La trappola delle cose gratuite, di Davide Gionco
La trappola delle cose gratuite
Di Davide Gionco
07.02.2021
Che cosa spinge un topolino a farsi prendere dalla trappola, dopo avere rosicchiato il pezzo di formaggio? Che cosa spinge un pesce a mangiare l’esca, per poi finire pescato e, a sua volta, mangiato da un essere umano?
In entrambi i casi il movente è la certezza di avere un pasto gratis, senza rischi. Insieme ad una mancata valutazione delle conseguenze. E’ noto che il topolino ed il pesce vengono ingannati e fanno una brutta fine, negli interessi dell’essere umano che voleva catturarli.
Il famoso generale cinese Sun-Tzu diceva chiaramente “Ricorda: la guerra si fonda sull’inganno“.
Chi vuole catturare il topo con una trappola, sceglie un cibo irresistibile per il topo ed una posizione per la trappola comoda da raggiungere. Un bravo pescatore sa scegliere un’esca irresistibile per i pesci e si mette a pescare dove sa che i pesci passeranno.
E’ il modo migliore per catturare il topo, il miglior modo per pescare il pesce. E’ il migliore modo per vincere la guerra, se sei un generale.
E’ il migliore modo per piegare la gente ai propri interessi economici (e magari politici), se sei una multinazionale, indirizzando le (credute) libere scelte di milioni di persone verso situazioni sconvenienti per loro e convenienti per la multinazionale.
Il cuore della trappola è una perfetta preparazione dell’esca.
Cosa c’è di più allettante di una televisione gratuita, che ci offre in prima serata programmi che stuzzicano i nostri istinti? Storie strappalacrime, immagini sensuali, spettacoli leggeri e divertenti, che non impegnano la mente?
Cosa di più rassicurante di una informazione martellante e unanime, che ripropone sempre la stessa narrativa sul mondo, affinché non dobbiamo fare la fatica di mettere in discussione le nostre convinzioni ed attivare il nostro senso critico?
E il tutto senza pagare: l’esca perfetta.
A parte il fatto che, ovviamente, il prezzo lo paghiamo, da qualche parte, dato che tutto quello che ci fanno vedere comporta dei costi coperti dall’acquisto dei prodotti reclamizzati, più costosi (per pagare la pubblicità) e di cui probabilmente non avremmo mai avuto bisogno.
“Gratis”, però, non riguarda tanto il prezzo economico, quanto soprattutto lo sforzo mentale che (non) dobbiamo fare per renderci conto della situazione.
Se il pesce si fermasse ad osservare per capire il meccanismo esca+amo+lenza, si guarderebbe bene dall’abboccare. Invece non si ferma a riflettere: vede l’esca da mangiare, abbocca e viene pescato.
Lo stesso avviene nel mondo dei mass media.
Il vero prezzo che paghiamo è essere portati a credere alla rappresentazione acritica della realtà che “ci viene venduta gratis”. Tutto semplice da capire, poco da ragionare, una comunicazione ripetitiva e coerente che non fa venire dubbi. Tale rappresentazione è molto spesso funzionale a tutelare gli interessi del famoso “uno per cento del mondo“, quello che diventa sempre più ricco, mentre gli altri diventano sempre più poveri.
Facciamo qualche esempio recente.
Nel corso delle ultime elezioni presidenziali negli USA quale narrativa ci è stata proposta? Mentre il “candidato presidente cattivo” Donald Trump ci veniva presentato con molti aspetti negativi, il “candidato presidente buono” Joe Biden veniva presentato come il candidato senza difetti, senza nulla ceccepire sul suo sostegno alla guerra in Irak (che, secondo la rivista The Lancet, ha complessivamente causato 790 mila morti), sul suo voto favorevole alla guerra in Serbia, in Libia e infine in Siria. E, naturalmente, tutti contenti perché, alla fine, il buono ha vinto ed il cattivo ha perso.
Facile: il buono vince, il cattivo perde (come nei vecchi film). Il formaggio è buono e il topo è preso dalla trappola.
In questi giorni il presidente Sergio Mattarella ha incaricato Mario Draghi per la formazione di un nuovo governo. Tutte le televisioni e i giornali, unanimi, continuano a rivolgere elogi sperticati all’ex governatore della Banca Centrale Europea, senza neppure una voce critica. Nessuna voce critica sul passato di Draghi, sulle conseguenze sociali delle privatizzazioni da lui promosse quando era al Tesoro, sulle sue dichiarate intenzioni di adottare le solite dottrine neoliberiste per l’economia italiana, le stesse che hanno prodotto povertà e disoccupazione in tutto il mondo, come sempre a favore del solito 1% del mondo.
Non si tratta di essere “pro” o “contro” il Biden di turno o il Draghi di turno, ma si tratta di un sistema di informazione “gratuito” (mentalmente non impegnativo) che, deliberatamente, ci presenta una narrativa totalmente acritica e molto distante dalla realtà. E lo fa per perseguire obiettivi ben precisi, senza stimolare il nostro senso critico per esprimere un nostro giudizio sulla realtà, perché se venisse risvegliato il nostro senso critico, potremmo assumere una opinione diversa da quella desiderata da chi decide come fare l’informazione.
Il meccanismo si ripropone con i social media, che ci troviamo comodi sul telefonino, che ci consentono di condividere contenuti con amici in tutto il mondo…
Anche in questo caso, ovviamente, i costi di funzionamento di questi servizi, come pure gli utili miliardari di chi li possiede, ovviamente li paghiamo quando acquistiamo i prodotti che ci hanno proposto, dopo avere conosciuto i nostri gusti (i famosi like = mi piace).
Ma non solo. Pensavamo di poter disporre di un comodo sistema per essere informati sulla realtà, indipendente dai mass media, dove ciascuno può “dire la sua”. Peccato che gli algoritmi di funzionamento dei social media limitino il nostro accesso alle notizie “diverse da come la pensiamo” tramite le cosiddette “bolle di filtraggio” (filter bubble). L’effetto non è molto diverso da quello del coro unico delle televisioni.
I social media preferiscono darci conferme sulle idee che già abbiamo (spesso provenienti dalle televisioni e dai principali giornali), piuttosto che farci confrontare con idee fuori dal coro. Se poi qualcuno, dal loro punto di vista, esagera, i vari Facebook, Twitter, Youtube, Instagram, ecc. applicano sempre di più la censura unilaterale delle notizie che ritengono che non debbano essere diffuse. Esattamente come avveniva ai tempi del fascismo, quando le notizie da censurare erano quelle che criticavano il regime. Ricordiamoci che, ai tempi del fascismo, erano giudicate “fake news” le critiche alla guerra in Etiopia (con uso di armi chimiche) ed alle leggi razziali.
Anche Google, che si presenta come un motore di ricerca “tecnico”, neutro, gratuito ed efficiente, in realtà decide che cosa dobbiamo trovare, cosa no e in quale ordine. Ci dà la sensazione di navigare liberi su internet come potremmo fare andando a spasso in una città, ma in realtà ci sono zone della “città virtuale” che ci sono precluse, sconosciute e, quindi, di fatto inaccessibili, senza che noi neppure ce ne rendiamo conto.
Ma la trappola più pericolosa di tutte, nella quale stiamo incoscientemente cadendo, viene dal settore del commercio. Amazon e Alibaba continuano a proporre ai consumatori prodotti a prezzi decisamente inferiori a quelli dei negozi, tempi di consegna rapidi e direttamente a casa, vasta gamma di scelta: davvero sembra non esserci competizione. Anche perché Amazon paga poco o nulla di tasse, a differenza dei suoi concorrenti che vendono tramite negozi fisici sul territorio o anche online, ma senza usufruire dei vantaggi fiscali delle multinazionali.
Anche in questo caso il pezzo di formaggio è molto allettante: un gran numero di italiani si indirizza verso queste forme di vendita, guardando solo ai vantaggi a breve termine e senza porsi interrogativi sulle conseguenze di questa scelta.
Vi è la convinzione profonda che un prodotto sia unicamente costituito da una qualità e da un prezzo, per cui, una volta scelta la qualità, la soluzione più conveniente è quella che costa di meno.
La trappola scatterà una volta che tutti i negozi delle nostre città avranno chiuso, per cui saremo obbligati a fare acquisti unicamente dal sig. Jeff Bezos o dal sig. Jack Ma.
I quali potranno mettersi d’accordo nell’alzare unilateralmente i prezzi, non avendo più concorrenti, per cui i consumatori attualmente poco accorti non avranno via di scampo dai prezzi gonfiati.
Ma non solo. Anche i produttori dei beni commercializzati saranno messi sotto scacco. Infatti non avranno altro modo per raggiungere i loro clienti che passare per la distribuzione monopolistica di Amazon & c., i quali potranno imporre ai produttori di minimizzare i prezzi (e le loro rendite), al fine di massimizzare le rendite del distributore. Rendite minime per i produttore significheranno, ovviamente, salari minimi per i lavoratori.
Quindi i consumatori poco accorti verranno presi in trappola una seconda volta, dopo l’aumento dei prezzi, anche dalla riduzione del salario come lavoratori.
Infine non dobbiamo dimenticare le conseguenze sociali derivanti dalla chiusura di gran parte dei negozi in Italia. Oltre alla perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore dobbiamo prefigurarci dei centri abitati sostanzialmente privi di negozi. Immaginiamo le conseguenze per la vita sociale delle nostre città. I negozi non sono solamente dei punti vendita di merci, ma luoghi di incontro fra le persone, vetrine che abbelliscono le nostre vie e rendono vivi i luoghi in cui viviamo.
I legislatori dovrebbero tenere conto del prezioso valore sociale del commercio al dettaglio e tutelarlo dalla concorrenza della grande distribuzione delle vendite online. Ma anche noi cittadini dovremmo imparare a stare molto più attenti ogni volta che ci vengono proposti beni e servizi gratuiti o a prezzi eccezionalmente concorrenziali, perché quello che a prima vista sembra molto conveniente in molti casi non è altro che un’esca irresistibile che ci porterà a conseguenze per nulla convenienti.
Non lasciamoci prendere in trappola!