Il Mercosur può disintegrarsi?_di Bernabé Malacalza e Juan Gabriel Tokatlian

Il futuro del Mercosur è più incerto che mai dalla sua creazione, 30 anni fa. Mentre il governo uruguaiano ha appena annunciato l’avvio di uno “studio di pre-fattibilità” per la conclusione di un accordo di libero scambio con la Cina, Bernabé Malacalza e Juan Gabriel Tokatlian analizzano il processo di integrazione del Mercosur, indebolito dalla perdita di fiducia tra i suoi membri e dai nuovi equilibri globali.

Il termine “disintegrare” ha, secondo il dizionario, diversi significati. Uno di questi significa distruggere completamente; un altro, perdere coesione e forza. Il concetto di disintegrazione si riferisce quindi alla perdita e alla distruzione. Nella disciplina delle relazioni internazionali, la disintegrazione è, in generale, poco studiata: è considerata un’anomalia ed è, ovviamente, indesiderabile. Ai fini di questa analisi, si assume che la disintegrazione non sia solo l’antitesi dell’integrazione, ma rappresenti il declino di un modo di concepire e attuare politiche comuni e condivise, su un’ampia gamma di questioni, tra Stati legati da un accordo formalizzato e istituzionalizzato, il cui scopo principale è quello di configurare una comunità politica tra le parti. In questo senso, vorremmo sottolineare il rischio di una possibile disintegrazione del Mercosur. E in questo la responsabilità maggiore e più comune ricadrebbe su Argentina e Brasile.

Dall’inizio dei processi di democratizzazione negli anni ’80 e prima della fine della Guerra Fredda, entrambi i Paesi hanno assunto e rivendicato il merito di una partnership strategica. Che sia per convinzioni diplomatiche o per ragioni commerciali, riconoscendo la contemporanea gravitazione di valori e affari, l’integrazione è stata invocata, giustificata e promossa sotto governi di diverso segno ideologico. Oggi, la grande iniziativa subregionale di questo impegno bilaterale, il Mercosur, sta perdendo la sua serietà ed è fonte di crescenti divergenze tra i suoi membri. Anno dopo anno – retorica a parte – nella pratica e a seconda della situazione nazionale di ciascun Paese, sono aumentati i merco-scettici, i merco-ostruzionisti e i merco-contestatori. Sia per la ricerca di dividendi elettorali o per calcoli geopolitici extraregionali, sia per i cambiamenti nelle strutture produttive locali, sotto convinzioni iper-ideologizzate, il numero di attori che mettono in discussione e disprezzano l’ideale integrazionista è aumentato. Allo stesso modo, le voci dei mercoentusiasti, dei merco-pragmatici e dei merco-impegnati sono state ampiamente messe a tacere. Siamo quindi di fronte a un percorso inesorabile di disintegrazione? È possibile trarre lezioni che ci permettano di evitare questo destino “darwiniano”, frutto di una combinazione di futilità e impossibilità? È possibile concepire e raggiungere un consenso su un “altro” Mercosur che vada oltre la sua immagine agonizzante?

Oggi la grande iniziativa subregionale di questo impegno bilaterale, il Mercosur, sta perdendo la sua serietà ed è fonte di crescenti divergenze tra i suoi membri.

BERNABÉ MALACALZA E JUAN GABRIEL TOKATLIAN
Disintegrazione in teoria e in pratica
È necessario fare un bilancio del Mercosur, tenendo conto di elementi teorici ed empirici, nonché di riferimenti storici ad altre organizzazioni internazionali che sono crollate o hanno perso i loro segni vitali. Va detto subito che la maggior parte della ricerca sull’integrazione regionale si è concentrata sul tentativo di spiegare come e perché gli Stati cercano di integrarsi. I processi sono descritti in una gamma di maggiore o minore integrazione, integrazione contro non integrazione, o stagnazione piuttosto che decomposizione. In breve, lo studio delle organizzazioni vive e persistenti è stato privilegiato rispetto a quelle defunte o transitorie.

Tuttavia, visti gli enormi sforzi compiuti per creare organizzazioni internazionali e i benefici duraturi che esse generano, gli Stati le abbandonano o le distruggono? L’internazionalista Mette Eilstrup-Sangiovanni ha recentemente pubblicato uno studio fattuale sui risultati di un totale di 561 organizzazioni intergovernative create tra il 1815 e il 2006. È giunta a una conclusione sorprendente: il loro tasso di mortalità è relativamente alto, con circa due organizzazioni su cinque che hanno cessato di esistere. Quali sono dunque le condizioni che portano alla scomparsa delle organizzazioni intergovernative?

Le tesi centrali sono due. Da un lato, si sostiene che le “morti” sono causate da spostamenti cruciali negli equilibri di potere internazionali e da shock politici ed economici esterni, che riducono l’utilità collettiva degli Stati ad aderire a istituzioni consolidate di fronte a nuove sfide e dilemmi. D’altro canto, si sostiene che le organizzazioni intergovernative sono soggette a cessazione per motivi endogeni: quando hanno un numero ridotto di membri, un ambito di applicazione limitato e una bassa centralizzazione. A questo proposito, si possono esaminare due organizzazioni in momenti storici diversi. L’Organizzazione del Trattato del Sud-Est Asiatico (SEATO), in vigore dal 1955 al 1977, è un caso che illustra la prima tesi. La seconda è chiaramente visibile nel caso della Comunità andina delle nazioni (CAN), creata nel 1969 come Patto andino e in stato vegetativo dal 2006.

L’attuale fase della crisi del Mercosur è, in parte, diversa e più complessa. Progressivamente e in modo eloquente, si assiste a una confluenza di fattori esogeni ed endogeni che agiscono come cause inibitorie – e in ultima analisi distruttive – del processo di integrazione. Il bivio che il Mercosur si trova ad affrontare oggi assomiglia a una combinazione di quanto accaduto con la SEATO e la CAN. Come ha affermato l’internazionalista Stephen Walt, la domanda centrale dovrebbe essere: perché i partenariati strategici falliscono o si rompono? La spiegazione dell’autore incorpora il potere strategico, materiale e simbolico, nonché elementi politici e socio-economici. Le cause sono poi identificate come fattori esogeni (cambiamenti nella percezione delle minacce e calo della fiducia reciproca tra i partner), così come fattori endogeni (condizioni economiche, infrastrutturali e socio-demografiche, conflitti interni, cambiamenti di regime politico e divisioni ideologiche). Le cause esogene si riferiscono a due aspetti. I cambiamenti nella percezione della minaccia si verificano quando, a seguito di un riassetto dell’ordine esistente o di una transizione di potere globale, i membri di un’organizzazione decidono di definire e rispondere individualmente ai vincoli e alle opportunità globali. Un esempio emblematico è rappresentato dalla Colombia e dal Venezuela, che hanno scelto allineamenti internazionali nettamente opposti e hanno, di fatto, minato ulteriormente l’integrazione dell’accordo andino emerso alla fine degli anni Sessanta. Qualcosa di simile potrebbe accadere se, ad esempio, nello scenario di un aumento del conflitto tra Stati Uniti e Cina, l’Argentina o il Brasile scegliessero di piegarsi all’una o all’altra potenza. In questo senso, la rispettiva acquiescenza seppellirebbe la convergenza strategica e, con essa, l’elemento base dell’integrazione.

I cambiamenti nella percezione della minaccia si verificano quando, a seguito di un riassetto dell’ordine esistente o di una transizione di potere globale, i membri di un’organizzazione decidono di definire e rispondere individualmente ai vincoli e alle opportunità globali.

BERNABÉ MALACALZA E JUAN GABRIEL TOKATLIAN
Quali settori interni – civili e militari, sociali ed economici, politici e intellettuali, partitici e mediatici, statali e non statali – potrebbero spingere per un accomodamento con Washington o Pechino? Quali sono le forze interne di entrambi i Paesi che ancora difendono, promuovono e convalidano un partenariato strategico Argentina-Brasile? Qual è l’economia politica interna e internazionale – l’equazione tra vincitori e vinti – che potrebbe portare a una potenziale disintegrazione del Mercosur?

L’indebolimento e la perdita di fiducia si verificano a loro volta quando uno o più membri di un progetto associativo iniziano a dubitare che gli altri partner li aiuteranno nel momento del bisogno. Un esempio è quello che è successo con la SAARC (South Asian Association for Regional Cooperation), fondata nel 1985. L’organizzazione non riesce a organizzare un vertice dal 2014. L’ultimo è stato ospitato dal Pakistan, ma con l’aumento delle tensioni dopo gli attacchi terroristici di Mumbai nel 2016, l’India ha boicottato i tentativi di organizzare tale conclave. Sono quindi sette anni che non si incontrano e in questo periodo il Pakistan ha consolidato una relazione molto stretta con la Cina, mentre l’India ha rafforzato il suo avvicinamento agli Stati Uniti. Quali eventi degli ultimi due decenni – anche con governi di orientamento simile in Argentina e Brasile – possono aver creato un calo significativo della fiducia reciproca in momenti chiave? Quali questioni – quelle derivanti dal protezionismo individuale, dagli ostacoli burocratici reciproci, dai modelli di sviluppo scelti, dalle posizioni su questioni politicamente sensibili in Sudamerica, dalle posizioni nei forum multilaterali – possono aver gradualmente incrinato la fiducia bilaterale? La cultura dell’amicizia costruita decenni fa sta appassendo? Questa mancanza di fiducia ha preso piede nel Mercosur e sta colpendo tutti e quattro i membri?

Il Mercosur, prima e dopo
A questo punto, vale la pena ricordare che il Mercosur – istituito nel 1991 con il Trattato di Asunción – ha avuto origine dalla precedente combinazione di una vocazione cooperativa e di uno spirito convergente di fronte all’intensificarsi della guerra fredda. La Dichiarazione di Foz do Iguaçu del 1985, che suggellò l’amicizia tra Argentina e Brasile, si basava sul “superiore interesse della pace, della sicurezza e dello sviluppo della regione”. Questo accordo è stato il principale antecedente alla creazione, nel 1991, del Sistema comune di contabilità e controllo dei materiali nucleari (SCCC) e dell’Agenzia brasiliano-argentina per la contabilità e il controllo dei materiali nucleari (ABACC), l’unica agenzia binazionale di salvaguardia nucleare al mondo. In effetti, la prima pietra del Mercosur è stata posata a Iguazú nel 1985 e poi concretizzata ad Asunción nel 1991.

L’era post-Guerra Fredda, l’ampia democratizzazione dell’America Latina, la crescente interdipendenza tra le società, l’ascesa del cosiddetto “regionalismo aperto” e l’aspettativa di una nuova agenda globale hanno fatto da sfondo all’aspirazione del Mercosur all’integrazione. Inoltre, una combinazione di formule politiche ed economiche ha agito a favore del processo di integrazione. Negli anni ’80 e anche nei primi anni ’90, i leader politici di Argentina e Brasile – con il sostegno attivo delle rispettive società – cercarono di rassicurarsi contro una possibile ricaduta nella dittatura. In questo senso, la pace e l’integrazione economica erano essenziali per facilitare la riduzione del ruolo dei militari, ridurre i sospetti e generare certezza. Allo stesso modo, l’intensità della crisi del debito e il suo impatto sociale hanno evidenziato le difficoltà di ricostruire un progetto industriale valido in un contesto nazionale limitato. La scommessa comune del Mercosur è stata quella di affrontare una potenziale situazione di cosiddetto “decollo produttivo”. Questo percorso sarebbe stato seguito da un gruppo abbastanza ampio di imprese nazionali e multinazionali, che avrebbero creato o rafforzato le catene del valore regionali, come nel caso dell’industria automobilistica, e dato densità al commercio intraregionale.

Quali cambiamenti esogeni ed endogeni potrebbero aver ostacolato questo processo, concepito in un contesto post-Guerra Fredda e stimolato da importanti convergenze politiche, diplomatiche ed economiche tra Buenos Aires e Brasilia? Queste cause inibitorie potrebbero portare al collasso dell’integrazione? Il fenomeno strutturale esogeno che avrà il maggiore impatto sul legame Argentina-Brasile e sul futuro del Mercosur è l’accelerazione della ridistribuzione del potere, dell’influenza e del prestigio a livello globale, che ha due protagonisti centrali: gli Stati Uniti e la Cina. Gli alti e bassi del Mercosur negli ultimi due decenni sono stati in parte condizionati dalle relazioni tra Washington e Pechino. Dall’inizio dell’amministrazione George W. Bush fino al primo mandato di Barack Obama, le relazioni sino-statunitensi sono state dominate da un mix di collaborazione e competizione in dosi non identiche ma sufficientemente equilibrate. Ciò ha consentito una relativa espansione dello spazio politico individuale e collettivo per Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Dalla seconda amministrazione Obama in poi, un cambiamento graduale e significativo è stato evidente dopo l’annuncio del cosiddetto “perno asiatico” nel 2012; una strategia diplomatica, economica e militare più assertiva che mirava ad aumentare la proiezione degli Stati Uniti nel Sud-est asiatico e ad accerchiare gradualmente la Cina. Con la presidenza di Donald Trump, la componente della contesa nei confronti di Pechino si è acuita e si è aperta a nuove aree come il finanziamento delle infrastrutture, la cybersicurezza e le tecnologie di nuova generazione. Questa eredità, con qualche ritocco e una diversa retorica, viene conservata e approfondita sotto l’amministrazione Biden. Ciò non implica passività, ma piuttosto l’urgenza di avere una tabella di marcia il più possibile chiara per affrontare le crescenti tensioni e rivalità. Ciò incoraggerà la tentazione di piegarsi all’uno o all’altro, che a sua volta indebolirà l’autonomia delle nazioni. In questo contesto, la logica dell'”ognuno per sé” sarà probabilmente il preludio a una maggiore dipendenza individuale e collettiva. Se Argentina e Brasile accetteranno questa logica, si troveranno in un “dilemma del prigioniero”, in cui la cooperazione sarà inutile anche se la cooperazione bilaterale sarebbe l’opzione migliore per affrontare un intenso e delicato spostamento di potere globale.

Gli alti e bassi del Mercosur negli ultimi due decenni sono stati in parte condizionati dalle relazioni tra Washington e Pechino.

BERNABÉ MALACALZA E JUAN GABRIEL TOKATLIAN
E l’Unione Europea?
Oltre a questo, c’è stata e c’è tuttora una frustrante sensazione di estrema lentezza nei negoziati e di ritardo nell’effettiva attuazione dell’accordo UE-Mercosur. Tra la metà degli anni Novanta e l’inizio del 2000 – quando sono iniziati i colloqui – c’era la speranza che la convergenza tra le due parti potesse avere un potenziale valore strategico nell’immediato contesto post-Guerra Fredda. Questo era generalmente considerato il caso del Cono Sud, che nel complesso stava vivendo un’incoraggiante svolta democratica. Tuttavia, col passare del tempo, le priorità divergenti su entrambe le sponde dell’Atlantico hanno impedito di siglare un accordo reciprocamente vantaggioso. A ciò si è aggiunta, dall’inizio del XXI secolo, la crescente percezione in Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay che, a fronte di possibili progressi, l’UE stesse aumentando le proprie richieste, rendendo improbabile un compromesso concreto. Il referendum sulla Brexit del 2016 ha aggiunto un ulteriore ritardo ai negoziati UE-Mercosur. L’accordo bilaterale è stato infine concluso all’inizio del 2019 – 24 anni dopo – in seguito all’accettazione da parte del Mercosur di un accordo asimmetrico con alcuni aspetti favorevoli per i quattro Paesi membri sudamericani. Non solo il malcontento ha prevalso, ma la situazione è stata aggravata dalla mancanza di propensione e volontà, da parte dell’esecutivo o del legislativo, di diversi Stati membri dell’UE di ratificare l’accordo e dalle reazioni di Francia, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Belgio e Irlanda; Paesi che si sono rifugiati, ancora una volta, in posizioni fortemente protezionistiche.

La situazione è stata aggravata da nuovi dubbi, provenienti soprattutto dall’Europa. Con il lancio del Patto Verde Europeo alla fine del 2019 e la politica della Commissione Europea di promuovere i propri standard ambientali in altre latitudini, la pressione sulla politica di protezione ambientale del Brasile è aumentata, portando alla paralisi e aprendo opportunità per attori con grandi capacità di influenzare Brasilia. È il caso del segretario al Commercio dell’amministrazione Trump, Wilbur Ross, che nel luglio 2019 ha esortato il presidente brasiliano Jair Bolsonaro a evitare quelle che ha definito le “pillole di veleno” dell’accordo UE-Mercosur, avvertendo che ciò avrebbe potuto impedire un accordo USA-Brasile. Questa si è rivelata una posizione paradossale e infelice, poiché era un terzo attore (gli Stati Uniti) a guadagnare dalla paralisi dell’accordo UE-Mercosur. Inoltre, il nuovo “bastone verde” dell’UE potrebbe spingere alcuni settori del governo brasiliano a sganciarsi dai partner subregionali e a stringere accordi bilaterali con Washington, rafforzando un impulso disgregativo latente nel Mercosur.

Il gruppo avrà compreso il costo dell’indebolimento dell’integrazione? Avrà notato i rischi di una lettura non sofisticata della disputa USA-Cina e del futuro della globalizzazione? È possibile che l’Europa sia solo un’altra forza centrifuga che sta indirettamente e inavvertitamente influendo sulla dissoluzione del blocco?

È possibile che in questi tempi l’Europa sia un’altra di quelle forze centrifughe che influiscono, indirettamente e inavvertitamente, a favore della dissoluzione del blocco?

BERNABÉ MALACALZA E JUAN GABRIEL TOKATLIAN
La situazione economica
Un altro fattore congiunturale di origine esogena influisce sul processo: la pandemia, come ulteriore sintomo di un mondo più entropico. Ilan Kelman, esperto di diplomazia dei disastri, sottolinea che questo tipo di diplomazia cerca di contenere e ridurre l’agitazione generata da grandi calamità. Pertanto, i disastri naturali o provocati dall’uomo potrebbero generare nuovi incentivi alla cooperazione. La Covid-19 è un grave disastro che sta causando danni e costi enormi alle nazioni, soprattutto in America Latina. Tuttavia, il coronavirus non ha stimolato la “diplomazia dei disastri” all’interno del Mercosur. Finora, non vi è alcuna indicazione che i suoi membri stiano considerando un’azione combinata, congiunta o collaborativa sulla risposta farmaceutica ai vaccini, per non parlare del dopo-pandemia. In breve, sembra probabile che, a meno di un serio cambiamento, Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay optino per un “gioco a somma zero”, ovvero che un giocatore ne tragga vantaggio a spese degli altri. Questo potrebbe a sua volta rafforzare l’attenzione sugli effetti deleteri della pandemia a livello nazionale, scoraggiando la collaborazione del gruppo su questioni esterne.

Oltre a questa fragilità di fronte ai cambiamenti esogeni, il Mercosur sta sperimentando la più bassa densità di legami economici e commerciali transnazionali della sua storia. Secondo la Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL), il declino del commercio intraregionale ha iniziato a manifestarsi costantemente a partire dal 2011 ed è stato bruscamente accentuato dalla crescita della domanda di prodotti primari da parte della Cina, che allo stesso tempo ha contribuito all’accelerazione di un processo di “prioritizzazione” del profilo di inserimento esterno del blocco sudamericano. A fronte di ciò, i Paesi del Mercosur non hanno generato nuove condizioni per un decollo produttivo basato su catene del valore agroindustriali o su progetti congiunti di diversificazione produttiva; ad esempio, nel campo dei satelliti, dello spazio e dell’energia nucleare, così come in quello delle biotecnologie, dove sia l’Argentina che il Brasile hanno capacità e track record riconosciuti. Al contrario, le dinamiche unilaterali e le convinzioni dogmatiche sono aumentate solo lentamente, scoraggiando i legami produttivi nella pratica, eliminando la possibilità di forgiare una coalizione di esportazione pro-Mercosur e aprendo la strada a negoziati bilaterali con gli Stati Uniti o la Cina, ad esempio. Nel contesto attuale, alcuni attori nazionali sono tentati di prendere in considerazione la possibilità di disertare: il Mercosur sarebbe allora una trappola, o peggio, un’imposizione.

Lezioni e opzioni per evitare il collasso
Come si è detto, la disciplina delle relazioni internazionali dispone di un’importante base concettuale ed empirica per spiegare il collasso delle organizzazioni internazionali. Queste analisi dimostrano la necessità di combinare spiegazioni analitiche incentrate su fattori esogeni (come i cambiamenti ambientali innescati da una transizione di potere internazionale o da una depressione economica globale) con una spiegazione incentrata sulle caratteristiche istituzionali interne. Gli shock esogeni erodono molti processi di integrazione, ma non mettono in pericolo tutte le organizzazioni internazionali allo stesso modo. In effetti, i casi di studio illustrano percorsi diversi di dissoluzione organizzativa, evidenziando così la difficoltà di formulare un’unica “grande teoria” della disintegrazione. Tuttavia, è possibile trarre alcuni insegnamenti dall’esperienza delle organizzazioni che si sono dissolte o che sono entrate in paralisi totale. I riferimenti internazionali sono fondamentali.

Una prima lezione è che un’organizzazione internazionale può soccombere allo stress ambientale di uno shock esterno se non genera sufficienti anticorpi o autodifese e se i suoi membri sono inclini a rispondere in modo atipico alle richieste di acquiescenza delle grandi potenze, come nel caso di India e Pakistan nella già citata SAARC. Le forze centrifughe del conflitto USA-Cina possono incrementare una sorta di “unilateralismo periferico concessivo”, portando ad allineamenti divergenti e a una sfiducia incontrollata tra i membri. Vi sono quindi prove sufficienti che l’internalizzazione delle rivalità globali può essere disfunzionale e contribuire a provocare, ravvivare o esacerbare i conflitti regionali e bilaterali. In questo senso, una completa divergenza in politica estera può essere controproducente, poiché alimenta coalizioni antagoniste a scapito dell’integrazione. I leader di Argentina e Brasile sono consapevoli di questa alternativa dissociativa se ciascuno decide di dimenticare la logica strategica vitale che ha permesso la creazione del Mercosur 30 anni fa?

Una totale divergenza in politica estera può essere controproducente perché alimenta coalizioni antagoniste a scapito dell’integrazione. I leader di Argentina e Brasile sono consapevoli di questa alternativa dissociativa se ciascuno decide di dimenticare la logica strategica vitale che ha permesso la creazione del Mercosur 30 anni fa?

BERNABÉ MALACALZA E JUAN GABRIEL TOKATLIAN
Una seconda lezione riguarda il rischio rappresentato dalla minore densità di legami transnazionali, dalla riduzione dell’interdipendenza economica, dall’inadeguatezza delle infrastrutture fisiche, dalla persistenza di asimmetrie non corrette, dalla scarsa volontà o capacità delle imprese di innovare e di inserirsi nelle catene del valore regionali e dalla fragilità sociale derivante dalla scarsa partecipazione dei cittadini ai progetti comuni. Ad esempio, è possibile, come sostiene l’internazionalista Andrew Moravcsik a proposito dell’UE, che anche un crollo dell’euro non comprometta l’integrazione. Tuttavia, le ripercussioni di un simile evento darebbero senza dubbio una spinta massiccia ai movimenti antieuropei in tutto il continente e richiederebbero un colossale e prolungato sforzo collettivo da parte delle élite europeiste per evitare una possibile spirale di disintegrazione.

Potrebbe accadere quest’ultima cosa con il Mercosur? Ci troviamo ora in un terreno più fertile per i contendenti del Merco e con meno incentivi per i compromessi del Merco? Vale la pena notare che il commercio bilaterale tra Argentina e Brasile è aumentato quest’anno, ma questo non sembra essere sufficiente. Gli attuali sforzi per rigenerare il tessuto produttivo regionale potrebbero risultare vani se non si considera prioritaria la creazione di una nuova narrativa di decollo produttivo centripeto, mentre si affrontano le tendenze centrifughe di un’intensa transizione di potere internazionale e di una globalizzazione economica segnata da “guerre commerciali”, dall’ascesa del protezionismo e dall’accorciamento e dalla delocalizzazione delle catene globali del valore per ragioni geopolitiche.

Infine, una terza lezione è che le oscillazioni politiche derivanti dal diverso valore che ogni governo attribuisce all’integrazione possono erodere la coesione e porre le basi per la disintegrazione. Secondo lo scienziato sociale e politico Karl Deutsch, un sistema è integrato nella misura in cui, in virtù della coesione tra i suoi membri, è in grado di far fronte alle sollecitazioni e alle tensioni, di sopportare gli squilibri e di resistere alle divisioni. L’esperienza del fallimento della Società delle Nazioni, che ha vissuto un promettente periodo di gloria tra il 1924 e il 1929, ne è un esempio. Per ragioni specifiche di ciascun Paese, i governi e l’opinione pubblica informata dei Paesi occidentali furono riluttanti a darle importanza nel periodo 1934-38, il che danneggiò gravemente l’istituzione. Il presidente Franklin D. Roosevelt, in un famoso discorso del 1937, chiese la “quarantena degli oppositori”, ma né le élite né le società lo appoggiarono.

Crediamo che un’ampia partecipazione dei cittadini – politici, imprenditori, lavoratori, ONG, sindacalisti, accademici, scienziati, comunicatori, artisti, donne, giovani, ecc. – Riteniamo che un’ampia partecipazione dei cittadini – politici, imprenditori, lavoratori, ONG, sindacalisti, accademici, scienziati, comunicatori, artisti, donne, giovani, eccetera – sia essenziale per recuperare l’ideale integrazionista argentino-brasiliano e un franco rilancio del Mercosur.

BERNABÉ MALACALZA E JUAN GABRIEL TOKATLIAN
Un processo di integrazione tende a indebolirsi senza l’unità dei Paesi che lo compongono, l’amalgama di valori condivisi, la fedeltà agli impegni acquisiti e il desiderio di sovranazionalità. C’è una consapevolezza diffusa nei Paesi del Mercosur – in particolare Argentina e Brasile – di cosa possa significare la volontà politica di preservarla e riaggiustarla? È possibile che i governi stiano facendo un passo nel vuoto abbandonando il Mercosur solo sulla base di un ragionamento ciclico e motivato dalla presunta speranza che tutti stiano meglio senza il Mercosur?

Non si tratta più di adattarsi – troppo poco, troppo tardi e troppo regolarmente – alle circostanze per permettere al Mercosur di sopravvivere semplicemente ai margini, ma piuttosto della necessità di uno sforzo, soprattutto da parte di Argentina e Brasile e a livello ufficiale, per salvare e riattivare il significato strategico di questo accordo, che è giunto al suo trentesimo anno di esistenza. In questo contesto, è urgente, come naturale complemento a ciò che i governi al potere stanno facendo, stimolare e sviluppare la diplomazia dei cittadini. Per diplomazia dei cittadini intendiamo quella in cui i gruppi non governativi proiettano innocentemente un ruolo complementare a quello dello Stato, assumono un dialogo legittimo con le varie controparti all’estero e mettono in campo alleanze innovative con le società civili di altre nazioni.

In questo momento, riteniamo che un’ampia partecipazione dei cittadini – politici, imprenditori, lavoratori, ONG, sindacalisti, accademici, scienziati, comunicatori, artisti, donne, giovani, eccetera – sia indispensabile per recuperare l’ideale dell’integrazione. – è indispensabile per il recupero dell’ideale integrazionista argentino-brasiliano e per un franco rilancio del Mercosur.

CREDITI
Questo testo è la traduzione di un articolo pubblicato su ©Política Exterior e tradotto per gentile concessione dei redattori. La versione originale è disponibile qui.

https://legrandcontinent.eu/fr/2021/09/17/le-mercosur-peut-il-se-desintegrer/

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LA DOTTRINA MORAWIECKI: IL PIANO DELLA DESTRA RADICALE POLACCA PER RIORGANIZZARE L’EUROPA, di Valentin Behr

Un discorso fondamentale, quello sostenuto nella “lectio magistralis” del premier polacco Morawiecki all’università tedesca di Heidelberg, il 20 marzo scorso. Da leggere con grande attenzione. Un vero e proprio manifesto del particolare nazionalismo conservatore, riemerso e sempre più radicato purtroppo nel mondo slavo dell’Europa Orientale, ma che ha le punte di espressione più radicale in Polonia e totalitarie e sempre più apertamente nazisteggianti in Ucraina. Un testo che lascia una impronta chiara ed inquietante della direzione che stanno prendendo progressivamente le dinamiche geopolitiche europee, soprattutto grazie all’imprimatur statunitense dato alla costruzione dell’Unione Europea e della NATO a partire dagli anni ’80 ed in particolare dalla caduta del “muro di Berlino” e dall’implosione del blocco sovietico; ma che potrebbe proseguire, come un seme avvelenato, per inerzia, anche dopo un eventuale, se pur al momento improbabile, dissolvimento o rarefazione dell’egemonia statunitense sul suolo europeo. L’intero manifesto, intriso di forzature e manipolazione ottusa delle vicende europee del novecento, è pervaso da un intento polemico apparentemente inconciliabile nei confronti della tecnocrazia della UE in nome della democrazia, resa possibile e garantita dagli stati nazionali europei, e della resistenza all’imperialismo oppressivo ed aggressivo russo. In realtà un atteggiamento antitetico polare alla visione “tecnocratica”, imprescindibile uno dall’altro, in un rapporto simbiotico indispensabile a celare e rimuovere il fondamento comune che giustifica e consente l’esistenza e la crescita di entrambe: il viatico e l’influenza diretta statunitense nelle vicende europee degli ultimi decenni.

Nelle more, una ipoteca definitiva a quel movimento federalista europeo, già sconfitto negli anni ’50 dalla componente funzionalista, il quale, benché anch’esso lautamente foraggiato anche da sponde americane, propugna il sostegno e la trasformazione della Unione Europea in una entità politica autonoma e indipendente.

La giurisdizione europea, il vincolo atlantico, i fondi strutturali, la regolazione del mercato unico sono stati le costanti sommerse che hanno sostenuto la ragione di esistenza della Unione; la guerra in Ucraina, la gestione della pandemia, l’invenzione del catastrofismo ambientale su base antropica la cartina di tornasole rivelatrice. Il manifesto potrebbe essere la pietra tombale di una Unione sempre più ridotta ad un simulacro ornamentale dai disegni statunitensi e dalla litigiosità europea.

Il documento, infatti, fonda le sue posizioni partendo da due assunti: il vicinato, nel corso dei secoli spesso proficuo e solidale, con il mondo tedesco da una parte e dall’altra con la terribile oppressione russa, in realtà sovietica, subita dall’altro versante, nel dopoguerra e incombente, a partire dagli anni ‘90, grazie al ricorrente imperialismo espansionista russo. Le contraddizioni con il primo sarebbero risolvibili facilmente con la soddisfazione dell’ennesima richiesta di risarcimento danni per i crimini compiuti nella seconda guerra mondiale in nome di una amicizia cementata dalle strette relazioni economiche e dalla avversione contro il comune nemico r(o)usso.

Il buon Morawiecki, infatti, glissa elegantemente su quegli antefatti storici scomodi e poco edificanti di una classe dirigente nel 800 tanto prona verso il dominio prussiano e asburgico, quanto romanticamente e inconcludentemente ostile verso la ottusa dominazione zarista e, nel primo dopoguerra, ad indipendenza ottenuta, così impegnata ad aggredire le repubbliche sovietiche e ad emulare, sia pure in competizione, e con il sovrappiù della millanteria propria di quella dirigenza impersonata per un buon periodo dal maresciallo Pilsudski e ancor peggio dalla pletora di formazioni politiche, le nefandezze del regime nazista, fuori e soprattutto dentro il paese; come pure sorvola sul fatto che l’influenza e il dominio sovietico in Europa Orientale non fu solo il frutto della sconfitta militare del nazismo, ma anche di aspettative di emancipazione, interne a quei paesi e, per la verità, rapidamente naufragate dopo timidi tentativi riformatori. Tentativi che conobbero, in chiave “socialdemocratica”, un ultimo sussulto anche dopo la caduta del muro di Berlino, con il timido sostegno della Germania e della Deutschbank, sino a tramontare definitivamente per ragioni interne a quei paesi e, soprattutto, con la pesante e adulante normalizzazione imposta dalla dirigenza statunitense sia in Europa Occidentale che in quella Orientale. È ormai notoria la particolare attenzione, in termini di finanziamenti ed investimenti economici oltre che militari, riservata dalla leadership statunitense, ben corroborata dal sostegno complementare di Unione Europea e Germania, alla nascente classe dirigente polacca e dei paesi baltici. È ormai altrettanto notorio che nei piani militari statunitensi è previsto un pesante intervento diretto solo in caso di crisi destabilizzanti in Italia e Polonia. Da qui il repentino e contestuale allargamento ad est della Unione Europea e della NATO sino all’interno delle vecchie frontiere della Unione Sovietica, comprensivo di installazioni militari offensive a ridosso della frontiera russa e non ostante le pesanti riserve espresse in alcuni importanti dossier depositati negli archivi della UE. Non a caso Morawiecki rivendica, con l’avvento del suo partito, il PIS, nel 2015, la svolta più coerentemente filo-NATO e russofoba affermatasi in Polonia e con essa la coerente adozione di una politica economica ordoliberista, fatta di estrema apertura al mercato e alle aziende estere, di controllo della propria moneta e di scarso welfare.

Come già precisato, l’intero documento poggia su due assunti fondamentali, sostanzialmente corretti, ma giustificati in maniera del tutto fuorviante.

  • Il valore preminente e legittimante degli stati nazionali europei è il primo. In effetti, a dispetto delle teorie che vedevano nella globalizzazione una dinamica di svuotamento e addirittura di estinzione degli stati nazionali, questi ultimi hanno confermato e riaffermato il loro ruolo preminente nelle dinamiche politiche e geopolitiche a prescindere dai regimi particolari che li reggono. Quanto al loro carattere democratico, Morawiecki dovrebbe spiegare la differenza positiva sostanziale tra tanti regimi democratici europei, con le loro limitazioni e forme di controllo e manipolazione crescenti, se non addirittura di aperta discriminazione sociale e delle minoranze etniche rispetto a quello russo.

  • Il carattere tecnocratico del governo, per meglio dire della amministrazione della UE, non è una caratteristica meramente intrinseca di quella struttura, quanto, assieme a quella lobbistica curiosamente glissata dal polacco, derivata soprattutto dal potere effettivo detenuto dal Consiglio Europeo dei capi di governo e dalla influenza diretta e stringente sulla Commissione Europea e sui leader di governo degli stati europei delle leadership statunitensi sull’onda dei vari trattati sottoscritti a partire dagli anni ‘50.

Il carattere fondante di uno stato consiste in realtà nel grado di capacità di esercitare autonomamente la propria sovranità all’interno e all’esterno dei propri confini.

Proprio quella qualità che manca in misura considerevole nelle strutture della UE, negli Stati Europei e in particolare in quelli guidati da centri decisori accecati da un nazionalismo straccione e sciovinista, impossibilitato ad agire senza la longa manus della nazione egemone.

Morawiecki ambisce a diventare il leader; è il rappresentante di punta di questo schieramento e del paese che rappresenta; non per forza propria, ma perché meglio inserito geopoliticamente e politicamente nell’onda russofoba sollevata dalle leadership statunitensi degli ultimi trentacinque anni. Con questo cerca di rompere il possibile asse tra Germania e Russia, con gli occhi del passato potenzialmente deleterio per la Polonia e senza dubbio in linea con i propositi dell’attuale dirigenza statunitense.

L’enfasi attribuita alle radici elleno-romane-cristiane, glissando volutamente su quelle dell’illuminismo della fase emergente e su quelle del particolare romanticismo che tanto ha pesato sul suo paese; l’insistenza sugli impulsi imperiali pluridecennali di una Russia in realtà impegnata in una difesa strenua della propria esistenza, a partire dallo scempio compiuto negli anni ‘90; l’asserita concordia storica con il mondo occidentale, da sancire con l’espiazione del peccato di tradimento degli accordi di Yalta, sono tutti funzionali alla creazione e al mantenimento del blocco occidentale del quale Morawiecki vorrebbe assumere la codirezione nell’agone europeo.

Morawiecki su questo si è guadagnato un altro merito. Quello di aver esplicitato la tendenza, già da tempo in atto, alla formazione in Europa di quattro sfere di influenza, delle quali una, quella mediterranea, del tutto amorfa, l’altra, quella orientale con la funzione di trascinare il resto del continente nella crescente ostilità bellicista verso la Russia e, in tempi più lunghi e modalità differenti, verso la Cina. Il modo più semplice e suicida di lasciare alla attuale leadership statunitense il compito di definire strategie ed avversari e agli europei quello di sostenere sul terreno l’onere dello scontro ai confini della Russia e indirettamente con essa nell’area mediterranea e subsahariana.

Il programma di pesante riarmo dell’esercito polacco assume questa volontà, piuttosto che essere uno strumento di deterrenza per conquistare un ruolo di mediazione e di ponte tra Europa e Russia.

Con esso, il leader polacco ha reso evidente che la Unione Europea è solo una particolare intelaiatura, un campo di azione nel quale si esercitano le attività, le rivalità e gli interessi degli stati nazionali, compresi quelli fondamentali e preponderanti degli Stati Uniti. Non un consesso in grado di garantire l’emancipazione e l’autonomia di un continente uscito prostrato e sconfitto da una guerra di ottanta anni fa.

Vive del dualismo irrisolvibile tra un federatore economico, la Germania e un federatore politico, gli Stati Uniti, del tutto disinteressato ed impossibilitato a compiere l’unificazione politica del continente o il suo assorbimento nella propria unità politica, già, per altro, di per sé problematica. Le conseguenze di questa incompatibilità cominciano ad affiorare velocemente e drammaticamente: sarà il federatore economico a capitolare e ad essere dissanguato; sarà il continente a cadere in una situazione di vassallaggio sempre più remissivo e di caos e avventurismo crescente con il progressivo eventuale allentamento delle redini. Un simulacro amministrativo sempre più appendice dell’entità politica che conta, la NATO, nemmeno più utile ad annichilire i sussulti di autonomia che sorgono ancora qui e là.

Il suo proclama pone anche un’altra questione fondamentale. Il sovranismo è un concetto politico-sociologico necessario ad affermare e confermare l’esistenza delle prerogative degli stati nazionali rispetto alla globalizzazione, alle dinamiche geopolitiche e sociopolitiche.

È una assunzione necessaria, ma del tutto insufficiente.

A seguire e collegate ad esse sono fondamentali le politiche concrete di esercizio di tale sovranità sia all’interno che all’esterno dei confini.

Su questo le politiche straccione nazionaliste e scioviniste prospettate da Morawiecki rappresentano l’antitesi ai propositi di pace nelle relazioni esterne e di giusta coesione sociale all’interno. La Polonia, purtroppo, nella sua storia, è caduta spesso tragicamente vittima delle illusioni e delle millanterie della sua classe dirigente. Non le è evidentemente bastato. Adesso sta provando a trascinare un intero continente in questo precipizio nella connivenza e nella cecità generale.

Tra i conniventi, più o meno consapevoli, per affinità ideologica e per inerzia politica, si può inserire tranquillamente e giocosamente Giorgia Meloni.

La dirigenza polacca ritiene di strumentalizzare a questi fini la stessa potenza egemone; rimarrà ancora una volta vittima delle proprie trame. È il destino delle mosche cocchiere. Buona lettura, Giuseppe Germinario

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LA DOTTRINA MORAWIECKI: IL PIANO DELLA DESTRA RADICALE POLACCA PER RIORGANIZZARE L’EUROPA
A pochi mesi dalle elezioni e a più di un anno dall’invasione dell’Ucraina, il PiS polacco ha una nuova dottrina europea. Traduciamo e commentiamo per la prima volta in francese il “discorso della Sorbona” di Mateusz Morawiecki pronunciato martedì scorso a Heidelberg. Un programma politico da studiare molto attentamente.

AUTORE VALENTIN BEHR

Questa settimana, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha tenuto un importante discorso all’Università di Heidelberg che non è stato letto abbastanza. Sulla scia dei discorsi sul futuro dell’Unione pronunciati dal presidente francese Emmanuel Macron (alla Sorbona nel settembre 2017) e dal cancelliere tedesco Olaf Scholz (all’Università di Praga nell’agosto 2022). Si tratta di un discorso importante perché, a pochi mesi dalle elezioni polacche, offre il punto di vista di un leader dell’Europa centrale, il cui Paese ha visto rafforzato il proprio ruolo politico all’interno dell’Unione dopo la guerra in Ucraina, qui descritta come una “svolta storica”. Morawiecki espone una visione delle sfide che l’Unione deve affrontare e dei modi per affrontarle, in netto e radicale contrasto con quelle proposte dai suoi omologhi francese e tedesco.

Sua Magnificenza, professor Eitel,

Primo Ministro Kretschmann,

Signore e Signori,

Cari studenti

Grazie per avermi invitato a Heidelberg. È un grande onore per me parlare qui in una delle più antiche università del continente. È un luogo che ha formato decine di generazioni di straordinari europei. Molti grandi tedeschi, naturalmente, ma anche molti polacchi. Uno di loro è stato addirittura rettore.

Heidelberg è una città bellissima, costruita e mantenuta per generazioni. Eppure questa meravigliosa città, che per molti versi è un microcosmo dell’Europa, è stata testimone di molto male, violenza, guerra e atrocità.

Oggi stanno tristemente tornando nel nostro continente.

L’Europa è a una svolta storica. Ancora più grave della caduta del comunismo. Per la maggior parte, questi cambiamenti sono stati pacifici. Oggi, quando il mondo intero è minacciato da una guerra di aggressione russa, ci ricordiamo del periodo di 70 o 80 anni fa.

Oggi voglio parlarvi di quattro questioni fondamentali per il futuro dell’Europa. Dividerò quindi il mio discorso in quattro parti.

In ognuna di queste parti affronterò quella che considero una questione fondamentale, ovvero il ruolo degli Stati nazionali.

Inizierò con un primo tema generale: 1. Cosa ci insegna oggi la storia dell’Europa.

Poi passerò a: 2. L’importanza della lotta dell’Ucraina contro la Russia e le conclusioni che possiamo trarre dalla guerra in Ucraina per l’Europa.

In seguito, affronterò una terza questione: 3. quali sono i valori europei e cosa li minaccia oggi; infine, 4. discuteremo di come l’Europa possa assumere il ruolo di leader mondiale.

Cosa ci insegna la storia dell’Europa.
Se ci chiediamo cosa può insegnarci la storia dell’Europa, vorrei iniziare parlando delle relazioni tra Polonia e Germania.

Siamo vicini da oltre undici secoli. Abbiamo vissuto, lavorato, affrontato e risolto i nostri problemi, non solo fianco a fianco, ma spesso insieme. Abbiamo fondato le nostre prime università nello stesso periodo: a Cracovia nel 1364, a Heidelberg nel 1386. Nel corso dei secoli, ci sono stati molti polacchi di origine tedesca o tedeschi di origine polacca e slava.

Origine slava.

Oggi, polacchi e tedeschi lavorano a stretto contatto dal punto di vista economico, il che crea interdipendenza.

Siamo il quinto partner commerciale della Germania, dopo Cina, Stati Uniti, Paesi Bassi e Francia. Presto saliremo al quarto posto, superando la Francia. Poi arriveremo addirittura al terzo posto.

Molti non lo sanno, ma la Russia è al 16° posto e la Polonia, insieme agli altri Paesi di Visegrad, è oggi un partner molto più importante della Cina e degli Stati Uniti. Vale la pena sottolineare l’importanza che Germania e Polonia rivestono l’una per l’altra. Sebbene abbiamo opinioni diverse su alcune questioni, condividiamo anche molti problemi comuni che devono essere superati insieme.

Morawiecki inizia ricordando l’importanza cruciale della Polonia, e più in generale dei Paesi dell’Europa centrale, come partner economico della Germania, in un contesto in cui è soprattutto la dipendenza di questo Paese (e di altri in Europa) dal gas russo ad essere stata molto commentata dall’inizio della guerra in Ucraina.

Si tratta di relativizzare il carattere presumibilmente periferico – e quindi trascurabile, nel gioco geopolitico e negli scambi economici – dell’Europa centrale rispetto all’Europa occidentale. Sull’importanza degli scambi economici (ineguali) tra i Paesi di Visegrad e i loro vicini europei, si può fare riferimento a Thomas Piketty, “2018, the year of Europe” (16 gennaio 2018).

La Polonia sta lottando ancora oggi con la crudele eredità della Seconda guerra mondiale. Dopo di essa, abbiamo perso la nostra indipendenza, la nostra libertà e più di 5 milioni di cittadini. Le città polacche erano in rovina e oltre mille villaggi furono brutalmente pacificati. Mentre la Germania occidentale ha potuto svilupparsi liberamente, la Polonia ha perso 50 anni del suo futuro a causa della Seconda guerra mondiale.

Non voglio soffermarmi troppo su questo punto nel mio discorso, ma non posso nemmeno evitarlo.

La Polonia non ha mai ricevuto dalla Germania un risarcimento per i crimini della Seconda guerra mondiale, per la distruzione e il furto dei tesori della cultura nazionale.

Dopo tutto, la piena riconciliazione tra l’autore di un crimine e la sua vittima è possibile solo quando c’è un risarcimento. In questo momento cruciale della storia europea, abbiamo bisogno di questa riconciliazione più che mai, perché le sfide che dobbiamo affrontare sono serie.

La storia dell’Europa, con la sua ferita più grande – la Seconda guerra mondiale – ha gettato il mio Paese, come molti altri, dietro la cortina di ferro per quasi mezzo secolo.

Io e i miei coetanei siamo cresciuti, siamo andati a scuola, abbiamo lavorato e studiato all’ombra dei crimini comunisti.

Milioni di giovani europei che vivevano dietro la cortina di ferro sapevano che da una parte c’era la libertà e dall’altra il colonialismo russo; la sovranità per alcuni, la dominazione imperiale per altri.

Da un lato, l’agognata Europa libera. Dall’altra, un totalitarismo barbaro; una vita sotto il tallone della Russia sovietica. Se qualcuno ci avesse detto che saremmo vissuti per vedere la fine del comunismo, non ci avremmo creduto, così come la maggior parte degli esperti occidentali sulla Russia sovietica.

Eppure è successo! Solidarność, la guerra in Afghanistan, Papa Giovanni Paolo II e la ferma posizione degli Stati Uniti nell’era Reagan hanno portato alla caduta del comunismo criminale.

Era arrivato il tempo della democrazia.

Oggi vorrei sottolineare il ruolo della sovranità dello Stato nazionale nel mantenere la libertà delle nazioni. La lotta delle nazioni schiavizzate dell’Europa centrale fu, in sostanza, una lotta per la sovranità nazionale.

Questo tema ha unito tutti i patrioti al di là dello spettro politico, perché eravamo convinti che i nostri diritti e le nostre libertà potessero essere salvaguardati solo nel contesto di Stati sovrani riconquistati.

Con questo richiamo storico, Morawiecki segue la “politica storica” sostenuta dal PiS, che consiste nel difendere la “visione polacca” della storia per rivendicare la grandezza morale in opposizione ai suoi vicini, soprattutto la Germania. Ciò si è recentemente riflesso nelle richieste del governo polacco alla controparte tedesca di riparazioni di guerra per le immense perdite umane e materiali causate dal Terzo Reich alla Polonia durante la Seconda guerra mondiale. Su questa spinosa questione, che il governo tedesco ha liquidato come giuridicamente chiusa, si veda Mateusz Piątkowski, “The legal questions behind Poland’s claim for war reparations from Germany” (Note dalla Polonia, 9 settembre 2022).

Morawiecki presenta inoltre, secondo le interpretazioni apprezzate dal suo schieramento politico, ossia la destra nazionalista e anticomunista, l’esperienza comunista in Polonia come una semplice occupazione sovietica, di fronte alla quale la società polacca si sarebbe sollevata nel suo complesso per poi liberarsi grazie alle mobilitazioni (Solidarność, Giovanni Paolo II) e al sostegno americano (Reagan). Questa visione semplicistica di una storia più complessa affonda le sue radici anche in una storia personale: il padre di Mateusz, Kornel Morawiecki (1941-2019), è stato una figura importante dell’opposizione anticomunista, fondando in particolare l’organizzazione clandestina “Solidarność Walcząca” (“Solidarietà Combattente”) a Breslavia nel 1982, durante lo stato di guerra, dopo che il sindacato Solidarność era stato messo al bando e i suoi leader arrestati.

È in virtù di questa eredità storica, quella di una nazione che ha lottato per tutta la sua storia per l’indipendenza, in particolare contro il totalitarismo nazista e sovietico nel XX secolo, che Morawiecki presenta lo Stato-nazione non solo come caro ai polacchi, ma anche come il principale garante della democrazia di fronte alle tentazioni imperialiste, un argomento che poi sviluppa in relazione all’Unione Europea.

Sulla politica storica in Polonia, rimandiamo a Valentin Behr, “Genèse et usages d’une politique publique de l’histoire. La ‘politique historique’ en Pologne”, Revue d’études comparatives Est-Ouest, vol. 46, n. 3, 2015, nonché al dossier coordinato da Frédéric Zalewski, “La ‘politique historique’ en Pologne. La mémoire au service de l’identité nationale”, Revue d’études comparatives Est-Ouest, vol. 1, n. 1, 2020.

E avevamo ragione. Questo è stato particolarmente evidente nei periodi di crisi sociale ed economica. Anche durante la recente crisi del COVID-19, abbiamo visto che Stati nazionali efficaci sono essenziali per proteggere la salute dei cittadini.

In precedenza, durante la crisi del debito, abbiamo assistito a un chiaro conflitto tra i Paesi dell’Europa meridionale, Grecia, Italia e Spagna, e le istituzioni sovranazionali che prendevano decisioni economiche per loro conto senza un mandato democratico.

In entrambi i casi, abbiamo riscontrato i limiti della governance sovranazionale in Europa.

In Europa, niente potrà garantire la libertà delle nazioni, la loro cultura, la loro sicurezza sociale, economica, politica e militare meglio degli Stati nazionali. Altri sistemi sono illusori o utopici.

Possono essere rafforzati da organizzazioni intergovernative e anche parzialmente sovranazionali, come l’Unione Europea, ma gli Stati nazionali europei non possono essere sostituiti.

Menzionando la crisi del debito sovrano e la crisi di Covid-19 nella sua professione di fede in un’Europa delle nazioni, Mateusz Morawiecki sembra dimenticare di sfuggita gli ingenti fondi di recupero istituiti a livello europeo per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. Il versamento di questi fondi alla Polonia è stato oggetto di un braccio di ferro con la Commissione europea, che ha cercato di usarli come leva per indurre il governo polacco a fare marcia indietro su alcune riforme del sistema giudiziario, accusate di minare lo Stato di diritto. Più fondamentalmente, la sua denuncia di “istituzioni sovranazionali” che operano “senza un mandato democratico” solleva l’annosa e ricorrente questione del rispetto da parte degli Stati membri dei trattati che hanno firmato e ratificato – in particolare con un referendum quando la Polonia ha aderito all’Unione Europea nel 2004. Questo tema è al centro del resto del discorso, quando si parla di valori europei e del futuro dell’Unione.

L’Europa è nata molto prima della Repubblica americana, la cui unità è stata forgiata anche attraverso la guerra civile. Ecco perché è fuorviante fare riferimento a questa analogia storica.

Qualsiasi sistema politico che non rispetti la sovranità altrui, la democrazia o la volontà fondamentale della nazione, prima o poi porta all’utopia o alla tirannia.

È stata l’Europa cristiana a dare vita a una civiltà più rispettosa della dignità umana di qualsiasi altra. Questa civiltà merita di essere protetta. Soprattutto di fronte a civiltà dal cuore duro e sempre più forti, per le quali i valori democratici e liberali non hanno alcuna importanza. Vogliamo costruire un’Europa forte per affrontare le sfide globali del XXI secolo.

Sono le dimensioni dell’Unione europea a renderla una forza significativa nel mondo, non il suo sistema decisionale sempre più incomprensibile. Abbiamo bisogno di un’Europa forte grazie ai suoi Stati nazionali, non di un’Europa costruita sulle loro rovine. Un’Europa del genere non sarà mai forte, perché il potere politico, economico e culturale dell’Europa deriva dall’energia vitale fornita dagli Stati nazionali.

Le alternative sono o un’utopia tecnocratica, che alcuni a Bruxelles sembrano prospettare, o un neo-imperialismo, già screditato dalla storia moderna.

La lotta delle nazioni europee per la libertà non si è conclusa nel 1989. Il nostro confine orientale ne è la migliore testimonianza.

2. Vorrei ora soffermarmi su una questione di vitale importanza per l’Europa: l’Ucraina.

Discuterò l’importanza della lotta dell’Ucraina dal punto di vista dei nostri comuni valori europei. Inoltre, esporrò le conclusioni che dovremmo trarre.

Per cosa combattono davvero gli ucraini oggi? Per cosa sono disposti a rischiare la vita? Perché non si sono arresi immediatamente al secondo esercito più potente del mondo?

La lotta ucraina per il diritto all’autodeterminazione nazionale è un’altra eroica manifestazione di difesa dello Stato nazionale e della libertà. Ma per avere la volontà di combattere, bisogna credere davvero in ciò per cui si combatte.

Oggi gli ucraini non combattono solo per la propria libertà. Dal 24 febbraio 2022, combattono quotidianamente anche per la libertà di tutta l’Europa. Ed è anche il nostro futuro che dipende dall’esito di questa guerra. La sconfitta dell’Ucraina sarebbe la sconfitta dell’Occidente. Anzi, dell’intero mondo libero. Una sconfitta più grande di quella del Vietnam. Dopo una tale sconfitta, la Russia tornerebbe a colpire impunemente e il mondo come lo conosciamo cambierebbe radicalmente. Seguirebbe una lunga serie di pericolose incursioni nell’ignoto. La sconfitta del mondo libero probabilmente incoraggerebbe Putin, proprio come l’acquiescenza degli anni Trenta incoraggiò Hitler.

Morawiecki descrive la lotta ucraina contro gli invasori russi come una lotta civile e politica, con implicazioni che vanno oltre questo conflitto: Gli ucraini stanno combattendo “per la nostra libertà e per la vostra”, per citare uno slogan polacco (“za wolność naszą i waszą”) formulato nel XIX secolo durante le insurrezioni antitsariste, poi ripreso dai combattenti polacchi durante la Seconda guerra mondiale, e che dal 24 febbraio 2022 è tornato di attualità, in particolare nei discorsi ufficiali polacchi e ucraini.

Al di là del simbolismo, si riferisce anche a un immaginario collettivo diffuso nelle società dell’Europa centrale e orientale che temono di essere sacrificate dagli alleati occidentali alla Russia: è il mito di Yalta come “tradimento degli alleati”, da cui le molteplici associazioni nel discorso di Mateusz Morawiecki tra Putin, Hitler e Stalin.

Anche Putin, come Hitler all’epoca, gode di un enorme sostegno pubblico. Non è esagerato dire che siamo di fronte alla minaccia di una terza guerra mondiale. Per evitare questo esito, dobbiamo smettere di alimentare la bestia.

La storia si sta svolgendo sotto i nostri occhi.

Quando i nostri figli leggeranno i libri di scuola, si chiederanno se abbiamo fatto abbastanza per garantire loro un futuro di pace. Abbiamo pensato a loro e al bene a lungo termine dei nostri Paesi o solo alla comodità a breve termine e a rimandare le decisioni difficili a dopo?

Abbiamo imparato dagli errori del passato o continueremo a ripeterli?

Ecco alcune osservazioni su questo punto:

2.1 Perché l’Ucraina è un punto di svolta nella storia europea?

Fino al 24 febbraio avevo sentito dire che Putin non avrebbe attaccato l’Ucraina.

Molti politici europei hanno preferito credergli, sperando che fosse possibile continuare il “Wandel durch Handel” con la Russia a spese dell’Europa centrale.

In questo contesto, torniamo alla domanda: perché gli ucraini combattono? Se fossero interessati solo ai beni materiali e non fossero uniti dal senso di comunità, si sarebbero arresi molto tempo fa.

È su questo che Putin contava. Pensava che gli ucraini avrebbero scelto la pace piuttosto che la libertà. Ma si sbagliava. Qual è stato l’errore del Cremlino? Putin non è un pazzo, come molti di coloro che hanno fatto affari con lui negli ultimi 20 anni vorrebbero far credere. Putin è stato accecato dalla sua visione del mondo. Non ha capito che gli ucraini erano una nazione.

E ora che finalmente hanno il loro Stato nazionale – anche se è tutt’altro che perfetto – sono disposti a sacrificare le loro vite per esso.

La propaganda russa sostiene che non esiste una nazione ucraina separata. Conosciamo tutti il detto: “se i fatti non corrispondono alla teoria, cambia i fatti”. Ecco perché la Russia sta cercando di spiegare agli ucraini, con la forza, che non hanno diritto a un’identità nazionale.

Eppure, sono i nipoti dei soldati che oggi rischiano la vita per un’Ucraina libera che un giorno diranno con orgoglio a scuola: “Mio nonno ha combattuto vicino a Kherson!”, “E i miei hanno respinto l’assalto a Kiev!”, o “Mio nonno è morto a Mariupol”.

E i soldati di oggi, questi futuri nonni, sanno che stanno combattendo anche perché i loro nipoti possano vivere in un Paese libero. Ricordiamo: Una nazione è una comunità di vivi, morti e non nati.

Oggi l’Europa è testimone di crimini commessi in nome di un’ideologia antinazionale. Questo è ciò che motiva Putin: la volontà di eliminare tutte le differenze, di distruggere tutte le identità nazionali e di fonderle nel grande impero russo.

La propaganda russa non ha mai smesso di accusare falsamente gli ucraini di fascismo.

Questo è esattamente ciò che disse Stalin: “Chiamate i vostri avversari fascisti o antisemiti”. È sufficiente ripetere questi epiteti abbastanza spesso.

Bisogna dirlo chiaramente: un fascista è qualcuno che vuole distruggere altre nazioni. È qualcuno che viola i diritti umani e calpesta la dignità umana. Il fascista oggi è Vladimir Putin e tutti i complici dell’aggressione russa. Come europei, abbiamo il dovere di opporci al fascismo russo. Questa è l’identità europea.

Ora…

2.2 Quali lezioni possiamo trarre dalla guerra in Ucraina?

Gli ucraini di oggi ci ricordano cosa dovrebbe essere l’Europa. Ogni europeo ha diritto alla libertà e alla sicurezza individuale. Ogni nazione ha il diritto di prendere decisioni fondamentali sul futuro del proprio territorio.

La democrazia può essere attuata a livello comunale, regionale o nazionale, ovunque vi siano legami basati su un’identità comune. Pertanto, una votazione in cui 140 milioni di russi votassero “a favore” dell’incorporazione dell’Ucraina alla Russia e 40 milioni di ucraini votassero “contro” non sarebbe democratica, no?

Quali altre lezioni si possono trarre da oltre un anno di guerra in Ucraina? Una cosa mi è chiara: la politica di “fare accordi” con la Russia è fallita.

Chi per decenni ha voluto un’alleanza strategica con la Russia e ha reso i Paesi europei dipendenti da essa per l’energia, ha commesso un terribile errore. Coloro che hanno messo in guardia dall’imperialismo russo e hanno ripetutamente affermato che non ci si poteva fidare della Russia avevano ragione.

Coloro che per molti anni hanno finanziato i preparativi bellici della Russia, disarmato l’Europa e imposto ai più deboli una partnership con la Russia, sono corresponsabili politicamente della guerra in Ucraina e degli attuali problemi economici ed energetici di centinaia di milioni di europei.

Putin si è comportato come uno spacciatore che dà la prima dose gratis, sapendo che il tossicodipendente tornerà più tardi e accetterà qualsiasi prezzo. Putin è astuto, ma non è brillante. Se l’Europa ha ceduto a lui così facilmente, è soprattutto a causa della sua debolezza.

Questa debolezza è il perseguimento di interessi particolari a spese di altri Paesi.

Se le singole nazioni dell’Unione Europea cercano di dominare le altre, l’Europa rischia di ricadere negli stessi errori del passato. E tutte le decisioni prese per fermare l’aggressore russo possono essere nuovamente ribaltate. Questo accadrà se alcuni dei Paesi più grandi decideranno che per le loro élite è più redditizio fare affari con il Cremlino, anche a costo del sangue. Oggi è il sangue ucraino. Domani potrebbe essere sangue lituano, finlandese, ceco, polacco, ma anche tedesco o francese… Dobbiamo evitare che questo accada”.

Morawiecki sviluppa qui il nucleo della sua argomentazione sul conflitto in Ucraina, presentando il punto di vista di un leader dell’Europa centrale per il quale la guerra riflette e deriva dalla cecità dei principali leader europei nei confronti della Russia di Putin.

La politica precedentemente denunciata del Wandel durch Handel (o “commercio morbido”), che si basa sullo scambio economico per provocare un cambiamento politico nei regimi autoritari, ha i suoi limiti in questo caso. Se la dipendenza di diverse economie europee dal gas russo riguarda anche la Polonia e i Paesi dell’Europa centrale, i gasdotti del Mar Baltico che collegano la Germania direttamente alla Russia (NordStream) hanno dato l’impressione che gli Stati dell’Europa centrale e orientale siano stati sacrificati agli interessi economici tedeschi. Ciò convalida tragicamente gli avvertimenti di lunga data di diversi leader politici della regione, compresi quelli del PiS.

Oggi, 3. Queste lezioni dovrebbero indurci a porre la domanda fondamentale: quali sono i valori europei e cosa li minaccia? Mi concentrerò ora su questa terza “grande domanda”.

In termini di prosperità materiale, viviamo nei tempi migliori. Ma questa prosperità ha ucciso il nostro spirito? Ci interessa ancora ciò per cui viviamo? Saremmo pronti a difendere le nostre case, i nostri cari, la nostra nazione, se venissero attaccati?

Questa tensione tra il regno dello spirito e quello della materia non è nuova. Dopotutto, ci troviamo nell’università in cui Hegel era professore. In letteratura, pochi hanno affrontato questo problema come il grande Thomas Mann, “la coscienza della Germania” all’epoca dei crimini nazisti tedeschi. Gli eroi di Mann aspirano a un significato più alto della vita, non solo all’accumulo di beni e al loro consumo.

Negli ultimi decenni, molti europei sono arrivati a credere che il consumo, cosparso di affermazioni superficiali sui “valori europei”, sia la fase finale della storia. Noi ci opponiamo a questo approccio. Colpire gli altri con la frusta dei “valori europei” senza concordare sulla loro definizione o capire quali cambiamenti devono essere apportati dagli Stati europei è autodistruttivo, nel senso di Thomas Mann.

In passato, il simbolo dell’Europa era l’antica agorà. Un luogo in cui ogni cittadino poteva esprimersi su un piano di parità. Oggi l’agorà europea è troppo spesso sostituita dagli uffici delle istituzioni di Bruxelles, dove le decisioni vengono prese a porte chiuse.

Come disse una volta un politico europeo a proposito del meccanismo delle istituzioni europee: “Decretiamo qualcosa… Se non ci sono proteste perché la maggior parte delle persone non capisce cosa è stato attuato, continuiamo passo dopo passo – fino al punto di non ritorno”.

La strada per trasformare l’UE in un’autocrazia burocratica è breve.

Oltre alle nuove circostanze geopolitiche, si sta decidendo anche il destino dell’Unione europea. Sarà una comunità democratica o una macchina burocratica e una struttura centralizzata?

La politica è sempre una questione di scelte. Ma questa scelta deve essere fatta alle urne, non nell’intimità degli uffici dei burocrati. Vogliamo davvero un’élite cosmopolita paneuropea con un potere immenso ma senza mandato elettorale?

Il discorso si orienta verso il dibattito sui “valori europei”, che è valso alle cosiddette democrazie “illiberali” di Polonia e Ungheria una procedura di infrazione contro lo Stato di diritto, avviata ai sensi dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Mateusz Morawiecki denuncia questa procedura, criticando al contempo un’élite “cosmopolita” e burocratica, in un filone simile a quello di altri discorsi euroscettici. La sua argomentazione riecheggia quella del filosofo Ryszard Legutko, europarlamentare del PiS, il cui libro The Demon in Democracy. Totalitarian Temptations in Free Societies (Encounter Books, 2016; tradotto in francese come Le diable dans la démocratie. Totalitarian Temptations in the Heart of Free Societies, Éditions de l’Artilleur, 2021) è stato ampiamente diffuso nelle reti conservatrici internazionali, in Europa e negli Stati Uniti.

Metto in guardia tutti coloro che vogliono creare un superstato governato da una ristretta élite. Se ignoriamo le differenze culturali, il risultato sarà l’indebolimento dell’Europa e una serie di rivolte, forse anche una nuova Primavera delle Nazioni come quella del 1848.

All’epoca, i tedeschi fecero un notevole sforzo per costruire uno Stato unito e moderno. Dovettero aspettare vent’anni per ottenere risultati politici, ma furono vittoriosi. Oggi ci troviamo di fronte a un dilemma simile. Se i leader europei, come gli aristocratici di Metternich dell’epoca, preferiscono il potere elitario e l’imposizione dei loro valori dall’alto, alla fine incontreranno resistenza. Può arrivare prima o poi, ma è inevitabile.

Vale la pena tornare alla domanda di fondo: quali sono i valori europei?

E soprattutto: cos’è l’Europa? La sua storia non è iniziata qualche decennio fa. L’Europa ha più di due millenni. L’Europa si nutre dell’eredità degli antichi greci, dei romani e del cristianesimo. Queste sono le nostre radici, da cui cresciamo e da cui non possiamo staccarci.

Morawiecki promuove una visione dell’Europa come civiltà, una base culturale comune con una storia secolare. Ciò fa eco a una critica della storia ufficiale europea diffusa in Europa centrale, che viene criticata per aver presentato una storia che sopravvaluta l’eredità dell’Illuminismo e stigmatizza le nazioni, a scapito dell’eredità dell’antichità greco-romana e del cristianesimo. Cfr. Piattaforma della Memoria e della Coscienza Europea, “La Casa della Storia Europea. Relazione sull’esposizione permanente”, 30 ottobre 2017.

Una visione simile dell’Europa come identità e patrimonio culturale si ritrova nella destra conservatrice. Pur non essendo una novità, si tratta di una concezione dell’Europa su cui il governo polacco cerca di basare la sua visione di un’Europa delle nazioni, in contrapposizione a un’Europa federale. Si possono citare le riflessioni dello storico belga David Engels, professore all’Instytut Zachodni di Poznan, tra cui il suo “Preambolo di una Costituzione per una Confederazione di Nazioni Europee”, nonché il libro da lui diretto: Renovatio Europae. Plaidoyer pour un renouveau hespérialiste de l’Europe, Éditions du Cerf, 2019.

Non c’è Europa senza cattedrali gotiche o edifici universitari. L’Europa ha sempre volato sulle ali della fede e della ragione. E il modello di istruzione universitaria creato in Europa si è diffuso in tutto il mondo.

Questo è accaduto perché l’università europea era uno spazio di discussione e di confronto tra idee opposte, l’ambiente più favorevole alla scoperta della verità.

In Europa non dovrebbe esserci spazio per la censura o l’indottrinamento ideologico. Lo abbiamo già sperimentato in passato, quando le autorità comuniste ci dicevano cosa pensare. Lo hanno sperimentato anche i tedeschi ai tempi di Hitler, quando i libri degli autori liberi di pensare venivano bruciati.

L’Europa dovrebbe essere una cattedrale del bene e un’università della verità.

Anche in questo caso, va sottolineato che i vari divieti, le decisioni arbitrarie su ciò che può o non può essere presentato all’interno delle mura universitarie e la correttezza politica minano l’eterna missione dell’accademia, ossia la ricerca della verità.

Anche in questo caso ritroviamo una retorica comune alla destra e all’estrema destra, intorno alla denuncia della “correttezza politica” e, più recentemente, del “wokismo”, che costituirebbero minacce alla libertà di espressione, messe qui sullo stesso piano degli autodafé nazisti. A parte la grossolana esagerazione, va notato che, ironia della sorte, sono proprio i governi polacco e ungherese ad aver messo in atto politiche che hanno portato alla riduzione delle opportunità di espressione per i gruppi minoritari (in particolare LGBT) e ad aver condotto campagne contro l'”ideologia di genere”, in particolare nell’istruzione superiore. Si veda David Paternotte e Mieke Verloo, “De-democratization and the Politics of Knowledge: Unpacking the Cultural Marxism Narrative”, Social Politics: International Studies in Gender, State & Society, vol. 29, n. 3, 2021.

Inoltre, questi discorsi hanno alcune convergenze con quelli di Vladimir Putin, che viene eretto a eroe “anti-sveglio” celebrato da una parte della destra trumpista americana. L’argomentazione di Morawiecki a favore dei valori europei “democratici” e “liberali” trova qui i suoi limiti pratici, poiché l’ideologia nazional-conservatrice del suo schieramento politico è l’antitesi dei valori europei, come definiti nell’articolo 2 del TUE: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

Così come proteggiamo il nostro patrimonio materiale, dovremmo proteggere anche il nostro patrimonio spirituale, che consiste in decine di tradizioni culturali e linguistiche diverse. La forza dell’Europa nel corso dei secoli è stata la sua diversità. Condividiamo valori comuni, ma ogni nazione ha la propria identità.

Gleichschalten, uravnilovka, è una strada che non porta da nessuna parte.

Germania e Francia sono due attori centrali in Europa.

Nei 75 anni tra il 1870 e il 1945 hanno combattuto tre guerre e solo dopo l’ultima si sono riconciliate.

Questa riconciliazione sta ora dando i suoi frutti nella speciale relazione politica tra Berlino e Parigi. Questa particolare sensibilità reciproca alle logiche e alle sensibilità delle due capitali è nata da un passato tragico.

Nell’interesse dell’equilibrio europeo, ma anche a causa di un passato molto più tragico, è necessario lo stesso modello di sensibilità reciproca alle logiche e agli interessi di Varsavia. Oggi, a Varsavia non avvertiamo questa sensibilità.

Le basi per questa riconciliazione sono state gettate da due grandi europei, Charles de Gaulle e Konrad Adenauer. Entrambi volevano costruire una pace duratura in Europa.

Essi compresero che il rispetto reciproco e la conoscenza delle radici dell’altro erano i presupposti per la cooperazione. Il Cancelliere Adenauer disse: “Se ora ci allontaniamo dalle fonti della nostra civiltà europea, nata dal cristianesimo, è impossibile per noi non fallire nei nostri sforzi di ricostruire l’unità della vita europea. Questo è l’unico modo efficace per mantenere la pace”.

Anche il generale de Gaulle era profondamente consapevole del grande patrimonio culturale dell’Europa e degli orrori della “guerra interna”. De Gaulle disse: “Dante, Goethe, Chateaubriand appartengono all’Europa in quanto erano rispettivamente ed eminentemente italiani, tedeschi e francesi. Non sarebbero stati molto utili all’Europa se fossero stati apolidi e se avessero pensato e scritto in una sorta di Esperanto o Volapük.

La nostra identità di base è l’identità nazionale. Io sono europeo perché sono polacco, francese o tedesco, non perché rinnego la mia poligonalità o germanizzazione.

L’odierno tentativo europeo di eliminare questa diversità, di creare un uomo nuovo, sradicato dalla sua identità nazionale, equivale a tagliare le radici e a segare il ramo su cui siamo seduti.

Attenzione: possiamo cadere facilmente – culture forti e dure dittature in altre parti del mondo non aspettano altro. Sarebbero certamente felici di vedere l’Europa cadere nell’insignificanza.

Vorremmo che tutti gli europei dimenticassero le loro lingue e parlassero solo il Volapük? Io non lo vorrei.

Alcuni cercano di negare il contributo dell’Europa allo sviluppo del mondo perché vedono solo il lato oscuro della storia. In effetti, i Paesi responsabili dello sfruttamento, del colonialismo, dell’imperialismo e di crimini terribili – come il nazismo tedesco e il comunismo russo, come i crimini commessi nelle colonie – devono fare ammenda per il proprio passato.

Questo fa parte del nostro DNA europeo: la ricerca della verità e della giustizia. Ma l’Europa storica non è solo fonte di vergogna per noi. Lo sviluppo scientifico e la straordinaria prosperità di oggi sono, si potrebbe dire, il frutto dell’Europa.

La via da seguire per l’Europa non è nemmeno la “mondializzazione politica”. Essa deve basarsi sulla propria diversità. Il tentativo di unificare artificialmente l’Europa in nome dell’abolizione delle differenze nazionali e politiche porterà in pratica al caos e al conflitto tra gli europei.

È la cooperazione combinata con la competizione il modo migliore per l’Europa di avere successo nel mondo globale.

Milioni di persone provenienti da tutto il mondo visitano ogni anno Parigi, Roma, Colonia, Madrid, Cracovia, Londra o Praga. La ricchezza di queste belle città e il loro potere di attrazione risiedono nel fatto che ognuna di esse ha una propria identità.

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Non vogliamo un’Europa che dia un ultimatum: rinunciate volontariamente alla vostra nazionalità o eserciteremo su di voi ogni tipo di pressione politica ed economica.

La Polonia ha accolto milioni di rifugiati negli ultimi mesi. Gli ucraini hanno trovato rifugio da noi. La nostra concezione dei valori europei comprende certamente il sostegno al vicino in difficoltà. Tuttavia, abbiamo ricevuto solo un aiuto minimo. In questo contesto, vediamo differenze di trattamento tra Paesi che si trovano nella stessa situazione, il che è la definizione stessa di discriminazione.

Mentre la Polonia è stata in prima linea nel fornire armi all’Ucraina e nell’accogliere i rifugiati ucraini, il che ha contribuito ad appianare le sue divergenze con la Commissione europea, l’Ungheria di Viktor Orban sta lottando per prendere le distanze da Putin. L’enfasi posta da Mateusz Morawiecki sull’accoglienza dei rifugiati ucraini in Polonia non deve far dimenticare che, pochi mesi prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il governo polacco si era fatto un nome per la sua intransigenza poco ospitale (e poco cristiana, si sarebbe tentati di aggiungere) quando i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa centrale si ammassavano al confine tra Polonia e Bielorussia.

Vietando l’accesso ai media e alle ONG nella zona di confine – le stesse ONG che ora svolgono un ruolo centrale nell’accoglienza dei rifugiati ucraini – e praticando il metodo del “respingimento”, il governo polacco si è posto ancora una volta in contrasto con i trattati europei. Alla luce di questa politica dei rifugiati a due livelli, che distingue tra europei e non europei, cristiani e musulmani, il seguente passaggio sulla “discriminazione” di cui la Polonia sarebbe vittima è indecente.

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La Polonia subisce questa discriminazione anche a causa di una totale mancanza di comprensione delle riforme che un Paese emergente dal post-comunismo doveva intraprendere; a causa del coinvolgimento delle istituzioni europee nei conflitti interni di uno Stato membro con lo slogan di “difendere lo Stato di diritto”.

Vorrei sottolineare che in Polonia abbiamo la stessa concezione del termine “Stato di diritto” che abbiamo in Germania. E ci sono poche cose di cui sono sicuro come il fatto che il mio schieramento politico difende il vero Stato di diritto in misura molto maggiore rispetto ai primi 25 anni dopo il 1989.

Combatte contro l’oligarchia, contro il dominio delle corporazioni professionali chiuse, contro la povertà e contro la corruzione. Protegge la Polonia da questi mali. Ma poiché questo non è l’argomento principale della mia discussione, mi fermo qui.

Morawiecki giustifica qui le famose riforme del sistema giudiziario e della magistratura che sono valse alla Polonia una procedura di infrazione dello Stato di diritto.

Possiamo ricordare brevemente le principali misure adottate dal governo polacco dal 2015, che sono tutt’altro che aneddotiche poiché minano la separazione dei poteri: nomine di fedelissimi del PiS alla Corte costituzionale; nomina di membri del Consiglio giudiziario nazionale (competente per la nomina dei giudici) sotto il controllo del Parlamento; pensionamento forzato dei giudici della Corte suprema; licenziamento di oltre 150 presidenti e vicepresidenti di tribunale da parte del ministro della Giustizia; istituzione di una nuova camera disciplinare per i giudici della Corte suprema, i cui membri sono selezionati dal Consiglio nazionale della magistratura; avvio di procedimenti disciplinari contro i giudici che applicano alcune disposizioni del diritto europeo o che sottopongono questioni preliminari alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).

La CGUE ha ripetutamente condannato queste riforme, che continuano a essere utilizzate per trasferire o licenziare i giudici. Cfr. Johannes Vöhler, “I ‘casi polacchi’ e la giurisprudenza sullo Stato di diritto della Corte di giustizia dell’Unione europea”, Europa dei diritti e delle libertà, marzo 2022/1, n. 5.

Inoltre, recenti sentenze della Corte costituzionale hanno stabilito che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il Trattato sull’Unione europea sono solo parzialmente compatibili con la Costituzione polacca. Questa sfida al principio del primato del diritto dell’UE mina la struttura giuridica su cui si fonda l’integrazione europea.

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In un senso più profondo, il conflitto odierno è tra sovranità statale e sovranità istituzionale; tra il potere democratico del popolo alla base e l’imposizione del potere dall’alto da parte di una ristretta élite.

Nei duemila anni di esistenza dell’Europa, nessuno è mai riuscito a subordinare politicamente l’intero continente. Non funzionerà nemmeno oggi.

La visione di un’Europa centralizzata finirà esattamente come il concetto di fine della storia annunciato 30 anni fa. Prima ci allontaniamo da questa visione e accettiamo la democrazia come fonte legittima di potere in Europa, migliore sarà il nostro futuro.

A proposito, non c’è nessuna fine della storia. La storia accelera e porta sfide di proporzioni illimitate.

L’opposizione tra la sovranità degli Stati e quella delle istituzioni europee, tra il voto democratico del popolo e l’élite cosmopolita, riflette una concezione minimalista della democrazia, come quella difesa da Viktor Orban. Una democrazia puramente formale in cui conta solo la volontà della maggioranza espressa attraverso le elezioni, senza pesi e contrappesi, senza gerarchie di norme e senza libertà fondamentali che possano essere opposte alla volontà dei governanti che, in questa concezione della democrazia, non hanno nulla che impedisca loro di trasformarsi in tiranni.

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Purtroppo, gran parte dell’attuale élite europea opera in una realtà alternativa.

Se le élite dell’UE si ostinano a difendere la visione di un superstato centralizzato, saranno contrastate da un numero maggiore di nazioni europee. Quanto più si ostinano, tanto più feroce sarà la ribellione. Non voglio polarizzazione, divisione e caos; voglio un’Europa forte e competitiva.

4. Passiamo ora all’ultima grande questione: come può l’Europa diventare un polo importante nella corsa alla leadership globale?

Innanzitutto, le politiche dell’Unione devono cambiare. Non nella direzione di una maggiore centralizzazione e di un trasferimento di potere a poche istituzioni chiave e ai Paesi più forti, ma verso il rafforzamento dell’equilibrio di potere tra i popoli del Nord, dell’Ovest, del Centro, dell’Est e del Sud dell’Europa, e per completare l’integrazione dell’UE con i Balcani occidentali, l’Ucraina e la Moldavia, in linea con i confini geografici dell’Europa.

È necessario chiedersi: quanto seriamente prendiamo la questione della costruzione di un’Unione europea forte e influente?

Oggi l’europeismo si esprime nella visione dell’allargamento, non nell’attenzione a noi stessi e alla centralizzazione dell’UE.

Curiosamente, i Paesi che amano presentarsi come europeisti e proporre un’integrazione ad alta velocità sono allo stesso tempo i più scettici nei confronti della politica di allargamento e giocano a poker politico.

Non dovremmo parlare dei valori che uniscono l’UE dividendo l’Europa in coloro che meritano di farne parte e coloro a cui è negato l’accesso.

Un mercato comune più ampio e la diversità delle sue risorse economiche ci renderebbero un forte attore globale.

Spesso sento dire che l’UE ha bisogno di riforme per allargarsi. Molto spesso si tratta di una proposta mascherata di federalizzazione e, di fatto, di centralizzazione.

Infatti, lo slogan della “federalizzazione” è una concentrazione del processo decisionale imposta dall’alto.

Secondo gli autori di questa centralizzazione chiamata “federalizzazione”, il processo decisionale deve passare dall’unanimità alla maggioranza qualificata in una serie di nuovi settori. L’argomento a favore di questa soluzione è che sarà difficile ottenere l’unanimità di più di 30 Paesi.

È vero che è più difficile ottenere un parere unificato all’interno di un gruppo più ampio di Stati. Tuttavia, la domanda è: dobbiamo pensare che le decisioni debbano essere prese dalla maggioranza, contro gli interessi della minoranza?

Mateusz Morawiecki sostiene un riequilibrio geopolitico dell’Unione a favore degli Stati dell’Europa centrale e orientale, giustificato dalla guerra in Ucraina e dalla prospettiva (ancora molto ipotetica) di un’adesione di questi ultimi all’Unione. Questa posizione si accompagna a una messa in discussione dei progetti di federalizzazione (“centralizzazione”), come quelli avanzati da Scholz e Macron con l’idea di abbandonare il voto all’unanimità in alcuni settori – a favore di una concezione opposta, quella di un’Unione più intergovernativa, ancora una volta in nome della sovranità degli Stati nazionali, presumibilmente democratica.

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Ho un’altra proposta da fare: asteniamoci dall’invadere questioni in cui l’interesse nazionale rimane diviso. Facciamo un passo indietro per farne due avanti. Concentriamoci sui settori in cui il Trattato di Roma ha attribuito all’Unione la competenza e lasciamo che il resto sia guidato dal principio di sussidiarietà.

Da diversi decenni osserviamo il processo di “spill-over” delle competenze dell’UE in nuovi settori. In molti Stati membri viene valutato criticamente. Tuttavia, di recente ha subito un’accelerazione.

La questione della misura in cui gli Stati rimangono “padroni del trattato”, come ha detto una volta la Corte costituzionale di Karlsruhe, è ancora più rilevante oggi.

Pertanto, se l’UE vuole apportare modifiche al suo processo decisionale che abbiano legittimità democratica e permettano la fiducia reciproca, gli Stati membri devono riacquistare la loro piena autorità sui trattati.

Non possono abbandonare il potere decisionale al “quartier generale di Bruxelles” e alle “coalizioni di potere”.

In altre parole, rivediamo i settori di competenza di Bruxelles e, guidati dal principio di sussidiarietà, ripristiniamo un maggiore equilibrio. Più democrazia, più consenso, più equilibrio tra gli Stati e le istituzioni europee. Riduciamo il numero di aree di competenza dell’UE; allora l’Unione, anche con 35 Paesi, sarà più facile da navigare e più democratica.

Più centralizzazione significa più errori. È stato un errore non ascoltare le voci dei Paesi che avevano ragione su Putin. Questo dà potere a persone come Gerhard Schroeder, che ha reso l’Europa dipendente dalla Russia e ha messo l’intero continente a rischio esistenziale”.

Morawiecki si riferisce al ruolo svolto dall’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder che, dopo la fine della sua carriera politica, ha assunto la direzione del consorzio incaricato della costruzione del gasdotto NordStream ed è entrato nel consiglio di amministrazione della società russa Gazprom.

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Un esempio: solo pochi mesi fa, nel giugno 2021, si parlava di celebrare la riunione del Consiglio europeo con Vladimir Putin. Come se per allora non ci fosse stata alcuna azione aggressiva da parte della Russia. Dove saremmo senza l’opposizione di Polonia, Finlandia e Stati baltici? Se l’unanimità fosse stata rifiutata?

La politica estera polacca – in questo contesto – è decisa in elezioni democratiche dai cittadini polacchi – persone per le quali un vicino aggressivo è un problema reale. Non si tratta di persone che vivono a migliaia di chilometri di distanza e che vedono la Russia solo attraverso il prisma delle opere di Pushkin, Tolstoj o Tchaikovsky.

Oggi non basta parlare di ricostruzione dell’Europa. Dobbiamo parlare di una nuova visione dell’Europa. In modo che la pace e la sicurezza diventino le basi sostenibili dello sviluppo nei decenni a venire.

Se gli ultimi mesi possono essere considerati un successo, è certamente grazie alla cooperazione nel campo della sicurezza.

La cooperazione transatlantica e la NATO in particolare hanno dimostrato di essere la più efficace alleanza di difesa disponibile. Senza il coinvolgimento degli Stati Uniti e – forse – della Polonia, l’Ucraina oggi non esisterebbe.

La NATO, che presto sarà rafforzata dall’adesione di Finlandia e Svezia, è essenziale per la sicurezza dell’Europa. Deve essere rafforzata e sviluppata. Allo stesso tempo, dobbiamo sviluppare le nostre capacità di difesa. Questo è ciò che sta facendo la Polonia. Stiamo costruendo un esercito moderno, non solo per difenderci, ma anche per aiutare i nostri alleati. Stiamo spendendo fino al 4% del PIL per la difesa, il che è possibile solo grazie alle riparazioni delle finanze pubbliche dopo i buchi lasciati dai nostri predecessori. E proponiamo che la spesa per la difesa non sia inclusa nel criterio del Trattato di Maastricht che prevede un limite del 3%.

L’Europa si è disarmata; oggi non ha le munizioni e le armi di base per rispondere all’invasione russa. Per non parlare di altre minacce che potrebbero sorgere altrove.

Il mio augurio per i Paesi europei è di essere così forti militarmente da non aver bisogno di aiuti esterni in caso di attacco, ma di poter fornire supporto militare ad altri.

Oggi non è così. Senza il coinvolgimento americano, l’Ucraina non esisterebbe più. E il Cremlino sarebbe passato alla sua prossima vittima.

Durante la “distensione” degli anni Settanta sono stati commessi molti errori. Quell’epoca finì con l’invasione sovietica dell’Afghanistan. L’Occidente reagì correttamente. Questa volta, l’aggressione russa degli ultimi 20 anni non ha destato altrettanta preoccupazione. La sobrietà è arrivata tardi, il 24 febbraio 2022.

Ora, 4.1 cosa serve ancora per rafforzare la posizione dell’Europa?

Tutti ricordiamo lo slogan della campagna elettorale di Clinton: “È l’economia, stupido!”.

All’epoca, quasi tutti credevano che il denaro fosse un rimedio universale.

Anche in Paesi come la Russia e la Cina, il denaro avrebbe aiutato a sviluppare la classe media e a democratizzare la vita pubblica.

Le cose sono andate diversamente. Oggi sappiamo che l’economia deve andare di pari passo con i desideri sociali e le esigenze di sicurezza.

Molti dei problemi dell’Europa moderna derivano dalla frustrazione dei giovani, le cui prospettive future spesso non sono all’altezza di quelle dei loro genitori. La classe media si sta erodendo in tutta Europa. Un mondo in cui l’1% più ricco accumula più ricchezza del restante 99% è scandaloso. Ed è quello che sta accadendo oggi.

I paradisi fiscali, che sarebbe più corretto chiamare “inferni fiscali”, stanno derubando la classe media e i bilanci pubblici di Germania, Francia, Spagna e Polonia.

La forza dell’Europa deriva principalmente dalla sua base più solida, la sua robusta classe media. La convinzione che la prosperità e la crescita possano essere condivise non solo da un gruppo di ricchi, ma dall’intera società, è stata la forza trainante dello sviluppo occidentale fin dagli anni Cinquanta.

Purtroppo, questa convinzione sta scomparendo e le disuguaglianze stanno aumentando. Questa situazione è molto pericolosa perché, da un lato, rafforza i movimenti radicali che chiedono la distruzione dell’attuale struttura economica e politica. Dall’altro, scoraggia il lavoro e lo sviluppo.

Dobbiamo invertire questo processo. Perché rischiamo di perdere la corsa a favore dei nostri concorrenti, civiltà incallite e intransigenti che organizzano le relazioni sociali ed economiche in modo diverso.

Il nostro compito di politici è quello di garantire a tutti una vita onesta. Il mercato del lavoro europeo deve offrire salari dignitosi, facilitare l’ingresso dei giovani nella vita lavorativa e dare loro un senso di stabilità.

Dobbiamo anche creare le migliori condizioni possibili per la creazione di famiglie. Allora l’Europa avrà un futuro luminoso. Le famiglie ben funzionanti sono la base per una vita sana, felice e stabile.

Dobbiamo anche evitare che l’Europa diventi dipendente da altri. La cooperazione con la Cina è una grande sfida. È un Paese enorme con grandi ambizioni. L’Europa deve, come minimo, essere su un piano di parità con la Cina, il suo partner. La dipendenza dalla Cina è una strada che non porta da nessuna parte. È un obiettivo che l’Europa deve cercare di raggiungere con urgenza. Oltre alla vittoria dell’Ucraina, questa è un’altra grande sfida per gli anni a venire.

Non esistono errori che non possano essere corretti, almeno in parte. Quando sento che il nostro governo ha avuto ragione su Russia e Ucraina, sono soddisfatto. Ma scambierei volentieri anche il più grande senso di soddisfazione con la volontà europea di combattere.

Per una volontà politica ancora più forte – di continuare a sostenere l’Ucraina. E per la volontà di confiscare 400 miliardi di euro di beni russi. Congelarli non è sufficiente. La Russia deve rispondere dei suoi crimini e della distruzione materiale che ha causato. I brutali aggressori devono sapere che prima o poi il loro Paese pagherà per le perdite causate dalla violenza.

Oggi rivolgo un nuovo appello a tutti i leader europei: è tempo di confiscare i beni russi in modo totale e permanente. Ricostruire l’Ucraina e ridurre i costi energetici per i cittadini europei.

L’Europa è molto più forte della Russia. Ma oltre al nostro potenziale, dobbiamo avere la volontà di usarlo. Se lasciamo che la Russia vinca questa guerra, rischiamo di non perdere solo l’Ucraina. Rischiamo di emarginare l’intero continente.

La conclusione di fondo è semplice. Nel mondo contano solo i Paesi forti, efficienti e sicuri di sé. Putin ha attaccato l’Ucraina perché vedeva gli europei esausti, deboli e inattivi. Un anno dopo, vediamo che si sbagliava. Almeno in parte.

L’Europa non è ancora morta, finché vivremo. Ma non è ancora vittoriosa.

Il riferimento è all’inno nazionale polacco: “Jeszcze Polska nie zginęła, kiedy my żyjemy” (“La Polonia non è ancora morta, finché viviamo”).

↓INOLTRE
Signore e signori, all’inizio ho ricordato che anche molti polacchi si sono laureati all’Università di Heidelberg: medici, avvocati, filosofi. Uno di loro era il nostro grande poeta, Adam Asnyk. Nella primavera del 1871, proprio nel momento in cui stava nascendo la Germania unificata, anche Asnyk sognava di far rinascere una Polonia indipendente. Capì che i grandi compiti potevano essere portati a termine solo attraverso un lavoro paziente e sistematico, grazie allo sforzo collettivo di tutta la comunità. Scrisse:

“Disprezzate sempre la vana gloria trionfale,

non applaudire l’oppressore violento

Non venerate l’abbondanza delle vostre sconfitte,

né vantatevi di essere sempre piccoli”.

L’Europa deve dimostrare la sua forza e il suo valore. Questo è il nostro momento di “essere o non essere”. Ma, a differenza dell’Amleto di Shakespeare, non possiamo esitare. Nel 1844, quando la Germania assomigliava ancora alle rovine del castello di Heidelberg – imponente ma incompleto – il poeta tedesco Ferdinand Freiligrath ammoniva: “Deutschland ist Hamlet! I tedeschi esitano troppo invece di prendere una posizione chiara dalla parte del bene”.

Giovanni Paolo II è stato uno dei principali sostenitori dell’unificazione europea. Ha svolto un ruolo chiave nella liberazione delle nazioni europee. E insieme al suo grande successore tedesco, Benedetto XVI, questo singolare duo tedesco-polacco è stato una voce importante per il futuro dell’Europa – la sua direzione, la sua cultura e la sua civiltà.

Infine, permettetemi di riassumere le quattro questioni principali che sono state oggetto del mio discorso.

1. In primo luogo, non possiamo costruire il nostro futuro senza imparare dal nostro passato. La storia dimostra che una politica che non rispetta la sovranità e la volontà del popolo prima o poi si dissolve in utopia o dittatura. L’Europa ha un futuro luminoso se rispetta la diversità delle sue nazioni.

2. In secondo luogo, il futuro dell’Europa è determinato dalla lotta dell’Ucraina per la libertà e dal nostro sostegno. È nostro dovere sostenere l’Ucraina. Lo spirito combattivo degli ucraini deve essere una fonte di ispirazione e una guida per le nostre azioni.

3. In terzo luogo, una comunità democratica di nazioni, basata sull’eredità greca, romana e cristiana, che promuove la pace, la libertà e la solidarietà, è il fondamento dei valori europei. Questi valori hanno costituito la base dell’integrazione europea e possono continuare a essere la forza trainante del continente.

Ciò che minaccia di minare queste forze è la centralizzazione. Il dominio del più forte e l’affidamento arbitrario del futuro dell’Europa a una burocrazia senza cuore, che sta cercando di “resettare i valori”. Questo “reset”, cioè l’accentramento burocratico sotto l’apparenza della “federalizzazione”, è il seme dei grandi conflitti e delle ribellioni sociali che verranno.

4. In quarto luogo, se l’Europa vuole vincere la corsa alla leadership globale, deve trasformarsi. Deve essere pronta ad accettare nuovi Paesi ma anche, di fronte a una comunità più ampia, a limitare alcune delle sue competenze.

Di fronte alle minacce esterne, deve rafforzare le proprie capacità difensive. Di fronte alle sfide economiche e sociali, deve costruire una prosperità egualitaria e ordoliberale e lottare contro gli inferni fiscali mascherati da paradisi fiscali.

L’Europa deve mantenere alleanze solide, ma deve anche promuovere la propria indipendenza e non diventare vittima di ricatti energetici o economici.

Un tempo l’Europa era il centro del mondo, rispettata in tutti i continenti. Ci interessa ancora la sopravvivenza dell’Europa e della nostra civiltà? E non solo se sopravviveranno, ma in quale forma? Abbiamo la volontà di essere leader? O forse abbiamo già accettato di fare da secondo piano? Abbiamo il coraggio di far tornare grande l’Europa? Di rendere l’Europa vittoriosa?

Io credo di sì.

L’Europa ha un grande potenziale. Esso deriva dalla sua storia e dal suo patrimonio, ma oggi si estende alle sue innumerevoli qualità e vantaggi. L’Europa ha bisogno di determinazione e coraggio.

E sono profondamente convinto che se lavoreremo duramente – a nome delle nostre rispettive patrie e del continente nel suo complesso – l’Europa vincerà.

In conclusione, questo è il discorso di un capo di governo polacco la cui posizione nel gioco politico europeo sembra essere stata temporaneamente rafforzata dalla nuova situazione aperta dalla guerra in Ucraina.

Lo scoppio della guerra ha convalidato il punto di vista tradizionalmente diffidente del PiS nei confronti della Russia. La richiesta di un riequilibrio dei rapporti di forza tra gli Stati europei a favore dell’Europa centrale, e in particolare della Polonia, non nasconde il timore di un “accordo” tra i leader europei (guidati da Macron) e Putin, che ricorderebbe ai polacchi il “tradimento di Yalta”. Questo timore di vedere i Paesi dell’Europa centrale e orientale relegati ai margini e sacrificati a vantaggio delle potenze occidentali e russe dovrebbe farci interrogare sulla natura della costruzione europea e sul modo in cui essa integra questa periferia centro-orientale, che vi ha aderito quasi vent’anni fa. Per liberarci da una visione geopolitica ereditata dalla Guerra Fredda, dovremmo prendere sul serio le aspirazioni sovrane delle nazioni poste tra la Germania e la Russia. Questo è l’aspetto più rilevante, ma anche il più inquietante, del discorso di Morawiecki. Ciò non significa, tuttavia, che si debba aderire all’ideologia nazionalista, conservatrice, familista e nativista dell’autore, che è evidente in questo testo. È dubbio che il governo polacco sarà in grado di unire un’ampia coalizione di Stati europei attorno a un’agenda politica di questo tipo. Resta il fatto che l’attuale governo polacco si oppone fermamente a qualsiasi progresso verso un’Europa più federale e potrebbe coalizzare l’opposizione a tale processo, che riflette ancora una volta una certa paura di essere relegati in un’Europa a più velocità.

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L’Europa sarà vittoriosa!

Grazie per l’attenzione.

https://legrandcontinent.eu/fr/2023/03/26/le-projet-europeen-de-la-pologne/

L’Europa nell’interregno: il nostro risveglio geopolitico dopo l’Ucraina, di Josep Borrell

Una piatta perorazione di una “Bussola strategica” europea tanto sciatta nella esposizione quanto ambigua e approssimata nelle sue linee. Josep Borrell ha ragione su un punto: il tramonto della certezza che ” l’idea di interdipendenza genera di per sé prosperità e pace”, ragion per cui bisogna ““imparare a parlare la lingua della potenza”. E’ il colpo mortale, anche qui in Europa, all’idea liberal/liberista che la progressione dell’interdipendenza e dei commerci globalizzati siano il viatico naturale alla pace. Per il resto il suo intervento è pura mistificazione tesa a coprire la sciatteria di un documento raffazzonato anche nell’eloquio e dalle finalità opposte a quelle dichiarate. Mistificazione nell’attribuire alla Russia la responsabilità di aver sconvolto i principi regolatori dell’equilibrio europeo rimuovendo le reali dinamiche del primo vero importante episodio di rottura, la spinta alla dissoluzione della Jugoslavia, la guerra successiva contro la Serbia e il riconoscimento del Kosovo. Il tutto per additare il reprobo e celare e giustificare la politica aggressiva e fomentatrice di caos della NATO. L’anarchia in Libia, il terrorismo, la fomentazione della guerra civile in Siria diventano una sorta di catastrofe naturale da fronteggiare. Il resto va semplicemente rimosso, a partire dalla natura dei regimi dei paesi baltici e dell’Ucraina. Nessun accenno alle conseguenze di una politica ottusa di imposizione della “democrazia” in società tribali che con il voto legittimano il predominio di una etnia sulle altre. In poche parole Borrell rivela la reale indole dell’interventismo europeo e precisamente quando dice che “dovremmo riconoscere che, accanto a coalizioni di partner che la pensano allo stesso modo, abbiamo anche paesi che lavorano con noi su alcune questioni mentre si oppongono su altre. E se il governo centrale non è d’aiuto, dovremmo lavorare di più con le forze locali o i gruppi della società civile”. Questo vale, come abbiamo già visto, sia all’interno della UE, che all’esterno. Quell’esterno, probabilmente, significherà soprattutto l’Africa, laddove sono state particolarmente cocenti le batoste subite. Borrell parla di potenza dell’Europa, ma la “bussola strategica” non fa che confermare che la vera potenza sono gli Stati Uniti, che l’Unione Europea funge da semplice supporto e ausiliare, che l’Europa è destinata a terra di drenaggio di risorse amiche e a campo di battaglia dei contendenti. Come i lettori potranno riscontrare nei due testi riportati qui sotto, sono la stessa impostazione del documento della “bussola” e il relativo vocabolario adottato a rivelare tutto questo.

  • Lo scacchiere mondiale è definito senza alcuna priorità legata agli interessi europei seguendo alla lettera i quadranti operativi disegnati dal comando strategico statunitense.
  • L’arco temporale di azione di dieci anni serve a costituire una forza di pronto intervento coordinata ed integrata di appena cinquemila uomini. Per inciso cinquemila sono i militari europei attualmente impegnati all’estero. I trascorsi ci dicono del naufragio di proposte o semplici intenzioni del genere; tra tutte il recente naufragio del progetto di costruzione di un corpo militare unico franco-tedesco. Su questo, però, Borrell ha ragione: i tempi sono cambiati, le dinamiche geopolitiche corrono, la realtà, con essa il mentore americano, impone delle scelte. Si tratta di migliorare drasticamente la loro rapida fungibilità. In realtà, si tratta di una forza di pronto intervento a supporto di raid, incursioni e processi di stabilizzazione nei vari angoli del mondo e, inquietante novità, propedeutica all’intervento massiccio di eserciti nazionali, presumibilmente di paesi appartenenti alla NATO.

Il documento non addita esplicitamente la Russia come il nemico politico da affrontare; lo marchia come emblema del male. Paradossalmente, ammesso e non concesso che la Russia sia il nemico, il documento dovrebbe servire quindi ad approntare i mezzi necessari e autonomi di difesa sul proprio territorio europeo. Niente di tutto questo. Si presume che rimanga la delega in bianco riservata alla NATO vista la natura e l’esiguità del corpo militare in gestazione.

La “bussola”, opportunamente non si ferma qui. Perora la causa della creazione di un complesso industriale-militare a supporto dell’eventuale sforzo bellico e ne individua le procedure: un sistema di incentivi agli stati e alle loro industrie vincolate alla costruzione di sistemi d’arma il più possibile compatibili; l’utilizzo delle tecnologie civili (in particolare il sistema di comunicazione “Galileo”, sin qui osteggiato dagli americani e quello di trasporto aereo “AIRBUS”) a fini militari, seguendo un percorso curiosamente inverso a quello statunitense e in parte cinese. Già le grandi difficoltà di progettazione del carro armato franco-tedesco compatibile con i diversi teatri, la profonda diffidenza nella progettazione dell’aereo di sesta generazione ispanico-franco-tedesco, specie se confrontata con la maggiore fluidità dell’analogo progetto anglo-italiano dovrebbero servire da monito. Il documento, in realtà, non chiarisce colpevolmente quali saranno i legami di questo complesso industriale in divenire con il complesso industriale ben strutturato e dominante statunitense; ci ha pensato per altro il fu-governo di Angela Merkel ad inibire ogni proposito francese di inibire l’accesso del complesso statunitense all’arsenale europeo. Nemmeno può rassicurare sul fatto che una semplice pratica di incentivi riesca a conciliare le esigenze militari di stati europei dalle proiezioni geopolitiche divergenti. Lo stesso utilizzo duale delle infrastrutture civili, così enfatizzato nel documento, non è altro che la scopiazzatura dei grandi progetti di collegamento veloce ed integrato propugnati dalla NATO, ma spacciati per altre finalità in realtà complementari. Grazie a Luigi Longo, ne abbiamo lungamente trattato su questo sito.

Ciò che Borrell chiama “collaborazione” è in realtà puro supporto della UE alle politiche della NATO e della sua componente più oltranzista. Non saranno certo quattro scribacchini incaricati di metter giù qualche pastrocchio ad impensierire la leadership statunitense. Il collante che tiene uniti i paesi europei è la subordinazione agli Stati Uniti; la Unione Europea, senza nemmeno la flessibilità che iniziano a mostrare gli statunitensi nel NSS, è lo specchietto delle allodole che impedisce ai paesi europei di trovare una propria strada di accordo autonoma ed indipendente. Da qui il fumo dello scorrazzare per conto terzi nei vari quadranti del globo terrestre presentato come piano strategico curiosamente privo di priorità e di iniziative proprie non necessariamente conflittuali con i propri vicini di casa. Per il resto cercheremo in futuro di approfondire ulteriormente i temi indicati e sottesi. Buona lettura, Giuseppe Germinario

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La guerra contro l’Ucraina dimostra che l’Europa è ancora più in pericolo di quanto si pensasse solo pochi mesi fa. La brutale invasione russa dell’Ucraina non è solo un attacco non provocato contro un paese sovrano che si batte per i suoi diritti e la sua democrazia; è anche la più grande sfida all’ordine di sicurezza europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. Sono in gioco i principi stessi su cui sono costruite le relazioni internazionali, non ultimi quelli della Carta delle Nazioni Unite e l’Atto finale di Helsinki.

Le crisi tendono a cristallizzare gli sviluppi, e questo ha reso ancora più chiaro che viviamo in un mondo plasmato da una pura politica di potenza, dove tutto è armato e dove ci troviamo di fronte a un feroce scontro di narrazioni. Tutte queste tendenze erano già evidenti prima della guerra in Ucraina; ora stanno accelerando.

Questo significa che anche la nostra risposta deve accelerare – e lo ha fatto. Abbiamo intrapreso un’azione rapida in tutto lo spettro politico e cosí facendo abbiamo infranto diversi tabù: sanzioni senza precedenti e sostegno massiccio all’Ucraina, ivi compreso, per la prima volta in assoluto, il finanziamento della consegna di attrezzature militari a un paese sotto attacco. Abbiamo anche costruito un’ampia coalizione internazionale per sostenere l’Ucraina, isolare la Russia e ripristinare la legalità internazionale. Da qualunque punto di vista la si guardi, la risposta dell’UE è stata impressionante – anche se non è abbastanza, con la guerra ancora in corso.

Non sappiamo come e quando questa guerra finirà. Come scrive Le Grand Continent nel suo recente numero cartaceo, stiamo ancora navigando in un interregno1. Ma possiamo già dire che la guerra in Ucraina del 2022 ha visto la nascita – per quanto tardiva – di una UE geopolitica. Per anni, gli europei hanno discusso su come rendere l’UE più consapevole della propria sicurezza, con un’unità di intenti e capacità di perseguire i suoi obiettivi politici sulla scena mondiale. Nelle ultime settimane siamo probabilmente andati più avanti su questa strada di quanto abbiamo fatto nel decennio precedente. Questo è benvenuto, ma dobbiamo assicurarci che il risveglio geopolitico dell’UE si trasformi in una posizione strategica più permanente. Perché c’è ancora molto da fare, in Ucraina e altrove.

Stiamo ancora navigando in un interregno.

JOSEP BORRELL

Fare dell’Europa un hard power

Sono convinto che l’UE debba essere più di un soft power: abbiamo bisogno anche di un hard power. Tuttavia, dobbiamo renderci conto che il concetto di hard power non può essere ridotto a mezzi militari: si tratta di usare l’intera gamma dei nostri strumenti per raggiungere i nostri obiettivi. Si tratta di pensare e agire in termini di potere. E, a poco a poco, si stanno realizzando le condizioni perché questo accada.

In primo luogo, c’è una crescente consapevolezza tra gli europei delle minacce che si trovano ad affrontare insieme e del grado in cui i loro destini sono legati. Oggi nessuno in Europa può credere o pensare che quello che sta succedendo in Ucraina non li riguardi, non importa quanto siano lontani dal dramma. Di conseguenza, il nostro sostegno all’Ucraina non è solo un atto di solidarietà, ma anche un modo di difendere i nostri interessi comuni e di agire per autodifesa contro un aggressore pesantemente armato e spietato.

In secondo luogo, i popoli europei hanno raggiunto un livello di prosperità e benessere sociale senza precedenti, che l’adesione all’UE ha ulteriormente aumentato. Questo rende l’Europa un’area fondamentalmente pacifica costruita intorno all’idea di interdipendenza che genera prosperità e pace. Tuttavia, una delle lezioni della guerra in Ucraina è che l’interdipendenza economica da sola non può garantire la nostra sicurezza. Al contrario, può essere strumentalizzata contro di noi. Quindi dobbiamo essere pronti ad agire contro coloro che vogliono usare i benefici dell’interdipendenza per danneggiarci o fare la guerra.

Questo è ciò che sta accadendo oggi. Introducendo sanzioni senza precedenti contro l’invasione della Russia in Ucraina, stiamo rendendo il costo dell’aggressione sempre più proibitivo. Allo stesso tempo, dobbiamo migliorare ulteriormente la nostra resilienza e ridurre le vulnerabilità strategiche, che si tratti di infrastrutture critiche, materie prime, prodotti sanitari o altri domini.

Una delle lezioni della guerra in Ucraina è che l’interdipendenza economica da sola non può garantire la nostra sicurezza. Al contrario, può essere strumentalizzata contro di noi.

JOSEP BORRELL

In tutta l’UE, c’è un chiaro impegno a trarre le giuste lezioni da questa crisi. Questo implica che finalmente prendiamo sul serio le minacce ai nostri interessi strategici di cui siamo stati consapevoli ma non sempre abbiamo agito. Prendiamo l’energia. Sappiamo da anni che l’energia gioca un ruolo sproporzionato nelle relazioni UE-Russia e che la Russia ha usato l’energia come arma politica. Ora ci siamo mobilitati pienamente per tagliare la nostra eccessiva dipendenza dalle importazioni di energia dalla Russia (di petrolio, gas e carbone).

In modo simile, la guerra in Ucraina sta rendendo più urgente un salto di qualità nella sicurezza e nella difesa dell’UE. Qui il punto principale è sottolineare che gli investimenti extra che gli stati membri dell’UE stanno facendo ora – che sono molto benvenuti – dovrebbero comportare un maggiore coordinamento nell’UE e nella NATO. Non è solo che ognuno di noi dovrebbe spendere di più; è che dobbiamo spendere di più tutti insieme.

Un nuovo mondo di minacce

La guerra in Ucraina è la più grave crisi di sicurezza in Europa da decenni, ma le minacce alla sicurezza europea provengono chiaramente da una varietà di fonti, sia in Europa che fuori. I nostri interessi di sicurezza sono in gioco nei Balcani occidentali, nel Sahel, nel Medio Oriente, nell’Indo-Pacifico, ecc.

Mentre la guerra in Ucraina infuria ed esige i suoi tremendi tributi, non dobbiamo dimenticare che il mondo è pieno di situazioni in cui ci troviamo di fronte a tattiche ibride e dinamiche intermedie di competizione, intimidazione e coercizione. Infatti, in Ucraina come altrove, gli strumenti del potere non sono solo soldati, carri armati e aerei, ma anche sanzioni finanziarie o divieti di importazione ed esportazione, così come i flussi di energia, e operazioni di disinformazione e interferenza straniera.

Inoltre, abbiamo visto negli ultimi anni la strumentalizzazione dei migranti, la privatizzazione degli eserciti e la politicizzazione del controllo delle tecnologie sensibili. Si aggiunga a questo la dinamica degli stati falliti, la ritirata delle libertà democratiche, con in più gli attacchi ai “beni comuni globali” del cyber spazio, dell’alto mare e dello spazio esterno, e la conclusione è chiara: la difesa dell’Europa richiede un concetto globale di sicurezza.

Fortunatamente, c’è ora una maggiore consapevolezza e accordo in Europa sulla natura delle minacce che affrontiamo – così come un processo di convergenza strategica su cosa fare al riguardo.

In Ucraina come altrove, gli strumenti del potere non sono solo soldati, carri armati e aerei, ma anche sanzioni finanziarie o divieti di importazione ed esportazione, così come i flussi di energia, e operazioni di disinformazione e interferenza straniera.

JOSEP BORRELL

La Bussola Strategica: un salto in avanti per la sicurezza e difesa europeee

Se vogliamo evitare di essere uno spettatore in un mondo modellato da e per gli altri, dobbiamo agire – insieme. Questa è la filosofia della Bussola Strategica che ho presentato lo scorso novembre e che è stata finalizzata dai ministri degli esteri e della difesa dell’UE il 21 marzo2. Ci sono molti dettagli nella Bussola, che si sviluppa su 47 pagine, raggruppate in quattro filoni di lavoro (Agire, Assicurare, Investire e Sviluppare partnership). Permettetemi di evidenziare solo alcune delle idee principali:

Per rafforzare la nostra capacità di azione, lavoreremo per rafforzare le nostre missioni e operazioni di gestione delle crisi e svilupperemo una capacità di dispiegamento rapido dell’UE per permetterci di schierare rapidamente fino a 5.000 truppe per diversi tipi di crisi. Aumenteremo la prontezza delle nostre forze attraverso regolari esercitazioni dal vivo (mai fatto prima a livello UE), rafforzeremo i nostri accordi di comando e controllo e promuoveremo un processo decisionale più rapido e flessibile. Espanderemo la nostra capacità di affrontare le minacce informatiche, la disinformazione e le interferenze straniere. E approfondiremo gli investimenti nei necessari abilitatori strategici e nelle capacità di prossima generazione. Questo renderà l’UE un fornitore di sicurezza più capace per i suoi cittadini, ma anche un partner globale più forte che lavora per la pace e la sicurezza internazionale.

Più che i documenti che produciamo di solito a Bruxelles, la Bussola Strategica stabilisce azioni concrete – con scadenze chiare per misurare i progressi. La Bussola è un documento di proprietà degli Stati membri, ora adottato dal Consiglio. Durante tutto il processo, gli Stati membri sono stati al posto di guida. Apponendo la loro firma, si impegnano ad attuarla. Ci sarà un robusto processo di follow-up per garantire l’attuazione. Queste sono le principali differenze con la strategia di sicurezza dell’UE del 2003 e la strategia globale del 2016.

Un’Unione più forte significa anche un rapporto transatlantico più forte

A questo punto della conversazione, si tende a dire: “Tutto questo è molto bello, ma che ne sarà della NATO?” Vorrei sottolineare che la NATO rimane al centro della difesa territoriale dell’Europa. Nessuno lo mette in discussione. Tuttavia, questo non dovrebbe impedire ai paesi europei di sviluppare le loro capacità e condurre operazioni nel nostro vicinato e oltre. Dovremmo essere in grado di agire come UE in scenari come quello che abbiamo visto l’anno scorso in Afghanistan (in cui abbiamo dovuto assicurare un aeroporto per l’evacuazione di emergenza) o intervenire rapidamente in una crisi in cui la violenza minaccia la vita dei civili.

Sono convinto che una maggiore responsabilità strategica europea sia il modo migliore per rafforzare la solidarietà transatlantica. Non è UE o NATO: è sia UE che NATO. Permettetemi di aggiungere che le esitazioni ad andare avanti su questo progetto “a causa della NATO” provengono dall’interno dell’UE, non dagli Stati Uniti. Qui posso citare dalla dichiarazione congiunta che il segretario Blinken e io abbiamo rilasciato lo scorso dicembre, vale a dire che gli Stati Uniti vogliono: “una difesa europea più forte e capace che contribuisca alla sicurezza globale e transatlantica”. Gli Stati Uniti essenzialmente dicono: “Non parlate, agite. Per favore, procedete e aiutateci a condividere l’onere della sicurezza”.

Non è UE o NATO: è sia UE che NATO.

JOSEP BORRELL

Se non ora, quando?

Mi rendo conto che chi, come me, vuole un cambio di passo in materia di sicurezza e difesa dovrebbe spiegare perché pensiamo che ‘questa volta sarà diverso’. Dovremmo riconoscere che nella storia della difesa europea ci sono stati numerosi piani e iniziative, pieni di acronimi, che vanno dal Piano Pleven e dalla Comunità Europea di Difesa; al lancio della Politica Estera e di Sicurezza Comune dopo Maastricht; alle guerre nell’ex Jugoslavia e all’”ora dell’Europa”, a Saint Malo, all’inizio della PESD, poi della PSDC, dell’obiettivo primario di Helsinki, della PESCO, del Fondo Europeo di Difesa e del Fondo Europeo di Pace, ecc.

Eppure il fatto fondamentale rimane che la sicurezza e la difesa sono probabilmente l’area dell’integrazione europea con il più grande divario tra aspettative e risultati. Tra ciò che potremmo essere e ciò che i cittadini chiedono – e ciò che effettivamente realizziamo.

Quindi è il momento di fare un altro tentativo. E la ragione per cui sento che la Bussola Strategica potrebbe avere più impatto dei piani precedenti sta nella velocità con cui le tendenze globali e il contesto geopolitico stanno cambiando e peggiorando. Questo rende le ragioni per l’azione urgenti e davvero irresistibili. È vero per la guerra in Ucraina e per le più ampie implicazioni di una Russia revisionista per la sicurezza europea.

Ma va oltre: tutte le minacce che affrontiamo si stanno intensificando e la capacità dei singoli stati membri di farvi fronte è insufficiente e in declino. Il divario sta crescendo e non si può andare avanti cosí.

Il mio compito è stato quello di abbozzare una via d’uscita. Ma so fin troppo bene che i risultati non dipendono dai documenti strategici, ma dalle azioni. Queste appartengono agli Stati membri: sono loro a detenere le prerogative e le risorse.

La buona notizia è che ogni giorno vediamo sempre più Stati membri pronti a investire di più nella sicurezza e nella difesa. Dobbiamo garantire che questi graditi investimenti aggiuntivi siano fatti in modo collaborativo e non in modo frammentato e nazionale. Dobbiamo usare questo nuovo slancio per assicurarci che, finalmente, ci dotiamo della mentalità, dei mezzi e dei meccanismi per difendere la nostra Unione, i nostri cittadini e i nostri partner.

Politicamente vedo la scelta che affrontiamo come simile a quando abbiamo lanciato l’euro o il Recovery Plan. Quando i costi della “non Europa” sono diventati così alti che la gente era pronta a ripensare le proprie linee rosse e a investire in soluzioni veramente europee. Abbiamo saltato insieme, per così dire, e, in entrambi i casi, i risultati sono chiari e positivi. Facciamo un simile salto in avanti sulla sicurezza e la difesa europea, come si aspettano i nostri cittadini. Se non ora, quando?

Ripensare la lingua della potenza

Nel bene o nel male, sospetto che il mio mandato di Alto Rappresentante dell’UE sarà associato a una frase che ho usato durante la mia audizione nell’ottobre 2019 al Parlamento europeo, cioè che gli europei dovevano “imparare a parlare la lingua della potenza”.

Ho sostenuto che l’origine dell’integrazione europea è scaturita da un rifiuto della politica di potenza tra gli stati partecipanti. Il progetto europeo era riuscito a trasformare i problemi politici in problemi tecnocratici e a sostituire i calcoli di potere con procedure legali. Nella storia delle relazioni internazionali e nel nostro continente devastato dalla guerra, questa è stata una rivoluzione copernicana. Fu anche un successo spettacolare, cementando la pace e la cooperazione tra paesi che prima erano in guerra, creando istituzioni, mappe mentali e un vocabolario unici.

Ma questo capitolo storico si è concluso, mentre l’UE ha affrontato diverse crisi e shock: la crisi finanziaria e dell’euro, la crisi migratoria e la Brexit. Tutte queste crisi hanno innescato dibattiti intensamente politici sulla natura dell’UE e sulle fonti di solidarietà e legittimità. Tali dibattiti non potevano essere risolti con la solita tattica dell’UE di depoliticizzarli e di proporre soluzioni tecniche e di mercato.

Da molti anni stiamo vivendo una nuova fase della storia europea che non riguarda tanto gli spazi (uno dei temi preferiti a Bruxelles, quello delle frontiere aperte e della libera circolazione) ma i luoghi (da dove vengono e a cui appartengono le persone, la loro identità). Sembriamo meno concentrati sulle tendenze (globalizzazione, progresso tecnologico) e più sugli eventi storici (e su come rispondiamo ad essi): come la pandemia e l’attacco della Russia all’Ucraina.

Il successo dell’integrazione dell’UE e il metodo scelto di depoliticizzazione hanno avuto anche un prezzo: la riluttanza e l’incapacità di venire a patti con il fatto che, fuori dal nostro giardino post-moderno, “la giungla stava ricrescendo”.

JOSEP BORRELL

A questo bisogna aggiungere un importante fattore esterno. Il successo dell’integrazione dell’UE e il metodo scelto di depoliticizzazione hanno avuto anche un prezzo: la riluttanza e l’incapacità di venire a patti con il fatto che, fuori dal nostro giardino post-moderno, “la giungla stava ricrescendo”3. Trent’anni fa, molte discussioni e libri parlavano di come il mondo fosse piatto, di come la storia fosse finita e di come l’Europa e il suo modello avrebbero gestito il XXI secolo. Oggi si parla dell’armamento dell’interdipendenza e di come un’Europa presunta ingenua non sia adatta all’era della politica di potenza4.

In tutto questo, sono stato convinto di due punti fondamentali:

In primo luogo, dobbiamo essere realistici e riconoscere che l’attuale fase della storia e della politica globale ci impone di pensare e agire in termini di potenza (da qui, la frase “la lingua della potenza”). La guerra contro l’Ucraina è l’ultima e più drammatica illustrazione di questo.

In secondo luogo, il modo migliore per esercitare un’influenza, plasmare gli eventi e non essere guidati da essi, è a livello dell’UE: investendo nella nostra capacità collettiva di agire.5

Tutto il resto è abbellimento e dettaglio.

Di conseguenza, dobbiamo dotarci della mentalità e dei mezzi per gestire l’era della politica di potere e dobbiamo farlo in scala. Questo non accadrà da un giorno all’altro – dato chi siamo e da dove veniamo. Tuttavia, credo che stiamo mettendo in atto gli elementi costitutivi e che la crisi ucraina abbia accelerato questa tendenza.

Già nel 2021 mostravamo di essere pronti ad adottare una postura forte per contrastare le aperte manifestazioni di politica di potere ai nostri confini orientali. Oltre al nostro sostegno all’Ucraina, si può indicare quello che abbiamo fatto sulla Bielorussia, dove abbiamo tenuto duro anche sulla strumentalizzazione dei migranti, o sulla Moldavia, a cui abbiamo esteso il nostro sostegno.

Inoltre, abbiamo rafforzato il nostro approccio alla Cina e definito come l’UE può rafforzare il suo impegno nella e con la regione dell’Indo-Pacifico. Sulla Cina, siamo diventati meno ingenui e abbiamo fatto il nostro dovere per contrastare la sfida dell’apertura asimmetrica con le nostre politiche di screening degli investimenti, 5G, appalti e lo strumento anti-coercizione, come anche esposto da Sabine Weyand su queste pagine.

Inoltre, con la nostra strategia indo-pacifica, siamo impegnati in un processo di diversificazione politica, investendo nei nostri legami con l’Asia democratica. Centrale in questo sforzo è il nostro lavoro sul Global Gateway, per spiegare la nostra offerta e come si differenzia da quella di altri attori. Il punto del Global Gateway è quello di costruire legami, non dipendenze. Infatti, molti partner africani e asiatici accolgono con favore l’approccio europeo alla connettività con la sua enfasi su regole concordate, sostenibilità e proprietà locale. Ma questo è un campo competitivo e c’è una battaglia in corso sugli standard. Pertanto, dobbiamo essere concreti e non limitare la nostra posizione a dichiarazioni generali di principi e di intenti. Ecco perché prevediamo di mobilitare fino a 300 miliardi di euro nell’ambito del Global Gateway, con 150 miliardi di euro specialmente per l’Africa, più diverse iniziative faro, per rendere la cooperazione il più concreta e tangibile possibile.6

Potrei continuare, ma il punto principale è sottolineare che, a poco a poco, la nozione di un’UE geopoliticamente consapevole stava già prendendo forma prima della guerra contro l’Ucraina. Il compito che ci attende è quello di rendere il risveglio geopolitico dell’Europa più permanente e consequenziale. Questo ci richiede non solo di imparare la lingua della potenza, ma di parlarla.

La nozione di un’UE geopoliticamente consapevole stava già prendendo forma prima della guerra contro l’Ucraina. Il compito

JOSEP BORRELL

A metà mandato: cosa possiamo fare in modo diverso e meglio?

Questa Commissione europea ha iniziato il suo mandato nel dicembre 2019. Dopo più di due anni e dopo aver analizzato come portiamo avanti la politica estera dell’UE, la mia principale preoccupazione è che non stiamo tenendo il passo. Come dice il mio amico e primo Alto Rappresentante dell’UE Javier Solana, il tempo in politica, come in fisica, è relativo: se la velocità con cui stai cambiando è inferiore alla velocità del cambiamento intorno a te, stai andando all’indietro. E questo non possiamo permettercelo. La nostra risposta alla crisi ucraina mostra cosa si può fare se la pressione è estrema. Tuttavia, è troppo presto per concludere che questo sia diventato il modo generale di operare nella politica estera dell’UE.

Quindi vorrei condividere alcune idee su quelli che potrebbero essere i quattro ingredienti chiave per il successo e un maggiore impatto dell’UE in un mondo turbolento:

1. Pensare e agire in termini di potenza

Gli europei, con buone ragioni, continuano a preferire il dialogo al confronto; la diplomazia alla forza; il multilateralismo all’unilateralismo. Ma se si vuole che il dialogo, la diplomazia e il multilateralismo abbiano successo, bisogna metterci forza e risorse. Ogni volta che lo abbiamo fatto – in Ucraina, Bielorussia o con la nostra diplomazia del clima – abbiamo avuto un impatto. Ogni volta che abbiamo optato per affermare posizioni di principio senza specificare i mezzi per renderle efficaci, i risultati sono stati meno efficaci.

La mia sensazione è che le idee intorno alla lingua della potenza o all’armamento dell’interdipendenza siano ora ampiamente accettate. Tuttavia, l’implementazione, le risorse e gli impegni necessari continuano a essere una sfida.

La mia sensazione è che le idee intorno alla lingua della potenza o all’armamento dell’interdipendenza siano ora ampiamente accettate. Tuttavia, l’implementazione, le risorse e gli impegni necessari continuano a essere una sfida.

JOSEP BORRELL

2. Prendere l’iniziativa ed essere pronti a sperimentare

In generale, siamo troppo spesso in una modalità reattiva, rispondendo ai piani e alle decisioni di altre persone. Credo anche che dobbiamo evitare la routine burocratica (“cosa abbiamo fatto l’ultima volta?”) e recuperare un senso di iniziativa.

Inoltre, dobbiamo essere pronti a sperimentare di più. Spesso è l’opzione più sicura attenersi a ciò che conosciamo e che abbiamo sempre fatto. Ma questo non è sempre il modo migliore per ottenere risultati.

3. Costruire coalizioni variegate e agire più velocemente

Dobbiamo essere più orientati agli obiettivi e pensare a come mobilitare i partner intorno alle nostre priorità, questione per questione. Dovremmo riconoscere che, accanto a coalizioni di partner che la pensano allo stesso modo, abbiamo anche paesi che lavorano con noi su alcune questioni mentre si oppongono su altre. E se il governo centrale non è d’aiuto, dovremmo lavorare di più con le forze locali o i gruppi della società civile.

Nell’UE, siamo molto occupati con noi stessi e ci vuole molto tempo per stabilire posizioni comuni. Quando gli Stati membri sono divisi, la regola dell’unanimità in politica estera di sicurezza è una ricetta per la paralisi e il ritardo. Ecco perché sono a favore dell’uso dell’astensione costruttiva e di altre opzioni previste dal trattato, come l’uso del voto a maggioranza qualificata (VMQ) in aree selezionate, per facilitare un processo decisionale più rapido.7

C’è il rischio che diamo la priorità alla ricerca dell’unità interna rispetto alla massimizzazione della nostra efficacia esterna. Cosí va a finire che, quando abbiamo finalmente raggiunto una posizione comune – spesso aggiungendo molta acqua al vino – il resto del mondo è andato avanti.

Ho sottolineato l’importanza di investire in una cultura strategica comune, che ha bisogno di un dibattito europeo, uno spazio per discutere su ciò che possiamo e non possiamo fare in politica estera dell’UE e perché. Di conseguenza, contribuisco regolarmente a questa rivista, che considero un esempio tangibile della nascita di un dibattito strategico, politico e intellettuale su scala continentale.

JOSEP BORRELL

4. Modellare la narrazione

Dopo aver trascorso decenni in politica, sono convinto che probabilmente l’ingrediente più importante per il successo è dare forma alla narrazione. Questa è la vera moneta del potere globale.8

Per questo motivo, all’inizio della pandemia ho parlato dell’esistenza di una “battaglia di narrazioni”9 e ho sottolineato l’importanza di investire in una cultura strategica comune, che ha bisogno di un dibattito europeo, uno spazio per discutere su ciò che possiamo e non possiamo fare in politica estera dell’UE e perché. Di conseguenza, contribuisco regolarmente a questa rivista e ai seminari del Groupe d’études géopolitiques, che considero un esempio tangibile della nascita di un dibattito strategico, politico e intellettuale su scala continentale.10

Ai cittadini dell’UE non interessa molto chi fa cosa a Bruxelles, né le discussioni astratte. Non si preoccupano del numero di dichiarazioni che facciamo, o delle sanzioni che adottiamo. Ci giudicano sui risultati, non sugli input. In altre parole sui risultati: sono più sicuri o più prosperi grazie all’azione dell’UE? L’UE è più o meno influente, anche in termini di difesa dei nostri valori, rispetto a un anno fa? Abbiamo più o meno fiducia negli altri? Abbiamo ottenuto di più o di meno sostenendo i nostri partner? Queste sono le metriche che contano.

La guerra contro l’Ucraina ha reso chiaro che in un mondo di politica di potere abbiamo bisogno di costruire una maggiore capacità di difenderci. Sì, questo include i mezzi militari, e dobbiamo svilupparli di più. Ma l’essenza di ciò che l’UE ha fatto in questa crisi è stata quella di utilizzare tutte le politiche e le leve – che rimangono principalmente di natura economica e normativa – come strumenti di potere.

Dovremmo costruire su questo approccio, in Ucraina ma anche altrove. Il compito principale dell’”Europa geopolitica” è semplice: usare il nostro ritrovato senso di scopo e renderlo il “nuovo normale” nella politica estera dell’UE. Proteggere i nostri cittadini, sostenere i nostri partner e affrontare le nostre responsabilità di sicurezza globale.

NOTE
  1. Le Grand Continent, «  Politiques de l’interrègne », Gallimard, 2022
  2. Potete leggere di più sulla logica e gli elementi principali nella mia prefazione personale: https://eeas.europa.eu/sites/default/files/en_updated_foreword_-_a_strategic_compass_to_make_europe_a_security_provider_v12_final.pdf
  3. Si veda il libro di Robert Kagan del 2018: https://www.brookings.edu/books/the-jungle-grows-back-america-and-our-imperiled-world/
  4. https://legrandcontinent.eu/fr/2022/02/18/lere-de-la-paix/
  5. Luiza Bialasiewicz, “Le moment géopolitique européen : penser la souveraineté stratégique” in le Grand Continent, “Politiques de l’interrègne”, March 2022, Gallimard
  6. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_21_6433
  7. https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/86276/when-member-states-are-divided-how-do-we-ensure-europe-able-act_en
  8. Lorenzo Castellani, “Le nouveau visage du pouvoir” in le Grand Continent, “Politiques de l’interrègne”, Gallimard, March 2022.
  9. https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/76379/coronavirus-pandemic-and-new-world-it-creating_en
  10. https://geopolitique.eu/en/2021/05/05/european-foreign-policy-in-times-of-covid-19/

https://legrandcontinent.eu/it/2022/03/24/leuropa-nellinterregno-il-nostro-risveglio-geopolitico-dopo-lucraina/

Consiglio
dell’Unione europea
Bruxelles, 21 marzo 2022
(OR. en)
7371/22
COPS 130 PROCIV 36
POLMIL 72 ESPACE 27
EUMC 95 POLMAR 26
CSDP/PSDC 155 MARE 24
CFSP/PESC 394 COMAR 23
CIVCOM 50 COMPET 165
RELEX 373 IND 77
JAI 371 RECH 144
HYBRID 27 COTER 79
DISINFO 24 POLGEN 41
CYBER 87 CSC 111
RISULTATI DEI LAVORI
Origine: Segretariato generale del Consiglio
Destinatario: Delegazioni
Oggetto: Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa – Per un’Unione
europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e
contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali.
Si allega per le delegazioni la bussola strategica per la sicurezza e la difesa – Per un’Unione europea
che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e contribuisce alla pace e alla sicurezza
internazionali, approvata dal Consiglio nella sessione del 21 marzo 2022.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
ALLEGATO
Una bussola strategica per la sicurezza e la difesa
Per un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi
e contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali
SINTESI
Con il ritorno della guerra in Europa determinato dall’aggressione ingiustificata e non
provocata della Russia nei confronti dell’Ucraina, nonché a causa dei significativi mutamenti geopolitici in atto, la nostra capacità di promuovere la nostra visione e di difendere i nostri interessi è messa alla prova. Viviamo in un’epoca di competizione strategica e di complesse minacce alla sicurezza. Nel nostro vicinato e oltre assistiamo a un aumento dei conflitti, degli atti di aggressione e delle fonti di instabilità, oltre che a un incremento delle forze militari, che causano gravi sofferenze umanitarie e sfollamenti. Aumentano anche le minacce ibride, sia in termini di frequenza che di impatto. L’interdipendenza è sempre più improntata alla conflittualità e il soft power è trasformato in un’arma: i vaccini, i dati e gli standard tecnologici sono tutti strumenti di competizione politica. L’accesso all’alto mare, allo spazio extra-atmosferico e alla dimensione digitale è sempre più conteso. Ci troviamo ad affrontare crescenti tentativi di coercizione economica
ed energetica. Inoltre i conflitti e l’instabilità sono spesso aggravati dai cambiamenti climatici che agiscono da “moltiplicatore della minaccia”.
L’Unione europea è più unita che mai. Siamo determinati a difendere l’ordine di sicurezza
europeo. La sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza all’interno delle frontiere riconosciute a livello internazionale dovrebbero essere pienamente rispettate. Nel sostenere l’Ucraina di fronte all’aggressione militare russa, stiamo dando prova di una determinazione senza precedenti a ripristinare la pace in Europa, insieme ai nostri partner. Un’UE più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Le relazioni transatlantiche e la cooperazione UE-NATO, nel pieno rispetto dei principi stabiliti nei trattati e di quelli concordati dal Consiglio europeo, compresi i principi di inclusività, reciprocità e
autonomia decisionale dell’UE, sono elementi essenziali per la nostra sicurezza generale. L’UE ribadisce la propria intenzione di intensificare il sostegno all’ordine globale basato su regole, imperniato sulle Nazioni Unite. Rafforzerà altresì il suo partenariato strategico con la NATO e intensificherà la cooperazione con i partner regionali, tra cui l’OSCE, l’UA e l’ASEAN.
A fronte dell’accresciuta ostilità del contesto di sicurezza, dobbiamo compiere un deciso salto di qualità e aumentare la nostra capacità e la nostra volontà di agire, rafforzare la nostra resilienza e garantire solidarietà e assistenza reciproca. La solidarietà tra gli Stati membri è espressa all’articolo 42, paragrafo 7, TUE. L’UE deve accrescere la propria presenza, efficacia e visibilità nel suo vicinato e sulla scena mondiale attraverso sforzi e investimenti congiunti. Insieme possiamo contribuire a plasmare il futuro globale perseguendo una linea d’azione strategica.
Dobbiamo agire come un attore politico forte e coerente per difendere i valori e i principi alla base delle nostre democrazie, assumerci maggiori responsabilità per la sicurezza dell’Europa e dei suoi cittadini e sostenere la pace e la sicurezza internazionali, nonché la sicurezza umana, insieme ai nostri partner, pur riconoscendo il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
La bussola strategica rappresenta un elevato livello di ambizione per la nostra agenda in materia di sicurezza e difesa in quanto:
1. offre una valutazione condivisa del nostro contesto strategico, delle minacce e delle sfide che dobbiamo affrontare e delle relative conseguenze per l’UE;
2. garantisce maggiore coerenza e un senso di finalità comune con riguardo alle azioni già in corso nel settore della sicurezza e della difesa;
3. definisce nuovi modi e mezzi per migliorare la nostra capacità collettiva di difendere la sicurezza dei nostri cittadini e della nostra Unione;
4. fissa obiettivi e traguardi chiari per misurare i progressi compiuti.
A tal fine, ci impegniamo a realizzare le seguenti azioni prioritarie concrete nell’ambito di quattro filoni di lavoro:
AZIONE
Dobbiamo essere in grado di agire in modo rapido ed energico quando scoppia una crisi, con i partner se possibile e da soli se necessario. A tal fine, provvederemo a:
1. rafforzare le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare conferendo loro mandati più solidi e duttili, promuovendo un processo decisionale rapido e più flessibile e garantendo una maggiore solidarietà finanziaria, favorendo nel contempo una stretta cooperazione con le missioni e operazioni ad hoc a guida europea. Rafforzeremo inoltre la dimensione civile della PSDC attraverso un nuovo patto che consenta un dispiegamento più rapido, anche in ambienti complessi;
2. sviluppare una capacità di dispiegamento rapido dell’UE che ci consentirà di dispiegare
rapidamente fino a 5 000 militari in ambienti non permissivi, per diversi tipi di crisi;
3. rafforzare le nostre strutture di comando e controllo, in particolare la capacità militare di
pianificazione e condotta, e aumentare la nostra prontezza e cooperazione attraverso il
miglioramento della mobilità militare ed esercitazioni reali periodiche, in particolare per la
capacità di dispiegamento rapido.
SICUREZZA
Dobbiamo potenziare la nostra capacità di anticipare le minacce, garantire un accesso sicuro ai settori strategici e proteggere i nostri cittadini. A tal fine, provvederemo a:
4. rafforzare le nostre capacità di intelligence, ad esempio il quadro della capacità unica di
analisi dell’intelligence (SIAC) dell’UE, per migliorare la nostra conoscenza situazionale e la
nostra previsione strategica;
5. creare un pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride, che preveda vari
strumenti per individuare e rispondere a un’ampia gamma di minacce di questo tipo. In tale contesto, metteremo a punto un pacchetto di strumenti dedicato per affrontare la
manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri;
6. sviluppare ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per essere meglio
preparati e rispondere agli attacchi informatici; rafforzare le nostre azioni nei settori marittimo, aereo e spaziale, in particolare estendendo le presenze marittime coordinate ad altre zone, a cominciare dalla regione indo-pacifica, e sviluppando una strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
INVESTIMENTI
Dobbiamo investire di più e meglio nelle capacità e nelle tecnologie innovative, colmare le lacune strategiche e ridurre le dipendenze tecnologiche e industriali. A tal fine, provvederemo a:
7. aumentare e migliorare la spesa nel settore della difesa e migliorare lo sviluppo e la
pianificazione delle capacità allo scopo di affrontare più efficacemente realtà operative e
nuove minacce e sfide;
8. cercare soluzioni comuni per sviluppare i necessari abilitanti strategici per le nostre missioni e operazioni nonché capacità di prossima generazione in tutti i settori operativi, tra cui piattaforme navali di alta gamma, sistemi di combattimento aereo del futuro, capacità basate sulla tecnologia spaziale e carri armati da combattimento;
9. sfruttare appieno la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la difesa per sviluppare congiuntamente capacità militari all’avanguardia e investire nell’innovazione tecnologica per la difesa nonché creare un nuovo polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia europea per la difesa.
PARTNER
Dobbiamo rafforzare la nostra cooperazione con i partner per affrontare minacce e sfide comuni.
A tal fine, provvederemo a:
10. rafforzare i partenariati strategici con la NATO e le Nazioni Unite attraverso dialoghi
politici più strutturati e una cooperazione operativa e tematica. Intensificheremo inoltre la
cooperazione con i partner regionali, tra cui l’OSCE, l’UA e l’ASEAN;
11. rafforzare la cooperazione con i partner bilaterali che condividono gli stessi valori e interessi, quali gli Stati Uniti, la Norvegia, il Canada, il Regno Unito e il Giappone. Sviluppare partenariati su misura nei Balcani occidentali, nel nostro vicinato orientale e meridionale, in Africa, in Asia e in America latina;
12. creare un forum di partenariato dell’UE in materia di sicurezza e difesa per collaborare più strettamente ed efficacemente con i partner allo scopo di fronteggiare sfide comuni.
Per tutti questi motivi, la bussola strategica fissa un piano ambizioso ma realizzabile per rafforzare la nostra politica di sicurezza e di difesa entro il 2030. La sicurezza e la difesa dell’UE necessitano di un nuovo impulso: un contesto più ostile e tendenze geopolitiche più ampie impongono infatti all’UE di farsi carico di una parte maggiore di responsabilità per la propria sicurezza.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
INTRODUZIONE
L’adozione della presente bussola strategica avviene in un momento in cui assistiamo al ritorno della guerra in Europa. Negli ultimi settant’anni l’UE ha svolto un ruolo importante per garantire la stabilità del nostro continente, proiettare gli interessi e i valori europei e contribuire alla pace e alla sicurezza in tutto il mondo. Con i suoi 27 Stati membri e 450 milioni di cittadini, la nostra Unione rimane il più grande mercato unico al mondo, il principale partner commerciale e di investimento per molti paesi – in particolare nel nostro vicinato – e la maggiore fonte di aiuti allo sviluppo. L’UE è un normatore e un leader coerente che investe in soluzioni multilaterali efficaci.
Con le nostre missioni e operazioni di gestione delle crisi attive in tre continenti, abbiamo
dimostrato di essere pronti ad assumerci rischi per la pace e a farci carico della nostra parte di responsabilità per la sicurezza globale.
La guerra di aggressione della Russia segna un cambiamento epocale nella storia europea. Di fronte all’aggressione militare non provocata e ingiustificata della Russia nei confronti dell’Ucraina, che viola palesemente il diritto internazionale e i principi della Carta delle Nazioni Unite e compromette la sicurezza e la stabilità mondiali ed europee, l’UE è più unita che mai. Stiamo dimostrando una determinazione senza precedenti a difendere i principi della Carta delle Nazioni Unite e ripristinare la pace in Europa insieme ai nostri partner. Un’UE più forte e capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Le relazioni transatlantiche e la cooperazione UE-NATO, nel pieno rispetto dei principi stabiliti nei trattati e di quelli concordati dal Consiglio europeo, compresi i principi di inclusività, reciprocità e
autonomia decisionale dell’UE, sono elementi essenziali per la nostra sicurezza generale. La solidarietà tra gli Stati membri è espressa all’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea. Più in generale, l’UE ribadisce la propria intenzione di intensificare il sostegno all’ordine globale basato su regole, imperniato sulle Nazioni Unite.
In quest’epoca di crescente competizione strategica, complesse minacce alla sicurezza e attacco diretto all’ordine di sicurezza europeo, è in gioco la sicurezza dei nostri cittadini e della nostra Unione. Con la crisi del multilateralismo si osservano sempre più spesso relazioni transazionali tra Stati. Lo spettro delle minacce è oggi più diversificato e imprevedibile. I cambiamenti climatici agiscono da “moltiplicatore della minaccia” e ci riguardano tutti. Dopo trent’anni di forte interdipendenza economica, che avrebbe dovuto ridurre le tensioni, il ritorno alla politica di potenza e persino all’aggressione armata rappresenta il cambiamento più significativo intervenuto nelle relazioni internazionali. Il terrorismo minaccia la stabilità di molti paesi e continua a mettere a dura prova i sistemi di sicurezza nazionali in tutto il mondo. L’interdipendenza rimane importante, ma è sempre più improntata alla conflittualità e il soft power è trasformato in un’arma: i vaccini, i dati e gli standard tecnologici sono tutti strumenti di competizione politica.
La sicurezza europea è indivisibile e qualsiasi sfida all’ordine di sicurezza europeo incide sulla sicurezza dell’UE e dei suoi Stati membri. Il ritorno alla politica di potenza induce alcuni paesi ad agire secondo una logica fondata su diritti storici e zone di influenza, anziché aderire alle norme e ai principi concordati a livello internazionale e unirsi per promuovere la pace e la sicurezza internazionali. L’alto mare, lo spazio aereo e quello extra-atmosferico come pure la dimensione informatica sono settori sempre più contesi. Infine, viviamo in un mondo sempre meno libero, in cui i diritti umani, la sicurezza umana e i valori democratici – sia all’interno che all’esterno dell’UE – sono sotto attacco. Assistiamo a una competizione tra sistemi di governance, accompagnata da una vera e propria battaglia di narrazioni.
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In questo sistema caratterizzato da forte antagonismo, l’UE e i suoi Stati membri devono
aumentare gli investimenti in materia di sicurezza e difesa per essere un attore politico e di sicurezza più forte. Malgrado i progressi compiuti negli ultimi anni, rischiamo seriamente di perdere terreno rispetto ai nostri concorrenti: l’UE ha ancora molta strada da fare per rafforzare la sua posizione geopolitica. Per questo motivo abbiamo bisogno di compiere un deciso salto di qualità per sviluppare un’Unione europea più forte e più capace che agisca quale garante della sicurezza, sulla base dei valori fondamentali dell’Unione sanciti dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea. Possiamo farlo solo sulla scorta di una valutazione condivisa della minaccia e di un impegno comune ad agire.
Con la presente bussola strategica definiamo una visione strategica comune della politica di sicurezza e di difesa dell’UE per i prossimi 5-10 anni, di cui avvieremo immediatamente
l’attuazione, che a sua volta ci aiuterà a sviluppare una cultura strategica comune, a rafforzare la nostra unità e solidarietà e, soprattutto, ad accrescere la nostra capacità e la nostra volontà di agire insieme, proteggere i nostri interessi e difendere i nostri valori.
In un mondo incerto, dove abbondano minacce e dinamiche geopolitiche in rapida evoluzione, la presente bussola strategica guida e rafforza la nostra azione in modo da rendere l’UE un garante della sicurezza più forte e capace. A tal fine, individua obiettivi chiari nel settore della sicurezza e della difesa dell’UE, i mezzi per conseguirli nonché scadenze specifiche per misurare i progressi compiuti.
Nel concreto, la bussola strategica:
1. offre una valutazione condivisa del nostro contesto strategico, delle minacce e delle sfide che dobbiamo affrontare e delle relative conseguenze per l’UE;
2. garantisce maggiore coerenza e un senso di finalità comune con riguardo alle azioni già in corso nel settore della sicurezza e della difesa;
3. definisce nuove azioni e nuovi mezzi per:
a. consentirci di agire in modo più rapido e deciso davanti alle crisi;
b. preservare i nostri interessi e proteggere i nostri cittadini rafforzando la capacità dell’UE di anticipare e attenuare le minacce;
c. stimolare gli investimenti e l’innovazione per sviluppare congiuntamente le capacità e le
tecnologie necessarie;
d. approfondire la nostra cooperazione con i partner, in particolare con le Nazioni Unite e la NATO, per conseguire obiettivi comuni;
4. fissa obiettivi e traguardi chiari per misurare i progressi compiuti.
La bussola strategica impegna l’Unione europea e i suoi Stati membri a realizzare uno sforzo comune per conseguire risultati concreti. I suoi obiettivi e le azioni proposte fanno parte di un approccio integrato dell’UE e sono pienamente in linea e complementari rispetto alle politiche attuali tese a rispondere alle minacce esterne che incidono sulla nostra sicurezza interna, in particolare quelle stabilite nella strategia per l’Unione della sicurezza presentata dalla Commissione europea nel 2020. Le politiche dell’UE offrono un notevole effetto leva che deve essere pienamente mobilitato per rafforzare la sicurezza e la difesa dell’UE. La presente bussola strategica si basa anche sui pacchetti Difesa e Spazio presentati dalla Commissione europea nel febbraio 2022. Essa contribuisce direttamente all’attuazione dell’agenda di Versailles.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
1. IL MONDO CHE ABBIAMO DAVANTI
Per preparare la presente bussola strategica, nel 2020 abbiamo condotto la primissima analisi esauriente della minaccia a livello dell’UE, il che ha contribuito alla definizione di una comune comprensione delle minacce e delle sfide che l’UE si troverà ad affrontare nel prossimo futuro. Per sviluppare una cultura strategica comune, a partire dal 2022 riesamineremo periodicamente – almeno ogni tre anni o prima, se l’evoluzione del contesto strategico e di sicurezza lo richiederà – l’analisi della minaccia.
Il panorama generale della sicurezza è oggi più volatile, complesso e frammentato che mai a causa di minacce a più livelli. Le dinamiche di instabilità locale e regionale, alimentate da una governance disfunzionale e da contese nel nostro più ampio vicinato e oltre e talvolta aggravate da disuguaglianze e da tensioni religiose ed etniche, sono sempre più interconnesse con minacce non convenzionali e transnazionali e rivalità tra potenze geopolitiche. Ne consegue una ridotta capacità del sistema multilaterale di prevenire e attenuare i rischi e le crisi.
Il ritorno della politica di potenza in un mondo multipolare conteso
Convinta sostenitrice del multilateralismo efficace, l’UE ha cercato di sviluppare un ordine
internazionale aperto basato su regole, fondato sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, sui valori universali e sul diritto internazionale. Tale visione del multilateralismo, che è prevalsa a livello internazionale dopo la fine della guerra fredda, è oggi messa fortemente in discussione dallo sgretolamento dei valori universali e dall’uso squilibrato delle sfide globali da parte di coloro che promuovono un approccio rigorosamente sovranista che costituisce in realtà un ritorno alla politica
di potenza. L’attuale realtà internazionale è basata sulla combinazione di dinamiche caratterizzate da un numero crescente di attori che cercano di ampliare il proprio spazio politico e di sfidare l’ordine di sicurezza. Il ricorso alla forza e alla coercizione per cambiare i confini non è ammissibile nel XXI secolo.
Con l’aggressione militare non provocata e ingiustificata nei confronti dell’Ucraina, la Russia viola palesemente il diritto internazionale e i principi della Carta delle Nazioni Unite e compromette la sicurezza e la stabilità mondiali ed europee. Tale violazione fa seguito all’aggressione militare perpetrata in Georgia nel 2008, nonché all’annessione illegale della Crimea e all’intervento militare nell’Ucraina orientale nel 2014. Attraverso questa ingerenza armata in Georgia e in Ucraina, il controllo di fatto sulla Bielorussia e la costante presenza di truppe russe nell’ambito di conflitti di lunga durata, tra cui nella Repubblica di Moldova, il governo russo sta attivamente mirando alla costituzione di quelle che vengono definite sfere di influenza. L’aggressione armata contro l’Ucraina dimostra che è pronto a utilizzare il massimo livello di forza militare, senza riguardo per considerazioni giuridiche o umanitarie, unitamente a tattiche ibride, attacchi informatici, manipolazione delle informazioni e ingerenze esterne, coercizione economica ed energetica e una
retorica nucleare aggressiva. Tali atti aggressivi e revisionisti di cui il governo russo, insieme alla Bielorussia, sua complice, porta l’intera responsabilità, minacciano gravemente e direttamente l’ordine di sicurezza europeo e la sicurezza dei cittadini europei. I responsabili di tali crimini, compresi gli attacchi contro civili e beni di carattere civile, saranno chiamati a rispondere delle loro azioni. La Russia si proietta anche in altri teatri quali la Libia, la Siria, la Repubblica centrafricana e il Mali, sfruttando le crisi in modo opportunistico, anche attraverso il ricorso alla disinformazione e a mercenari, tra cui il Wagner Group. Tutti questi sviluppi costituiscono una minaccia diretta e a lungo termine per la sicurezza europea, minaccia che continueremo ad affrontare con determinazione.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
La Cina è un partner per la cooperazione, un concorrente economico e un rivale sistemico con cui possiamo affrontare questioni di portata planetaria come i cambiamenti climatici. La Cina è sempre più coinvolta e implicata in tensioni a livello regionale. L’asimmetria nell’apertura dei nostri mercati e delle nostre società ha suscitato crescenti preoccupazioni per quanto riguarda la reciprocità, la concorrenza economica e la resilienza. La Cina tende a limitare l’accesso al suo mercato e cerca di promuovere i suoi standard a livello mondiale. Persegue le sue politiche anche attraverso una crescente presenza in mare e nello spazio nonché avvalendosi di strumenti informatici e impiegando tattiche ibride. Oltre a ciò, la Cina ha sviluppato in modo considerevole i suoi mezzi militari e mira
a portare a compimento la modernizzazione complessiva delle sue forze armate entro il 2035, impattando in tal modo sulla sicurezza regionale e globale. Lo sviluppo e l’integrazione della Cina nella sua regione, e nel mondo in generale, caratterizzeranno il resto di questo secolo. Dobbiamo garantire che ciò avvenga in un modo che contribuisca a difendere la sicurezza globale e non sia in contrasto con l’ordine internazionale basato su regole e con i nostri interessi e valori. Questo richiede una forte unità tra di noi e una stretta collaborazione con altri partner regionali e globali.
In questo mondo multipolare conteso, l’UE deve assumere una posizione più attiva per proteggere i suoi cittadini, difendere i propri interessi, proiettare i suoi valori e collaborare con i partner al fine di garantire la sicurezza per un mondo più sicuro e più giusto. Insieme ai suoi partner, l’UE difende i principi fondamentali su cui si fonda la sicurezza europea, sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dai documenti costitutivi dell’OSCE, tra cui l’Atto finale di Helsinki e la Carta di Parigi. Tra essi figurano segnatamente la sovrana uguaglianza e l’integrità territoriale degli Stati, l’inviolabilità delle frontiere, il non ricorso alla minaccia o all’uso della forza e la libertà degli Stati di scegliere o modificare le rispettive disposizioni in materia di sicurezza. Tali principi non sono né negoziabili né
soggetti a revisione o reinterpretazione.
Per difendere l’ordine internazionale basato su regole, continueremo a rafforzare le nostre relazioni con i partner e i paesi che condividono gli stessi principi in seno alle Nazioni Unite, alla NATO e al G7. In tale contesto, gli Stati Uniti rimangono il più leale e il più importante partner strategico dell’UE, oltre ad essere una potenza globale che contribuisce alla pace, alla sicurezza, alla stabilità e alla democrazia nel nostro continente.
Il nostro contesto strategico
Oggi l’UE è circondata da instabilità e conflitti e si trova ad affrontare una guerra ai suoi confini.
Ci troviamo di fronte a un mix pericoloso fatto di aggressioni armate, annessioni illegali, Stati fragili, potenze revisioniste e regimi autoritari. In questo contesto trovano terreno fertile molteplici minacce alla sicurezza europea: dal terrorismo, l’estremismo violento e la criminalità organizzata fino ai conflitti ibridi e gli attacchi informatici, la strumentalizzazione della migrazione irregolare, la proliferazione delle armi e il progressivo indebolimento dell’architettura in materia di controllo degli armamenti. L’instabilità finanziaria e le divergenze sociali ed economiche estreme possono aggravare ulteriormente tali dinamiche e avere un impatto sempre maggiore sulla nostra sicurezza.
Tutte queste minacce compromettono la sicurezza dell’UE lungo le nostre frontiere meridionali e orientali e oltre. Laddove non è attiva ed efficace nel promuovere i propri interessi, l’UE lascia il campo libero ad altri attori.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Non possiamo ancora dare per scontate la sicurezza e la stabilità nell’intera regione dei Balcani occidentali, anche a causa delle crescenti ingerenze da parte di attori stranieri, che comprendono campagne di manipolazione delle informazioni, nonché delle potenziali ripercussioni dovute all’attuale deterioramento della situazione della sicurezza europea. A tale riguardo è di particolare interesse sostenere la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina, sulla base dei principi di uguaglianza e non discriminazione di tutti i cittadini e popoli costituenti sanciti dalla costituzione della Bosnia-Erzegovina, nonché il processo di riforma lungo il suo percorso europeo, e portare avanti il dialogo Pristina-Belgrado a guida UE. Servono ulteriori progressi tangibili per quanto riguarda lo Stato di diritto e le riforme basate sui valori, le regole e le norme europei; la
prospettiva europea è una scelta strategica, essenziale per tutti i partner che aspirano a diventare membri dell’UE. Nel nostro vicinato orientale, mentre l’Ucraina subisce l’attacco diretto delle forze armate russe, anche la Repubblica di Moldova, la Georgia e altri paesi nel Caucaso meridionale subiscono costantemente intimidazioni strategiche, minacce dirette alla loro sovranità e integrità territoriale e sono intrappolati in conflitti di lunga durata. L’autoritarismo in Bielorussia si traduce in una repressione violenta in patria, nel sostegno militare attivo all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, in un cambiamento del suo status di paese denuclearizzato e in tattiche ibride contro l’UE. La stabilità e la sicurezza della regione del Mar Nero nel suo complesso risentono pesantemente dell’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, con implicazioni di vasta
portata in termini di sicurezza, resilienza, libertà di navigazione e sviluppo economico. La regione artica sta cambiando rapidamente, in particolare a causa delle ripercussioni del riscaldamento globale, delle rivalità geopolitiche e dell’accresciuto interesse commerciale, anche per quanto riguarda le risorse naturali. Nel vicinato meridionale le crisi in Libia e in Siria rimangono irrisolte, con conseguenze durature e pervasive a livello regionale. La regione, in particolare, è minacciata dai movimenti terroristici, dalla tratta di esseri umani e dalla criminalità organizzata, che affliggono entrambe le sponde del Mar Mediterraneo. Trattandosi di una regione e di una zona marittima di importanza strategica per la nostra sicurezza e stabilità, siamo determinati a intensificare i nostri sforzi per affrontare tali minacce e sfide. Continueremo ad adoperarci per la pace e la sicurezza nella regione euromediterranea, anche attraverso la mediazione, la risoluzione dei conflitti, la
ricostruzione delle istituzioni e la reintegrazione di tutti i membri della società. A tal fine,
rafforzeremo la nostra cooperazione con i partner regionali. Permangono infine tensioni nel
Mediterraneo orientale, dovute a provocazioni e azioni unilaterali nei confronti di Stati membri dell’UE e a violazioni di diritti sovrani contrarie al diritto internazionale, nonché alla
strumentalizzazione della migrazione irregolare, e c’è il rischio che tali tensioni si aggravino rapidamente; garantire un ambiente stabile e sicuro come anche relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose, in linea con il principio delle relazioni di buon vicinato, è nell’interesse sia dell’UE che della Turchia.
Insieme, queste minacce e sfide incidono sulla sicurezza dei nostri cittadini, sulla nostra
infrastruttura critica e sull’integrità delle nostre frontiere. L’impatto di un forte deterioramento delle relazioni con il governo russo è particolarmente grave in molti di questi teatri. Il governo russo interferisce attivamente tramite tattiche ibride, compromettendo la stabilità dei paesi e i loro processi democratici, con implicazioni dirette anche per la nostra propria sicurezza.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Il futuro dell’Africa riveste un’importanza strategica per l’UE. Data la sua crescita economica e demografica, il continente africano ha un notevole potenziale. Tuttavia i conflitti in corso, la governance inadeguata e il terrorismo in tutto il continente incidono sulla nostra sicurezza. Questo è in particolare il caso del Mali, della più vasta regione del Sahel e dell’Africa centrale, in cui instabilità, gruppi terroristici, strutture statali deboli, mercenari e povertà diffusa costituiscono una pericolosa combinazione e richiedono un impegno rafforzato da parte dell’UE. La stabilità nel Golfo di Guinea, nel Corno d’Africa e nel Canale del Mozambico rimane un importante imperativo di sicurezza per l’UE, anche perché si tratta di rotte commerciali chiave. Al tempo stesso in Africa osserviamo una crescente competizione geopolitica, con una maggiore presenza di attori sia globali che regionali. Alcuni di essi non esitano a ricorrere a forze irregolari in zone di instabilità, minando così gli sforzi internazionali a favore della pace e della stabilità, destabilizzando paesi e le relative economie e rendendosi complici di violazioni dei diritti umani.
Nel complesso della regione del Medio Oriente e del Golfo, i conflitti attivi e l’instabilità
persistente mettono a rischio la nostra sicurezza e i nostri interessi economici. Affrontare le sfide della non proliferazione nucleare nella regione rimane di fondamentale importanza. L’Iran è fondamentale per la sicurezza nella regione, anche se il sostegno diretto e indiretto che fornisce a mandatari politici e militari nonché la proliferazione balistica e il trasferimento di missili e di armi ad attori statali e non statali rimangono un’importante fonte di instabilità a livello regionale. Sono estremamente importanti gli sforzi tesi a ripristinare la piena attuazione del piano d’azione congiunto globale (PACG). Gli sforzi della regione tesi a contrastare l’estremismo violento rivestiranno inoltre un’importanza cruciale per la lotta globale contro i gruppi terroristici come Al Qaeda e Da’esh.
Un nuovo centro di competizione globale è emerso nella regione indo-pacifica, dove le tensioni geopolitiche mettono in pericolo l’ordine basato su regole ed esercitano pressioni sulle catene di approvvigionamento globali. L’UE ha un interesse geopolitico ed economico cruciale nella stabilità e sicurezza della regione. Tuteleremo pertanto i nostri interessi nella regione, anche facendo in modo che nel settore marittimo e in altri settori prevalga il diritto internazionale. La Cina è il secondo partner commerciale dell’UE e un partner necessario per affrontare le sfide globali. Ma si registra anche una crescente reazione di fronte al suo comportamento sempre più assertivo a livello regionale.
Altrove in Asia, l’Afghanistan continua a porre gravi problemi in materia di sicurezza per la regione e per l’Unione europea in termini di terrorismo, traffico di stupefacenti e crescenti sfide in materia di migrazione irregolare. Alcuni attori, come la Repubblica popolare democratica di Corea (RPDC), continuano a mettere in pericolo la pace e la sicurezza a livello regionale e internazionale, con armi di distruzione di massa e i relativi programmi nucleari e di missili balistici, ma anche e sempre più tramite operazioni di intelligence, attacchi informatici e campagne di disinformazione. Anche il persistere di vecchi conflitti continua a ostacolare lo sviluppo di accordi globali panregionali in materia di sicurezza.
Infine, con l’America latina condividiamo profondi legami storici e culturali, nonché un impegno a favore del multilateralismo fondato su principi e valori fondamentali comuni. Nondimeno la pandemia di COVID-19 ha messo in evidenza gli squilibri socioeconomici in diversi paesi dell’America latina, minacciandone in taluni casi la stabilità politica. La fragilità dell’America centrale e la crisi prolungata in Venezuela alimentano le divisioni regionali e contribuiscono a determinare forti pressioni migratorie, aggravando ulteriormente le sfide poste dalla criminalità organizzata legata alla droga e mettendo a repentaglio gli sforzi di pace in Colombia.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Minacce e sfide emergenti e transnazionali
Oltre ai conflitti e alle tensioni regionali cui si è accennato sopra, a livello globale ci troviamo anche di fronte a minacce transnazionali e a complesse dinamiche di sicurezza che hanno un impatto diretto sulla sicurezza dell’Unione.
Il terrorismo e l’estremismo violento, in tutte le loro forme e a prescindere dalla loro origine, continuano a evolvere costantemente e rappresentano una grave minaccia per la pace e la sicurezza, all’interno e all’esterno dell’UE. Nel novero figura una combinazione di terroristi endogeni, combattenti stranieri di ritorno nel paese d’origine, attentati diretti, incoraggiati o ispirati dall’estero, nonché la propagazione di ideologie e convinzioni che portano alla radicalizzazione e all’estremismo violento. In particolare, la minaccia rappresentata da Da’esh, da Al Qaeda e dai loro affiliati resta elevata e continua a minare la stabilità di varie regioni e la sicurezza dell’UE.
La proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei relativi vettori rappresenta una
minaccia persistente, come dimostrano in particolare i programmi nucleari dell’RPDC e dell’Iran, il reiterato ricorso alle armi chimiche e lo sviluppo e lo schieramento di nuovi missili balistici, da crociera e ipersonici avanzati. Sia la Russia che la Cina stanno ampliando il loro arsenale nucleare e sviluppando nuovi sistemi d’arma. La leadership russa ha fatto ricorso a minacce nucleari nel contesto della sua invasione in Ucraina. Le potenze regionali possono inoltre accedere ad armi convenzionali sofisticate che vanno dai sistemi anti-accesso/negazione d’area ai missili balistici e da crociera. Dette tendenze sono aggravate dall’erosione dell’architettura di controllo degli armamenti in Europa, che va dal trattato sulle forze armate convenzionali in Europa al trattato sulle forze nucleari a medio raggio e al trattato sui cieli aperti. Questo vuoto normativo incide direttamente sulla stabilità e sulla sicurezza dell’UE. Non può esistere tolleranza di fronte al marcato aumento dell’uso di armi chimiche. La salvaguardia della proibizione globale delle armi chimiche è una responsabilità condivisa a livello mondiale. Continueremo pertanto a sostenere in
particolare l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
Attori statali e non statali utilizzano strategie ibride, attacchi informatici, campagne di
disinformazione, ingerenze dirette nei nostri processi elettorali e politici, la coercizione economica e la strumentalizzazione dei flussi migratori irregolari. Tra i motivi di crescente preoccupazione vi è poi l’aumento di forme di uso improprio del diritto per conseguire obiettivi politici, economici e militari. I nostri concorrenti non esitano a utilizzare tecnologie emergenti e di rottura per ottenere vantaggi strategici e aumentare l’efficacia delle loro campagne ibride. Alcuni hanno approfittato delle incertezze create dalla pandemia di COVID-19 per diffondere narrazioni dannose e false.
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Al tempo stesso l’accesso libero e sicuro ai settori strategici globali è sempre più messo in
discussione. Il ciberspazio è diventato un campo di competizione strategica, in un momento di crescente dipendenza dalle tecnologie digitali. Ci troviamo sempre più spesso ad affrontare attacchi informatici più sofisticati. È essenziale mantenere un ciberspazio aperto, libero, stabile e sicuro.
Nonostante il principio dell’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico, la competizione in questo settore ha forti implicazioni in materia di sicurezza e di difesa. Sebbene sia fondamentale per le capacità di osservazione, monitoraggio, navigazione e comunicazione, il settore dello spazio extraatmosferico è congestionato e conteso, come dimostrano i comportamenti irresponsabili dei concorrenti strategici. La sicurezza marittima nel Mar Baltico, nel Mar Nero, nel Mediterraneo e nel Mare del Nord, oltre che nelle acque dell’Artico, nell’Oceano Atlantico e nelle regioni ultraperiferiche, è importante per la sicurezza dell’UE, per il nostro sviluppo economico, per il libero scambio, i trasporti e la sicurezza energetica. Le zone marittime, i corridoi marittimi di comunicazione critici e varie strozzature marittime come anche i fondali marittimi sono sempre più contesi, dal Golfo di Aden allo stretto di Hormuz e oltre lo stretto di Malacca. È infine minacciata anche la nostra sicurezza aerea a causa di atteggiamenti sempre più aggressivi nello spazio aereo,
con un crescente ricorso a tattiche anti-accesso/negazione d’area.
Anche i cambiamenti climatici, il degrado ambientale e le catastrofi naturali avranno un impatto sul nostro panorama della sicurezza nei prossimi decenni, oltre ad essere fattori comprovati di instabilità e conflitto in tutto il mondo – dal Sahel all’Amazzonia, fino alla regione artica. La corsa alle risorse naturali come i terreni agricoli e l’acqua e lo sfruttamento delle risorse energetiche a fini politici sono esempi concreti a tale riguardo. La decarbonizzazione e la transizione verso economie più circolari e più efficienti sotto il profilo delle risorse comportano sfide specifiche in materia di sicurezza, tra cui
l’accesso alle materie prime critiche, la gestione e la sostenibilità della catena del valore, come pure i cambiamenti economici e politici causati dall’abbandono dei combustibili fossili. Anche le crisi sanitarie globali possono mettere a dura prova le società e le economie, con implicazioni geopolitiche di vasta portata. La pandemia di COVID-19 ha alimentato le rivalità internazionali e dimostrato che le perturbazioni delle principali rotte commerciali possono mettere sotto pressione le catene di approvvigionamento critiche e incidere sulla sicurezza economica.
Implicazioni strategiche per l’Unione
Tutte le sfide summenzionate sono multiformi e spesso interconnesse. È in gioco la nostra sicurezza, a livello interno come all’estero. Dobbiamo essere in grado di proteggere i nostri cittadini, difendere i nostri interessi comuni, diffondere i nostri valori e contribuire a plasmare il futuro globale, e dobbiamo essere pronti a farlo. Dobbiamo raddoppiare gli sforzi per attuare il nostro approccio integrato alla sicurezza, ai conflitti e alle crisi. Dobbiamo essere più coraggiosi nel modo in cui abbiniamo i nostri strumenti diplomatici ed economici, ivi compresi i nostri regimi di sanzioni, alle risorse civili e militari per prevenire i conflitti, rispondere alle crisi, contribuire al consolidamento della pace e sostenere i partner.
Rafforzeremo inoltre la nostra cooperazione con le iniziative europee a livello bilaterale, regionale e multilaterale in materia di sicurezza e difesa che contribuiscono alla sicurezza dell’Europa.
La solidarietà, l’unità e la nostra ambizione derivanti dalla strategia globale dell’UE del 2016 sono più che mai essenziali. Rafforzeremo la nostra capacità di contribuire alla pace e alla sicurezza del nostro continente, rispondere alle crisi e ai conflitti esterni, sviluppare le capacità dei partner e proteggere l’UE e i suoi cittadini. Sebbene dal 2016 abbiamo intensificato il nostro lavoro per rafforzare il ruolo dell’UE in materia di sicurezza e difesa, riconosciamo l’emergere di un nuovo panorama strategico che ci impone di agire con un senso di urgenza e una determinazione di gran lunga maggiori e di far prova di
solidarietà e assistenza reciproca in caso di aggressione nei confronti di uno di noi. È giunto il momento di compiere passi decisivi per garantire la nostra libertà di azione.
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I recenti cambiamenti geopolitici ci ricordano che l’UE deve assumersi con urgenza maggiori responsabilità per la propria sicurezza agendo nel suo vicinato e oltre, con i partner ogniqualvolta possibile e da sola se necessario. La forza della nostra Unione risiede nell’unità, nella solidarietà e nella determinazione. La presente bussola strategica potenzierà l’autonomia strategica dell’UE e la sua capacità di lavorare con i partner per salvaguardare i suoi valori e interessi. Un’UE più forte e più capace in materia di sicurezza e difesa apporterà un contributo positivo alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva per i suoi membri. Si tratta di due elementi interdipendenti tra loro.
Nei capitoli che seguono, la presente bussola strategica definisce il modo in cui agiremo e saremo pronti a rispondere a varie crisi e sfide. Specifica in che modo dovremmo anticipare le minacce, difendere i nostri interessi e proteggere i nostri cittadini. A tal fine dobbiamo innovare e investire in capacità di difesa tecnologicamente superiori e interoperabili e ridurre le dipendenze per quanto concerne la tecnologia e le risorse. In tutti questi sforzi dobbiamo approfondire i partenariati quando sono al servizio dei valori e degli interessi dell’UE.
2. AZIONE
Per affrontare il mondo che abbiamo davanti, dobbiamo intensificare gli sforzi per prepararci alle crisi e alle minacce e per proiettare stabilità nel nostro vicinato e oltre. La forza dell’UE nel prevenire e nell’affrontare le crisi e i conflitti esterni risiede nella sua capacità di utilizzare mezzi sia militari che civili. Dobbiamo essere in grado di agire prontamente in tutti i settori operativi: a terra, in mare e in aria, nonché nel ciberspazio e nello spazio extra-atmosferico. Per attuare efficacemente l’approccio integrato dell’UE utilizzeremo appieno e coerentemente tutte le politiche e tutti gli strumenti dell’UE disponibili, oltre a ottimizzare le sinergie e la complementarità tra sicurezza interna ed esterna, sicurezza e sviluppo nonché le dimensioni civile e militare della nostra politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC). Potenzieremo la nostra capacità di svolgere l’intera gamma di compiti civili e militari di gestione delle crisi che l’articolo 43 del trattato sull’Unione europea pone al centro della nostra PSDC.
Agire insieme
L’UE deve diventare più rapida, più abile e più efficace nella sua capacità di decidere e agire.
Questo richiede volontà politica. Posto che l’unanimità costituisce la norma del processo decisionale allorché vi sono implicazioni nel settore militare o della difesa, abbiamo bisogno di maggiore rapidità, solidità e flessibilità per svolgere l’intera gamma di compiti di gestione delle crisi.
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Dobbiamo essere in grado di rispondere a minacce imminenti o di reagire rapidamente a una situazione di crisi al di fuori dell’Unione in tutte le fasi del ciclo di un conflitto. A tal fine svilupperemo una capacità di dispiegamento rapido dell’UE che ci consentirà di dispiegare rapidamente una forza modulare di un massimo di 5 000 militari, comprese componenti terrestri, aeree e marittime, oltre che i necessari abilitanti strategici. Una tale capacità modulare può essere impiegata in diverse fasi di un’operazione in un ambiente non permissivo, quale prima forza di intervento, rinforzo o forza di riserva per mettere in sicurezza l’uscita. Lo sviluppo di tale capacità sarà basato su scenari operativi che inizialmente si incentreranno sulle operazioni di soccorso ed evacuazione, oltre che sulla fase iniziale delle operazioni di stabilizzazione. La capacità consisterà di gruppi tattici dell’UE sostanzialmente modificati e di forze e capacità militari degli Stati membri
individuate in precedenza, conformemente al principio della “riserva unica di forze”. A tale
proposito ci impegniamo ad accrescere la prontezza e la disponibilità delle nostre forze armate. Una modifica sostanziale dei gruppi tattici dell’UE dovrebbe portare a uno strumento più robusto e flessibile, ad esempio mediante pacchetti di forze su misura comprendenti componenti terrestri, aeree e marittime, diversi livelli di prontezza operativa e periodi di allerta più lunghi. Una panoramica completa e dettagliata di tutti gli elementi disponibili ci fornirà la necessaria flessibilità per adattare la nostra forza alla natura della crisi e alle esigenze e agli obiettivi dell’operazione decisi dal Consiglio, ricorrendo ai gruppi tattici dell’UE sostanzialmente modificati, alle forze militari degli Stati membri o a una combinazione dei due elementi.
Ai fini di un dispiegamento efficace, ci impegniamo a fornire le risorse associate e i necessari abilitanti strategici, in particolare trasporto strategico, protezione delle forze, materiale medico, ciberdifesa, comunicazione satellitare e capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
Svilupperemo queste capacità ove necessario. Per il comando e il controllo utilizzeremo il nostro quartier generale del comando del livello operativo nazionale predefinito o la capacità militare di pianificazione e condotta dell’UE una volta raggiunta la piena capacità operativa. Faremo in modo che il ricorso a modalità decisionali più flessibili e un ampliamento della portata dei costi comuni (compresi i costi delle esercitazioni) contribuiscano alla rapida ed efficiente schierabilità di tale capacità. Organizzeremo formazioni ed esercitazioni nel quadro dell’UE per aumentare la prontezza e l’interoperabilità di tutti gli elementi di tale capacità (anche in linea con gli standard NATO). Ciò è fondamentale se vogliamo superare gli ostacoli che abbiamo incontrato in passato.
Più in generale dobbiamo anche puntare a una maggiore flessibilità nell’ambito del nostro processo decisionale, senza compromettere la solidarietà politica e finanziaria. Utilizzeremo pertanto il potenziale offerto dai trattati dell’UE, compresa l’astensione costruttiva. Decideremo in particolare modalità pratiche per l’attuazione dell’articolo 44 del trattato sull’Unione europea, conformemente al processo decisionale della PSDC, al fine di consentire a un gruppo di Stati membri, disposti e capaci, di pianificare e condurre una missione o un’operazione nel quadro dell’UE e sotto la supervisione politica del Consiglio.
Missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare più solide, flessibili e modulari dovrebbero consentirci sia di aumentarne l’efficacia sia di adattarci rapidamente alle nuove minacce e sfide, anche alla luce del nuovo contesto di sicurezza e della crescente presenza dei nostri concorrenti strategici nei teatri operativi. Tali missioni e operazioni dovrebbero ad esempio poter accompagnare e sostenere meglio le forze di sicurezza e di difesa dei partner nonché offrire formazione e consulenza in materia di riforme strutturali. A tal fine adatteremo ulteriormente il nostro attuale modello di missioni e operazioni militari per accrescerne l’efficacia sul campo. Valuteremo inoltre ulteriori possibilità di fornire consulenza più mirata alle organizzazioni di sicurezza e difesa dei paesi partner. Gli strumenti di comunicazione strategica dovrebbero essere ulteriormente rafforzati
al fine di sostenere meglio le nostre missioni e operazioni.
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Attraverso un maggiore ricorso allo strumento europeo per la pace, l’UE può garantire
rapidamente un’importante assistenza ai partner, ad esempio con la fornitura di materiale militare che spesso integra la formazione da parte delle missioni PSDC. Tale obiettivo può essere conseguito anche sostenendo le capacità di difesa dei partner in tempi di crisi, come nel caso del pacchetto di assistenza per sostenere le forze armate ucraine nella difesa dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina e nella protezione della popolazione civile da un’aggressione non provocata e ingiustificata.
Gli Stati membri dell’UE forniscono inoltre, attraverso varie forme di cooperazione, importanti contributi alla difesa degli interessi dell’UE, come anche della pace e della stabilità nel mondo. Una migliore cooperazione tra queste iniziative e le azioni dell’UE dovrebbe portare a un sostegno reciproco e a una maggiore efficacia. A tale proposito, le nostre missioni e operazioni PSDC e le missioni e operazioni ad hoc a guida europea che operano nello stesso teatro o in quelli adiacenti dovrebbero rafforzarsi reciprocamente, in linea con i rispettivi mandati, attraverso il coordinamento operativo, il supporto logistico, la condivisione di intelligence e le capacità congiunte di evacuazione medica. Ciò significa sviluppare una più stretta cooperazione in teatro in questi settori, ad esempio nel Sahel, nel Corno d’Africa e nello stretto di Hormuz. L’UE potrebbe sostenere ulteriormente missioni e operazioni ad hoc a guida europea che siano al servizio degli interessi dell’UE. Tali operazioni potrebbero beneficiare del sostegno politico dell’UE e basarsi su risultati
concreti delle misure di assistenza finanziate attraverso lo strumento europeo per la pace.
Considerando che il settore marittimo si fa sempre più conteso, ci impegniamo a affermare
ulteriormente i nostri interessi in mare e a rafforzare la sicurezza marittima dell’UE e degli Stati membri, anche migliorando l’interoperabilità delle nostre forze navali attraverso esercitazioni reali e organizzando scali portuali per le navi europee. Sulla base dell’esperienza in corso nel Golfo di Guinea e nel nord-ovest dell’Oceano Indiano, estenderemo le nostre presenze marittime coordinate ad altre zone di interesse marittimo che incidono sulla sicurezza dell’UE e cercheremo di coinvolgere i partner pertinenti, ove opportuno. Inoltre consolideremo e, se del caso, svilupperemo ulteriormente le nostre due operazioni navali schierate nel Mediterraneo e al largo della Somalia – zone marittime di fondamentale interesse strategico per l’UE.
Rafforzeremo la cooperazione e il coordinamento nel settore aereo sviluppando ulteriormente la nostra capacità di intraprendere, per la prima volta, operazioni di sicurezza aerea dell’UE, compresi compiti di supporto aereo, soccorso ed evacuazione, sorveglianza e soccorso in caso di calamità.
Per agevolare l’uso coordinato dei mezzi aerei militari a sostegno delle missioni e operazioni PSDC, rafforzeremo altresì la nostra collaborazione e il nostro partenariato con le strutture e le iniziative multilaterali e dell’UE nel settore aereo, come il comando europeo di trasporto aereo.
Attraverso le nostre missioni PSDC in ambito civile offriamo un contributo essenziale allo Stato di diritto, all’amministrazione civile, al settore della polizia e alla riforma del settore della sicurezza in zone di crisi. Tali missioni sono inoltre fondamentali nella più ampia risposta dell’UE alle sfide in materia di sicurezza attraverso mezzi non militari, compresi quelli legati alla migrazione irregolare, alle minacce ibride, al terrorismo, alla criminalità organizzata, alla radicalizzazione e all’estremismo violento.
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Il patto sulla dimensione civile della PSDC ci aiuta a sviluppare e rafforzare ulteriormente le nostre missioni civili affinché possano rispondere in modo rapido ed efficace alle minacce e alle sfide esistenti e in evoluzione – che compromettono il sistema esecutivo, giudiziario o legislativo nelle zone di crisi – e pone rimedio alle carenze critiche. Garantiremo una più rapida schierabilità delle missioni civili in linea con il patto sulla dimensione civile della PSDC. Più specificamente, saremo in grado e pronti a schierare una missione con 200 esperti civili entro 30 giorni, utilizzando appieno le attrezzature fondamentali e i servizi logistici offerti dal deposito strategico e dalla piattaforma di sostegno alla missione. Aumenteremo l’efficacia, la flessibilità e la capacità di reazione delle missioni civili, anche accelerando il nostro processo decisionale, rafforzando la pianificazione operativa, migliorando il processo di selezione e reclutamento del personale e gli strumenti inerenti alla capacità di reazione, squadre specializzate comprese. A tal fine ci baseremo
anche sulla ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Rafforzeremo ulteriormente la dimensione civile della PSDC attraverso un nuovo patto che fisserà gli obiettivi relativi al tipo, al numero e alle dimensioni delle missioni civili, gli elementi per un processo strutturato di sviluppo delle capacità civili nonché le sinergie con altri strumenti dell’UE.
Per affrontare congiuntamente le pertinenti sfide in materia di sicurezza è necessaria una maggiore cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra la PSDC e gli attori della giustizia e degli affari interni dell’UE, comprese le agenzie quali Europol, Eurojust, CEPOL e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex). Possiamo sfruttare le esperienze positive, ad esempio quelle acquisite in Libia, in Ucraina, nel Sahel e nel Corno d’Africa o grazie alla cellula sulle informazioni sui reati istituita nel quadro dell’operazione navale dell’UE nel Mediterraneo. A tal fine miriamo ad aumentare le sinergie tra gli attori della giustizia e degli affari interni e la PSDC, in linea con le priorità dell’UE. Ciò comprende la conoscenza situazionale comune, consultazioni e scambi periodici, nonché dispiegamenti sequenziali o di rinforzo (“plug-in”) su misura. Per garantire un’adeguata adesione, intensificheremo inoltre la cooperazione con gli attori nazionali nel settore della giustizia e degli affari interni, anche a livello politico.
Dobbiamo rafforzare ulteriormente in modo graduale le nostre strutture di comando e controllo civili e militari. Garantiremo che la capacità militare di pianificazione e condotta sia pienamente in grado di pianificare, controllare e comandare compiti e operazioni esecutivi e non esecutivi, nonché esercitazioni reali. In tale contesto intensificheremo i contributi in termini di personale e garantiremo di disporre dei necessari sistemi di comunicazione e informazione, come pure delle strutture necessarie. Una volta raggiunta la piena capacità operativa, la capacità militare di pianificazione e condotta dovrebbe essere considerata la struttura di comando e controllo di preferenza. Ciò non inciderà sulla nostra capacità di continuare a utilizzare i comandi operativi nazionali individuati in precedenza. Sarà inoltre rafforzata la capacità civile di pianificazione e condotta al fine di migliorare la sua capacità di pianificare, controllare e comandare missioni civili
attuali e future. La cooperazione e il coordinamento tra le strutture civili e militari saranno rafforzati attraverso la cellula comune di coordinamento del sostegno.
Manteniamo il nostro fermo impegno a promuovere e far progredire la sicurezza umana, il rispetto del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani e la conformità ad essi, come pure la protezione dei civili, compresi gli operatori umanitari, in tutte le situazioni di conflitto, nonché a sviluppare ulteriormente la politica di dovuta diligenza dell’UE al riguardo. Dobbiamo mantenerci risoluti e prevenire qualsiasi tentativo di smantellare e minare il diritto internazionale. Continueremo inoltre a contribuire alla protezione del patrimonio culturale, anche attraverso le nostre missioni e operazioni PSDC.
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Manteniamo il nostro fermo impegno a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di donne, pace e sicurezza. Affrontare le disuguaglianze di genere e la violenza di genere è un aspetto cruciale della prevenzione e risoluzione dei conflitti nonché del rafforzamento della resilienza alle minacce alla sicurezza a livello di comunità. L’azione esterna dell’UE, comprese le missioni e le operazioni civili e militari, dovrebbe contribuire attivamente all’emancipazione delle donne, nonché a prevenire e affrontare la violenza sessuale e di genere in situazioni di conflitto e post-conflitto, sulla base dei diritti e delle diverse esigenze delle donne, degli uomini e delle ragazze e dei ragazzi.
Promuoveremo ulteriormente la parità di genere e integreremo sistematicamente una prospettiva di genere, basata sull’analisi di genere, in tutte le azioni civili e militari in ambito PSDC, anche a livello di pianificazione, ponendo l’accento anche sulla partecipazione paritaria e significativa di donne in tutte le funzioni, comprese le posizioni dirigenziali. Ci impegniamo inoltre a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di bambini e conflitti armati. L’azione esterna dell’UE svolge un ruolo essenziale nel contribuire a porre fine alle gravi violazioni nei confronti dei bambini coinvolti nei conflitti e a prevenire tali violazioni, così da spezzare i cicli di violenza, anche attraverso azioni civili e militari in ambito PSDC.
Prepararsi insieme
Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa. Continueremo a investire nella nostra assistenza reciproca, conformemente all’articolo 42, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea, nonché nella solidarietà, conformemente all’articolo 222 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare attraverso esercitazioni frequenti.
Per aumentare la nostra preparazione, procederemo in modo più sistematico a una pianificazione preventiva basata su scenari, potenzieremo l’allarme rapido e adatteremo gli scenari operativi che corrispondono alle minacce e alle sfide mutevoli che ci troviamo ad affrontare. Combinando l’intelligence geospaziale e tutti gli altri tipi di intelligence, la pianificazione preventiva si tradurrà in piani civili e militari di massima che saranno adattati e aggiornati in funzione dell’evolversi degli scenari. A tale riguardo, rafforzeremo la cooperazione tra i responsabili della pianificazione operativa dell’UE e nazionali.
L’Unione può essere efficace solo se dispone di personale civile e militare sufficiente e
adeguatamente formato. Dobbiamo rafforzare le nostre capacità, gli abilitanti critici e le nostre attrezzature al fine di colmare il divario tra il nostro livello di ambizione e le risorse disponibili. Al fine di realizzare le nostre ambizioni e agevolare un’equa ripartizione dei contributi alle missioni e operazioni militari, è necessario tracciare, attraverso consultazioni politiche preliminari, un quadro più trasparente e strutturato del personale civile e militare disponibile per le missioni e operazioni PSDC. Ci impegniamo a incentivare la costituzione della forza per le missioni e operazioni militari, ad esempio migliorando la trasparenza e la prevedibilità nella rotazione delle truppe e ampliando la portata dei costi comuni a titolo dello strumento europeo per la pace. Per potenziare l’efficacia delle nostre missioni senza compiti esecutivi, riconosciamo la necessità di prolungare il periodo di impiego degli alti funzionari delle missioni. Tali sforzi contribuiranno al rispetto dei pertinenti impegni assunti dagli Stati membri partecipanti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente.
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La prontezza e l’interoperabilità sono elementi fondamentali della nostra risposta alle minacce e alla competizione strategica. Frequenti esercitazioni reali civili e militari in tutti i settori, nonché un rafforzamento della pianificazione preventiva, ci aiuteranno a migliorare sostanzialmente la nostra prontezza, a promuovere l’interoperabilità e a sostenere una cultura strategica comune. Esercitazioni reali in un quadro UE, con il progressivo coinvolgimento della capacità militare di pianificazione e condotta, definiranno in particolare la capacità di dispiegamento rapido dell’UE e, più in generale, rinsalderanno la nostra posizione, potenzieranno la nostra comunicazione strategica e rafforzeranno l’interoperabilità, anche con i partner.
L’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina ha confermato l’urgente necessità di
migliorare in modo sostanziale la mobilità militare delle nostre forze armate all’interno e
all’esterno dell’Unione. Rafforzeremo le infrastrutture di trasporto a duplice uso in tutta la rete transeuropea dei trasporti al fine di promuovere la circolazione rapida e fluida del personale militare, del materiale e delle attrezzature per dispiegamenti operativi ed esercitazioni, operando in stretta cooperazione con la NATO e altri partner. Concorderemo nuovi impegni per accelerare e armonizzare le procedure transfrontaliere, individuare modalità per sostenere movimenti su larga scala con breve preavviso, investire nella digitalizzazione delle nostre forze armate e sviluppare capacità all’avanguardia ed efficienti sotto il profilo energetico che ci rendano in grado di reagire rapidamente e di operare in ambienti non permissivi, tenendo conto dei requisiti costituzionali di alcuni Stati membri. Collegheremo inoltre i lavori in materia di mobilità militare a esercitazioni di simulazione e reali delle forze armate degli Stati membri.
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Obiettivi
Puntiamo a diventare un attore più assertivo nel settore della sicurezza e della difesa consentendo azioni più solide, rapide e decisive, anche per la resilienza dell’Unione e la nostra reciproca assistenza e solidarietà. La pianificazione preventiva sarà la norma e le attuali strutture di comando e controllo saranno migliorate. Saremo meglio preparati attraverso esercitazioni reali e un approccio più integrato alle crisi.
Azione
• Entro il 2025 sarà pienamente operativa una capacità di dispiegamento rapido dell’UE
in grado di permettere il rapido dispiegamento di una forza modulare di un massimo di
5 000 militari in ambiente non permissivo. A tal fine concorderemo scenari operativi nel
2022. A partire dal 2023 esercitazioni reali periodiche contribuiranno alla prontezza e
all’interoperabilità.
• Entro il 2023 decideremo modalità pratiche per l’attuazione dell’articolo 44 del trattato
sull’Unione europea, al fine di consentire a un gruppo di Stati membri, disposti e capaci,
di pianificare e condurre una missione o un’operazione nel quadro dell’UE e sotto la
supervisione politica del Consiglio.
• Entro il 2025 la capacità militare di pianificazione e condotta sarà in grado di
pianificare e condurre tutte le missioni militari senza compiti esecutivi e due operazioni
esecutive su piccola scala o una operazione esecutiva su media scala, come pure
esercitazioni reali. Come tappa successiva, una volta raggiunto tale obiettivo, lavoreremo
inoltre per estendere la nostra capacità di pianificazione e condotta di ulteriori missioni
senza compiti esecutivi e operazioni esecutive.
• Rafforzeremo ulteriormente le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e
militare. Come primo passo, entro il primo semestre del 2022 adatteremo ulteriormente
l’attuale modello di missioni militari per accrescerne l’efficacia sul campo. Esamineremo
inoltre le modalità per rafforzare le nostre due operazioni navali. Nel contempo,
vaglieremo ulteriori possibilità di fornire consulenza mirata alle organizzazioni di
sicurezza e difesa dei paesi partner.
• Rafforzeremo il sostegno reciproco tra le missioni e operazioni PSDC e le missioni e
operazioni ad hoc a guida europea, in linea con i rispettivi mandati. Entro la fine
del 2022, come primo passo, stabiliremo collegamenti in teatro, ad esempio tra
l’EUNAVFOR Atalanta e la missione europea di conoscenza della situazione marittima
nello stretto di Hormuz, nonché nel Sahel.
• Facendo tesoro dell’esperienza del concetto delle presenze marittime coordinate nel
Golfo di Guinea e la sua estensione al nord-ovest dell’Oceano Indiano, a partire dalla
seconda metà del 2022 prenderemo in considerazione altre zone marittime di interesse.
• Entro il 2023 concorderemo un concetto militare per le operazioni di sicurezza aerea,
compresi compiti di supporto aereo, soccorso ed evacuazione, sorveglianza e soccorso in
caso di calamità.
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• Entro il primo semestre del 2023 adotteremo un nuovo patto sulla dimensione civile
della PSDC che accrescerà ulteriormente l’efficacia delle nostre missioni e contribuirà a
sviluppare le necessarie capacità civili. Inoltre, potenzieremo ancora la cooperazione tra i
pertinenti attori dell’UE e degli Stati membri nel settore della giustizia e degli affari interni
e la PSDC. Saremo in grado di schierare una missione civile PSDC composta da 200
esperti pienamente equipaggiati entro 30 giorni, anche in ambienti complessi.
• Integreremo sistematicamente una prospettiva di diritti umani e di genere in tutte le
azioni civili e militari in ambito PSDC e aumenteremo il numero di donne in tutte le
funzioni, comprese le posizioni dirigenziali. Entro il 2023 rafforzeremo la nostra rete di
consulenti in materia di diritti umani e di genere nelle nostre missioni e operazioni PSDC.
Preparazione
• Continueremo a condurre esercitazioni periodiche per rafforzare ulteriormente la nostra
assistenza reciproca in caso di aggressione armata, conformemente all’articolo 42,
paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea. Saranno incluse esercitazioni periodiche di
cibersicurezza a partire dal 2022.
• A partire dal 2023 organizzeremo esercitazioni reali periodiche in tutti i settori, con il
progressivo coinvolgimento della capacità militare di pianificazione e condotta. Tali
esercitazioni combineranno anche elementi civili e militari della PSDC.
• Entro il 2022 concorderemo un registro del ciclo di rotazione delle truppe per le
missioni e operazioni PSDC in ambito militare e rafforzeremo l’individuazione politica
tempestiva delle forze per le missioni e operazioni PSDC in ambito sia civile che militare.
• Entro il 2023, anche alla luce delle proposte relative alla capacità di dispiegamento rapido
dell’UE, rivaluteremo la portata e la definizione dei costi comuni per rafforzare la
solidarietà e stimolare la partecipazione alle missioni e operazioni militari, come pure i
costi connessi alle esercitazioni.
• Entro la fine del 2022 assumeremo nuovi impegni con l’obiettivo di rafforzare in modo
sostanziale la mobilità militare, anche in termini di investimenti nella stessa, e
concorderemo un piano d’azione ambizioso e riveduto, che comprenderà nuove azioni in
settori quali la digitalizzazione, il rafforzamento della ciberresilienza delle infrastrutture di
trasporto e dei relativi sistemi di supporto, nonché l’uso dell’intelligenza artificiale e del
trasporto aereo e marittimo per migliorare la mobilità militare all’interno e all’esterno
dell’UE. Per il futuro aumenteremo e sfrutteremo ulteriormente gli investimenti a favore
della mobilità militare1
.
o Accelereremo immediatamente l’attuazione dei progetti di infrastrutture di trasporto a
duplice uso, anche anticipando il bilancio per la mobilità militare nel quadro del piano
d’azione sulla mobilità militare e del meccanismo per collegare l’Europa.
o Entro la fine del 2022 avvieremo un’analisi della capacità delle infrastrutture di
trasporto dell’UE di sostenere movimenti su larga scala con breve preavviso.
o Entro il 2025 completeremo il miglioramento e l’armonizzazione delle procedure
transfrontaliere.

1 Ciò lascia impregiudicato il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
3. SICUREZZA
Dobbiamo prepararci al meglio alle sfide che emergono repentinamente. I nostri concorrenti strategici ci stanno colpendo con un’ampia gamma di strumenti e stanno mettendo alla prova la nostra resilienza con l’obiettivo di ridurre la nostra sicurezza e compromettere attivamente il nostro accesso sicuro ai settori marittimo, aereo, informatico e spaziale. Sempre più spesso dobbiamo affrontare minacce di natura ibrida. Inoltre, le minacce transnazionali quali il terrorismo e la proliferazione delle armi continuano a rappresentare una sfida costante. Dobbiamo rafforzare in modo significativo la nostra resilienza anticipando, individuando e rispondendo meglio a tali minacce. La revisione regolare e strutturata della nostra analisi della minaccia sarà utile a tale riguardo, ma non è che un elemento.
Rafforzare l’allarme rapido, il quadro di intelligence e la sicurezza delle comunicazioni
Investiremo di più in analisi condivise per aumentare la nostra conoscenza situazionale e la nostra previsione strategica, basandoci sul nostro sistema di allarme rapido e sul meccanismo di analisi delle prospettive. Rafforzeremo la nostra conoscenza situazionale basata sull’intelligence e le pertinenti capacità dell’UE, in particolare nel quadro della capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE, nonché del Centro satellitare dell’UE. Questo ci avvicinerà inoltre a una cultura strategica comune e contribuirà alla credibilità dell’UE in quanto attore strategico.
Dobbiamo mantenere la nostra eccellenza nel garantire un processo decisionale autonomo dell’UE, anche sulla base dei dati geospaziali. Rafforzeremo il ruolo della capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE quale punto di accesso unico per i contributi in materia di intelligence strategica dei servizi civili e militari di intelligence e di sicurezza degli Stati membri. Ciò faciliterà lo scambio di intelligence strategica per rispondere meglio alle sfide che ci troviamo ad affrontare e fornirà servizi migliori ai decisori nell’insieme delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri.
Poiché le sue istituzioni sono oggetto di un numero crescente di attacchi informatici o di tentativi di intrusione nei loro sistemi, l’UE deve rafforzare la protezione delle sue informazioni, delle sue risorse e dei suoi processi più critici e fare in modo di poter contare su informazioni solide e affidabili e su sistemi di comunicazione europei adeguati. Un quadro di intelligence rafforzato richiederà una maggiore sicurezza delle comunicazioni. A tal fine, razionalizzeremo le regole e le regolamentazioni in materia di sicurezza e rafforzeremo l’approccio comune degli Stati membri e delle istituzioni, degli organi e delle agenzie dell’UE, nonché delle missioni e operazioni PSDC, in materia di protezione delle informazioni, delle infrastrutture e dei sistemi di comunicazione. Ciò richiederà investimenti in infrastrutture, competenze e attrezzature tecniche europee all’avanguardia.
Sulla base della strategia dell’UE per la cibersicurezza, invitiamo le istituzioni, le agenzie e gli organi dell’UE ad adottare norme e regole supplementari in materia di sicurezza delle informazioni e cibersicurezza, nonché in merito alla protezione delle informazioni classificate dell’UE e delle informazioni sensibili non classificate, in modo da facilitare scambi sicuri con gli Stati membri.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Minacce ibride, diplomazia informatica e manipolazione delle informazioni e ingerenze da
parte di attori stranieri
Potenzieremo in modo sostanziale la nostra resilienza e la nostra capacità di contrastare le minacce ibride, gli attacchi informatici e la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri. Gli attori statali e non statali stranieri perfezionano costantemente e in tal modo rafforzano le loro tattiche, tecniche e procedure, come la strumentalizzazione della migrazione irregolare, la pratica del “lawfare” (uso del diritto
come arma strategica) e la coercizione a danno della nostra sicurezza economica ed energetica. Un’ampia gamma di strumenti dell’UE esistenti ed, eventualmente, nuovi saranno pertanto riuniti in un più ampio pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride. Tale pacchetto di strumenti dovrebbe fornire un quadro per una risposta coordinata alle campagne ibride che interessano l’UE e i suoi Stati membri e dovrebbe comprendere, ad esempio, misure preventive, di cooperazione, di stabilizzazione, restrittive e di recupero, nonché rafforzare la solidarietà e l’assistenza reciproca. Gli Stati membri possono proporre l’attribuzione coordinata di attività ibride, riconoscendo che l’attribuzione è una prerogativa nazionale sovrana. La nostra risposta richiede la piena mobilitazione, se del caso, di tutti gli strumenti civili e militari pertinenti, basati su politiche esterne e interne. Deve inoltre basarsi su una comprensione e una valutazione comuni di tali minacce.
Rafforzeremo pertanto la nostra capacità di individuare, identificare e analizzare tali minacce e la loro fonte. A tale riguardo, la capacità unica di analisi dell’intelligence (SIAC), in particolare la cellula per l’analisi delle minacce ibride, fornirà previsione e conoscenza situazionale. Nell’ambito di questo più ampio pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce ibride, dobbiamo rafforzare la nostra resilienza sociale ed economica,
proteggere le infrastrutture critiche come pure le nostre democrazie e i processi elettorali dell’UE e nazionali.
Istituiremo anche gruppi di risposta rapida dell’UE alle minacce ibride, che siano adattabili alla minaccia e si avvalgano delle pertinenti competenze settoriali civili e militari a livello nazionale e dell’UE, per sostenere gli Stati membri, le missioni e le operazioni PSDC e i paesi partner nel contrastare le minacce ibride. Garantiremo sinergie ed esploreremo ulteriori possibilità di cooperazione in materia di lotta contro le minacce ibride con la
NATO.
Dobbiamo anche essere in grado di rispondere in modo rapido e deciso agli attacchi informatici, come le attività informatiche malevole sostenute da Stati che prendono di mira infrastrutture critiche e gli attacchi ransomware. A tal fine, rafforzeremo la nostra capacità di individuare e analizzare gli attacchi informatici in modo coordinato. Rafforzeremo il pacchetto di strumenti della diplomazia informatica dell’UE e ci avvarremo appieno di tutti i suoi strumenti, comprese misure preventive e sanzioni nei confronti di attori esterni
per attività informatiche malevole contro l’Unione e i suoi Stati membri. Contribuiremo all’unità congiunta per il ciberspazio dell’UE al fine di potenziare la conoscenza situazionale comune e la cooperazione fra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri.
Risponderemo con fermezza alla manipolazione delle informazioni e alle ingerenze da parte di attori stranieri, come abbiamo fatto attraverso la nostra azione decisa e coordinata contro la campagna di disinformazione della Russia nel contesto della sua aggressione militare nei confronti dell’Ucraina. Continueremo ad agire in tal senso, in piena coerenza con le politiche interne dell’UE, creando una comune comprensione della minaccia e
sviluppando ulteriormente una serie di strumenti per individuarla, analizzarla e affrontarla efficacemente e imporre costi ai responsabili di tali attività. Per rafforzare la nostra resilienza sociale, rafforzeremo anche l’accesso a informazioni credibili e media liberi e indipendenti in tutta l’Unione. A tal fine, come richiesto nel piano d’azione per la democrazia europea, svilupperemo il pacchetto di strumenti dell’UE per affrontare e
contrastare la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, anche nel quadro delle nostre missioni e operazioni PSDC. Ciò rafforzerà le nostre opzioni di risposta, le nostre capacità di resilienza e la nostra cooperazione, sia all’interno dell’UE che a sostegno dei paesi partner, e migliorerà la conoscenza situazionale attraverso il sistema di allerta rapida. Porteremo inoltre avanti il meccanismo operativo congiunto sui processi elettorali e l’eventuale designazione delle infrastrutture elettorali come infrastrutture critiche. Continueremo a collaborare con i partner che condividono gli stessi principi, come la NATO, il G7, nonché la società civile e il settore privato e intensificheremo gli sforzi nel quadro delle Nazioni Unite.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Assicurare il nostro accesso ai settori strategici
Definiremo ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per individuare e scoraggiare gli attacchi informatici nonché proteggerci e difenderci da questi ultimi. Tale politica darà impulso alla ricerca e all’innovazione, stimolerà la base industriale dell’UE e promuoverà l’istruzione e la formazione per fare in modo che siamo pronti ad agire. Aumenterà la cooperazione tra gli attori della ciberdifesa dell’UE e degli Stati membri e svilupperà meccanismi di mobilitazione delle capacità a livello dell’UE, anche nel contesto delle missioni e operazioni PSDC. Rafforzerà inoltre la cooperazione con partner che
condividono gli stessi principi nel settore della ciberdifesa, in particolare con la NATO. Una nuova normativa europea sulla ciberresilienza rafforzerà il nostro approccio comune in materia di infrastrutture informatiche e di norme concernenti il settore informatico. Lavoreremo per la creazione di un’infrastruttura europea di centri operativi di sicurezza.
In linea con la strategia dell’UE per la cibersicurezza del 2020, svilupperemo la posizione in materia di deterrenza informatica dell’Unione migliorando la nostra capacità di prevenire gli attacchi informatici attraverso lo sviluppo e il potenziamento delle capacità, la formazione, le esercitazioni, un’accresciuta resilienza, e reagendo con fermezza agli attacchi informatici contro l’Unione, le sue istituzioni e i suoi Stati membri mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione dell’UE. Manifesteremo ulteriormente la
nostra determinazione a fornire risposte immediate e a lungo termine agli autori delle minacce che cercano di negare all’UE e ai suoi partner un accesso sicuro e aperto al ciberspazio. Sosterremo i nostri partner nel rafforzamento della loro ciberresilienza e, in caso di crisi informatiche, invieremo esperti dell’UE e degli Stati membri per offrire assistenza. Attraverso esercitazioni periodiche nel settore informatico contribuiremo ad aumentare ulteriormente la solidarietà e l’assistenza reciproca. Rafforzeremo le nostre
capacità di intelligence informatica per accrescere la nostra ciberresilienza, fornendo anche un sostegno efficace alle nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare, come pure alle nostre forze armate. Aumenteremo l’interoperabilità e la condivisione di informazioni attraverso la cooperazione tra squadre di pronto intervento informatico militari (MilCERT), come anche nello svolgimento di operazioni informatiche difensive. Riconosciamo che il potenziamento della nostra cibersicurezza è un modo per
aumentare l’efficacia e la sicurezza dei nostri sforzi a terra, nell’aria, in mare e nello spazio extraatmosferico.
La nostra libertà d’azione dipende da un accesso sicuro, protetto e autonomo al settore spaziale.
Dobbiamo essere preparati a un ambiente spaziale più competitivo e conteso. A causa della nostra crescente dipendenza dai sistemi e dai servizi spaziali, siamo più vulnerabili di fronte a comportamenti irresponsabili e minacciosi dei concorrenti strategici. Anche la crescente quantità di oggetti in orbita e di detriti spaziali aumenta i rischi e le tensioni. Il programma spaziale dell’UE e altre infrastrutture spaziali dell’Unione e dei suoi Stati membri contribuiscono alla nostra resilienza e offrono servizi chiave che sostituiscono o integrano le infrastrutture terrestri per l’osservazione della Terra, la navigazione satellitare o le telecomunicazioni. I sistemi spaziali dell’UE dovrebbero offrire connettività globale agli attori della sicurezza e della difesa. A tal fine lavoreremo alla proposta relativa a un sistema di comunicazione sicuro globale dell’UE basato sulla tecnologia spaziale, anche attraverso il programma di connettività sicura dell’Unione per il periodo 2023-2027.
Riconoscendo che le risorse spaziali dell’UE sono sotto controllo civile e prendendo atto dell’importanza del programma spaziale dell’UE, urge integrare l’attuale strategia spaziale e rafforzare le dimensioni di sicurezza e difesa dell’Unione nello spazio. Una nuova strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la difesa ci aiuterà a definire una comprensione comune dei rischi e delle minacce inerenti allo spazio e a elaborare risposte e capacità adeguate per reagire meglio e più rapidamente alle crisi, a rafforzare la nostra resilienza e a sfruttare appieno i vantaggi e le opportunità attinenti al settore spaziale. Tale strategia dovrebbe includere, ad esempio, le dimensioni politica, operativa, diplomatica e di governance.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Continueremo a investire nella conoscenza dell’ambiente spaziale per comprendere meglio e ridurre i rischi, le minacce e le vulnerabilità spaziali. Rafforzeremo l’innovazione a duplice uso e investiremo nello sviluppo di capacità affinché l’Europa possa beneficiare di un accesso autonomo allo spazio. Proteggeremo le catene di approvvigionamento nel settore spaziale e investiremo nelle tecnologie spaziali critiche in coordinamento con l’Agenzia europea per la difesa e l’Agenzia spaziale europea. Rafforzeremo inoltre la resilienza delle catene di approvvigionamento europee correlate per garantire l’integrità, la sicurezza e il funzionamento delle infrastrutture spaziali.
Collaboreremo strettamente con i partner per ridurre le minacce, in linea con gli sforzi in corso in seno alle Nazioni Unite per lo sviluppo di norme, regole e principi di comportamento responsabile nello spazio extra-atmosferico. Lavoreremo a un approccio comune dell’UE per la gestione del traffico spaziale. sulla base della comunicazione congiunta della Commissione e dell’alto rappresentante. Condurremo esercitazioni per testare la resilienza delle nostre risorse spaziali e individueremo i mezzi necessari per affrontare le vulnerabilità, al fine di reagire con rapidità e fermezza alle minacce inerenti allo spazio in caso di emergenza o crisi. Una volta convalidato il meccanismo di risposta alle minacce nel quadro di Galileo, lo estenderemo ad altre componenti del programma spaziale dell’UE. Puntiamo inoltre a rafforzare ulteriormente la solidarietà, l’assistenza
reciproca e la risposta alle crisi in caso di attacchi provenienti dallo spazio o di minacce alle risorse spaziali, anche attraverso esercitazioni.
Il settore aereo è fondamentale per garantire la sicurezza dei nostri territori e delle nostre
popolazioni, nonché per il commercio e i viaggi internazionali. Attori statali e non statali pongono sfide alla nostra sicurezza, sul territorio dell’UE e all’esterno di esso, ad esempio dirottando aerei civili e attraverso l’uso crescente di droni e nuove tecnologie. Capacità militari avanzate come i velivoli senza equipaggio, i sistemi di difesa aerea a medio e lungo raggio e gli aeromobili moderni proliferano in tutto il mondo e mettono sempre più in discussione l’uso sicuro e senza restrizioni dello spazio aereo. L’accesso libero e sicuro allo spazio aereo è messo in discussione anche dalle strategie anti-accesso/negazione d’area dei nostri concorrenti, in particolare nel nostro vicinato. In stretta cooperazione con le pertinenti parti interessate dell’aviazione civile e con la NATO, porteremo avanti una riflessione strategica per preservare il nostro accesso incontestato allo spazio aereo.
Sulla base di un aggiornamento della strategia per la sicurezza marittima dell’UE e del relativo piano di azione, investiremo ulteriormente nella nostra sicurezza marittima e presenza globale, garantendo in tal modo il libero accesso all’alto mare e ai corridoi marittimi di comunicazione, nonché il rispetto del diritto internazionale del mare. Gli atti illeciti provocatori in mare, attività criminose come la pirateria, i traffici illegali, le controversie sulle zone marittime e le pretese eccessive, il diniego di accesso e le minacce ibride sono tutti elementi che minano la nostra sicurezza marittima. Al fine di proteggere i nostri interessi marittimi e le nostre infrastrutture marittime critiche, compresi i nostri fondali, potenzieremo la nostra capacità di raccogliere e fornire informazioni e intelligence accurate per rafforzare la conoscenza situazionale, anche attraverso la condivisione di informazioni tra attori civili e militari. A questo scopo continueremo a sviluppare soluzioni operative, tecnologiche e di capacità congiunte anche sfruttando al meglio il quadro della
cooperazione strutturata permanente. Svilupperemo ulteriormente il meccanismo delle presenze marittime coordinate e rafforzeremo le interazioni e il coordinamento tra le nostre operazioni navali in ambito PSDC e gli attori pertinenti. Per migliorare la prontezza e la resilienza nel settore marittimo, organizzeremo esercitazioni navali periodiche per le marine e le guardie costiere degli Stati membri. Sfrutteremo inoltre appieno la nostra politica di partenariato nel settore marittimo, ad esempio mediante scali portuali, formazioni ed esercitazioni nonché mediante lo sviluppo di capacità.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Lotta al terrorismo
Rafforzeremo la nostra risposta per prevenire e contrastare il terrorismo più efficacemente.
Utilizzando i nostri strumenti PSDC e altri strumenti, sosterremo i paesi partner, anche attraverso l’impegno diplomatico e il dialogo politico, gli sforzi di stabilizzazione, i programmi di prevenzione e contrasto dell’estremismo violento e la cooperazione nel settore dello Stato di diritto, promuovendo nel contempo il pieno rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.
Intensificheremo il dialogo con i partner strategici, fra cui le Nazioni Unite e altri consessi
multilaterali, quali il Forum globale antiterrorismo e la coalizione internazionale per combattere il Da’esh. Affronteremo inoltre i nuovi sviluppi, come l’uso delle nuove tecnologie per il finanziamento del terrorismo e la diffusione di contenuti terroristici online. Rafforzeremo ulteriormente la nostra rete di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE.
Promuovere il disarmo, la non proliferazione e il controllo degli armamenti
Appoggeremo, sosterremo e promuoveremo ulteriormente il quadro in materia di disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. Continueremo a sostenere la centralità del trattato di non proliferazione delle armi nucleari e sottolineiamo la necessità di attuare tutti gli obblighi in esso previsti, nonché gli impegni assunti durante le precedenti conferenze di revisione, compresa la necessità di compiere progressi concreti verso la piena attuazione dell’articolo VI, al fine ultimo di conseguire la completa eliminazione delle armi nucleari. Puntiamo con determinazione a un mondo più sicuro per tutti, conformemente agli obiettivi del trattato, in modo da promuovere la stabilità, la pace e la sicurezza internazionali. Dobbiamo incrementare le nostre capacità di controllo dei trasferimenti intangibili, comprese, ove necessario, le conoscenze scientifiche, il che comporta anche la protezione e il rafforzamento dei regimi vigenti di controllo delle esportazioni. Di fronte
alle nuove sfide che emergono dalle nuove tecnologie, l’UE mantiene il suo impegno a preservare l’architettura in materia di disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. A tale riguardo è essenziale anche un approccio coordinato con i partner.
Per quanto concerne il controllo degli armamenti, l’UE e i suoi Stati membri intensificheranno gli scambi e gli sforzi su possibili soluzioni al riguardo, tenendo conto dei propri interessi in materia di sicurezza e in stretto coordinamento con i partner, in particolare gli Stati Uniti e la NATO.
Proseguiremo i lavori su tale questione. Continueremo a chiedere la riduzione degli arsenali da parte degli Stati che detengono gli arsenali nucleari più consistenti, attraverso la conclusione di accordi che facciano seguito al nuovo START, comprese le armi nucleari dispiegate, strategiche e non strategiche, e ulteriori discussioni sulle misure di rafforzamento della fiducia, la verifica, la trasparenza delle dottrine nucleari e misure strategiche di riduzione dei rischi.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici, alle catastrofi e alle emergenze
I cambiamenti climatici e il degrado ambientale non sono solo minacce di per sé, ma
costituiscono anche fattori di moltiplicazione dei rischi. Il riscaldamento globale provoca fenomeni meteorologici e catastrofi naturali più frequenti ed estremi, oltre al degrado degli ecosistemi in tutto il mondo, che aumentano la vulnerabilità e l’esposizione. Tutto ciò va ad aggiungersi al rischio di instabilità sociale, economica e politica e di conflitti nei paesi fragili. I cambiamenti climatici e il degrado ambientale incidono sulle principali infrastrutture energetiche, sulle attività agricole e sulla scarsità di risorse naturali, aggravando le disuguaglianze sociali esistenti ed esponendo le comunità vulnerabili a nuovi tipi di rischi. Ciò ha pertanto implicazioni dirette anche per la nostra sicurezza e
la nostra difesa. La transizione verso economie climaticamente neutre può avere ripercussioni sociali, economiche e politiche suscettibili di aggravare situazioni a rischio di conflitto. Stiamo valutando ulteriormente i vari effetti dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale sulla sicurezza globale e regionale, nonché sulle nostre forze armate e le nostre missioni e operazioni PSDC. Adegueremo il settore della sicurezza e della difesa dell’Unione e i nostri impegni in ambito PSDC e incrementeremo l’efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse, anche per quanto riguarda l’impronta ambientale delle nostre missioni e operazioni PSDC, in linea con l’obiettivo dell’Unione di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 nell’ambito del Green Deal europeo, senza ridurre l’efficacia operativa. A tal fine, rafforzeremo il ruolo della tecnologia verde e della digitalizzazione sostenibile nell’ambito delle forze armate e, più in generale, nel settore della difesa.
Integreremo inoltre le considerazioni inerenti ai cambiamenti climatici e all’ambiente in tutte le nostre missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare. Rafforzeremo ulteriormente le nostre capacità di analisi e i nostri sistemi di allarme rapido con riguardo alle sfide specifiche in materia di sicurezza derivanti dai cambiamenti climatici e dalla transizione globale verso un’economia circolare, climaticamente neutra ed efficiente sotto il profilo delle risorse.
È essenziale adottare un approccio integrato per rispondere alle grandi crisi. La pandemia di COVID-19 così come la crisi in Afghanistan hanno messo in luce l’importanza di sviluppare una maggiore capacità di soccorso ed evacuazione dei nostri cittadini allorché questi ultimi si trovano in pericolo al di là delle nostre frontiere. Detti eventi hanno inoltre evidenziato il ruolo importante che le forze armate possono svolgere in situazioni di crisi complesse. Gli attori militari degli Stati membri possono mobilitare risorse significative a sostegno degli attori civili coinvolti nella risposta alle catastrofi in settori quali il supporto logistico, medico e di sicurezza e le infrastrutture. Partendo dalle strutture esistenti dello Stato maggiore dell’UE, come la cellula UE di pianificazione dei movimenti, e dai meccanismi della Commissione per l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di
calamità, miglioreremo le capacità di assistenza militare nonché l’efficacia del coordinamento tra autorità civili e militari a livello nazionale e dell’Unione. Ciò garantirà che, in ultima istanza, gli attori militari siano pronti ad assistere le autorità civili in caso di future emergenze e catastrofi. Lo Stato maggiore dell’UE può inoltre contribuire al coordinamento del sostegno e dell’assistenza logistici agli Stati membri e ai paesi terzi in situazioni di crisi, nonché all’attuazione di strumenti dell’UE quali lo strumento europeo per la pace o, su richiesta degli Stati membri, la clausola di assistenza reciproca, in linea con il trattato sull’Unione europea. I meccanismi di risposta alle crisi del SEAE, la nostra assistenza consolare e la sicurezza sul campo saranno inoltre riesaminati e rafforzati per meglio assistere gli Stati membri negli sforzi volti a proteggere e soccorrere i loro
cittadini all’estero, nonché per aiutare le delegazioni dell’UE in caso di necessità di evacuazione del personale. Lavorando con il meccanismo unionale di protezione civile, sosterremo gli sforzi di soccorso civile in caso di calamità; dobbiamo inoltre garantire di essere in grado di evacuare in sicurezza i nostri cittadini dai luoghi colpiti da catastrofi naturali e provocate dall’uomo. In tale contesto potenzieremo altresì il coordinamento con le Nazioni Unite e la NATO.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Obiettivi Dobbiamo prepararci al meglio alle sfide che emergono repentinamente. Rafforzeremo in modo sostanziale la nostra resilienza. Riuniremo i nostri strumenti per contrastare meglio le minacce ibride sviluppando un pacchetto di strumenti contro le minacce ibride. Ciò significa anche consolidare la nostra ciberdifesa e la nostra cibersicurezza, come pure potenziare la nostra capacità di dissuasione e contrasto della manipolazione delle informazioni e delle ingerenze da parte di attori stranieri. In aggiunta, dobbiamo essere in grado di garantire il nostro accesso e la nostra presenza nell’alto mare, nello spazio aereo e nello spazio extra-atmosferico. Puntiamo ad aumentare ulteriormente la nostra resilienza ai rischi legati al clima e alle catastrofi naturali e provocate dall’uomo, adoperandoci nel contempo per una presenza dell’UE sul campo che sia climaticamente neutra. Rafforzeremo inoltre la capacità di soccorso ed evacuazione dei nostri
cittadini allorché questi ultimi si trovano in pericolo al di là delle nostre frontiere. Tutti questi sforzi contribuiscono a rafforzare la nostra solidarietà e la nostra assistenza reciproca.
Intelligence e comunicazioni sicure
• Entro la fine del 2022 la capacità unica di analisi dell’intelligence dell’UE riesaminerà
l’analisi della minaccia a livello dell’UE in stretta collaborazione con i servizi di
intelligence degli Stati membri. Questi riesami periodici e strutturati saranno effettuati
almeno ogni tre anni o prima se l’evoluzione del contesto strategico e di sicurezza lo
richiede.
• Entro il 2025 rafforzeremo la nostra capacità unica di analisi dell’intelligence
potenziando le risorse e le capacità. Entro il 2025 rafforzeremo anche il Centro
satellitare dell’UE per potenziare la nostra capacità autonoma di intelligence geospaziale.
• Per facilitare lo scambio di informazioni, comprese le informazioni classificate, invitiamo
le istituzioni, le agenzie e gli organi dell’UE ad adottare nel 2022 norme e regole
supplementari per garantire la cibersicurezza e la sicurezza delle informazioni.
Minacce ibride, diplomazia informatica e manipolazione delle informazioni e ingerenze da
parte di attori stranieri
• Nel 2022 svilupperemo il nostro pacchetto di strumenti dell’UE contro le minacce
ibride, che dovrebbe fornire un quadro per una risposta coordinata alle campagne ibride
che interessano l’UE e i suoi Stati membri, comprese ad esempio misure preventive, di
cooperazione, di stabilizzazione, restrittive e di recupero, nonché sostenere la solidarietà e
l’assistenza reciproca. Riunirà gli strumenti esistenti ed eventuali nuovi strumenti,
compresa la creazione di gruppi di risposta rapida dell’UE alle minacce ibride per
sostenere gli Stati membri, le missioni e operazioni PSDC e i paesi partner nel contrastare
tali minacce. Sulla scorta delle basi di riferimento settoriali dell’UE in materia di
resilienza contro le minacce ibride come pure dell’attuale situazione della sicurezza,
individueremo le lacune, le esigenze e le misure per affrontarle. Sarà inoltre riesaminato il
manuale tattico dell’UE per contrastare le minacce ibride.
• Nel 2022 rafforzeremo ulteriormente il pacchetto di strumenti della diplomazia
informatica, in particolare valutando ulteriori misure di risposta.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
• Nel 2022 svilupperemo un pacchetto di strumenti contro la manipolazione delle
informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, rafforzando così la nostra
capacità di individuare, analizzare e rispondere alla minaccia, anche imponendo costi ai
responsabili di tali attività. Miglioreremo ulteriormente le capacità dell’UE in materia di
comunicazione strategica e contrasto della disinformazione. Entro il 2023 creeremo un
meccanismo appropriato per raccogliere sistematicamente i dati sugli incidenti occorsi,
facilitato da un apposito spazio di dati, al fine di definire una comune comprensione della
manipolazione delle informazioni e delle ingerenze da parte di attori stranieri. Entro il
2024 la totalità delle missioni e operazioni PSDC sarà dotata di tutte le capacità e risorse
necessarie per mobilitare gli strumenti pertinenti di questo pacchetto.
Settori strategici
• Nel 2022 definiremo ulteriormente la politica dell’UE in materia di ciberdifesa per
individuare e scoraggiare gli attacchi informatici nonché proteggerci e difenderci da questi
ultimi. Nel 2022 verrà proposta una nuova normativa europea sulla ciberresilienza e
proseguiranno i lavori sull’unità congiunta per il ciberspazio.
• Entro la fine del 2023 adotteremo una strategia spaziale dell’UE per la sicurezza e la
difesa. Cominceremo con la convalida, entro la fine del 2022, del meccanismo di risposta
alle minacce nel quadro di Galileo, che poi estenderemo ad altre componenti del
programma. Entro la fine del 2022 esploreremo la possibilità di ricorrere a meccanismi di
solidarietà, di assistenza reciproca e di risposta alle crisi in caso di attacchi provenienti
dallo spazio o di minacce per le risorse spaziali. A tal fine procederemo anche a
esercitazioni in cui saranno testate la solidarietà e la reazione a eventi e incidenti nel
settore spaziale, allo scopo di informare ulteriormente il nostro approccio strategico
comune allo spazio.
• Sulla base di una strategia aggiornata per la sicurezza marittima dell’Unione europea,
entro il 2025 svilupperemo e potenzieremo ulteriormente i meccanismi UE di conoscenza
situazionale della sicurezza marittima, quali l’ambiente comune per la condivisione delle
informazioni (CISE) e la sorveglianza marittima (MARSUR), al fine di promuovere
l’interoperabilità, facilitare il processo decisionale e sostenere una maggiore efficacia
operativa. Aumenteremo ulteriormente la visibilità della nostra presenza navale all’interno
e all’esterno dell’UE, anche mediante scali portuali, formazioni ed esercitazioni nonché
mediante sviluppo di capacità.
• Entro la fine del 2022, relativamente al settore aereo, porteremo avanti una riflessione
strategica per garantire un accesso europeo libero e sicuro allo spazio aereo.
Lotta al terrorismo
• Intensificheremo il dialogo con i partner strategici e nei consessi multilaterali e
rafforzeremo ulteriormente la rete di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE.
Entro i primi mesi del 2023 riesamineremo gli strumenti e i programmi dell’UE che
contribuiscono a sviluppare le capacità dei partner contro il terrorismo per aumentarne
l’efficacia, inclusa la lotta al finanziamento del terrorismo.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Promuovere il disarmo, la non proliferazione e il controllo degli armamenti
• Entro il 2023 rafforzeremo concrete azioni dell’UE a sostegno degli obiettivi di
disarmo, non proliferazione e controllo degli armamenti. In particolare,
intensificheremo il sostegno ai partner e li aiuteremo ad attuare pienamente le sanzioni e
le procedure di controllo. Continueremo a chiedere la conclusione di accordi che facciano
seguito al nuovo START.
Cambiamenti climatici, catastrofi ed emergenze
• Entro la fine del 2023, in vista della piena attuazione della tabella di marcia sui
cambiamenti climatici e la difesa, gli Stati membri elaboreranno strategie nazionali per
preparare le forze armate ai cambiamenti climatici. Entro il 2025 tutte le missioni e
operazioni PSDC disporranno di un consulente ambientale e riferiranno in merito alla loro
impronta ambientale.
• Miglioreremo la capacità delle forze armate degli Stati membri di dare supporto alle
autorità civili in situazioni di emergenza sia nella fase di pianificazione che in quella di
condotta, anche potenziando il coordinamento tra le autorità civili e militari a tutti i livelli.
Tutto ciò comprenderà esercitazioni reali e congiunte che prevedano scenari riguardanti il
soccorso in caso di calamità, come pure l’assistenza umanitaria in linea con i principi
umanitari. Entro il 2023 potenzieremo le strutture di risposta alle crisi del SEAE,
compresa la sala situazionale, per rafforzare la nostra capacità di rispondere a emergenze
complesse, come operazioni di evacuazione e soccorso all’estero, in stretta cooperazione
con il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
4. INVESTIMENTI
In linea con l’agenda di Versailles e alla luce delle sfide che dobbiamo affrontare, nonché al fine di
proteggere meglio i nostri cittadini, pur riconoscendo il carattere specifico della politica di sicurezza
e di difesa di taluni Stati membri, dobbiamo aumentare e migliorare drasticamente gli investimenti
nelle capacità di difesa e nelle tecnologie innovative, sia a livello dell’UE che a livello nazionale.
Dobbiamo rafforzare le nostre capacità di difesa e dotare le nostre forze militari dei mezzi per
affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Dobbiamo essere più audaci e rapidi nel colmare le
carenze critiche in termini di capacità, superare la frammentazione, conseguire la piena
interoperabilità delle nostre forze e rafforzare una base industriale e tecnologica di difesa europea
resiliente, competitiva e innovativa in tutta l’Unione, che assicuri anche la partecipazione
transfrontaliera delle piccole e medie imprese. Riconosciamo che maggiori investimenti nello
sviluppo collaborativo di capacità garantiscono una maggiore efficienza, grazie a un aumento delle
economie di scala, e una maggiore efficacia nell’azione. Ciò consente inoltre di sostenere innovatori
e produttori europei. Raggiungere la sovranità tecnologica in alcuni settori tecnologici critici,
mitigare le dipendenze strategiche in altri e ridurre la vulnerabilità delle nostre catene del valore
sono aspetti fondamentali per fronteggiare le sfide di un mondo più pericoloso e conseguire una
maggiore resilienza. La cooperazione con partner che condividono gli stessi principi in tutto il
mondo, su una base di reciprocità, è fondamentale per rafforzare la resilienza e la sicurezza
dell’approvvigionamento dell’UE, riducendo nel contempo le dipendenze strategiche e aumentando i
vantaggi reciproci.
Orientamenti strategici
In linea con gli impegni già assunti nel quadro della PESCO e alla luce delle sfide strategiche che ci
troviamo ad affrontare, diventa urgente aumentare e migliorare la spesa. Aumenteremo pertanto
in modo sostanziale le spese per la difesa, con una quota significativa destinata agli investimenti,
dedicando particolare attenzione alle carenze strategiche individuate. Garantiremo un approccio
europeo coordinato e collaborativo per tale aumento di spesa a livello degli Stati membri e dell’UE,
al fine di massimizzare i risultati, migliorare l’interoperabilità e sfruttare appieno le economie di
scala. A tal fine, definiremo orientamenti strategici sulle risorse necessarie per rispondere alle
nostre esigenze in materia di sicurezza e sul pieno utilizzo degli strumenti dell’UE per incentivare
gli investimenti collaborativi nel settore della difesa.
Coerentemente con il livello di ambizione da noi concordato, lavoreremo insieme per adeguare
rapidamente le nostre forze militari e le nostre capacità civili affinché siano in grado di agire
celermente e contribuire a difendere i nostri interessi e valori, a rafforzare la nostra resilienza e a
proteggere l’Unione e i suoi cittadini. A tal fine, svilupperemo ulteriormente forze che coprono
tutto lo spettro che siano agili e mobili, interoperabili, tecnologicamente avanzate, efficienti
sotto il profilo energetico e resilienti. Conformemente al principio della “riserva unica di forze”,
dette forze restano in mano agli Stati membri e possono essere dispiegate anche in altri ambiti.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Adegueremo la pianificazione e lo sviluppo delle capacità di difesa dell’UE, in particolare rivedendo gli
scenari di pianificazione delle capacità del processo relativo all’obiettivo primario, al fine di rispecchiare
meglio le realtà operative e la previsione strategica e fornire le capacità necessarie per le missioni e
operazioni PSDC. Tali scenari comprendono il dispiegamento militare rapido effettuato in ambiente non
permissivo nonché le capacità di reagire alle minacce ibride, garantire l’accesso sicuro ai settori strategici
come l’alto mare, lo spazio aereo, i settori informatico e spaziale nonché fornire assistenza militare alle
autorità civili. Preciseremo ulteriormente gli elementi di pianificazione strategica, come il tempo di
risposta, la durata, il contesto, la distanza e la simultaneità delle operazioni che sono necessari per
adeguare gli scenari di pianificazione delle capacità. I risultati del processo relativo all’obiettivo primario
continueranno a costituire un contributo essenziale al piano di sviluppo delle capacità, che comprende le
future tendenze in termini di capacità di difesa e le prospettive tecnologiche.
Dobbiamo garantire che tutte le iniziative in materia di difesa e tutti gli strumenti di sviluppo e
pianificazione delle capacità dell’UE siano integrati nella pianificazione nazionale della difesa.
Continueremo a far sì che il risultato di tali processi rimanga coerente con quello dei rispettivi processi in
ambito NATO. In tal modo aumenteranno la prontezza, la solidità e l’interoperabilità della nostra riserva
unica di forze.
Per accrescere l’efficacia delle nostre missioni PSDC in ambito civile, svilupperemo un processo di
capacità e competenze civili per strutturare meglio e affrontare collettivamente le esigenze di tali missioni,
sulla base di scenari che rispondano anche alle nuove minacce. L’introduzione del deposito strategico e
della piattaforma di sostegno alle missioni ha contribuito alla nostra capacità di fornire attrezzature e
servizi per le missioni PSDC in ambito civile. Oltre ad assicurare personale di alta qualità e adeguatamente
formato, faremo in modo che sia possibile fornire ancora più rapidamente le attrezzature necessarie alle
missioni civili, comprese le attrezzature che consentono alle missioni di operare in ambienti meno
permissivi.
Capacità coerenti e ambiziose
In un quadro bilaterale o multilaterale, vari Stati membri hanno avviato lo sviluppo di progetti chiave
relativi alle capacità strategiche, ad esempio sistemi aerei di prossima generazione, un Eurodrone, una
nuova classe di navi militari europee e un Main Ground Combat System (carro armato MGCS), che in
futuro faranno la differenza in modo tangibile per la sicurezza e la difesa europee e condurranno col tempo
alla convergenza. L’attuazione delle raccomandazioni concordate nell’ambito della revisione coordinata
annuale sulla difesa sarà essenziale a tale riguardo.
Oltre a investire nelle capacità e nell’innovazione future, dobbiamo sfruttare meglio lo sviluppo
collaborativo di capacità e gli sforzi di messa in comune, anche esplorando la specializzazione dei compiti
tra gli Stati membri. Ci baseremo su esempi riusciti come la flotta europea multinazionale di aerei
multiruolo per il trasporto ed il rifornimento.
Nel quadro dell’UE, e in particolare attraverso la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo
per la difesa, stiamo già sviluppando sistemi di comando e controllo, veicoli corazzati, artiglieria e sistemi
missilistici, corvette di pattuglia, sistemi aerei e marittimi senza equipaggio, capacità di guerra elettronica,
sorveglianza dello spazio, sistemi di risposta rapida agli incidenti informatici e sistemi di formazione ad
alta tecnologia. Investiremo ulteriormente negli abilitanti strategici e, più in generale, nelle capacità
necessarie per condurre l’intera gamma di missioni e operazioni, come indicato nel livello di ambizione da
noi concordato. Intensificheremo gli sforzi volti a ridurre le carenze di capacità critiche, come il trasporto
aereo strategico, le risorse di connettività e comunicazione basate sulla tecnologia spaziale, le capacità in
materia di mezzi anfibi, il materiale medico, le capacità nel settore della ciberdifesa e le capacità di
intelligence, sorveglianza e ricognizione nonché i sistemi aerei a pilotaggio remoto.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Dobbiamo ridurre la frammentazione e sviluppare le capacità di prossima generazione. A tal fine, ci
impegniamo a dar seguito alle raccomandazioni contenute nella primissima relazione concernente la
revisione coordinata annuale sulla difesa pubblicata nel 2020, che comprende i sei settori
prioritari concordati in materia di capacità che trarrebbero beneficio da una cooperazione rafforzata
tra gli Stati membri nel campo della difesa, ovvero: carro armato da combattimento; sistemi soldato;
natante europeo di superficie della classe delle motovedette; capacità anti-accesso/negazione d’area
e contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio; difesa nello spazio; mobilità militare
rafforzata.
Per agire rapidamente e proteggere i nostri cittadini, lavoreremo insieme per correggere le carenze
critiche. Sfrutteremo appieno la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la
difesa per sviluppare tecnologie avanzate e sistemi di alta gamma interoperabili. Ci impegniamo a
sviluppare le seguenti capacità strategiche attraverso progetti collaborativi, in particolare:
• nel settore terrestre, sarà fondamentale la capacità dell’Unione di condurre operazioni di gestione delle
crisi e di assicurare il proprio vantaggio tecnologico sul campo, anche in un contesto di minaccia ad alta
intensità. Sarà avviato un cluster di capacità terrestre completo che conduca all’aggiornamento, alla
modernizzazione e alla graduale sostituzione delle principali piattaforme esistenti e dei sistemi logistici
connessi. I settori prioritari “sistemi soldato” e “carro armato da combattimento” rappresenteranno
contributi importanti a questi sforzi;
• nel settore marittimo, per garantire una presenza dell’Unione in mare più assertiva e la sua capacità di
proiezione di potenza, sono necessarie piattaforme navali di alta gamma, comprese piattaforme non
presidiate per il controllo di superficie e sottomarino. Il settore prioritario “natante europeo di superficie
della classe delle motovedette” costituirà un passo importante in questa direzione;
• nel settore aereo, per stabilire e mantenere il nostro vantaggio è necessario sviluppare capacità
pienamente operabili di prossima generazione, in particolare i sistemi di combattimento del futuro e i
sistemi di difesa aerea. Integreremo progressivamente, in modo interoperabile, i previsti sistemi di
combattimento del futuro, compresi i sistemi aerei a pilotaggio remoto, nelle flotte esistenti dei sistemi di
combattimento aereo. Occorre inoltre proseguire gli sforzi sugli abilitanti chiave, in particolare la
capacità in materia di trasporto aereo strategico. Il settore prioritario “capacità anti-accesso/negazione
d’area e contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio” contribuisce alla dimensione di difesa
aerea di tali sforzi;
• nel settore spaziale svilupperemo nuovi sensori e piattaforme a tecnologia all’avanguardia che
consentano all’Unione e ai suoi Stati membri di migliorare il proprio accesso allo spazio e di proteggere
le proprie risorse spaziali. Ciò comporta in particolare lo sviluppo dell’osservazione spaziale della Terra,
nonché di tecnologie per la conoscenza dell’ambiente spaziale e di servizi di navigazione e
comunicazione basati sulla tecnologia spaziale, fondamentali per un processo decisionale indipendente.
Il settore prioritario “difesa nello spazio” costituisce un primo passo in questa direzione;
• nel settore informatico, le nostre forze devono operare in modo coordinato, informato ed efficiente.
Pertanto, svilupperemo e utilizzeremo in modo intensivo le nuove tecnologie, in particolare la
computazione quantistica, l’intelligenza artificiale e i big data, per conseguire vantaggi comparativi,
anche in termini di operazioni di risposta agli attacchi informatici e di superiorità in materia di
informazioni. La ciberdifesa è fondamentale per garantire che il settore prioritario “mobilità militare
rafforzata” possa dispiegare appieno il suo potenziale in quanto abilitante essenziale.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Ci impegniamo a intensificare la cooperazione in materia di sviluppo di capacità, in particolare
attraverso la cooperazione strutturata permanente. Concretamente, ciò significa che gli Stati
membri che partecipano alla cooperazione strutturata permanente devono conformarsi entro il 2025
a tutti gli impegni più vincolanti assunti. Nel 2025 un terzo dei 60 progetti in corso nell’ambito della
cooperazione strutturata permanente raggiungerà la capacità prevista e raggiungerà i propri
obiettivi. Al di là di questi risultati concreti, il nostro obiettivo è andare oltre attuando le priorità
concordate in materia di capacità e sviluppando nuovi progetti ambiziosi. Seguiremo da vicino la
realizzazione di tali impegni al fine di poterne concordare di nuovi nel 2025, con l’obiettivo di
approfondire ulteriormente la cooperazione nel settore della difesa.
Rafforzare considerevolmente gli strumenti di finanziamento dell’UE, in particolare il Fondo
europeo per la difesa, e sfruttarne appieno il potenziale è fondamentale per consolidare le nostre
capacità di difesa nonché per dotare le forze degli Stati membri dei mezzi per far fronte ai futuri
campi di battaglia. Promuoveremo ulteriormente la cooperazione e le capacità in modo che la
cooperazione industriale nel settore della difesa nell’UE diventi la norma. Ciò consentirà di
massimizzare il potenziale dei più ampi strumenti finanziari dell’UE per sostenere la cooperazione
degli Stati membri in materia di difesa, dalla concezione all’acquisizione. Questo significa anche
che dovremmo essere pronti ad allineare la maggiore ambizione a livello dell’Unione con l’adeguato
peso finanziario a lungo termine del Fondo europeo per la difesa. Aumenteremo e sfrutteremo gli
investimenti collaborativi nel settore della difesa a livello dell’UE, comprese la ricerca e la
tecnologia. Sfrutteremo appieno il potenziale delle sinergie con altri strumenti finanziari dell’UE, ad
esempio Orizzonte Europa, il programma Europa digitale, il meccanismo per collegare l’Europa, il
programma spaziale dell’UE, il Consiglio europeo per l’innovazione e il programma InvestEU. Per
rafforzare la competitività dell’industria della difesa dell’UE, lavoreremo per stimolare ulteriormente
l’approvvigionamento congiunto di capacità di difesa che sono sviluppate in modo collaborativo
all’interno dell’UE. Ciò richiederà ulteriori lavori sulle proposte della Commissione, tra cui quelle
concernenti un’esenzione dall’IVA, nuove soluzioni di finanziamento e un potenziale rafforzamento
del regime dei bonus del FED.
Porteremo inoltre avanti i lavori in corso per la razionalizzazione e l’ulteriore graduale convergenza
delle nostre pratiche di controllo delle esportazioni di armi per quanto riguarda le capacità di difesa
sviluppate congiuntamente, in particolare in ambito UE, garantendo in tal modo che i prodotti
finanziati dal Fondo europeo per la difesa beneficino di un accesso adeguato e competitivo ai
mercati internazionali, in linea con la posizione comune del Consiglio del 2008 che definisce norme
comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari, e salvaguardando la
sovranità decisionale degli Stati membri.
Massimizzeremo la coerenza tra le iniziative dell’UE in materia di difesa, ossia la revisione
coordinata annuale sulla difesa, la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la
difesa. A tale riguardo, l’alto rappresentante/vicepresidente/capo dell’Agenzia europea per la difesa
presiederà riunioni ministeriali annuali in materia di difesa relative alle iniziative dell’UE nel settore
della difesa che affrontino lo sviluppo di capacità, utilizzando appieno i formati esistenti.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Innovazione, tecnologie di rottura e riduzione delle dipendenze strategiche
Le tecnologie emergenti e di rottura, come l’intelligenza artificiale, la computazione quantistica, la
propulsione avanzata, la biotecnologia e la nanotecnologia, nonché nuovi materiali e capacità
industriali, stanno ridefinendo gli affari militari e i mercati della difesa. Stiamo già investendo
collettivamente nell’innovazione nel settore della difesa combinando la ricerca in campo civile,
spaziale e della difesa e sviluppando nuove norme. Tuttavia, intensificheremo i nostri sforzi sia a
livello nazionale che attraverso un uso più ambizioso degli strumenti dell’UE per essere meglio
preparati per i campi di battaglia del futuro e la tecnologia di prossima generazione. Garantiremo
un’attuazione ambiziosa del piano d’azione sulle sinergie tra l’industria civile, della difesa e dello
spazio. Istituiremo inoltre un polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia
europea per la difesa, che lavori in partenariato con la Commissione, per aumentare e coordinare la
cooperazione in materia di innovazione nel settore della difesa tra gli Stati membri. A tale riguardo,
garantiremo l’esistenza di sinergie con le azioni del Consiglio europeo per l’innovazione e del Fondo
europeo per la difesa nel settore delle tecnologie di rottura. La Commissione, in coordinamento con
l’Agenzia europea per la difesa, svilupperà un sistema di innovazione nel settore della difesa dell’UE
per accelerare l’innovazione in materia di sicurezza e difesa per l’UE e i suoi Stati membri.
Una base industriale e tecnologica di difesa europea innovativa, competitiva e resiliente, che
assicuri la sicurezza dell’approvvigionamento e tecnologie all’avanguardia, è più importante che mai
e fondamentale per l’occupazione, il commercio, gli investimenti, la sicurezza e la ricerca nell’UE.
Anche il settore europeo della difesa può contribuire alla crescita e a una ripresa economica
sostenibile dopo la pandemia. Dobbiamo far sì che possa beneficiare pienamente e rapidamente dei
cicli di innovazione civile ed eliminare gli ostacoli esistenti. Investiremo anche in tecnologie a
duplice uso. Si tratta di un aspetto essenziale in quanto i nostri concorrenti strategici stanno
investendo rapidamente nelle tecnologie critiche, stanno mettendo alla prova le nostre catene di
approvvigionamento e stanno ostacolando l’accesso alle risorse. Con la trasformazione del
panorama tecnologico, i nuovi quadri di cooperazione ci offrono l’opportunità di non ripetere la
frammentazione e le inefficienze del passato e di perseguire fin dall’inizio un approccio europeo.
Promuoveremo la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione e ridurremo le nostre dipendenze
strategiche per quanto riguarda le tecnologie e le catene del valore critiche. La tabella di marcia
della Commissione europea relativa alle tecnologie critiche per la sicurezza e la difesa propone una
metodologia per affrontare tali sfide attraverso una più stretta cooperazione tra l’UE e gli Stati
membri. Ciò potrebbe inoltre contribuire a rafforzare la resilienza dell’economia e delle catene di
approvvigionamento europee in linea con strategia “Global Gateway” dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Investire nell’innovazione e utilizzare meglio la tecnologia civile nel settore della difesa è
fondamentale per rafforzare la nostra sovranità tecnologica, ridurre le dipendenze strategiche e
preservare la proprietà intellettuale nell’UE. Grazie all’osservatorio sulle tecnologie critiche
continueremo a monitorare e individuare tali dipendenze strategiche nel settore della sicurezza e
della difesa. Anche il piano d’azione dell’AED sulle tecnologie emergenti e di rottura contribuirà a
tali sforzi. Promuoveremo altresì le sinergie tra ricerca e innovazione nell’ambito civile, della difesa
e dello spazio, e investiremo nelle tecnologie critiche ed emergenti e nell’innovazione per la
sicurezza e la difesa. Rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento e l’accesso delle
industrie ai finanziamenti privati sarà necessario per la nostra base industriale e tecnologica di
difesa europea. La Banca europea per gli investimenti dovrebbe inoltre utilizzare tutti i suoi
strumenti per contribuire a tale sforzo. Altrettanto importante è aver cura che le altre politiche
trasversali dell’UE, quali le iniziative nel campo della finanza sostenibile, si articolino sempre
coerentemente con gli sforzi profusi dall’Unione europea per favorire un adeguato accesso ai
finanziamenti e agli investimenti pubblici e privati per l’industria europea della difesa. Sfruttare
appieno il quadro dell’Unione e i meccanismi nazionali per il controllo degli investimenti esteri
diretti resta un aspetto fondamentale per individuare e attenuare i rischi per la sicurezza e l’ordine
pubblico, anche in relazione agli investimenti nel settore della difesa. Esamineremo ulteriori
proposte per attenuare i rischi per le imprese che producono tecnologie e prodotti critici e devono
far fronte ad acquisizioni extra UE. Meccanismi nazionali di controllo dovrebbero essere istituiti
quanto prima in tutti gli Stati membri. Inoltre, dovrebbero essere ulteriormente rafforzati gli
strumenti volti a contrastare le misure extraterritoriali straniere e i tentativi di coercizione
economica che incidono sugli interessi strategici e sull’industria dell’UE. Per quanto concerne il
settore della cibersicurezza, renderemo rapidamente operativo il Centro europeo di competenza per
la cibersicurezza al fine di sviluppare un ecosistema industriale e tecnologico europeo forte per il
ciberspazio, sostenere le imprese specializzate in cibersicurezza e aumentare ulteriormente le
risorse e le competenze in materia di cibersicurezza e ciberdifesa a livello dell’UE.
Lo sviluppo di tecnologie emergenti e di rottura è fondamentale per mantenere un vantaggio
militare, anche attraverso un bilancio dedicato a titolo del Fondo europeo per la difesa. I nostri
concorrenti utilizzano sempre di più tecnologie e dati strategici senza rispettare la
regolamentazione e le norme internazionali in vigore. Abbiamo pertanto bisogno di una migliore
prospettiva analitica sulle tendenze e le dipendenze che riguardano le tecnologie emergenti e di
rottura e sul modo in cui sono sempre più utilizzate dai concorrenti strategici. A tal fine,
utilizzeremo l’osservatorio sulle tecnologie critiche della Commissione per coordinare e ottenere la
piena comprensione delle dipendenze critiche, in relazione ad esempio ai semiconduttori, alle
tecnologie cloud ed edge, alla computazione quantistica e all’intelligenza artificiale. A tale riguardo,
ci baseremo anche sul lavoro dell’AED in materia di attività strategiche chiave. Attenueremo i rischi
per la sicurezza dell’approvvigionamento e intensificheremo i nostri sforzi collettivi investendo
congiuntamente nelle tecnologie cruciali per la sicurezza e la difesa e proteggendole.
Collaboreremo con tutti i partner per promuovere le pertinenti norme etiche e giuridiche. A tale
riguardo, la nostra cooperazione nell’ambito delle Nazioni Unite sarà essenziale, soprattutto per
quanto concerne la definizione e l’applicazione delle norme comuni previste dalla convenzione su
certe armi convenzionali.
Infine, dobbiamo sfruttare l’innovazione per migliorare l’efficienza energetica del settore della
difesa, comprese le missioni e operazioni PSDC, senza ridurne l’efficacia operativa. Svilupperemo
parametri e norme comuni per un maggiore utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili e per la
resilienza delle infrastrutture critiche connesse alla difesa. Un’attenzione particolare sarà rivolta
all’innovazione e alle norme che possono contribuire a ridurre l’impronta ambientale delle forze
armate e a creare possibilità di riutilizzo delle componenti di valore e dei materiali rari.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
Obiettivi
Aumenteremo in modo sostanziale le spese per la difesa affinché siano all’altezza della nostra
ambizione collettiva di ridurre le carenze critiche in termini di capacità militari e civili.
Rafforzeremo inoltre la nostra base industriale e tecnologica di difesa europea in tutta l’Unione,
garantendo in tal modo anche la partecipazione transfrontaliera delle piccole e medie imprese. In
linea con gli impegni vincolanti nell’ambito della cooperazione strutturata permanente, la spesa
per la difesa sarà periodicamente aumentata in termini reali per essere all’altezza della nostra
ambizione collettiva in materia di difesa. Per il futuro, aumenteremo e sfrutteremo ulteriormente
gli investimenti collaborativi nel settore della difesa a livello dell’UE, comprese la ricerca e la
tecnologia, attraverso il Fondo europeo per la difesa2
. Investiremo nell’innovazione e nelle
tecnologie critiche ed emergenti, ridurremo le nostre dipendenze strategiche, assicureremo le
catene di approvvigionamento e rafforzeremo la protezione della nostra proprietà intellettuale.
Coopereremo inoltre, su una base di reciprocità, con i partner che condividono gli stessi principi
in tutto il mondo al fine di aumentare i vantaggi reciproci.
Spese per la difesa
• Entro la metà del 2022, nel pieno rispetto delle prerogative nazionali e in modo coerente con gli
impegni da noi assunti, anche nell’ambito di altre organizzazioni, procederemo a uno scambio in
merito ai nostri obiettivi nazionali in materia di aumento e miglioramento della spesa per la
difesa al fine di rispondere alle nostre esigenze in materia di sicurezza, massimizzare i risultati,
aumentare l’interoperabilità e sfruttare appieno le economie di scala, anche attraverso un approccio
europeo coordinato e collaborativo e il pieno utilizzo degli strumenti dell’UE.
• Invitiamo la Commissione, in coordinamento con l’Agenzia europea per la difesa, a presentare
un’analisi delle carenze di investimenti in materia di difesa entro metà maggio e a proporre
qualsiasi ulteriore iniziativa necessaria per rafforzare la base industriale e tecnologica di difesa
europea.
• La Commissione metterà a punto ulteriori incentivi per stimolare gli investimenti collaborativi
degli Stati membri nelle capacità strategiche di difesa, in particolare quelle che saranno sviluppate
e/o acquisite congiuntamente nell’ambito dei quadri di cooperazione dell’UE, e riferirà in merito
agli sviluppi, agli ostacoli e alle opportunità connessi ai progetti multinazionali in materia di
capacità di difesa nella relazione annuale sul mercato unico.
Sviluppo delle capacità
• Entro il 2023 rivedremo il nostro processo relativo all’obiettivo primario e avvicineremo lo
sviluppo delle capacità militari alle esigenze operative, apportando così un contributo essenziale al
piano di sviluppo delle capacità. Entro la metà del 2022 saranno messi a punto nel dettaglio gli
elementi di pianificazione strategica necessari ad adeguare gli scenari di pianificazione delle
capacità.
• A partire dal 2022 saranno organizzate, utilizzando appieno i formati esistenti, riunioni
ministeriali annuali in materia di difesa relative alle iniziative dell’UE nel settore
della difesa che affrontino lo sviluppo di capacità, presiedute dall’alto
rappresentante/vicepresidente della Commissione/capo dell’Agenzia europea per la difesa.

2 Ciò lascia impregiudicato il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
• Entro il 2024 sarà istituito un processo di sviluppo delle capacità civili per valutare le
esigenze in termini di capacità, elaborare requisiti, svolgere un’analisi delle carenze ed
esaminare periodicamente i progressi compiuti in linea con il nuovo patto sulla
dimensione civile della PSDC.
Capacità strategiche
• Ci impegniamo a utilizzare le iniziative dell’UE nel settore della difesa per ridurre in modo
sostanziale, entro il 2025, le carenze critiche relativamente agli abilitanti strategici, in particolare quelle connesse alla capacità di dispiegamento rapido dell’UE, quali il trasporto aereo strategico, le risorse di comunicazione spaziale, le capacità in materia di mezzi anfibi, il materiale medico, le capacità nel settore della ciberdifesa e le capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione.
• Durante questo decennio e oltre concentreremo i nostri sforzi di sviluppo delle capacità sulle capacità di prossima generazione in tutti i settori, anche a livello di sistema e di sottosistema, nei settori prioritari individuati dalla CARD, in particolare:
o nel settore terrestre, ammoderneremo i “sistemi soldato” in quanto nucleo centrale della
protezione della forza individuale e dell’efficacia operativa in tutti i tipi di operazioni e
svilupperemo un sistema “carro armato da combattimento” come capacità di prossima
generazione per l’Unione nelle operazioni convenzionali ad alta intensità nonché in quelle
di gestione delle crisi;
o nel settore marittimo, al fine di migliorare la conoscenza della situazione marittima e la
protezione della forza, sostituiremo le motovedette costiere e d’altura sviluppando
piattaforme navali di alta gamma collegate in rete digitale, comprese piattaforme navali
non presidiate;
o nel settore aereo svilupperemo i sistemi di combattimento del futuro come capacità di
prossima generazione, pienamente interoperabile, per assicurare un vantaggio aereo. Ciò
sarà integrato dal “contrasto dei sistemi di aeromobili senza equipaggio” e contribuirà alla
definizione di una norma europea per le “capacità anti-accesso/negazione d’area”;
o nel settore spaziale svilupperemo nuovi sensori e piattaforme per l’osservazione spaziale
della Terra nonché tecnologie per la conoscenza dell’ambiente spaziale e servizi di
comunicazione basati sulla tecnologia spaziale;
o nel settore informatico intensificheremo gli sforzi per sviluppare e collegare le nostre
capacità al fine di fornire la resilienza e le capacità necessarie per agire in tutti i settori,
concentrandoci in particolare sulla “mobilità militare rafforzata”, che costituisce un
abilitante essenziale.
• Entro il 2023, allo scopo di preservare l’abilità di sviluppare capacità in Europa, adotteremo misure intese a promuovere e facilitare l’accesso dell’industria della difesa ai finanziamenti privati, anche facendo ricorso in modo ottimale alla Banca europea per gli investimenti.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
• Metteremo a punto ulteriori incentivi per stimolare gli investimenti collaborativi degli Stati membri in progetti comuni e nell’approvvigionamento congiunto delle capacità di difesa che sono sviluppate in modo collaborativo all’interno dell’UE, concentrando i lavori, tra l’altro:
o entro l’inizio del 2023, su una proposta della Commissione che introdurrebbe
un’esenzione dall’IVA a sostegno dell’approvvigionamento congiunto e della titolarità
delle capacità di difesa sviluppate in modo collaborativo all’interno dell’UE;
o entro il primo semestre del 2023, su future proposte di nuove soluzioni di finanziamento
per facilitare l’approvvigionamento congiunto delle capacità di difesa dell’UE da parte
degli Stati membri; o sulla scorta della valutazione intermedia del FED, su eventuali modifiche del regolamento sul Fondo europeo per la difesa per adeguare e rafforzare il regime dei bonus del FED per gli Stati membri che si impegnano ad acquisire e/o detenere congiuntamente capacità di difesa in fase di sviluppo.
Tecnologie e dipendenze strategiche nel settore della sicurezza e della difesa
• Nel 2022 istituiremo un polo di innovazione nel settore della difesa in seno all’Agenzia europea per la difesa, lavorando in partenariato con la Commissione per sfruttare le sinergie con i relativi filoni di lavoro, incluso il sistema UE di innovazione nel settore della difesa. I parametri di tale polo saranno definiti nel quadro dell’Agenzia europea per la difesa.
• A partire dal 2022 individueremo inoltre le dipendenze strategiche nel settore della difesa grazie all’osservatorio sulle tecnologie critiche e ci adopereremo per ridurle mobilitando gli strumenti e le politiche dell’UE e degli Stati membri ed esplorando eventuali carenze in quelli disponibili.
Lavoreremo di concerto con la Commissione e l’AED per sviluppare fin dall’inizio un approccio strategico coordinato di portata UE per quanto riguarda le tecnologie critiche pertinenti per la sicurezza e la difesa. A tale riguardo, ci baseremo anche sul lavoro dell’AED in materia di attività strategiche chiave. Continueremo a utilizzare il quadro dell’UE per il controllo degli
investimenti esteri diretti nel caso in cui un investimento nel settore della difesa dell’UE
rappresenti una minaccia per la sicurezza o l’ordine pubblico. Esamineremo ulteriori proposte per attenuare tali rischi per il settore della difesa dell’UE.
• A partire dal 2022 promuoveremo ulteriormente la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione in tutta l’UE e ridurremo le nostre dipendenze strategiche per quanto riguarda le tecnologie e le catene del valore critiche per la sicurezza e le difesa, sulla base dell’agenda strategica di ricerca onnicomprensiva dell’AED e della tabella di marcia relativa alle tecnologie critiche per la sicurezza e la difesa proposta dalla Commissione europea.
• Nel 2023 valuteremo, insieme alla Commissione, il rischio per le nostre catene di
approvvigionamento delle infrastrutture critiche, in particolare nel settore digitale, al fine di proteggere meglio gli interessi di sicurezza e di difesa dell’UE.
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ALLEGATO RELEX.5 IT
5. PARTNER
I partenariati costituiscono uno strumento essenziale per sostenere l’ambizione dell’UE di essere un attore strategico globale. Anche i partner trarranno beneficio da un’UE più forte e più capace nel settore della sicurezza e della difesa. Possono aiutarci a difendere l’ordine internazionale basato su regole e un multilateralismo efficace con al centro le Nazioni Unite, fissare norme e standard a livello internazionale e contribuire alla pace e alla sicurezza in tutto il mondo. Rafforzeremo partenariati su misura qualora siano reciprocamente vantaggiosi e al servizio degli interessi dell’UE e difendano i nostri valori, in particolare laddove vi sia un impegno comune a favore di un approccio integrato ai conflitti e alle crisi, allo sviluppo di capacità e alla resilienza. A tale riguardo è fondamentale anche uno stretto allineamento sulle questioni relative alla PESC, in particolare laddove siano in gioco interessi comuni. Vantiamo una lunga tradizione di collaborazione con i partner e cerchiamo attivamente di farli partecipare alle missioni e operazioni PSDC in ambito civile e militare.
È di fondamentale importanza che i nostri partenariati strategici realizzino il loro potenziale e che affrontiamo i profondi cambiamenti in materia di sicurezza attualmente in corso. Continueremo a investire nella resilienza dei partner negli Stati vicini e oltre, in particolare attraverso gli strumenti più ampi dell’Unione in materia di pace, sicurezza, vicinato, sviluppo e cooperazione.
Partner multilaterali e regionali
Il partenariato strategico dell’UE con la NATO è essenziale per la nostra sicurezza euro-atlantica, come dimostrato ancora una volta nel contesto dell’aggressione militare perpetrata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina nel 2022. L’UE mantiene il suo pieno impegno a rafforzare ulteriormente questo partenariato fondamentale anche per promuovere il legame transatlantico. Sulla base dei progressi senza precedenti compiuti in relazione al rafforzamento della cooperazione con la NATO a partire dal 2016, occorre adottare ulteriori misure ambiziose e concrete per elaborare risposte condivise alle minacce e alle sfide comuni nuove ed esistenti. Le dichiarazioni congiunte firmate nel 2016 e nel 2018 costituiscono i pilastri fondamentali di tale cooperazione. Nello spirito di tali dichiarazioni congiunte e sulla base dei principi di inclusività, reciprocità, apertura e trasparenza, nonché dell’autonomia decisionale di entrambe le organizzazioni, porteremo avanti la nostra cooperazione stretta e reciprocamente vantaggiosa. Consolideremo ulteriormente la cooperazione in corso in materia di dialogo politico, condivisione di informazioni, operazioni di gestione delle crisi, sviluppo delle capacità militari e mobilità militare.
Approfondiremo il lavoro comune per rafforzare la sicurezza marittima e contrastare le minacce ibride, compresa la manipolazione delle informazioni da parte di attori stranieri e la protezione del ciberspazio, nonché per l’attuazione dell’agenda su donne, pace e sicurezza. Amplieremo inoltre la cooperazione in materia di tecnologie emergenti e di rottura, cambiamenti climatici e difesa, resilienza e spazio extraatmosferico.
Per migliorare il dialogo politico, organizzeremo riunioni congiunte ad alto livello UE-NATO più frequenti e inclusive, incentrate su questioni di rilevanza strategica. Saranno intensificati gli scambi mirati attraverso riunioni congiunte periodiche del comitato politico e di sicurezza dell’UE e del Consiglio Nord Atlantico. Le interazioni con la NATO a livello di personale sono un elemento centrale del nostro partenariato che può tuttavia essere ulteriormente rafforzato intensificando le comunicazioni strategiche, coordinando e/o adottando dichiarazioni congiunte come pure attraverso visite congiunte di rappresentanti di alto livello dell’UE e della NATO. Il dialogo e la cooperazione dovrebbero essere rafforzati mediante l’aumento degli scambi con la NATO in merito alla valutazione del contesto di sicurezza in vari settori, dalla conoscenza situazionale comune alle esercitazioni di previsione. A tale riguardo, è di fondamentale importanza la nostra capacità di scambiare informazioni classificate e non classificate.
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Le esercitazioni parallele e coordinate organizzate dall’UE e dalla NATO consentono lo scambio di informazioni e migliorano la nostra prontezza ad affrontare le reciproche preoccupazioni in materia di sicurezza, compresi gli attacchi ibridi complessi. Tuttavia, il nostro approccio alle esercitazioni dovrà evolversi per affrontare più efficacemente le mutevoli tendenze geopolitiche e tecnologiche in atto. Saranno di fondamentale importanza le discussioni mirate basate su possibili scenari e l’ulteriore inclusione della mobilità militare nelle esercitazioni future. Il passaggio a esercitazioni congiunte e inclusive sarebbe un vero incentivo per il rafforzamento della
cooperazione UE-NATO e un modo per creare un clima di fiducia, migliorare l’interoperabilità e approfondire il nostro partenariato. Ciò richiede un’adeguata condivisione delle informazioni.
Al fine di difendere il multilateralismo basato su regole e i principi della Carta delle Nazioni Unite, dobbiamo rafforzare il nostro partenariato strategico con le Nazioni Unite (ONU). Assicureremo la coerenza con le azioni delle Nazioni Unite nel settore della pace e della sicurezza e sosterremo l’attuazione delle raccomandazioni della relazione del segretario generale dell’ONU sull'”agenda comune”, inclusa la nuova” agenda per la pace”. Intensificheremo in modo sostanziale il dialogo politico con le Nazioni Unite attraverso una partecipazione politica ad alto livello e dichiarazioni congiunte.
Attraverso le nostre missioni e operazioni civili e militari stiamo lavorando insieme all’ONU in molti teatri, ma possiamo fare di più per contribuire a rafforzare, collegare, sostituire o integrare i compiti e le missioni delle Nazioni Unite. A tale riguardo rafforzeremo il partenariato strategico con le Nazioni Unite in materia di operazioni di pace e gestione delle crisi, anche con l’attuazione della nuova serie congiunta di priorità in materia di operazioni di pace e gestione delle crisi per il periodo 2022-2024. Ciò comprende, in particolare, un maggiore coordinamento operativo sul campo e una cooperazione in materia di pianificazione di contingenza e sostegno reciproco. Pertanto, sfrutteremo appieno l’accordo quadro di assistenza reciproca UE-ONU per le nostre rispettive missioni e operazioni sul campo. Continueremo inoltre a promuovere l’agenda su donne, pace e sicurezza e intensificheremo la nostra cooperazione sul tema dei bambini nei conflitti armati.
Affinché l’UE e le Nazioni Unite possano affrontare le sfide future, è necessario un approccio più dinamico all’allarme rapido, alla prevenzione dei conflitti e alla mediazione. Lo scambio strutturato di informazioni, le analisi congiunte delle prospettive, la previsione strategica e le analisi dei conflitti attente alle problematiche di genere possono aiutarci a utilizzare al meglio le nostre conoscenze e competenze. Questo è importante per rispondere a sfide nuove ed emergenti quali i cambiamenti climatici, le pandemie, il terrorismo, la criminalità organizzata, le tecnologie emergenti e di rottura e le minacce ibride, compresi gli attacchi informatici e la disinformazione.
Rafforzeremo la cooperazione con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in
Europa (OSCE), in particolare nel settore della prevenzione dei conflitti e della gestione delle crisi.
Oltre a sviluppare collegamenti operativi più stretti con l’OSCE nei Balcani occidentali, nel vicinato orientale e in Asia centrale, esamineremo in che modo l’UE possa collaborare più strettamente con le missioni locali dell’OSCE e rafforzare le proprie relazioni con il Centro dell’OSCE per la prevenzione dei conflitti. Si porrà l’accento sulle misure di rafforzamento della fiducia e sulla condivisione di informazioni ai fini dell’allarme rapido, della prevenzione dei conflitti, della gestione delle crisi, della governance e delle riforme in materia di sicurezza nonché della stabilizzazione post-conflitto. Le attività congiunte UE-OSCE, come la formazione e lo scambio di migliori prassi e insegnamenti tratti, possono far progredire la nostra cooperazione.
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Rafforzeremo ulteriormente la nostra cooperazione strategica con l’Unione africana (UA), sulla base del dialogo politico e dell’impegno operativo, dalla Somalia alla regione del Sahel. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso visite congiunte sul campo e un coordinamento più stretto a livello di pianificazione e condotta. Cercheremo di conseguire un partenariato in materia di sicurezza più solido ed equilibrato con i partner africani. A tal fine, l’UE creerà legami operativi più stretti con organizzazioni regionali e subregionali quali la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e il G5 Sahel, la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC) e l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD). In quanto affidabile garante della sicurezza, l’UE intensificherà gli sforzi per sostenere le iniziative a guida africana che contribuiscono alla pace e alla sicurezza nel continente africano, comprese le operazioni di pace a guida africana. In tale contesto promuoveremo l’attuazione del quadro di conformità in materia di diritti umani dell’UA. Svilupperemo contatti a livello militare e di forze di polizia con le controparti africane per migliorare la nostra conoscenza situazionale. Inoltre, rafforzeremo la cooperazione trilaterale tra l’UE, l’ONU e l’UA, migliorando nel contempo il coordinamento tra i tre membri africani (A3) e gli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Vista la crescente importanza della regione indo-pacifica, collaboreremo con l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN) per migliorare la conoscenza comune e lo scambio di informazioni per quanto riguarda l’estremismo violento, le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari, la cibersicurezza, la sicurezza marittima, la criminalità transnazionale, l’assistenza umanitaria e il soccorso in caso di calamità nonché la gestione delle crisi. Al fine di diventare membro a pieno titolo della riunione dei ministri della difesa dell’ASEAN Plus, sfrutteremo ogni opportunità per partecipare ad attività di conoscenza comune con l’ASEAN e contribuire ai suoi sforzi di creazione di accordi panasiatici in materia di sicurezza. Operando in particolare attraverso il Forum regionale dell’ASEAN, accresceremo ulteriormente il nostro contributo in materia di sicurezza e la nostra presenza nella regione indo-pacifica.
Continuerà inoltre ad essere sviluppata la cooperazione con altre organizzazioni regionali, tra cui la Lega degli Stati arabi (LSA) e il Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG).
Partenariati bilaterali su misura
Interagiremo in modo più coerente, costante e globale con i nostri partner bilaterali in tutto il mondo, anche sfruttando appieno e rafforzando la nostra rete di consulenti militari e di esperti antiterrorismo nelle delegazioni dell’UE. Svilupperemo ulteriormente partenariati su misura sulla base di valori e interessi condivisi, tenendo conto nel contempo dell’intensità e delle caratteristiche specifiche delle relazioni esistenti. A tal fine integreremo in modo più sistematico le questioni relative alla sicurezza e alla difesa nei nostri dialoghi politici con i partner. Inoltre, ogni due anni convocheremo un forum di partenariato dell’UE in materia di sicurezza e difesa per riunire i nostri partner. Il forum sarà un’opportunità per discutere ad alto livello politico questioni tematiche e di attualità relative alla sicurezza e alla difesa. Consentirà all’Unione europea di riunire i partner e di mettere in evidenza il loro sostegno al contributo dell’Unione alla pace e alla sicurezza internazionali e le sfide cui dobbiamo far fronte. L’obiettivo è rafforzare i partenariati creando un senso di finalità comune. Ciò contribuirà a migliorare l’efficacia degli sforzi internazionali coordinati, rafforzando nel contempo la credibilità e la legittimità dell’azione dell’UE.
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Il nostro partenariato con gli Stati Uniti è di importanza strategica e dobbiamo approfondire la nostra cooperazione nel settore della sicurezza e della difesa in modo reciprocamente vantaggioso.
Stiamo già collaborando con gli Stati Uniti in un’ampia gamma di settori di intervento in materia di sicurezza e difesa, come pure sul campo. Dobbiamo tuttavia sfruttare lo slancio impresso dalla dichiarazione del vertice UE-USA del giugno 2021. Il dialogo strategico specifico in materia di sicurezza e difesa tra l’UE e gli USA rappresenta una tappa importante nel consolidamento del partenariato transatlantico. Promuoverà una cooperazione più stretta e reciprocamente vantaggiosa su temi quali le rispettive iniziative nel settore della sicurezza e della difesa, il disarmo e la non proliferazione, l’impatto delle tecnologie emergenti e di rottura, i cambiamenti climatici e la difesa, la ciberdifesa, la mobilità militare, la lotta contro le minacce ibride, comprese la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, la gestione delle crisi e le relazioni con i concorrenti strategici.
Approfondiremo le nostre relazioni costruttive con la Norvegia, in quanto nostro partner più stretto nel quadro dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), come pure con il Canada, con il quale vantiamo una cooperazione di lunga data in materia di sicurezza e difesa, a dimostrazione del nostro impegno comune a favore della pace e della sicurezza. Valorizziamo i dialoghi specifici in materia di sicurezza e difesa con questi e altri partner che condividono gli stessi principi. Restiamo aperti a un dialogo ampio e ambizioso in materia di sicurezza e difesa con il Regno Unito.
Continueremo a cooperare in settori di interesse comune con la Turchia, che contribuisce alle missioni e operazioni PSDC. Manteniamo il nostro impegno a sviluppare un partenariato reciprocamente vantaggioso, ma ciò richiede un analogo impegno da parte della Turchia al fine di progredire su un percorso di cooperazione e allentamento costante delle tensioni e di rispondere alle preoccupazioni dell’UE, conformemente alla dichiarazione dei membri del Consiglio europeo del 25 marzo 2021.
Manteniamo il nostro impegno a migliorare la resilienza delle società e dei processi democratici, delle istituzioni politiche e delle infrastrutture critiche nei Balcani occidentali, come pure a rafforzare la cibersicurezza, a contrastare la disinformazione e a sostenere le iniziative di lotta al terrorismo nella regione. Per contribuire allo sviluppo di capacità civili e militari e di resilienza nella regione, è della massima importanza collaborare strettamente con l’ONU, con la NATO e con l’OSCE. Accogliamo con favore i contributi regolari che i nostri partner dei Balcani occidentali hanno apportato alle nostre missioni e operazioni PSDC.
In considerazione della minaccia alla sovranità, alla stabilità, all’integrità territoriale e alla
governance dei nostri partner orientali, intensificheremo la cooperazione nel settore della
sicurezza e della difesa al fine di rafforzare la loro resilienza. Continueremo a sostenere l’Ucraina e la sua popolazione insieme ai nostri partner internazionali, anche mediante un sostegno politico, finanziario, umanitario e logistico supplementare. Le sfide cui si trovano a far fronte la Georgia e la Repubblica di Moldova, tra cui le ingerenze ostili da parte della Russia e l’ampio ricorso a strumenti militari e tattiche ibride, compromettono la loro stabilità e i loro processi democratici, oltre ad avere implicazioni dirette per la nostra stessa sicurezza. Continueremo pertanto a cooperare strettamente con tali paesi e ribadiamo il nostro fermo sostegno e il nostro impegno a favore della loro sovranità e integrità territoriale. Saranno intensificati dialoghi specifici e la cooperazione con l’Ucraina, la Georgia e la Repubblica di Moldova – in quanto partner stretti dell’UE – in particolare in settori quali la lotta alle minacce ibride, la disinformazione e la cibersicurezza. Il contributo di questi paesi alle nostre missioni e operazioni PSDC è prezioso. Aiuteremo inoltre i nostri partner orientali a sviluppare la resilienza ricorrendo a diversi strumenti, tra cui misure di assistenza.
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L’aumentare delle sfide globali e regionali nel vicinato meridionale ha posto in evidenza la nostra interdipendenza reciproca e la necessità di istituire partenariati più stretti in materia di sicurezza e difesa. Sottolineiamo in particolare che il terrorismo, l’estremismo violento, la radicalizzazione, le minacce informatiche e ibride nonché la criminalità organizzata e le crescenti sfide in materia di migrazione irregolare costituiscono gravi minacce che colpiscono entrambe le sponde del Mediterraneo e sono spesso interconnesse. In tale contesto offriremo pacchetti di sicurezza più completi ai partner del vicinato meridionale disposti ad approfondire la cooperazione su una serie di questioni, compresa la cooperazione operativa. Sottolineiamo inoltre la necessità di accrescere gli investimenti dell’UE nella pace e nella stabilità del Medio Oriente e del Golfo.
Migliorare la sicurezza dei nostri partner africani rimane per noi una delle priorità principali. Ci impegniamo a utilizzare l’intera gamma di strumenti di sicurezza e di difesa dell’UE, in particolare le missioni e operazioni militari e civili, i programmi per la pace e la stabilizzazione, le misure di assistenza e il sostegno finanziario. Ciò è ancora più importante in quanto stiamo osservando la presenza sempre maggiore dei nostri concorrenti strategici dal Sahel al Corno d’Africa. Su tali questioni cercheremo di avviare dialoghi e cooperazione in materia di sicurezza e difesa con i partner africani. Miglioreremo il collegamento tra assistenza militare e riforme strutturali, compresa la gestione delle risorse umane, nonché con lo sviluppo di capacità civili e con la riforma del settore della sicurezza. Aiuteremo i nostri partner a rafforzare la loro resilienza alle minacce sia convenzionali che ibride, alla disinformazione e agli attacchi informatici nonché ai cambiamenti climatici. Cercheremo di coinvolgere partner capaci in Africa nelle missioni e operazioni PSDC, nonché di sostenere maggiormente i loro sforzi contro l’instabilità e il terrorismo.
Nel quadro della strategia dell’UE per la regione indo-pacifica, cercheremo di promuovere
un’architettura di sicurezza regionale aperta e basata su regole, che includa rotte marittime di comunicazione sicure, sviluppo di capacità e una presenza navale potenziate nella regione indopacifica. Sono già in atto consultazioni costruttive in materia di sicurezza e difesa e una cooperazione in materia di sicurezza con paesi della regione indo-pacifica come il Giappone, la Repubblica di Corea, l’India, l’Indonesia, il Pakistan e il Vietnam. Siamo impegnati a collaborare con partner che condividono gli stessi principi attraverso la cooperazione operativa sul campo, in particolare laddove tali sforzi sostengano le strutture e le iniziative regionali per la pace e la sicurezza. L’UE ha condotto una serie di esercitazioni navali congiunte e di scali portuali, da ultimo con Giappone, Repubblica di Corea, Gibuti e India. Tali esercitazioni reali diventeranno una prassi standard e ci aiuteranno a garantire che la regione indo-pacifica sia sicura e aperta.
Continueremo a portare avanti il dialogo e le consultazioni con la Cina laddove ciò sia nel nostro interesse, in particolare su questioni quali il rispetto del diritto internazionale del mare, la risoluzione pacifica delle controversie, un ordine internazionale basato su regole e i diritti umani.
Dobbiamo approfondire il nostro partenariato con l’America latina, sulla base del dialogo specifico in materia di sicurezza e difesa con la Colombia e il Cile. Riconoscendo che i partner dell’America latina hanno contribuito alle missioni e operazioni PSDC, possiamo fare di più a livello collettivo per aiutarli a contrastare le minacce ibride, gli attacchi informatici e la criminalità organizzata, nonché a partecipare al dialogo e all’azione in materia di clima, di sicurezza e di sicurezza marittima. Il nostro obiettivo è anche quello di promuovere ulteriormente la partecipazione dei paesi dell’America latina agli sforzi dell’UE in materia di sicurezza e difesa.
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Sarà perseguito un approccio più mirato e integrato allo sviluppo delle capacità dei partner, che potrebbe includere, in particolare nelle situazioni di gestione delle crisi, la formazione, la consulenza, il tutoraggio e l’equipaggiamento delle forze armate e di sicurezza dei partner. Se da un lato lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale rimane il principale strumento finanziario a sostegno della sicurezza e della stabilità all’estero e dovrebbe essere utilizzato il più possibile, dall’altro lo strumento europeo per la pace intensificherà i nostri sforzi per contribuire allo sviluppo delle capacità di difesa, integrando le iniziative di gestione delle crisi nell’ambito della PSDC. Dobbiamo inoltre collegare meglio l’assistenza militare allo sviluppo di capacità civili, alla riforma del settore della sicurezza, alla governance, al rispetto dello Stato di diritto, del diritto internazionale e dei diritti umani, al controllo democratico e alla capacità di rispondere a minacce ibride, alla disinformazione e agli attacchi informatici. Il coordinamento con i programmi e gli strumenti della Commissione sarà fondamentale per il buon esito delle nostre azioni.
Accogliamo con favore i contributi di tutti i nostri partner alle missioni e operazioni PSDC e li incoraggiamo a dedicare più personale e maggiori capacità alle nostre missioni e operazioni nel quadro di uno sforzo reciproco volto a promuovere la pace e la sicurezza internazionali. A tal fine aiuteremo i nostri partner a rafforzare la loro capacità di contribuire alle missioni e operazioni PSDC. Nel 2021 abbiamo già migliorato le modalità di partecipazione dei paesi terzi alle missioni e operazioni PSDC garantendo un maggiore livello di condivisione delle informazioni in tutte le fasi della pianificazione.
Obiettivi
Miriamo ad approfondire la nostra cooperazione con i partner e ad adattare ulteriormente i nostri pacchetti di partenariato. Manterremo e approfondiremo i nostri dialoghi in materia di sicurezza e difesa, la conoscenza situazionale comune e le formazioni ed esercitazioni congiunte. Collaboreremo con i partner per contrastare le minacce ibride, la disinformazione e gli attacchi informatici. Il nostro approccio risponderà anche alle esigenze dei partner in termini di sviluppo delle capacità e sostegno.
Livello multilaterale
• A partire dal 2022, sulla base delle dichiarazioni congiunte, rafforzeremo, approfondiremo e amplieremo ulteriormente il nostro partenariato strategico, il nostro dialogo politico e la nostra cooperazione con la NATO in tutti i settori di interazione concordati, compresi nuovi filoni di lavoro chiave quali la resilienza, le tecnologie emergenti di rottura, il clima e la difesa e lo spazio extra-atmosferico.
• A partire dal 2022 attueremo il nuovo insieme comune di priorità per la cooperazione UEONU (2022-2024): in particolare condurremo analisi delle prospettive e previsioni strategiche congiunte nonché analisi congiunte dei conflitti attente alle problematiche di genere, oltre a migliorare ulteriormente il nostro coordinamento e la nostra cooperazione a livello politico e operativo, come pure lo scambio di informazioni, anche fornendo immagini satellitari tramite il Centro satellitare dell’UE.
• Nel 2022 terremo a Bruxelles il primo forum biennale di partenariato in materia di
sicurezza e difesa, che riunirà partner multilaterali, regionali e bilaterali su invito dell’alto
rappresentante.
Livello regionale
• A partire dal 2022 approfondiremo il dialogo politico e rafforzeremo la cooperazione con
l’OSCE, l’Unione africana e l’ASEAN in settori quali la prevenzione dei conflitti, la
conoscenza situazionale comune e la resilienza. Inoltre:
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o cercheremo di elaborare con l’OSCE una tabella di marcia comune dedicata in
materia di prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi che contenga azioni
regionali e tematiche concrete; o rinnoveremo e potenzieremo la nostra cooperazione con l’Unione africana, in linea con il vertice UE-UA del febbraio 2022. Approfondiremo in particolare il nostro sostegno a favore di formazioni, sviluppo di capacità e attrezzature adeguate, del rafforzamento e dell’ampliamento delle operazioni di pace autonome a guida
africana, anche attraverso missioni e misure di assistenza dell’UE, nonché dello
sviluppo di capacità in materia di contrasto. Punteremo a effettuare visite
congiunte sul campo con l’Unione africana e a realizzare un più stretto
coordinamento a livello di pianificazione e condotta operative; intensificheremo
anche la cooperazione trilaterale UE-UA-ONU.
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Livello bilaterale
• Perseguiremo una cooperazione più stretta e reciprocamente vantaggiosa con gli Stati
Uniti. Dal 2022 porteremo avanti un dialogo specifico in materia di sicurezza e difesa,
sulla base della dichiarazione del vertice del giugno 2021.
• Approfondiremo la nostra cooperazione con la Norvegia e il Canada sulla base dei
dialoghi esistenti. Restiamo aperti al dialogo in materia di sicurezza e difesa con il Regno
Unito.
• Intensificheremo i dialoghi in materia di sicurezza e difesa con i nostri partner dei Balcani
occidentali, del vicinato orientale e del vicinato meridionale, della regione indopacifica e dell’America latina. Inoltre, nello specifico:
o rafforzeremo la nostra cooperazione in materia di sicurezza e difesa con i partner
orientali, al fine di rafforzarne la resilienza, anche contro gli attacchi ibridi e le
minacce informatiche, e promuoveremo un sostegno su misura e lo sviluppo di
capacità nel settore della sicurezza e della difesa;
o sosterremo gli sforzi tesi a rafforzare la resilienza dei nostri partner dei Balcani
occidentali; o offriremo pacchetti di sicurezza più completi ai partner del vicinato meridionale; o cercheremo di coinvolgere ulteriormente i partner africani nei nostri sforzi in materia di sicurezza e difesa nel continente e di sostenere le iniziative a guida
africana che contribuiscono alla pace e alla sicurezza, in particolare le operazioni
di pace a guida africana, in linea con il vertice UE-UA del 2022;
o entro il 2023, procederemo a esercitazioni marittime reali con i partner nella
regione indo-pacifica, oltre ad aumentare la frequenza degli scali portuali e dei
pattugliamenti nei porti da parte dell’UE.
• A integrazione dei nostri sforzi di gestione delle crisi, sfrutteremo appieno lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale e altri programmi
pertinenti dell’UE e faremo maggiore ricorso allo strumento europeo per la pace al fine di
intensificare lo sviluppo di capacità, fornire formazione ed equipaggiamenti ai nostri
partner in Africa, nel vicinato orientale e nel vicinato meridionale come pure nei Balcani
occidentali, nonché per rafforzarne la resilienza contro le minacce ibride.
• Per dare impulso ai nostri sforzi diplomatici internazionali nel settore della sicurezza e
della difesa, rafforzeremo la rete dei consulenti militari e degli esperti antiterrorismo
nelle delegazioni dell’UE.
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6. CONCLUSIONE
Il mondo che abbiamo davanti sta subendo cambiamenti rapidi e drastici. In Europa è scoppiata una guerra di grave portata. Come Unione europea, stiamo adottando azioni immediate e senza precedenti. Insieme ai nostri partner, difendiamo l’ordine di sicurezza europeo e globale e rafforziamo la nostra posizione geopolitica.
La presente bussola strategica illustra le modalità con cui l’Unione europea e i suoi Stati membri rafforzeranno la nostra sicurezza e difesa. Nel corso del prossimo decennio compieremo un deciso salto di qualità per diventare un garante della sicurezza più assertivo e deciso, meglio preparato ad affrontare le minacce e le sfide presenti e future. La nostra capacità di dispiegamento, esercitazione e pianificazione comuni è fondamentale per realizzare la nostra ambizione. Dobbiamo inoltre essere più resilienti alle minacce ibride, agli attacchi informatici e ai rischi legati al clima, alle catastrofi naturali e alle pandemie. Dobbiamo assicurare il nostro accesso ai settori strategici.
Dobbiamo aumentare e migliorare gli investimenti. Investimenti più mirati e coordinati in capacità e meccanismi di difesa innovativi aumenteranno la nostra capacità di agire e ridurranno le dipendenze strategiche indesiderate. E i partenariati rafforzati contribuiranno ad aumentare la nostra sicurezza.
Nel portare avanti questo processo dobbiamo garantire sinergie con i lavori svolti nell’ambito dell’Unione della sicurezza, nonché con altre politiche e iniziative pertinenti della Commissione.
Le azioni descritte nella presente bussola strategica sono ambiziose, ma realizzabili con un impegno politico costante. La bussola fornisce la prospettiva strategica e illustra gli strumenti e le iniziative necessari per garantire un’azione dell’UE più rapida, decisa e incisiva. Nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi anni, l’UE è collettivamente poco attrezzata per contrastare l’intera gamma di minacce e sfide che si trova ad affrontare. Alla luce delle attuali sfide in materia di sicurezza, dobbiamo cambiare questa situazione rapidamente e ridurre il divario tra le nostre aspirazioni e le nostre azioni.
L’alto rappresentante, in consultazione con la Commissione e l’Agenzia europea per la difesa, elaborerà annualmente una relazione sui progressi compiuti, che fungerà da base per gli orientamenti politici delle nostre iniziative forniti dalla riunione del Consiglio europeo. Sulla base della revisione dell’analisi della minaccia del 2025 e del conseguimento degli obiettivi chiave previsti, l’alto rappresentante presenterà proposte per un’eventuale revisione della presente bussola strategica. Insieme attueremo i nostri obiettivi comuni in materia di sicurezza e difesa per costruire un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e che contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali.

https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-7371-2022-INIT/it/pdf

I LITTLE PINKS E IL FUTURO DEI GIOVANI CINESI, di Yu Liang

I LITTLE PINKS E IL FUTURO DEI GIOVANI CINESI

Dottrine della Cina di Xi | Episodio 18

Chi sono i giovani nazionalisti cinesi online soprannominati Little Pink  ? Sottoprodotto della cultura dei fan-club dell’Internet cinese, questo fenomeno è sia uno dei più strutturanti per i giovani cinesi di oggi sia uno dei più difficili da cogliere visti dall’Europa. Proponiamo una lettura critica di un testo di Yu Liang su questo fenomeno, un’indagine in forma di discorso nazionalista agli intellettuali cinesi.

AUTORE
DAVID OWNBY E FREYA GE

IMMAGINE
SHAN WU, PICCOLO ROSA, 2020

Yu Liang è vicedirettore e ricercatore associato dell’Istituto di studi cinesi dell’Università Fudan di Shanghai, lo stesso istituto guidato dall’apologeta del Partito Zhang Weiwei . Yu è stato anche redattore capo di Guancha Syndicate (观察者网), una delle piattaforme online più popolari e influenti della Cina dall’inizio degli anni 2010. spola tra giornalismo e mondo accademico.

L’argomento discusso nel testo tradotto qui1è quello della “Little Pink” (小粉红), nome dato dai loro detrattori, ai giovani patrioti – o meglio nazionalisti – cinesi online. Questo nuovo giovane cinese setaccia il web alla ricerca di coloro che osano insultare la Cina e poi annegarli in un torrente di attacchi online. Yu Liang – come editore di Guancha Syndicate nei primi anni 2010 – è stato determinante nel fondare questa nuova cultura del patriottismo Little Pink. In questo testo adotta una posizione relativamente neutrale nei loro confronti e cerca di spiegare chi sono e cosa fanno al di là del loro tentativo propagandistico di imporre la Cina come modello superiore respingendo tutti i suoi detrattori .

In altre parole, Yu sostiene che i Little Pinks sono un sottoprodotto della cultura dei fan club sul web cinese. Lo scopo di un fan club cinese è difendere la propria squadra, idolo o gruppo preferito e attaccare squadre, idoli o gruppi rivali. È un fenomeno quasi interamente online, originato da Weibo e WeChat. Si basa quasi esclusivamente su like e avatar virtuali, e quindi supporta il consumismo e i grandi marchi. Yu sostiene che tutta la Cina è diventata l’idolo di Little Pink e che hanno depredato chiunque insultasse la Cina, cercando la scarica di adrenalina di difendere la loro tribù.

A un certo livello, tutto ciò può sembrare banale. I marchi contano, tuttavia, e le guerre online finiscono per influenzare i profitti reali dei grandi marchi in Cina, il che è importante per l’economia cinese e per l’economia globale. Freya Ge scrive che “quando diversi marchi, tra cui H&M, Nike, Adidas, GAP, New Balance, tra gli altri, hanno rilasciato una dichiarazione di ‘boicottaggio del cotone dello Xinjiang’ all’inizio di quest’anno, i Little Pinks hanno rapidamente preso il controllo. piattaforme online e chat nel mondo reale camere. Hanno chiesto il boicottaggio di questi marchi e hanno affermato che gli sforzi per boicottare il cotone dallo Xinjiang facevano parte di una cospirazione organizzata dall’Occidente. Su Zhihu (知乎), i post hanno ricevuto migliaia di Mi piace da cui i netizen hanno affermato che non avrebbero mai più acquistato questi prodotti e hanno visto coloro che li hanno acquistati come “reliquie della dinastia Qing”. Molti negozi che vendono questi marchi hanno perso clienti. Ovviamente, i Little Pinks vorrebbero vedere ridotti i ricavi di questi marchi per “calunniare il popolo cinese”.

In altre parole, i Little Pink si impegnano in una sorta di politica identitaria: la Cina, ormai ricca e potente, diventa la base della loro identità. In quanto cittadini di Internet, i Little Pink, come praticamente tutti i cinesi, hanno assistito al cambiamento del mondo online e la Cina sembra emergere vittoriosa da questi cambiamenti. Ma per quanto riguarda la loro lealtà al Partito?

I Little Pinks non sarebbero completamente o ufficialmente sotto il controllo del governo, anche se il Partito-Stato ha contribuito a crearli attraverso “l’educazione patriottica” e gode dell’adulazione rivolta alla Cina come idolo. Agiscono da soli, seguendo la logica impulsiva della logica di gruppo online. In questo testo, Yu Liang sembra particolarmente preoccupato che gli intellettuali cinesi non riescano a comprendere questa logica, e continuino a condannare la Little Pink da posizioni ideologiche che poco hanno a che vedere con l’esperienza di questi giovani internauti cinesi.

In realtà, è sicuramente il “nuovo nazionalismo” di Yu Liang che parla, nel senso che critica gli intellettuali pubblici per la loro incapacità di cogliere ciò che sta accadendo – mentre insiste che spetta a loro “guarire” la “spaccatura” tra la loro generazione e quella della giovane Little Pink.

L’ascesa della Little Pink

I nuovi gruppi sociali e tipi di pensiero che i Little Pink incarnano emergono inizialmente come una sorta di nuova mentalità sociale. Si sviluppa silenziosamente attraverso cambiamenti silenziosi nel modo di produzione, nella struttura sociale e nella situazione politica della Cina. All’inizio non c’era un nome per definire ciò che si stava sviluppando. Le cose poi lentamente diventano una tendenza – spesso intesa in termini di devianza – perché una volta che le persone se ne accorgono, spesso la descrivono in termini negativi. Questa tendenza spinge il nuovo gruppo sociale a prendere coscienza di sé. L’ascesa della Little Pink e il nuovo patriottismo hanno attraversato un tale processo.

Un fenomeno importante che vediamo oggi nell’opinione pubblica cinese è una grave disconnessione tra le tendenze ideologiche emergenti nel comportamento online dei giovani e l’ambiente intellettuale cinese. Le tradizionali categorie accademiche di analisi, come i dibattiti tra sinistra e destra, illuminismo e conservatorismo, elitarismo e populismo, nazionalismo e universalismo liberale, autoritarismo e democrazia liberale, economia di mercato ed economia pianificata, perdono gradualmente il loro potere esplicativo.

In passato, le parti opposte hanno ripetutamente invocato un immaginario “terreno comune” che trascenda sinistra e destra, ma in realtà il battibecco è continuato. La trascendenza era sfuggente nel vecchio quadro cognitivo. Negli ultimi anni, dalla sottocultura giovanile cinese sono emerse una serie di tendenze socio-ideologiche. Si basa sulle tensioni attuali e cerca di trascendere il divario sinistra-destra, includendo il “partito della tecnologia” – o “partito industriale” (工业党) -, la Piccola Rosa e il gruppo dei “barbari alla porta (入关学)” sono i principali rappresentanti. Tra questi possiamo dire che i “Little Pink” costituiscono il gruppo più importante.

Secondo la descrizione di Wang Xiuying, gli assi chiave del partito tecnologico descritto sono “una fede incrollabile nel progresso tecnologico perpetuo, una mancanza di compiacenza e una volontà di affrontare la prossima catastrofe – che si tratti di un’invasione aliena, un’apocalisse climatica o un nuova guerra mondiale. Vedi il suo articolo sulla London Review of Books .

Per citare nuovamente Wang Xiuying sui barbari: “Questa narrazione confronta l’attuale confronto sino-americano con il rovesciamento della dinastia Ming che ha portato al dominio Manchu. Gli Stati Uniti assomigliano alla dinastia Ming dell’inizio del XVII secolo: è il potere supremo e detta le regole, ma sta marcendo dall’interno. La Cina prende il posto dei barbari: operosa, pagando il dovuto tributo, ma mai rispettata, costantemente denigrata e demonizzata… Insomma, l’egemonia americana deve essere sfidata e i barbari devono entrare dalla porta se vogliamo beneficiare di un progresso pacifico. »

“Little Pink” si riferisce alla nuova generazione di giovani patrioti nati dopo il 1990, che sono cresciuti profondamente integrati nella moderna economia di mercato e nella vita urbana, ma il loro nome è stato scelto dai loro rivali. A seguito di una serie di grandi eventi pubblici sulla scena internazionale nel 2008 — che hanno coinvolto principalmente dibattiti tra destra e sinistra guidati da intellettuali sul web cinese — questo paradigma ha gradualmente lasciato il posto a dibattiti tra il patriottismo dei comuni utenti di Internet e i “valori universali”. Le principali parti in conflitto sono rispettivamente le “teste parlanti che sostengono l’America (公知美分)” e gli individui che “portano le proprie azioni” (自干五). I predecessori di Little Pink,

Queste terminologie richiedono alcune spiegazioni. “Talking Heads Supporting America” ​​​​è tradotto come gongzhi meifen in cinese. In origine, gongzhi significava semplicemente “intellettuale pubblico”, ma negli ultimi anni è stato trasformato in un termine per deridere l’élite intellettuale che parla di questioni pubbliche online. Meifen significa “penny americano” ed è probabilmente derivato da un termine usato per deridere i troll di Internet pagati per attaccare coloro che criticano il governo cinese. Si chiamano wumaodang — la “festa dei cinquecento” — perché dovrebbero ricevere 500 yuan per ogni messaggio. Lo ziganwu, che letteralmente significa “il partito che porta le proprie azioni” si riferisce a persone che difendono il corpo e l’anima del governo senza essere pagate. Il termine è stato coniato da persone che si risentono di questi troll, per esprimere il loro disprezzo per gli individui autofinanziati che sono ritenuti troppo stupidi per accettare i soldi offerti loro. I termini sono spesso riappropriati e abusati, nel qual caso “il partito che porta il proprio capitale” potrebbe benissimo diventare “il partito che porta il proprio patrimonio con orgoglio”.

La parola Jinjiang si riferisce a un sito web chiamato “Jinjiang Literary City 晋江文学城”, originariamente istituito come piattaforma per discussioni letterarie, ma ora è diventato un sito per scambi politici. Il sito era rosa e la maggior parte dei suoi utenti erano donne: il che ha dato origine all’espressione “Little Pink”. Fengyi si riferisce al Fengyi Food Forum, fondato da alcuni “Little Pinks”, furiosi che il sito Jinjiang abbia finito per limitare i posti politici nel tentativo di calmare la situazione.

“Big V” si riferisce ai blogger con un gran numero di follower e un account verificato. Queste celebrità possono avere centinaia di migliaia di follower.

Le persone legate alle Jinjiang Girls e alle Fengyi Sisters erano principalmente netizen attivi nei siti di letteratura e intrattenimento — alla moda e patriottici — e contrari ai gruppi di intellettuali pubblici che, ai loro occhi, adoravano l’Occidente e denigravano la Cina. Inizialmente, i Little Pink erano un sottoramo minore dello ziganwu “il partito che porta le proprie azioni”. Alcuni eminenti intellettuali pubblici, rendendosi conto di avere a che fare con nuovi oppositori che non somigliavano alla sinistra tradizionale, li soprannominarono beffardamente “Little Pink”. Il gruppo è cresciuto rapidamente, con il nome “Little Pink” che ha prodotto un’esplosione di consapevolezza di sé. Nel 2013, le celebrità online e gli intellettuali pubblici che parlavano di “valori universali” sui social media hanno iniziato a diminuire, mentre la consapevolezza di “Little Pink” ha continuato a crescere, trasformando gradualmente l’ambiente dell’opinione pubblica online un tempo dominata dagli intellettuali pubblici. Nel gennaio 2016, “Little Pink” ha condotto ainondazione di computer su Facebook, che ha sconvolto l’opinione pubblica nazionale e internazionale.

Oggetto dell’attacco era la pagina Facebook del presidente taiwanese Tsai Ing-wen, i Little Pink ne hanno approfittato per denunciare l’idea di indipendenza taiwanese.

L’atteggiamento generale degli intellettuali tradizionali e dei circoli dei media nei confronti dei Little Pink è negativo e sospettoso, e molti intellettuali liberali li criticano per avere solo “istruzione superiore”, sostenendo che sono “impulsivi e iperattivi”, tutti dal “grado più basso” di società. Vedono i Little Pinks come il prodotto di una mentalità di “lealtà” e “odio” e discutono tristemente del ritorno dell ‘”estrema sinistra” e del “fallimento di trent’anni di illuminazione”.

Tuttavia, i Little Pinks sono diventati rapidamente il mainstream dell’opinione pubblica online. Questo mainstreaming è stato visibile alla fine del 2019, quando il sito Bilibili ha organizzato la sua prima festa di Capodanno. Accompagnando la canzone “Flower Suite 种花组曲”, lo schermo si è riempito con le parole “Non mi pento di essere nato in Cina in questa vita, e sceglierò di nascere in Cina anche nella mia prossima vita”. Il mainstream della politica giovanile su Bilibili è in particolare “rosa”. Ad esempio, nel 2019, Fang Kecheng (方可成), un noto collaboratore (UP主) del sito, è stato identificato dai netizen come qualcuno che ha favorito l’indipendenza di Hong Kong.. Ha lasciato il sito dopo aver ricevuto una raffica di critiche. Nel 2020, il noto collaboratore scientifico “Paperclip” ha pubblicato un video ritenuto offensivo nei confronti della Cina dai netizen, che ha portato a ripetuti boicottaggi da parte dei netizen e alla chiusura dell’account.

I “Little Pink” sono la “generazione del rinnovamento” della Cina nata da circostanze difficili. Le loro idee sono un mix complesso che sembra includere il nazionalismo, il conservatorismo e alcuni temi di sinistra, che hanno in comune la loro opposizione ai “valori universali” americani, e sono quindi spesso visti come l’opposto del liberalismo o delle “luci” dello stile degli anni ’80 Ma il liberalismo ei Little Pinks non sono realmente rivali, perché le idee espresse dai Little Pinks non seguono completamente la traiettoria dei tradizionali movimenti pendolari di sinistra e di destra – ma contengono elementi nuovi.

I critici hanno sostenuto che i Little Pinks sono il prodotto di una nuova cultura aziendale mediatica globalizzata, e che in questo senso sono forse più universali dei loro nemici apparentemente “universali”. Il loro modo di agire, il loro modo di parlare e le loro reazioni emotive sono tutti radicati nell’economia di mercato globalizzata, anche se una delle loro caratteristiche è quella di mostrare una sorta di “globalizzazione anti-globalizzazione” – cioè nazionalista. Dobbiamo comprendere i Little Pinks in questo contesto più ampio, che ci aiuterà a comprendere le tendenze ideologiche mostrate dalla gioventù cinese contemporanea.

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Le tre ondate del nuovo patriottismo della gioventù cinese

Il “nuovo patriottismo” della “Little Pink” differisce radicalmente dalle manifestazioni del patriottismo del passato. Per vedere i Little Pinks in una prospettiva più ampia, inizieremo con una semplice genealogia delle tre ondate di nuovo patriottismo giovanile cinese che hanno avuto luogo dal 2008.

La prima ondata è stata guidata da gruppi patriottici di studenti cinesi d’oltremare. Questi studenti vivevano all’estero da tempo, il che significava che la loro comprensione della società occidentale era passata dall’immaginazione all’esperienza personale, portandoli a cogliere l’enorme divario tra il “mito” occidentale e la realtà occidentale. Questi gruppi inizialmente si sono riuniti su piattaforme di studenti all’estero come Xixihe (西西河), ed sono emersi nel contesto di vari sconvolgimenti politici internazionali che hanno coinvolto la Cina nel 2008, come gli sforzi per proteggere i corridori dalla staffetta della torcia olimpica cinese in Europa, o l’opposizione alla copertura distorta della Cina da parte dei media occidentali come la CNN. I partecipanti appartenevano a una relativa élite, erano altamente istruiti e possedevano abilità linguistiche sofisticate. Hanno parlato sul sito anti-CNN – poi ribattezzato “il sito di Avril” – e su altri siti dedicati esclusivamente a questi temi.

Dopo l’ascesa dei social media nel 2010, i gruppi patriottici si sono spostati su Weibo, utilizzando identificatori che iniziano con AC (abbreviazione di anti-CNN), diventando uno dei semi del nuovo potere della gioventù patriottica nell’era dei social network. Questa ondata di giovani patrioti non si è più impegnata nelle fantasie glamour dell’Occidente, ma ha cercato di trasmettere esperienze reali al popolo cinese. Una serie di articoli di un individuo sotto lo pseudonimo di “Piccola bottiglia d’acqua (小水瓶)”, uno studente dell’Università di Pechino all’estero, erano tipici di quest’epoca. Un articolo intitolato L’assistenza sanitaria cinese è peggiore di quella americana? Dovremmo scambiare?non si limitò a confrontare il sistema sanitario in Cina e negli Stati Uniti, ma puntò il dito contro Han Han (韩寒, nato nel 1982), leader della gioventù liberale e popolare blogger dell’epoca, per la sua mancanza di esperienza reale della vita in Occidente . In questa fase, i Little Pink hanno cercato di definirsi attraverso domande e confronti.

La seconda ondata è iniziata nel 2010. A quel tempo, la “primavera araba” e la “rivoluzione di Twitter” erano in pieno svolgimento, la sensazione sui social media cinesi era che i valori universali occidentali sembravano essere al loro apice. Alcune élite cinesi con esperienza di vita, lavoro o impegno mediatico al di fuori della Cina, inclusi esperti, studiosi e attivisti sociali, si sono unite alla prima ondata di studenti stranieri e giovani patrioti in Cina per condurre una resistenza organizzata all’Occidente attraverso i media e altri mezzi. Nel giugno 2011, lo Shanghai Chunqiu Institute for Development and Strategic Studies(春秋战略发展研究院), un think tank privato, in collaborazione con lo Shanghai Wenhui Daily (文汇报), ha organizzato un “Dibattito del secolo” tra Zhang Weiwei (张维为) (nato nel 1957) e il politologo americano Francis Fukuyama (nato nel 1952), dichiarando la fine della “fine della storia”.

Successivamente, il Guancha Syndicate , una conseguenza dell’Istituto Chunqiu, ha iniziato a prendere il sopravvento nell’opinione pubblica online. In una serie di iniziative, come sostenere lo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria cinese, opporsi al “Washington Consensus”, sfatare alcuni “miti” occidentali, affermare i vantaggi dello sviluppo cinese e la difesa del “modello cinese”, Guancha si è continuamente ampliata la sua influenza e attirò un gran numero di scrittori d’élite, sostituendo così il sito web di April e diventando la bandiera dei nuovi media patriottici.

A questo punto, il tono discorsivo del nuovo patriottismo divenne più positivo, sottolineando la natura di successo dell’esperienza di sviluppo della Cina, mostrando una chiara consapevolezza di sé che il percorso della Cina era distinto da quello dell’Occidente. A questo punto è emerso un altro fenomeno importante: un gruppo di giovani opinion maker operanti nel campo della scienza e dell’ingegneria, che prima appartenevano alla “maggioranza silenziosa”, ma che ora hanno integrato l’opinione pubblica mainstream con l’ausilio di nuovi media come come Guancha, cercando di aggiornare il modello obsoleto del discorso politico basato sugli antagonismi sinistra-destra con un nuovo discorso sullo sviluppo basato sul funzionamento effettivo della scienza e della tecnologia. Questo gruppo è stato chiamato il “partito della tecnologia”.

La terza ondata è stata l’emergere di Little Pink come li conosciamo oggi. I precedenti gruppi patriottici non facevano più parte dell’élite intellettuale, ma piuttosto dell’esercito di riserva dei giovani della nuova borghesia urbana, che allargò ulteriormente la base del nuovo patriottismo. Rispetto alle due precedenti ondate di gruppi patriottici, i Little Pink erano più giovani, la proporzione di donne era maggiore, i legami con la vita di tutti i giorni erano più chiari e attiravano molti gruppi di fan, ad esempio i gruppi di moda femminile come Jinjiang e Fengyi Forum . C’erano anche Little Pink maschi, molti dei quali provenivano da gruppi di appassionati di sport e giochi a siti come Diba, Hupu e Bilibili.

In termini di idee, i “Little Pink” sono meno teorici e politici rispetto alle due ondate precedenti, quando le persone erano più consapevoli della loro “politica da tastiera”. I Little Pinks hanno attinto intuitivamente alla loro esperienza di vita. Hanno meno bagaglio storico e non condividono i ricordi delle generazioni precedenti del doppio shock della Rivoluzione Culturale e della riforma e dell’apertura. Il miracolo dell’ascesa della Cina dal 2008 fa sentire loro che la Cina si sta sviluppando più velocemente dell’Occidente, la vita in Cina è più conveniente, la sicurezza pubblica è migliore, l’industria è più forte e che la gestione della pandemia è migliore, tutto ciò ha generato puro senso di orgoglio nazionale.

Per quanto riguarda il loro stile di recitazione, il loro impegno nella cultura commerciale dei fan ha permesso loro di sviluppare capacità organizzative, come “sostenere idoli” e attaccare i nemici, che le prime due ondate di gruppi di Young Patriots non possedevano. Il suo stile di mobilitazione online multicentrica è diverso dagli stili di azione dell’élite degli studenti internazionali o della comunità intellettuale, ma è legato e interagisce anche con le prime due ondate.

Va notato che lo sviluppo di Internet mobile ha consentito a sempre più giovani delle città di terzo e quarto livello di unirsi ai ranghi di Little Pink. Questi nuovi membri portano con sé molte differenze economiche e culturali, tanto che i Little Pinks sono ormai un gruppo abbastanza eterogeneo.

The Little Pinks, una contraddizione culturale

La pratica socialista nella Cina contemporanea è una contraddizione disordinata di individualismo, consumismo, socialismo, conservatorismo e persino internazionalismo. Il fenomeno Little Pink incarna un mix simile, ma il suo aspetto esteriore di identità nazionalista e patriottismo può facilmente camuffare le sue intriganti contraddizioni interne.

Politiche identitarie nazionali e autostima culturale della nuova borghesia

Il movimento patriottico della Little Pink, che si è ampiamente diffuso su Internet, incarna la coscienza della nuova classe media di una società consumistica. Mobilita la classe media, compresi studenti e colletti bianchi, e il suo esercito di giovani di riserva. Al contrario, i precedenti movimenti patriottici tendevano a raggiungere una base più ampia, come nelle proteste anti-giapponesi, che fino al 2012 includevano persone di base come i lavoratori migranti, e mostravano caratteristiche della politica antimperialista di massa, cultura di strada e mascolinità.

Il movimento patriottico Little Pink è nato da eventi come: l’incidente del 2018 in cui la polizia svedese ha trattato brutalmente i turisti cinesi; la pubblicità del marchio di moda italiano Dolce & Gabanna che ha umiliato la Cina e scatenato le proteste patriottiche dei giovani; gli attacchi su Internet al regista cino-americano Chloe Zhao per aver pubblicato commenti anti-cinesi nel 2021; e attacchi ad alcune star sudcoreane che avrebbero insultato la Cina, scatenando il movimento “no fan idol before the nation” in cui i fan dichiaravano la loro fedeltà alla Cina e non al loro idolo. È ovvio che questi eventi si concentrano nei settori della moda, dei consumi e della cultura.

Pertanto, mentre la forza combinata delle azioni di Little Pink è coerente con la tradizionale grande narrativa del nazionalismo, il suo diffuso potere di mobilitazione deriva da una richiesta di identità nazionale della classe media in un’epoca di globalizzazione, piuttosto che da una coscienza nazionalista in senso stretto. – e il senso di questa politica identitaria è pretendere che l’altra parte riconosca che “sono anch’io una persona civile, proprio come gli occidentali. Questa passione per il riconoscimento ha dato origine a una forma di politica dell’identità di natura nazionalistica, ma non un segno distintivo della politica dell’identità nelle società occidentali.

Modalità affettive e cognitive nel mondo virtuale

Le emozioni comuni e gli interessi condivisi sono le componenti ideologiche di livello più basso della società e l’energia cinetica che generano è di gran lunga maggiore delle idee razionali. Quando scaviamo sotto la superficie delle forti emozioni patriottiche della Little Pink, scopriamo che la Little Pink condivide importanti componenti ideologiche ed emotive contemporanee con i loro rivali, gli “universalisti”. Questi includono: “evitare il sublime 躲避崇高”, la politica della vita, la giocosità postmoderna, la correttezza politica e un ampio senso di fragilità. Allo stesso tempo, troviamo anche elementi eterogenei, che culminano in un “meccanismo unico di identificazione e autenticazione emotiva. »

L’autore si riferisce qui a un articolo del 1992 dello scrittore Wang Meng (nato nel 1934), in cui elogia la “letteratura folle” dello scrittore Wang Shuo (nato nel 1958) per essere in perfetta armonia con le tendenze attuali della cultura consumistica e popolare intrattenimento. L’idea è che gli “intellettuali illuministi” degli anni ’80 fossero sognatori e completamente tagliati fuori dalle masse.

La generazione che ha dato l’addio alla rivoluzione ha rifiutato i precedenti movimenti patriottici, non riuscendo a vedere che la generazione più giovane aveva, in una certa misura, realizzato questo stesso sogno senza rendersene conto. L’idea che “il patriottismo può anche essere carino” e che una politica basata su interessi comuni renda più interessante il Paese e la sua storia, produce nuovi idoli per i fan club. Ad esempio, il webcomic “Year Hare Affair” (那年那兔那些事) presenta vari paesi sotto forma di immagini di animali dei cartoni animati, che in realtà corrispondono alla proposta degli anni ’90 di “evitare il sublime”. L’economia di mercato “rimuoverà il sublime” dalla vita quotidiana, ma fino a quando la lotta nella storia del mondo contemporaneo non sarà terminata, il “sublime” continuerà a risiedere nella cultura quotidiana.

La “generazione che ha detto addio alla rivoluzione” è un altro riferimento agli intellettuali liberali che avevano deciso dopo la Rivoluzione Culturale che la rivoluzione stessa era il problema principale della Cina moderna.

“The Hare Case” è un webcomic e media franchise cinese creato da Lin Chao. Il fumetto utilizza animali antropomorfi come allegorie di nazioni e stati sovrani per rappresentare eventi politici, militari e diplomatici del XX secolo.

La stessa cultura della narrativa online contiene una sorta di struttura che guida la pratica emotiva. In particolare, la fan fiction ricrea storie di idol dalle narrazioni degli stessi autori, aiutando i fan a stabilire uno spazio emotivo flessibile e interattivo dell’immaginazione attorno a un idolo, che crea un’atmosfera altamente coinvolgente. “Year Hare Affair” e “Azhong Gege 阿中哥哥” hanno entrambi assorbito le modalità e i metodi della pratica emotiva dalla fan fiction, prendendo il “paese” come oggetto della creazione dei fan e proiettando su di lui l’emozione, in modo che il patriottismo e la grande lotta possano partecipare anche al concorso spazio emozionale della narrativa online.

Azhong Gege si riferisce a un vezzeggiativo comunemente usato dai fan cinesi. Gege (哥哥 , letteralmente “fratello maggiore”) è generalmente usato per riferirsi a idoli maschili.

È stato ampiamente notato che i sentimenti patriottici dei movimenti precedenti si sono trasformati in una forma di correttezza politica che ha la caratteristica di essere decisamente non negoziabile. Il comportamento di “scavare la propria fossa” è prominente: l’uso dei social media per portare alla luce commenti inappropriati passati delle persone sul paese, quindi riportare i risultati e incolpare la persona in questione. Persone come la regista Chloé Zhao e il defunto pianista Fou Ts’ong (傅聪, 1934-2020) sono state ampiamente criticate sui social media per le loro inclinazioni filo-occidentali. Questi critici spesso si rifiutano di considerare il contesto delle osservazioni, o il fatto che i tempi e le persone cambiano, e tracciare linee in base all’attuale confronto tra Stati Uniti e Cina. Come dobbiamo interpretare un simile comportamento?

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Da un lato, questo tipo di pensiero stereotipato e assolutista si basa sul fatto che mentre gli adolescenti possono essere abbastanza esperti nelle attività quotidiane di consumo e divertimento, sono inesperti nella difficile lotta per la sopravvivenza e il lavoro nella società. Di conseguenza, trovano difficile pensare alle cose in modi complessi e realistici e sono abituati a identificare amici e nemici attraverso la parola e il simbolismo, portando a sentimenti e opinioni che sono poco più che tag.

Questa non è una mentalità ristretta nazionalistica, ma una malattia moderna che colpisce il mondo intero. Un libro pubblicato di recente, The Coddling of the American Mind: How Good Intentions and Bad Ideas Are Settinging a Generation for Failure, di Greg Lukianoff e Jonathan Haidt, descrive in dettaglio come i giovani americani, danneggiati dalla correttezza politica e da una cultura di iperprotezione, siano diventati sempre più suscettibili e vulnerabili ai danni emotivi, il che li rende desiderosi di “parlare” e di “denunciare” illeciti. Sono stati indottrinati in “microaggressioni” e sono desiderosi di censurare il comportamento politicamente scorretto e invadente di coloro che li circondano nella loro vita quotidiana. I Little Pink condividono questa forma di correttezza politica, ma il contenuto è diverso. In questo senso, i Little Pink ei loro rivali di “valori universali” sono persone di “discorso”, che identificano amici e nemici sulla base di idee incarnate nel discorso, piuttosto che di considerazioni empiriche.

Allo stesso tempo, è importante notare che è proprio nella sfera politica che l’emozione funziona ancora come il meccanismo di riconoscimento più diretto, in grado di identificare amici e nemici più velocemente della ragione. La politica dell’identità è originariamente una sorta di politica dell’emozione, che dipende dall’esperienza emotiva in una situazione specifica. Quando il conflitto internazionale sfugge al controllo degli esseri umani, e quando i sostenitori dei “valori universali” usano parole come “razionalità” e “Illuminismo” per criticare i Little Pinks, e non sono in grado di nascondere la loro posizione emotiva filo-occidentale, sarà impossibile guadagnarsi il rispetto dell’altra parte. È come quando il virologo di Hong Kong Guan Yi 管轶 (classe 1962), all’inizio della pandemia, ha ammesso che “questa volta ho paura” e che “anche i veterani come me hanno voglia di disertare. Anche se aveva ragione sul suo giudizio medico, rispetto al team medico che ha deciso di andare controcorrente e aiutare Wuhan, Guan è stato attaccato da giovani netizen per aver rivelato chiaramente la sua posizione emotiva.

L’attacco dei piccoli investitori: le modalità di organizzazione dei fan-club

L’attacco dei fan online [o “spedizione” 出征] alle celebrità indipendentiste di Hong Kong nell’agosto 2019 illustra drammaticamente le somiglianze tra il movimento Little Pink e il movimento mainstream dei fan club, così come le differenze tra i Little Pink e i passati movimenti patriottici . Nel 1999, 2004, 2005 e 2012 i movimenti antiamericani e antigiapponesi si sono trasformati in marce di strada, i cui temi hanno espresso desideri popolari nel contesto di grandi dibattiti politici, mentre l’attacco alla Little Pink è stato un movimento puramente online : si sono divisi i compiti, hanno scritto i messaggi che avrebbero inviato, organizzato il voto e cercato di convincere la gente dalla loro parte,

Gli “attacchi” sono una forma comune di organizzazione comunitaria prodotta dall’economia globale di Internet. Metodi di organizzazione simili possono essere visti nel populismo della politica Twitter dell’era Trump negli Stati Uniti e nel gennaio 2021, quando gli investitori al dettaglio hanno utilizzato Reddit per attaccare Wall Street nell’incidente di GameStop. I singoli investitori sono in un certo senso separati dalle unità sociali e dalle istituzioni tradizionali, ma non rimangono in una situazione “atomizzata”, e usano invece Internet per organizzarsi.

Questo tipo di movimento unito di investitori al dettaglio sta sempre più trapelando da Internet, influenzando l’organizzazione e il funzionamento del mondo reale. L’incidente di Xiao Zhan 肖战事件, durato dal 2020 al 2021 e la cui influenza si fa sentire ancora oggi, è un tipico esempio di socializzazione dell’economia dei tifosi. Inizialmente, l’incidente di Xiao Zhan era solo una disputa interna all’interno della considerevole base di fan di Xiao, ma ha scatenato una reazione a catena e le segnalazioni dei fan hanno portato al blocco del sito di fanfiction ., che ha poi influenzato le attività quotidiane di intrattenimento di altri gruppi di tifosi. La lotta si è allargata e lo stesso Xiao Zhan è diventato un bersaglio, e quelli contro di lui hanno adottato una tipica tattica consumistica: boicottare i marchi di cui Xiao è portavoce, il che ha suscitato punti di critica vendendo lusso nel gioco. denaro e il governo sono stati tutti coinvolti.

Cose simili sono successe molte volte. Ad esempio, nel febbraio 2021, c’è stata una controversia su Bilibili su un cartone animato giapponese chiamato “Jobless Reincarnation” a causa di accuse di pornografia. Inizialmente si trattava di una disputa all’interno del fan club, ma poiché uno streamer su un sito di Bilibili ha fatto commenti inappropriati sulla storia della Cina, i Little Pinks si sono uniti a loro e hanno attaccato, il che ha poi portato anche un gruppo di attiviste Douban a intervenire, provando per influenzare il prezzo delle azioni di Bilibili. Ciò riflette lo stato squilibrato e instabile dell’ecologia culturale giovanile, in cui incidenti minori spesso portano a conflitti multipartitici.

Nel luglio 2021, solo perché un certo marchio cinese di scarpe e abbigliamento ha “annunciato” che avrebbe donato articoli per un valore di 50 milioni di RMB alle aree disastrate dell’Henan, i netizen patriottici si sono precipitati nella stanza del live streaming del marchio per acquistare freneticamente le loro proprietà ed esprimere la loro gratitudine, tipico esempio di come il movimento emozionale ‘Little Pink’ stia diffondendo instabilità nell’economia cinese.

I rivali di Little Pink

Avendo inteso la “Little Pink” come una particolare espressione cinese di un fenomeno globale, dobbiamo introdurre la prospettiva analitica della “nicchia ecologica” per studiarne la reale collocazione nelle contraddizioni sociali.

Gli intellettuali mainstream che sembrano rifiutare con veemenza la Little Pink non appartengono alla stessa nicchia ecologica e quindi non costituiscono una concorrenza diretta. Dietro la loro apparente opposizione c’è una “divisione di specie” generazionale, ei due gruppi non si capiscono a causa delle differenze nelle esperienze storiche e nei sistemi di discorso. Ad esempio, quando i Little Pinks hanno criticato il diario di Fang Fang, hanno usato armi come rap, meme e disegni digitali, che le persone dalla parte di Fang Fang non potevano capire, il che ha portato a risultati divertenti. Le rabbiose denunce degli intellettuali contro la Little Pink spesso mancavano il bersaglio e non costituivano una vera e propria critica.

I gruppi giovanili legati all’indipendenza di Hong Kong e all’indipendenza di Taiwan occupano la stessa nicchia ecologica del Little Pink. Nel 2019, l’ex invincibile Diba è stato attaccato da gruppi giovanili legati all’indipendenza di Hong Kong. Questi giovani sono, come Little Pink, nativi del cyberspazio e combattono usando gli stessi metodi online di altri gruppi di fan, come incontrarsi su piattaforme Internet, dividersi il lavoro e cooperare per hackerare il sito di Diba e rivelare informazioni private dei membri di gruppi rivali. Una volta attaccato, Diba ha ripetutamente chiesto una tregua. Questo ci permette di vedere che diversi campi generano nuovo denaro online, ciascuno sviluppando la capacità organizzativa dell’investitore al dettaglio nell’era della globalizzazione. Hanno interessi di moda, modalità di azione e armi discorsive simili, nonostante le loro posizioni e idee contraddittorie. Per usare una metafora biologica, sono tutti nella stessa “nicchia ecologica”, il che significa che sono in competizione.

Diba è un sito sportivo, dove le liti inizialmente opponevano tifoserie di diverse squadre di calcio o di basket: i conflitti tra tifoserie hanno finito per estendersi ad altri ambiti.

Una volta compreso dove si inseriscono i Little Pink in termini di “politica dell’identità + coscienza nazionale”, allora possiamo comprendere meglio il loro coinvolgimento con altri movimenti di politica dell’identità nell’ecologia dell’opinione pubblica, come i loro conflitti con il femminismo. Nel febbraio 2020, l’account Weibo del Comitato Centrale della Lega della Gioventù Comunista Cinese ha lanciato due idoli patriottici virtuali, “Red Flag Manga 红旗漫” e “Jiangshan Jiao 江山娇”, che avrebbero dovuto ospitare una celebrazione online della giornata. Made in China, che è finita in polemica.

È un esempio di un tentativo delle autorità cinesi di partecipare alla cultura giovanile che, in questo caso, è finito male — tra l’altro perché la tempistica coincideva con l’inizio della pandemia — ed è stato giustamente considerato dai giovani cinesi come un irritante distrazione.

Tra le altre cose, il personaggio femminile “Jiangshan Jiao” ha suscitato un’ondata di ira femminista, e quando è stato chiesto di partecipare all’attività “100 domande per Jiangshan Jiao”, le femministe hanno inviato domande come: “Jiangshan Jiao, hai il ciclo? “Jiangshan Jiao, il capo ti ha chiesto di raderti la testa?” “Jiangshan Jiao, hai un fratello minore perché i tuoi genitori non volevano una figlia?” “. Hanno persino inventato canzoni rap per ridicolizzare Jiangshan Jiao, che ha avuto un enorme impatto. Come le Little Pink, le giovani femministe sono immerse nel discorso dell’economia di mercato globalizzata e mediata e della politica dell’identità. Sanno usare abilmente i nuovi canali mediatici ei nuovi mezzi discorsivi per diffondere il loro messaggio. Quando le femministe hanno attaccato il sito di Bilibili nel febbraio 2021 e durante l’incidente a Chengdu nell’aprile 2021, si potevano vedere le femministe combattere contro gli uomini di Little Pink. Ciò dimostra che i Little Pink sono stati profondamente coinvolti in ciò che il sociologo britannico Anthony Giddens (nato nel 1938) chiama “politica della vita” piuttosto che “politica tradizionale”, e che le sfide future verranno principalmente da gruppi che occupano nicchie ecologiche simili nella vita sociale. .

L’incidente di Chengdu nell’aprile 2021 si riferisce a una donna che stava mangiando in un ristorante cinese con stufato e ha chiesto ad altri clienti che mangiavano ai tavoli adiacenti di smettere. Non solo non hanno obbedito, ma hanno gettato del brodo sulla donna, portandola a rendere pubblico l’incidente.

I Little Pinks sono la loro stessa nemesi

Nel 2020, molte persone hanno notato l’esistenza di una curiosa mentalità sociale: i giovani sono generalmente fiduciosi sul futuro del Paese a livello macro, ma pessimisti sulle loro prospettive di vita personale a livello micro, preoccupati per le questioni del lavoro, del matrimonio e riproduzione. Cosa ha dato origine a questa mentalità schizofrenica?

La nuova emozione patriottica rappresentata dai Little Pinks ha messo radici nell’era della globalizzazione e di un’economia di mercato con caratteristiche socialiste, che è sottilmente diversa dal patriottismo del “secolo breve”. Quest’ultimo si basa sull’esperienza della sofferenza e sul senso di responsabilità, nel senso che, sebbene la Cina moderna sia povera e debole, e sia stata più volte vittima di bullismo, i patrioti tuttavia “hanno esplorato questa vasta terra con le loro mani danneggiate”.2. Il primo si basa maggiormente sull’esperienza della forza nazionale e della felicità personale. Ciò solleva la questione se i sentimenti possano essere influenzati dal cambiamento degli standard di vita e delle esperienze.

L’idea del “breve secolo ventesimo” è più spesso associata allo storico Eric Hobsbawm (1917-2012), e si riferisce al periodo compreso tra l’inizio della prima guerra mondiale e la caduta dell’Unione Sovietica, e quindi all’ascesa e la caduta del comunismo e il “trionfo” del capitalismo liberale.

La più grande pandemia del secolo ha bloccato lo sviluppo economico e ridotto le opportunità di lavoro per i giovani. Allo stesso tempo, in quanto persone cresciute su Internet, la generazione degli anni ’90 fa molto affidamento sulle piattaforme Internet per il lavoro e la vita. La loro vita personale diventa sempre più “dentro (宅化)” e la loro capacità di comprendere la vita reale e le pressioni offline è diminuita. Sono nati su Internet e moriranno su Internet. Sono sempre più in preda a una combinazione di consumismo, cultura dello straordinario e cultura del debito. Ora che i giganti del capitale delle piattaforme sono intrappolati nella loro stessa concorrenza in devoluzione, che si stanno ulteriormente infiltrando in tutti gli aspetti della vita sociale delle persone e passando dall’esplorazione di nuovi spazi preziosi alla raccolta di utenti con ogni mezzo possibile, l’impressione che i giovani abbiano un capitale, in particolare il capitale della piattaforma, si è notevolmente deteriorata. L’immagine di Jack Ma (马云, classe 1964) è precipitata. I giovani online hanno applaudito la prematura scomparsa di Zuo Hui (左晖, 1971-2021), il fondatore di una famosa piattaforma di brokeraggio online.

Allo stesso tempo, sono aumentate le aspettative dei giovani nei confronti delle imprese statali e del pubblico impiego, e cominciarono a immaginare cose buone sull’economia pianificata. In questo contesto, dal 2020, potremmo notare che l’interesse dei giovani per il marxismo è cresciuto in modo esponenziale. Il sito Bilibili offre molti brevi video prodotti da decine di migliaia di internauti di propria iniziativa, che presentano il marxismo e criticano i capitalisti. Il numero di tali video è aumentato di sette volte dal 2019. Il documentario di CCTV del 2019 “The Power of Capital” era originariamente concepito per celebrare le glorie della riforma e dell’apertura, fornendo una visione positiva della costruzione del capitalismo e dei mercati. Tuttavia, dopo essere stato ripubblicato su Bilibili, è stato accolto da una raffica di critiche. Allo stesso tempo, le vendite diAnche le opere selezionate di Mao Zedong sono aumentate nel 2020.

Pertanto, dobbiamo notare che la generazione Little Pink, sebbene immersa nell’economia di mercato, mostra ancora sintomi del tardo capitalismo nella loro avversione per il capitale e nella loro devozione al “marxismo dei video musicali”. Data la loro ridotta esperienza di vita, aspettative ridotte, tendenza a uscire online con persone che la pensano allo stesso modo, correttezza politica, manipolazione emotiva, a cui potremmo aggiungere la popolarità di una cultura cupa e l’utilità dell’ansia come strumento per generare traffico mediatico… Questi fattori, insieme all’involuzione del capitale globale, hanno prodotto nei giovani di oggi uno stato emotivo che potremmo definire una cultura “patriottica”, antimperialista e anticapitalista + risentimento online”. Questa è forse una delle fonti dello “stato d’animo schizofrenico” dei Little Pinks. Non si tratta tanto di un ritorno della sinistra quanto di quella che Fukuyama chiama l’attuale “politica del risentimento” tra i giovani occidentali, un prodotto del deterioramento dell’economia politica e della proliferazione della politica identitaria.

La politica occidentale del risentimento può facilmente trasformarsi in politica di strada e politica populista in un sistema elettorale, mentre la rabbia che contagia i giovani cinesi diventa invece una mentalità di totale rassegnazione e fuga dall’opinione pubblica online.. Un esempio potrebbero essere le quattro “rivolte” proposte dai giovani su Bilibili: non compreremo casa, non ci sposeremo, non faremo figli e non lavoreremo dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana. “Se mi sdraio, i capitalisti non potranno più sfruttarmi”. L’essenza di questo risentimento è, da un lato, una legittima rivendicazione contro lo sfruttamento del capitale; dall’altro è l’espressione della frustrazione di un’anima catturata dal consumismo ma che rimane insoddisfatta. Questa logica non punta a una narrativa di classe, ma piuttosto a una narrativa di welfare simile a quella che vediamo nelle socialdemocrazie occidentali.

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Conclusione

Alcuni teorici usano il termine “nuovo individualismo” per cercare di descrivere l’attuale mentalità dei giovani internauti cinesi. Nell’era dell’economia di mercato, l’individualismo è certamente un aspetto essenziale di come intendiamo e viviamo la nostra vita, ma la miscela di individualismo e nazionalismo che vediamo nella Little Pink ovviamente va oltre questo, oltre l’individualismo astratto. L ‘”individuo” nel pensiero di liberazione degli anni ’80 era un individuo umanista, spiritualmente puro come immaginato dagli intellettuali. Quando negli anni ’90 sono decollate le vere riforme e aperture, l’economia di mercato ha lasciato nell’ombra questi “individui umanistici” e l’individuo è diventato l’astratto “uomo economico” dell’economia occidentale.

Nel 1998, Liu Xiaofeng (刘小枫, nato nel 1956) ha pubblicato un riassunto delle idee dell’era post-rivoluzionaria e del periodo della trasformazione sociale, concentrandosi su una discussione sul “dolore e la felicità” associati alla trasformazione sociale. un’etica della libertà individuale. Tuttavia, rispetto alla generazione Little Pink, sembrerebbe che la trasformazione di cui parla Liu avvenga solo durante il passaggio dall’economia pianificata all’economia di mercato, e il “peso” di cui parla non includa l’ansia prodotta dal divario tra ricchi e poveri a livello personale , perché l ‘”individuo” in quel momento non era ancora pienamente consapevole del prezzo dell’alloggio, del costo dell’istruzione o di questioni come gli straordinari e la scarsa retribuzione. Né comprende l’esperienza del contatto diretto con i cittadini del mondo – che è l’esperienza dei giovani nell’era odierna del consumo globalizzato – in un momento in cui la riforma e l’apertura della Cina sono in “acque profonde”.

Dopo il 2008, quando l’ascesa della Cina è diventata sempre più evidente, i cinesi sono stati esposti direttamente alla comunicazione globale dei media e alle emozioni competitive che può produrre. Il fenomeno “Little Pink” ne è una manifestazione. Rispetto alla generazione altrettanto consumista di Taiwan “My Little Happiness (小确幸)”, i giovani della terraferma si trovano in una guerra di identità con l’Occidente a causa del ringiovanimento della Cina, mentre i giovani di Taiwan si trovano a proprio agio nel sistema internazionale occidentale.

La politica e l’etica della Little Pink, che rifiutano sia l’intellettualizzazione che la proletarizzazione, sono difficili da accettare per gli intellettuali che sono diventati maggiorenni negli anni ’80, i quali non capiscono perché le riforme, l’apertura e i mercati globali non solo non siano riusciti a determinare la fine del storia che avevano chiesto, ma invece hanno generato una comunità patriottica più ampia. Tuttavia, il fenomeno Little Pink e tutte le controversie che ha suscitato riflettono vividamente la rielaborazione e la ricodificazione di varie dottrine e idee nella realtà, tracciando i sintomi di una postmodernità ancora non presente, di una storia che non riesce a finire, e del desiderio di felicità dell’ultimo uomo e della sua continua lotta.

I Little Pinks sono un processo che, in una certa misura, va oltre l’individualismo stoico e la “politica depoliticizzata” e si riconnette con la collettività, la nazionalità, la storia e il socialismo. La domanda per il futuro è: in un’era di cambiamenti senza precedenti, la generazione Little Pink salirà o scenderà?

Gli intellettuali devono prima abbandonare la loro posizione di critica esterna e rifiutare termini semplicistici come “populista” o “spina dorsale脊梁”. Allo stesso tempo, devono superare stereotipi come “gioventù” e “mainstream” e capire che Little Pink non è solo una sottocultura giovanile, ma anche un’espressione di un certo spirito che è stato soppresso dagli intellettuali e dal sistema educativo e che poteva trovare il suo posto solo tra i giovani.

Abbiamo assistito all’ascesa della “forza Little Pink 原力”, ma ci manca una teoria per spiegare questa forza. La direzione che prenderanno i giovani cinesi e il nuovo patriottismo dipende dalla possibilità di portare a compimento l’interazione tra i vari attori intellettuali, sociali e pratici della Cina. È anche una delle responsabilità ineludibili degli intellettuali cinesi.

FONTI
  1. 余亮,”小粉红的系谱、生态与中国青年的未来”, originariamente pubblicato nell’edizione di maggio 2021 della Beijing Cultural Review , ripubblicato sul sito web di Aisixiang il 6 ottobre 2021.
  2. Questa frase è tratta da una poesia di Dai Wangshu 戴望舒 (1905-1950).

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/12/24/les-little-pink-et-lavenir-de-la-jeunesse-chinoise/

Cosa può fare la diplomazia? una conversazione con Jérôme Bonnafont

Cosa può fare la diplomazia? una conversazione con Jérôme Bonnafont

Mentre la professione sembra essere sempre più indebolita ovunque e dovunque, Jérôme Bonnafont, relatore per gli Stati Generali della Diplomazia, torna in un recente libro sulla vocazione diplomatica. In questa intervista fluviale, cerca di delineare un ritratto del diplomatico nel 21° secolo – tra l’interprete e il messaggero.

Jérôme Bonnafont, diplomatico, per cosa? , Parigi, Odile Jacob, 2022, 380 pagine, ISBN 9782415000844

Jérôme Bonnafont è diplomatico di carriera dal 1986. Dopo aver prestato servizio a Nuova Delhi, Kuwait e New York, è stato consigliere e poi portavoce della Presidenza della Repubblica prima di diventare Ambasciatore in India e Spagna, Direttore per il Nord Africa e il Medio Oriente e Consigliere del Primo Ministro. Attualmente è il rappresentante permanente della Francia presso le Nazioni Unite a Ginevra.

Nel tuo libro Diplomate, pour quoi faire?, offri un’ampia riflessione su questa professione che è affine a una vocazione. Colpisce l’ibridità stessa del genere del tuo libro: pensato in luoghi come esercizio di definizione della diplomazia, con una forte dimensione concettuale, attinge anche dal genere delle Memorie, offrendo così una forma di riflessione sulla somma delle tue esperienze passate …

La diplomazia infatti non è una filosofia ma una pratica, anzi un mestiere, nel senso di quei mestieri in cui il saper fare unisce il sapere libresco e l’esperienza che nasce da una lunga applicazione piuttosto perfezionista.

In questo libro mi sono posta per prima cosa la domanda sul percorso che porta qualcuno a voler diventare un diplomatico. È certamente una professione vocazionale, con una duplice natura: il gusto per il mare aperto, il nomadismo e il desiderio di servire la patria. Per servire il suo Paese, dunque, ma per quanto possibile. 

Volevo anche sfatare miti logori. Ricordiamo Chateaubriand, allora diplomatico a Roma, che scriveva a un amico: “   il mestiere è facile, lo possono fare tutti” . Senza dubbio, come molti nella sua situazione, l’autore di Le Génie du Christianisme non si è nemmeno reso conto che probabilmente non stava facendo il suo lavoro, lo faceva solo in apparenza. 

Volevo anche sfatare alcuni miti logori sulla diplomazia.

GIROLAMO BONNAFONT

Un buon diplomatico deve essere guidato da tre tipi di curiosità, passioni e conoscenze. 

Curiosità per il mondo, soprattutto per l’altrove: sentire il richiamo dell’altro, voler vivere con l’altro, influenzarlo ed esserne influenzati, concepire i rapporti tra Stati come uno scambio, non accettare l’idea della sola guerra come ultima opzione. 

Poi la curiosità, la passione per la cosa pubblica. Si tratta di sviluppare una conoscenza dettagliata della politica: come si costruisce uno Stato e come funziona? Quali sono le sue organizzazioni sociali, economiche e politiche, le sue ambizioni, le minacce che provoca o subisce? E questa curiosità vale per il suo paese quanto per gli altri. 

Infine, è un lavoro estroverso, un lavoro sociale: conoscere – e amare – rappresentare, comunicare, organizzare, reagire alle crisi e ai conflitti, negoziare. Un mestiere di azione e di esteriorità, dove il pensiero è messo al servizio del concreto. 

Per illustrare l’impatto che un diplomatico può avere sull’azione esterna del suo Paese, ho scelto, tra l’altro, il famoso esempio del Long Telegram scritto da Georges Kennan nel 1946. Era allora un giovane diplomatico americano di stanza a Mosca. Il presidente Truman si interroga sulla reazione all’imperialismo sovietico. Kennan scrive che, data la natura dell’URSS, gli Stati Uniti non possono stare a guardare, poiché ciò andrebbe contro i suoi interessi e valori. Tuttavia osserva che Washington non può respingere militarmente l’URSS, perché la guerra è impossibile. È così che concepisce quella che sarà conosciuta come la dottrina del contenimento , del contenimento, adottata dall’amministrazione americana e che ha svolto il ruolo che conosciamo nella Guerra Fredda. 

Tuttavia, se confrontiamo i diversi Paesi, osserviamo anche sistemi in cui l’ambasciatore è spesso nominato tra persone vicine al Presidente della Repubblica, senza necessariamente essere un diplomatico. Potrebbe essere, per esempio, nella tradizione americana, qualcuno che ha contribuito a finanziare la campagna elettorale del presidente. Come spiegare questa differenza di modello, tra un tale sistema e quello trovato in Francia? 

Ogni paese ha la sua tradizione. La Francia vive sul modello di un servizio civile professionale, politicamente neutrale e fedele al governo. Come la maggior parte dei suoi partner europei. Lei è attaccata ad esso. Vengono nominati alcuni ambasciatori tra quelli vicini al Capo dello Stato: questo è raro e il più delle volte contribuisce a far respirare il sistema. Questo è il nostro sistema, ha dato prova di sé anche se deve essere continuamente modernizzato e rinnovato.

Altri paesi, come gli Stati Uniti, favoriscono le nomine politiche. Gli ambasciatori sono il più delle volte persone vicine al presidente, o più precisamente donatori che hanno finanziato la sua elezione e che vengono così premiati. Il risultato sono spesso, non sempre, capi di posto ridotti a una funzione cerimoniale mentre i servizi ruotano intorno a loro. 

È un lavoro estroverso, un lavoro sociale: conoscere – e amare – rappresentare, comunicare, organizzare, reagire alle crisi e ai conflitti, negoziare. Un mestiere di azione e di esteriorità, dove il pensiero è messo al servizio del concreto.

GIROLAMO BONNAFONT

La modella americana non è però priva di interesse: quando Pamela Harriman viene nominata ambasciatrice a Parigi dal presidente Clinton, la sua statura e il suo background le permettono di alzare il telefono per parlare con il presidente o un ministro del momento, che ‘un l’ambasciatore ordinario generalmente non può fare di più. Inoltre, se il vertice è gestito dallo ”  spoiler system  “, al Dipartimento di Stato così come nelle ambasciate, un nutrito corpo di diplomatici di carriera assicura la permanenza con professionalità, in particolare per quanto riguarda la conoscenza delle lingue e civiltà così come le tecniche del mestiere.

Cominciamo parlando della fine del libro, e della sua conclusione, intitolata “Diplomazia immutabile e cangiante”. Questo identifica tutta la difficoltà dell’esercizio in cui sei impegnato: catturare l’essenza di una delle professioni più antiche del mondo, ma che rimane una delle prime a cambiare nel tempo. Scrivi così che “l’essenza dell’arte diplomatica è il movimento, la fluidità, la duttilità”. Come, dal punto di vista del diplomatico, non perdere la sua identità in questi movimenti, e spiegare una professione che fatica a definirsi in poche parole?

L’espressione è di Raymond Aron, che ha intitolato un’opera che ripercorre la genesi delle nostre istituzioni: “  Immutabile e cangiante. Dalla Quarta alla Quinta Repubblica”. 

La galleria di ritratti contenuta nel libro vuole mostrare la varietà di profili, professionalità e tecnicismi, nonché le differenze di carattere e di metodo che distinguono tra loro i diplomatici. 

Quando Proust descrive il vecchio marchese de Norpois come un mondano vuoto e pedante, è preso dall’illusione ottica che è che vede il personaggio – i suoi modelli – nella società solo in un ruolo un po’ futile. . Il narratore incontra Norpois solo nei salotti, mai con i suoi partner stranieri, mai con il suo ministro o il suo presidente, mai alla sua scrivania, insomma mai in azione. 

Chi avrebbe dovuto rappresentare Norpois? Forse un Cambon o un Barrère: un vecchio negli occhi di un giovane. Ed è vero, molti ritratti di diplomatici in letteratura danno questa impressione di vanità. Si pensi al personaggio di Georges de Sarre nei romanzi di Roger Peyrefitte, che lascia nel lettore una spiacevole sensazione di vuoto. 

Contrariamente a queste rappresentazioni, mi sembra che la principale qualità del diplomatico sia, per usare un’espressione di Rimbaud, il voler essere “  risolutamente moderno  ”. Pienamente a suo tempo, allo stesso tempo intriso di storia per agire sul presente e cercare di plasmare il futuro con gli occhi aperti sul mondo così com’è e sta andando, e non come lo sogniamo o crediamo.

Chi avrebbe dovuto rappresentare Norpois? Forse un Cambon o un Barrère: un vecchio negli occhi di un giovane. Ed è vero, molti ritratti di diplomatici in letteratura danno questa impressione di vanità.

GIROLAMO BONNAFONT

Sempre nello stesso brano lei scrive che se il diplomatico “lavora nel presente, hic et nunc  “, deve costantemente “tenere presente l’impermanenza”. Il diplomatico è una specie di dialettico?

Qualsiasi azione pubblica richiede una dialettica, una diplomazia come le altre. Dobbiamo costantemente scegliere: arbitrare, ad esempio, tra il breve e il lungo termine. Le soluzioni immediate possono creare difficoltà per il futuro, anche se devono essere favorite quando l’urgenza lo impone. E spesso si tratta di scegliere tra le seconde migliori opzioni.

Ci sono altri tipi di scelte; tra la guerra o la pace, tra lo spirito di compromesso, indispensabile per raggiungere soluzioni comuni ma frustrante, e lo spirito di autoaffermazione. E, come vediamo oggi, essere troppo assertivi può scuotere i sistemi internazionali, mettendo così in discussione la loro stabilità. Occorre anche distinguere tra “interessi” e “valori”, anche se questa distinzione è in pratica difficile da definire. 

La diplomazia è caratterizzata dalla ricerca permanente di compromessi accettabili con la realtà nel presente. In questo senso non può esistere un’architettura assoluta e permanente. Come diplomatico, cerchi di risolvere il problema del momento, ma anche di costruire qualcosa di stabile, un trattato, un sistema di sicurezza. Tenendo presente che può spostarsi in qualsiasi momento! Se ti lasci andare nello spirito del sistema o dell’ideologia, la fluidità e la complessità della realtà ti sfuggono. L’immutabile e il mutevole, ancora.

I riferimenti storici – e alla mitologia – innervano il tuo lavoro. Una di esse colpisce particolarmente: è il riferimento che fai a Hermes, il Dio messaggero, sotto la cui protezione il diplomatico sembra posto. Tuttavia, l’intera difficoltà del lavoro del messaggero è riuscire a far udire l’inudibile, sia in casa che fuori. A costo di diventare un bersaglio o agire come un parafulmine… 

Nel mondo funzionale in cui viviamo, non è male mettere un po’ di colore, da qui il ricorso all’Antichità. Cito due figure in particolare: quella di Ermete e quella di Gabriele, omaggio alle due fonti principali della nostra civiltà: quella greco-romana e quella giudeo-cristiana. 

Hermès si riferisce alla nostra eredità politeista, Gabriel alla nostra storia monoteistica. Hermes è un messaggero speciale: in quanto dio, gode di grande libertà di azione. Gabriele, invece, arcangelo che deve trasmettere il messaggio di Dio, opera in un certo senso sulle istruzioni. Queste sono le due situazioni tra le quali il diplomatico oscilla costantemente.

Il messaggio è ancora ascoltato? La domanda è vecchia. Prendo nel libro l’esempio di André François-Poncet, ambasciatore a Berlino dal 1931 al 1938 poi a Roma nel 1938-1939. Ha scritto Souvenirs che mostrano chiaramente che ha capito tutto quello che stava succedendo a Roma e Berlino in quel momento. È stato ascoltato dalle sue autorità? Il sistema di vincoli che all’epoca gravava sui nostri dirigenti impediva loro di dare una risposta adeguata ai fenomeni descritti da questo ambasciatore. C’era qualcosa di tragico nella scalata alla guerra.

Un’altra domanda è se il messaggio è ben compreso dal destinatario. Si pensi qui all’esempio dell’ambasciatore americano a Baghdad nel 1991. Ricevuta da Saddam Hussein il giorno prima dell’invasione del Kuwait, si dice — con le dovute riserve — che abbia dato una risposta così ambigua al dittatore che lo interrogava su le conseguenze di un intervento armato che avrebbe visto una sorta di via libera all’invasione. Ciò è stato successivamente smentito, ovviamente, dal corso della storia.

Qual è l’interprete giusto in diplomazia? Mi sembra che il diplomatico debba essere convenzionale e un po’ incrinato allo stesso tempo perché deve oscillare tra i mondi, il suo e quelli degli altri.

GIROLAMO BONNAFONT

Qual è l’interprete giusto in diplomazia? Mi sembra che il diplomatico debba essere convenzionale e un po’ incrinato allo stesso tempo perché deve oscillare tra i mondi, il suo e quelli degli altri. Per fare questo serve una crepa, uno squilibrio, un disagio che metta in moto le cose, il che significa che, pur essendo completamente a casa, lì non ci si trova del tutto a proprio agio e si ha bisogno di questa apertura per respirare.

Roberto Calasso ha scritto un libro magnifico su questo argomento, La Ruine de Kasch , in cui osserva la figura di Talleyrand, traghettatore tra il vecchio e il nuovo mondo. Ora Talleyrand è questo gran signore la cui famiglia gli ruba la primogenitura con il pretesto che, in quanto piede torto, non può essere un soldato.

Coincidenza significativa, zoppia – ricorda cosa ha osservato Dumézil: Efesto, anche Giacobbe zoppicava. I vecchi pensavano che questa infermità, l’handicap in generale, desse delle attitudini, una capacità di accesso a campi dove il normale non può arrivare.

Precisione di giudizio, capacità di farsi capire e ascoltare dalle autorità e dagli interlocutori stranieri, sono qualità che si imparano e maturano nel tempo. Poi, le cose appartengono all’autorità politica, è la regola fondamentale di questo tipo di professione. 

Da lì si passa a un’altra metafora che gioca un ruolo centrale nel tuo lavoro: l’immagine musicale, che fa del diplomatico un interprete. Sotto questo prisma, il ruolo del diplomatico non è semplicemente quello di trasmettere il messaggio, ma di dargli significato, persino incarnarlo, seguendo i limiti prescritti dall’autorità politica – queste istruzioni sono l’equivalente di uno spartito. Come rispettare concretamente questa linea di cresta, assicurando che il messaggero dimostri la necessaria umiltà e moderazione – il che solleva anche una questione democratica? 

L’immagine musicale permette di descrivere il dialogo permanente tra il diplomatico-esecutore e il politico-compositore. Le istruzioni sono come una partitura; durante le trattative, il diplomatico tasta il polso ai suoi omologhi, per poi rientrare nella sua capitale nell’ambito di un dialogo continuo. È vincolato dalla sua partitura, ma gode della libertà dell’interprete.

Il compositore è il politico; con questa particolarità che certi diplomatici – ad esempio i consiglieri diplomatici del Presidente o del Primo Ministro – possono contribuire a scrivere questa partitura, anche se rimane fondamentalmente politica. Secondo questa immagine, si noti che lo stesso compositore è spesso un interprete: questo è il caso in cui gli stessi politici si impegnano direttamente nella diplomazia, in particolare durante i vertici o le visite bilaterali.

Ci sono anche casi in cui il diplomatico deve improvvisare, soprattutto nelle crisi. Deve quindi, per improvvisare bene, aver accumulato una somma di conoscenza ed esperienza, in modo che il riflesso dell’improvvisazione poggi su una base sicura.

L’immagine musicale permette di descrivere il dialogo permanente tra il diplomatico-esecutore e il politico-compositore. Le istruzioni sono come un punteggio.

GIROLAMO BONNAFONT

Nel tuo lavoro noti il ​​contrasto tra il linguaggio delle armi e quello della diplomazia, mentre spieghi che l’uno non può avere un’esistenza duratura senza l’altro. Se la diplomazia può vivere all’ombra della guerra – che risuona dell’attualità più immediata – come fare in modo che i conflitti non la emarginino definitivamente? In pratica, si ha l’impressione che, lungi dall’essere complementari, questi due linguaggi siano spesso opposti…

Sono due facce della stessa medaglia: la diplomazia che svolgi dipende da ciò su cui sei stabilito. Rappresenti un paese potente o in declino? Ricco o povero? In una posizione di vulnerabilità o in una posizione di forza? La guerra è il culmine del confronto, la prova suprema, ma queste domande sorgono anche quando si tratta di finanze, standard tecnici, impegni commerciali. Si negozia prima secondo una realtà e un equilibrio di potere.

Possiamo vivere senza armi? Prendiamo spesso l’esempio del Costa Rica, che non ha esercito. Ma guarda la Svizzera: la sua neutralità si è basata per secoli su forze armate abbastanza forti da scoraggiare gli aggressori. Puoi quindi essere un paese pacifico e basare questa posizione sulla tua forza militare. 

Anche la storia gioca un ruolo importante: dopo il 1945, la Germania era riluttante a intervenire in operazioni militari esterne, a differenza della Francia o del Regno Unito, pur avendo ricostituito un esercito nel quadro della NATO. 

Ne consegue che quando vuoi pesare in diplomazia, devi assicurarti una capacità credibile affinché i tuoi interlocutori capiscano che quello che dici, il tuo Paese è in grado di farlo.  

È anche necessario distinguere in base ai tipi di guerra. Un solo distinguo su questo immenso e complesso argomento. Se si tratta di una guerra civile, la comunità internazionale deve intervenire per trovare una soluzione pacifica e cercare di imporre la cessazione delle ostilità. Di fronte a una guerra di aggressione, come quella che stiamo vedendo oggi in Ucraina, questa è un’altra questione. Alcuni difendono la scelta pacifista, dicendo che la guerra è il male assoluto. Ma cosa significherebbe per l’Ucraina? Che dovrebbe rinunciare alla sua sovranità?

Parlare non significa arrendersi in anticipo, significa mantenere il filo per cercare di prevenire il peggio e prepararsi al futuro.

GIROLAMO BONNAFONT

L’Ucraina dice chiaramente di no. Resiste con tutte le sue forze. È il vecchio concetto di san Tommaso d’Aquino di “guerra giusta”, di legittima difesa, ripreso dalla Carta delle Nazioni Unite che autorizza, in caso di legittima difesa, l’uso della forza. 

Questo significa che non dovrebbe esserci più dialogo? Affatto. Analizzare le dichiarazioni del Presidente della Repubblica. Diceva sempre che doveva esserci spazio per la diplomazia. Guarda le iniziative messe in atto per risolvere la questione alimentare. Parlare non significa arrendersi in anticipo, significa mantenere il filo per cercare di prevenire il peggio e prepararsi al futuro.

Nell’ambito della riforma dello Stato, sono stati modificati i canali di reclutamento per il flusso diplomatico. Di fronte alla mobilitazione di alcuni agenti, il Governo ha deciso di aprire gli “Stati Generali della Diplomazia”, di cui lei è il relatore generale. Questo è un esercizio unico. Potrebbe descrivere a grandi linee questo processo: quale volontà politica riflette questa iniziativa? In che prospettiva sono stati pensati questi Stati Generali, e quali potenziali conseguenze si prospettano rispetto al momento che seguirà a quello della consultazione?

Inizierò dicendo che oggi osserviamo due fenomeni. 

In primo luogo, i processi di europeizzazione e globalizzazione implicano che gli affari internazionali permeano sempre più quasi tutti gli affari pubblici. Questa è un’estensione del dominio diplomatico. 

Poi, da una generazione, il budget e la forza lavoro del Quai d’Orsay sono in calo: è l’unico ministero di Stato ad aver vissuto una situazione del genere così continuamente. La fine di questo declino è stata segnata da un cambio di direzione, iniziato quando era ministro Jean-Yves Le Drian, e confermato dall’attuale ministro degli Esteri, Catherine Colonna.  

In tale contesto, l’applicazione al Ministero degli Affari Esteri della riforma dell’alta funzione pubblica ha rivelato un disagio fortemente espresso. Da qui l’idea degli “Stati Generali della Diplomazia”, ​​ripresa dal Presidente della Repubblica e dal Ministro: dare la parola agli agenti del Quai d’Orsay e ai soci e utenti del “servizio pubblico della diplomazia” per riflettere su tre temi: 

1. Essendo il mondo quello che è, di quale diplomazia ha bisogno la Francia e cosa significa questo per la professione di diplomatico? 

2. In un’amministrazione moderna, come può il Quai d’Orsay assumere al meglio il suo ruolo di capofila dell’azione internazionale? 

3. In questo contesto, come deve evolvere la professione del diplomatico, sia in termini di struttura che di metodo?

In questo contesto, si è costituito un gruppo per organizzare e condurre questo “grande dibattito” applicato alla diplomazia, al fine di fornire alle nostre autorità politiche – Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro degli Affari Esteri – una relazione sui risultati e raccomandazioni.

Procediamo in modo classico ma ambizioso: invio di questionari ai nostri 13.000 agenti, organizzazione di workshop e audizioni aperte a tutti coloro che sono interessati, di persona o online, visitando i vari siti francesi del ministero e un rappresentante campione delle nostre ambasciate e missioni . Vogliamo che i colleghi di ogni grado e status si esprimano liberamente sulla loro situazione personale e sulla loro visione della nostra professione e del suo futuro; e che, allo stesso tempo, qualificate personalità del mondo politico, economico, culturale, associativo e mediatico ci guidino con la loro visione.

Il risultato dovrà essere un quadro fedele della situazione, certo, ma soprattutto precise indicazioni sul futuro della professione diplomatica, sulle modalità di esercizio che evolveranno, ma che resteranno una componente importante e peculiare dell’azione pubblica.

Il diplomatico continuerà a fornire ciò che è essenziale per la gestione degli affari internazionali, ma lo farà nelle condizioni del nostro tempo.

GIROLAMO BONNAFONT

Secondo lei, come preservare oggi la specificità di una professione di fronte a situazioni molto diverse da quelle che esistevano qualche decennio fa: l’intensificarsi della costruzione europea, l’emergere di questioni globali ben identificate (clima, terrorismo, Covid- 19), o ancora il ruolo crescente svolto dalle imprese multinazionali nelle relazioni internazionali? 

Questi sviluppi non sono sconosciuti. Guarda il campo degli affari strategici: questi sono gestiti da decenni da coppie di diplomatici e soldati che lavorano insieme su questioni di disarmo e non proliferazione. Queste coppie lavorano al Segretariato Generale per la Difesa e la Sicurezza Nazionale (SGDSN), a Matignon, all’interno della cellula diplomatica dell’Eliseo, nei Ministeri degli Affari Esteri e delle Forze Armate, nelle nostre ambasciate e nelle nostre missioni all’estero. Lo stesso vale nel campo degli affari europei, ad esempio all’interno del Segretariato generale per gli affari europei (SGAE), che opera grazie a tandem di diplomatici e specialisti tematici. 

Si tratta di estendere questi binomi generalizzando questo metodo all’elaborazione di tutti i casi globali. Si tratta di trovare modalità di intervento più trasversali, adeguate all’interdisciplinarietà delle materie e alla rapidità delle crisi. Un esercizio essenziale di adeguamento delle strutture e delle modalità operative dell’amministrazione.

La professione deve essere definita attraverso le sue missioni e la sua vocazione. Non sono preoccupato per il futuro della funzione diplomatica. Il diplomatico continuerà a portare l’essenziale per la gestione degli affari internazionali: conoscenza e “uso del mondo”, per usare la bella espressione di Nicolas Bouvier, ma lo farà nelle condizioni del nostro tempo.

Come vede lo sviluppo della diplomazia europea in questo contesto?  

Il futuro della diplomazia europea dipende semplicemente da come l’Europa si affermerà come potenza nel mondo. In Francia abbiamo l’ambizione di un’Europa sovrana, che controlla i suoi destini, come ha sottolineato in numerose occasioni il Presidente della Repubblica. 

In alcuni settori, ad esempio nella politica commerciale o di sviluppo, esiste già una diplomazia europea completa e consolidata. In materia di salute e ambiente, gli Stati e la Commissione uniscono sempre più le loro capacità diplomatiche. In altri ambiti, ancora in divenire, l’approfondimento di questo percorso dipenderà dall’evoluzione politica dell’Europa.

In particolare, a Ginevra, dove sei attualmente distaccato, ti occupi di molte questioni relative al Consiglio dei diritti umani. Nota divisioni quotidiane tra la concezione occidentale dei diritti umani e le posizioni difese da Stati come la Cina o la Russia? Come descriveresti l’evoluzione delle tue interazioni con russi e cinesi dal 24 febbraio su questi temi?

Il Consiglio dei Diritti Umani è composto da 47 Stati eletti per due anni con una rotazione progressiva. Nell’insieme delle Nazioni Unite esistono schematicamente tre gruppi: Stati di affinità (Paesi europei, America Latina, Stati Uniti, Giappone, Corea e pochi altri, cioè una cinquantina di Paesi), che promuovono una concezione universale e indivisibile dei diritti umani. Un secondo gruppo di Stati (Iran, Cina, Russia, molti paesi con regimi dittatoriali o comunque non democratici), contesta questa universalità, afferma che l’Occidente, nella sua ricerca dell’egemonia, usa questi principi per fondare ingerenze negli affari interni degli Stati sovrani. Infine, 

I diritti umani sono universali? La risposta è nei testi e nella loro elaborazione. La Dichiarazione universale del 1948 e le due Alleanze del 1966 (quella sui diritti civili e politici e quella sui diritti economici e sociali) non sono state scritte da soli occidentali e affermano semplici verità sulla pari dignità di tutti e sulle conseguenze che ne derivano. 

Certo, la Cina, ad esempio, ha ratificato il Patto sui diritti economici e sociali ma non il Patto sui diritti civili e politici: questa è la scelta che deriva da un sistema politico. Tuttavia è interessante vedere che in occasione della visita di Michelle Bachelet in Cina nel maggio scorso, che potrebbe aver dato adito a polemiche, questo Paese si è sentito in dovere di ricordare che stava studiando la questione del Patto sui diritti civili e politici. 

Da francese ed europeo, non ho il minimo dubbio sull’universalità dei diritti, non tanto in pratica, basta guardarsi intorno, quanto in termini assoluti: i testi, a rileggerli, dicono semplicemente che ovunque la libertà è più bella della servitù e dell’oppressione. La nostra stessa storia ci ricorda inoltre che questi diritti sono stati duramente conquistati, mai concessi. Ma occorre, in tutta franchezza, saper ascoltare e sentire ciò che gli altri dicono a questo libero e prospero Occidente. Ci rimandano a un passato bellicoso, coloniale, conquistatore, che ha esercitato una grande influenza, spesso crudele, sul proprio destino. Sottolineano di essere spesso vittime di fenomeni economici o ecologici che non hanno in alcun modo creato e che impediscono loro, almeno in parte, di svilupparsi.

Occorre, in tutta franchezza, saper ascoltare e sentire ciò che gli altri dicono a questo libero e prospero Occidente. Ci rimandano a un passato bellicoso, coloniale, conquistatore, che ha esercitato una grande influenza, spesso crudele, sul proprio destino.

GIROLAMO BONNAFONT

In queste pagine, questo cambiamento nel mondo è stato più volte descritto come un periodo di “interregno”. Questa nozione, ripresa in particolare da Josep Borrell in un testo dottrinale, descrive le grandi riconfigurazioni che stiamo vivendo, ma che non si sono ancora realizzate. Come pensa che il multilateralismo di domani possa adattarsi a questa nuova realtà? 

È una grande domanda. Bisogna stare attenti allo sguardo retrospettivo: nel presente abbiamo sempre l’impressione di vivere in un tempo di sconvolgimenti che non comprendiamo fino in fondo. Dopo , tutto diventa chiaro. Questo è il paradigma della civetta di Minerva: cogliamo solo ciò che abbiamo vissuto a posteriori. 

Quindi, se tu fossi stato un giovane europeo vissuto nel 1945, non saresti stato convinto dall’evidenza della stabilità dell’ordine mondiale. Allo stesso modo, quando vivevi nel 1990, un ordine e un sistema continentali stavano tremando. Certo, si è affermato che è stata la vittoria per sempre della pace, della libertà e della democrazia. Ma è un’illusione pensare che negli anni successivi alla caduta del muro o dell’Urss il mondo fosse stabile. Abbiamo assistito alle guerre nell’ex Jugoslavia, a un genocidio in Rwanda, agli attentati dell’11 settembre 2001: un mondo dove accadevano cose impensabili. 

È vero però che oggi osserviamo nuove linee di forza. In primo luogo, l’instaurazione di una duratura rivalità sino-americana. Poi l’affermazione di alcuni grandi colossi regionali: Brasile, India, Russia, Unione Europea. Decine di paesi medi o piccoli devono trovare un nuovo posto all’interno di questo gruppo. E durante questo periodo si esercitano forze opposte: quelle relative a questioni globali, che riteniamo richiedano un trattamento multilaterale; quelli relativi alla parziale messa in discussione della globalizzazione degli scambi, che pone il rischio di frammentazione e di nuovi scontri.

Questa riconfigurazione è fonte di sfide per l’Europa. Prima sfida: essere un potere che conta. Seconda sfida: costruire un sistema internazionale sufficientemente forte da evitare che la rivalità tra le major si traduca in un sistema senza norme, ordine o prevedibilità. È l’ambizione di mettere in atto quella che il presidente Chirac ha definito una “  globalizzazione umanizzata e controllata  ” o addirittura un “  mondo multipolare armonioso  ”. In quanto europei, abbiamo tutto da guadagnare da un mondo stabile e regolamentato.

Abbiamo parlato oggi dell’ascesa di una “diplomazia al vertice”. Quali progressi concreti consentono questi vertici? Alcuni osservatori ne mettono in dubbio il valore, affermando che i diplomatici sono troppo concentrati sulla creazione di dichiarazioni che non riescono a far avanzare la realtà sul campo. Cosa ne pensi ? 

Se non parli, non risolvi nulla. Diplomazia è il verbo; e la parola deve essere tradotta in azione. Queste versioni sono impegni internazionali. Se non ci parlassimo di cambiamento climatico, migrazioni, lotta alla criminalità organizzata, situazione dei diritti umani, crisi umanitarie, come potremmo affermare di gestire interazioni crescenti e questioni globali? 

Poi, se vuoi costruire gruppi regionali coerenti, devi incontrarti. L’Unione Africana è nata dalla sensazione degli africani che se vogliono affermare la loro influenza e gestire da soli i loro affari regionali, devono interagire di più. Prendiamo anche il caso dell’Unione Europea, dove i 27 Stati membri si incontrano costantemente. Creare interesse generale dalla divergenza degli interessi nazionali è un compito complesso, che richiede tempo.  

I comunicati sono impegni internazionali. Se non ci parlassimo di cambiamento climatico, migrazioni, lotta alla criminalità organizzata, situazione dei diritti umani, crisi umanitarie, come potremmo affermare di gestire interazioni crescenti e questioni globali? 

GIROLAMO BONNAFONT

Più in generale, tornerò su questo, l’evoluzione della globalizzazione richiede l’organizzazione della società internazionale. Non siamo più nel tempo in cui gli Stati potevano pretendere di vivere in una forma di autarchia, di autosufficienza, di regolare i propri rapporti attraverso la guerra e le sue estensioni. Le cosiddette questioni globali saranno meglio affrontate da risposte globali e multilaterali. La scelta è tra un intreccio di regole e organizzazioni che inquadrano l’azione sovrana degli Stati e quella di altri attori internazionali, da un lato, e dall’altro il persistere di una forma di anarchia sovrana in cui risiedono solo i rapporti di forza. 

I diplomatici devono adattarsi a questa realtà che ha, sulla loro azione, almeno tre conseguenze: in primo luogo, devono rimanere capaci di padroneggiare questa grammatica dell’equilibrio di potere senza la quale uno Stato non può difendersi. Quindi, devono estendere la loro tavolozza a tutte queste nuove cosiddette questioni globali, che vanno dall’ecologia alle nuove tecnologie, compresa la salute, la migrazione e i diritti umani. Infine, devono adattarsi a una ginnastica costante per spostarsi costantemente dal nazionale al regionale o globale, dal proprio paese a mondi diversi e lontani per geografia e civiltà, ma più vicini che mai alla nostra vita quotidiana.

Insomma, ben lungi dall’aver perso densità a causa dell’evoluzione del mondo, la professione ha guadagnato in contenuti tanto quanto in portata, ed è davvero una professione del futuro per tutti coloro che amano inscrivere la propria vita nel mondo così com’è. Questo è sostanzialmente il messaggio di questo libro ai giovani francesi che si interrogano sul loro futuro, su quello del loro paese e su una vocazione da diplomatico.

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/12/15/que-peut-la-diplomatie-une-conversation-avec-jerome-bonnafont/

L’emergere del paradigma produttivista, una conversazione con Dani Rodrik

Per l’economista di Harvard l’era dell’iperglobalizzazione sta tramontando: gli imperativi della sicurezza nazionale hanno già cominciato a dettare nuove regole economiche globali. Credendo di perseguire gli stessi obiettivi, stiamo coltivando linee di confronto – lo dimostra quello apertosi in questi giorni tra Bruxelles e Washington. Come evitare che il nuovo paradigma sia peggiore del vecchio?

Dalla pandemia di Covid-19, molti esperti, accademici e politici annunciano il declino del neoliberismo e della globalizzazione. Secondo te, quali sono le cause di questo cambiamento di percezioni? 

Il discorso su quella che ho chiamato iperglobalizzazione si è davvero dissipato. Ciò è particolarmente visibile dopo la pandemia e, ancor di più, dopo la guerra in Ucraina, con le sue ramificazioni geopolitiche, e con il rafforzamento della competizione con la Cina. Ma queste cause immediate e molto visibili vanno collocate nel loro contesto, quello di un decennio che già vedeva farsi evidenti le debolezze ei problemi legati al neoliberismo e all’iperglobalizzazione.

Penso che per molti versi la crisi finanziaria globale sia il punto in cui è iniziata. Non ha portato a un cambiamento fondamentale nel discorso, ma ha messo in moto alcune forze che sono all’origine di questa dissoluzione del discorso neoliberista. Questo è veramente il punto di svolta nel commercio e nella finanza globali. Dopo la crisi finanziaria, la Cina, ad esempio, è diventata molto introversa in termini di commercio, e in una certa misura ciò è accaduto anche in India più di recente. Così, se consideriamo i due Paesi che sono stati i veri motori dell’espansione del commercio mondiale e degli investimenti, il loro atteggiamento, le loro politiche e il loro reale orientamento nei confronti dell’economia mondiale hanno subito una netta evoluzione nell’ultimo decennio. Molte cose erano quindi già in movimento prima della pandemia.

Inoltre, il contraccolpo politico del neoliberismo si stava già manifestando, in termini di un significativo calo dei voti per i partiti centristi, l’ascesa del populismo di estrema destra che, secondo molti studi economici, è in parte guidato dall’ansia economica e dalla dislocazione del lavoro mercati. E penso che ci sia stato anche un crescente riconoscimento all’interno della comunità economica che il consenso professionale sul fatto che l’espansione dei mercati in tutto il mondo e la loro integrazione avrebbe giovato a tutti, non si rifletteva nella realtà. Ci siamo quindi allontanati dal neoliberismo e dall’iperglobalizzazione, sia intellettualmente che in termini di reazione della gente comune. Ma è chiaro che gli shock della pandemia,

Dopo la crisi finanziaria, la Cina è diventata sempre più introversa in termini di commercio, e in una certa misura ciò è accaduto anche in India più di recente.

DANI RODRICK

Stiamo assistendo a un crescente interesse per la politica industriale, in particolare per quanto riguarda le industrie verdi , nonché un rinnovato interesse per gli investimenti pubblici. Di recente hai suggerito di chiamare questa tendenza produttivismo1. Quali sono le principali caratteristiche di questo paradigma e quali sono i principali cambiamenti rispetto al neoliberismo?

Questa è una forma di riorientamento rispetto al neoliberismo, nel senso che il produttivismo ripone molta meno fiducia nelle forze di mercato, nell’impresa privata e molto di più nella capacità dello Stato e dell’azione collettiva in generale di essere una forza di trasformazione. Sottolinea il lato dell’offerta dell’economia. Investimenti, produzione e lavoro, posti di lavoro di qualità, piuttosto che il lato della domanda dell’economia, dei consumi, del potere d’acquisto. Si concentra sulle comunità locali e sulla loro rivitalizzazione, in particolare quelle che sono state messe da parte dalla globalizzazione. Questo paradigma è molto più scettico nei confronti della finanza e favorisce gli investimenti reali rispetto ai mercati finanziari.

Il produttivismo differisce nettamente dall’economia reaganiana dal lato dell’offerta. In quest’ultimo, l’obiettivo era semplicemente migliorare gli incentivi, ridurre le tasse ed estrarre lo stato dall’economia e dal mercato. Il produttivismo, invece, consiste nel dire che, certo, dobbiamo lavorare dal lato dell’offerta, perché senza posti di lavoro produttivi non possiamo permettere ai nostri concittadini di condurre una vita dignitosa e appagante. Quindi dobbiamo assicurarci che quei posti di lavoro siano disponibili. Ma non possiamo semplicemente fare affidamento sulle aziende per garantire che questi vantaggi siano disponibili e diffusi in tutta la società.

Insisto anche sul fatto che il produttivismo è diverso dal paradigma keynesiano o socialdemocratico. Quest’ultima era essenzialmente incentrata, da un lato, sugli ammortizzatori sociali e sul welfare state. D’altra parte, si è concentrato anche sulla gestione dell’economia attraverso strumenti macroeconomici. Il produttivismo si distingue per sottolineare che se devono essere create società inclusive, sono necessari interventi diretti che diffondano i benefici delle nuove tecnologie produttive a segmenti più ampi dell’economia e a settori del lavoro che non hanno accesso a posti di lavoro produttivi di qualità, come come lavoratori poco qualificati. Questo nuovo paradigma costituzionale afferma che, naturalmente, abbiamo bisogno di protezione sociale e gestione macroeconomica, ma dobbiamo anche garantire che le persone abbiano accesso a posti di lavoro di qualità. Ciò richiede quindi il ricorso a una forma di politica industriale esplicitamente orientata alla creazione e distribuzione di questi posti di lavoro. In questo senso, è molto più focalizzato sulla sfera produttiva dell’economia rispetto al paradigma socialdemocratico keynesiano. Differisce quindi sia dal paradigma neoliberista sia dal paradigma socialdemocratico del passato. è molto più incentrato sulla sfera produttiva dell’economia rispetto al paradigma socialdemocratico keynesiano. Differisce quindi sia dal paradigma neoliberista sia dal paradigma socialdemocratico del passato. è molto più incentrato sulla sfera produttiva dell’economia rispetto al paradigma socialdemocratico keynesiano. Differisce quindi sia dal paradigma neoliberista sia dal paradigma socialdemocratico del passato.

Certo, abbiamo bisogno di protezione sociale e gestione macroeconomica, ma dobbiamo anche garantire che le persone abbiano accesso a posti di lavoro di qualità.

DANI RODRICK

Devo aggiungere che il termine produttivismo è sia un’etichetta descrittiva che prescrittiva. Ho coniato questo termine per descrivere quelli che considero i contorni di questa nuova direzione di politica economica che è probabilmente più sorprendente negli Stati Uniti, ma di cui alcuni elementi sono visibili anche in Europa. Ma è anche in parte prescrittivo, vale a dire che penso che ciò che sta accadendo sul campo in questo momento non si sia ancora cristallizzato attorno a un nuovo modo di pensare all’economia e a una nuova visione di ciò che dovrebbe guidare le nostre politiche economiche, che potrebbe quindi costituire davvero un’alternativa al neoliberismo. Occorre quindi pensarci in modo più sistematico e coerente.

Se guardiamo agli esempi concreti di produttivismo, e in particolare alla politica industriale dell’amministrazione Biden, rimaniamo colpiti dalla molteplicità degli obiettivi prefissati. Nell’IRA, notiamo che alcuni crediti d’imposta, che mirano ad accelerare la diffusione delle energie verdi, mirano anche a sostenere le regioni svantaggiate e creare posti di lavoro di qualità. 

Ciò che mi preoccupa è che abbiamo molti obiettivi e li stiamo raggiungendo con troppo pochi strumenti. I seguenti tre obiettivi sono spesso confusi, ma è importante separarli perché ciò che funziona per uno non funzionerà necessariamente per gli altri due.

Vogliamo una transizione verde. Questo è assolutamente essenziale perché il cambiamento climatico è la minaccia più grave per la nostra esistenza. Vogliamo quindi accelerare la transizione verde, che richiederà un’ampia gamma di politiche industriali incentrate sulle energie rinnovabili e sulle tecnologie verdi. L’obiettivo principale dell’IRA è quindi proprio quello. E sostengo totalmente questo obiettivo. Le critiche europee a questa legge , apparse di recente, mi sembrano al riguardo del tutto fuori luogo.

Il secondo obiettivo è l’imperativo geopolitico della competizione con la Cina. Nota che ho alcune preoccupazioni su come questo viene pensato negli Stati Uniti, ma mettiamolo da parte per ora. Il CHIPS Act, anch’esso recentemente approvato, prevede di dedicare ingenti risorse pubbliche per promuovere la produzione avanzata e gli investimenti nei semiconduttori. Ha principalmente lo scopo di rendere gli Stati Uniti un miglior concorrente della Cina nelle industrie ad alta tecnologia e garantire che laddove gli Stati Uniti hanno un vantaggio, rimanga significativo.

C’è un terzo obiettivo, che non è l’obiettivo esplicito di nulla che l’amministrazione Biden abbia ancora adottato, e quel terzo obiettivo è la creazione e la diffusione di posti di lavoro di qualità. Purtroppo negli Stati Uniti c’è la tendenza a pensare che se perseguiamo il nostro obiettivo geopolitico, cioè investiamo nel manifatturiero e nella transizione verde, abbiamo anche a che fare con il problema di creare un’economia che offra posti di lavoro di qualità. Ma questi sono mezzi molto inefficienti per raggiungere questo scopo, perché questi investimenti non saranno necessariamente diretti verso le aree che consentono di creare un gran numero di posti di lavoro di qualità.

Quindi, mentre sono molto favorevole a garantire che le aziende che ricevono sussidi paghino buoni salari, si prendano cura dei propri lavoratori e, per quanto possibile, si tenga conto anche delle comunità svantaggiate negli investimenti, penso che ciò non possa sostituire le politiche industriali finalizzati esplicitamente alla creazione e diffusione di posti di lavoro di qualità. Questi devono mirare a un segmento molto diverso dell’economia. Dovrebbero essere presi di mira i servizi, l’istruzione, la sanità, l’assistenza a lungo termine, le piccole e medie imprese. Dovremmo sostenere innovazioni molto diverse, che mirano ad aumentare le capacità dei lavoratori meno qualificati. Ho scritto un saggio su una politica industriale per buoni posti di lavoro,

Investire nella produzione avanzata ad alta intensità di capitale e competenze è probabilmente il modo meno efficiente per creare posti di lavoro di qualità.

DANI RODRICK

Lei ha citato il ruolo della concorrenza con la Cina nell’emergere del paradigma produttivista. Questa relativa cartolarizzazione dell’economia le sembra un rischio? 

L’attuale politica degli Stati Uniti nei confronti della Cina mi preoccupa. Penso che la Cina sia effettivamente diventata più autoritaria e il governo cinese stia commettendo molte violazioni dei diritti umani, che devono essere condannate da tutte le nazioni democratiche. Ma penso che dobbiamo capire che abbiamo un’influenza molto limitata su ciò che accade e accadrà in Cina.

Il problema più grave è che oggi gli Stati Uniti considerano il proprio rapporto con la Cina un gioco a somma zero. Si ritiene che se il mondo non continuerà ad essere governato dalle nostre regole, sarà organizzato secondo le regole cinesi. La conclusione quindi è, ovviamente, che deve continuare ad essere disciplinata dalle nostre stesse regole. Gli Stati Uniti devono quindi fare tutto il necessario per garantire il proprio predominio nel mondo. Non si riconosce che il mondo futuro potrebbe essere multipolare. Penso che l’idea di schiacciare la Cina, contenerla o impedirne l’ascesa economica semplicemente per mantenere la supremazia americana sia pericolosa. Penso che questo alla fine confermerà i nostri peggiori timori sulla Cina, perché più la Cina si sente minacciata,

Ho appena scritto un articolo in cui dico che l’errore che abbiamo commesso nel contesto dell’iperglobalizzazione è stato quello di lasciare che le nostre società e le nostre grandi banche scrivessero le regole dell’economia globale. L’errore che stiamo commettendo oggi è lasciare che sia il grande potere dell’establishment della sicurezza nazionale a scrivere le regole dell’economia globale. E quindi penso che in entrambi i casi finiamo per perdere perché abbiamo regole sbagliate.

Dobbiamo capire che abbiamo un’influenza molto limitata su ciò che accade e accadrà in Cina.

DANI RODRICK

Sono quindi molto preoccupato perché penso che abbiamo questa competizione geopolitica globale che rischia di eclissare tutto e non ci porterà verso un mondo più sicuro e certamente non verso un mondo prospero perché allontanerà le società e bloccherà la cooperazione in aree critiche come il cambiamento climatico , salute pubblica globale e questioni economiche.

Proprio per quanto riguarda la cooperazione sui cambiamenti climatici, qual è la sua opinione sulle critiche formulate dall’Unione Europea contro l’ Inflation Reduction Act  ?

Penso che le lamentele degli europei contro gli Stati Uniti riflettano una certa forma di miopia. La lamentela di base, a quanto ho capito, è che la legge statunitense, e in particolare i crediti d’imposta dell’IRA, include molte regole sui contenuti locali, in base alle quali le società che ricevono sussidi dal governo federale devono utilizzare input locali. E naturalmente, in senso stretto, ciò potrebbe costituire una violazione delle regole dell’OMC. Ma il clima è molto più importante dell’OMC e penso che dobbiamo rivedere le nostre priorità. Sai, la gente si lamentava dei sussidi per l’energia solare in Cina. Ma grazie a questi sussidi, che per lo più violavano le regole dell’OMC, il prezzo dell’energia solare è crollato, rendendolo una fonte di energia commercialmente valida. La Cina ha quindi fatto un enorme favore al mondo ignorando le regole dell’OMC sui sussidi. Quindi, se le regole statunitensi che prevedono ingenti investimenti nella tecnologia verde danno i loro frutti, in termini di rallentamento del riscaldamento globale, anche l’Europa ne beneficerà.

I reclami europei rivelano una certa forma di miopia. Se le regole statunitensi che prevedono ingenti investimenti nelle tecnologie verdi danno i loro frutti, in termini di rallentamento del riscaldamento globale, anche l’Europa ne beneficerà.

DANI RODRICK

Penso che anche l’Europa abbia dimenticato di non essere perfettamente liberoscambista. Lei stessa sta discutendo di un meccanismo di aggiustamento del carbonio e quindi affronta lo stesso problema: potrebbe violare le regole del commercio mondiale così come le concepiamo oggi. Perché questo meccanismo comporterebbe la creazione di dazi doganali sulle merci dei Paesi che utilizzano tecnologie inquinanti. E penso che sia perfettamente accettabile, perché consentirà all’Europa di mantenere alti i prezzi interni del carbonio.

Il passaggio a un approccio economico più interventista e dal lato dell’offerta sembra essere meno forte in Europa che negli Stati Uniti. Condividete questa analisi? E hai una spiegazione per questo? 

L’Europa si è comunque evoluta più o meno nella stessa direzione degli Stati Uniti. La politica industriale è riemersa in prima linea nelle discussioni politiche europee. Osserviamo le stesse debolezze di quelle che ho appena esposto per gli Stati Uniti, perché focalizzati sulla digitalizzazione e sulla transizione ecologica. Fondi europei molto significativi sono dedicati all’innovazione e al sostegno in questi ambiti. Ancora una volta, il presupposto è che i posti di lavoro di qualità e la loro diffusione geografica seguiranno meccanicamente. Ma questo mi sembra tutt’altro che certo.

Siamo quindi impegnati nella stessa direzione, ma l’Europa non è stata così ambiziosa come gli Stati Uniti. Penso che manchi una riflessione coerente su ciò che è necessario per creare un’economia che sia produttiva e inclusiva e per trasformare il panorama dell’occupazione produttiva per i lavoratori che sono particolarmente lasciati indietro. In Francia, ad esempio, si tratta di giovani lavoratori che affrontano un tasso di disoccupazione molto elevato. In molti altri paesi, sarebbero gli immigrati recenti ad essere esclusi dalle opportunità di lavoro produttivo ea creare significative tensioni sociali nelle società.

L’Europa manca di un pensiero coerente su ciò che è necessario per creare un’economia che sia al tempo stesso produttiva e inclusiva e per trasformare il panorama dell’occupazione produttiva per i lavoratori che sono particolarmente lasciati indietro.

DANI RODRICK

All’inizio di quest’anno avete lanciato un progetto chiamato “Reimagining the economy”, che mira a “studiare nuove strutture, nuovi meccanismi di governance e nuove forme di economia di mercato e di capitalismo”. Quali sono le principali domande e idee che saranno esplorate da questo programma? 

Le discussioni sulla politica economica tendono a oscillare tra l’idea che il mercato sia la soluzione e che lo Stato sia una minaccia da un lato e la tesi opposta dall’altro. Il nostro progetto “reimmaginare l’economia” si basa sulla premessa che il mercato e lo stato sono complementari. Cerchiamo quindi di capire come lo Stato possa lavorare con il settore privato in uno spirito di collaborazione per aumentare il numero di posti di lavoro produttivi di qualità. La nostra ipotesi è che molte collaborazioni intersettoriali innovative siano già in atto in un certo numero di luoghi. Negli Stati Uniti sono molte le esperienze locali in cui gruppi di imprese si alleano con agenzie locali di sviluppo economico, community college e uffici locali della Small Business Administration per sviluppare una visione comune e investire in aree che creano nuove opportunità di lavoro. Quelli di successo hanno creato processi iterativi di collaborazione in cui le agenzie pubbliche forniscono coordinamento, forniscono finanziamenti, investono in competenze, in cambio dei quali le aziende e altri soggetti del settore privato si impegnano a investire nella creazione di posti di lavoro di qualità. Idealmente, questo modello potrebbe essere esteso a livello federale. Ciò dovrebbe essere accompagnato da investimenti in nuove tecnologie a misura di lavoratore, vale a dire innovazioni che aumentano la produttività del lavoro piuttosto che sostituirla. Quelli di successo hanno creato processi iterativi di collaborazione in cui le agenzie pubbliche forniscono coordinamento, forniscono finanziamenti, investono in competenze, in cambio dei quali le aziende e altri soggetti del settore privato si impegnano a investire nella creazione di posti di lavoro di qualità. Idealmente, questo modello potrebbe essere esteso a livello federale. Ciò dovrebbe essere accompagnato da investimenti in nuove tecnologie a misura di lavoratore, vale a dire innovazioni che aumentano la produttività del lavoro piuttosto che sostituirla. Quelli di successo hanno creato processi iterativi di collaborazione in cui le agenzie pubbliche forniscono coordinamento, forniscono finanziamenti, investono in competenze, in cambio dei quali le aziende e altri soggetti del settore privato si impegnano a investire nella creazione di posti di lavoro di qualità. Idealmente, questo modello potrebbe essere esteso a livello federale. Ciò dovrebbe essere accompagnato da investimenti in nuove tecnologie a misura di lavoratore, vale a dire innovazioni che aumentano la produttività del lavoro piuttosto che sostituirla. in cambio del quale le imprese e gli altri soggetti del settore privato si impegnano a investire nella creazione di posti di lavoro di qualità. Idealmente, questo modello potrebbe essere esteso a livello federale. Ciò dovrebbe essere accompagnato da investimenti in nuove tecnologie a misura di lavoratore, vale a dire innovazioni che aumentano la produttività del lavoro piuttosto che sostituirla. in cambio del quale le imprese e gli altri soggetti del settore privato si impegnano a investire nella creazione di posti di lavoro di qualità. Idealmente, questo modello potrebbe essere esteso a livello federale. Ciò dovrebbe essere accompagnato da investimenti in nuove tecnologie a misura di lavoratore, vale a dire innovazioni che aumentano la produttività del lavoro piuttosto che sostituirla.

Da un lato, abbiamo una sorta di teoria generale secondo cui abbiamo bisogno di meccanismi migliori per la collaborazione tra governo e settore privato. D’altra parte, abbiamo questi germi di esperienza. E quello che vogliamo fare è collegare tutto questo insieme in un modo che allarghi le nostre prospettive e le nostre idee su come possiamo creare economie di successo. Vogliamo arricchire la nostra comprensione di quali collaborazioni funzionano bene e dove no. Perché questo è l’enigma principale. Non si tratta solo di come far decollare queste collaborazioni, ma di come assicurarsi che servano a uno scopo pubblico in modo che non si trasformino in un’istanza di corporativismo che serve solo i bisogni di pochi addetti ai lavori.

LA SINDROME IMPERIALE DELLA RUSSIA SECONDO JIN YAN

Continuiamo a presentare tesi ed analisi di esponenti ed intellettuali cinesi, anche divergenti, ma inseriti nel mondo politico ed accademico di quel paese. Segno del dibattito in corso tra quelle élites a dispetto della dozzinale narrazione occidentale prevalente. I commenti in corsivo sono opera del curatore e non riflettono necessariamente il punto di vista del blog. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

Dottrine della Cina di Xi | Episodio 11

L’invasione russa dell’Ucraina ha agitato i circoli intellettuali cinesi. In questo testo, lo storico Jin Yan esprime una posizione piuttosto favorevole a Mosca ma che implicitamente richiama un monito per i cinesi: la Russia ha l’ambizione di “restaurare” il suo impero – è una pessima scelta strategica a livello globale. che crea una situazione potenzialmente più pericolosa della Guerra Fredda.

AUTORE
DAVID OWNBY

 

Jin Yan (nato nel 1954) è professore presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, China University of Political Science and Law (中国政法大学). Eminente specialista di storia russa e sovietica, ha pubblicato in particolare numerosi lavori sulla storia della Russia ma anche sulla sua epoca contemporanea e più in generale sull’Europa orientale, scrivendo spesso testi insieme al marito, il famoso storico Qin Hui.

Il testo tradotto qui1è uno dei tanti testi pubblicati da studiosi pubblici cinesi dall’inizio della guerra in Ucraina che cercano di spiegare le radici del conflitto senza schierarsi esplicitamente. In altre parole, non sostengono né criticano la posizione del governo cinese. Non condannano nemmeno apertamente l’aggressione della Russia. Jin riesce comunque a far capire il suo punto di vista, come si evince dal titolo del suo testo, che letteralmente significa “rifare la doratura” in mandarino. Questo è un riferimento alle icone dorate trovate nei templi buddisti in Cina. Sebbene la sfumatura sia difficile da trascrivere in francese, Jin voleva sicuramente paragonare la nozione di “impero” in Russia a un simbolo religioso, e suggerire che la Russia sta solo “restaurando il tempio del proprio impero” e quindi non fa altro che tentare riciclare il proprio passato. Pertanto, anche se l’autore esprime una certa simpatia per la posizione russa e per la guerra,

L’argomento di Jin è fondamentalmente storico: l’Unione Sovietica è crollata, lasciandosi dietro nient’altro che miseria e quasi anarchia. Quando il liberalismo e la democrazia non sono riusciti a fare la loro magia, l’“impero” è venuto a riempire il vuoto e ad offrire una giustificazione per la grandezza passata e futura della Russia. Jin non si sofferma particolarmente su Putin in questo testo, ma fa notare che l’accettazione dell’idea di “impero” è diffusa tra intellettuali e opinione pubblica. Lasciando da parte considerazioni sulla NATO o sulla sicurezza, riprende l’idea spesso mobilitata dai sostenitori del Cremlino che, quando, negli anni ’90 e 2000, la Russia – e Putin – hanno chiesto aiuto all’Occidente ( adesione alla NATO, esenzione dal visto per i viaggi in Europa), l’Occidente avrebbe generalmente rifiutato la Russia. Jin sostiene che l’Occidente avrebbe potuto giocare meglio le sue carte, proponendo un nuovo Piano Marshall per aiutare la Russia in un periodo di grande difficoltà. In assenza di tale assistenza, Putin – e gran parte della Russia – sono diventati ostili nei confronti dell’Occidente e hanno deciso di difendere la loro grande identità di potere in altri modi.

Jin Yan inizia e conclude il suo saggio con un sottile appello ai leader cinesi alla prudenza. Questa non è una nuova Guerra Fredda , insiste, ma Putin rappresenta un’incarnazione della Russia il cui sentimento non scomparirà anche se il leader del Cremlino dovesse lasciare il centro della scena. Il mondo potrebbe quindi finire per dividersi nuovamente in “campi” definiti non dall’ideologia ma dal loro atteggiamento nei confronti della Russia. Jin pone qui una domanda fondamentale: a quale campo vuole aderire la Cina?

La Russia contemporanea ha un’eredità comune con la Russia zarista e l’Unione Sovietica. Tuttavia, si ispira più all’impero zarista che all’esperienza sovietica.

La somiglianza delle politiche di Putin con le politiche interne ed esterne degli Zar non è più in dubbio. Bambole, dipinti e sculture che ricordano l’era zarista possono essere visti in tutte le strade della Russia, e ad ogni attrazione turistica i viaggiatori accorrono per scattare foto con persone vestite da Pietro il Grande o Caterina. Sono tornati i simboli e gli slogan dell’impero, tutti gli zar sono diventati figure positive, Nicola II è stato “canonizzato” ed è ora oggetto di culto. Settant’anni di lavoro ideologico del Partito Comunista dell’Unione Sovietica sono stati spazzati via da un freddo vento siberiano. Attualmente, i “valori imperiali” sono decisamente un’ideologia nazionale positiva in Russia .

Ricostruisci l’Impero

Il nazionalismo è ormai l’unica bandiera sotto la quale la Russia di oggi può radunare le sue truppe , ed è l’arma magica di Putin. Questo vale anche per il mondo intellettuale. Si è notato che pochi intellettuali russi sono riusciti a sfuggire alla trappola dell’eccessivo “statalismo” quando si tratta di questioni nazionali; anche i migliori e i più brillanti smettono di pensare e si allontanano.

Sotto la guida di Putin, l’ intellighenzia russa ha abbracciato uno “slavismo” culturalmente conservatore, e gli individui all’interno e all’esterno del governo si sono affrettati a ridefinire il concetto di “impero” come scienza politica e dargli un nome appropriato. La “febbre dell’impero” era in pieno svolgimento e termini come “impero indipendente”, “impero libero” e “impero nazionale” erano di gran moda, e gli studiosi affermavano che “l’impero è radicato nel DNA della Russia” e discutevano la razionalità di costruire un impero. Il politologo Andrei Saveliyev (nato nel 1962) è arrivato al punto di affermare che “l’impero è il destino della Russia” e che “lo spirito nazionale russo è sempre stato radicato nell’impero. »

Nelle interviste che ha condotto per il suo libro, a Svetlana Alexievich (nata nel 1948), che ha vinto il Premio Nobel per la letteratura 2015 , è stato detto dai suoi intervistati che: “Amo l’impero, e senza di lui la mia vita non avrebbe significato”; “I geni dell’imperialismo e del comunismo sono nelle nostre cellule spirituali”; “La Russia ha bisogno di un’idea che faccia tremare: l’impero”; “La Russia era, è e sarà sempre un impero”; “Comunque, sono un imperialista, e sì, voglio vivere in un impero. »

La Russia iniziò a definirsi un impero durante il regno di Pietro il Grande (1672-1725), che combatté per 21 anni la Grande Guerra del Nord, trasformando la Russia da paese continentale in una grande potenza marittima. Il 22 ottobre 1721, in riconoscimento dei suoi successi, il Senato lo nominò ufficialmente “Grande Imperatore di tutta la Russia”, e da quel momento in poi lo Zar fu ufficialmente chiamato “l’Imperatore russo”. Le caratteristiche più distintive dell’Impero russo sotto Pietro il Grande e Caterina la Grande erano la repressione interna e l’espansione territoriale esterna, mentre combattevano per l’egemonia in Europa. Durante il regno di Caterina, la Russia ha combattuto sei guerre straniere: tre spartizioni della Polonia,

Dopo che i comunisti salirono al potere, la tradizionale visione russa dell’impero fu completamente screditata. La descrizione di Lenin dell’imperialismo come parassitario e morente era ben nota alla gente dell’epoca. Per dirla semplicemente, gli stati imperiali erano parassiti, monopolisti, litigiosi e predatori. La conclusione di Lenin fu che “l’imperialismo annuncia l’alba della rivoluzione sociale proletaria” che ne segnò inevitabilmente il crollo finale. Da quel momento in poi, “impero” divenne un termine peggiorativo, un segnale di rivoluzione nei paesi capitalisti in decadenza. Naturalmente, questi due “imperi” non sono esattamente la stessa cosa.

Grazie alla teoria della rivoluzione mondiale di Lenin e alle sue idee internazionaliste, la rivoluzione russa si è basata sulla negazione dell’impero. Infatti, al tempo di Stalin, molti elementi dell’impero tradizionale erano stati integrati nel sistema del Partito Comunista Sovietico, mentre il pragmatismo ideologico trasformava il marxismo in una copertura degli “interessi russi” sotto la bandiera dell’Unione Sovietica. risolvere alcuni conflitti nella teoria della rivoluzione. Sotto la copertura della retorica rivoluzionaria, “l’impero sovietico ha ereditato e portato avanti completamente gli aspetti interni ed esterni dell’impero zarista” (per inciso, questo era anche il termine usato in Cina per condannare l’URSS negli anni ’70, quando le relazioni diplomatiche tra i due paesi furono degradate). Tutti sapevano che l’Unione Sovietica era un “impero rosso” nella sua carne, anche se il velo della vergogna non era stato ancora apertamente rimosso.

Questo è un commento sulla natura dell’impero sovietico — la forma e, in un certo senso, l’ideologia dell’impero sarebbero state prese dai comunisti — ma anche un commento sulle relazioni sino-sovietiche, che erano pessime durante questo periodo. Oggi la Russia ribalta apertamente il verdetto sull'”impero”. Per volere dell’ideologia ufficiale, gli accademici hanno scritto articoli a destra ea manca per imbiancare il nome dell'”impero” che Lenin avrebbe “distrutto e distorto”. Alcuni credono che il “nuovo nazionalismo” e il “nuovo impero” ora emergenti in Russia rappresentino diverse tendenze del nazionalismo storico e dell’egemonia imperiale.

Eppure questa ideologia imperiale evidenzia la grandezza storica della Russia e la sua influenza sul mondo di oggi. L’obiettivo è quello di integrare la “nuova prospettiva imperiale” nella spiritualità e nell’ideologia nazionale. L’idea è di superare l’instabilità della storia russa e il problema della “scelta di civiltà” creato dalla posizione della Russia tra Oriente e Occidente, che spiega la sua stessa mancanza di valori fondamentali e la natura “discontinuo” della sua storia. Per ovviare a questo problema, è stato spesso necessario mettere in atto forti meccanismi di integrazione.

Per dirla senza mezzi termini, i “valori imperiali” dovrebbero essere la base della coesione nazionale nell’era post-sovietica. La “cortina di ferro” dell’era della guerra fredda è servita a proteggere e isolare in una certa misura l’Unione Sovietica, ma ha anche fissato l’agenda del regime. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i “valori imperiali” sono diventati di nuovo un nuovo mezzo per identificare i confini esterni, così che il contenuto complessivo del nuovo stato russo includeva questi valori. In passato questi valori erano avvolti dal manto dell’internazionalismo, ma oggi ha senso giocare la “carta impero” per superare le forze centrifughe.

Alcuni studiosi hanno anche sostenuto che la Russia è un paese circondato da nemici e che in termini geopolitici manca di capacità difensive, quindi la sua espansione all’estero non è la stessa del colonialismo occidentale, ma piuttosto un’autoprotezione difensiva. In questo senso, “l’impero” è un soft power al servizio dello sviluppo complessivo e della strategia di potere della Russia.

Le ragioni del ritorno dell’Impero

I sondaggi dopo la Guerra dei cinque giorni con la Georgia del 2008 e dopo il conflitto Russia-Ucraina del 2014 hanno mostrato che quasi il 90% della popolazione riteneva che il dispiegamento di truppe russe in Georgia e la deterrenza in Ucraina fossero pienamente giustificati, il che rappresentava il più alto indice di gradimento governo aveva goduto dal crollo dell’Unione Sovietica, e alcuni media russi hanno persino affermato che il governo sarebbe stato respinto dal popolo se non avesse agito in quel modo.

Nel 2011, l’indice di gradimento di Putin è sceso al 42% prima di salire all’86% dopo la guerra in Ucraina. Le sanzioni occidentali e la rinnovata evocazione da parte di Putin dell’idea che la Russia sia “isolata” e “assediata” lo hanno reso popolare in patria, e la sua popolarità è salita alle stelle. Putin ha affermato che il crollo dell’Unione Sovietica “ha messo in luce le nostre debolezze e le persone deboli vengono ancora picchiate”. Il ritorno del paese all’impero è stato accolto con rara unanimità praticamente da tutti i gruppi. Anche il liberale Anatoly Chubais (nato nel 1955) sostiene che un “impero libero” dovrebbe diventare l’obiettivo nazionale della Russia e l’ideologia post-sovietica.

Il leader del Partito Comunista Russo, Gennady Zyuganov (nato nel 1944), ha dichiarato: “Sin dai tempi antichi, la Russia si è considerata l’erede e il difensore di un’eredità imperiale, e la Russia non dovrebbe rinunciare al sentimento di grandezza che è esistito per molti secoli. »

L’ex presidente Dmitry Medvedev (nato nel 1965) gli disse: “La Russia ha il suo posto nel mondo. Deve avere una sua sfera di interessi, ed è impensabile negarlo. Il 4 novembre 2013, il Congresso mondiale russo ha assegnato a Putin il “Premio per la difesa dello status di grande potenza della Russia”, che è un riconoscimento della sua posizione consolidata.

Sotto titoli come “L’Unione Sovietica non è realmente morta”, i media occidentali hanno notato che è sempre più chiaro che l’ideologia statale russa sta subendo “uno spostamento verso i valori imperiali tradizionali zaristi. Commenti dall’esterno della Russia affermano che la Russia soffre attualmente di una “nuova sindrome imperiale”. Nel 2008, il quotidiano francese Les Echos ha usato il titolo “Le retour de l’empire” per parlare della Russia, dicendo che “il risorgente impero russo potrebbe rappresentare una sfida più difficile della Guerra Fredda” e che questo impero potrebbe essere più pericoloso rispetto all’Unione Sovietica. La diplomazia dovrebbe imparare le lezioni della storia e prenderle sul serio.

Le ragioni del ritorno della Russia nell’Impero sono complesse

In primo luogo, il popolo russo ha un forte senso di orgoglio nazionale, avendo storicamente sconfitto Napoleone e Hitler, ed essendo diventato praticamente da un giorno all’altro una delle due superpotenze mondiali. I russi sono abituati a vedersi come fratelli maggiori, hanno sempre avuto un “complesso salvatore”, e sono estremamente sensibili ai temi della sicurezza territoriale. Come non essere indifferenti alla riduzione del territorio del Paese, al fatto che l’Occidente e gli Stati Uniti ignorino l’esistenza della Russia e facciano pressione sulle “aree di interesse privilegiato” della Russia? Come può questo non infiammare i russi?

L’eredità sovietica è uno degli elementi importanti nella costruzione dell’attuale immagine nazionale della Russia, che mescola temi zaristi con il sentimento di dominio che ha segnato l’era sovietica. In questo senso il tricolore dell’Impero russo e la falce e martello del periodo sovietico si sovrappongono, il risultato è la sintesi di una “nuova sindrome imperiale”.

In secondo luogo, quando negli anni ’90 Boris Eltsin propose i quattro obiettivi principali di “smilitarizzazione, non bolscevizzazione, privatizzazione e liberalizzazione”, l’Occidente non adottò un piano Marshall come dopo la seconda guerra mondiale per aiutare la Russia a superare le sue difficoltà economiche, ma invece ha suggerito che “la Russia sia come la Turchia dopo la caduta dell’Impero ottomano” e “si limiti strettamente al proprio ambiente. »

In un primo momento, la Russia ha esteso un ramoscello d’ulivo all’Occidente: nel 2000 Putin ha invitato a Mosca il segretario generale della NATO George Robertson (nato nel 1946), nel 2001 la NATO ha istituito un’intelligence a Mosca, seguita da una missione militare nel 2002, e le relazioni con la Russia con l’Europa occidentale sono stati molto cordiali. Nel 2002, il presidente Putin ha inviato una lettera al presidente della Commissione europea, parlando dell’intenzione della Russia di approfondire la cooperazione reciproca con l’UE, e Putin ha chiesto di aderire alla NATO.

Ma l’Occidente ha rifiutato, temendo in qualche modo che avere una “volpe nel pollaio” sarebbe stato un disastro. A differenza del caldo russo, la reazione dell’Occidente è stata molto più indifferente e riservata. L’UE era riluttante a cedere sulla questione dell’esenzione reciproca dal visto, lasciando i russi a sentirsi snobbati, portando ad attacchi russi al liberalismo occidentale e provocando una reazione nazionalista/populista.

La maggior parte degli occidentali crede che se alla Russia fosse concesso lo status europeo, l’omogeneità culturale e intellettuale dell’Europa sarebbe minata e le fondamenta della legittimità dell’Unione europea sarebbero scosse. I paesi dell’Europa orientale hanno le loro ragioni per non voler essere coinvolti di nuovo con i russi. Come ha affermato un ex ministro della Difesa polacco2, “La civiltà europea ha dei limiti e la Chiesa ortodossa russa è troppo lontana dalla civiltà europea. La cultura russa è in opposizione alla cultura occidentale”.

Inoltre, Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia hanno fatto marcia indietro sul loro impegno verbale a Gorbachev di non espandere la NATO, cosa che ha scioccato l’élite russa, dopo di che sono arrivate le rivoluzioni colorate, il dispiegamento di sistemi antimissile, la crisi ucraina… Il punto di vista dei russi, il loro cambio unilaterale di strategia non ha ricevuto la risposta attesa, e gli europei hanno continuato a considerarli alla stregua di Churchill, vale a dire come “figli di Gengis Khan venuti dalle regioni selvagge dell’Asia”. . Non avevano mai visto i russi come europei e la loro posizione era “non permettere loro di attraversare il Reno verso l’Europa. »

La categorizzazione delle “rivoluzioni colorate” per designare una serie di rivolte popolari che hanno causato alcuni cambi di governo tra il 2003 e il 2006 in Eurasia e nel Medio Oriente: la Rivoluzione delle rose in Georgia nel 2003, la Rivoluzione arancione in Ucraina nel 2004, la Rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan, ecc. — è contestato e tende ad essere utilizzato sempre meno. Nelle tesi cospiratorie, queste rivolte, alcune delle quali sostenute in particolare da ONG americane, sarebbero l’unico atto degli Stati Uniti. Jin Yan sembra usare qui il termine per riferirsi al presunto coinvolgimento degli Stati Uniti – e dell’Occidente in generale – nel cambio di regime in questi paesi.

È chiaro che c’è sempre stata una notevole distanza tra l’immagine di sé della Russia e la percezione della Russia da parte dell’Occidente. La Russia una volta immaginava di entrare nella “corrente principale della civiltà umana” attraverso la trasformazione politica ed economica. Infine, di fronte alla definizione occidentale della Russia come “attore marginale”, la Russia ha fatto una sorta di “ritorno alla storia” in modo molto risoluto. Sembrava che stessero coraggiosamente andando controcorrente.

L’atteggiamento degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali ha fortemente stimolato i sentimenti antioccidentali di molte élite russe e del popolo in generale, il che ha rafforzato quegli elementi antioccidentali e antilatini che sono stati a lungo radicati nella psichecittadino russo. Allo stesso tempo, durante il difficile processo di transizione economica, la Russia ha gradualmente preso coscienza della natura distruttiva dell’immagine idealizzata dell’Occidente, comprendendo che, su due fronti fondamentali, i valori occidentali non potevano informare il futuro sviluppo della Russia. In primo luogo, l’Occidente e la Russia non condividono gli stessi interessi e, in secondo luogo, il sistema ideologico occidentale non può essere applicato direttamente alle realtà russe. Occorreva, quindi, restituire alla nazione russa il significato positivo della parola “impero”, e non rifiutarla del tutto, come aveva fatto il Partito Comunista Sovietico.

Dal punto di vista di un osservatore, l’errore strategico a breve termine dell’Occidente negli anni ’90 è stato quello di accelerare le condizioni esterne che incoraggiavano il nazionalismo russo, che ha intensificato lo squilibrio psicologico del popolo russo che aveva già perso l’orgoglio di essere una grande potenza. Ciò a sua volta ha stimolato una reazione nazionalista e la “sindrome del nuovo impero” si è rapidamente diffusa tra la gente, quindi l’umore pubblico si è rapidamente spostato verso i tradizionali valori imperiali russi dopo aver fatto l’esperienza della perdita del crollo dell’Unione Sovietica. Si potrebbe dire che l’Occidente non era abbastanza amichevole all’inizio quando erano possibili relazioni amichevoli, e non abbastanza duro oggi quando la durezza è richiesta. In altre parole,

Oggi, quando la Russia danneggia altri paesi, l’Europa deve essere più dura, ma spesso la durezza retorica è inversamente proporzionale all’azione. La Russia di oggi è come la Germania dopo la prima guerra mondiale, quando l’accordo di Versailles era troppo duro per il paese, portando all’ascesa dei nazisti e ad un accresciuto militarismo che ha assunto l’intera nazione. Come la Germania, l’atteggiamento della Russia è che non ha nulla da perdere. È attorno a questo atteggiamento che gioca Putin quando si mostra mentre pilota aerei e combatte contro tigri.

Caratteristiche della sindrome dell’impero russo

Durante il secondo e il terzo mandato di Putin, la “nuova sindrome imperiale” della Russia si è gradualmente evoluta. Le sue caratteristiche sono le seguenti:

In primo luogo, c’è uno stato d’animo in cui “un sentimento di inferiorità si è trasformato in un sentimento di arroganza” che sopravvaluta il grado di sviluppo nazionale. Valery Tishkov (nato nel 1941), che ha servito come ministro delle nazionalità sotto Eltsin, una volta ha osservato che la tradizione imperiale della Russia è molto profonda, che “se l’impero è morto, il gene rimane” e che, specialmente in un momento in cui il potere della Russia ha declinate, le nozioni di impero possono servire agli scopi della coesione nazionale e fornire la mobilitazione sociale necessaria per gli spettacoli politici.

In secondo luogo, c’è anche una sorta di autovalorizzazione che spesso nuoce ai rapporti con i popoli vicini e tende a creare nuove tensioni.

In terzo luogo, c’è una tendenza a esternare i rancori, che si nutre di un’ostilità verso la cultura occidentale/latina, e cercare altrove risposte ai propri problemi è accompagnata da una debole capacità di autoriflessione. Negli anni ’50, Mao Zedong ha osservato che “i leader sovietici hanno sempre pensato di essere i migliori, che tutto ciò che facevano fosse giusto e che gli errori fossero tutti commessi da qualcun altro”. Sembra che ci sia ancora qualcosa da dire su questo.

Durante la nostra visita in Russia nel 2013, il capo della Heinrich Böll Foundation di San Pietroburgo3ha notato che non c’erano assolutamente dubbi sul fatto che Putin avesse rafforzato l’autorità centrale e la capacità di governo, e che in termini di controllo economico e controllo sociale, ci sono stati notevoli miglioramenti rispetto ai suoi primi due mandati. Quindi, dopo che il potere politico dello stato ha visto una serie di fluttuazioni dalla caduta dell’Unione Sovietica, le cose sono ora tornate alla tradizionale situazione russa in cui il potere centralizzato e concentrato ha il controllo. Il governo centrale si distingue ora come principale meccanismo di integrazione, ponendo fine a un periodo di frammentazione. L’attuale governo russo ha quindi maggiori capacità di azione e si sta essenzialmente trasformando in un governo della linea dura.

Il tono politico di base di Putin è diventato gradualmente più chiaro. La situazione passata in cui la sua posizione politica era poco chiara e la sua identità dottrinale ambigua, in cui era una sorta di “variabile sconosciuta”, è ormai un ricordo del passato. Per riassumere sinteticamente la sua posizione, è “sospettoso della globalizzazione, resiste all’occidentalizzazione e limita la democratizzazione”. Persegue gli interessi nazionali, cerca di esercitare un’influenza regionale e globale e pratica il protezionismo e il profitto. Avendo perso la Guerra Fredda, la Russia cercherà di sfruttare ogni possibile opportunità per riscrivere la storia.

Con il calo dei prezzi del petrolio, l’economia russa è in difficoltà, la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia continua a diminuire e la Russia si sta ripiegando verso l’interno. Ciò intensifica lo stato d’animo di accerchiamento da parte di forze esterne ostili, il che rende la Russia ancora più chiusa e isolata. Il numero di persone xenofobe e paranoiche che affermano che “la Russia è infelice” è aumentato drammaticamente, creando un clima sociale di risentimento autoimposto e alienazione dal sistema globale.

Questo passaggio potrebbe fare riferimento per il lettore cinese a una serie di opere ultranazionaliste cinesi pubblicate negli anni ’90 e 2000. Questi libri consistono in forti denunce contro l’Occidente. In questo caso, l’espressione “Russia è infelice” è, per il lettore cinese, un ovvio riferimento al libro “China inhappy” di Song Jiang, pubblicato nel 2009, populista e antioccidentale.

Sia la sinistra che la destra reagiscono in modo eccessivo quando si tratta di questioni nazionali. Putin è rappresentativo di questo clima sociale. Dopo che l’Occidente ha imposto sanzioni economiche alla Russia, Putin si è offerto di tagliare gli stipendi del governo del 10%, ma ha anche insistito sul fatto che la spesa militare non sarebbe diminuita. Il 20% del bilancio è destinato alle spese per la difesa, che rappresentano l’importo più elevato nell’era post-sovietica.

Alcuni dicono che Putin stia fabbricando una nuova guerra fredda e che dopo l’incidente in Ucraina siamo entrati in un “nuovo contesto di guerra fredda”. La Guerra Fredda è stata un prodotto dell’ideologia, uno scontro tra socialismo e capitalismo, e la Russia oggi chiaramente non sta combattendo l’Occidente per scopi ideologici. La Russia non combatte né per il liberalismo né per il socialismo, il che significa che la situazione attuale non è una guerra fredda. Ma è potenzialmente più pericolosa della guerra fredda, perché se da un lato l’ideologia può essere aggressiva, dall’altro l’ideologia può regolare il comportamento dello Stato e quello della popolazione.

I conflitti della Russia contemporanea con i paesi vicini non sono ovviamente legati alla difesa di certe convinzioni, e Putin non crede nel socialismo, ma questo non riduce il pericolo dell’espansionismo russo. La Russia oggi ricorda l’era zarista, quando il patriottismo dello zar russo fece tremare di paura i suoi vicini, cosa che li fece diventare più filo-occidentali e conservatori dal punto di vista della sicurezza nazionale. Il panorama mondiale potrebbe nuovamente essere diviso tra due campi, il cui centro di gravità sarebbe la loro posizione rispetto alla Russia.

FONTI
  1. 金雁, “为帝国重塑金身,俄罗斯的 ‘新帝国综合征”, originariamente pubblicato sul canale WeChat congiunto di Qin Hui e Jin Yan, 秦川雁塔, ripubblicato sul sito web di Dunjiao (parte del gruppo multimediale Fenghua, con sede a Pechino ), 7 marzo 2022.
  2. Jin Yan fornisce il nome del Ministro della Difesa – Nuoshen/诺什.
  3. Jin Yan fornisce il nome del rappresentante-Yanci/晏茨

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/10/29/le-syndrome-imperial-de-la-russie-selon-jin-yan/

Lo Stato è la soluzione: la nuova politica industriale americana, di Louis DE CATHEU

Un testo particolarmente importante ed interessante. Necessita, però, di alcune precisazioni che lo depurino, almeno in parte, dai suoi aspetti propagandistici. In primo luogo questo è parte di un programma clonato, nel senso letterale della parola, da quello del ex-Presidente Trump. Di originale rispetto a quello rimane l’eccessivo entusiasmo riservato alla rapidità di attuazione delle tecnologie verdi e alla economicità e alle implicazioni ambientali dell’adozione di queste tecnologie ancora relativamente mature. In secondo luogo sostituisce alla politica contrattualistica di Trump, non sappiamo quanto realistica, ma comunque più pacifica, una azione interventista e proattiva che comporta uno sconvolgimento traumatico del tipo di relazioni sia con gli alleati, che con gli avversari ed i nemici più o meno dichiarati. Le conseguenze, per altro, le stiamo già verificando in Europa con l’esodo di risorse finanziarie e di attività produttive e la supina subordinazione politica. La condizione di successo di questo piano, senza eccessive conseguenze sullo squilibrio delle finanze pubbliche statunitensi e sull’innesco di processi inflattivi incontrollati, è la perdurante condizione di dominio del dollaro, tutt’altro che scontata allo stato attuale e nel prossimo futuro. La scelta di colpire la Russia sancisce la vittoria della opzione più belligerante, non proprio popolare negli stessi Stati Uniti. E’ mossa dal tentativo rischiosissimo di interrompere il processo di formazione multipolare e di ricondurlo ad un sistema unipolare oppure, più realisticamente, bipolare con la Cina in grado di sostenere una qualche condizione egemonica statunitense in maniera più gestibile. Sia la Cina che la gran parte degli stati del mondo sembrano resistere, sino ad ora, al richiamo delle sirene statunitensi e l’accentuazione, più o meno obbligata, del militarismo e dell’arbitrio non fa che aumentare questa diffidenza. Tutto dipenderà dalla capacità di attuare un programma articolato di intervento, sia economico, che culturale oltre che politico e militare più facile da annunciare che da attuare. Ne troviamo traccia in numerosi documenti dei centri decisori americani. Il pesante retaggio del passato e la via stretta da percorrere non lasciano grandi margini di successo in un mondo, con l’eccezione dell’Europa, molto più disincantato di quaranta anni fa. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Per la prima volta tradotto e commentato in francese, pubblichiamo il discorso metodologico di Brian Deese, Direttore del National Economic Council alla Casa Bianca, sulla strategia industriale americana nell’era Biden. Al di là degli effetti dell’annuncio, mostra come l’azione di questa amministrazione intenda trasformare profondamente le strutture produttive negli Stati Uniti.

Durante l’ultima campagna presidenziale, Joe Biden ha posto la ricostruzione dell’America al centro del suo messaggio al popolo americano. Dietro lo slogan “Build Back Better”, si è impegnato a rafforzare i servizi pubblici americani, le infrastrutture e il dinamismo tecnologico. Per raggiungere questi obiettivi mobilitando il bilancio federale, per realizzare questo programma, l’amministrazione Biden ha in particolare creato, con il Congresso, molteplici strumenti di politica industriale: sussidi per la produzione di semiconduttori o elettricità rinnovabile, programmi di ricerca, cooperazione pubblico-privata, ecc. .

Brian Deese, direttore del National Economic Council alla Casa Bianca, svolge un ruolo chiave nel mettere in musica questa strategia industriale di nuova generazione. In particolare, è responsabile del coordinamento della politica economica attraverso il ramo esecutivo e consiglia il Presidente su tali questioni. 

In questo discorso di metodo sulla strategia industriale dell’amministrazione Biden, difende il ruolo trainante degli investimenti pubblici nello sviluppo economico e nella sicurezza nazionale, evidenzia i successi legislativi e presenta le sfide che restano da superare per attuare questo programma e spendere efficacemente le centinaia di miliardi di dollari ad essa assegnati.

Questo discorso costituisce dunque un punto di osservazione privilegiato per comprendere la trasformazione in atto nella dottrina economica democratica. Dopo 25 anni di centrismo, sta emergendo la volontà di adottare politiche più attiviste volte a trasformare le strutture produttive in una direzione progressista.Per la prima volta tradotto e commentato in francese, pubblichiamo l’intervento del metodo di Brian Deese, direttore del National Economic Council alla Casa Bianca, sulla strategia industriale americana nell’era Biden. Al di là degli effetti dell’annuncio, mostra come l’azione di questa amministrazione intenda trasformare profondamente le strutture produttive negli Stati Uniti.

Grazie, Robyn, e grazie al City Club di Cleveland per avermi ospitato. Sono felice di essere qui per parlare della strategia industriale americana.

Circa 6 mesi fa, ho detto che era giunto il momento per l’America di adottare una moderna strategia industriale.

Alla base, l’idea è semplice: gli investimenti pubblici strategici sono essenziali per realizzare il pieno potenziale economico della nostra nazione.

Questa è un’idea vecchia quanto l’America stessa. Il nostro primo Segretario al Tesoro, Alexander Hamilton, affermò che “le finanze pubbliche devono integrare le carenze delle risorse private” per “stimolare… e rafforzare gli sforzi dell’industria. »

Sono lieto di essere qui oggi a Cleveland per rinnovare quella visione. La storia economica di Cleveland illustra una semplice verità: lavorando insieme in collaborazione, governo, industria e lavoratori possono sbloccare un enorme potenziale economico e quindi creare opportunità economiche per le nostre famiglie e le nostre comunità.

Due secoli fa, quando l’America costruì il Canale Erie, la prima autostrada americana, Cleveland si ritrovò improvvisamente collegata al commercio mondiale. Il presidente Lincoln ha poi dato agli stati la possibilità di effettuare investimenti a beneficio dei loro residenti e delle industrie locali, utilizzando terre federali per istituire college per la concessione di terreni, il che ci ha dato la Ohio State University e la Central State University .

Cleveland divenne rapidamente un hub vitale per il trasporto ferroviario, sede di industrie in rapida crescita tra cui petrolio e acciaio. Questa potenza industriale alimenta quindi nuove innovazioni.

Cleveland ha ospitato il primo parco pubblico illuminato elettricamente, il primo tram elettrico e il primo semaforo elettrico, cosa prevedibile, dato che Thomas Edison è nato nelle vicinanze. È stata una casa automobilistica di Cleveland a produrre la prima auto capace di attraversare il paese da costa a costa. Ed è stata un’altra casa automobilistica di Cleveland che un secolo fa ha creato alcuni dei primissimi veicoli elettrici.

L’America ha investito a Cleveland e in tutto l’Ohio. In cambio, la gente dell’Ohio ha innovato, sviluppato e generato benefici per tutta l’America.

Quando la politica americana alla fine si allontanò da questa gloriosa tradizione, furono luoghi come Cleveland a pagarne il prezzo. A partire dai primi anni ’80, la conversione alla teoria del trickle-down ha causato diversi decenni di abbandono di queste fonti di innovazione. E quindi a un declino delle capacità di innovazione industriale e tecnologica del nostro Paese. Man mano che riducevamo i nostri investimenti, altri paesi, in primis la Cina, hanno preso l’iniziativa, investendo in infrastrutture, produzione e tecnologie emergenti.

Queste tendenze pongono evidenti rischi per la sicurezza economica e nazionale americana.

Ma, fortunatamente, un cambiamento fondamentale sta avvenendo in Ohio e in tutti gli Stati Uniti. Sono qui per affermare che questa non è una coincidenza. Sotto la guida del presidente Biden, abbiamo aperto un nuovo capitolo e stiamo realizzando il più grande investimento pubblico nel potenziale industriale americano da decenni. Stiamo facendo rivivere una potente tradizione, incarnata a Cleveland, adattandola a una nuova era.

Contrariamente alla linearità storica messa in scena in questa introduzione, il presunto ricorso alla politica industriale non è evidente negli Stati Uniti. In effetti, a partire dagli anni ’80 e dalla rivoluzione di Reagan, il discorso neoliberista che fa dell’intervento statale il problema piuttosto che la soluzione ha acquisito grande influenza. Il sociologo Fred Block parla così di “fondamentalismo di mercato”. Gli interventi pubblici a sostegno dello sviluppo di alcuni settori ritenuti fondamentali non sono scomparsi, ma sono diventati più discreti – fondi pubblici di venture capital, DARPA, ecc. — oppure, quando diventano troppo visibili, sono spesso oggetto di forti critiche per favoritismi e scarsa efficienza ( scegliere il vincitore). Il fallimento dell’azienda di pannelli solari Solyndra, che aveva beneficiato di un prestito garantito dall’amministrazione Obama, viene così molto spesso ricordato dai commentatori conservatori e libertari.

È quindi interessante vedere come Brian Deese cerchi di legittimare la strategia industriale dell’amministrazione Biden. Di fronte al discorso egemonico che fa del sistema del libero mercato un pilastro dell’identità americana e l’unica fonte del suo dinamismo economico, mobilita i simboli americani – Lincoln, il Canale Erie, Hamilton, che è uno dei padri fondatori – per dimostrare il ruolo del stato federale nello sviluppo del paese. Soprattutto, fa del disimpegno dello Stato e della reaganomica la causa della deindustrializzazione.

La moderna strategia industriale del presidente Biden

Negli ultimi 18 mesi, il presidente Biden ha collaborato con il Congresso per approvare 4 leggi fondamentali: l’ American Rescue Plan , che ha salvato la nostra economia dal precipizio, e più recentemente la legge bipartisan sulle infrastrutture, CHIPS and Science Act , e l’ Inflation Reduction Act .

L’ American Rescue Plan di marzo 2021 prevede, nell’ambito della crisi Covid, numerosi aiuti per le famiglie – assegno da 1400 dollari, proroga degli aiuti ai disoccupati, credito d’imposta alle famiglie, ecc. —, imprese e alcuni servizi pubblici (istruzione, sanità e comunità).

L’ Infrastructure Investment and Jobs Act del novembre 2021 prevede 1,1 trilioni di dollari, di cui 550 miliardi in nuovi crediti, in 10 anni, per infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e digitali (fibra). Include anche alcune misure a favore del clima, tra cui un piano di sostegno al settore dell’idrogeno e un programma per l’acquisto di autobus elettrici.

Il CHIPS and Science Act dell’agosto 2022 stanzia 52 miliardi a un fondo responsabile della distribuzione di sussidi per l’installazione di fabbriche di semiconduttori, ricerca e sviluppo sul campo, e crea un nuovo credito d’imposta per la produzione avanzata. Autorizza inoltre un forte aumento degli stanziamenti per la National Science Foundation e il Dipartimento dell’Energia.

La legge sulla riduzione dell’inflazione dell’agosto 2022 crea numerosi crediti d’imposta sulle energie rinnovabili, un acceleratore per le banche pubbliche verdi ed espande in modo massiccio il programma di prestiti garantiti del Dipartimento dell’Energia.

Queste leggi sono accomunate da una forte visione mobilitante: una moderna strategia industriale americana.

Questo è ciò che realizza una moderna strategia industriale americana. Individua le aree in cui l’iniziativa privata, lasciata a se stessa, non mobiliterà gli investimenti necessari a promuovere i nostri principali interessi economici e di sicurezza nazionale. Ricorre quindi agli investimenti pubblici per stimolare gli investimenti privati ​​e l’innovazione.

Ciò significa che, piuttosto che accettare come destino inevitabile che le decisioni individuali di coloro che si preoccupano solo dei propri profitti privati ​​ci lasceranno indietro in settori chiave, stiamo intraprendendo investimenti nelle aree che costituiranno la spina dorsale della nostra crescita economica nel prossimi decenni, aree in cui dobbiamo aumentare la capacità produttiva della nazione.

Una moderna strategia industriale americana non risponde al rischio di sottoinvestimenti cercando di sostituire o mettere da parte il settore privato: utilizza gli investimenti pubblici per sfruttare più investimenti privati ​​e garantisce che i benefici cumulativi di tali investimenti rafforzino la nostra ricchezza nazionale. Incoraggia la distribuzione di questi investimenti tra tutte le regioni e le comunità. E investe nei lavoratori, le persone dietro tutta quella produttività e innovazione.

Non si tratta dello stato che sceglie vincitori e vinti. Il nostro approccio è diverso. La nostra moderna strategia industriale americana riflette la nostra scelta di fare investimenti coraggiosi in aree chiave, sulle quali c’è consenso tra accademici e imprenditori, per considerarle fondamentali per la crescita economica. Questi investimenti aiutano ad accelerare e dare forma a una rapida innovazione, incoraggiano gli investimenti privati ​​e la concorrenza di mercato, e lo fanno in un modo che sceglie un solo vincitore: il popolo americano, la sua produttività, le sue opportunità e la sua qualità di vita.

Brian Deese cerca qui di rispondere alle critiche comunemente rivolte alla politica industriale: il rischio di frammentazione, l’effetto di spiazzamento — l’idea che gli investimenti pubblici sostituiscano solo gli investimenti privati ​​che avverrebbero in assenza dell’intervento pubblico — e la scelta di vincitori — L’intervento pubblico porterebbe a concedere arbitrariamente vantaggi a determinati attori economici, che prospereranno senza che ciò sia legato alla loro performance economica.

È vero che le leggi citate da Brian Deese si concentrano su pochi settori — semiconduttori, infrastrutture, energie verdi — e adottano una logica incentivante, in particolare attraverso numerosi crediti d’imposta e sovvenzioni, per consentire alle aziende private di prendere decisioni autonome. Si tratta di svolgere un ruolo di catalizzatore ma anche di risolvere problemi di azione collettiva garantendo il coordinamento tra diversi settori interessati dalla stessa sfida tecnologica. 

La prima area è l’infrastruttura di trasporto

Le infrastrutture gettano letteralmente le basi per gli investimenti privati. Con loro, le aziende possono immettere le merci sul mercato in modo più efficiente. Le supply chain possono operare in modo più affidabile. I lavoratori possono accedere a maggiori opportunità e posti di lavoro con una maggiore produttività.

E oggi stiamo compiendo uno sforzo storico per gettare queste basi.

La nostra strategia industriale prevede investimenti nelle nostre infrastrutture ancora maggiori di quelli concessi sotto il presidente Eisenhower per la realizzazione della rete autostradale.

Il secondo ambito su cui c’è accordo generale è l’innovazione tecnologica.

Gli investimenti pubblici in ricerca e innovazione alimentano il motore privato dell’economia statunitense. Mantengono l’America in prima linea, soprattutto quando si tratta di produzione, a causa dei forti circuiti di feedback tra laboratori di ricerca e fabbriche. Una nazione che rinuncia alle proprie capacità produttive rischia anche di rinunciare alla propria leadership tecnologica.

Per decenni abbiamo ceduto questo terreno.

Ma ora, con la nostra strategia industriale, stiamo investendo nell’innovazione più del presidente Kennedy e del programma Apollo che ci ha portato sulla Luna.

Ci impegniamo ad adottare il più grande budget quinquennale per la ricerca e lo sviluppo della storia.

Il CHIPS and Science Act crea nuovi programmi all’interno delle agenzie di ricerca federali: creazione di una direzione per la tecnologia e l’innovazione all’interno della NSF, creazione di una fondazione per la sicurezza energetica all’interno del DOE, ecc. Di conseguenza, i loro limiti di spesa autorizzati sono stati notevolmente aumentati:

— la National Science Foundation (NSF): 81 miliardi di dollari in 5 anni (+36 miliardi);

— l’ufficio scientifico del dipartimento dell’energia: 50 miliardi di dollari in 5 anni (+13 miliardi);

— il National Institute of Standards and Technologies (NIST): 10 miliardi di dollari in 5 anni (+ 5 miliardi).

Tali spese dovranno comunque essere oggetto di una legge di approvazione per la definitiva assegnazione dei crediti.

Stiamo collegando tutta l’America all’economia digitale espandendo l’accesso a Internet ad alta velocità.

E stiamo aprendo nuove opportunità investendo nell’istruzione e nella formazione scientifica e tecnologica, nelle scuole, nelle università e nelle organizzazioni di formazione professionale, al fine di produrre una forza lavoro qualificata e diversificata.

E la terza area è l’energia verde.

A livello globale, la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio si preannuncia come la più grande trasformazione economica dai tempi della rivoluzione industriale. Ciò non influenzerà solo il modo in cui produciamo e consumiamo energia, ma anche il modo in cui ci muoviamo e viviamo.

Sappiamo che la crisi climatica non può essere risolta solo dalle forze di mercato. Sappiamo che la leadership pubblica e gli investimenti sono fondamentali. Eppure il nostro Paese è rimasto in disparte per decenni.

Ma oggi, con la nostra strategia industriale, stiamo facendo il più grande investimento in energia verde nella storia del nostro Paese.

Fornendo incentivi a lungo termine, incoraggiamo il settore privato a investire su larga scala. Insieme a regolamenti che forniscono certezza agli investitori, questo piano incentiverà il rapido dispiegamento di tecnologie mature, accelererà la commercializzazione di innovazioni emergenti e ridurrà le emissioni di gas serra più velocemente di qualsiasi altro momento della nostra storia. Man mano che le industrie crescono, i prezzi dell’energia per le famiglie scenderanno e verranno creati posti di lavoro di alta qualità per i lavoratori.

Lungi dal soppiantare i mercati o spiazzare gli investimenti privati, gli investimenti fondamentali realizzati in questi tre settori (infrastrutture, innovazione ed energia pulita) forniranno uno straordinario impulso agli investimenti privati.

In effetti, stimiamo che l’agenda legislativa del presidente Biden, tenendo conto sia del capitale pubblico che di quello privato, genererà circa 3,5 trilioni di dollari di investimenti nel prossimo decennio.

Questo numero può sembrare diffuso o distante. Quindi permettetemi di renderlo più concreto. Solo negli ultimi mesi:

Intel ha iniziato la costruzione di un complesso di semiconduttori da 20 miliardi di dollari nella periferia di Columbus.

General Motors ha annunciato quasi 1 miliardo di dollari di investimenti per la produzione di componenti per veicoli elettrici con lavoratori UAW sindacalizzati nel suo stabilimento di Toledo e si è impegnata a espandere un impianto di batterie agli ioni di litio a Youngstown.

First Solar ha annunciato che sta spendendo quasi 200 milioni di dollari per modernizzare ed espandere le sue tre fabbriche di pannelli solari vicino a Toledo.

Ford prevede di spendere 1,5 miliardi di dollari nel suo stabilimento di assemblaggio di Avon Lake, situato appena fuori Cleveland, creando 2.000 nuovi posti di lavoro sindacalizzati.

E questa settimana, Honda e LG hanno annunciato l’intenzione di investire fino a 4,4 miliardi di dollari in un impianto di batterie per veicoli elettrici nella contea di Fayette e altri 700 milioni di dollari per riorganizzare le fabbriche di veicoli elettrici di Honda situate in Ohio.

E questo è solo l’Ohio. Potrei andare avanti all’infinito. In tutto il Paese, le aziende stanno investendo nella produzione per i settori del futuro.

È questo dinamismo che la nostra strategia industriale sta contribuendo a scatenare: l’afflusso di capitale privato, la rinascita della produzione americana, il trasferimento delle catene di approvvigionamento e il rafforzamento della nostra base industriale. Nota che non uso il futuro. Succede qui e ora.

Il settore industriale ha un vero dinamismo nel 2022. La produzione ha superato il livello pre-pandemia alla fine del 2021 e ha continuato a crescere nel 2022 nonostante l’inflazione. Gli investimenti nell’estensione dello strumento di produzione sono in aumento, grazie agli incentivi fiscali, in particolare nei semiconduttori, nelle batterie, ecc. — ma anche in una logica di delocalizzazione produttiva. Di conseguenza, il valore dei progetti di costruzione di fabbriche in corso è aumentato da circa 70 miliardi di dollari prima della pandemia a 113 miliardi di dollari nel settembre 2022. Questo movimento è iniziato dopo la pandemia che ha evidenziato chiaramente i rischi che coinvolgono filiere molto estese e incontrollate. È ulteriormente rafforzato dal deterioramento del contesto geopolitico.

La necessità di una strategia industriale

E tutto questo sta accadendo in un momento economico critico.

Ci troviamo di fronte a una serie complessa di sfide economiche globali. Gli shock seriali della pandemia, le interruzioni della catena di approvvigionamento e la guerra di Putin. Pressioni inflazionistiche globali, disuguaglianza, concorrenza con la Cina e altri paesi, una diffusa rivalutazione della globalizzazione e incertezza sul potenziale produttivo americano.

Anche se affrontiamo l’immediatezza di queste sfide, compreso il nostro lavoro urgente per abbassare i prezzi per le famiglie americane, vediamo dietro di esse una domanda centrale: gli Stati Uniti possono affrontare questa transizione? Una crescita e prosperità ampiamente condivisa? Oppure rischiamo di ricadere in un equilibrio pre-pandemia di bassi investimenti, bassa crescita, disuguaglianze sempre più ampie e perdita del nostro vantaggio competitivo?

Supponiamo di voler disegnare il miglior antidoto a questo scenario, la migliore risposta a chi crede che siamo in pericolo di subire una riduzione della nostra produttività e del nostro potenziale economico nei prossimi anni.

Guarderesti a investimenti strategici a lungo termine in aree che offrono i rendimenti più elevati al potenziale produttivo della nostra economia. Cercheresti luoghi in cui il capitale pubblico potrebbe aiutare ad aumentare la capacità di offerta e ridurre le pressioni sui prezzi. Guarderesti alle aree di crescente domanda globale, dove l’America può ottenere un vantaggio competitivo e aumentare le sue esportazioni.

In altre parole, cercheresti una moderna strategia industriale americana.

L’utilizzo di un approccio più interventista alla politica economica appare ad alcuni decisori democratici la risposta necessaria alla policrisi: sfida geopolitica cinese, crisi climatica, ascesa del populismo e disintegrazione del corpo sociale.

Questa è forse la principale tensione interna in questa “strategia industriale moderna”. Perché per rafforzare la capacità industriale americana saranno necessari ingenti investimenti, e quindi trasferimenti al settore manifatturiero, che sono già iniziati con il CHIPS Act e l’Ira. Questo è il minimo che non si possa dedicare al rafforzamento dello stato sociale e alla riduzione delle disuguaglianze.

Tuttavia, dato il livello che la disuguaglianza ha raggiunto oggi negli Stati Uniti, questa tensione tra reindustrializzazione e lotta alla disuguaglianza può essere risolta finanziando la politica industriale attraverso le tasse sui più ricchi. Si finanzia così l’ Inflation Reduction Act che, nonostante la cospicua spesa che prevede per il clima, dovrebbe ridurre il deficit federale, attraverso la creazione di un’aliquota minima dell’imposta sulle società del 15%, il rafforzamento della lotta all’evasione fiscale e l’eliminazione delle scappatoie fiscali.

In questo contesto, l’enfasi nella sua descrizione della nostra strategia economica da parte del segretario Yellen su “l’offerta moderna [approccio]” è rilevante. E qui stiamo assistendo all’emergere di un consenso bipartisan a favore di un ruolo più forte del governo nello sviluppo industriale americano.

Come ha affermato di recente il senatore Todd Young dell’Indiana, “è davvero importante, non solo per la nostra sicurezza nazionale ma anche per la nostra sicurezza economica e il nostro stile di vita, che abbiamo uno stato efficace e talvolta energico”.

In un momento in cui alcuni sostengono che l’America è troppo divisa e la democrazia non può più fornire risultati efficaci, la nostra strategia industriale dimostra che possiamo unirci e investire in noi stessi e nel nostro futuro.

Se la lotta alla minaccia cinese o il finanziamento delle infrastrutture sono alcuni degli ultimi temi di convergenza bipartisan, non è così per il clima. È così che i progetti di legge sull’investimento e l’occupazione nelle infrastrutture e sui progetti di legge CHIPS e Science Act sono stati approvati in modo bipartisan, mentre l’ Inflation Reduction Act ha dovuto fare affidamento solo sui voti democratici e sul processo di riconciliazione per vedere la giornata. 

Attuare una strategia industriale

Guardando al futuro, ci concentreremo sul duro lavoro di esecuzione di questa moderna strategia industriale. Voglio concentrarmi su tre elementi chiave del nostro piano di esecuzione:

DISTRIBUIRE NUOVI STRUMENTI E NUOVI APPROCCI

In primo luogo, utilizzeremo gli investimenti pubblici in un modo nuovo.

La strada dalla ricerca e sviluppo alla produzione e commercializzazione – dal laboratorio alla fabbrica e al mercato – è spesso lunga e tortuosa. La nostra moderna strategia industriale utilizzerà una serie di strumenti per accelerare questo processo in modi senza precedenti.

Vi faccio un esempio: l’idrogeno verde.

Lo sviluppo del settore dell’idrogeno pone una serie di sfide per l’azione collettiva per le quali gli approcci tradizionali e compatti alle infrastrutture energetiche si stanno rivelando insufficienti. Richiede l’emergere simultaneo di innovazioni all’avanguardia, casi d’uso industriale, produzione su larga scala, massicci investimenti infrastrutturali e una base di consumatori.

Tradizionalmente, l’investimento pubblico è consistito nel sovvenzionare la produzione – come la costruzione di una diga idroelettrica – o la distribuzione – come la costruzione di linee di trasmissione. È quello che abbiamo fatto per l’idrogeno, con crediti di imposta a lungo termine che incentivano le imprese a investire nella produzione.

Ma questo potrebbe non essere sufficiente per cogliere tutte le opportunità con la scala e la velocità necessarie. Ecco perché stiamo lanciando un nuovo sforzo collaborativo nazionale: gli Hydrogen Hub. Questi centri creeranno reti regionali di produttori, distributori, utenti finali e altre parti interessate per realizzare progetti dimostrativi su larga scala.

Questa collaborazione attraverso la catena di approvvigionamento dell’idrogeno sarà la chiave per costruire capacità e risolvere questo problema di azione collettiva. Potrebbe consentire agli Stati Uniti di svolgere un ruolo di primo piano nel fornire carburante pulito ed economico all’Europa e ad altri alleati. Potrebbe persino rimodellare altri settori, come l’acciaio, rendendoli più puliti e più competitivi a livello globale.

Sì, incoraggiamo gli investimenti delle imprese attraverso crediti d’imposta per l’implementazione. Ma attraverso questi hub dell’idrogeno, stiamo anche aiutando le industrie a superare gli ostacoli alla diffusione.

Ecco un altro esempio: i semiconduttori , i chip che alimentano qualsiasi cosa, dai telefoni e gli elettrodomestici alle automobili e ai sistemi di difesa. Riconquistare la nostra leadership è una necessità economica e di sicurezza nazionale.

Ecco perché investiamo nell’intera catena di fornitura della microelettronica per consentire l’invenzione e la produzione di tecnologie all’avanguardia in America. Usiamo sussidi e incentivi fiscali per la produzione. I nostri investimenti in ricerca e sviluppo includono la prototipazione e il supporto delle apparecchiature, per guidare la collaborazione tra industria e ricercatori per progettare e produrre chip di nuova generazione. E come abbiamo mostrato prima, useremo i controlli sulle esportazioni quando necessario per proteggere la nostra sicurezza nazionale e gli interessi di politica estera.

La comprensione delle questioni economiche e tecnologiche in termini di sicurezza è qui direttamente evidente. La politica industriale e tecnologica sta prendendo sempre più spazio nel pensiero strategico e nella politica di potenza. Ciò è particolarmente evidente nella revisione integrata del 2021 della Gran Bretagna o nella recente strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden . Al contrario, la sicurezza nazionale è una preoccupazione chiave dei responsabili delle politiche economiche: il tecno-nazionalismo nelle sue opere.

Questi esempi evidenziano come la nostra strategia industriale possa sfidare vecchie divisioni. Per far avanzare la nostra strategia industriale, dobbiamo ora sostenere lo sviluppo rapido e responsabile delle capacità di prossima generazione. Il che ci porta alla parte successiva del nostro piano.

UN IMPEGNO NAZIONALE PER COSTRUIRE IN MODO EQUO, SU LARGA SCALA E RAPIDAMENTE

In secondo luogo, costruiremo. E lo faremo su scala e velocità.

La nostra strategia industriale è al centro di uno sforzo di mobilitazione nazionale durato diversi anni. Questa impresa combinata – infrastrutture, innovazione, energia verde – non è meno ambiziosa del Canale Erie, della ferrovia transcontinentale, dell’elettrificazione rurale o della rete stradale interstatale.

Parliamo di 950 milioni di pannelli solari e 120.000 turbine eoliche entro la fine del decennio, miliardi di dispositivi alimentati da semiconduttori, milioni di veicoli elettrici e migliaia di chilometri di cavi in ​​fibra ottica e linee di trasmissione.

La portata di questo compito è enorme. Metterà alla prova il nostro Paese e le nostre istituzioni. E dovremo riformare il modo in cui costruiamo in America.

Non si può negare che l’America sia rimasta indietro rispetto ad altri grandi paesi, anche quelli con forti tutele lavorative, ambientali e storiche, quando si tratta di rispettare il budget e le scadenze di costruzione.

Dovremo fare le cose in modo diverso. Dovremo dotarci di una rinnovata capacità di agire rapidamente, non solo a livello federale, ma anche con partner statali, locali e tribali. Anche prima che gran parte di questa legislazione fosse approvata, avevo sottolineato che questa potrebbe essere la parte più difficile di tutto il nostro sforzo. Ecco perché, negli ultimi sei mesi, abbiamo sviluppato un piano il cui elemento centrale è costruire più velocemente e in modo più intelligente.

Come con qualsiasi progetto, inizia con il layout. Un processo di licenza migliore avvantaggia tutti. Gli avvocati e le associazioni locali vogliono certezze tanto quanto gli sviluppatori e gli investitori. Il nostro nuovo piano aumenterà le risorse per le agenzie per fornire tale certezza razionalizzando le loro revisioni ambientali e i processi di autorizzazione.

Abbiamo bisogno di una seria responsabilità per misurare e monitorare i progressi della costruzione. Il nostro piano rivede i sistemi di monitoraggio e gestione dei progetti.

Stiamo espandendo un programma infrastrutturale chiamato “Every Day Counts” che accelera i progetti raggruppando l’approvvigionamento e la costruzione di autostrade o ferrovie correlate, invece di realizzarli uno alla volta. Usiamo un approccio chiamato “Dig Once” per coordinare i progetti, quindi se stiamo espandendo una strada, stiamo aggiornando la fibra e l’energia allo stesso tempo. E stiamo ampliando l’uso di accordi di progetto, che riducono il rischio di costosi ritardi e interruzioni su progetti complessi, garantendo che vengano completati da lavoratori altamente qualificati.

Infatti, oggi alla Casa Bianca, stiamo ospitando un vertice senza precedenti sul miglioramento della consegna dei progetti con partner locali e statali, in modo da poter costruire più velocemente e in modo più intelligente a tutti i livelli del governo.

Prendiamo l’esempio dei minerali essenziali, che costituiscono molte moderne tecnologie, comprese le batterie dei veicoli elettrici. Alcuni dubitano che l’America sia in grado di raccogliere la sfida di sviluppare la propria industria dei minerali critici, un settore dominato dalla Cina, a monte e a valle. Ma la scorsa settimana ha aperto i battenti la prima miniera di cobalto americana, in buoni rapporti con i gruppi ambientalisti locali. Le aziende stanno gareggiando per costruire nuovi impianti per recuperare il litio dalle salamoie della California vicino al Salton Sea, soprannominato la “Lithium Valley” per le sue vaste risorse.

Come parte del nostro piano, questo mese lanceremo uno sforzo specifico sui minerali critici, che riunirà nuovi approcci all’impegno della comunità, sovvenzioni e prestiti a sostegno dell’estrazione, lavorazione e riciclaggio di minerali critici. catene di approvvigionamento.

E il nostro piano di costruzione si concentrerà sulla posizione e sull’equità – dove e come costruiamo – perché questo ci aiuterà a sbloccare più potenziale economico del nostro paese.

Le azioni intraprese dall’amministrazione Biden non si concretizzeranno senza realizzare immense opere sul territorio americano: costruzione di nuove strade e linee ferroviarie, creazione di parchi eolici e pannelli solari, installazione di nuove linee elettriche e costruzione di fabbriche di semiconduttori o batterie.

Tuttavia, il sistema americano di rilascio dei permessi di sviluppo è oggetto di forti critiche per la sua lentezza e per i costi aggiuntivi che comporta per i progetti. Nell’ambito del compromesso tra il senatore Manchin, dell’ala destra del Pd, e il capogruppo del partito al Senato, Chuck Schumer, Manchin aveva ottenuto la promessa dell’adozione in autunno di una legge venuta a riformare tali procedure . La sua proposta di Energy Independence and Security Act del 2022prevede pertanto di fissare scadenze chiare per le procedure di valutazione ambientale del progetto (2 anni o 1 anno, a seconda delle dimensioni del progetto). Quanto all’amministrazione, ha già avviato una serie di azioni volte a migliorare il rilascio delle autorizzazioni da parte delle agenzie federali ea rafforzare le competenze nella gestione dei progetti infrastrutturali.

Il confronto politico sulla riforma delle procedure di rilascio dei permessi edificabili e delle valutazioni ambientali non si sovrappone alla divisione tra repubblicani e democratici. All’interno di quest’ultimo, i leader della sinistra progressista, tra cui Bernie Sanders, hanno reso nota la loro opposizione al progetto di riforma Manchin, che faciliterebbe la realizzazione di progetti sui combustibili fossili. Ma sta ricevendo il sostegno di coloro che sono preoccupati per le difficoltà nella costruzione di nuovi progetti di energia verde e, ancor di più, le linee elettriche necessarie in un sistema elettrico più decentralizzato.

Dietro questo dibattito sembra albeggiare una contrapposizione tra una tradizione più libertaria, in linea con i movimenti ecologisti la cui attività è consistita a lungo, giustamente, nell’opporsi ai progetti sui combustibili fossili, e una tradizione più interventista, più attenta alla trasformazione del sistema energetico. Abbiamo così assistito all’emergere di un movimento pro-costruzione YIMBY ( Yes In My Back Yard ), dominato dai Democratici, che chiede un allentamento delle regole sfavorevoli alla densificazione, alla velocità dei progetti nonché a maggiori sforzi per sviluppare l’edilizia abitativa. sociale pubblico.   

Ancora una volta, Cleveland incarna chiaramente questa impresa. Per coloro che fuggivano dal Jim Crow South, i lavori industriali disponibili a Cleveland rappresentavano un faro di speranza e opportunità economiche, anche se lì continuavano a subire discriminazioni.

Tra loro c’era il grande inventore Garrett Morgan. Nato all’indomani della guerra civile da genitori che erano stati ridotti in schiavitù – e non aveva continuato oltre la prima media – si trasferì a Cleveland e iniziò a riparare macchine da cucire. Ha finito per sviluppare “coperture di sicurezza” per i vigili del fuoco e semafori con un terzo segnale. Li conosciamo oggi come maschere antigas e luci ambrate.

In effetti, ogni volta che la nostra nazione ha intrapreso un nuovo sforzo di costruzione, abbiamo fatto un passo verso il perfezionamento della nostra unione imperfetta. Ora, questa opportunità di ricostruire può essere un’opportunità per riparare.

Perché costruire velocemente e costruire in modo equo non deve essere uno sforzo.

Costruire infrastrutture in tutte le parti del nostro Paese – anche nelle comunità che non hanno raccolto i frutti degli investimenti passati e in quelle danneggiate da progetti realizzati molto tempo fa – è proprio ciò che consente di liberare il potenziale produttivo della nostra economia. Ecco perché uno degli elementi più potenti e importanti del nostro piano è che, per la prima volta, le aziende otterranno un aumento del 10% dei loro crediti d’imposta sull’energia pulita se realizzano progetti in comunità che hanno fatto affidamento su posti di lavoro tradizionali nel settore energetico .

In una logica di economia politica, per far convergere i consensi attorno all’azione dell’Amministrazione, in particolare alla politica climatica, le disposizioni delle recenti leggi prevedono aumenti per alcune comunità fragili e regole di contenuto domestico. Generando nuove industrie in America e nei territori deindustrializzati, i Democratici vogliono rafforzare il loro sostegno politico ed elettorale.

Non dobbiamo farci illusioni: non sarà facile. Né è compito del solo governo. Richiederà la mobilitazione nazionale e lo sviluppo di capacità a tutti i livelli. Ma siamo all’altezza del compito.

UNA PIÙ STRETTA COOPERAZIONE CON ALLEATI E PARTNER

In terzo luogo, ci occuperemo della situazione mondiale, rafforzando nel contempo la forza americana.

Un maggiore impegno con i nostri partner all’estero è una questione di necessità economica e geografica. Non è fattibile né consigliabile per noi produrre tutto internamente. Abbiamo bisogno di coalizioni internazionali di partner affidabili che rafforzino catene di approvvigionamento sicure e amplifichino le nostre fonti di forza.

È anche una questione di necessità geopolitica. La sicurezza nazionale ed economica dell’America è rafforzata da forti alleanze. Questo è ciò che abbiamo avanzato in tutto il mondo. Stiamo sviluppando un nuovo quadro economico per la regione indo-pacifica. Stiamo rafforzando le nostre relazioni economiche con l’Europa. Abbiamo collaborato con i nostri alleati del G7 per l’infrastruttura globale. Stiamo conducendo un accordo globale sull’imposta sulle società.

Siamo anche pienamente impegnati nella “diplomazia della catena di approvvigionamento”. Quest’estate, abbiamo concordato con 18 stretti partner commerciali di rendere le nostre catene di approvvigionamento collettive più sicure, più diversificate, più resilienti e più sostenibili di fronte alle interruzioni. Continueremo questi sforzi, esplorando nuove idee come lo stress test della catena di approvvigionamento per identificare le vulnerabilità prima che diventino crisi.

Sia chiaro: si tratta di impegno strategico, non di isolazionismo.

Alcuni hanno espresso la legittima preoccupazione per il rischio che gli Stati concedano sussidi industriali sempre maggiori per superare i loro concorrenti, il che ne ridurrebbe l’efficienza. Ma gli investimenti che facciamo pagheranno enormi dividendi globali espandendo l’offerta, accelerando l’adozione della tecnologia e riducendo i costi. E per settori come i semiconduttori e l’energia pulita, siamo lontani dall’aver raggiunto il punto di saturazione globale degli investimenti necessari. Dovremmo accogliere con favore le azioni della maggior parte dei paesi se sono strutturate in modo equo e attuate in modo appropriato.

La politica industriale americana iniziò a creare attriti con l’Europa. In particolare, alcuni sussidi e crediti d’imposta ai sensi della legge sulla riduzione dell’inflazione sono soggetti a norme nazionali sui contenuti, in particolare nel caso dei sussidi per i veicoli elettrici. La Commissione Europea e diversi partner europei hanno manifestato le loro critiche . 

Tutta questa costruzione richiederà tempo e vigilanza. Come ha spiegato il Segretario di Stato Blinken, per competere con la Cina dovremo fare “investimenti di vasta portata nelle nostre principali fonti di forza nazionale, a partire da una moderna strategia industriale”.

Conclusione

Ho accennato in precedenza a come gli investimenti pubblici abbiano alimentato la crescita e l’innovazione in luoghi come Cleveland per due secoli.

E quando si tratta di innovazione, la storia può muoversi velocemente. Fu qui in Ohio che i fratelli Wright aprirono un negozio di biciclette che cambiò il mondo. Fecero il loro primo volo a Kitty Hawk, ma fu a Dayton che perfezionarono il loro velivolo. E solo 66 anni dopo, sotto la guida del nativo dell’Ohio Neil Armstrong, gli astronauti americani si lanciarono nello spazio con l’Apollo 11.

Siamo passati da un negozio di biciclette alla Luna in una vita.

L’America ha investito in Ohio e gli abitanti dell’Ohio hanno investito in America.

Oggi la storia si muove di nuovo velocemente. Come nazione, dobbiamo tenere il passo. Con questa moderna strategia industriale americana, ci stiamo imbarcando in una missione che l’America non tenta seriamente da decenni. Dobbiamo alzarci fino a questo momento.

Partecipare a questo sforzo dovrebbe essere fonte di orgoglio nazionale, comunitario e individuale.

Per i leader aziendali presenti oggi: ora che l’America sta facendo questi investimenti, spero che farete tutto il possibile per investire nelle industrie, nei lavoratori e nelle comunità americane.

L’America è sempre stata una nazione di costruttori. Cleveland lo sa così come ovunque in America. Questa città ha già mostrato al mondo come può funzionare una strategia industriale e possiamo farlo di nuovo ai nostri tempi. Andiamo avanti e costruiamo insieme.

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/11/14/letat-est-la-solution-la-nouvelle-politique-industrielle-americaine/

Guerra tecnologica: 10 punti sui semiconduttori, di Le Grand Continent

I semiconduttori sono al centro della nostra vita quotidiana, ma cosa sappiamo veramente di loro? Mentre le ultime sanzioni americane nei confronti della Cina fanno rivivere l’importanza di questo terreno strategico competitivo, proponiamo uno studio senza precedenti in 10 punti, 12 grafici e 2 mappe per entrare nella matrice della rivalità tecnologica tra Cina e Stati Uniti che strutturare il mondo.

1 — Cos’è un semiconduttore?

I semiconduttori (indicati anche come circuiti integrati (CI) o microchip) rappresentano la base tecnologica essenziale della microelettronica. Si dividono in due categorie principali: chip analogici (si tratta di prodotti più semplici come sensori, attuatori, oscillatori) e chip digitali. Tra questi ultimi si possono distinguere in particolare i processori, che consentono il funzionamento di un dispositivo elettronico, e la memoria. I semiconduttori si trovano in molti prodotti elettronici della nostra vita quotidiana come smartphone, computer o automobili. Sono inoltre presenti in molti settori cruciali per la difesa e la sicurezza nazionale, compresi i sistemi d’arma e la tecnologia aerospaziale.

Oggi, i principali mercati di consumo per i semiconduttori sono l’IT (computer e server) e le telecomunicazioni (smartphone), che nel 2021 valgono rispettivamente $ 225 miliardi e $ 170 miliardi (quasi ⅔ del mercato mondiale dei semiconduttori). Le proiezioni per il 2030 prevedono che questi due mercati da soli peseranno rispettivamente 350 e 280 miliardi di dollari. Allo stesso modo, le previsioni sulle dimensioni del mercato globale dei semiconduttori prevedono un aumento di quasi il 60% nel 2030 rispetto al 2021.

2 — Perché sono importanti?

La produzione di un microchip implica il passaggio attraverso una serie di passaggi che definiscono la catena del valore dei semiconduttori, che è incentrata su sei attori chiave interdipendenti: Cina, Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti, Taiwan ed Europa.

Dagli anni ’70, il numero di transistor nei semiconduttori è raddoppiato ogni due anni. Questo fenomeno è indicato come “legge di Moore”, dal nome dell’ingegnere che ha fatto questa previsione – da allora empiricamente provata – nel 1965. Questi continui sforzi per mantenere questa tendenza di sviluppo tecnologico esponenziale e generare “più Moore” hanno costituito il principale motore di industria microelettronica e crescita del mercato dei semiconduttori negli ultimi anni. Sono possibili riducendo la distanza tra due transistor utilizzando processi di incisione che coinvolgono la tecnologia del tipo 13 micrometri negli anni 2000 (13.10 -6 ) a 20 nanometri nel 2012 e da 5 nanometri (5.10 -9) Oggi. La riduzione delle dimensioni dell’incisione negli ultimi 15 anni è consentita dalla tecnologia di litografia ultravioletta estrema.

Il perseguimento della legge di Moore ha portato a un forte aumento dei costi di progettazione dei chip per renderli più potenti ed efficienti. Inoltre, il costo dei fab a semiconduttori (i fab ) è cresciuto notevolmente con ogni nuova generazione di chip. Ciò ha portato, dall’inizio degli anni ’90, ad una crescente specializzazione degli attori. Mentre alcune aziende continuano a svolgere internamente la progettazione, la produzione e la commercializzazione di chip ( produttori di dispositivi integrati come Intel o Samsung), altre si sono specializzate in attività di progettazione ad alta intensità di ricerca e sviluppo ( fablesscome Nvidia o Qualcomm) e affidare la produzione a fonderie (la più grande delle quali è TSMC), prima di commercializzare i chip.

3 — La catena del valore e l’interdipendenza degli attori chiave

La catena del valore dei semiconduttori è caratterizzata dalla coesistenza di effetti di interdipendenza e tecnologie cosiddette “bottleneck” (tecnologie del punto di strozzatura ). Coloro che controllano queste tecnologie godono di un importante vantaggio strategico. Oltre agli Stati Uniti e alla Cina, gli altri principali attori in questo settore sono Europa, Giappone, Corea del Sud e Taiwan.

Coloro che controllano queste cosiddette tecnologie “collo di bottiglia” godono di un importante vantaggio strategico.

stati Uniti

Gli Stati Uniti svolgono un ruolo ultra-dominante nelle fasi a monte della catena del valore (R&D, progettazione, produzione di software di progettazione) e nel marketing (il 47% dei chip venduti nel 2020 sono stati venduti da aziende americane), che consente loro di produrre 38% del valore aggiunto globale del settore. Ma sul territorio americano non c’è più solo il 13% della produzione mondiale di chip, contro il 37% del 1990. Ciò si spiega con il fatto che molte aziende americane del settore si sono specializzate nella progettazione e commercializzazione di chip, mentre esternalizzano la produzione a fonderie straniere, anche se gli IDM e le fonderie americane hanno ridistribuito la loro produzione nell’Asia orientale.

Molte grandi aziende americane sono quindi ora molto dipendenti da TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, la fonderia di semiconduttori leader nel mondo). I chip progettati da Apple per equipaggiare iPhone, iPad ed elettrodomestici vari sono così prodotti dai taiwanesi. Questo ruolo essenziale di TSMC nell’approvvigionamento degli Stati Uniti è stato messo in evidenza durante il viaggio di Nancy Pelosi lo scorso agosto  ; Durante una visita di 7 ore a Taiwan, il Presidente della Camera dei Rappresentanti ha avuto il tempo di incontrare alti dirigenti di TSMC.

Gli Stati Uniti sono quindi un attore chiave nella catena del valore dei chip, sebbene stiano perdendo slancio nell’importante fase produttiva. Tuttavia, se guardiamo al consumo finale di chip da parte degli Stati Uniti, sembra che siano ancora il mercato leader mondiale, appena davanti alla Cina.

Cina

La Cina ha compiuto progressi impressionanti negli ultimi due decenni per diventare uno dei primi sei attori mondiali nel settore dei semiconduttori. Questo successo si basa sull’interdipendenza globale che ha caratterizzato la catena del valore fino all’intensificazione delle misure di controllo sui trasferimenti tecnologici.

Date le immense dimensioni della sua industria elettronica, la Cina è il più grande importatore mondiale di semiconduttori. Nel 2021, il Paese ha acquistato più di 430 miliardi di dollari in semiconduttori, il 36% dei quali proveniva da Taiwan, mentre solo il 15,7% della sua domanda è stata prodotta sul suolo cinese. Nel 2020, la bilancia commerciale cinese era in deficit di 233,4 miliardi di dollari in semiconduttori, più del petrolio e di tutte le importazioni dal suo principale partner commerciale, l’Unione Europea.

Tuttavia, va notato che gran parte di questi semiconduttori viene utilizzata come input per prodotti elettronici destinati all’esportazione. Vengono quindi riesportati all’interno di computer, smartphone, ecc. Questo spiega perché la Cina rappresenta solo il 24% della domanda finale di chip ( vedi diagramma sopra).

Tuttavia, l’industria dei semiconduttori ha visto una certa crescita in Cina, inizialmente grazie agli investimenti esteri. Le vendite delle società cinesi di semiconduttori, che nel 2015 ammontavano a soli 13 miliardi di dollari (3,8% del mercato mondiale), ammontano a 39,8 miliardi di dollari nel 2020, ovvero un tasso di crescita annua senza precedenti del 30,6% (9% del mercato globale)1. Ciò è dovuto allo sviluppo di un ecosistema fabless specializzato nel design (filiale Huawei, HiSilicon, ma anche ZTE o Omnivision) ma anche fonderie (principalmente SMIC).

Unione europea

La specializzazione dell’industria europea dei semiconduttori è strettamente legata alle specificità dell’industria europea. I produttori integrati europei, STMicroelectronics, NXP e Infineon sono in gran parte importanti produttori di chip analogici, che soddisfano le esigenze delle industrie europee (automobilistiche, sensori per macchine utensili, ecc.). Infatti, in assenza del settore delle apparecchiature informatiche (computer, server, smartphone), la domanda di processori o chip di memoria rimane limitata. Possiamo quindi osservare che la quota degli investimenti europei nei settori della robotica (28%), dell’automotive (30%) e dell’aerospaziale (14%) è molto più alta che nel resto del mondo. . Al contrario, l’Unione resta indietro in termini di investimenti nelle telecomunicazioni (4,

Tuttavia, ha un asset ultra-strategico: ASML. Questa azienda olandese ha il monopolio della produzione e commercializzazione di macchine per litografia ultravioletta estrema, necessarie per l’incisione di chip di ultima generazione. Questa complessa attrezzatura, che costa più di cento milioni di euro l’una, è particolarmente oggetto della piena attenzione dei servizi dell’amministrazione americana preposta al controllo delle esportazioni. Il governo degli Stati Uniti sta facendo pressioni sull’azienda affinché smetta del tutto di esportare in Cina, cosa che ha già iniziato a fare per i suoi prodotti più sofisticati2.

Taiwan e Corea del Sud

Il peso di Taiwan nei semiconduttori e la dipendenza degli Stati Uniti dall’isola per i chip sono diventati sinonimo di quattro lettere: TSMC — Taiwan Semiconductor Manufacturing Company. L’azienda taiwanese è un peso massimo che da sola rappresenta il 53% del mercato globale delle fonderie di semiconduttori. di produzione dalle fonderie di semiconduttori nel 20203. In un segno del suo dominio sul mercato, TSMC ha fornito il 92% dei chip più avanzati nel 2019, secondo un rapporto del Boston Consulting Group4.

Il peso di Taiwan nei semiconduttori e la dipendenza degli Stati Uniti dall’isola per i chip sono diventati sinonimo di quattro lettere: TSMC — Taiwan Semiconductor Manufacturing Company.

La Corea del Sud, con Samsung e SK Hynix, esercita un monopolio virtuale sul segmento dei chip di memoria. Samsung , infatti, svolge un ruolo strategico nel campo dei semiconduttori poiché è il secondo produttore mondiale  : con il suo connazionale e concorrente SK Hynix, esercita una posizione dominante nel segmento delle schede di memoria, con la Corea che ha raggiunto il 62% delle vendite globali nel 2018 .

Ad oggi, solo TSMC (Taiwan) e Samsung (Corea del Sud) producono semiconduttori basati su una tecnologia sub-7 nanometrica. Gli smartphone di fascia alta richiedono un processo di produzione di almeno 7 nanometri per i loro microprocessori, il che significa che l’economia digitale globale, inclusa la Cina, dipende da Taiwan e dalla Corea del Sud.

4 — Perché Taiwan?

Quest’estate, le navi militari cinesi si stavano addestrando per impostare un blocco navale di Taiwan, simulando uno scenario che preoccupa i leader politici di tutto il mondo: non una guerra aperta, ma una chiusura delle catene di approvvigionamento.5.

Centro di produzione e design TSMC a Nanchino. © CFOTO/Sipa USA/SIPA

Una personalità in particolare ha avuto un ruolo importante nel rendere Taiwan un attore chiave nella catena di produzione dei semiconduttori: l’imprenditore Morris Chang. Presente a cena con Nancy Pelosi durante la visita del Presidente della Camera, il fondatore di TSMC ha avuto un’importanza significativa nello sviluppo dell’industria a Taiwan negli ultimi trent’anni.

Rendendosi conto della grande complessità della filiera di questo settore e della sua configurazione in punti di strozzatura tecnologici , Chang ha reso lo Stretto di Formosa un collo di bottiglia fondamentale nella produzione di semiconduttori.6.

5 — Perché i semiconduttori sono al centro della rivalità geopolitica globale?

Di recente, l’amministrazione Biden ha emesso una serie di sanzioni che portano il confronto globale in quest’area ad un altro livello, impedendo alle aziende di inviare in Cina i processori all’avanguardia necessari per eseguire algoritmi.7. Le sanzioni non si applicano solo alle aziende americane, ma anche a tutti coloro che utilizzano input americani nei propri processi produttivi (proprietà intellettuale, software di progettazione, ecc .). Questa decisione fa seguito a una serie di decisioni che hanno già iniziato a rafforzare i controlli sulle esportazioni di semiconduttori verso la Cina.

Mentre alcuni lo vedono come un ritorno al pensiero della Guerra Fredda, questa decisione è emblematica della centralità dei semiconduttori nella rivalità tecnologica globale. Abbiamo già visto come gli attori coinvolti siano anche grandi attori geopolitici, ma una serie di fattori aiutano a sottolineare ancora di più l’importanza dei semiconduttori  : la trasformazione digitale globale in corso, la pandemia covid con i suoi effetti dirompenti sulle catene di approvvigionamento e la guerra in Ucraina che sta incidendo sull’approvvigionamento di materie prime.

Mentre alcuni lo vedono come un ritorno al pensiero della Guerra Fredda, questa decisione è emblematica della centralità dei semiconduttori nella rivalità tecnologica globale.

6 — Qual è la posizione degli Stati Uniti?

La drastica riduzione della quota degli Stati Uniti nella produzione totale di semiconduttori, passata dal 37% del 1990 al 12% del 2020, è oggi identificata come un rischio. La crisi del Covid e i problemi della filiera hanno infatti avuto un forte impatto sui settori a valle, in particolare nel settore automobilistico, destabilizzando la produzione e contribuendo all’inflazione. Le tensioni intorno a Taiwan rafforzano anche il desiderio americano di autosufficienza.

Il Congresso degli Stati Uniti ha quindi approvato nel luglio 2022, all’interno del Chips and Science Act, il finanziamento dei programmi del CHIPS for America Act , volti a sostenere la sovranità americana in termini di produzione di semiconduttori, la sua competitività e infine la sua sicurezza nazionale. L’aiuto finanziario è al centro di questo programma, con fondi per oltre 50 miliardi di dollari, di cui 39 miliardi di sussidi per investimenti volti a costruire, ampliare o ammodernare strutture e attrezzature nazionali per la produzione, l’assemblaggio, il collaudo e il confezionamento avanzato dei chip . Sono previsti 13 miliardi per sostenere la ricerca e lo sviluppo. La legge prevede anche un nuovo credito d’imposta dedicato.

Per garantire l’obiettivo del Congresso di promuovere la competitività nazionale, la legge istituisce misure di salvaguardia per garantire che i destinatari dei fondi federali non possano produrre semiconduttori in paesi che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale, tra cui Cina o Russia. Uno degli obiettivi principali degli Stati Uniti è quindi quello di limitare il coinvolgimento complessivo delle società di telecomunicazioni con stretti legami con il PCC, tra cui Huawei.

7 — Qual è la posizione dell’Unione europea?

Nella costruzione di una catena di approvvigionamento sempre più incentrata sul Pacifico, il ruolo dell’Unione è diminuito negli ultimi due decenni. Rispetto al suo peso economico (quasi il 23% del PIL mondiale), la quota dell’UE sui ricavi globali dei semiconduttori è di circa il 10% e solo del 6% per l’IT e le comunicazioni. Capacità di produzione limitate per soddisfare la domanda futura, alti costi di ingresso, accesso inadeguato ai finanziamenti e normative diverse rispetto ad altre regioni minacciano la capacità delle aziende europee di rimanere competitive in questo mercato.

La strategia europea per recuperare una certa forma di leadership in questo settore prevede l’adozione dell’European Chips Act . Proposto a febbraio, è il primo strumento che consente all’Unione Europea di entrare nel grande gioco dei semiconduttori – la Commissione Europea ha addirittura dichiarato che l’Unione punta a raggiungere il 20% della produzione mondiale entro il 20308.

Gli obiettivi primari del Chips Act sono sostenere l’innovazione nell’ecosistema europeo dei semiconduttori e la sicurezza della catena di approvvigionamento. Il primo strumento del Chips Act è l’iniziativa “Chips for Europe”, che fungerà da linea guida per le aziende e i centri di ricerca in cerca di sovvenzioni europee e nazionali. La vera novità di questa iniziativa è la creazione di un Chips Fund , destinato a riunire diverse istituzioni e meccanismi europei esistenti rispondendo alle richieste del mondo dell’industria.

Un altro obiettivo del Chips Act è supportare lo sviluppo di stabilimenti europei in grado di produrre in grandi volumi i semiconduttori più avanzati. Il Chips Act fornisce all’Unione lo spazio giuridico per approvare aiuti di Stato a tal fine. Lo scorso luglio, Emmanuel Macron ha annunciato la costruzione di una fabbrica di semiconduttori in Francia il cui progetto di fonderia fa parte dell’European Chips Act .

Tuttavia, se gli obiettivi della Commissione sono ambiziosi e se il Chips Act è solo il primo passo, la posizione dell’Unione Europea resta molto meno ambiziosa rispetto a quella degli altri attori. L’Europa, infatti, ha soprattutto derogato al suo regime di divieto degli aiuti di Stato, ma non ha mobilitato nuovi fondi per sostenere gli industriali. Spetta agli Stati membri sostenere il costo di tali sovvenzioni.

Soprattutto, l’Europa rimane fortemente dipendente dagli Stati Uniti per gli strumenti di progettazione e dall’Asia per la produzione di chip avanzati. Inoltre, rispetto agli Stati Uniti, la debolezza produttiva dell’Europa non è compensata da una maggiore solidità delle attività poste a monte ea valle della filiera.

Centro di produzione e design TSMC a Nanchino. © CFOTO/Sipa USA/SIPA

8 — Cosa si fa o si pianifica per contrastare la carenza di semiconduttori?

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea non sono stati gli unici a pianificare potenti investimenti per contrastare i fattori strutturali e ciclici sopra menzionati e per incoraggiare la ricerca e la produzione di semiconduttori. Si tratta di investimenti pubblici, come quelli previsti – e, in alcuni casi, già avviati – per diverse centinaia di miliardi di dollari messi in atto da Cina, India, Giappone e Taiwan (tra il 2014 e il 2018 il governo taiwanese ha fornito sostegno al bilancio a TSMC pari al 3% dei ricavi del gruppo).

Anche questi investimenti sono privati, come quelli previsti dai piani industriali delle principali aziende del settore: tra questi Intel (che prevede di investire 80 miliardi in un decennio solo in Europa) e la società taiwanese TSMC (che prevede di investire tra 40 e 44 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, in parte in Europa). In Estremo Oriente principalmente – ma non esclusivamente – gli investimenti pubblici e privati ​​non si sovrappongono né competono tra loro, ma tendono alla realizzazione di programmi sinergici.

In Estremo Oriente principalmente – ma non esclusivamente – gli investimenti pubblici e privati ​​non si sovrappongono né competono tra loro, ma tendono alla realizzazione di programmi sinergici.

Ma ci sono anche ragioni e motivazioni, non meno importanti, legate agli imperativi di sicurezza e difesa nazionale, acuite dalle forti tensioni che attualmente attraversano il contesto geopolitico. Si può giustamente parlare di investimenti strategici perché contribuiscono a questo processo di ristrutturazione delle catene globali del valore che tende a garantire “  autonomia strategica  ”. Gli attori coinvolti sono in primis gli States (e, in Europa, l’Unione Europea), ma anche aziende, e in particolare Big Tech , come dimostra la scelta di Apple di progettare internamente i chip di cui ha bisogno.

9 — Quale impatto hanno avuto le nuove restrizioni statunitensi sul mercato globale dei semiconduttori?

Le misure recentemente annunciate dal governo statunitense avranno un impatto sulla configurazione globale del mercato dei semiconduttori. Queste nuove misure di controllo delle esportazioni mirano a limitare le aziende che inviano chip e apparecchiature per la produzione di semiconduttori in Cina. Queste sono le misure più significative che gli Stati Uniti hanno adottato nei confronti dell’industria cinese dei semiconduttori, mentre le misure precedenti hanno preso di mira più spesso singole aziende e un insieme più ristretto di tecnologie. Concretamente, i fornitori americani hanno interrotto il supporto delle apparecchiature già installate presso YMTC (Yangtze Memory Technologies, produttore cinese di semiconduttori), interrotto l’installazione di nuovi strumenti e ritirato il personale americano di base a YMTC.

La linea guida di questa manovra tende a ostacolare la capacità della Cina di sviluppare autonomamente i chip più avanzati e di equipaggiare il proprio esercito, e soprattutto di evitare un’escalation verso una nuova guerra fredda.

Ciò avrà un evidente impatto commerciale per gli Stati Uniti. Mercoledì Applied Materials Inc, produttore leader di apparecchiature per la produzione di chip, ha tagliato le sue previsioni per il quarto trimestre, avvertendo che le nuove normative sulle esportazioni taglierebbero le vendite di circa $ 400 milioni in questo trimestre. Questa società ha realizzato oltre il 27% delle sue vendite in Cina nel secondo trimestre, ovvero quasi 1,8 miliardi di dollari. Da parte cinese, l’azienda YMTC sta affrontando un blocco del supporto da parte dei suoi principali fornitori.

La Cina sta spendendo miliardi di dollari per sviluppare un’industria nazionale dei semiconduttori meno dipendente dal resto del mondo, ma questi produttori di chip hanno ancora bisogno di acquistare apparecchiature altamente specializzate da fornitori negli Stati Uniti, in Europa e in altre parti dell’Asia. Gli Stati Uniti ne sono consapevoli e stanno intensificando la loro strategia per soffocare lo sviluppo di un’industria indipendente dei semiconduttori in Cina.

10 — Cosa succede in caso di carenza di semiconduttori?

I semiconduttori sono al centro dello sforzo bellico della Russia. Gli occidentali sono consapevoli che l’esito della guerra dipenderà in parte dal fatto che la Russia troverà o meno un modo per riottenere l’accesso a questi chip e vogliono assicurarsi che non sia così. La Russia è alla ricerca di semiconduttori, trasformatori, connettori, alloggiamenti, transistor, isolanti e altri componenti di cui il paese ha bisogno per alimentare il suo sforzo bellico. La maggior parte sono prodotti da giganti elettronici americani (Marvell, Intel, Holt tra gli altri).

Nella lista delle priorità della Russia c’è il 10M04DCF256I7G FGPA (Field-Programmable Gate Array), prodotto da Intel, che può essere acquistato per 66.000 rubli, o più di $ 1.100 per unità. Prima della carenza di chip, la parte sarebbe costata meno di € 20.

I fornitori militari russi hanno diversi modi per acquisire questi semiconduttori, che vanno dall’acquisto da mercati online non regolamentati all’utilizzo di cassette postali per contrabbandare componenti tecnologici nel paese. Non è da escludere nemmeno l’istituzione di canali e intermediari con Iran, Corea del Nord o persino con la Cina. La strategia delle sanzioni occidentali, tuttavia, sembra funzionare per ora, poiché le forniture russe continuano a diminuire.

La sfida per gli occidentali è sfruttare il deficit tecnologico della Russia e la sua mancanza di semiconduttori, necessari per far funzionare i moderni sistemi di combattimento così come i dispositivi di sorveglianza o di immagini satellitari. Come risultato di queste misure, la Russia è ora alla disperata ricerca dei semiconduttori più sofisticati per supportare la sua industria delle armi.

In una certa misura, l’inasprimento delle sanzioni statunitensi nei confronti dell’industria dei semiconduttori contro la Cina, ampiamente esemplificato di recente dal nuovo round di sanzioni statunitensi imposto il 7 ottobre, ha uno scopo simile. Iscrivendo nell’elenco dei prodotti controllati ( regole dirette sui prodotti esteri ) nuovi beni utili alla fabbricazione di supercomputer, queste misure mirano principalmente a prevenire l’importazione oltre che lo sviluppo di chip avanzati, particolarmente utili per applicazioni di intelligenza artificiale.
In un keynote speech pronunciato il 16 settembre in occasione della pubblicazione del rapporto del Progetto Speciale Studi Competitivi,il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha integrato il posto dato alla concorrenza tecnologica tra Washington e Pechino nella dottrina cinese dell’amministrazione Biden e, più in generale, nella politica estera statunitense. In questo, la logica difensiva lascia il posto a un desiderio più esplicito di rallentare il progresso economico e tecnologico di alcune potenze straniere ritenute minacciose – la Cina è in testa a queste minacce.

“Non c’è bisogno di combattere come un guerriero lupo”, una conversazione con Xiang Lanxin

Proseguiamo con la serie di articoli di analisti cinesi, presenti in Cina, ma con posizioni divergenti, rispetto alla linea al momento largamente maggioritaria e dominante espressa da Xi Jinping. La finalità di questa pubblicazione è, ancora una volta, di avvalorare che il confronto e lo scontro geopolitico si realizza attraverso il conflitto tra centri decisori e di influenza i quali si intersecano, nelle proprie relazioni, all’interno e all’esterno delle formazioni sociali. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Come si è trovato un giornalista britannico all’origine di una nuova dottrina diplomatica cinese? L’ascesa pacifica è ancora un paradigma rilevante per i pensatori geopolitici cinesi? La Cina dovrebbe assolutamente pretendere di imporre una nuova governance globale? Traduciamo e pubblichiamo questa intervista chiave con uno dei più originali e importanti specialisti della diplomazia di Pechino. Una nuova puntata della nostra serie “Dottrine nella Cina di Xi Jinping” — introdotta e commentata da David Ownby.

Xiang Lanxin (nato nel 1956) è un famoso studioso cinese di relazioni internazionali che ha trascorso gran parte della sua carriera negli Stati Uniti e poi in Europa. Dopo aver conseguito la laurea presso la Fudan University di Shanghai, ha conseguito il master e il dottorato presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies. Ha insegnato alla Clemson University fino al 1996, quando è entrato a far parte del Graduate Institute of International Studies di Ginevra (IHEID). Come molti intellettuali cinesi della sua generazione, ha un piede in diversi mondi: se la maggior parte degli articoli accademici di Xiang sono stati pubblicati in inglese, fa ad esempio parte della redazione di Dushu1ed è ben noto in Cina. Ma Guochuan, il giornalista che conduce l’intervista, è il direttore del quotidiano liberale Caijing.2.

Questa intervista3, pubblicato all’inizio della pandemia, nell’aprile 2020, si distingue principalmente per le aspre critiche di Xiang alla “diplomazia dei guerrieri lupo”, termine usato per descrivere le risposte molto combattive della Cina agli attacchi stranieri sulla gestione della pandemia di coronavirus. Il termine “guerriero lupo” si riferisce a due film di guerra d’azione, Wolf Warrior (2015) e Wolf Warrior 2 (2017), che presentano battaglie tra un’unità d’élite dell’Esercito popolare di liberazione (chiamata, appunto, i lupi guerrieri) e vari gruppi di mercenari, tra i quali spiccano gli americani.

Questi film hanno avuto un immenso successo popolare in Cina, paragonabile ai successi di Hollywood che celebrano la guerra e il patriottismo negli Stati Uniti. Uno dei rappresentanti emblematici di questa diplomazia guerriera-lupo è il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Zhao Lijian赵立坚 (classe 1972), che è arrivato a diffondere l’idea che sia l’esercito americano a diffondere il virus a Wuhan. Questi stessi guerrieri lupo hanno più recentemente fatto un passo indietro in risposta alle richieste di responsabilità, persino di rettifica, che sono arrivate da più parti.4.

La diplomazia dei guerrieri lupo, secondo Xiang, sta contribuendo alla destabilizzazione dell’ordine mondiale in un momento in cui la Cina si è in qualche modo convinta, attraverso affermazioni propagandistiche del Partito, della superiorità del “cinese modello”. Xiang ne attribuisce la maggiore responsabilità al giornalista britannico di sinistra Martin Jacques, il cui bestseller del 2009, Quando la Cina governa il mondo, ha entusiasmato i lettori cinesi, soprattutto perché è stato scritto da un occidentale. La responsabilità è in realtà condivisa con l'”accademico” cinese Zhang Weiwei 张维为 (nato nel 1957), che ha riconfezionato l’idea di Jacques per diventare il campione ufficiale delle virtù dello “Stato di civiltà” unico della Cina. Il disprezzo di Xiang per Zhang (che non cita nell’intervista) è palpabile e sembra condiviso da molti altri intellettuali liberali cinesi. Comunque sia, il punto di vista di Xiang è questo: continuare su questa strada corre il rischio che la Cina distrugga l’ordine mondiale che ha consentito la realizzazione del “sogno cinese”, apparentemente senza riguardo alle conseguenze, militari o economiche che questo comporterebbe.

Le osservazioni di Xiang sono interessanti perché la sua posizione di cinese che lavora all’estero gli consente un candore che i suoi compatrioti nella Cina continentale non possono permettersi. Altrimenti, le sue opinioni concordano ampiamente con quelle di altri liberali cinesi della sua generazione, che sono orgogliosi dell’ascesa della Cina ma continuano ad aderire a molti dei valori universali dell’Illuminismo. In una delle sue prime risposte all’intervista, Xiang ha osservato: “Ho lasciato la Cina 37 anni fa e non ho mai preso un nome straniero o acquisito un passaporto straniero. Oltre allo studio e all’insegnamento, ho dedicato tutti i miei sforzi al miglioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, Cina ed Europa.

NON C’È BISOGNO DI COMBATTERE COME UN “GUERRIERO LUPO”

La diffusione del coronavirus nel mondo ha suscitato molte riflessioni. In un articolo pubblicato all’inizio di aprile 2020, Henry Kissinger ha predetto che la pandemia avrebbe cambiato per sempre l’ordine mondiale.5. Come accademico che ha studiato a lungo le relazioni internazionali, condividi la sua opinione?

Xiang Lanxin

Per un certo periodo sono stato Henry Kissinger Fellow presso la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e ho discusso molte volte con lui la complessa questione delle relazioni USA-Cina. Kissinger è un grande pensatore strategico e ha una visione unica dei cambiamenti e delle tendenze in via di sviluppo nel sistema globale. Sono sostanzialmente d’accordo con lui su questo punto. Ma in sintesi, ciò che più mi preoccupa non sono le istituzioni dell’ordine internazionale esistente, quanto piuttosto la tendenza al calo della fiducia tra le principali nazioni, e in particolare tra Cina e Stati Uniti, che raggiunge un punto di non ritorno.

A mio parere, l’osservazione di Kissinger è un riflesso del suo modo di pensare generale. Il suo primo lavoro accademico, A World Restored (1957), si è concentrato sul pacifico nuovo ordine mondiale costruito dal Congresso di Vienna nel 18156. Anche se il capo di questo nuovo ordine internazionale non era la superpotenza mondiale (gli Stati Uniti), ma l’impero austro-ungarico, l’accordo durò comunque un secolo. Il fattore chiave di questo successo è stata l’attenta progettazione dell’ordine mondiale, costruito sulla base di un equilibrio di potere tra le maggiori potenze, che ha favorito la fiducia reciproca, tanto che tutte desideravano che questo ordine fosse mantenuto. Questo libro ci permette di vedere i principi guida del pensiero di Kissinger.

Kissinger ha trascorso mezzo secolo cercando di costruire un rapporto armonioso tra gli Stati Uniti e la Cina. Dalla fine della guerra di Corea (1950-1953), non c’è stata praticamente nessuna guerra tra le grandi potenze. Questa guerra contro il coronavirus ha messo in luce gravi distorsioni nella natura umana e la diplomazia irrazionale tra le grandi potenze è diventata la nuova normalità. Già prima della fine della pandemia è iniziata una guerra di “passaggio di palla (甩锅战)” tra le grandi potenze. Discussioni simili a Versailles su “colpa e responsabilità di guerra” hanno indebolito la nostra attenzione sulla lotta contro il coronavirus e discussioni ridicole sulle “riparazioni” sono state persino espresse nei circoli diplomatici. Da appassionato storico e pensatore, Kissinger deve essere estremamente rattristato. Senza la fiducia tra le grandi potenze, qualsiasi sistema pacifico è molto difficile da mantenere. È una scommessa sicura che le tensioni tra Cina e Stati Uniti non faranno che aumentare.

Attualmente, sulla scena internazionale, e in particolare negli Stati Uniti, le persone cercano di “ritenere la Cina responsabile” e persino di pretendere che paghi dei “danni”. Come dobbiamo capire questo?

Dal punto di vista del diritto internazionale, tenere conto di un paese sovrano non ha senso, perché quel paese gode dell’immunità sovrana. È vero che la mancanza di trasparenza nel sistema cinese ha portato all’inizio alla soppressione degli informatori, che di fatto ha rallentato la lotta al virus7. Ma il mondo intero ha assistito agli enormi sforzi e sacrifici fatti dalla Cina dopo la chiusura di Wuhan. Nel complesso, la lotta della Cina contro il virus ha avuto successo. Questa è una tattica politica comune per i leader stranieri che non riescono a trovare capri espiatori. Dovremmo quindi affidarci al giudizio della maggioranza dell’opinione pubblica, e non lasciarci trascinare in dibattiti sulla questione.

La Cina dovrebbe sfruttare il periodo in cui la pandemia continua a imperversare per raccogliere la sfida di riassumere l’esperienza del Paese con il coronavirus. Chiunque riesca prima a produrre un white paper (o una guida pratica) credibile e basato sull’evidenza può quindi trasmettere questa esperienza di lotta al virus ad altri paesi, il che sarebbe un grande vantaggio nella lotta internazionale per la libertà di espressione in il mondo post-pandemia.

Kissinger ha trascorso mezzo secolo cercando di costruire un rapporto armonioso tra gli Stati Uniti e la Cina.

XIANG LANXIN

Tutti i tipi di teorie del complotto sull’origine del virus sono strettamente legate alla questione della “responsabilità”. Tutte le discussioni che sono fiorite su questo argomento sono diventate terreno fertile per controversie diplomatiche.

Sulla questione dell’origine del virus, la Cina non deve essere troppo sulla difensiva, perché è una questione puramente scientifica e nessun altro punto di vista è credibile. Non importa quante teorie del complotto ci siano, nessuna ha credibilità internazionale. In un momento in cui non c’è una risposta definitiva alla domanda sull’origine del virus, la Cina dovrebbe rimanere estremamente cauta, e non c’è assolutamente bisogno di difendersi adottando la postura offensiva del “lupo guerriero”.”. Quanto ai diplomatici, dovrebbero capire come comunicare con la gente comune sulla scena internazionale, e dovrebbero sapere che non si può abusare del diritto internazionale per esprimersi per diffamazione tit for tat (以谤止谤).

Eppure, negli ultimi anni, sembra essere diventato normale che i diplomatici cinesi rispondano immediatamente con parole molto dure, come se non farlo fosse una prova di mancanza di “patriottismo”. Cosa ne pensi di questa diplomazia del “lupo guerriero”?

La maggior parte dei diplomatici cinesi è stata formata in lingue straniere, il che ci dà questa straordinaria immagine dell’Istituto di Lingue Straniere di Pechino come culla della diplomazia cinese. Se i traduttori si prendono cura dei nostri affari esteri, incontreremo sicuramente dei problemi. Anche quando la dinastia Qing (1636-1911) era sull’orlo del collasso, i traduttori non potevano guidare lo Zongli yamen[Ministro degli Affari Esteri]. Le abilità di un traduttore sono determinate dalle abilità linguistiche e dalle reazioni rapide, mentre la diplomazia di grande potere richiede un pensiero strategico a lungo termine e un’attenta capacità di pianificazione. Sarebbe abbastanza facile correggere la cultura del guerriero lupo nel campo della diplomazia: ciò che sarà più difficile correggere è questa stessa cultura nel campo della propaganda straniera.

LE ORIGINI DELLA CULTURA DEL LUPO GUERRIERO

Dal 1989, quando Deng Xiaoping disse che dovevamo ‘tenere basso’8, i diplomatici cinesi hanno adottato una posizione più calma. Perché allora vediamo l’emergere di questa cultura del lupo guerriero? Da dove viene ?

Ciò che ha dato origine alla cultura del guerriero lupo è la “teoria della superiorità del modello cinese”. Questa teoria non ha avuto origine in Cina, ma è stata copiata da un “guerriero lupo straniero”, il famoso giornalista britannico di sinistra Martin Jacques (nato nel 1945). Dieci anni fa Jacques pubblicò un libro intitolato Quando la Cina governa il mondo , che è la fonte dell’arroganza mostrata oggi da alcuni cinesi. All’epoca, la Cina era ancora in una fase in cui prevaleva l’atteggiamento di “tenere un profilo basso”, ma da quando la crescita economica della Cina ha superato quella dell’Occidente, la fiducia del popolo cinese ha iniziato a crescere.

Jacques è un personaggio dei media e un autoproclamato studioso. Molte persone in Cina pensano che ci capisca e la traduzione cinese di Quando la Cina governa il mondo è diventata un bestseller.

Questo libro ha ricevuto molta attenzione ad un livello molto alto, ma la sua base teorica è sbagliata. La sua idea di “la Cina che governa il mondo” è stata in realtà copiata da altre persone. È una versione della teoria dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze” o della teoria dell'”evoluzione delle egemonie” che esiste da tempo in Inghilterra e negli Stati Uniti.

A prima vista, molte delle argomentazioni avanzate da James assomigliano a quelle dei missionari gesuiti che vennero in Cina molto tempo fa. Ad esempio, Matteo Ricci (1552-1610) ha elogiato il governo e la cultura cinese durante la dinastia Ming (1368-1644), affermando che la Cina “non è solo un regno, ma un intero mondo a sé stante”. Ma Matteo Ricci ha insistito sul fatto che la cultura cinese e quella occidentale potessero capirsi e coesistere e, appena arrivato in Cina, ha lavorato duramente per imparare la lingua e le tradizioni cinesi. Martin Jacques, invece, non parla cinese e conosce poco la storia e le tradizioni cinesi. Nel suo libro stabilisce un dualismo tra bene e male, in cui la Cina viene presentata come un modello per l’Occidente.

A prima vista, molte delle argomentazioni avanzate da James assomigliano a quelle dei missionari gesuiti che vennero in Cina molto tempo fa.

XIANG LANXIN

Pertanto, l’elogio di Jacques alla Cina e al modello cinese si basa sugli attacchi contro il sistema occidentale.

Durante l’Illuminismo in Europa, nel XVIII secolo, apparve una nuova teoria basata su un antagonismo assoluto tra il bene e il male, il bianco e il nero. Questa teoria, con sfumature profondamente teologiche, rifiutava ogni sistema politico diverso da quello che difendeva, e subordinava la legittimità di un sistema al rovesciamento della legittimità di un altro. L’argomentazione di Jacques rientra in questo stesso paradigma.

La tradizione cinese non ha rifiutato altre tradizioni e sistemi culturali , ma ha invece sottolineato l’importanza delle condizioni locali, come nel detto “L’arancia è un’arancia quando cresce a Huainan, ed è un limone quando cresce”. cresce a Huaibei ” (橘生淮南则为橘, 生于淮北则为枳)9. La tradizione cinese non distingueva tra superiore e inferiore, né c’era l’idea di “colpire l’Occidente per promuovere la Cina (抑西扬中). Questo è il motivo per cui, nel corso della storia cinese, confuciani, buddisti e taoisti hanno convissuto pacificamente per lunghi periodi di tempo e praticamente non ci sono state guerre di religione.

Per quanto riguarda la Cina di oggi, ancora in ascesa, la cosa più importante da coltivare è un’immagine internazionale di tolleranza. Tuttavia, all’interno della Cina, alcuni opportunisti politicamente esperti vedevano la “teoria del dominio della Cina” di Jacques come un nuovo modo per acquisire notorietà. Secondo loro, poiché la Cina è destinata a sostituire gli Stati Uniti come egemone mondiale , il modo migliore per proteggere gli interessi del Paese è resistere all’Occidente adottando la postura del guerriero lupo, e cantare le lodi della superiorità di il modello cinese per “denigrare l’Occidente e promuovere la Cina”. Non si rendono conto che questo modo di pensare non ha nulla a che fare con la realtà, e allo stesso tempo tradisce la tradizione cinese.

NON DISTRUGGERE PUBBLICAMENTE IL TUO NEMICO (棒杀) E NON “AUTODISTRUGGERSI ATTRAVERSO UN’ECCESSIVA AUTOPROMOZIONE” (捧杀)10

Jacques sviluppò una “teoria dello stato di civiltà” e divise le nazioni sovrane odierne in due campi: “civilizzato” e “nazionale”. In questo paradigma esisterebbe solo la Cina sia come “civiltà” che come “stato-nazione”11. Ha affermato che i problemi che devono affrontare questi due tipi di paesi sono fondamentalmente diversi. 

La “teoria della civiltà-stato-nazione” è una finzione totale e non regge affatto a livello scientifico. Jacques afferma che la Cina è l’unico “stato-nazione” e “civiltà” esistente e che deve quindi beneficiare di un trattamento culturale privilegiato nel mondo. Infatti, nel mondo di oggi, è impossibile dividere i paesi in “civiltà” e “stato-nazione”. In qualunque modo la si guardi, la Cina è una combinazione dei due. Inoltre, questa teoria distorce lo spirito di base della tradizione cinese. Non c’erano “valori universali” nella tradizione cinese e questa tradizione non distingueva tra culture superiori e inferiori.

Nell’ultimo decennio, alcuni uffici governativi hanno attivamente promosso una cultura del guerriero lupo nei loro rapporti con gli stranieri e hanno formato un corpo di “guerrieri lupo propagandistico”. La base della teoria della superiorità del modello cinese che promuovono è la stessa assurdità dell’idea di una “civiltà stato-nazione”. Dal momento che dicono senza mezzi termini che la Cina è l’unico vero “stato-nazione”, l’unica vera civiltà, ciò significa che i paesi occidentali possono essere solo delle semplici “forme meno avanzate di stato-nazione”. In realtà, la ricchezza della civiltà umana beneficia dello scambio e del dialogo tra le culture. Se tutto l’Occidente risulta essere senza “civiltà”, allora la logica impone che tutto al di fuori della Cina sarebbe territorio barbaro,

Martin Jacques elogia il modello cinese e cerca anche di definirlo, affermando che è sorto sullo sfondo della crisi finanziaria globale del 2008.

In termini di metodologia, questo argomento è l’esatto opposto del pensiero alla base della riforma e dell’apertura della Cina del 1978, che consiste nell’aderire alla tradizione e “cercare la verità dai fatti”12, come in detti come “attraversare il fiume sentendo i sassi”13e l’argomento del “gatto” di Deng Xiaoping14. Questa argomentazione rende i cinesi aderenti all’ontologia dello stesso tipo degli occidentali.

La Cina non ha una tradizione ontologica, e non è così che i cinesi vedono le cose. Una classica formulazione cinese sarebbe piuttosto “dov’è la via?” »15. L’obiettivo del gioco di Jacques, che dipinge la Cina come una “civiltà-stato-nazione”, è infatti quello di condurre le discussioni sulla Cina nell’impasse dell’ontologia occidentale. Quando i cinesi iniziano a pensare ontologicamente, discutendo “qual è il modello cinese”, hanno già perso la strada ( dao o tao nella filosofia cinese). Perché una volta che un “modello” ha una definizione, allora devi supportare il modello, il che porta necessariamente all’autopromozione.

Tuttavia, non si può ignorare che la teoria di Jacques era molto popolare in Cina ed è stata accreditata da molti uffici governativi e università.

Per i cinesi, la “novità” di Jacques era che l’idea del “dominio cinese” proveniva da un Occidente egocentrico. È un ragionamento che gli piaceva, ma rimane uno stile di analisi che ritrae l’Occidente e la Cina come antagonisti. Il fatto che Jacques, venendo da sinistra, lanci l’idea che “la Cina sfida l’ordine mondiale” farà danni infiniti.

C’è una tradizione in Occidente di mettere alla gogna la Cina nella pubblica piazza. Questo continua oggi nonostante il potere della Cina. I neoconservatori americani non hanno mai abbandonato l’idea della “minaccia cinese”. Ma da un’altra prospettiva, ciò che è più difficile da affrontare è che la Cina si fa male promuovendosi eccessivamente. Essere attaccati in pubblico non è un problema, perché tutto è noto e la verità verrà alla luce. Ma indulgere in fantasie di auto-glorificazione non è la stessa cosa, poiché coloro che sono elogiati dimenticano facilmente chi sono, o addirittura si perdono in sogni irrealizzabili. Attualmente, ci sono un certo numero di cinesi che stanno “rileggendo” con entusiasmo la cultura cinese con l’obiettivo di reinventare il “modello cinese”. Sono tutti manipolatori

I neoconservatori americani non hanno mai abbandonato l’idea della “minaccia cinese”. Ma da un’altra prospettiva, ciò che è più difficile da affrontare è che la Cina si fa male promuovendosi eccessivamente.

XIANG LANXIN

Da quello che vedo, non sono solo “lupi guerrieri alieni”. Abbiamo anche il nostro…

I lupi guerrieri di qui e altrove hanno una cosa in comune: sono molto tecnici e non hanno niente nella testa. Con ‘tecnico’ intendo che sono specializzati nell’opportunismo, che sanno sempre da che parte tira il vento e che hanno occhi solo per i loro superiori. Quando parlano del mondo esterno attaccano le culture straniere e quando parlano di affari interni usano il nazionalismo estremo per frodare le masse popolari. Ma nonostante tutto il rumore che fanno, sono sempliciotti. Non portano nulla di nuovo, non hanno posto sulla scena internazionale e sono odiati dagli accademici tradizionali. Questo perché non hanno basi scientifiche, moralità o background.

Ad esempio, l’opinione pubblica cinese ha scambiato Martin Jacques per qualcuno di grande influenza internazionale, quando in realtà è solo una figura marginale che ha scritto un bestseller e non ha posto nel mondo accademico. Quando i giornali cinesi lo hanno chiamato pubblicamente professore di scienze politiche a Cambridge, penso che lo stesso Jacques fosse probabilmente imbarazzato. C’è un altro individuo cinese che è stato un interprete di lunga data per le Nazioni Unite a Ginevra, e che è stato il primo a copiare la teoria della civiltà di Jacques, che ha usato per esaltare la superiorità della Cina sui cieli, e che ha cercato di dimostrare con resoconti di viaggi all’estero che nessuno poteva verificare16. Tale persona, il cui curriculum include un lavoro part-time presso una scuola straniera non riconosciuta dal sistema di istruzione superiore (nota come “scuola del pollo selvatico”17), divenne tuttavia un famoso professore in una famosa università cinese18 !

Allora, qual è la tua opinione su questa “autodistruzione attraverso un’eccessiva autopromozione”?

Sia dal punto di vista della metodologia che dell’opinione pubblica internazionale, “l’autodistruzione attraverso un’eccessiva autopromozione” è stupidità di alto livello (高级黑). Danneggia l’immagine internazionale della Cina e il popolo cinese dovrebbe mantenere un alto grado di vigilanza nei suoi confronti. Dovresti sapere che nella tradizione cinese, la legittimità politica era un concetto dinamico, sempre in evoluzione, un processo di movimento continuo, e non aveva nulla a che fare con una definizione ontologica occidentale. Nel contesto attuale, la legittimità del PCC è definita dalle sue conquiste politiche e non ha nulla a che fare con alcun modello.

Il tentativo di costruire un cosiddetto “modello cinese”, per promuovere teorie sull’unicità della cultura cinese o sulla superiorità del sistema tra le persone, è contrario alla tradizione cinese e non è coerente con i fatti. Prendendo come esempio la lotta contro il coronavirus, nessuno può negare l’enorme impresa che il popolo cinese ha realizzato sconfiggendo il virus, ma le parole e il comportamento dei diplomatici e dei propagandisti cinesi hanno suscitato il disprezzo dell’opinione pubblica mondiale. Da un lato, questi guerrieri lupo hanno colto l’occasione per propagandare il “modello cinese” al mondo, pubblicizzando pubblicamente la sua superiorità e insistendo sul fatto che il modello di governo dei paesi occidentali è allo stremo e sarà presto rovesciato, e che la vera natura degli Stati Uniti,

Questo tipo di arroganza è privo di fatti e manca di umanità; danneggia gravemente l’immagine internazionale della Cina. D’altra parte, usano i social media e le conferenze stampa per impegnarsi in attacchi e critiche invettive e indiscriminate dal mondo esterno, e persino i siti web del governo diffondono pubblicamente teorie del complotto. Il terzo problema è quello delle parole e dei comportamenti arroganti e del disaccordo con le misure del coronavirus adottate da altri Paesi. Quando i diplomatici cinesi chiedono costantemente, direttamente o indirettamente, al resto del mondo di ringraziare la Cina, non sorprende quindi che crei una cattiva impressione.

UNA “TEORIA DELL’ASCENSIONE PACIFICA” DIFFICILE DA SOSTENERE

Al di fuori del governo, molte persone sono interessate alle questioni diplomatiche. Ma altri pensano che queste questioni dovrebbero essere lasciate agli specialisti delle relazioni internazionali. Qual è la tua opinione su questo spartito?

In passato, su questi temi facevamo affidamento sull'”opinione pubblica (舆论)”; il popolo non faceva commenti oltraggiosi sugli affari internazionali perché questi argomenti non erano considerati “banali”, e questo era ancor più vero per la diplomazia e importanti questioni militari. La società si è evoluta e negli ultimi anni la posizione internazionale della Cina ha guadagnato slancio e il grado di trasparenza riguardo alla politica internazionale non è più lo stesso. Ad un certo punto, i commentatori di affari internazionali hanno cominciato a moltiplicarsi come torte calde. Negli ultimi vent’anni, il “commento internazionale” in Cina è diventato un esercizio popolare a cui tutti partecipano.

Certo, è positivo che tutti siano interessati alle questioni internazionali, ma sembra difficile elevare il “commento internazionale” al di sopra di qualcosa come la “selezione dei titoli”. In Cina, il “commento internazionale” di massa è condotto principalmente da un quotidiano sensazionalista chiamato Global Times . Purtroppo, io stesso ho già scritto per questo giornale. Ma allora c’erano dibattiti e discussioni accademiche, mentre oggi è una pubblicazione completamente populista. Questo giornale guida da tempo la vendetta della folla in una direzione nazionalista e le conseguenze che ciò avrà non devono essere prese alla leggera.

Man mano che il “commento internazionale” si è infiammato, anche il campo accademico delle relazioni internazionali si è trasformato, diventando improvvisamente un argomento popolare.

Dobbiamo ammettere che il campo delle “relazioni internazionali” in Cina, come le scienze politiche o l’economia, sono “alberi senza radici, un fiume senza una fonte”. Gli studiosi cinesi non avevano basi teoriche e quindi nessun modo per distinguersi. E quando questo campo, per sempre incuneato tra giornalismo e scienze umane, è diventato improvvisamente un “campo di studio popolare”, è stato solo per via della parola “internazionale”.

In effetti, il campo delle relazioni internazionali rimane alquanto problematico, poiché le fonti di informazione degli specialisti sono di gran lunga inferiori a quelle dei diplomatici in prima linea e, nella loro torre d’avorio, le relazioni internazionali mancano del rigore accademico di altre discipline. Quindi, a livello accademico, hanno difficoltà a trovare il loro posto e, a livello internazionale, hanno solo poca influenza: sono solo la ripresa di altri lavori accademici occidentali. È un paradosso: nel contesto storico dell’ascesa al potere della Cina, le relazioni internazionali sono diventate per essa sempre più importanti; eppure è rimasto al livello di riciclare le teorie occidentali sulle relazioni internazionali, copiando concetti e discorsi occidentali,

Sullo sfondo della rapida ascesa della Cina, ci sono quelli nel campo delle relazioni internazionali che sostengono che la diplomazia cinese dovrebbe essere più dura, mentre altri sostengono la dottrina di Deng Xiaoping del “fare di basso profilo”. I dibattiti su questo tema nella società cinese sono piuttosto vivaci. Come vedi questo dibattito?

In effetti, al momento, la questione non è se essere duri o meno, ma piuttosto presentare bene il caso della Cina. Tutti conoscono la storia della Cina dall’attuazione della politica di riforma e apertura, non c’è bisogno di soffermarci su di essa. Ma la conoscenza della Cina del mondo esterno rimane parziale e finiamo per sollevare dubbi sulle nostre intenzioni all’estero.

In questo momento, la domanda non è se essere duri o meno, ma piuttosto presentare bene il caso della Cina.

XIANG LANXIN

Ad esempio, i ministri del Partito hanno promosso attivamente la teoria dello “shock cinese”, che ha causato una sorpresa globale.19. Che colpo ? Non è altro che giocare con le regole dell’attuale sistema mondiale. Che lo “shock” sia un evento naturale o un tentativo attivo di sovversione, dobbiamo renderci conto che l’ascesa della Cina è il risultato dello sforzo collettivo del popolo cinese che ha costruito decenni di un ambiente esterno pacifico. Non c’è assolutamente bisogno di sconvolgere il sistema mondiale. Anche dal punto di vista della politica nazionale, tali discorsi sono estremamente pericolosi. Abbiamo appena raggiunto lo status di superpotenza e tuttavia stiamo pubblicamente abbandonando il nostro atteggiamento di “tenere un basso profilo”. Il nostro esercito è impreparato, eppure ci presentiamo come la potenza dominante. Come potrebbe il resto del mondo non avere paura?

Forse la teoria dell'”ascesa pacifica” della Cina è più rilevante della teoria dello “shock cinese”?

Quando si discute di concorrenza tra grandi potenze, non dovremmo concentrarci su scambi e dibattiti all’interno del quadro teorico di altre potenze (occidentali). La nostra preoccupazione non dovrebbe essere la “trappola di Tucidide”, ma piuttosto la “trappola del concetto” – e la “teoria dell’ascensione pacifica” è una di queste. Quando la teoria dell'”ascensione pacifica” era di gran moda, accettai l’invito del Washington Post e scrissi un lungo editoriale che sottolineava i difetti significativi della teoria.

Da un punto di vista scientifico, “pacifico” è un avverbio che modifica l’azione di “sorgere”, ma la parola “sorgere” in cinese è in contraddizione con “pace” e ha il significato di “rompere il sistema esistente”, come l’ascesa di una montagna dopo un terremoto. In altre parole, “pace” e “elevazione” si contraddicono a vicenda.20. Questa teoria riflette la psicologia di un piccolo paese, che erroneamente immagina che un grande paese plasmi la propria politica estera in modo indipendente, illustrando la mancanza di una comprensione fondamentale della logica della geopolitica internazionale.

L’idea di una pacifica ascesa non potrebbe essere utile a livello puramente strategico?

Strategicamente, ogni grande potenza che sta vivendo cambiamenti significativi nel suo status internazionale dovrebbe astenersi dal parlare di “ascesa”. Da un punto di vista storico, nessun grande potere ha dato grande importanza alla discussione dei mezzi con cui è sorto al momento della sua ascensione. In primo luogo, se elabori i mezzi con cui “rialzi”, inevitabilmente ti troverai di fronte a domande sulle politiche che utilizzerai quando sarai in declino. In secondo luogo, proclamare unilateralmente che non utilizzerai mai la forza militare per risolvere alcun conflitto internazionale non solo non convince i partner stranieri, ma crea anche dilemmi per te stesso.

Il motivo per cui ho detto che la teoria dell'”ascesa pacifica” riflette la mentalità di un piccolo paese è che presuppone che ci sia una soluzione diplomatica a qualsiasi conflitto internazionale. È veramente l’ideale più alto della visione del mondo [espresso da Laozi, padre fondatore del taoismo, in Il classico della via e del potere ], ovvero che “sebbene i suoni di galli e cani siano uditi da un [villaggio] all’altro, il gli abitanti dell’uno non visiteranno mai l’altro, anche se invecchiano e muoiono”21. L’idea di una “ascesa pacifica” non è sostenibile né ora né in futuro, e la Cina non può evitare la realtà o persuadere il mondo con argomentazioni “pacifiche” su come opera all’interno della governance globale.

L’idea di una “ascesa pacifica” non è sostenibile né ora né in futuro, e la Cina non può evitare la realtà o persuadere il mondo con argomentazioni “pacifiche” su come opera all’interno della governance globale.

XIANG LANXIN

Come vede il dibattito sullo scontro di civiltà nel contesto delle relazioni Cina-USA. Questo conflitto è necessario?

Alcuni anni fa, lo “scontro di civiltà” di Huntington non aveva posto nel mainstream delle relazioni estere americane. Il fatto che alcuni americani ne parlino di nuovo è in realtà una forte risposta ad argomenti come quello cinese sulle “grandi e piccole civiltà”.

Il dibattito non è una brutta cosa. Perché non è solo un dibattito accademico, ma piuttosto idee di governance globale. Ciò che dovrebbe essere chiaro è che le idee cinesi e straniere sulla governance interna e internazionale sono in realtà diverse, ma ciò non dovrebbe dar luogo a conflitti. Se vogliamo chiarire la visione cinese della governance globale, la questione chiave è la differenza tra la concezione cinese e quella straniera dell’ordine mondiale.

Nel mondo anglosassone, attualmente governato dagli Stati Uniti, le discussioni sull’ordine mondiale tornano sempre alle teorie dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze”, che ebbe origine nel 19° secolo con lo storico Edward Gibbons e la sua opera The Ascesa e caduta dell’Impero Romano . Ha sottolineato che la distribuzione del potere era basata sulla forza nazionale, il che significa che ciò che determina se l’ordine mondiale è stabile o meno è meccanico e immutabile. Ciò ha avuto un enorme impatto sulla politica estera americana. Dopo la seconda guerra mondiale, gli americani adottarono la teoria dell ‘”egemonia stabile” e promossero la “pace americana”. La “trappola di Tucidide” è una versione più recente.

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Qual è la versione tradizionale cinese della governance?

Se diciamo che la visione occidentale dell’ordine mondiale si basa sulla distribuzione del potere nazionale, ciò che il sistema vestfaliano chiama “ordine” in opposizione a “disordine” e nel senso di dover scegliere tra l’uno e l’altro, allora il tradizionale La visione cinese della governance si basa su una logica in cui “ordine” e “caos” convivono in un reciproco rapporto di scambio.

Prendi l’esempio del controllo dell’acqua. Ci sono fondamentalmente due modi per controllare l’acqua. Il primo è costruire dighe sempre più alte per evitare che l’acqua trabocchi, che è l’idea di base della politica americana della Guerra Fredda [contenimento ] . Il secondo è cambiare la direzione della corrente. Le dighe hanno sempre, alla fine, un limite. Lavorare sulla direzione della corrente è la migliore strategia a lungo termine.

Pertanto, la tradizionale strategia di governance cinese contraddice sia la teoria dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze” sia la teoria dell'”egemonia stabile”. La Cina deve implementare sistematicamente la propria visione della governance globale. La missione più importante della Cina, che cerca di integrare pacificamente l’attuale ordine mondiale, è quella di fornire una visione relativamente chiara e positiva del suo modo di pensare. Da una prospettiva a lungo termine, il tema principale delle relazioni estere della Cina dovrebbe essere la comprensione interculturale e la comunicazione di civiltà.

FONTI
  1. Dushu (读书, letteralmente “leggere”) è una rivista letteraria mensile influente nei circoli intellettuali cinesi.
  2. Caijing (财经) è una rivista indipendente con sede a Pechino che copre fenomeni politici, sociali, ecc.
  3. 相蓝欣, intervista di 马国川, “著名国际政治专家 相蓝欣教授:反思战狼文化,呼唤文明沟通”, 30 aprile 2020.
  4. Vedi in particolare le dichiarazioni degli ambasciatori cinesi nei paesi europei, ad esempio l’ intervista a Lu Shaye su BFMTV .
  5. Henry Kissinger, “La pandemia di coronavirus altererà per sempre l’ordine mondiale”, Wall Street Journal , 3 aprile 2020
  6. Henry Kissinger, Un mondo restaurato: Metternich, Castlereagh e i problemi della pace, 1812–22, 1957.
  7. Si fa qui riferimento al caso del primo famoso informatore del dicembre 2019, il dottor Li Wenliang.
  8.  Letteralmente “tieni la luce sotto il moggio” (韬光养晦). Nel contesto del dopo Guerra Fredda e del dopo Tienanmen, queste sono le parole pronunciate da Deng Xiaoping nel 1992 che sono all’origine della sua strategia diplomatica di “tenere basso il profilo”. Agli occhi della Cina, è meglio che il Paese nasconda i propri beni, soprattutto in risposta alle “interferenze” degli Stati Uniti che avevano deciso di sospendere le vendite di equipaggiamenti militari dalla Cina dopo gli eventi di Tienanmen, per reagire meglio in seguito.
  9. Huaibei e Huainan sono due grandi città nell’entroterra della provincia dell’Anhui, situate a nord ea sud l’una dall’altra. La loro vicinanza geografica evidenzia l’importanza delle condizioni microlocali in Cina: sebbene i frutti che crescono in queste due città geograficamente vicine sembrino simili, il sapore dei frutti è diverso.
  10.  棒杀: picchiare a morte qualcuno, 捧杀: letteralmente lusingare a morte qualcuno facendolo sentire compiacente
  11.  Nota dell’autore: in effetti, ci sarebbe una civiltà, la Cina, e il resto del mondo sarebbe versioni meno evolute dello stato-nazione. In altre parole, agli occhi della Cina, è l’unico paese al mondo in cui la civiltà coincide ancora con un moderno stato-nazione.
  12. “Cercare la verità dai fatti” (实事求是) è uno dei principali slogan del periodo maoista che promuove una visione realistica delle riforme ed è alla base dell’ideologia socialista cinese.
  13.  Questo proverbio cinese è un riferimento alla politica sperimentale della Cina durante il decennio di apertura che inizia dal 1978 con l’attuazione di misure graduali sugli investimenti esteri, sulle privatizzazioni e sull’apertura del mercato in generale. .
  14. Riferimento alla famosa citazione di Deng Xiaoping (1961) “Non importa se un gatto è bianco o nero, se cattura i topi, è un buon gatto”. In altre parole, non importa l’ideologia o la nazionalità degli imprenditori purché contribuiscano allo sviluppo economico della Cina. Ciò rientra nel contesto delle riforme di apertura difese da Deng già nel 1978.
  15. Concetto maestro del taoismo, la via si traduce in Dao o tao (道). Il taoismo è una delle tre grandi filosofie cinesi (con Buddismo e Confucianesimo) che pone al centro la via, il sentiero come principio fondante all’origine di tutto.
  16. Xiang fa riferimento a Zhang Weiwei, che iniziò la sua carriera di interprete prima di diventare un noto studioso nella trilogia di opere sull’ascesa della Cina degli anni ’90 (i primi due volumi sono stati tradotti in inglese), in cui prende liberamente in prestito da Martin Jacques . Zhang viaggia anche per il mondo per difendere il modello cinese; molte delle sue conferenze e dibattiti sono disponibili in inglese su Youtube.
  17. Xiang si riferisce alla Scuola di diplomazia e relazioni internazionali di Ginevra , un parente povero dell’Istituto universitario di Ginevra dove insegna Xiang. “Wild Chicken 野鸡” è un termine ampiamente utilizzato per qualcosa che non è brevettato.
  18. Zhang ricopre una posizione presso la Fudan University di Shanghai, l’ alma mater di Xiang , ed è anche preside dell’Istituto di studi cinesi all’interno della stessa università.
  19. Questo è un altro riferimento a Zhang Weiwei. Il titolo del secondo volume della sua trilogia è The China Shock (中国震撼).
  20. Un altro significato di “pace” (平) in mandarino è piatto, che contraddice anche il sorgere.
  21. Traduzione tratta da http://www.fang.ece.ufl.edu/daodejing.pdf , testo numero 80.

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/09/10/il-ny-a-pas-besoin-de-se-battre-comme-un-loup-guerrier-une-conversation-avec-xiang-lanxin/?mc_cid=84212e0658&mc_eid=4c8205a2e9

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