SOVRASTRUTTURALISMO ENDEMICO, di Andrea Zhok

SOVRASTRUTTURALISMO ENDEMICO
Per 14 mesi ci hanno raccontato l’epopea di “Aperturisti” contro “Rigoristi”, come se fosse un grande dilemma morale.
Il grido di battaglia dei primi era l’invocazione dell’inviolabilità della Libertà. Quello dei secondi la sacertà di ogni singola Vita Umana.
Per 14 mesi abbiamo seguito quest’appassionante vicenda in uno snervante alternarsi di colpi di scena, con il succedersi, in una dialettica senza sintesi, di isterie di senso opposto.
C’era la settimana in cui la parola d’ordine sui giornali era “Il paese deve ripartire!”, e quella in cui era “Il contagio è fuori controllo!”
Il paese, inizialmente unito, saldo e disposto anche al sacrificio, è stato sbrindellato con la creazione di un’apparente opposizione di principio, su cui si sono infrante amicizie, disfatti progetti politici, e in cui si è pervenuti all’ennesima frammentazione in una guerra di tutti contro tutti: la situazione più facile da guidare docilmente in qualsivoglia direzione.
E pensare che ciò sia stato fatto avendo in mente una direzione, che si è stati strumentalizzati per uno scopo, sarebbe quasi consolante.
Invece qui l’unico fine è come al rodeo: stare in sella il più a lungo possibile, e tutto il resto è noia.
Ebbene, oggi, dopo 14 mesi di gloriose battaglie ideali, i malati di Covid continuano ad aspettare a casa test che arrivano con dieci giorni di ritardo, se arrivano, avendo come baluardo contro la malattia un po’ di tachipirina fai-da-te e, i più fortunati, il saturimetro comprato in farmacia, sperando nella buona sorte che non degeneri in polmonite interstiziale, perché da lì all’obitorio il passo può essere abbastanza lesto.
Per altre malattie, in ospedale è comunque meglio non andarci, se non sei moribondo, perché i contagi ospedalieri sono stati spettacolari e ripetuti (come lo erano già prima del Covid: nel 2019 si sono contati 49.000 morti per infezioni ospedaliere).
Quanto alla “battaglia del Covid”, con i relativi dati sulla mortalità italiana in rapporto al numero dei contagi, il quadro è eloquente.
Italia: 3.842.079 casi, 116.366 morti (mortalità 3%)
UK: 4.383.572 casi, 127.225 morti (mortalità 2,89%)
Germania: 3,116,950 casi, 80,387 morti (mortalità 2,5%)
Spagna: 3.407.283 casi, 76.981 morti (mortalità 2,26%)
Francia: 5.224.321 casi, 100.404 morti (mortalità 1,9%)
Svizzera: 632.399 casi, 10.503 morti (1,58%)
Insomma, persino il devastato sistema sanitario inglese, mai più rimessosi dopo la cura Thatcher, presenta dati migliori.
E gli stessi che hanno tagliato il sistema ospedaliero per anni ce li siamo trovati in televisione su ogni canale a spiegarci come non fosse affatto vero, che non c’erano stati tagli (semmai “razionalizzazioni”), e che comunque non era quello il problema. (O, in alternativa, che sì, forse un problemino c’era, ma che in fondo era colpa nostra, perché non volevamo usare il MES.)
Ecco, ora, il punto è semplice, ed è una costante in questo paese.
A noi piace tanto presentare i problemi come se fossero sempre grandi ed eroiche questioni morali, profonde visioni del mondo, incommensurabili e non negoziabili.
Su questi giochi di contrapposizione ci campa, è comprensibile, una fetta di professionisti dell’informazione, che amano la narrazione per grandi opposizioni in quando vivacizza la narrativa e nutre di polemiche i Talk Show, che sennò l’audience langue.
Ma soprattutto su questi giochi ci campa una classe politica che inscena grandi battaglie di principio, il cui solo scopo è conservarsi in sella cavalcandole, aizzando la plebe a “prendere posizione”.
Insomma soggetti la cui negoziabilità sul mercato politico è leggenda si fanno vessilliferi di battaglie ideali la cui sola funzione è essere stabilizzatori del potere (inclusa la propria fettina).
Di contro, in questo paese sembra che lo sguardo al funzionamento concreto, all’organizzazione materiale delle cose faccia schifo a tutti. Insomma è volgare prosa, mentre noi siamo nati poeti e moralisti della politica.
Questa disposizione onnicomprensiva la potremmo chiamare “sovrastrutturalismo”: dei processi reali nella società noi non ci occupiamo; non vogliamo che nessuno ci parli degli anelli intermedi, dell’olio negli ingranaggi, dell’organizzazione, delle soluzioni pragmatiche, delle specifiche di sistema, dei ‘decreti attuativi’, ecc.
E quando il teatro dei “grandi principi” inizia a stancare, quando qualcuno inizia a capire di essere preso per il naso da questo teatrino dei massimi sistemi senza costrutto, et voilà, ecco pronta la soluzione di riserva nella forma di un’ideologia supplementare, sotto mentite spoglie: l’Efficientismo (“Fare, fare, fare!”), con le correlate invocazioni ai Tecnici, la promozione trombona delle “Eccellenze”, ecc.
Dopo qualche mese o anno di questa ideologia di riserva, una volta che il gioco si scopre gradatamente, ecco che la giostra può proseguire come prima.
Ecco, in 14 mesi dall’inizio della pandemia si potevano fare mille interventi di dettaglio, a livello ospedaliero, di cure territoriali, di uniformazione di criteri e comunicazione a livello nazionale, di accesso a terapie disponibili (care, ma disponibili), e poi come organizzazione dei trasporti, come selezione accurata dei rischi settore per settore, ecc.
Invece no.
Abbiamo vissuto 14 mesi di tiramolla psicologico, con presunte alte motivazioni etiche sullo sfondo, ma senza cambiare niente nei funzionamenti del sistema. (E accetto scommesse che non è finita: l’annuncio della Grande Riapertura mentre navighiamo sui 400 morti al giorno e con terapie intensive ancora sopra il livello di guardia ci garantisce almeno un’altra ripartenza della giostra delle chiusure.)
Questo “sovrastrutturalismo” endemico è la somma tra un generale processo di dequalificazione dei ceti politici, che ha investito tutto l’Occidente, e alcune specifiche caratteristiche italiche, tra cui un certo amore per la teatralità e la passione agonistica, dove alla fine noi vogliamo sapere se vince il Papa o l’Imperatore, e che non ci si annoi con dettagli superflui.
Nessuno ne è esente, neppure i “Tecnici”. Cos’altro è, infatti, l’uscita di Draghi sul “dittatore Erdogan” se non l’improvvisata di qualcuno che vuole anche lui il suo quarto d’ora da “cavaliere dell’ideale”.
E poi, quando arriva il conto, che se ne occupi la servitù.
In questo quadro, discutere se il ministro Speranza deve o non deve andarsene è solo l’ennesima occasione per chiacchierarsi addosso a colpi di ‘simboli’ e fantasmi di ‘idee’, come se il problema fosse cambiare il nome del fantino senza accorgersi che chiunque vada in sella frusta da tempo un cavallo morto (sapendo di farlo).
Ecco, vorrei tanto chiudere con un brillante consiglio su come se ne esce, solo che non ne ho davvero idea.