avete linciato perché ha osato dire che in treno qualcuno gli ha dato fastidio, parlando ad alta voce (nei vagoni c’è pure l’area silenzio; la prossima volta, se mai volessi sottoporti a un’altra tortura ferroviaria, prenota quei posti). Alain si è lamentato perché non lo hanno riconosciuto, ma forse è stato meglio per lui.
Resta un mistero il suo viaggio a Foggia, è come se – che so – avvistassero Bill Gates da Padre Pio o Chiara Ferragni a Medjugorie. Così come non capisco perché definire lanzichenecchi quei giovanotti che viaggiavano in prima classe (ma non si chiama più così, col nuovo lessico ipocrita). I lanzichenecchi erano soldati tedeschi, calati dal nord Europa a Roma per fare il famoso sacco. Questi invece erano italiani, forse settentrionali e andavano a sud, dove i guaglioni sgarbati vengono chiamati vastasi o bastasi (in Sicilia), ribusciati e nel napoletano guappi; se viaggiano in prima classe sono sgalliffi o chiavici. Ma poi cos’hanno fatto di male? Non l’hanno insultato, non l’hanno menato, niente rutti, abusi o sconcezze.
Per andare da Roma a Foggia, e qui capisco lo sgomento di Alain, non si passa dalla Costa Azzurra ma addirittura da Caserta e Benevento. Ma non sono cannibali, anche se non leggono il Financial Times.
Immagino con quale sgomento abbia letto l’articolo di Elkann il massimo esperto e utente della linea Roma-Foggia. E’ il mio amico Francesco Martucci, devoto a Padre Pio, e purtroppo un po’ anche a Mario Merola; lui è nato nientemeno a Caserta, lavora tra Foggia e Napoli, ha famiglia nella Puglia più profonda, e dunque batte tutto il sud. Non c’è volta che mi chiami al telefono e non si senta in sottofondo: “E’ in arrivo sul secondo binario locale per Foggia”. Martucci ha cittadinanza ferroviaria, vive e risiede sul treno, da pendolare, recita a memoria l’orario ferroviario, è sommelier di carrozze; e appena ha un giorno libero, si mette sul treno per i suoi pellegrinaggi. Francesco avrebbe difeso il povero Alain dalla masnada dei “lanzichenecchi”, perché è sudista, è buono di cuore, e ama leggere più di lui, anche se viaggia in terza classe; pure quella non c’è più, ma lui mentalmente è ancora lì, è un classista a rovescio di Alain, salta sul treno più disagiato per gustare la lentezza bollente di quei vagoni scassati.
Insomma, non disturbate il povero Elkann, lasciategli leggere l’opera di Proust che avrà probabilmente cominciato in adolescenza e non ha ancora finito.
Marcello Veneziani
28 Luglio 2023

Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”

Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”
Un gruppo di ragazzi poco educati e un signore con i capelli bianchi che usa carta e penna, legge Proust e i giornali in inglese protagonisti di questo racconto d’estate di Alain Elkann
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Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi” eppure mi sbagliavo. Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni.

T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano. Alcuni avevano in testa il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi, prevalentemente neri, e avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi. Nessuno portava l’orologio.

Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica.

Mentre facevo quello, i ragazzi parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Parlavano di calcio, di giocatori, di partite, di squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni.

Intanto il treno, era arrivato a Caserta. Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così. Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi.

A un certo punto, poco dopo Benevento, mentre erano sempre seduti o quasi sdraiati ai loro posti, ammassando nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo, uno di loro ha detto: «Non è che dobbiamo stare soli di sera: andiamo a cercare ragazze nei night».

Un altro ragazzo più piccolo di statura e con il viso leggermente coperto di acne giovanile ha detto: «Macché night! Credetemi, ho esperienza. Bisogna beccare le ragazze in spiaggia e poi la sera portarle fuori e provarci. La spiaggia è il posto più figo e sicuro per beccare».

Quella conversazione sulle donne da trovare era andata avanti mentre io avevo finito di scrivere sul mio quaderno ed ero immerso nella lettura di Proust. Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo.

Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi.

Per loro chi era costui?

Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava. Pensavano ai fatti loro, parlavano forte, dicevano parolacce, si muovevano in continuazione, ma nessuno degli altri passeggeri diceva nulla.

Avevano paura di quei ragazzi tatuati che venivano dal nord, lo si capiva dall’accento, o erano abituati a quel genere di comportamento?

Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome.

https://www.repubblica.it/cultura/2023/07/23/news/racconto_alain_elkann_sul_treno_per_foggia_con_i_giovani_lanzichenecchi-408733095/