IL DISADATTAMENTO DELLE ÉLITES OCCIDENTALI. INTERVISTA A Flavio Piero Cuniberto

Il 23 agosto abbiamo posto ad Aurelien quattro domande[1]. Le abbiamo riproposte, identiche, ad alcuni amici, analisti, studiosi italiani e stranieri.

Nella voce “dossier” sulla barra orizzontale abbiamo creato una apposita raccolta delle interviste.

Oggi risponde Flavio Piero Cuniberto, che insegna Estetica all’Università di Perugia[2]. Lo ringraziamo sentitamente per la sua gentilezza e generosità.

 Buona lettura. Roberto Buffagni, Giuseppe Germinario

 

 

INTERVISTA A FLAVIO PIERO CUNIBERTO

 

1)  Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

 

Nel valutare la situazione «sul campo» preferisco lasciare la risposta ad analisti più professionali (analisti di cose militari, anzitutto). Da un punto di vista più generale mi richiamerei a quella che è la mia visione complessiva del conflitto: una sorta di «teorema», che i fatti concreti non hanno finora confutato, e hanno piuttosto rafforzato. E’ l’idea che, nel «teatro» ucraino, e malgrado le dichiarazioni incendiarie, la NATO non abbia finora premuto sull’acceleratore e non intenda farlo: sia allo scopo di evitare uno scontro diretto e una possibile escalation nucleare, sia perché il timone strategico – ecco il teorema – resta comunque ben fermo sull’obiettivo numero uno della crisi ucraina: spezzare una volta per tutte le linee di comunicazione (politico-diplomatiche, commerciali, energetiche) tra lo «spazio» russo e lo «spazio» europeo, e per parlare più concretamente, tra lo «spazio» russo e lo «spazio» tedesco o mitteleuropeo. Vedere nell’indebolimento delle economie europee, a cominciare da quella tedesca e da quella italiana in seconda battuta, un semplice «effetto collaterale» delle sanzioni, del sabotaggio di Nordstream ecc., è probabilmente un grosso errore di interpretazione. La poderosa macchina industriale tedesca – proiettata ostinatamente verso l’export, cioè verso un accumulo di ricchezza reale, non fondata sulla speculazione finanziaria – era da molti anni un vero incubo per la strategia globale di Washington, sempre più convinta – nell’era-Merkel – di avere nella Germania un alleato sì, ma poco affidabile e sempre pronto a spiccare il volo verso una politica di potenza «in proprio». A trasformarsi da potenza geoeconomica in una vera potenza geopolitica. La partnership con Mosca avrebbe spianato la strada in questa direzione. Bisognava dunque (per Washington e Londra) «stroncare» il canale Mosca-Berlino. L’enfasi con cui gli organi di informazione – ad ogni livello – hanno indicato nella sconfitta militare di Mosca e nella liquidazione del regime «putiniano» (o addirittura nella disintegrazione territoriale della Confederazione Russa) l’obiettivo essenziale del sostegno all’Ucraina, è servita a mantenere in sordina, lontano dai riflettori (fino a un certo punto) quello che è l’obiettivo reale – e non, come dicevo, un semplice effetto collaterale – della strategia americana: reale ma non dichiarabile, perché non si può chiamare alle armi i principali alleati dichiarando in conferenza stampa che lo scopo della mobilitazione è di tagliare gli attributi agli alleati. Va da sé che un ostinato «lavoro ai fianchi» del potenziale militare russo è comunque un esercizio utilissimo, forse anche a distogliere l’attenzione del Cremlino da altri possibili «teatri» di guerra.

Se le cose stanno così – e sono convinto che stiano così – il fatto che la situazione militare in Ucraina sia stagnante e volga al peggio per la NATO non impedisce di ritenere che l’obiettivo N,1 della strategia sia stato raggiunto. E’ difficile pensare infatti che i rapporti russo-tedeschi, a questo punto, non siano compromessi anche a medio-lungo termine. Che poi il raggiungimento di questo obiettivo – tramite una sfiancante guerra di posizione in Ucraina – abbia comportato enormi perdite umane, un autentico protratto massacro, è cosa che agli strateghi di Washington non potrebbe importare di meno. Quella che vedo, insomma, è una miscela di finte dichiarazioni (come nel volley, per distrarre l’attenzione) e di infinito cinismo. Ad maiorem gloriam dell’impero USA in difficoltà.

 

 

 

 

 

2)  Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

 

Se è valido il «teorema» di cui sopra, non credo che si possa parlare di veri e propri «errori», almeno da parte della strategia americana. Diverso è il caso dell’Europa occidentale non anglofona, il cui passivo allineamento alla strategia USA sembra, in effetti, un clamoroso errore. Ma chi sono i decisori in Europa (in Germania e in Italia, anzitutto) ?  A decidere è una classe politica che è ormai la longa manus di Washington. Parlerei di un esteso, anzi mostruoso, «collaborazionismo», dove gli infiniti fiancheggiatori europei della strategia americana mirano a un tornaconto personale o «di classe», e non «di sistema». Se anche la Germania, fino a ieri in ascesa, è un paese in declino, si tratta di un suicidio assistito che manifesta una irreversibile crisi di identità.

 

 

 

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

 

È la crisi di identità a cui accennavo. Sono abbastanza informato sul caso tedesco, e qui vedo davvero gli estremi di uno psicodramma, dove l’intero paese, finalmente riunificato, sembra rinunciare a un’identità forte, anche sul piano culturale, come se avesse ormai alzato bandiera bianca di fronte agli irresistibili modelli (soprattutto culturali) d’Oltreoceano.  Non mancano, in Germania, alcune voci più lucide, sia nel comparto «sovranista» dell’AfD che nel comparto post-comunista della Linke (mi riferisco per esempio agli interventi di recenti di Oskar Lafontaine, peraltro anziano e fuori dai giochi). E tuttavia l’occupazione dei «gangli» vitali da parte degli apparati atlantisti (e qui penso anche all’occupazione delle coscienze, alla subordinazione anche inconsapevole della mentalità collettiva ai paradigmi egemonici d’Oltreatlantico) ha raggiunto un livello tale da lasciare poco spazio a un cambio di rotta. Ben difficilmente le voci di cui parlavo – e anche gli ambienti del dissenso, comprese le organizzazioni imprenditoriali, raggiungeranno la massa critica necessaria per rovesciare l’attuale ordine delle cose. Il deep state tedesco è, paurosamente infiltrato e probabilmente eterodiretto. Un eventuale rovesciamento potrebbe verificarsi, credo, solo nel caso di una implosione totale del sistema egemonico americano: in questo senso la crisi sarebbe «reversibile», ma solo per effetto di uno scenario globale drasticamente mutato, cioè per meriti esterni.

Quanto all’America, si sta giocando l’egemonia, e dunque staremo a vedere. Insomma: non parlerei di una «crisi dell’Occidente» tout court, ma distinguerei il ruolo americano da quello europeo-continentale, dove la crisi assume, a mio parere, una fisionomia più lampante.

 

 

4)  Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente ‘reazionario’, può attecchire in una moderna società industriale?

 

Di questo ritorno alle radici tradizionali, in Russia e in Cina, si parla da tempo, ma credo che sia molto difficile valutarne l’effettiva entità. René Guénon sosteneva che l’Estremo Oriente si sarebbe modernizzato solo allo scopo di battere l’Occidente sul suo terreno: ossia nella forma e non nella sostanza, che sarebbe rimasta tradizionale. Per quanto suggestivo, il parere di Guènon non è però infallibile. La spaventosa determinazione con cui la Cina, in particolare, mira al primato tecnologico –  a cominciare dal settore dell’AI, e «sfornando» anno dopo anno milioni di nuovi ingegneri – non sembra compensata da un adeguato «recupero» tradizionale, se non forse come fenomeno «di nicchia», o coltivato negli ambienti molto chiusi delle società segrete (di cui mi sembrerebbe ingenuo postulare la scomparsa). Potrebbe essere un movimento decisivo anche se elitario, o proprio perché elitario: ci si augura che sia così, che una superiore millenarias saggezza governi, anche nascostamente, la transizione dall’arroganza unipolare a un sistema multipolare. Ma non me la sento di trasformare l’auspicio in una previsione.

Quanto alla Russia, le cose non stanno molto diversamente. Il ritorno alla Russia cristiana dopo l’89 non ha coinvolto le masse. Lo stesso Dugin, alfiere del neo-tradizionalismo russo, ha su questo punto una posizione molto ambigua, favorevole a una specie di «Internazionale delle tradizioni» in cui l’elemento cristiano-ortodosso è posto sullo stesso piano delle tradizioni non-cristiane (e per quanto possa sembrare paradossale, l’idea stessa di una «internazionale neotradizionale» è, in fondo, un’idea massonica, cioè squisitamente occidentale). E d’altronde non è affatto chiaro quale sia il peso reale di Dugin «alla corte dello Zar».

 

 

[1] https://italiaeilmondo.com/2023/08/23/il-disadattamento-delle-elites-occidentali-intervista-ad-aurelien-_-a-cura-di-roberto-buffagni/

[2] Flavio Cuniberto (1956) insegna Estetica all’Università di Perugia. Ha studiato a Torino, Monaco, Berlino e Freiburg i.B. I suoi interessi spaziano dalla filosofia e dalla letteratura tedesca moderna e contemporanea (Friedrich & Schlegel e l’assoluto letterario, Rosenberg Sellier 1990; La foresta incantata. Patologia della Germania moderna, Quodlibet 2010; Germanie. Taccuini di Viaggio, Morlacchi 2011) alla tradizione platonica e neoplatonica nei suoi intrecci con l’ebraismo e l’islam (Jakob Boehme, Brescia 2000; Il Cedro e la Palma. Note di metafisica, Medusa 2008), alla questione della modernità e del suo rapporto col paradigma premoderno (Il Vortice Estetico. Elementi di Estetica generale, Morlacchi 2015). È tra i promotori del progetto Laby, Laboratorio per la Biologia delle immagini. Con Neri Pozza ha pubblicato Madonna povertà (2016), Paesaggi del Regno (2017).

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IL TESORO NASCOSTO. NECESSITA’ E NON-NECESSITA’ DI UN ESOTERISMO CRISTIANO, di Flavio Piero Cuniberto

IL TESORO NASCOSTO. NECESSITA’ E NON-NECESSITA’ DI UN ESOTERISMO CRISTIANO.
Il termine «esoterismo» (e derivati) non è simpatico, e non gode di buona stampa. Viene spontaneo associarlo alle librerie new age, con i cristalli e le piramidi in vetrina e le bacchette d’incenso, o come nel caso dei cattolici «tradizionalisti», farlo rimare con occultismo e quindi satanismo: chincagliera spirituale la prima, sclerotico attaccamento alla lettera del dogma, il secondo. Succede però che articoli fondamentali della dottrina cristiana (cristiano-cattolica, cristiano-ortodossa) siano, alla lettera, incomprensibili. Non nel senso del «mistero», che è per definizione soprarazionale, ma privi di senso (sono cose diverse). E come condannare generazioni di «cercatori spirituali» attratti dai vari Orienti, quando i tesori metafisici del cristianesimo vengono relegati in soffitta, per poi buttare la chiave della soffitta e lamentarsi delle chiese vuote ?
Un esempio: la dottrina trinitaria. La formulazione classica del dogma recita che il Figlio è «generato» dal Padre, rimandando a una semantica biologica (la relazione padre-figlio è biologica), e non c’è paternità o generazione «pensabile» senza un elemento femminile che riceva l’azione paterna, fungendo poi da «matrice» attiva della prole. Di questo elemento per così dire femminile, indispensabile alla semantica del Padre e del Figlio, nella teologia trinitaria non c’è traccia (non è certo lo Spirito a svolgere questa funzione). A meno di non ridurre i termini «Padre» e «Figlio» – già evangelici peraltro – a una vaga metafora, o addirittura a un mito di stampo classico (Atena nasce non si sa come dalla testa o da una coscia di Zeus; e qui però l’elemento femminile compare nella figura di Metis). Due millenni di iconografia cristiana non hanno fatto altro che ribadire – con poche meravigliose eccezioni (vedi l’immagine) – questa strana comunità tutta maschile, in cui la Colomba dello Spirito non modica le cose nella sostanza.
Non si tratta di uscire dal dogma : si tratta di ammettere che il dogma ha un significato nascosto e tuttavia presente in qualche modo nelle sua stesse formulazioni. Il quarto elemento, che per analogia e con molta cautela potrebbe essere definito «femminile», è infatti presente sia nel signum crucis («nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»), sia in quella breve e concentratissima formula di preghiera che è il Gloria: «Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo». Il quarto termine compare nel primo caso come Nome e nel secondo caso appunto come Gloria (che è lo splendore luminoso e al tempo stessso consistente, quasi-corporeo, del divino). E il Nome e la Gloria si trovano associati (ma anche «sepolti») nella mirabile liturgia del 1 gennaio, Solennità della Gran Madre di Dio, non a caso. Certo è che la «gloria» latina (straordinaria intuizione di San Girolamo, molto più ispirata della doxa greca) tende a identificarsi, Scrittura alla mano, con quella «sapientia», o «sophia» (Chokhmah o Shekinah) che «era presente» al momento della creazione («ab aeterno ordita sum et ex antiquis antequam terra fieret» [Prv 8,23]); quella sapientia che è lo «specchio» di Dio («speculum sine macula Dei majestatis» [Sap 7, 26]), che una venerabile tradizione carmelitana definisce «amica Spiritus», e a cui il libro dei Proverbi dedica una memorabile celebrazione nel segno della viriditas, del «verdeggiare» naturale (e così: «quam admirabile [’addir] est nomen tuum in universa terra» [Ps 8,3]).
Di qui l’importanza straordinaria del culto mariano. Maria, «gratia plena», è Colei che «fa spazio» in se stessa, ritirandosi, all’azione dello Spirito sulla «sostanza verginale», la «puritas», e diventa così il Luogo dell’Incarnazione. I due dogmi dell’Immacolata Concezione (1856) e dell’Assunzione di Maria Vergine (1950), arrivano, tardivi e provvidenziali, a completare una dottrina che era realmente lacunosa nella sua formulazione esterna. Non fosse stata lacunosa non sarebbe stata integrata, è ovvio. Il linguaggio rimane quello proprio dei dogmi – un linguaggio vincolato all’immaginazione religiosa plasmata nei secoli -, ma il tesoro nascosto viene almeno parzialmente alla luce. Ed è un futile «sport» laicista – per non parlare del tradimento protestante – bollare come superstizione le grandi Apparizioni mariane, – non quelle fasulle, ovviamente – che insistono, nell’era secolare, a manifestare empiricamente la Presenza (quello che l’A.T. chiama il Volto di Dio [la radice ebraica * FN è la stessa del greco PhaiNomai, la radice dell’Apparire]).
E’ solo un esempio di come il guscio del dogma contenga un midollo nascosto e sostanzioso. Ed è in ogni caso la liturgia (romana, greca, siriaca) a contenere nelle sue formule di orazione e nelle sue letture rituali, mirabilmente distribuite nella ruota dell’Anno, questo «midollo» sostanzioso, latente e tuttavia presente.
Parlare di un «esoterismo» cristiano diventerebbe, alla fine, una vacua ridondanza, attestando ancora una volta più l’oscurità del guscio che la fragranza del midollo. Nel momento in cui lo si realizza, meditandolo, il Tesoro non è più né esoterico né essoterico: semplicemente «è».
P.S. L’immagine – un avorio dell’Annunciazione di scuola probabilmente renana e databile alll’XI-XII secolo – illustra a meraviglia il movimento ritmico dello Spirito che agisce sulla «conca lunare», e l’Uomo ne affiora come Figlio («cor Iesu, in sinu Virginis Mariae per Spiritum Sanctum formatum»: formula barnabita di mirabile profondità; Perugia, chiesa del Nome di Gesù).